Giurisprudenza commerciale 2-08 - Università degli Studi di Cagliari

Rassegna di giurisprudenza
Società a responsabilità limitata (*).
SOMMARIO: 1. S.r.l. e partecipazione a società di fatto — 2. S.r.l. amministratore di condominio e di s.r.l. — 3. S.r.l. unipersonale. — 4. Atto costitutivo. — 4.1. Interpretazione.
— 4.2. Clausola di assunzione delle deliberazioni assembleari all’unanimità. — 4.3.
Clausole relative al recesso e alla esclusione del socio. — 4.4. Clausola di distribuzione degli utili. — 4.5. Clausole arbitrali. — 4.6. Clausole limitative della trasferibilità delle quote. — 4.7. Criteri di modificazione delle clausole statutarie. — 4.8. Mancato adeguamento statutario al nuovo diritto societario. — 5. Patti parasociali. — 6.
Quote — 6.1. Intestazione simulata. — 6.2. Intestazione fiduciaria. — 6.3. Trasferi(*) La rassegna, che segue quella pubblicata in questa Rivista, 2006, II, 209 (d’ora in
avanti Rassegna, 2006, alla quale si rinvia anche per i contributi dottrinali pubblicati in data
anteriore a tale anno), si riferisce prevalentemente alle decisioni giurisprudenziali edite tra il
gennaio 2006 e il dicembre 2007. Quanto ai contributi dottrinali, si è tenuto conto, in particolare, dei commenti ai provvedimenti e degli studi collegati alle questioni affrontate dalla
giurisprudenza pubblicati nel medesimo biennio (2006-2007) in cui sono apparse le decisioni. Tra i lavori enciclopedici e monografici apparsi in questo periodo o non rassegnati in
precedenza, vanno ricordati quelli di: ABRIANI-M. STELLA RICHTER JR., voce Società a responsabilità limitata, in Enc. giur. Sole 24 ore, Milano, 2007, 636; CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in Trattato Cottino, Padova, CEDAM, 2007; GUIDOTTI, I diritti di controllo del socio nella s.r.l., Milano, Giuffrè, 2007; MENTI, Socio d’opera e conferimento del
valore nella s.r.l., Milano, Giuffrè, 2006; MONTAGNANI, Informazione e controlli nelle nuove
società a responsabilità limitata, Padova, CEDAM, 2007; MOZZARELLI, Responsabilità degli
amministratori e tutela dei creditori nella s.r.l., Torino, UTET, 2007; NTUK, voce Società a responsabilità limitata unipersonale, in Digesto, Disc. priv., sez. comm., Agg. ***, Torino,
UTET, 2007; SALANITRO, Profili sistematici della società a responsabilità limitata, Milano,
Giuffrè, 2005. Tra i saggi, oltre a quelli che si citeranno in riferimento alle specifiche tematiche, vanno qui ricordati, per il carattere sistematico dello studio del tipo societario, i contributi di BENAZZO, La « nuova » s.r.l. tra rivoluzione e continuità: il ruolo degli interpreti, in
Riv. soc., 2006, 647; GIORDANO, Profili tipologici della nuova s.r.l., in Riv. dir. comm.,
2005, I, 1105; RIVOLTA, Profilo della nuova disciplina della società a responsabilità limitata
e M. STELLA RICHTER JR., Di alcune implicazioni sistematiche della introduzione di una
nuova disciplina per le società a responsabilità limitata, entrambi in La « nuova » società a
responsabilità limitata, a cura di Miola, Napoli, ESI, 2005, rispettivamente 13 ss. e 43 ss.
Quanto ai commentari, nel periodo in esame, tra i volumi di diretto interesse per il tema
della rassegna sono stati pubblicati, per il diritto sostanziale, il Codice commentato delle
s.r.l., diretto da Benazzo e Patriarca, Torino, UTET, 2006, e, per quello processuale, il Commentario dei processi societari, diretto da Arieta e De Sanctis, Torino, UTET, 2007, e Le recenti riforme del processo civile. Commentario, diretto da Chiarloni, Bologna, Zanichelli,
2007.
Anteriormente alla riforma del diritto societario, questa Rivista ha pubblicato, con riguardo alla s.r.l., i « Panorama di giurisprudenza » (in prosieguo Panorama), nelle annate
1996, I, 157 e 352; 1991, I, 577; 1985, I, 293; 1981, I, 604; 1978, I, 802; 1975, I, 538.
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mento della quota e iscrizione a libro soci. — 6.4. Accertamento giudiziale della cessione della quota. — 6.5. Cessione della quota a fini transattivi. — 6.6. Trasferimento
delle quote e responsabilità per versamenti ancora dovuti. — 6.7. Limiti convenzionali
al trasferimento. — 6.7.1. Clausole di gradimento. — 6.7.2. Clausole di prelazione. —
6.8. Trasferimento delle quote e rimedi dettati in tema di vendita. — 6.9. Sequestro
giudiziario della quota. — 7. Recesso. — 7.1. Durata del vincolo sociale. — 7.2. Modalità di esercizio, quantificazione del valore e termini per la liquidazione della quota.
— 8. Diritti di controllo dei soci. — 9. Assemblea. — 9.1. Convocazione. — 9.2. Revoca della convocazione. — 9.3. Voto dell’usufruttuario. — 9.4. Verbale. — 9.5. Conflitto di interessi del socio. — 9.6. Introduzione di limiti al possesso di quote sociali.
— 9.7. Introduzione di obblighi di finanziamento e ipotesi di esclusione. — 9.8. Efficacia delle delibere nei confronti dei soci. — 9.9. Inesistenza e invalidità delle delibere. — 9.10. Compromettibilità in arbitri delle controversie relative all’impugnazione
delle delibere. — 10. Amministratori. — 10.1. Articolazione interna dell’organo amministrativo. — 10.2. Compenso. — 10.3. Poteri degli amministratori e atti (anche infragruppo) estranei all’oggetto sociale. — 10.4. Impugnativa delle delibere del consiglio. — 10.5. Obblighi di condotta degli amministratori e responsabilità. — 10.5.1.
Divieto di concorrenza. — 10.6. Revoca — 10.6.1. Revoca cautelare ante causam. —
10.6.2. Revoca e art. 700 c.p.c. — 10.6.3. Nomina di nuovo amministratore in seguito
a provvedimento cautelare di revoca. — 10.6.4. Revoca per giusta causa. — 10.7.
Azione sociale di responsabilità. — 10.7.1. Legittimazione all’esercizio dell’azione sociale. — 10.7.2. Legittimazione e diritto transitorio. — 10.7.3. Deliberazione dell’azione di responsabilità non all’ordine del giorno. — 10.8. Azione dei creditori sociali.
— 10.9. Azione dei singoli soci e terzi. — 11. Collegio sindacale. — 12. Controllo giudiziario. — 13. Bilancio e scritture contabili. — 13.1. Bilancio. — 13.2. Scritture contabili. — 14. Operazioni sul capitale sociale. Aumento. — 14.1. Sottoscrizione dell’aumento e compensazione. — 14.2. Violazione del diritto di sottoscrizione. — 14.3. Diritto di opzione: esercizio e rinuncia. — 14.4. Prelazione su quote inoptate. — 15.
Operazioni sul capitale sociale. Riduzione. — 15.1. Competenza e condizioni. — 15.2.
Riduzione obbligatoria per perdite. — 15.2.1. Riduzione al di sotto del limite legale.
— 15.2.2. Azzeramento. — 15.3. Riduzione facoltativa per perdite. — 16. Finanziamenti dei soci. — 16.1. Postergazione del rimborso. — 16.2. Qualificazione degli apporti. — 16.3. Fideiussione del socio. — 17. Trasformazione. — 18. Scorporo. — 19.
Scioglimento e liquidazione. — 20. Cancellazione dal registro delle imprese.
1. S.r.l. e partecipazione a società di fatto. — Con la decisione di Trib. Torino, 4 aprile 2007 (decr.), confermata da App. Torino, 30 luglio 2007 (1), viene
affrontato per la prima volta, sulla base del diritto societario riformato, il problema della partecipazione di una società a responsabilità limitata a società di persone, quale socio illimitatamente responsabile. Al fine di valutare se il rapporto instauratosi tra una s.r.l. consortile e una società per azioni avesse dato vita a una
società di fatto, il collegio si occupa, innanzitutto, di chiarire se il nuovo diritto societario consenta anche alle s.r.l., e non solo alle s.p.a., di assumere partecipazioni
(1) Il primo provvedimento è pubblicato in Giur. it., 2007, 1442, ed è commentato da
IRRERA, Un primo no all’ipotesi di società di fatto tra società di capitali, in Il nuovo diritto
delle società, 2007, V, 59. Il decreto di App. Torino, 30 luglio 2007, è pubblicato in Giur.
it., 2007, 2219, con nota di COTTINO, Note minime su società di capitali (presunta) socia di
società di persone e fallimento, con riguardo, tuttavia, alla posizione fallimentare, ex art.
147 l. fall., della s.p.a. coinvolta. Sul tema v., in dottrina, con posizioni più liberali di quelle
assunte dal tribunale nel decreto in rassegna, BARTALENA, La partecipazione di società di capitali in società di persone, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco
Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, 1, Torino, UTET, 2006, 97; TOMBARI, La partecipazione di società di capitali in società di persone come nuovo ‘‘modello di organizzazione
dell’attività d’impresa’’, in Riv. soc., 2006, 185. Per ulteriori indicazioni sul tema, v., inoltre,
la precedente Rassegna, 2006, § 2, 211.
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in società di persone. La norma dell’art. 2361, 2o comma, c.c. che legittima tali acquisti per le s.p.a., non è infatti né riprodotta, né richiamata per le s.r.l., e la disposizione si completa con le sole previsioni di carattere bilancistico, attenenti alla
società di persone partecipata, dell’art. 111-duodecies disp. att. Per il tribunale,
l’art. 2361 c.c. va applicato analogicamente alla s.r.l., alla quale risulta in tal modo
consentita, in via generale, l’assunzione di partecipazioni in società con soci illimitatamente responsabili. Viene invece esclusa la ammissibilità di una società di
fatto tra società di cui una o entrambe le parti siano società di capitali. Ad avviso
del collegio, infatti, la norma poc’anzi richiamata impone, a tutela dei soci, una
delibera esplicita ad essi riferibile per l’assunzione della partecipazione e, a tutela
dei creditori, un obbligo di informazione sulla partecipazione assunta nella nota
integrativa al bilancio (art. 2427 c.c., richiamato dall’art. 2478-bis c.c.). Di conseguenza, la partecipazione in via di fatto della società di capitali ad una società a
responsabilità illimitata, in quanto dipende dal solo comportamento ascrivibile all’organo amministrativo, al di fuori di ogni legittimazione attribuita ad esso dai
soci, si risolve in una violazione dei diritti dei soci e di quelli dei creditori ed è,
perciò, da reputarsi inammissibile.
2. S.r.l. amministratore di condominio e di s.r.l. — Cass., 24 ottobre 2006,
n. 22840 (2), ha stabilito che, non esistendo alcuna norma la quale abbia escluso
che la persona giuridica possa esercitare l’incarico di amministratore di condominio, la soluzione della questione, che non può essere decisa con una precisa disposizione di legge, né avendo riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o
materie analoghe, deve fondarsi sui princìpi generali dell’ordinamento giuridico.
Conclude, perciò, la S.C., che la capacità generalizzata delle persone giuridiche
deve considerarsi un principio generale dell’ordinamento e, nell’ambito della capacità generalizzata, in difetto di specifiche disposizioni contrarie, deve comprendersi la possibilità per la persona giuridica di essere nominata amministratore di
condominio.
Anche rispetto alla questione della ammissibilità della nomina di una persona
giuridica alla carica di amministratore di società di capitali e, in specie, di s.r.l.,
deve segnalarsi la soluzione positiva che si deduce dalla iscrizione, da parte del
conservatore del registro delle imprese, di una s.r.l. quale amministratore unico di
altra s.r.l. (3).
(2) In Società, 2007, 847, con nota di LOLLI; in Corr. giur., 2007, I, 40, con nota di
VIDIRI, Una società di capitali può essere nominata amministratore di condominio. Per un
esame analitico del tema v. RICCIO, La persona giuridica può, dunque, esercitare la funzione
di amministratore, in Contr. e imp., 2007, 17. In argomento cfr., inoltre, Cass., 24 dicembre
1994, n. 11155, in Giust. civ., 1995, I, 675; in Foro it., 1995, I, 1867; in Corr. giur., 1995,
476, con nota di IZZO, L’amministrazione del condominio può essere affidata ad una società
di persone?
(3) L’informazione è rinvenibile in CAGNASSO, Una s.r.l. come amministratore di altra
s.r.l., in Dir. prat. soc., 2006, IXX, 6. Per la puntualizzazione del problema, anche con riferimento alla prassi di altri ordinamenti europei, nella maggior parte dei quali, siano essi di
tipo ‘‘latino’’ (Francia, Belgio, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Grecia), sia anglosassoni, è
ammessa la nomina di un amministratore persona giuridica, v. BUSANI, Nomina di persone
giuridiche alla carica di amministratore di società di capitali, in Contabilità, finanza e controllo, 2007, 346. Più in generale, rispetto al tema della nomina degli amministratori nella
s.r.l., v. SANTONI, Sulla nomina di amministratori di s.r.l., in Riv. dir. comm., 2005, I, 247.
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3. S.r.l. unipersonale. — Trib. Roma, 25 febbraio 2005 (4), estende al socio
unico, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2462 c.c. (previgente art. 2497
c.c.) e 147 l. fall., il fallimento della s.r.l. unipersonale. La soluzione accolta si discosta dalla posizione già assunta dalla giurisprudenza, anche di legittimità,
espressa con riferimento alla presenza di soci illimitatamente responsabili (cfr.
Cass. 1044/1976), per la quale l’estensione del fallimento ai soci illimitatamente
responsabili si riferisce a quelle società che, in base al tipo legale, sono strutturalmente conformate in modo da comportare, nonostante l’autonomia patrimoniale,
la responsabilità illimitata e solidale dei soci, o di una categoria di essi, per tutte le
obbligazioni contratte. La sentenza del tribunale romano, invece, ripropone un indirizzo più risalente, per il quale l’art. 147 l. fall. impone in tutti i casi di estendere
il fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, non distinguendosi,
in esso, tra le società che istituzionalmente comprendono soci illimitatamente responsabili e quelle in cui la responsabilità illimitata dei soci sorge occasionalmente
e in via eventuale, in dipendenza di situazioni particolari, come per la concentrazione del capitale in capo a un solo soggetto. In particolare, nel provvedimento in
rassegna, il fondamento della fallibilità dell’unico quotista viene individuato nella
posizione di dominio del socio unico sull’impresa sociale e il suo fallimento prospettato quale espressione di una responsabilità d’impresa che grava sul socio totalitario, similmente a quella riferibile all’imprenditore, a prescindere dalla concreta attribuzione del potere di amministrazione.
4.
Atto costitutivo.
4.1. Interpretazione. — Cass. 14791/2007, prende posizione in ordine alla
interpretazione dell’atto costitutivo e dello statuto societario, per affermare che,
come quella di ogni atto contrattuale, essa richiede l’accertamento della volontà
degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio, traducendosi perciò in un’indagine di fatto, affidata in via esclusiva al giudice di merito (5).
4.2. Clausole di assunzione delle deliberazioni assembleari all’unanimità.
— La S.C., con sentenza 13 aprile 2005, n. 7663 (6), si pronuncia per la inderoga(4) In Dir. prat. soc., n. 1 del 2006, 91.
(5) Sull’intepretazione dell’atto costitutivo di s.r.l. v., da ultimo, anche per riferimenti, IBBA, L’interpretazione delle regole contrattuali nei contratti associativi, nel volume
monografico della Riv. dir civ., 2006, 271; SCIUTO, L’interpretazione dell’atto costitutivo di
società a responsabilità limitata, in Riv. dir. civ., 2004, II, 294; M. STELLA RICHTER JR., La
costituzione delle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, (nt.
1), 1, 271 ss.
(6) In Società, 2006, 878, con nota di MALAVASI; in Foro. it., 2006, I, 1170; in Riv.
not., 2006, 536, con nota di CLERICÒ, Regola unanimistica nelle assemblee della s.r.l. e limiti all’autonomia statutaria. Con riferimento alla s.p.a., v. Cass., 15 aprile 1980, n. 2540,
in Riv. dir. comm., 1981, II, 27. Sotto il vigore delle norme precedenti alla riforma, per la
nullità delle clausole statutarie di società di capitali che impongono il consenso unanime dei
soci per le delibere assembleari si era attestata anche la giurisprudenza di merito: v. Orientamenti del Tribunale di Milano in tema di atti societari, in Riv. soc., 1993, 639; in dottrina,
per il passato, in senso contrario, ZANARONE, Società a responsabilità limitata, in Trattato
Galgano, VIII, Padova, CEDAM, 1985, 92; favorevoli all’ammissibilità delle clausole statutarie che impongano l’unanimità del consenso dei soci per le deliberazioni assembleari LENER-
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bilità del principio della formazione della volontà sociale secondo il criterio maggioritario, affermando che esso impedisce di stabilire la regola della totalità dei
consensi per le deliberazioni assembleari, nella specie, quelle dell’assemblea
straordinaria. La regola comporta la nullità sia delle clausole statutarie che prevedono il consenso unanime di tutti i soci, sia di quelle che richiedono l’unanimità
dei voti dei soli soci presenti in assemblea, perché ne resterebbe ugualmente vulnerata la regola maggioritaria, che si assume debba reggere inderogabilmente l’adozione di un tal genere di atto collegiale (7). Sul punto, con riferimento alle decisioni modificative dell’atto costitutivo, v., inoltre, infra, § 4.7.
4.3. Clausole relative al recesso e alla esclusione del socio. — In ordine alle
clausole concernenti lo scioglimento anticipato del vincolo sociale limitatamente a
un socio (8), Trib. Ragusa, 21 novembre 2005 (9), si occupa della previsione che
subordina la validità del recesso alla preventiva comunicazione da darsi agli amministratori, nel termine di 15 giorni dalla iscrizione nel Registro delle imprese
della delibera legittimante il recesso. Ad avviso del tribunale la previsione deve riTUCCI, L’assemblea nelle società di capitali, Torino, Giappichelli, 2000, 134; SANTINI, Della
società a responsabilità limitata, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli, 1995, 207. Quest’ultimo A. sottolineava che la Relazione al codice civile (n. 1015), la
quale precisava che le maggioranze previste dalla legge per le delibere assembleari delle s.r.l.
« possono essere derogate, aumentate o diminuite, dalle disposizioni dell’atto costitutivo »,
dimostrerebbe che il legislatore aveva escluso che l’autonomia dei soci di s.r.l. incontrasse i
limiti fissati per le s.p.a., consentendo loro la deroga fino al limite all’unanimità. In senso
conforme, Trib. Alba, 17 febbraio 2000, in Società, 2000, 591; Trib. Genova, 19 gennaio
1989, ivi, 1989, 844; App. Catania, 19 gennaio 1981, in Dir. fall., 1981, II, 176. Peraltro,
sono numerose le pronunce di segno contrario, che negano la possibilità di introdurre nell’atto costitutivo di s.r.l. clausole che richiedano l’unanimità dei consensi per le deliberazioni
assembleari, ritenendo tali previsioni in contrasto con il principio maggioritario cui sarebbe
ispirato l’ordinamento in materia di società di capitali: cfr. App. Roma, 27 febbraio 1997, in
Giur. it., 1997, I, 2, 568; Trib. Bologna, 28 settembre 1995, in Notariato, 1996, 359; Trib.
Ascoli Piceno, 9 gennaio 1990, in Società, 1990, 523; Trib. Cassino, 21 giugno 1991, ivi,
1992, 82. In tema v., ora, MIRONE, Le decisioni nella s.r.l.: profili procedimentali, in Il
nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa
e Portale, 3, Torino, UTET, 2007, 475.
(7) In tema di decisioni dei soci nelle società a responsabilità limitata, v. GUIZZI, L’assemblea: ovvero, delle competenze dei soci e del modo di esercitarla nella società a responsabilità limitata riformata (Due esperienze a confronto), in Riv. dir. soc., 2007, III, 27.
(8) Per l’esame degli istituti del recesso e della esclusione nella s.r.l., spesso trattati
unitariamente dalla dottrina, cfr. CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio di società di capitali, in questa Rivista, 2005, I, 298; DELLI PRISCOLI, L’uscita volontaria del socio dalle società di capitali, Milano, Giuffrè, 2005; ENRIQUES-SCIOLLA-VAUDA, Il recesso del socio di
s.r.l.: una mina vagante nella riforma, in questa Rivista, 2004, I, 747; PERRINO, La « rilevanza del socio » nella s.r.l.: recesso, diritti particolari, esclusione, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, Milano, Giuffrè, 2005, III, t. 3, 3377; PISCITELLO, Riflessioni sulla disciplina del recesso nelle società di capitali, in Riv. soc., 2005, 527; ID., Recesso ed esclusione
nella s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum (nt. 6), 3, 715; CHIAPPETTA,
Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili interpretativi, ivi, 2005, 487; SICCHIERO, Le ipotesi statutarie di esclusione del socio di s.r.l. sono tassative?, in Contr. e imp.,
2007, 904; M. STELLA RICHTER JR., Diritto di recesso e autonomia statutaria, in Riv. dir.
comm., 2004, I, 389. Per il profilo tecnico-valutativo v., inoltre, IOVENITTI, Il nuovo diritto di
recesso, in Riv. soc., 2005, 459.
(9) In Dir. fall., 2007, 159, con nota di BARONTINI, La « nuova » società a responsabilità limitata alla prova dei fatti: i limiti al principio maggioritario.
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tenersi legittima, poiché non impone un onere particolarmente gravoso per il socio
recedente, dato che quest’ultimo, avendo tanto il diritto di essere convocato in assemblea, quanto quello di consultare i libri sociali, può in tempi brevi conseguire
tutte le informazioni necessarie sul contenuto delle delibere assembleari adottate.
Più numerosi gli interventi giurisprudenziali che si occupano delle clausole relative alla esclusione del socio, ai sensi dell’art. 2473-bis c.c.
Per Trib. Lucca, 11 gennaio 2005 (10), è sufficientemente determinata e, perciò, lecita, la disposizione statutaria che preveda l’esclusione del socio che svolga,
in via diretta o indiretta, attività concorrente con quella sociale. Lo stesso provvedimento reputa, invece, illegittima la previsione che rinvia al valore contabile del
patrimonio sociale secondo l’ultimo bilancio approvato, per determinare il valore
della quota da liquidare al socio escluso. Anche la clausola che si limiti a introdurre, come causa di esclusione, la violazione del divieto di « svolgimento di attività atte ad arrecare pregiudizio alla vita sociale », è giudicata generica, e pertanto
illegittima, da Trib. Treviso, 17 giugno 2005 (11). Diverso l’apprezzamento di Trib.
Milano, 31 gennaio 2006 (12), della disposizione che permette l’esclusione del socio per l’assunzione di comportamenti che compromettano il corretto funzionamento della società (tra i quali viene in considerazione l’assenza ingiustificata a
delibere assembleari essenziali, come l’approvazione del bilancio). Trib. Ragusa,
21 novembre 2005 (13), afferma, infine, la liceità di una previsione che colleghi l’esclusione alla sopravvenuta incapacità del socio, che ne comporti l’interdizione o
l’inabilitazione, alla sua condanna a pene detentive superiori ai cinque anni, e al
suo fallimento, atteso il carattere preminentemente personalistico delle società a
responsabilità limitata.
Per l’introduzione nello statuto, attraverso successiva delibera assembleare, di
una particolare causa (illegittima) di esclusione, v. infra, § 9.7.
4.4. Clausola di distribuzione degli utili. — Trib. Milano, 28 settembre
2006 (14), decide, in conformità con l’indirizzo interpretativo dominante (15), in ordine agli effetti di una clausola statutaria che impone la distribuzione degli utili.
Al riguardo viene affermato che la posizione soggettiva del socio rispetto agli utili,
che costituisce una mera aspettativa sino a quando non intervenga una delibera di
distribuzione dei dividendi, muta se lo statuto stabilisca, con apposita clausola, da
ritenersi del tutto lecita, la regola della distribuzione a priori, assurgendo allora a
« diritto patrimoniale » del socio.
4.5. Clausole arbitrali. — Ha continuato a essere sottoposto all’esame dei
giudici, e a trovare soluzioni non uniformi, il tema della sorte delle clausole com(10) In www.judicium.it.
(11) In Società, 2006, 1273; in Riv. not., 2007, II, 452 (solo massima).
(12) In Società, 2006, 140, con nota di FUSI, sulla quale v., inoltre, ID. Ipotesi statutaria di esclusione del socio di s.r.l., ibidem, 1403.
(13) Cit., (nt. 9).
(14) In Giur. it., 2007, 387.
(15) Tra le altre, cfr. Cass., 28 maggio 2004, n. 10271, in Dir. giur., 2004, 31. Per la
validità di una clausola statutaria per la quale gli utili devono essere distribuiti, salvo diversa
delibera da assumere con maggioranza qualificata, v. Trib. Cassino, 25 gennaio 2002, in
Gius., 2002, 2367.
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promissorie preesistenti negli statuti societari e non adeguate alla riforma attuata
con il d. lgs. n. 5 del 2003 (16). Gli interventi hanno interessato in ugual modo
s.r.l. e società di persone; il mancato adeguamento ha riguardato, per lo più, le
previsioni che, con meccanismi diversi, riservavano alle parti la nomina degli arbitri, in contrasto con l’art. 34, 2o comma, d. lgs. n. 5 del 2003 (17), che vuole tale
potere affidato a soggetto estraneo alla società. Problema ulteriore, e connesso,
che incide anch’esso sulla ammissibilità di clausole arbitrali statutarie formulate in
modo diverso dalle previsioni ora richiamate, si è rivelato quello della sopravvivenza, in materia societaria, dell’arbitrato di diritto comune.
Per il primo profilo, in una prima serie di provvedimenti (18) si è manifestata
una decisa spaccatura, tra quelli orientati per la persistente validità delle clausole
compromissorie ‘‘vecchio stile’’ e quelli che ne ritengono la nullità, divisi in quasi
pari numero sulle due posizioni.
La prima pronuncia sul tema da parte di un tribunale di secondo grado, App.
Torino, 7 luglio 2006 (19), in riforma di un provvedimento che aveva ritenuto la
validità della clausola compromissoria con la quale si riservava alle parti la nomina degli arbitri, si esprime per la sua nullità. Secondo i giudici del reclamo, tale
clausola si pone in insanabile contrasto con la previsione dell’art. 34, 2o comma, d.
lgs. n. 5 del 2003 e, quindi, è nulla, né alla sua invalidità può rimediare l’art.
1419, 2o comma, c.c. per la mancanza di una disposizione imperativa che assicuri
l’automatica sostituzione della previsione convenzionale illegittima. Sull’orientamento opposto, si pongono Trib. Bologna, 13 novembre 2006 (decr.), e Trib. Bologna, 9 febbraio 2006 (20), per i quali, in mancanza di adeguamento della clausola
compromissoria preesistente, la società continua (anche nella semplice inerzia) ad
avvalersi della disciplina anteriore, per cui troverà applicazione la disciplina formale e sostanziale dell’arbitrato di tipo tradizionale.
Quanto alla questione posta in gioco dalla formulazione di clausole statutarie
in modo difforme dalle previsioni dell’art. 34, si va accreditando l’indirizzo che riconosce la loro validità, sul presupposto che l’arbitrato endosocietario si aggiunga
e non si sostituisca a quello di diritto comune (21), secondo la teoria del c.d. ‘‘dop(16) Si v., al riguardo, la precedente Rassegna, 2006, § 4.4., 216.
(17) Sulle conseguenze del mancato adeguamento delle clausole compromissorie degli
statuti societari alla nuova disciplina, in dottrina, v., tra gli altri, BIANCHINI, Osservazioni in
tema di (in)validità delle clausole compromissorie non adeguate alla nuova disciplina dell’arbitrato c.d. « endosocietario », in questa Rivista, 2006, I, 41; RICCIO, La sorte delle vecchie clausole compromissorie societarie dopo l’entrata in vigore dell’art. 34, 2o comma, d.
lgs. n. 5 del 2003, in Contr. e imp., 2006, 35.
(18) Si tratta di quindici decisioni, espressive dei due diversi indirizzi, che non vengono qui richiamate individualmente, essendo pubblicate in questa Rivista, 2006, II, 515,
con nota di CERRATO, Arbitrato societario e arbitrato di diritto comune, una convivenza ancora difficile.
(19) In Dir. prat. soc., 2007, VIII, 63, con articolata nota di SOLDATI, alla quale si rinvia sia per la specifica individuazione dei numerosi provvedimenti di primo grado che hanno
preceduto la sentenza di appello in rassegna, sia per ogni riferimento alla dottrina.
(20) Entrambi i provvedimenti sono pubblicati in Riv. dir. soc., 2007, III, 93, con nota
di DE PRA, Abitrato societario e clausola compromissoria preesistente: si procede sul ‘‘doppio binario’’.
(21) In questi termini, App. Torino, 29 marzo 2007, e App. Torino, 4 aprile 2007,
pubblicate insieme con il provvedimento in rassegna, pronunciate, a differenza di quest’ultimo, rispetto a statuti di società di persone.
247/II
pio binario’’ (22). Da ultimo, in questo senso, per una clausola compromissoria per
arbitrato irrituale, Trib Bari, 2 novembre 2006 (23).
4.6. Clausole limitative della trasferibilità delle quote. — Secondo Trib. Ragusa, 21 novembre 2005 (24), è legittima la previsione statutaria che limiti la trasferibilità delle quote sociali, sia inter vivos, che a causa di morte, la quale legittima, tuttavia, il diritto di recesso spettante al socio ex lege.
Rispetto alla definizione statutaria di limiti alla circolazione delle quote, va
segnalato, inoltre, l’orientamento della Commissione per l’elaborazione di principi
uniformi in tema di società del Consiglio notarile di Milano (massima n. 95), per il
quale è legittima la previsione statutaria di regole diversificate di circolazione delle
partecipazioni di s.r.l., che siano applicabili, cioè, non a tutte le partecipazioni
della società, bensì soltanto ad alcune di esse.
4.7. Criteri di modificazione delle clausole statutarie. — Trib. Ragusa, 21
novembre 2005 (25), affronta la questione della modificabilità a maggioranza dell’atto costitutivo o della necessità, a tal fine, di una decisione alla unanimità,
quando le disposizioni sulle quali opera la modifica siano tali da incidere in modo
significativo sulla posizione giuridica del singolo socio. Nella specie, si trattava
della introduzione, tra l’altro, di limiti alla circolazione inter vivos delle quote, di
cause di esclusione, di modalità relative all’esercizio del recesso, di clausole compromissorie per tutte le controversie non concernenti diritti indisponibili dei soci,
di delega agli amministratori dell’aumento del capitale. Il tribunale, al riguardo, in
considerazione della « pregnanza e inderogabilità del principio maggioritario che
caratterizza appunto le società di capitali e consente la modifica in ogni tempo del
contenuto originario del contratto sociale pur assunto all’unanimità dei consensi »,
esclude che, in tema di modifiche dell’atto costitutivo, si possa giungere fino a
prevedere la unanimità dei consensi o maggioranze così elevate da sfiorare la unanimità. Il collegio osserva, inoltre, che a fronte di modifiche essenziali, o anche di
una rilevante modificazione della sua posizione, è stato riconosciuto al socio il diritto di recesso ex lege, ai sensi dell’art. 2473 c.c.
Per Trib. Milano, 8 marzo 2007 (26), le clausole statutarie che prevedano una
maggioranza rafforzata per la valida assunzione di delibere aventi un particolare
(22) V., in particolare, benché pronunciata in riferimento a una società di persone,
App. Torino, 8 marzo 2007, in Giur. it., 2007, 906, con nota di CERRATO, Arbitrato societario e doppio binario: una svolta?, con la quale si avvalora l’indirizzo teso alla salvaguardia
delle clausole difformi, sulla base della concorrenta legittimità delle clausole compromissorie
di diritto comune. In tema v., inoltre, NELA, sub art. 808-ter, in Le recenti riforme del processo civile. Commentario Chiarloni, (nt. Introduttiva), 1646.
(23) In Giur. it., 2007, 2237, nota CERRATO, Arbitrato societario: nuove conferme per
il « doppio binario ».
(24) In Dir. fall., 2007, 159.
(25) Cit., (nt. 9).
(26) In Giur. it., 2007, 2773. Gli interventi sul tema non sono né frequenti, né recenti.
Nel senso del provvedimento in rassegna v., in particolare, Trib. Genova, 7 maggio 1991, in
Società, 1991, 1529; in senso opposto, sulla base del principio di conservazione del contratto, ex art. 1367 c.c., per il quale le clausole statutarie che prevedono maggioranze qualificate per certe decisioni possono modificarsi solo con le medesime maggioranze, v. Trib.
Napoli, 15 aprile 1981, in Foro nap., 1981, I, 260.
248/II
oggetto, possono essere modificate, come ogni altra regola dello statuto, con i normali quorum assembleari previsti per legge o per pattuizione sociale. Nella specie,
viene ritenuta ammissibile la modificazione a maggioranza della clausola statutaria
che preveda l’approvazione con i 4/5 del capitale per le delibere di aumento di
quest’ultimo. Il tribunale, infatti, osserva al riguardo che gli statuti possono « congegnare vari gradi di ‘‘blindatura’’ delle clausole, con diverse rigidità rispondenti
anche ad eventuali sviluppi dei rapporti fra i soci ovvero ad ipotesi di mutamento
dell’assetto della compagine sociale ». L’assenza di una previsione che sottoponga
alla stessa maggioranza rafforzata sia un particolare genere di delibere, sia la variazione della clausola che la disponga, lascia quest’ultima modificabile secondo le
maggioranze ordinarie.
4.8. Mancato adeguamento statutario al nuovo diritto societario. — Le conseguenze del mancato adeguamento degli atti costitutivi alle nuove disposizioni
del diritto societario, una volta superato il termine del 1 ottobre 2004, vengono affrontate da Trib. Brescia, 31 gennaio 2005 (decr.) (27), App. Brescia, 5 maggio
2005 (28), e Trib. Catanzaro, 23 novembre 2006 (29), e decise in senso assolutamente uniforme. I provvedimenti, resi in ordine alla medesima questione, reputano che, ai sensi dell’art. 223-bis disp. att., oltrepassato il limite temporale indicato, cessino di avere efficacia le clausole in contrasto con disposizioni di legge inderogabili, per le quali opera il meccanismo di sostituzione automatica con le previsioni legali, mentre mantengono validità ed efficacia le previsioni contrarie alla
normativa derogabile, quale espressione del potere dispositivo dei soci. Tra le previsioni derogabili viene annoverata, nella specie, quella relativa alla definizione
delle maggioranze assembleari, per la norma dell’art. 2479 c.c. che, nel prevedere
quelle di default, fa salve diverse disposizioni dell’atto costitutivo.
5. Patti parasociali. — Con il lodo arbitrale 29 marzo 2007 (30), pronunciato all’unanimità, vengono affrontate e decise tre distinte questioni. Viene stabi(27) In Impresa, 2005, 1383, nota FACCHIN; in Riv. not., 2005, 617, con nota di BUCDUCCI, Il mancato ‘‘adeguamento transitorio’’ delle s.r.l. alle norme derogabili della
riforma societaria. In termini più generali sull’adeguamento delle s.r.l. alla disciplina riformata v. PALMIERI, Gli adeguamenti statutari delle s.r.l. nella disciplina ordinaria, in Riv. dir.
comm., 2005, I, 319.
(28) In Vita not., 2006, 834.
(29) In Vita not., 2007, 228. In tema v. anche la precedente Rassegna, 2006, § 4.3 e §
22.
(30) Arbitri Benatti, Portale, Sacchi, in Riv. dir. soc., 2007, nota TUCCI, Trasferimento
di quote di società a responsabilità limitata e patti parasociali. In argomento, anche per indicazioni alla letteratura sul tema v. Rassegna, 2006, 221, cui adde gli studi più recenti di
MACRÌ, Patti parasociali e attività sociale, Torino, 2007; VENTUROZZO, Sindacati di voto a
‘tempo indeterminato’ e diritto di recesso dei paciscenti nella s.r.l., in questa Rivista, 2006,
I, 573; LIBERTINI, I patti parasociali nelle società non quotate, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum (nt. 6), 4, 461; RESCIO, I patti parasociali nel quadro dei rapporti
contrattuali dei soci, ivi, 1, 445; RORDORF, Il contratto sulla società: i patti parasociali, in
Trattato Roppo, VI, Milano, Giuffrè, 2006, 773; SBISÀ, sub art. 2341-bis, in Società per
azioni, I, nel Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli, 2006, 228, ove è ricordata la sentenza della S.C. relativamente alle pattuizioni con le quali le parti si obbligano
‘‘anche con riguardo a chi in futuro si trovi ad essere titolare delle partecipazioni azionarie
loro spettanti all’atto della stipulazione’’: Cass., 20 settembre 1995, n. 9975, in Giur. it.,
CIARELLI
249/II
lito, in primo luogo, che il trasferimento della partecipazione sociale, se da un lato
determina per il socio alienante la cessazione della qualità di parte di un patto parasociale, dall’altro non comporta il subingresso automatico dell’acquirente nel
patto parasociale stipulato dal suo dante causa; in secondo luogo, che il patto parasociale stipulato fra i soci di una società a responsabilità limitata (che non controlli una società per azioni), ove non preveda un termine di durata, ma rechi una
condizione risolutiva, è da considerarsi « a durata variabile » e soggetto a un termine massimo di cinque anni, qualora l’evento dedotto in condizione possa verificarsi anche a lunga distanza dalla stipulazione del patto; in terzo luogo, che si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano da un patto parasociale stipulato da
tutti i soci di una società a responsabilità limitata.
Sotto diverso profilo Trib. Genova, 8 luglio 2004 (ord.) (31), ha affermato la
validità dei sindacati di voto deliberanti a maggioranza per teste. Secondo il tribunale, qualora vi sia il fondato sospetto di violazione di un sindacato di blocco,
nonché di una clausola di prelazione statutaria, il giudice, in via cautelare, può
vietare l’iscrizione nel libro soci del trasferimento della partecipazione sociale. In
ogni caso, conclude l’ordinanza, è ammissibile un provvedimento — ex art. 700
c.p.c. — che obblighi il socio a votare in conformità a quanto deciso dalla maggioranza dei partecipanti al sindacato di voto cui il socio stesso aderisce.
6.
Quote.
6.1. Intestazione simulata. — Trib. Monza, 31 marzo 2005 (ord.) (32), ha
stabilito che l’onere di provare la artificiosa intestazione di una quota di una s.r.l.,
posta in essere al fine di aggirare la responsabilità derivante dall’art. 2462, 2o
comma, c.c. ricade su chi afferma la fraudolenza della stessa. Per conseguenza, afferma la decisione, neppure nell’ambito del procedimento cautelare sono considerabili elementi sufficienti a dimostrare la natura fittizia dell’intestazione della
quota di una s.r.l. il rapporto di coniugio intercorrente fra i soci, l’esiguità del valore della quota intestata al prestanome, o le precedenti trasformazioni subite
dalla società. Le disposizioni contenute negli artt. 2325, 2o comma, e 2462, 2o
comma, c.c. sono norme eccezionali, non suscettibili di applicazione analogica:
non è possibile, pertanto, invocare, attraverso una loro lettura espansiva, la responsabilità del socio « sovrano » o « tiranno » per i debiti sociali.
1996, I, 1, 170. Più in generale, v. FUSARO, Contratti e terzi, in Trattato Roppo, cit., III,
151.
(31) Il provvedimento era già stato segnalato nella precedente Rassegna, 2006, § 5.
Esso è stato ora ripubblicato in questa Rivista, 2007, II, 235, con nota di GHIONNI, Patti parasociali, sindacati di voto a maggioranza per teste e forme di tutela. Per un’analisi dell’evoluzione giurisprudenziale in tema di validità dei sindacati di voto v. SEMINO, Il problema
della validità dei sindacati di voto, Milano, Giuffrè, 2003, 26; LENER, Appunti sui patti parasociali nella riforma del diritto societario, in Riv. dir. priv., 2004, 47; SBISÀ, La disciplina dei
patti parasociali nella riforma del diritto societario, in N. giur. civ. comm., 2004, II, 483.
(32) in questa Rivista, 2007, II, 647, con note di PALMIERI, Il persistente fenomeno
dell’abuso dello schermo societario, e MENICUCCI, 2007, II, 160. In tema v. PAVONE LA ROSA,
L’unico azionista tra « vecchia » e « nuova » normativa, in questa Rivista, 2005, I, 431; SALAFIA, Applicabilità dell’art. 2362 nel caso di interposizione fittizia, in Società, 2003, 573;
GENTILI, Interposizione, simulazione e fiducia nell’intestazione di quote di società a responsabilità limitata, in Giur. it., 1982, I, 412.
250/II
Per il diverso profilo della pubblicità relativa all’accertamento della simulazione del trasferimento, Trib. Ferrara, 9 maggio 2005 (decr.) (33), valuta la iscrivibilità nel registro delle imprese della domanda giudiziale di accertamento della simulazione del trasferimento di quota di s.r.l., sulla base dei principi di tipicità e di
tassatività delle iscrizioni, ai sensi dell’art. 2188, 1o comma, c.c. La soluzione data
dal tribunale alla questione è conseguenza della interpretazione sistematica estensiva del sistema della pubblicità legale commerciale, alla quale esso aderisce, che
impone l’integrazione del principio di tipicità delle iscrizioni con quelli di completezza e trasparenza. Da tale lettura consegue la iscrivibilità anche degli atti prodromici e modificativi di fattispecie espressamente soggette a pubblicità, come è
stata considerata, nel caso esaminato, la domanda di simulazione dell’intestazione
della quota di s.r.l., rispetto al futuro eventuale trasferimento di essa. Più specificamente il tribunale ritiene, anche richiamandosi al nuovo testo dell’art. 2470
c.c. (34), nel quale il deposito ai fini dell’iscrizione ha assunto efficacia dirimente
nel rapporto tra successivi acquirenti della medesima quota, che l’iscrivibilità della
domanda di accertamento della simulazione derivi dalla applicazione diretta dell’art. 2696 c.c., che rinvia alle leggi speciali per la trascrizione dei beni mobili.
6.2. Intestazione fiduciaria. — Secondo Trib. Como, 2 marzo 2005 (35),
l’intestazione fiduciaria di quote di s.r.l., integrando la fattispecie di una interposizione reale, è disciplinata dalle norme codicistiche sul mandato senza rappresentanza: pertanto è la società fiduciaria, e non il fiduciante, il legittimato passivo nel
giudizio di revocatoria fallimentare per le somme che essa abbia percepito da
parte della società fallita, anche se tali somme abbia ritrasferito al fiduciante, in
virtù del negozio fiduciario. Sempre in tema di intestazione fiduciaria, Cass., 2
maggio 2007, n. 10121 (36), dopo aver confermato il principio secondo cui nel
caso di cessione di quote di s.r.l., la forma prevista per il trasferimento, dal previ(33) In Riv. not., 2007, II, 441, con nota di CARLINI, Pubblicità nel Registro delle imprese del trasferimento di quote di s.r.l. e della relativa domanda di accertamento della simulazione; in Società, 2006, 495, con nota di LUPETTI.
(34) Sul tema della doppia alienazione di quote v., da ultimo, BRIOLINI, Il conflitto tra
acquirenti della medesima partecipazione di s.r.l. (appunti sull’art. 2470, 3o comma, c.c.), in
Riv. dir. comm., 2005, I, 359; CHESSA, Il conflitto tra più acquirenti della medesima quota di
s.r.l. dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 17 gennaio 2006, n. 3, in questa Rivista, 2006, I, 42;
SCANO, Nec superveniens scientia nocebit: ancora sul conflitto tra più acquirenti della stessa
quota di s.r.l., in Riv. dir. priv., 2007, 5; SPERANZIN, La circolazione di partecipazione in
s.r.l. tra acquisti a non domino e pubblicità commerciale, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, (nt. 6), 3 , 413.
(35) In Società, 2006, 741, con nota di BISINELLI. Il dibattito dottrinale in tema di intestazione fiduciaria, come è noto, oscilla tradizionalmente tra due orientamenti contrapposti che si basano su un’interpretazione del rapporto fiduciario in chiave « romanistica » ovvero « germanistica ». Secondo il primo si ha trasmissione dal fiduciante al fiduciario di « un
diritto pieno (Vollrecht) illimitato e incondizionato dal punto di vista reale » (JAEGER, Sull’intestazione fiduciaria di quote a società a responsabilità limitata, in questa Rivista, 1979,
I, 186), mentre l’intestazione germanistica non determinerebbe un pieno trasferimento del
diritto di proprietà al fiduciante ma soltanto l’attribuzione al fiduciario di una semplice legittimazione all’esercizio del diritto del fiduciante. La giurisprudenza maggioritaria aderisce al
filone ermeneutico romanistico: Cass., 16 novembre 2001, n. 14375; Cass., 27 novembre
1999, n. 13261; Cass., 23 giugno 1998, n. 6264; Cass., 14 ottobre 1995, n. 10768.
(36) In Società, 2007, 957. In termini, v. Cass., 6 maggio 2006, n. 9402.
251/II
gente art. 2479 c.c., come oggi dall’art. 2470 c.c., è richiesta perché lo stesso sia
opponibile alla società (nei rapporti tra le parti è pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che, in virtù del principio generale di libertà delle forme, la cessione è valida ed efficace in virtù del consenso legittimamente manifestato), ha statuito che,
nel caso di intestazione fiduciaria, non vi è, dal punto di vista sostanziale, alcun
mutamento nelle persone dei soci, posto che il fiduciante è tenuto ad operare nell’interesse e seguendo le istruzioni del mandante, rispondendo altrimenti dei danni.
6.3. Trasferimento della quota e iscrizione a libro soci. — Cass., 13 settembre 2007, n. 19161, interviene nuovamente sul rapporto fra trasferimento e iscrizione a libro soci, in relazione all’art. 2479 c.c. previgente. La S.C., sulla base dell’orientamento ormai stabilizzato nella propria giurisprudenza (37) per il quale la
quota rappresenta « una posizione contrattuale obiettivata che, in quanto suscettibile di formare oggetto di diritti, costituisce un bene, ai sensi dell’art. 810 c.c., e in
particolare un bene immateriale equiparato ai beni mobili, in base all’art. 812, ult.
comma, c.c. », riafferma l’irrilevanza della iscrizione a libro soci ai fini della validità ed efficacia inter partes degli atti di trasferimento. All’iscrizione nel libro dei
soci, che rappresenta per la società un atto dovuto in presenza delle condizioni di
cui all’art. 2479 c.c. previgente, va riconosciuta la funzione di dimostrare la qualità di socio nei rapporti con la società, non potendo, perciò, la società legittimamente rifiutare il diritto di intervento in assemblea e il diritto di voto al soggetto
che risulti iscritto, nel rispetto della norma in ultimo richiamata.
6.4. Accertamento giudiziale della cessione della quota. — Nel caso in cui,
in sede di opposizione della sentenza dichiarativa di fallimento, venga proposta
domanda di accertamento dell’avvenuta cessione della quota sociale, per Trib.
Biella, 25 novembre 2005 (38), quest’ultima controversia deve essere instaurata
nelle forme e con le modalità del rito societario.
6.5. Cessione a fini transattivi. — La fattispecie esaminata da Cass., 21 febbraio 2007, n. 4094 (39), su cui non constano precedenti editi, è la seguente: la volontà delle parti era stata di subordinare l’efficacia della cessione delle quote materne (effettuata in corrispettivo della cessione di alcuni immobili della società)
alla liquidazione della società stessa, al fine di definire transattivamente i contrasti
familiari in atto derivanti dalla successione paterna e da vicende societarie; inoltre,
l’estensione della rinunzia alla quota sociale e agli utili derivanti dalla vendita dei
beni della società, oltre che al capitale, era in linea con il concetto tecnico di capitale sociale, per cui la transazione aveva prodotto l’immediato trasferimento
(37) V. Cass., 23 gennaio 1997, n. 697; Cass, 30 gennaio 1997, n. 934; Cass., 26 maggio 2000, n. 6957, tutte richiamate nella sentenza in rassegna.
(38) In Fall., 2006, 976.
(39) In Società, 2007, 696. Per una comparazione tra s.r.l. e GmBH in ordine alle
clausole statutarie che limitano la circolazione delle partecipazioni sociali, cfr. SANGIOVANNI,
Limitazioni statutarie alla cessione di partecipazioni di s.r.l.: un confronto col diritto tedesco, in Società, 2007, 1151; ID., La cessione di quota di s.r.l. e il ruolo del notaio nel diritto
tedesco, in Notariato, 2006, 82.
252/II
delle quote societarie, con l’effetto che la presenza della ex socia dante causa nell’assemblea convocata per deliberare sulla liquidazione della società era indebita.
6.6. Trasferimento delle quote e responsabilità per versamenti ancora dovuti. — Trib. Torino, 26 settembre 2006 (40), in applicazione del previgente art.
2481 c.c. (ora art. 2472 c.c.), si pronuncia sulla solidarietà passiva di acquirente e
venditore per i versamenti ancora dovuti alla società, entro il termine — da intendersi di decadenza — di tre anni dal trasferimento. La norma, attualmente, specifica che il termine decorre dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel libro
soci. Nel caso esaminato, singolarmente, non potendosi constatare tale iscrizione
per l’irreperibilità del libro soci, la curatela fallimentare accetta di retrodatare l’aggiornamento del libro al momento della iscrizione del trasferimento nel registro
delle imprese. Per il pagamento delle somme, il tribunale precisa che solo ove la
società sia in bonis è possibile, per il nuovo socio, opporre alla società richiedente
il beneficio del termine eventualmente concordato, e, per il cedente, eccepire la
preventiva infruttuosa escussione del soggetto iscritto a libro soci quale nuovo titolare. Entrambe le eccezioni, per il tribunale piemontese, sono invece inopponibili agli organi del fallimento, ex art. 150 l. fall.
6.7. Limiti convenzionali al trasferimento.
6.7.1. Clausole di gradimento. — Riguardo agli effetti del trasferimento di
quota di s.r.l. per atto tra vivi effettuato in violazione della clausola statutaria di
gradimento, Cass., 30 settembre 2005, n. 19203 (41), assume una posizione difforme da quella sino ad ora prevalente, seguita anche dalla stessa S.C. in passato
(Cass., 23 gennaio 1997, n. 697), secondo la quale il trasferimento è reputato immediatamente valido ed efficace tra le parti, ma improduttivo di effetti nei confronti della società. Con la pronuncia ora in rassegna, invece, viene statuito che il
trasferimento effettuato in assenza di manifestazione del consenso dei soci, richie(40) In Giur. it., 2007, 1985.
(41) In Giur. it., 2006, 968, con nota di BERGAMO, a 1835; in Riv. not., 2006, 1062,
con nota di CLERICÒ; in Società, 2006, 992 (ove è indicata con data 13 maggio 2005), con
nota di RINALDI, il quale, sulla scorta di pacifica interpretazione, richiama la qualificazione
del’atto di trasferimento della partecipazione al capitale sociale di una s.r.l. come contratto
consensuale ad efficacia reale, e cioè come contratto che si perfeziona — senza che per detta
perfezione occorra l’espletamento delle formalità di iscrizione dell’atto traslativo nel registro
delle imprese e nel libro dei soci — con la sola espressione del consenso dei contraenti, legittimamente manifestato, che ha come effetto quello del trasferimento della partecipazione oggetto del contratto stesso dalla sfera di titolarità del dante causa a quella di titolarità dell’avente causa. Sotto diverso profilo è altresì pacifico che l’atto traslativo non sia soggetto a
vincoli di forma: v., per tutti, GALGANO, Il nuovo diritto societario, in Trattato Galgano, Padova, CEDAM, XXIX, 2004, 481 ss. In giurisprudenza, cfr. Cass., 10 novembre 1998, n.
11296, in Giust. civ., 1999, I, 1717, per la quale « il trasferimento delle quote di una s.r.l. è
atto negoziale a forma libera, da documentarsi per iscritto ai soli e limitati fini dell’opponibilità alla società stessa. Ne consegue che, nel rapporto con i contraenti, l’incontro delle rispettive volontà negoziali può legittimamente determinarsi anche per effetto di un semplice telegramma, quantunque privo dei requisiti formali di cui all’art. 2705 c.c., requisiti che, condizionando l’equiparazione del telegramma alla scrittura privata, sono indispensabili solo
quando si esiga ad substantiam la consacrazione della volontà dei contraenti in atti dai medesimi sottoscritti ».
253/II
sto da apposita clausola statutaria per il trasferimento per atto tra vivi, è inefficace
non solo verso la società, ma anche tra le parti del contratto di cessione. Ove la
clausola, poi, non individui forme e termini per l’esplicitazione del consenso, secondo la S.C. il silenzio non è di per sé equiparabile ad un’espressione di volontà,
né di segno positivo né di segno negativo, salvo che nei casi in cui la parte abbia,
per legge o per contratto, l’onere di formulare una determinata dichiarazione o
che, comunque, tale onere sia desumibile dai principi generali di correttezza e
buona fede. Di conseguenza, l’inerzia dei soci in ordine al trasferimento non può
essere interpretata come tacita espressione di consenso.
6.7.2. Clausole di prelazione. — Sul controverso tema delle clausole societarie di prelazione si registrano diverse pronunce, che toccano sia le questioni relative alle modalità di funzionamento della clausola, sia quelle della efficacia di essa
e della conseguente tutela del socio pretermesso. Per Trib. Roma, 8 luglio
2005 (42), la violazione della clausola può condurre alla dichiarazione di inefficacia
assoluta della vendita, rimanendo esclusa la declaratoria di nullità, essendo quest’ultima sanzione non disponibile per le parti, ma conseguente alla violazione di
norme imperative, ex art. 1418 c.c., che non ricorre nel caso in questione. L’effetto della dichiarazione di inefficacia è quello di ricostituire la situazione precedente alla cessione inefficace e di consentire, pertanto, al socio pretermesso, di
esercitare il diritto di prelazione che gli è riservato. Trattandosi di mera inefficacia, tuttavia, sono consentite successive integrazioni della fattispecie, che attribuiscano piena efficacia al contratto di vendita della partecipazione in favore del
terzo. In particolare, vertendosi in tema di posizioni disponibili, a integrare l’efficacia della vendita può intervenire la rinuncia del socio al diritto di prelazione, che
può avvenire anche con comportamento concludente, quale atto abdicativo di un
diritto personale divenuto attuale dopo la comunicazione. Poiché la rinuncia richiede la conoscenza della progettata alienazione in tutte le sue condizioni, il collegio ha occasione di pronunciarsi anche sulle modalità di effettuazione della comunicazione della vendita programmata e, in particolare, sulla necessità che essa
contenga anche il nominativo del terzo interessato all’acquisto, quando la clausola
statutaria non sia dettagliata al riguardo. Da questo punto di vista, il tribunale,
sulla scorta dell’orientamento della S.C. (Cass., 12 marzo 1981, n. 1407), reputa
che non sia possibile una soluzione generalizzata, ma che vada accertato se, nella
singola ipotesi, sulla base dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c.,
avendo riguardo, in particolare, a quelli dell’intenzione dei contraenti e dell’interpretazione complessiva dello statuto, oltre che al canone fondamentale della
buona fede, sia stata attribuita rilevanza all’intuitus personae. Sul contenuto della
denuntiatio si pronuncia, inoltre, Trib. Avellino, 13 ottobre 2005 (43), che reputa
insufficiente a integrare gli elementi essenziali della proposta di vendita, in specie
per la determinazione del prezzo, il generico riferimento, in essa, al valore nominale della quota maggiorato da quello delle operazioni sociali compiute.
Sulle conseguenze della violazione della prelazione societaria, con soluzioni
(42) In Riv. not., 2006, 541, con nota di CLERICÒ, La clausola di prelazione societaria
e il contenuto della denuntiatio.
(43) In Riv. not., 2006, 553.
254/II
non del tutto omogenee con quelle della sentenza precedentemente ricordata, interviene anche Trib. Brindisi, 17 marzo 2006 (44). Per il collegio pugliese, il quale
genericamente afferma l’inefficacia o la nullità della cessione delle quote effettuata
in violazione della clausola statutaria di prelazione, il socio pretermesso non ha diritto di riscattare dal terzo la quota che gli è stata illegittimamente trasferita. Più
specificamente, il tribunale, pur aderendo al prevalente orientamento della dottrina e della giurisprudenza che riconosce efficacia reale alla clausola statutaria di
prelazione in favore dei soci, trattandosi di regola statutaria sottoposta al particolare regime di pubblicità della iscrizione nel registro delle imprese, nondimeno
esclude che da tale ricostruzione discenda il riconoscimento del diritto di riscatto
in favore del socio prelazionario pretermesso. Il tribunale richiama, al riguardo,
Cass., 29 agosto 1998, n. 8645, per la quale il socio pretermesso non ha il diritto
di ottenere l’acquisto della partecipazione sociale oggetto della cessione, bensì
quello al ripristino della situazione quo ante in capo al socio cedente e la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni.
6.8. Trasferimento delle quote e rimedi dettati in tema di vendita. — La
questione della applicabilità all’acquisto di quote di s.r.l. dei rimedi dettati in tema
di vendita, in caso di differenza nella composizione attesa del patrimonio sociale, è
stata nuovamente affrontata da due pronunce difformi del Trib. Milano. Nella
prima, più restrittiva, 15 febbraio 2006 (45), il collegio conferma il proprio precedente indirizzo (46). Il Tribunale, infatti, esclude che il contratto di cessione di
quote, se la composizione o il valore del patrimonio della società alla quale si riferiscono le quote compravendute risultino diversi da quelli attesi dall’acquirente,
possa essere impugnato per errore essenziale o per dolo, o che esso sia risolubile
per difetto di qualità del bene, se non sia stata prestata espressa garanzia circa la
specifica consistenza del patrimonio sociale. Trib. Milano, 25 agosto 2006 (47), accede, invece, all’indirizzo più garantista per l’acquirente, inaugurato da Cass., 23
febbraio 2004, n. 3370, asserendo la non estraneità dei beni ricompresi nel patrimonio della socieà all’oggetto del contratto di trasferimento delle quote (o delle
azioni), sia se le parti vi abbiano fatto riferimento mediante specifiche garanzie
contrattuali, sia se l’affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla
stregua del principio di buona fede.
6.9. Sequestro giudiziario della quota. — Trib. Isernia, 30 marzo 2007
(ord.) (48), si pronuncia per la ammissibilità del sequestro giudiziario della quota.
La soluzione positiva viene fatta discendere dalla equiparazione della quota al
bene mobile non iscritto in pubblici registri, ai sensi dell’art. 812 c.c. Quanto alle
modalità di attuazione del provvedimento autorizzativo del sequestro giudiziario,
Trib. Milano, 11 novembre 2003 (49), chiarisce che esse non possono venire mu(44)
(45)
(46)
(47)
vizi della
(48)
(49)
In Società, 2007, 1513, con nota di VIOLANTE.
In Giur. it., 2006, 757; in Vita not., 2006, 839, con ampia nota redazionale.
Per i riferimenti v. la precedente Rassegna, 2006, § 6.4, 224 s.
in Giur. it., 2007, 913, con nota di LUONI, Ancora in tema di vendita di quote,
volontà e garanzie: con qualche divagazione a latere.
In Notariato, 2007, 635.
In Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, 260, con nota di FRANCHI.
255/II
tuate dalla norma che regola il trasferimento di quote (art. 2479 c.c. previgente, al
quale il collegio fa riferimento, ratione temporis, ora art. 2470 c.c.), poiché le finalità e la struttura della misura giudiziaria impediscono di assimilarla agli atti
convenzionali di trasferimento (50) e di utilizzare la corrispondente disciplina.
7.
Recesso.
7.1. Durata del vincolo sociale. — Le questioni portate all’esame dei giudici
hanno riguardato l’esercizio del diritto di recesso del socio (51), in relazione alla
durata della società. Per Trib. Forlì, 16 maggio 2007, inedita, nell’ipotesi di società stipulata per la durata commisurata a tutta la vita di uno dei soci, non può
applicarsi in via analogica art. 2285 c.c. Motiva, infatti, il tribunale che pare « eccessivo e non coerente con gli obiettivi del legislatore concludere nel senso della
estensione o applicazione analogica dell’art. 2285 c.c. alle società di capitali [...],
considerando che nelle società di capitali l’elemento personale va coniugato con la
permamente necessità di garantire l’integrità del patrimonio sociale in relazione al
programma contrattuale in origine stabilito, in vista del raggiungimento degli
obiettivi di lunga durata che l’apporto di capitali è destinato a sostenere, senza
sottacere che il socio ha aderito a tale programma nella consapevolezza della ‘‘secolare durata’’ ». In senso conforme, Trib. Cagliari, 12 marzo 2007, inedita, sul
presupposto che « in materia di s.r.l., l’equivalenza, ai fini della sussistenza del diritto di recesso, tra la durata indeterminata del contratto e la durata determinata,
ma superiore a quella delle aspettative della vita dei soci, non sia giuridicamente
proponibile ».
App. Trento, 22 dicembre 2006 (52), ha ritenuto che, ove il socio abbia esercitato il diritto di recesso in ragione dell’intervenuta proroga del termine di durata
della società ad una data successiva all’aspettativa di vita dei soci, la società può
rendere inefficace il recesso, ai sensi dell’art. 2473, ult. comma, c.c. attraverso una
successiva delibera con la quale, senza revocare la precedente, si introduca un diverso termine di durata, risultando con ciò sostanzialmente soddisfatto l’interesse
protetto dalla norma che legittima il recesso.
(50) Reputa invece ammissibile l’applicazione analogica dell’art. 2470 c.c. al sequestro giudiziario PLATANIA, Il sequestro e il pignoramento delle azioni e delle quote, in Società, 2003, 1454, mentre, ad avviso di altra parte della dottrina, per i provvedimenti di tipo
autoritativo sulle quote, quali il sequestro giudiziario e quello conservativo, si applica la disciplina dell’art. 2471: in questo senso v. SALANITRO, I vincoli sulle quote di società a responsabilità limitata, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, 9, GASPERONI, Pignoramento e sequestro di quote di s.r.l. nella riforma delle società di capitali, in Riv. dir. proc., 2004, I, 854.
Sul problema delle modalità esecutive del sequestro giudiziario di quote di s.r.l., la giurisprudenza maggioritaria si orienta a favore della forma esecutiva dell’espropriazione presso
terzi, mentre la dottrina risulta più frammentata, seguendo la via dell’adeguamento delle modalità alle peculiarità del bene quota, consentendo al giudice la ricerca della forma esecutiva
ritenuta più idonea, o delle regole dell’esecuzione per consegna e rilascio: cfr., anche per indicazioni bibliografiche, FRANCHI, (nt. 49), in commento al provvedimento in rassegna.
(51) Per le indicazioni bibliografiche in tema di recesso v. i richiami a nt. 8, cui adde,
con riguardo ai diversi profili operativi, DOMENIGHINI, Modalità e termini d’esercizio del diritto di recesso del socio di s.r.l., in Società, 2007, 683; VENTORUZZO, Recesso da società a
responsabilità limitata e valutazione della partecipazione del socio recedente, in N. giur. civ.
comm., 2005, I, 437; SALAFIA, Il recesso dei soci nelle società di capitali, in Società, 2006,
420.
(52) In Società, 2007, 1478, con nota di PICARONI.
256/II
7.2. Modalità di esercizio, quantificazione del valore e termini per la liquidazione della quota. — L’assenza di una previsione statutaria relativa ai modi e ai
termini di esercizio del diritto di recesso, secondo Trib. Trapani, 21 marzo
2007 (53), rende applicabile in via analogica la disciplina dettata, al riguardo, per
le s.p.a. Secondo il lodo arbitrale Milano, 10 marzo 2006 (54), inoltre, se il legislatore non ha indicato per la s.r.l. il termine di 90 giorni per la revoca della delibera
assembleare legittimante il recesso, ha comunque mantenuto espressamente
quello, tassativo e non prorogabile neppure statutariamente, di 180 giorni per la
liquidazione della quota del recedente, con ciò significando che, in mancanza di
questa, il procedimento concesso alla società per definire bonariamente la posizione del socio recedente ha termine e sorge, in favore del recedente stesso, il diritto di agire per la liquidazione della quota in via contenziosa.
Rispetto alla quantificazione del valore della quota spettante al socio receduto, in assenza di accordo tra i soci e, pertanto, affidata alla determinazione di
un terzo nominato dal tribunale, Trib. Nocera Inferiore, 23 febbraio 2007 (55), ritiene che il rinvio contenuto nell’art. 2473, 3o comma, c.c. al procedimento di cui
all’art. 1349, 1o comma, c.c. precluda ogni successiva integrazione della perizia
giurata effettuata dall’esperto. Una volta depositata la perizia, di conseguenza,
essa potrà essere impugnata solo per manifesta erroneità o iniquità. Rispetto alla
determinazione peritale del valore della quota del socio receduto, Trib. Lanusei,
30 maggio 2007, inedita, specifica che l’esperto nominato dal tribunale, per l’utile
espletamento dell’incarico, può avvalersi di un proprio collaboratore, e che l’asseverazione della perizia con giuramento può avvenire anche successivamente al deposito di essa, non essendo richiesto il giuramento all’atto del deposito a pena di
inesistenza, inefficacia o invalidità della relazione stessa.
8. Diritti di controllo dei soci. — Con un’ampia lettura della nuova disciplina del controllo dei soci, Trib. Milano, 30 novembre 2004 (ord.) (56), ha stabi(53) In Riv. dott. comm., 2007, 887.
(54) Arbitri Ortolani, Savorana, D’Amora, in Società, 2007, 745.
(55) in Giur. it., 2007, 2783, con nota di FAUCEGLIA, Arbitraggio e determinazione del
valore della quota nella disciplina del recesso nella società a responsabilità limitata, ove gli
opportuni riferimenti.
(56) in questa Rivista, 2006, II, 682, con nota di CODAZZI, Il controllo dei soci di
s.r.l.: considerazioni sulla derogabilità dell’art. 2476, 2o comma. Sul tema, inoltre, oltre alle
monografie, già citate nella nota generale introduttiva, di GUIDOTTI, I diritti di controllo del
socio nella s.r.l., Milano, Giuffrè, 2007, e di MONTAGNANI, Informazione e controlli nelle
nuove società a responsabilità limitata, Padova, CEDAM, 2007, v. ABRIANI, Controllo individuale del socio e autonomia contrattuale nella società a responsabilità limitata, in Scritti in
onore di Vincenzo Buonocore (nt. 38), III, 1811; AMBROSINI, Diritto di controllo del socio di
s.r.l. alla luce della riforma societaria e tutela innominata, in Società, 2005, 1544; BUTA, I
diritti di controllo del socio di s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, (nt. 6),
3, 583; FICO, Il diritto di informazione e di consultazione del socio non amministratore, in
Società, 2006, 169; FREGONARA, I nuovi poteri di controllo del socio a responsabilità limitata, in questa Rivista, I, 2005, 800; FUSI, Il diritto di informazione e di consultazione del
socio non amministratore di s.r.l., in Società, 2006, 162; PERRINO, Il controllo individuale
del socio di società di capitali: fra funzione e diritto, in questa Rivista, 2006, I, 639; RICCI, I
controlli individuali del socio non amministratore di società a responsabilità limitata, in
Riv. dir. comm., 2006, 111. Per i profili comparatistici, in particolare, v. GUIDOTTI, Società a
responsabilità limitata e tutela dei soci di minoranza: un raffronto tra ordinamenti, in Contr.
257/II
lito che l’art. 2476, 2o comma, c.c. attribuisce al socio il diritto di consultare ogni
documento concernente la gestione delle società, ivi compresi i documenti e le
scritture contabili, i documenti fiscali e quelli riguardanti singoli affari, e non consente letture riduttive. Secondo il tribunale, l’esigenza di riservatezza aziendale,
ovvero di rispetto della privacy di terzi, non appare costituire un limite astratto ed
intrinseco al diritto di controllo del socio, la cui determinazione sia rimessa di
fatto alla società, la quale possa essa stessa stabilirne i confini, decidendo se e
quali elementi esibire. Si tratta, invece, di un limite concreto ed estrinseco: estrinseco, nel senso che opera nei confronti dei soci non amministratori verso l’esterno,
perciò consentendo a ciascuno di essi di acquisire conoscenza della documentazione riservata, ma non di divulgarla; concreto, nel senso di un’effettiva congruenza dell’esercizio del diritto di controllo rispetto alla specifica situazione. Comunque, conclude la decisione, il diritto « a consultare » concerne la presa di visione ed esame dei documenti, ma non implica il diritto di estrarne copia o di riprodurli con altri mezzi, né, a maggior ragione, giustifica la richiesta di informazioni al personale o l’accesso ai locali della società, se non con modalità concordate in giorni ed orari lavorativi.
In senso conforme si pone la decisione di Trib. Chieti, 25 agosto 2005
(ord.) (57), la quale esclude il diritto del socio di estrarre copia dei documenti consultati, nell’esercizio dei poteri di controllo spettanti a coloro che non partecipano
alla amministrazione. Il tribunale ha cura di specificare che l’interesse del socio, in
tal caso, è comunque assicurato dalla possibilità di acquisire copia della documentazione di interesse, nel corso del giudizio volto a far valere la responsabilità degli
amministratori, per l’esercizio del quale il diritto di consultazione-ispezione è strumentale, o anche anticipatamente, in via cautelare, ai sensi dell’art. 670, n. 2,
c.p.c.
Una differente posizione circa l’estrazione delle copie è assunta da Trib. Nocera Inferiore, 13 ottobre 2005 (ord.) (58). Secondo il tribunale, il diritto, riconosciuto dall’art. 2476, comma 2o, c.c. al socio non amministratore di s.r.l., di avere
dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare,
anche tramite professionisti di fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione — fra i quali debbono ricomprendersi le scritture contabili — comprende anche l’estrazione delle copie ed è tutelabile, ove ne ricorrano i presupposti, in via d’urgenza con provvedimento ex art. 700 c.p.c.
Che il diritto di controllo del socio non amministratore, ed in particolare
quello di consultare i documenti relativi all’amministratore, incontri un limite implicito nella necessità di evitare che questi ne abusi, è affermato da Trib. Catania,
3 marzo 2006 (ord.) (59); di qui l’illegittimità di una richiesta di visione della documentazione sociale non al fine di concretare ed esercitare il potere interno di
e imp., 2007, 668; SANGIOVANNI, Il diritto del quotista di s.r.l. all’informazione e all’ispezione nel diritto tedesco, in Riv. dir. comm., 2006, I, 515; ID., Il diritto di controllo del socio
di s.r.l., a confronto con la disciplina tedesca, in Società, 2007, 1543.
(57) In Giur. it., 2006, 305.
(58) In questa Rivista, 2007, II, 159, con nota di MENICUCCI, Il ‘‘contenuto’’ del controllo del socio nella società a responsabilità limitata.
(59) In questa Rivista, 2007, II, 920, con nota di GRASSO, ‘‘Documenti relativi all’amministrazione’’ e diritto di consultazione del socio di s.r.l. non amministratore.
258/II
controllo, quanto, piuttosto, quale mezzo per intralciare l’attività sociale, attuando
pressioni improprie nei confronti dei soggetti chiamati alla gestione dell’ente.
Trib. Biella, 18 maggio 2005 (ord.) (60), dopo aver affermato che il legislatore, nel sancire il diritto di accesso del socio, ha previsto un vero e proprio diritto
potestativo (dato che il relativo esercizio non ha nessun limite e non è subordinato
alla ricorrenza di interessi ed esigenze particolari) — a fronte del quale si determina, pertanto, uno stato di soggezione del destinatario, che non ha alcun potere,
né può sollevare alcuna contestazione, che non sia quella relativa alla titolarità del
diritto — ha affermato, sotto il profilo delle misure cautelari, che ai sensi dell’art.
23, 1o comma, d. lgs. n. 5 del 2003, non si applica l’art. 669-octies c.p.c., e pertanto i provvedimenti adottati non perdono efficacia se la causa di merito non
viene iniziata. In particolare, il tribunale ha accolto la richiesta del socio di ordinare all’amministratore: 1) di consentire in qualsiasi momento durante i normali
orari di lavoro agli esponenti o ai soggetti dal medesimo incaricati la consultazione
dei libri sociali nel luogo in cui essi sono stati custoditi, mettendo a loro disposizione tutta la documentazione contabile richiesta; 2) di consentire altresì al socio
o al soggetto dal medesimo incaricato nell’espletamento della citata consultazione
di effettuare estratti a proprie spese. Soggiunge il tribunale che non è opportuna la
previsione di alcuna limitazione temporale all’efficacia del provvedimento che
consente l’accesso, essendo esso relativo a un diritto potestativo sempre esercitabile e ben potendo essere revocato o modificato in applicazione dell’art. 23, 3o
comma, d. lgs. n. 5 del 2003. In argomento, v. anche Trib. Napoli, 9 novembre
2005 (61).
9.
Assemblea.
9.1. Convocazione. — L’ammissibilità della convocazione dell’assemblea di
s.r.l. da parte del tribunale, in caso di inerzia degli amministratori, è una questione
dibattuta, poiché la disciplina della s.r.l. non contiene disposizioni analoghe a
quelle dell’art. 2367, 2o comma, c.c. né tale norma è oggetto di specifico richiamo
e risulta perciò controversa la sua applicazione per via analogica. Nella serie di
questioni che la affronta si delinea un deciso contrasto interpretativo.
Per Trib. Brescia, 8 marzo 2005 (ord.) (62), per le decisioni dei soci che devono essere adottate con metodo assembleare, deve applicarsi in via analogica
l’art. 2367, 2o comma, c.c. di modo che, qualora gli amministratori non procedano
a convocare l’assemblea, i soci possono chiedere al tribunale, ai sensi degli artt. 30
ss. del d. lgs. n. 5 del 2003, di procedere alla relativa convocazione. In senso conforme si pongono Trib. Napoli, 20 maggio 2005 (decr.) (63), Trib. Milano, 16 gennaio 2006 (decr.), inedito; Trib. Verona, 20 luglio 2004 (64). Specifica, in partico(60) In Società, 2006, 50, con nota di FUNARI; in Vita not., 2006, 320.
(61) In Società, 2006, 1406, con nota di CARDARELLI.
(62) In questa Rivista, 2006, II, 328, con nota di DI GIROLAMO, Brevi osservazioni
sull’applicabilità dell’art. 2367 c.c. alle società a responsabilità limitata. Cfr. DI BITONTO,
La richiesta di convocazione dell’assemblea nel nuovo art. 2367 c.c., in Società, 2007, 21,
ed ivi, in particolare, 23, con riferimento alla s.r.l.
(63) In questa Rivista, 2006, II, 646, con nota di PECORARO, Richiesta di convocazione dell’assemblea e tutela dei soci nella s.r.l.
(64) In www.judicium.it.
259/II
lare, Trib. Napoli, 10 febbraio 2005 (65), che l’autonomia attuale del modello normativo della s.r.l. rispetto alla s.p.a. non preclude il ricorso alla interpretazione
analogica ove necessario per supplire ad un vuoto normativo ed evitare il grave
pregiudizio per i diritti degli interessati.
Ammette la convocazione dell’assemblea e la nomina del suo presidente in via
giudiziale, richiesta con ricorso ex art. 700 c.p.c., Trib. Milano, 23 maggio 2005
(ord.) (66), da parte del socio di maggioranza, impossibilitato, nei fatti, all’esercizio
del proprio diritto di revocare gli amministratori, a causa del comportamento
ostruzionistico del socio di minoranza e del consiglio di amministrazione in carica.
Più nutrito l’orientamento opposto, già espresso nelle primissime pronunce
post riforma (67), al quale aderiscono ora App. Lecce, 23 giugno 2005 (decr.) (68),
Trib. Agrigento, 29 dicembre 2005 (decr.) (69) e Trib. Milano, 14 gennaio 2005
(decr.) (70) e 18 gennaio 2007 (decr.) (71). Per tale indirizzo deve escludersi che il
mancato richiamo delle norme sulla s.r.l. al procedimento previsto dall’art. 2367
c.c. rappresenti una lacuna da colmare con il ricorso alla analogia, che nel nuovo
assetto normativo rappresenta una eccezione, così come viene ritenuta disposizione di carattere eccezionale la previsione sulla convocazione dell’assemblea per
via giudiziale. Nelle ipotesi di omessa convocazione da parte dell’organo amministrativo, in tali pronunce viene perciò escluso il potere dei soci di s.r.l. di invocare,
in sede di volontaria giurisdizione, un intervento surrogatorio della autorità giudiziaria per garantire il regolare funzionamento della società. Le decisioni divergono, però, quanto all’individuazione dei rimedi. Per la corte pugliese, di fronte al
rifiuto di convocazione opposto dall’amministratore, la tutela dei soci è assicurata
dall’esistenza degli strumenti alternativi rappresentati dall’azione di responsabilità
e dalla possibile contestuale richiesta cautelare di revoca dell’amministratore,
mentre per il tribunale milanese, l’assemblea potrà essere convocata su iniziativa
dei soci, ex art. 2479 c.c. Peraltro, puntualizza ancora il collegio milanese, ai sensi
del novellato art. 2367, 3o comma, c.c. l’assemblea convocata su richiesta dei soci
non può avere ad oggetto la discussione e l’approvazione del bilancio di esercizio.
Rispetto alla convocazione dell’assemblea da parte dei sindaci, in caso di inerzia dell’organo amministrativo, la S.C. ha stabilito che la competenza è attribuzione collegiale dell’organo e non compete individualmente al presidente del collegio sindacale: Cass., 17 gennaio 2007, n. 1034 (72). Con la stessa sentenza la Cassazione ha affermato che la lettera e la ratio dell’art. 2363 c.c. chiaramente collegano il luogo della convocazione alla sede della società, consentendo la deroga a
tale criterio solo in caso di espressa e specifica clausola statutaria, nel contesto di
(65) In questa Rivista, 2007, II, 459, con note di POZZI, La convocazione dell’assemblea su richiesta dei soci e le lacune normative nella disciplina della società a responsabilità
limitata, e DAGNINO, La convocazione dell’assemblea su iniziativa dei soci nelle società a responsabilità limitata. In tema v., inoltre, CAGNASSO, La società a responsabilità limitata (nt.
Introduttiva), 300.
(66) In www.associazionepreite.it.
(67) V. la precedente Rassegna, 2006, § 14.1, 238.
(68) In Foro it., 2006, I, 1549, con nota di RORDORF.
(69) In Vita not., 2006, 315; in Riv. not., 2006, 315.
(70) In Giur. it., 2005, 528.
(71) In Giur. it., 2007, 1694, con nota di VERONESE.
(72) In Società, 2007, 572.
260/II
una regolamentazione che tende a salvaguardare, nello stesso tempo, il diritto dei
soci di partecipare all’assemblea e l’esigenza dell’organo amministrativo di reperire locali idonei a consentire il regolare ed ordinato svolgimento dell’assemblea.
Cass., 17 luglio 2007, n. 15942, infine, ha deciso che le circostanze o situazioni particolari, impedienti al destinatario di essere tempestivamente informato
della convocazione dell’assemblea, possono venire in considerazione solo se si risolvono in un caso fortuito o di forza maggiore; pertanto, la chiusura per ferie degli uffici della società socia quando la raccomandata contenente l’avviso di convocazione giunge al domicilio eletto nel libro dei soci, non può assurgere a giustificazione del mancato ritiro della corrispondenza, non essendo ravvisabili ragioni tali
da far ritenere illegittima la convocazione nel mese di agosto. In argomento, Cass.
13 luglio 2007, n. 15372, ha precisato che, ai sensi del previgente art. 2484 c.c.
(ora 2479-bis, 1o comma, c.c.), salva diversa disposizione dell’atto costitutivo,
l’avviso di convocazione deve essere spedito ai soci, ma non anche ricevuto, con
lettera raccomandata, almeno otto giorni prima dell’adunananza nel domicilio risultante nel libro dei soci (73).
9.2. Revoca della convocazione. — Trib. Siracusa, 14 dicembre 2006 (74),
ha affrontato la questione della ammissibilità della revoca, da parte degli amministratori, dell’atto di convocazione dell’assemblea. Sulla questione, più volte sottoposta al vaglio della giurisprudenza, si registra una netta divergenza nelle soluzioni. L’orientamento al momento maggioritario in giurisprudenza propende per
l’inammissibilità della revoca, sulla scorta di una decisione di Cass., 2 agosto
1977, n. 3422 (75), pronunciata in materia di s.p.a., che il provvedimento in rassegna richiama insieme con Cass., n. 562/1973, che statuisce in senso diverso, in
tema di s.r.l. I giudici siciliani optano, sulla base dei due diversi precedenti ora citati, per una soluzione intermedia, che differenzia tra s.p.a. e s.r.l., in ragione dei
diversi rapporti che, nei due tipi sociali, si instaurano tra amministratori e assemblee, e per le diverse forme previste per la convocazione. Solo per le s.p.a., a motivo delle forme complesse richieste per la convocazione e del numero elevato di
soci, il tribunale reputa che « una volta ‘‘lanciata’’ la convocazione gli amministratori ne perdano la disponibilità, sì che solo l’assemblea diventa domina di eventuali rinvii »; diversamente viene ritenuto per la s.r.l., per il carattere prevalentemente personale, spesso familiare, della società, e per le forme semplificate di convocazione dei soci che sono proprie di essa.
Viene perciò affermato che nella s.r.l. l’iniziativa di revoca è legittima quando
sussistano motivate circostanze che rendono necessario, o comunque utile, il rinvio dell’assemblea. Ne consegue l’invalidità della deliberazione assunta durante la
(73) In tema v. JAEGER, Convocazione di assemblea di s.r.l. e disservizio postale, in
questa Rivista, 1979, II, 237.
(74) In Vita not., 2007, 211, con nota di SPADARO.
(75) In Banca, borsa, tit. cred., 1979, II, 69. Da ultimo v. Trib. Napoli, 25 maggio
2004 (ord.), in Riv. dir. comm., 2004, II, 325, con nota di DI GIROLAMO, ‘‘Rinvio’’ di assemblea deciso da tutti i soci e (diniego di) sospensione della delibera adottata a maggioranza.
La dottrina si orienta, invece, decisamente in senso opposto: v. CHIOMENTI, La revoca delle
deliberazioni assembleari, Milano, Giuffrè, 1969; ID., Revocabilità dell’assemblea già convocata?, in Riv. dir. comm., 1971, I, 132; SERRA, L’assemblea. Procedimento, in Trattato
Colombo-Portale, 3*, Torino, UTET, 1994.
261/II
riunione tenutasi « disapplicando la revoca », a iniziativa di un gruppo di soci in
dissenso con la scelta di differimento adottata dagli amministratori, nella data originariamente stabilita per l’assemblea nell’avviso di convocazione diramato e poi
revocato.
9.3. Voto dell’ usufruttuario. — Il diritto di voto nell’assemblea della società
a responsabilità limitata compete, per le quote che siano state date in usufrutto,
unicamente all’usufruttuario, il quale esercita un diritto suo proprio e non vota in
nome e per conto del nudo proprietario; tuttavia, ciò non esonera l’usufruttuario
dell’astenersi da comportamenti che possano arrecare un ingiusto danno al nudo
proprietario: Trib. Marsala, 21 luglio 2005 (ord.) (76). Pertanto, afferma il tribunale, costituisce abuso del diritto di usufrutto l’esercizio del diritto di voto che
possa compromettere la conservazione del valore economico della partecipazione
in società del nudo proprietario (nella specie è stata ravvisata abusiva una condotta divergente dalle intenzioni del nudo proprietario nelle materie essenziali per
il prosieguo dell’attività sociale, quali l’approvazione del bilancio e la nomina delle
nuove cariche, con paralisi della funzione deliberativa assembleare tramite la contrapposizione di due schieramenti al 50% e pericolo di scioglimento della società
e di compromissione del valore delle quote). Conseguentemente, prosegue la decisione, può essere provvisoriamente attribuita al nudo proprietario, in via cautelare, la quota di usufrutto corrispondente alle quote, con facoltà di esercitare i diritti di rappresentanza e di voto in seno all’assemblea e con l’obbligo di versare
annualmente una somma corrispondente alla quota parte degli utili sociali distribuiti.
9.4. Verbale. — La mancata sottoscrizione del verbale di assemblea da parte
del presidente di quest’ultima costituisce motivo di nullità del verbale medesimo e
rende, per ciò stesso, nulla la delibera ivi contenuta, determinativa del compenso
spettante all’amministratore: così Trib. Vicenza, 27 aprile 2004 (77), che, peraltro,
con riferimento alla peculiare fattispecie, aggiunge: « ciononostante, il diritto dell’amministratore al compenso nella misura in cui al citato verbale può essere prevista tramite un atto ricognitivo di debito imputabile alla società amministrata ».
Sull’annoso problema del verbale analitico o sintetico, Trib. Padova, 25 febbraio 2005 (78), ha assunto decisa posizione nel senso che i nominativi dei soci
presenti in assemblea personalmente o per delega e le relative quote devono risul(76) In Riv. not., 2006, 1088, con nota di PETRONE, L’esercizio del diritto di voto da
parte dell’ususfruttuario di partecipazione di s.r.l.; in Società, 2006, 1023 (ove pubblicata
con data 7 giugno 2005), con nota di DELUCCHI. Circa il rispetto della destinazione economica del bene oggetto di diritto di usufrutto, rileva non la funzione alla quale il bene sarebbe
oggettivamente idoneo, bensì quella cui esso era adibito in precedenza dal proprietario:
Cass., 18 novembre 1964, in Foro it., 1965, I, 32; Cass., 19 giugno 1962, n. 1550, ivi, I,
1946. In dottrina, v. RIVOLTA, Pegno ed usufrutto di quote di società a responsabilità limitata e diritto di voto, in Riv. dir. comm., 1961, I, 205.
(77) In questa Rivista, 2006, II, 729, con nota di PUPO, Considerazioni sulla (mancata) sottoscrizione del verbale assembleare.
(78) In questa Rivista, 2007, II, 451, con nota di NIEDDU ARRICA, In tema di verbale
assembleare prima e dopo la riforma del diritto societario. Sul tema cfr., in particolare, BUONOCORE, Questioni sul verbale sintetico o analitico, in Riv. not., 1980, I, 116; per una rico-
262/II
tare dal verbale assembleare ovvero da altro documento conservato presso la sede
sociale. Conseguentemente, deve ritenersi annullabile la delibera assembleare qualora il verbale o altro documento conservato presso la sede sociale omettano di indicare i nominativi dei soci presenti personalmente o per delega e le relative quote.
9.5. Conflitto di interessi del socio. — « Per discettarsi di conflitto di interessi — si legge in Trib. Milano, 30 gennaio 2006 (79) — è necessaria la compresenza di entrambi i requisiti della decisività del voto espresso dal socio in conflitto
e della sussistenza di un danno per la società ». Nella specie — ha affermato il tribunale — il ruolo duplice del socio persona giuridica, al contempo acquirente di
un immobile della società partecipata, che abbia determinato la maggioranza in
sede di voto nella delibera assembleare della società partecipata venditrice con la
quale è stato posto in vendita un immobile di sua proprietà a un prezzo notevolmente inferiore al valore effettivo dello stesso, integra un’ipotesi di conflitto di interessi ex art. 2373, 1o comma, c.c. e comporta, di conseguenza, l’annullamento
della delibera.
Per Trib. Napoli, 15 novembre 2005 (ord.) (80), l’esistenza del conflitto di interessi richiede che lo scopo effettivamente perseguito dal socio sia incompatibile
con la realizzazione dell’interesse sociale e che il perseguimento dell’interesse individuale o altrui possa recare danno alla società. Precisa il Tribunale che l’interesse
per conto terzi comprende una categoria eterogenea di rapporti e non postula l’esistenza di uno specifico rapporto giuridico tra il socio ed il reale interessato, essendo sufficiente anche « una relazione di mero fatto ». Secondo la decisione, la
configurazione del conflitto di interessi non è riconoscibile, di per sé, in presenza
di un’intestazione fittizia o fiduciaria di partecipazioni sociali in capo al socio portatore dell’interesse altrui, né è sufficiente la sola circostanza che il socio accomandatario di una s.a.s. sia socio della s.r.l. che partecipa alla prima nella qualità
di accomandante.
9.6. Introduzione di limiti al possesso di quote sociali. — Con riferimento
ad una società consortile a responsabilità limitata, Trib. Venezia, 8 agosto
2005 (81), ha affermato che è legittima la deliberazione assembleare con cui una
struzione, anche in chiave storica, della materia, v. RESCIO, Problemi in tema di verbalizzazione assembleare per atto pubblico, in questa Rivista, 1990, I, 827.
(79) In Società, 2007, 600, con nota di FINARDI. « Il nuovo art. 2373 c.c. consente liberamente al socio di votare o di astenersi, ma se vota la delibera è impugnabile a norma
dell’art. 2377 c.c. qualora possa recare danno alla società »: così CAMPOBASSO, La riforma
delle società di capitali e delle cooperative, Diritto delle società, Torino, UTET, 2003, 100.
Sul tema degli interessi in conflitto, con riguardo a quelli degli amministratori, cfr., inoltre,
CORSO, La disciplina del conflitto di interessi degli amministratori di s.r.l. e la collocazione
del tipo, in questa Rivista, 2005, I, p. 653; CORSINI, L’interesse dell’amministratore di società, in Società, 2006, 848; PERRINO, Il conflitto d’interessi degli amministratori nella s.r.l.,
in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, (nt. 6), 3, 557; PETRAZZINI, Conflitto di interessi, in Nuovo diritto societario diretto da Chiarloni, Bologna, Zanichelli, 2004, 581.
(80) In Riv. dir. soc., n. 3 del 2007, 83, con nota di GHIONNI, Sui quorum per la nomina degli amministratori di s.r.l.
(81) In questa Rivista, 2007, II, 846, con nota di POMELLI, Autonomia statutaria e parità di trattamento tra i soci: il caso dei limiti al possesso di quote sociali differenziati per categorie di soci. In tema v., inoltre, CALVOSA, La partecipazione eccedente e i limiti al diritto
263/II
società consortile di diritto speciale, con capitale misto pubblico e privato e finalizzata alla promozione turistica della città di Venezia, intoduce limiti quantitativi
al possesso di capitale sociale differenziati per diverse tipologie di soggetti (pari al
20%, per gli enti pubblici, al 10% per le associazioni di categoria e allo 0,3% per
ogni altro soggetto). Afferma però il tribunale, che è illegittima la deliberazione
assembleare con cui tale società impone ai soci titolari di quote eccedenti il limite,
di cedere la partecipazione eccedente, in quanto, in caso di violazione, la società
può soltanto rifiutare al socio l’esercizio dei diritti sociali e, in particolare, l’esercizio del diritto di voto relativamente alla percentuale della quota eccedente il limite.
9.7. Introduzione di obblighi di finanziamento e ipotesi di esclusione. — La
deliberazione assembleare avente a oggetto l’obbligo per i soci di eseguire finanziamenti in favore della società e quello di prestare garanzie in favore delle banche, impegna i soci ad atti dispositivi che esulano dagli obblighi legali e, pertanto,
deve essere assunta con l’unanimità dei consensi: così Trib. Treviso, 17 giugno
2005 (82), con la conseguenza che lo statuto sociale può prevedere ipotesi di esclusione del socio differenti da quella della mancata esecuzione dei conferimenti, ma
tali ipotesi devono essere specifiche e non contrarie a disposizioni di legge. Nella
fattispecie il tribunale ha dichiarato, in primo luogo, l’invalidità di una delibera,
assunta a maggioranza, con la quale veniva inserita nello statuto una clausola che
prevedeva l’obbligo per i soci di eseguire versamenti in conto capitale ovvero finanziamenti fruttiferi o infruttiferi in favore della società, nonché di prestare garanzie in favore delle banche; quindi, ha sancito l’illegittimità della previsione tra
le cause di esclusione del socio dalla società per inadempimento a detta clausola,
essendo necessario che le cause di esclusione del socio siano specifiche, ai sensi
dell’art. 2473-bis c.c., e non contrarie a disposizioni di legge.
Per Cass., 17 novembre 2005, n. 23262 (83), la delibera assunta a maggioranza, che, perseguendo l’obiettivo di evitare lo scioglimento della società, deliberi
di ripianare le perdite eccedenti il capitale mediante il versamento di somme di denaro da parte dei soci, non è assimilabile a quella che imponga ai soci versamenti
di denaro ulteriori rispetto ai conferimenti, e non viola, quindi, il principio della limitazione di responsabilità dei soci nelle società di capitali.
9.8. Efficacia delle delibere nei confronti dei soci. — Il principio generale,
già sancito dall’art. 2377, 1o comma, c.c. e ora per la s.r.l. dall’art. 2479-ter, 4o
comma, c.c. per il quale le delibere assembleari regolarmente assunte con il voto
delle maggioranze previste, hanno efficacia vincolante nei confronti di tutti i soci,
di voto, Milano, 1999, 53; D’ANGELO, Sulle clausole limitative al possesso azionario, in Riv.
dir. civ., 1996, II, 582. Sulla centralità del socio nel modello organizzativo della s.r.l., v.
LEOZAPPA, Il ‘‘socio-risparmiatore’’ nella società a responsabilità limitata: diritti particolari
e decisioni ex art. 2479 c.c., in Riv. dir. comm., 2006, I, 281; RORDORF, Decisioni dei soci di
s.r.l.: competenza e modi del decidere, in Società, 2006, 1200.
(82) In Società, 2006, 1273, con nota di RONCO; in Riv. not., 2007, 451, con nota di
MICELI-TRIMARCHI, I limiti all’autonomia statutaria nella s.r.l. in tema di esclusione per giusta causa e di obblighi dei soci tra silenzio ed ermetismo legislativo.
(83) In Riv. not., 2007, con nota di FESTA FERRANTE, La ricapitalizzazione in presenza
di perdite superiori al capitale sociale e la tutela del socio assente, e ulteriore ampia nota redazionale; in Società, 2006, 1229, con nota di LEOCATA.
264/II
anche se dissenzienti, viene ribadito da Cass., 10 novembre 2005, n. 21831 (84).
Nella specie, si trattava di delibera dell’assemblea ordinaria di approvazione di
una situazione patrimoniale assimilabile a quella di bilancio, prodromica della successiva messa in liquidazione della società e ricognitiva, pertanto, anche dei debiti
dei soci verso la società per il versamento di decimi di capitale ancora dovuti. Per
la S.C. la vincolatività delle delibere societarie per tutti i soci che non abbiano
provveduto all’impugnativa nei modi e nei termini prescritti, fa sì che quella dalla
quale risulti con chiarezza la situazione debitoria dei soci, faccia piena prova delle
loro obbligazioni nei confronti della società, dovendosi escludere ogni applicazione dell’art. 2709 c.c. nei rapporti tra società e soci (85), i quali sono retti dal
solo principio della vincolatività delle delibere.
9.9. Inesistenza e invalidità delle delibere. — Le regole introdotte con la riforma del diritto societario, al fine, come è noto, di razionalizzare il sistema dei
vizi, tramite la riduzione dei margini di incidenza di quelli procedimentali e la
esclusione della prospettazione di delibere inesistenti, non sembrano aver conseguito gli effetti ai quali il legislatore mirava (cfr. art. 4, 7o comma, lett. b), legge
delega n. 366 del 2001). In giurisprudenza, infatti, si discute ora se sia possibile, o
non, escludere che talune delibere siano inesistenti.
Per Trib. Bari, 9 dicembre 2005 (86), il quale premette che è compito dell’interprete stabilire se possa ritenersi che, a seguito dell’intervento legislativo di riforma delle società di capitali, la categoria dell’inesistenza sia totalmente scomparsa dall’ordinamento, è inesistente la delibera assunta con il solo voto di soggetti non legittimati a partecipare all’assemblea. Per il collegio, infatti, la categoria
delle delibere inesistenti permane tutt’ora, relativamente a quelle adottate in violazione di norme di legge dettate a tutela di interessi generali, e non già a tutela dell’interesse dei soci o di gruppi di soci. Nella specie, il diritto di voto sarebbe stato
esercitato esclusivamente da soggetti non legittimati, qual era il creditore pignoratizio del 100% del capitale sociale, iscritto nel libro dei soci in virtù di un atto di
costituzione di pegno, assolutamente illegittimo, inefficace e inopponibile alla società. Il tribunale distingue così, sulla scorta di Cass., 10 marzo 1999, n. 2053, l’ipotesi in cui la delibera risulti adottata con il voto (eventualmente) determinante
di soci non legittimati, che comporta l’annullabilità, da quella in cui all’assemblea
abbiano partecipato, esercitando il diritto di voto, esclusivamente soggetti non legittimati. Il tribunale fa propri quindi i principi in passato elaborati dalla Cassa(84) In Giur. it., 2006, 748.
(85) Sul punto, v., conformemente, RACUGNO, voce Scritture contabili, in Enc. giuridica Sole 24 ore, Milano, 2007.
(86) In Riv. dir. soc., 2007, 159, con nota di D’ALONZO, L’inesistenza delle delibere
assembleari nel vigore della riforma. A sostegno della permanenza e della configurabilità
della categoria dell’inesistenza anche a seguito della riforma societaria, il tribunale, a conforto della propria decisione, richiama la nota di FERRARI alla sentenza della Cass., 23 gennaio 2004, n. 1148, in Società, 2004, 713. Cfr. PIAZZA, Il regime delle « invalidità » delle delibere assembleari nel nuovo diritto societario (prime riflessioni di un civilista), in Scritti in
onore di Schlesinger, Milano, Giuffrè, 2004, 2949. In generale, e per un confronto sulla corrispondente normativa dell’invalidità dei deliberati assembleari di s.p.a., nonché sul procedimento di impugnazione, v. RORDORF, Invalidità ed impugnazione delle decisioni dei soci di
s.r.l., in Società, 2007, 270.
265/II
zione (n. 835 del 1995; n. 1768 del 1986; n. 6348 del 1981), secondo cui « in difetto di legittimazione all’intervento... di tutti i partecipanti manca la possibilità
stessa di configurare la costituzione dell’organo assembleare e la manifestazione
della volontà sociale, e la delibera medesima va ritenuta affetta da giuridica inesistenza deducibile in ogni tempo dagli interessati ». In senso conforme Trib. Bari,
28 novembre 2005 (87).
Inesistente viene pure ritenuta la delibera di s.r.l. assunta nel caso di convocazione effettuata da un soggetto privo di legittimazione, da Trib. Milano, 26 maggio
2005 (88).
Anche secondo Cass., 31 marzo 2006, n. 7693, con affermazione espressa
obiter, la riforma non avrebbe del tutto escluso la categoria delle delibere inesistenti (89).
Invece, si esprime per la esclusione tout court di ipotesi di deliberazioni inesistenti, nel sistema riformato del diritto societario, Trib. Milano, 21 ottobre
2005 (90).
Statuendo in base al diritto anteriore alla riforma, Cass., 2 aprile 2007, n.
8222 (91), esclude in concreto l’inesistenza, per ammettere la mera annullabilità,
della deliberazione di assemblea straordinaria di s.r.l. non verbalizzata in forma di
atto pubblico. Viene invece riconosciuta la nullità della delibera di riduzione del
capitale assunta senza il previo deposito di una situazione patrimoniale aggiornata
(v. infra § 15.1).
Per ciò che concerne i vizi delle delibere che ne causano l’invalidità, Trib. Ragusa, 21 novembre 2005 (92), si pronucia per la validità della delibera assembleare
assunta, in seconda convocazione, con i quorum ridotti previsti dallo statuto per il
caso di riunione che segua la prima seduta « andata deserta », quando alla assemblea in prima convocazione abbiano comunque partecipato i soci, ma in numero
insufficiente a integrare il previsto quorum deliberativo. Il collegio rigetta la tesi
attorea che in tale circostanza le decisioni assunte in seconda convocazione non
possano assumersi con le maggioranze ridotte, richiamando la comune prassi interpretativa che alla locuzione « seduta deserta » attribuisce il significato sia di assemblea che veda assenti tutti i soci, sia di seduta in cui non sia stato raggiunto il
quorum deliberativo.
Trib. Milano, 25 agosto 2006 (93), qualifica come annullabile la delibera di
s.r.l. assunta senza tener conto della richiesta di differimento, ai sensi dell’art.
2374, ritenendo così applicabile la norma dettata in tema di s.p.a., pur non riprodotta nella disciplina della s.r.l., che consente ai soci che rappresentino un terzo
del capitale sociale, e che dichiarino di non essere sufficientemente informati sugli
argomenti posti in deliberazione, di chiedere il rinvio dell’assemblea.
Trib. Milano, 1 luglio 2005 (94), si pronuncia, con l’annullamento di essa, su
una delibera di società cooperativa a responsabilità limitata, con la quale si intro(87) In Società, 2007, 223, con nota di CARDARELLI.
(88) In Corr. merito, 2005, 883.
(89) Che il problema probabilmente tornerà comunque ad affacciarsi in casi estremi, è
sottolineato da FERRARA-CORSI, Gli imprenditori e le società, Milano, Giuffrè, 2006, 570.
(90) In Giur. it., 2006, I, 2, 1208.
(91) In Foro it., 2007, I, 2738, con nota di RORDORF.
(92) Cit., (nt. 9).
(93) In Società, 2007, 1507, con nota di FUSI.
(94) In Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, 478, con nota di CASALE, Diritti individuali
266/II
ducevano diverse modifiche statutarie. I vizi riconosciuti, nel caso di specie, sono
stati l’eccesso di potere e il contrasto con norme inderogabili. Il primo è stato ravvisato rispetto alle modifiche delle clausole statutarie attinenti i requisiti dei soci,
adottate con la finalità di escludere alcuni di essi dalla compagine sociale, in violazione del principio della porta aperta e della parità di trattamento tra i soci; il secondo per l’attribuzione agli amministratori del potere di svolgere una valutazione
discrezionale sulla ammissione di soci che esercitano in proprio imprese concorrenti con l’attività della cooperativa, in contrasto con la norma inderogabile dell’art. 2527, 2o comma, c.c. Inoltre, poiché la delibera era stata assunta unitariamente per tutte le modificazioni statutarie, e non con votazione articolo per articolo, il Collegio reputa che l’annullamento non possa essere parziale e debba riguardare, invece, l’intera delibera, anche se, per altri aspetti, le modifiche statutarie adottate si rivelavano legittime.
In ordine ai vizi delle deliberazioni cc.dd. complesse, per una assunta, nella
specie, in sede di approvazione del bilancio, ai fini dell’azzeramento per perdite e
della ricostituzione del capitale sociale, ex artt. 2446 e 2447 c.c., Trib. Milano, 25
ottobre 2006 (95), fa applicazione della nuova disciplina dell’invalidità delle delibere societarie, alla luce del principio processuale dell’interesse ad agire. Aderendo all’orientamento (96) per il quale l’invalidità di una delibera complessa riverbera i suoi effetti su quelle inscindibili da essa, il collegio afferma che anche chi
non è più socio, avendo perduto tale qualità per effetto della mancata sottoscrizione dell’aumento deliberato a seguito dell’azzeramento del capitale, può impugnare per nullità, ex art. 2379 c.c., la delibera di approvazione del bilancio che ha
determinato la perdita dello status socii. Persiste infatti l’interesse ad agire del non
più socio, in funzione del possibile recupero della qualità di socio, derivante dalla
invalidazione della delibera impugnata. Per i riflessi provocati sulla validità delle
delibere dal voto del socio in conflitto di interessi, v. supra § 9.5.
9.10. Compromettibilità in arbitri delle controversie relative all’impugnazione delle delibere. — La questione processuale della deferibilità ad arbitri delle
controversie concernenti l’impugnazione delle delibere continua a essere dibattuta (97).
Trib. Napoli, 25 ottobre 2006 (98), resa nel regime antecedente la riforma, applicabile alla controversia ratione temporis, decide aderendo all’orientamento già
acceditatosi in passato (99), per il quale le delibere assembleari sono compromettibili per arbitri quando il vizio denunziato comporti la annullabilità della decisione,
essendo la sanzione prevista per la delibera impugnata un « ottimo indice rivelatore » della natura degli interessi coinvolti.
Con specifico riferimento alla compromettibilità in arbitri delle controversie
del socio, regole di governance e principi generali nella società cooperativa, ove ampi riferimenti alla letteratura e alla giurisprudenza in tema.
(95) In Giur. it., 2007, 1167.
(96) Cfr. lo specifico precedente di App. Milano, 31 gennaio 2003, in questa Rivista,
2003, II, 612.
(97) V., per indicazioni generali sulla letteratura e i primi orientamenti successivi alla
riforma del diritto e del processo societario, la precedente Rassegna, 2006, § 4.4., 216 ss.
(98) In Giur. it., 2007, 1445, con nota di RENNA, Compromettibilità in tema di impugnazione di delibere assembleari di società, ove anche riferimenti.
(99) V. anche la precedente Rassegna, 2006, § 14.3, 242 ss.
267/II
relative all’impugnazione del bilancio, per Trib. Como, 29 settembre 2006 (100), il
legislatore della riforma del processo societario (d. lgs. n. 5 del 2003) ha indicato
esplicitamente alcune controversie suscettibili di essere devolute alla decisione degli arbitri. Si tratta, più esattamente, di quelle aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari (menzionate dagli artt. 35, 5o comma, e 36, 1o comma, d. lgs. n.
5 del 2003), di quelle « insorgenti tra soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale » (art. 34, 1o
comma), di quelle « promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei
loro confronti » (art. 34, 4o comma). Secondo il tribunale, l’indicazione esplicita
non può che avere un unico significato: quello di escludere tali controversie dalla
regola generale sancita dall’art. 34, 1o comma. Il legislatore, conclude la sentenza,
ha quindi inteso affermare in via generale la compromettibilità delle impugnazioni
di delibera assembleare senza alcuna riserva o distinguo, purché gli arbitri decidano secondo diritto ed il lodo sia impugnabile per violazione o falsa applicazione
di norme di diritto, ex art. 829, 2o comma, c.p.c.
Sempre in tema di impugnative di delibere aventi ad oggetto l’approvazione
del bilancio, il lodo arbitrale reso dall’Arbitro unico Siracusa, 31 marzo 2007 (101),
ammette la competenza arbitrale a decidere dell’impugnativa con la quale siano
denunciati vizi procedimentali della formazione della delibera assembleare, ancorché gli stessi comportino la nullità o l’inesistenza della delibera stessa (102).
In argomento la S.C., sia pure con obiter dictum, ha avuto modo di recente di
prendere posizione, Cass., 23 febbraio 2005, n. 3772 (103), affermando che « la
possibilità di devolvere alla cognizione degli arbitri le controversie concernenti la
validità delle delibere assembleari è oggi riconosciuta in modo esplicito dal legislatore (artt. 35, 5o comma e 36, 1o comma, d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5) ».
10.
Amministratori.
10.1. Articolazione interna dell’organo amministrativo. — In tema di competenza ad assumere scelte di conformazione degli organi gestionali, Cass., 26 giugno 2007, n. 14791, si esprime rispetto all’istituzione di organi esecutivi, quali il
direttore di produzione, la commissione tecnica, il responsabile di sezione o di
commesse, la direzione operativa. Nel provvedimento si afferma che tale genere di
scelta, che attiene alla mera articolazione dell’attività amministrativa, rientra nelle
competenze degli amministratori (104), senza necessità che siano previsti nuovi organi nello statuto sociale.
(100) In Società, 2007, 1277, con nota di FANTI.
(101) In Società, 2007, 1417, con nota di V. SCOGNAMIGLIO.
(102) Sulla compromettibilità in arbitri delle azioni di nullità delle delibere, in seguito
alla riforma del processo societario, v., in senso favorevole, RICCI, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2003, 522; Il nuovo processo societario, a cura di Luiso, Torino, Giappichelli, 2006, 565, ove l’affermazione che il legislatore richiama ripetutamente e
in via generale l’impugnazione delle delibere come possibile oggetto di arbitrato, senza mai
fare riserve e si segnala altresì come, per l’art. 36, 1o comma, d. lgs. n. 5 del 2003, è sempre
possibile l’impugnazione di merito ex art. 829, 2o comma, c.p.c. del lodo che abbia deciso
dell’impugnazione di una delibera. In tema v., inoltre, CERRATO, Tre problemi in materia di
arbitrato endosocietario, in questa Rivista, 2006, II, 1131.
(103) In Società, 2006, 637.
(104) In termini generali, in ordine alla questione della distribuzione di competenze tra
soci e amministratori, cfr. ABRIANI-MALTONI, Elasticità organizzativa della società a respon-
268/II
10.2. Compenso. — Statuendo in tema di compenso di amministratori di
società di capitali, Cass., 9 agosto 2005, n. 16764 (105), secondo un orientamento
consolidato, afferma il carattere naturalmente oneroso della carica gestoria e la
natura di diritto soggettivo perfetto della corrispondente pretesa, sicchè, ove la
misura della retribuzione non sia stabilita dall’atto costitutivo o dall’assemblea,
può essere determinata dal giudice in via equitativa. Per Trib. Cagliari, 24 luglio
2006, inedita, in una s.r.l. priva di collegio sindacale, il potere di determinare la
remunerazione per gli amministratori investiti di particolari cariche — tra i quali
va annoverato il presidente del consiglio di amministrazione — non può in nessun
caso riconoscersi al consiglio stesso. Ne consegue la nullità della delibera consiliare, per violazione della norma dell’art. 2389, 3o comma, c.c. che nella s.p.a. attribuisce tale competenza al consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale, attesa la natura imperativa e inderogabile della disposizione violata. Per altro verso, Cass., 20 dicembre 2005, n. 28243 (106), ritiene non necessario che la determinazione dei compensi degli amministratori sia inderogabilmente
contenuta in un’autonoma deliberazione, e ammette che questa possa essere surrogata dall’approvazione del bilancio d’esercizio che la preveda, conformemente
alla previsione normativa (art. 2389 c.c.) che imponeva, e tuttora impone, una deliberazione assembleare, ma non impone in via specifica caratteristiche e circostanze dell’adozione di essa.
10.3. Poteri degli amministratori e atti (anche infragruppo) estranei all’oggetto sociale. — La riforma del diritto societario, abrogando il previgente art.
2384-bis c.c., ha risolto in radice il problema del compimento da parte degli amministratori di società di capitali di atti estranei all’oggetto sociale, optando per l’inopponibilità ai terzi di ogni limitazione ai poteri degli amministratori, salva l’exceptio doli. In tema, tuttavia, vanno segnalate alcune decisioni, tutte pronunciate
in applicazione del diritto previgente, in relazione a prestazioni di garanzia estranee all’oggetto sociale. Si tratta, in particolare, di Cass., 27 ottobre 2006, n.
23174 (107), e Cass., 11 dicembre 2006, n. 26325 (108), nonché di App. Milano, 7
aprile 2004 (109).
Nel primo caso, la prestazione di garanzia, prevista dall’atto costitutivo in
funzione del raggiungimento dello scopo sociale, era stata effettuata, previa autosabilità limitata e diritto dei soci di avocare decisioni gestorie, in Riv. not., 2006, 1151;
VIGO, La partecipazione dei soci all’amministrazione della s.r.l., in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, (nt. 38), III, t. 3, 4061; ID., Decisioni dei soci: competenze, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, (nt. 6), 3, 453; DEMURO, Distribuzione e spostamento di
competenza tra amministratori e (decisioni dei) soci nella s.r.l., in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore, (nt. 38), III, t. 1, 2319.
(105) In Giur. it., 2006, 294, con nota di BONAFINI. In dottrina, in tema, v. BONAFINI, I
compensi degli amministratori di società per azioni, Milano, Giuffrè, 2005; GHINI, I compensi degli amministratori, Milano, Giuffrè, 2005.
(106) In Dir. prat. soc., 9/2006, con nota di VENTURINI; sul provvedimento v. inoltre,
infra, § 13.1.
(107) In Dir. prat. soc., 11/2007, 71, con nota di BUONOMENNA; in tema si v., inoltre,
BONELLI, Atti estranei all’oggetto sociale e poteri di rappresentanza, in questa Rivista, 2004,
I, 924.
(108) In Giur. it., 2007, 1437.
(109) In Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, 180, con nota di VISCUSI, Brevi osservazioni
in tema di conflitto di interessi, atti ultra vires e professionalità del banchiere.
269/II
rizzazione assembleare, in assoluto difetto di collegamento con l’oggetto sociale
della garante. La S.C., al riguardo, reputa che, ad escludere la buona fede del
terzo e, dunque, a rendergli opponibilile l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale,
non valga la pubblicità assicurata dalla iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo della società, gravando in tutti casi sulla società l’onere di provare, qualunque sia lo stato soggettivo del terzo, la concreta eccedenza dell’atto
dalla sfera dei poteri dell’amministratore.
Nella seconda decisione, in adesione a un orientamento consolidato, la S.C.,
individua il carattere di estraneità dell’atto all’oggetto sociale nella sua inidoneità
« a soddisfare un interesse economico, sia pure mediato e indiretto, ma giuridicamente rilevante per la società ». Viene inoltre ribadita la irrilevanza della estraneità dell’atto, se la società adotta una delibera di autorizzazione preventiva o di
ratifica dell’atto estraneo. Nel caso concretamente deciso, l’atto formalmente
estraneo all’oggetto sociale era consistito nella prestazione di garanzia a favore di
società collegata (110), sicché esso si pretendeva giustificato nella prospettiva del
vantaggio compensativo ritratto dalla società garante per effetto della appartenenza al gruppo. Nella specie, la Suprema Corte, pur richiamando il criterio dei
vantaggi compensativi già in passato da essa applicato (Cass., 24 agosto 2004, n.
16707) (111), per accertare la responsabilità degli amministratori verso la società,
reputa che la valutazione dell’estraneità dell’atto all’oggetto sociale vada compiuta
in termini unitari, sia che venga in esame la responsabilità verso la società di chi
ha compiuto l’atto eccedente i poteri, sia che l’estraneità rilevi a fini esterni, quale
limite al potere di rappresentanza dell’amministratore. In entrambe le prospettive
si afferma che l’accertamento della legittimità dell’atto estraneo allo scopo sociale
(o dell’atto pregiudizievole), in nome dell’interesse del gruppo, deve essere particolarmente rigoroso quando non vi sia rapporto di controllo tra le società coinvolte nell’operazione, ma semplice collegamento, essendo insufficiente a provare
la legittimità dell’atto la sola « fumosa esistenza di vantaggi compensativi in nome
della comune appartenenza delle società al gruppo ».
Nell’ultima delle decisioni in rassegna, la Corte d’Appello milanese statuisce
che una fideiussione bancaria a prima richiesta, seppure astrattamente riconducibile all’oggetto sociale, deve considerarsi estranea ad esso se, nel contesto concreto nel quale fu concessa, risultava inerente ad una attività neanche secondariamente o collateralmente assimilabile all’attività di impresa esercitata dalla società,
in relazione alle previsioni dello statuto.
10.4. Impugnativa delle delibere del consiglio. — Trib. Terni, 15 novembre
20041 (12), si pronuncia in tema di impugnabilità della delibera del consiglio di
amministrazione, affermando che le delibere del consiglio di amministrazione di
una società a responsabilità limitata non conformi alla legge o allo statuto sono
impugnabili dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio sindacale (ol(110) In tema, in generale, v. MIOLA, Le garanzie intragruppo, Torino, Giappichelli,
1993; NIUTTA, Il finanziamento intragruppo, Milano, Giuffrè, 2000.
(111) La sentenza è pubblicata sulle principali riviste: la si veda, tra le altre, in Giur.
it., 2005, 89, con nota di WEIGMANN, ove ulteriori riferimenti.
(112) In questa Rivista, 2006, II, 168, con nota di TARANTINO; in Foro it., 2005, I,
1626.
270/II
tre che dai soci qualora siano lesive dei loro diritti), alla stregua di quanto previsto
per le società per azioni.
10.5. Obblighi di condotta degli amministratori e responsabilità. — In tema
di responsabilità degli amministratori per atti di mala gestio, benché resa in applicazione delle norme societarie previgenti, merita segnalazione la decisione di Trib.
Milano, 12 ottobre 2005 (113), sulla possibilità di imputare agli amministratori la
responsabilità per le sanzioni amministrative irrogate alla società per omesso versamento di somme per oneri contributivi e previdenziali. Il tribunale, in linea con
l’orientamento maggioritario, propende per l’insindacabilità, da parte del giudice,
della scelta gestoria, operata in presenza di scarse risorse liquide, di adempiere ad
uno o ad altro dei debiti sociali, escludendo quindi che l’inadempimento delle obbligazioni previdenziali-assistenziali, ma anche di quelle fiscali e tributarie, possa
di per sé integrare un comportamento negligente degli amministratori.
In Trib. Milano, 8 maggio 2006 (114), viene invece affrontata, in particolare, la
questione della portata dei doveri di vigilanza gravanti su ciascun amministratore,
al fine del riconoscimento della solidarietà passiva tra loro, per gli illeciti perpetrati a danno della società da alcuni soltanto tra essi. Al riguardo, il collegio milanese ravvisa, nella mancata attivazione da parte degli amministratori diversi da
quelli che avevano effettuato indebiti prelievi di somme affluite alla società a titolo
di mutuo bancario, finalizzata a impedire la sottrazione, prima, e ottenere, poi, la
restituzione delle somme prelevate, una violazione del dovere di vigilanza che li
rende coobbligati in solido per la restituzione delle somme di spettanza della società distratte. Non viene ritenuta rilevante, al fine di esonerare da responsabilità
gli altri amministratori, l’autonomia goduta, nelle operazioni corrispondenti, da
quello direttamente responsabile del prelevamento. La decisione pare perciò in linea con l’orientamento consolidatosi sotto il vigore della precedente disciplina,
per il quale la culpa in vigilando andava esclusa solo ove l’amministratore provasse di non aver potuto impedire il fatto dannoso (cfr. Cass., 21 luglio 2004, n.
13555), e con il nuovo testo dell’art. 2476, 1o comma, c.c. che, pur senza imporre
all’amministratore un comportamento attivo di contrasto della condotta illecita altrui, ne sancisce la responsabilità solidale ove la mancanza di controllo consenta
ad altro amministratore il compimento di un’attività dannosa.
10.5.1. Divieto di concorrenza. — Trib. Milano, 2 febbraio 2006 (115), ha ritenuto che il divieto di concorrenza sancito dall’art. 2390 c.c. a carico degli amministratori di società di capitali può considerarsi violato soltanto in presenza di elementi tali per cui risultino accertati in concreto sia l’attività concorrenziale svolta
(113) In Giur. it., 2006, 303, con nota di IOZZO.
(114) In Giur. it., 2006, 2087, con nota di MILANESI. In dottrina si vedano, in particolare, DI AMATO, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in questa Rivista, 2003, I, 291; AMBROSINI, sub art. 2476, in Commentario
Niccolini-Stagno d’Alcontres, 1593; CAGNASSO, sub art. 2476, in Commentario Cottino, Bologna, Zanichelli, 1881.
(115) In Società, 2007, 316, con nota di NUCCI. In argomento v., in generale, SPOLIDORO, Il divieto di concorrenza per gli amministratori di società di capitali, in Riv. soc.,
1983, 1314; BONELLI, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano,
Giuffrè, 2004, 107.
271/II
dall’amministratore, sia il danno economico sofferto dalla società, non essendo
sufficiente a trasgredire il dettato normativo la mera potenzialità astratta di detti
elementi.
10.6. Revoca.
10.6.1. Revoca cautelare ante causam. — Il problema si presenta tra quelli
maggiormente affrontati e controversi, oggetto di una serie estremamente numerosa di pronunce (116).
Trib. Marsala, 15 marzo 2005 (117), con un’articolata decisione, ha innanzitutto stabilito che lo strumento cautelare della revoca degli amministratori di società a responsabilità limitata, previsto dal novellato art. 2476 c.c., può essere disposto anche ante causam, non ostandovi la sua collocazione nella sedes materiae
dell’azione di responsabilità sociale, anche alla luce della generale applicazione
della norma di cui all’art. 669-quaterdecies c.p.c. (richiamata dall’art. 23, ult.
comma, d. lgs. n. 5 del 2003) e del generale favore del legislatore della riforma nei
confronti proprio dell’azione cautelare ante causam. Secondo il tribunale, l’incertezza sulla direzione di strumentalità (azione personale risarcitoria del socio ovvero azione di responsabilità sociale) del rimedio cautelare azionato, non consentendo al giudice ed alla controparte di comprendere la quaestio facti et iuris oggetto del giudizio, comporta l’inammissibilità del ricorso. Non è dato giungere a
diversa conclusione in ipotesi di azione cautelare proposta in materia societaria,
nel vigore della nuova disciplina di cui al d. lgs. n. 5 del 2003, posto che la stessa
ha inciso esclusivamente sull’efficacia dei provvedimenti cautelari ante causam,
svincolandoli dalla necessaria proposizione del successivo giudizio di merito ex
art. 669-octies c.p.c., ma non certo sulla loro natura strumentale od anticipatoria
rispetto ad esso, per quanto eventuale. Sotto il profilo del fumus boni iuris, ha affermato ancora il tribunale, la positivizzazione della revoca come procedimento
cautelare tipico strumentale rispetto all’azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori di s.r.l. e l’esclusione dell’applicabilità dell’analogo
strumento di cui all’art. 2409 c.c. (oggi previsto per le sole società per azioni),
comporta, tuttavia, la verifica giudiziale, in punto di fumus boni iuris, della necessaria ricorrenza, oltre che di gravi irregolarità nella gestione della società, anche di
un danno concreto al patrimonio sociale, con esclusione di quelli meramente potenziali. Per la legittimità della proposizione del ricorso anche prima dell’azione di
responsabilità, al fine di impedire il verificarsi di conseguenze dannose di ulteriori
(116) Una puntuale elencazione di essi è riportata nella rassegna curata da MONDINI,
con la collaborazione di Russo, Rassegna di giurisprudenza sul nuovo diritto societario, in
www.associazionepreite.it. A tale Rassegna e al sito può farsi riferimento anche per materiali e provvedimenti non diversamente editi.
(117) In questa Rivista, 2007, II, 430, con nota di MANZO, Note in tema di revoca in
via cautelare degli amministratori di società a responsabilità limitata, il quale si sofferma,
con ampi richiami di dottrina e giurisprudenza, sul dibattuto problema, variamente risolto,
della strumentalità o meno del rimedio cautelare della revoca rispetto all’azione sociale di responsabilità promossa dal socio ex 3o comma art. 2476 c.c. Cfr. WEIGMANN, nota a Trib. Milano, 20 dicembre 2005, in Giur. it., 2006, 985, che ha definito la revoca degli amministratori « uno dei buchi neri della nuova disciplina delle società a responsabilità limitata ». Diffusamente, v., ora, ROSSI, La revoca cautelare degli amministratori nella nuova società a responsabilità limitata: spunti per una ricerca, in Riv. dir. comm., 2007, I, 97.
272/II
irregolarità gestionali, si pronuncia anche Trib. Agrigento, 1 agosto 2006 (118), ove
l’osservazione che il provvedimento è privo della ultrattività che caratterizza i procedimenti d’urgenza ex art. 23, d. lgs. n.5 del 2003, e non è idoneo ad anticipare
gli effetti della successiva pronuncia di merito.
Sulla questione vanno registrate, ancora, Trib. Milano, 30 agosto 2006
(ord.) (119), Trib. Milano, 12 gennaio 2006 (ord.) (120), Trib. Ravenna, 3 febbraio
2006 (ord.) e Trib. Agrigento, 15 febbraio 2006 (ord.) (121), stabilendo, i primi
due, la legittimità (122), gli altri la illegittimità della domanda di revoca cautelare
ante causam di amministratore di società a responsabilità limitata. Per la illegittimità si pronuncia anche Trib. Vercelli, 28 settembre 2005 (ord.) (123), secondo il
quale la domanda di revoca degli amministratori prevista dall’art. 2476, 3o
comma, c.c. presuppone l’instaurazione del giudizio risarcitorio, in cui si inserisce
con funzione strumentale-conservativa, ed è inammissibile ante causam. L’ordinanza ha ritenuto quindi inammissibile il ricorso alla tutela urgente ex art. 700
c.p.c., finalizzato alla predetta revoca, in quanto difetta la diversità di presupposti
che deve caratterizzare la tutela cautelare rispetto a quella tipica.
Con riferimento all’ipotesi di revoca ante causam dell’amministratore unico
di s.r.l., Trib. Genova, 4 novembre 2005 (ord.) (124), ha ritenuto la sussistenza di
un conflitto di interessi, tale da richiedere la nomina di un curatore speciale ex art.
78, 2o comma, c.p.c., pena la nullità dell’intero giudizio, quando si chiede la revoca cautelare ai sensi dell’art. 2476, 3o comma, c.c. dell’amministratore unico di
s.r.l. Il medesimo tribunale, con ordinanza 6 settembre 2005 (125), ha stabilito che
l’inscindibilità della richiesta cautelare di revoca dell’amministratore rispetto all’azione di responsabilità nei suoi confronti trova uno specifico riscontro nella dizione letterale dell’art. 2476, 3o comma, c.c. in forza del quale il socio può promuovere l’azione di responsabilità contro gli amministratori e può « altresì » chiedere che sia adottato un provvedimento cautelare di revoca: espressione, questa,
che fa pensare ad un collegamento tra due iniziative giudiziali, nel senso che la richiesta di revoca viene ad aggiungersi, in via di urgenza, al giudizio di cognizione,
contestualmente o in precedenza instaurato.
Con un’articolata sentenza, Trib. Napoli, 20 ottobre 2005 (126), ha affermato
(118) In Dir. fall., 2007, 299.
(119) In Giur. merito, 2007, 1377, con nota di SANGIOVANNI, Revoca ante causam dell’amministratore di s.r.l.
(120) In Dir. prat. soc., n. 20 del 2006, 83, con nota di LONGHINI.
(121) Le tre ultime decisioni sono pubblicate, tra loro riunite, in questa Rivista, 2007,
II, 910, con nota di CAGNASSO, Revoca cautelare dell’amministratore di società a responsabilità limitata ed azione di responsabilità: una convivenza problematica. La pronuncia della
corte siciliana è pubblicata, inoltre, in Vita. not., 2006, 316; in Dir. fall., 2006, con nota di
ZINO.
(122) I provvedimenti sono pubblicati in particolare: Trib. Milano, 18 gennaio 2006
(ord.), in Società, 2007, 1141, con nota di CASABURI; Trib. Milano, 12 gennaio 2006 (ord.),
in Società, 2007, 1009, con nota di LONGO, che sottolinea come a distanza di quasi tre anni
dall’entrata in vigore della riforma del diritto e del processo societario, non sembra rinvenibile nel panorama delle opzioni interpretative una soluzione univoca o quanto meno maggioritaria; cfr. FICO, La revoca degli amministratori nella s.r.l., in Società, 2007, 1098.
(123) In Società, 2006, 885, con nota di PICARONI.
(124) In Società, 2007, 76, con nota di MALAVASI.
(125) In Società, 2007, 76.
(126) In Società, 2006, 626, con nota di BITONTO.
273/II
che la domanda giudiziale di revoca in via definitiva, sulla scorta di una cognizione piena e non sommaria, degli amministratori di società a responsabilità limitata è da reputare, alla stregua della reale portata dell’art. 2476, 3o comma, c.c.
inammissibile, giacché già al momento della sua proposizione il diritto in concreto
azionato non è neppure astrattamente configurabile. Secondo il tribunale l’art.
2476, 3o comma, c.c. non contempla affatto, a differenza di quanto prefigurato all’art. 2259, 3o comma, c.c. (in tema di società semplice), un’azione, a cognizione
piena, finalizzata all’attuazione giurisdizionale del diritto sostanziale (evidentemente e parallelamente non previsto) di ciascun socio di s.r.l. a conseguir la revoca definitiva del titolare ovvero dei titolari dalla carica gestoria: detta norma
prevede unicamente, in singolare connessione con l’azione sociale di responsabilità, ossia con un’azione (di cognizione) di condanna, una mera azione cautelare
che riflette i caratteri di un’azione (di cognizione) costitutiva, azione costitutiva di
cui, nondimeno, non vi è traccia alcuna nel letterale dettato dell’art. 2476 c.c..
Pertanto, prosegue la sentenza, l’elaborazione giurisprudenziale non può in alcun
modo insinuare, nel tessuto normativo dell’art. 2476 c.c., un’azione costitutiva a
cognizione piena mirante alla (pronuncia di) revoca definitiva degli amministratori
dall’ufficio gestorio: l’applicazione analogica dell’art. 2259, 3o comma, c.c. appare
indiscutibilmente preclusa dal carattere tipico della tutela costitutiva, destinata ad
esplicarsi, in dipendenza della riserva di legge di cui all’art. 2908 c.c., nei soli casi
previsti dal legislatore, e, quindi, ai sensi dell’art. 14 delle preleggi, dal suo carattere eccezionale, connesso alla tendenziale intangibilità, pur da parte dell’organo
giurisdizionale, della sfera di esplicazione dell’autonomia costituzionale garantita
(art. 41, 1o comma, Cost.) ai privati. Il tribunale ritiene pertanto che il provvedimento cautelare di revoca ex art. 2476, 3o comma, c.c. non ha di per sé attitudine
ad acquisire definitiva efficacia in dipendenza della « stabilità » assicurata dalla
« riforma », nonostante il mancato inizio ovvero l’estinzione del giudizio di merito, ai provvedimenti d’urgenza ed ai provvedimenti cautelari idonei ad anticipare
gli effetti della decisione di merito: invero non possono in via cautelare essere
« definitivamente » anticipati gli effetti atti a scaturire da una statuizione (costitutiva) di merito non espressamente prevista. Nel quadro dell’originale connessione
prefigurata tra il provvedimento cautelare di revoca di valenza costitutiva e la statuizione a cognizione piena di condanna, il disconoscimento della pretesa risarcitoria, pur con sentenza non passata in giudicato, vale senza dubbio a determinare,
ai sensi dell’art. 669-novies, 2o comma, c.p.c., l’inefficacia della revoca interinalmente disposta; nondimeno, l’affermazione della pretesa risarcitoria del pari vanifica il provvedimento cautelare, ripristinando nella titolarità dell’ufficio gestorio la
persona o le persone che ne sono state provvisoriamente rimosse. Seguono,
quindi, i seguenti passaggi decisionali: a) nella significativa « contrattualizzazione » del diritto societario conseguente alla dilatazione, quasi illimitata per la
s.r.l., dei margini dell’autonomia statutaria, la collettività dei soci, in dipendenza
dell’omesso richiamo, nell’ambito della disciplina della s.r.l., dell’art. 2383, 3o
comma, c.c. non può, nonostante la presenza di una giusta causa, procedere alla
revoca degli amministratori; b) il conferimento a ciascun socio della legittimazione
all’esercizio dell’azione di cui all’art. 2476, 3o comma, c.c. ha valenza di attribuzione ex lege ad ognuno dei componenti della compagine collettiva, benvero ai soli
fini dell’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, del potere di diretta gestione e di diretta rappresentanza, sostanziale e processuale, dell’impresa sociale:
274/II
all’unico scopo della reintegrazione del patrimonio della società menomato dall’atto di mala gestio dell’amministratore o degli amministratori in carica la soluzione prescelta dall’art. 2476, 3o comma, c.c. riproduce sul terreno della s.r.l. le
opzioni positive di cui agli artt. 2257, 1o comma, c.c. e 2266, 2o comma, c.c. ovvero la regola per cui ciascun socio è amministratore e rappresentante della società; c) il socio o i soci, ancorché non spendano formalmente il nome della società nell’attivarsi e costituirsi in giudizio, onde reintegrare non già il proprio
(come sarebbe, se ad esser esercitata fosse l’azione di cui all’art. 2476, 6o comma,
c.c.), sebbene il patrimonio della società depauperato dalle negligenti condotte degli amministratori, agiscono nondimeno in nome e per conto della società medesima.
Trib. Milano, 18 agosto 2006 (ord.) (127), infine, riconosce la legittimazione
attiva all’azione di revoca cautelare ex art. 2476 c.c., al contitolare di una quota
indivisa, il quale, in tale azione, fa valere pretese inerenti la sua qualità di socio.
10.6.2. Revoca e art. 700 c.p.c. — Il ricorso cautelare atipico, secondo Trib.
Ravenna, 25 novembre 2005 (ord.) (128), è precluso dal carattere sussidiario o residuale dell’art. 700 c.p.c., laddove l’esigenza cautelare sia adeguatamente soddisfatta attraverso una misura cautelare tipica (nella specie rappresentata dalla revoca dell’amministratore ex art. 2476, 3o comma, c.c.).
10.6.3. Nomina di nuovo amministratore in seguito a provvedimento cautelare di revoca. — Trib. Macerata, 27 febbraio 2006 (ord.) (129), dopo aver stabilito
che nella s.r.l. non può trovare accoglimento la domanda di nomina di un amministrazione giudiziario, essendo stato soppresso il controllo giudiziario sulla regolarità dell’amministrazione, ha affermato che, a seguito della revoca dell’amministratore in via cautelare, ex art. 2476 c.c., resta dell’assemblea, ovvero dei soci, il
potere di nomina dell’amministratore nuovo, in armonia con le disposizioni dello
statuto e secondo la previsione dell’art. 2479 c.c., previa convocazione dell’assemblea che il più diligente dei soci vorrà effettuare.
Diversamente, ammette la possibilità di provvedere alla nomina giudiziaria
dell’amministratore di s.r.l., Trib. Salerno, 28 febbraio 2005 (130), pronunciando
sulla posizione dell’amministratore unico di s.r.l., anche socio accomandatario e
amministratore di una società avente lo stesso oggetto sociale e la stessa sede della
s.r.l. amministrata. Al proposito, il tribunale, ravvisando nella situazione un grave
conflitto di interessi e, contemporaneamente, violazione del disposto dell’art.
2390 c.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie, ritiene ammissibile, per tale
ipotesi, la nomina autoritativa del nuovo amministratore.
(127) In www.associazionepreite.it; cfr. MONDINI, (nt. 116).
(128) In questa Rivista, 2007, II, 874, con nota di BENATTI, Osservazioni sulla revoca
cautelare degli amministratori di s.r.l. In tema v., inoltre, CALVOSA, Limiti all’applicabilità
dell’art. 700 c.p.c., in Giur. it., 1966, I, 2, 141.
(129) In Società, 2007, 58, con nota di CAPPELLETTI. Sul dibattito intorno all’applicabilità dell’art. 2409 c.c. alla s.r.l., per i profili sia sostanziali che processuali, v. le indicazioni
nella precedente Rassegna, 2006, § 12, 233, nonché infra, il § 12.
(130) In Giur. merito, 2007, 728.
275/II
10.6.4. Revoca per giusta causa. — In dottrina si osserva che, in tema di revoca degli amministratori, la nuova disciplina della s.r.l. detta, come unica previsione, quella dell’art. 2476, 3o comma, c.c. che consente, in sede di esercizio dell’azione sociale di responsabilità e in presenza di gravi irregolarità gestionali, di
domandare la revoca in via cautelare degli amministratori. Sui profili privi di specifica regolamentazione, quale la revoca per giusta causa e il preavviso al quale ha
diritto l’amministratore nominato a tempo indeterminato, Trib. Milano, 20 dicembre 2005 (131), decidendo in base al diritto previgente, precisa che le motivazioni
che integrano la giusta causa di revoca devono essere esplicitate nella delibera assembleare che la dispone (ove tale competenza, per regola statutaria, spetti all’organo decisionale, come era previsto nel diritto previgente), non potendo venire
prese in considerazione nel processo altre motivazioni.
10.7. Azione sociale di responsabilità. — Il tribunale di Milano, con due
pronunce gemelle, Trib. Milano, 28 novembre 2005 (132), e 12 marzo 2007 (133), ribadisce che l’azione di responsabilità svolta dal fallimento ai sensi dell’art. 146 l.
fall., come per giurisprudenza costante e, oramai, anche per espressa previsione di
legge (art. 2394-bis c.c.), racchiude con carattere unitario ed inscindibile l’azione
sociale di responsabilità ai sensi dell’art. 2393 c.c., per violazione dei doveri imposti dalla legge, e l’azione di responsabilità verso i creditori sociali, ex art. 2394
c.c., per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del
patrimonio sociale (134). Sul piano dell’onere probatorio — proseguono i due provvedimenti — ciò comporta che chi agisce deve dimostrare l’inadempimento dell’amministratore ad uno o più obblighi impostigli dalla legge o dall’atto costitutivo, il nesso causale tra la condotta e le conseguenze pregiudizievoli, il danno riconducibile in via immediata e diretta alla condotta dolosa o colposa dell’amministratore.
Anche ad avviso di Trib. Napoli, 6 ottobre 2004, e di Trib. S. Maria Capua
Vetere, 18 marzo 2005 (135), dopo la dichiarazione di fallimento la legittimazione
(131) In Giur. it., 2006, 983, con nota di WEIGMANN. Sull’argomento v., inoltre, WEIGLa revoca degli amministratori di società a responsabilità limitata, Il nuovo diritto
delle società. Liber amicorum (nt. 6), 3, 541; ZANARDO, Alcuni spunti sulla disciplina della
revoca degli amministratori in società a responsabilità limitata, in Contr. e imp., 2006,
1595, e, da ultimo, SANGIOVANNI, La revoca di amministratori di s.r.l., in Società, 2007,
1328.
(132) In Società, 2007, 67, con nota di FANTI, il quale affronta espressamente il tema
dell’applicabilità dell’art. 146 l. fall. in caso di fallimento di s.r.l. Con riferimento al diritto
previgente, cfr. BONELLI, Art. 146, 2o comma, l. fall.: l’azione di responsabilità del curatore
contro gli amministratori di s.p.a. fallite, in questa Rivista, 1982, II, 797; JAEGER, La responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle procedure concorsuali: una valutazione critica, ivi, 1988, I, 548; CASSOTTANA, La responsabilità degli amministratori nel fallimento di
società per azioni, Milano, Giuffrè, 1984, 87 ss.; ID., Responsabilità degli amministratori
nella crisi d’impresa, in Fall., 2004, 298 ss. Sulla nuova disciplina delle responsabilità gestorie introdotta dall’art. 2476, 7o comma, cfr. V. MELI, La responsabilità dei soci nella s.r.l., in
Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, (nt. 6), 3, 665.
(133) In Giur. it., 2007, con nota di T. RICOLFI.
(134) In senso conforme, Trib. Milano, 14 novembre 2006, in Società, 2007, 864, con
nota di LEONE.
(135) In Fall., 2006, 190, con nota di CONTE. In tema v. ROCCO DI TORREPADULA, La reMANN,
276/II
del curatore all’azione ex art. 2476, 3o comma, c.c. è esclusiva, mentre allo stesso
soggetto viene ritenuto sia negato l’esperimento dell’azione dei creditori sociali.
Sotto diverso profilo, Trib. Milano, 21 dicembre 2005 (ord.) (136), ha affermato che il nuovo art. 2476 c.c., in materia di responsabilità degli amministratori,
introduce una fattispecie di azione sociale nella quale il socio agisce in veste di sostituto processuale e la società è litisconsorte necessario. Ove, pertanto, il legale
rappresentante della società — conclude il tribunale — sia chiamato a rispondere.
ex art. 2476 c.c., di comportamenti lesivi dell’interesse sociale, sussiste un conflitto di interessi che può essere risolto soltanto con la nomina di un curatore speciale (137).
Circa la rinuncia all’azione sociale di responsabilità, Trib. Milano, 2 dicembre
2005 (138), ha stabilito che perché essa possa produrre efficacia, deve essere deliberata dall’assemblea in relazione a specifici e concreti episodi di amministrazione
integranti la pretesa risarcitoria della società. Per tale ragione, conclude il tribunale, non è ammissibile una rinuncia anteriore ai fatti di mala gestio.
Sul presupposto che l’azione sociale di responsabilità attiene a diritti disponibili, essa, così come può formare oggetto di rinuncia e transazione, è anche compromettibile in arbitrato ed è perciò valida ed efficace la clausola statutaria che lo
preveda: in questi termini, le decisioni di Trib. Milano, 25 giugno 2005, e Trib.
Bologna, 25 maggio 2005 (139).
10.7.1. Legittimazione all’esercizio dell’azione sociale. — Sulla legittimazione attiva all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, le decisioni di Trib.
Milano, 12 aprile 2006 (140) e 2 novembre 2006 (141), danno avvio a un orientamento diverso da quello che era stato inaugurato dalle prime pronunzie in tema, e
seguìto in precedenza anche dallo stesso collegio milanese (142). Nelle decisioni ansponsabilità degli amministratori nel fallimento della società a responsabilità limitata, in
Fall., 2006, 1464.
(136) In Società, 2007, 193, con nota di DUBINI-LENTINI.
(137) In generale, sulla responsabilità degli amministratori verso la s.r.l. gestita, v.
SANGIOVANNI, La responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso la società, in Contr. e
imp., 2007, 693; con riferimento, poi, alla posizione del socio che intervenga nel compimento di atti di amministrazione dannosi, cfr. PATRIARCA, La responsabilità del socio « gestore » di s.r.l., in Società, 2007, 1191; RANIELI, La responsabilità gestoria dei soci di s.r.l.,
in Vita not., 2006, 999; ROSSI, Deformalizzazione delle funzioni gestorie e perimetro della
responsabilità da gestione, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore (nt. 8), III, t. 3, 3687;
ZOPPINI, Intestazione fiduciaria e responsabilità per atti di « eterogestione » (art. 2476, 7o
comma, c.c.), in Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, 573.
(138) In Società, 2006, 1525, con nota di CIVERRA. In termini, Trib. Milano, 10 febbraio 2000, in questa Rivista, 2000, II, 326, secondo il quale una delibera di manleva per
l’attività svolta dagli amministratori in considerazione del suo contenuto generico, non può
essere valutata come rinuncia all’azione sociale di responsabilità.
(139) Entrambe in Giur. it., 2006, 1639, con nota di RESTANO, Brevi considerazioni
sull’arbitrato societario quale strumento per la risoluzione delle controversie tra amministratori e società.
(140) In Giur. it., 2006, 2096, con nota di CAGNASSO, Azione di responsabilità e s.r.l.:
a legittimazione (anch’essa) limitata?
(141) In Giur. it., 2007, 655.
(142) In Dir. prat. soc., 19/2006, 69.
277/II
teriori (143), sul solco delle quali si pongono anche Trib. Bologna, 12 settembre
2005 (144), Trib. Milano, 17 dicembre 2005, nonché Trib. Treviso, 16 gennaio
2006 (ord.) (145), era stata ritenuta l’esistenza di una duplice legittimazione, spettante sia alla società, sia al singolo socio, quale sostituto processuale della
prima (146).
Nelle nuove pronunce del Trib. Milano ora in rassegna si afferma, invece, che
l’esperimento dell’azione di responsabilità è precluso alla società, per spettare in
via esclusiva, giusta l’art. 2476 c.c., ad ogni socio. Nella articolata e sostanzialmente identica motivazione dei due provvedimenti si argomenta la soluzione adottata, innanzitutto, sulla base dell’assenza, nelle norme che disciplinano la s.r.l., di
previsioni che espressamente attribuiscano alla società il potere di esperire l’azione di responsabilità e sull’impossibilità di richiamare le regole dettate per la
s.p.a., data l’autonomia di disciplina di ciascuno di tali tipi societari. Nella previsione della legittimazione data al singolo socio, la cui decisione al riguardo è
quindi svincolata dalle scelte della maggioranza, viene, in particolare, ravvisata
una manifestazione della centralità della persona del socio propria del nuovo modello normativo della s.r.l., che trova conferma anche nei poteri individuali di controllo e nella possibilità per il singolo socio di chiedere in via cautelare la revoca
dell’amministratore. Sul piano processuale, i corollari che i giudici traggono dalla
prospettata ricostruzione dell’istituto sono l’estraneità, ad esso, del litisconsorzio
necessario tra il socio agente e la società interessata al giudizio, e la compressione
dello spazio di intervento concesso alla società nel giudizio di responsabilità promosso dal socio, limitato all’obbligo di rifusione delle spese al socio, in caso di
esito vittorioso dell’azione intrapresa, e della possibilità di rinuciare agli atti del
giudizio. La tutela risarcitoria che può riconoscersi alla società per i danni da essa
subìti per causa degli amministratori può trovare titolo, eventualmente, solo nel
compimento di fatti illeciti direttamente lesivi per essa, ed essere autonomamente
azionata, perciò, solo ex art. 2043 c.c.
Per le società cooperative che facciano rinvio al tipo s.r.l., l’esercizio dell’azione di responsabilità, ex art. 2476, 3o comma, c.c. da parte del singolo socio, ad
avviso di Trib. Cagliari, 15 novembre 2006, inedita, è da escludersi (147). La legitti(143) Cfr. Trib. Milano, 10 gennaio 2005, richiamato nella precedente Rassegna,
2006, § 10.1, 231 ss.; conformemente Trib. S. Maria Capua Vetere, in Società, 2005, 477,
con nota di SANDULLI. Il provvedimento in esame, peraltro, cita, in senso conforme alla propria decisione, alcuni precedenti del collegio milanese, che non risultano al momento editi.
(144) In Vita not., 2007, 215.
(145) In Giur. it., 2006, 1878.
(146) In particolare il socio si qualificherebbe come soggetto che fa valere in nome
proprio un diritto altrui, con la peculiarità di essere egli stesso portatore e partecipe — in
quanto socio — dell’interesse alla rifusione del danno causato al patrimonio della società. In
relazione a tale posizione, con riferimento alla ipotesi vicina dell’azione di responsabilità
delle minoranze nella s.p.a., si è prospettata la qualificazione dell’azione in terrnini di negotiorum gestio processuale: così OPPO, L’azione ‘‘sociale’’ di responsabilità promossa dalla
minoranza nelle società quotate, in Riv. dir. civ., 1998, II, 408.
(147) Sul problema della disciplina applicabile alle cooperative in relazione al tipo,
azionario o a responsabilità limitata, alla quale rinviino, in relazione alle previsioni dell’art.
2519, v., in termini generali, BONFANTE, La compatibilità e/o l’applicabilità delle norme in
materia di s.p.a. e s.r.l. alle società cooperative, in Gli statuti delle imprese cooperative dopo
la riforma del diritto societario, a cura di Vella, Torino, Giappichelli, 2004. Per lo specifico
tema dei controlli nelle cooperative v. BELLO, Società cooperative: quale controllo?, in Corr.
278/II
mazione del singolo socio, secondo il collegio, duplicherebbe, infatti, gli strumenti
di reazione alle irregolarità gestionali posti a disposizione delle minoranze, che
nelle cooperative, ai sensi dell’art. 2545-quinquiesdecies c.c., hanno già il potere
di attivare il controllo giudiziario, e si introdurrebbe una disparità di trattamento
tra le cooperative di minori dimensioni, ammesse o vincolate a far rinvio alla disciplina delle s.r.l., e quelle maggiori, obbligate ad assumere la forma azionaria, nelle
quali l’esercizio dell’azione di responsabilità è sottratto al singolo azionista.
10.7.2. Legittimazione e diritto transitorio. — Trib. Marsala, 1 aprile 2005
(ord.) (148), ha affermato la legittimità della delibera avente ad oggetto l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di una s.r.l. e la loro contestuale revoca, adottata in epoca anteriore al 30 settembre 2004 dalla società il
cui statuto non era ancora stato adeguato alla nuova disciplina e non conteneva
patti sociali in materia, perché l’ipotesi ricade nell’ambito applicativo del novellato
art. 2479, ult. comma, c.c. che dichiara espressamente derogabile tale materia dall’autonomia statutaria. Secondo il tribunale, ai sensi del novellato art. 2476 c.c., la
legittimazione della società all’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti
degli amministratori non è esclusa dall’attribuzione di tale legittimazione ai singoli
soci, derivando dal fatto stesso della titolarità del diritto azionato. Sul regime transitorio di cui all’art. 223-bis disp. att., il tribunale parte dal presupposto che l’attività delle società di capitali costituite anteriormente al 1o gennaio 2004 è regolata
dalla nuova normativa allorché il relativo atto costitutivo/statuto contrasti con la
nuova normativa inderogabile; sempre nel periodo anteriore all’adeguamento ed in
ogni caso sino al 30 settembre 2004, nel silenzio dei patti sociali od in presenza di
un rinvio alla legge, esse sono disciplinate dalla vecchia normativa, laddove la
nuova, pur disponendo diversamente, ammetta una regolamentazione differente;
sempre nel periodo anteriore all’adeguamento, ed in difetto sino al 30 settembre
2004, dalla nuova normativa nei restanti casi. Ne discende, prosegue la sentenza,
che la delibera di promozione dell’azione di responsabilità e quella di revoca degli
amministratori, nella nuova disciplina normativa debbono essere prese, dall’assemblea dei soci ex art. 2479 c.c., con la maggioranza di cui all’ultimo comma, a
mente del quale « salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, le decisioni dei
soci sono prese con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà
del capitale sociale ». Conclusivamente, la delibera assembleare di promozione
dell’azione di responsabilità e di revoca nei confronti del reclamante sono sottoposte, ratione temporis, alla « vecchia » normativa di cui all’art. 2393 c.c., alla cui
stregua deve essere valutata la sussistenza di fumus boni iuris e del periculum in
mora.
10.7.3. Deliberazione dell’azione di responsabilità non all’ordine del
merito, 2007, 850; MARANO, Vigilanza governativa e controllo giudiziario sulle società cooperative, in questa Rivista, 2004, I, 24; TEDESCHI, I controlli, in Le cooperative prima e dopo
la riforma del diritto societario, a cura di Marasà, Padova, CEDAM, 2004, 717; PAOLUCCI, sub
art. 2545-quinquiesdecies, in Commentario Maffei Alberti, IV, Padova, CEDAM, 2945; RACUGNO, La società cooperativa, in Trattato Buonocore, Torino, Giappichelli, 2006, 37.
(148) In Società, 2006, 733, con nota di LOLLI.
279/II
giorno. — Trib. Marsala, 21 giugno 2005 (149), e Trib. Bologna, 12 settembre
2005 (150), con provvedimenti consonanti, decidono sul problema della applicazione analogica nella s.r.l. dell’art. 2393, 2o comma, c.c. che, nelle s.p.a., consente
di deliberare sull’azione sociale di responsabilità nella assemblea convocata per
l’approvazione del bilancio, anche se la questione non sia posta all’ordine del
giorno, quando la responsabilità sia riferita a fatti di competenza dell’esercizio sottoposto al vaglio della compagine societaria. Entrambi i provvedimenti riconoscono nella previsione sopra richiamata una norma di natura speciale, che, nel rispetto del principio di stretta intepretazione di cui all’art. 14 prel., in considerazione anche degli effetti che le delibere in esame sono destinate a produrre nella
sfera giuridica degli amministratori, risulta insuscettibile di applicazione analogica
nella s.r.l. In quest’ultimo tipo sociale, perciò, l’azione di responsabilità e la delibera di revoca degli amministratori sono soggette alla disciplina generale dell’art.
2479-bis c.c. Soggiungono, al riguardo, i giudici bolognesi, richiamando anche la
decisione del Tribunale di Marsala qui in rassegna, che la necessità della preventiva informazione dei soci sull’oggetto delle delibere da assumere in sede assembleare costituisce un principio generale, che assume carattere ancora più stringente nel nuovo modello di s.r.l., in relazione « alla centralità del ruolo del socio e
del sistema collegiale che disegna il diritto di ‘‘contribuire’’ alle decisioni quale
elemento irrinunciabile della partecipazione societaria, indisponibile ad opera dell’autonomia statutaria ». La norma dell’art. 2393, 2o comma, c.c. si pone come deroga a tale principio e va pertanto qualificata come norma eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica.
10.8. Azione dei creditori sociali. — Per quanto concerne l’azione di responsabilità dei creditori nei confronti degli amministratori di s.r.l., Trib. S. Maria
Capua Vetere, 18 marzo 2005 (151), e Trib. Milano, 25 gennaio 2006 (152), hanno
reputato non esperibile l’azione da parte dei creditori (o del curatore fallimentare), in quanto essa non è più espressamente prevista per le s.r.l. a seguito delle
modifiche introdotte dal d. lgs. n. 6 del 2003. In senso opposto, Trib. Pescara, 15
(149) In www.judicium.it.
(150) In Vita not., 2007, 215.
(151) In Fall., 2006, 190.
(152) In Società, 2007, 320, con nota di CARMINATI. In senso conforme Trib. Napoli,
11 marzo 2004, in Società, 2005, 1014, con nota di CRISTIANO. Sul problema e il significato
del mancato richiamo dell’art. 2394 per le s.r.l., v. LIBONATI, Creditori sociali e responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, (nt. 6), 3, 621. Più in generale, per il tema delle azioni di responsabilità nei confronti
degli amministratori v. DI AMATO, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della
società a responsabilità limitata, in questa Rivista, 2003, I, 287 ss., 299; TETI, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, (nt. 6),
3, 631; SALAFIA, Profili di responsabilità degli amministratori di società di capitali, in Società, 2005, 1336, secondo il quale l’azione di responsabilità, qualora qualificabile come surrogatoria, potrebbe essere proposta dai creditori in forza del principio generale di cui all’art.
2900 c.c. Per l’integrazione della nuova disciplina con quella regolativa della s.p.a. — sussistendo la eadem ratio — e quindi per la legittimazione all’azione di responsabilità da parte
del curatore, del commissario liquidatore e del commissario straordinario, v. Trib. Udine, 11
febbraio 2005, in Dir. fall., 2005, II, 808, con nota di BIANCA.
280/II
novembre 2006 (153), sulla base dell’assunto che l’art. 2394 c.c. debba invece ritenersi applicabile, anche dopo la riforma del diritto societario e nonostante il silenzio dell’art. 2476 c.c., agli amministratori di s.r.l., legittima l’esercizio della corrispondente azione, in caso di fallimento, da parte del curatore fallimentare, ex art.
146 l. fall., nel testo antecedente la riforma di quest’ultimo corpo normativo.
Di azione dei creditori sociali si occupa anche Trib. Milano, 2 ottobre
2006 (154), benché in tale decisione, ove si pronuncia secondo il diritto previgente,
l’ammissibilità dell’azione non appaia questione problematica. Si tratta, tuttavia,
di decisione infrequente, nella casistica giurisprudenziale, dato che in essa l’azione
veniva esperita non in sede fallimentare, ma dai creditori di società in bonis. Il
collegio ha perciò occasione di puntualizzare il carattere extracontrattuale dell’azione e i suoi presupposti; nel provvedimento si precisa, inoltre, che la legittimazione del creditore non è subordinata alla titolarità di un credito certo, liquido ed
esigibile, essendo sufficiente che il creditore prospetti la propria posizione, anche
se soggetta ad accertamento o sottoposta a termine o a condizione.
10.9. Azione dei singoli soci e terzi. — Quanto all’azione risarcitoria spettante al socio o al terzo che abbia subìto un danno diretto al proprio patrimonio,
per essa, che potrebbe essere esercitata dal socio di s.r.l. anche cumulativamente
con l’azione sociale di responsabilità, ex art. 2476 c.c., poiché i due rimedi operano su piani distinti, Trib. Palermo, 9 settembre 2006 (155), ribadisce il principio
che il danno diretto per il quale si agisce non può consistere nella mera svalutazione del valore della quota di partecipazione dipendente da perdite del patrimonio sociale, pur provocate da comportamenti illegittimi degli amministratori. Il
medesimo principio viene nuovamente confermato da Cass., 3 aprile 2007, n.
8359 (156). In modo esplicito la S.C., inoltre, riafferma la natura extracontrattuale
della responsabilità prevista dall’art. 2395 c.c., quale species di quella generale da
fatto illecito.
Negli stessi termini di responsabilità aquiliana si pronuncia anche Trib. S.
Maria Capua Vetere, 10 ottobre 2006 (157), decidendo sulla responsabilità dell’amministratore verso il singolo socio per il danno diretto che questi lamentava di
aver subìto per essere stato indotto, a causa di una relazione non veritiera presentata dall’amministratore, a sottoscrivere un aumento di capitale sociale, conseguente alla riduzione del capitale al di sotto del limite legale, al quale non si sarebbe diversamente determinato. Il danno risarcibile, inoltre, secondo il tribunale,
comprende solo le somme versate per la sottoscrizione dell’aumento di capitale,
mentre non vi rientrano quelle versate dal socio alla società senza la previsione di
un obbligo di restituzione e successivamente imputate a capitale.
Trib. Milano, 28 settembre 2006 (158), infine, risolve positivamente la questione della coesistenza della responsabilità extracontrattuale degli amministratori
per i danni subìti da singoli soci o terzi, con quella quella della società per ina(153)
(154)
(155)
(156)
(157)
(158)
In
In
In
In
In
In
Foro it., 2007, I, 2262, con nota di SIMONETTI.
Giur. it., 2007, 382, con nota di IOZZO.
Foro it., 2007, I, 2270, con nota di RORDORF.
Giur. it., 2007, 2761.
Giur. it., 2007, 2511, con nota di RIVARO.
Giur. it., 2007, 387.
281/II
dempimento, se gli amministratori, con la loro condotta, abbiano determinato una
interferenza causalmente rilevante rispetto all’adempimento delle obbligazioni
della società (159). Nella specie, l’inadempimento della società era consistito nella
mancata distribuzione degli utili, in presenza di una clausola statutaria che ne imponeva a priori la distribuzione. Il comportamento sociale difforme dalle previsioni della clausola, per effetto della quale il socio acquista un diritto patrimoniale
agli utili risultati da bilancio, viene individuato, insieme, come inadempimento
della società a una propria obbligazione nei confronti del socio e come condotta
negligente e causativa di danno da parte dell’amministratore, azionabile dal socio
ex art. 2395 c.c.
11. Collegio sindacale. — Trib. Milano, 17 gennaio 2007 (160), affronta il
problema dei poteri, doveri e responsabilità del collegio sindacale nelle s.r.l., ribadendo il principio pacifico, in ordine alla responsabilità concorrente prevista dall’art. 2407, 2o comma, c.c. che quella gravante sui sindaci non è una automatica
proiezione della responsabilità degli amministratori. I sindaci « non rispondono
per il fatto in sé degli amministratori, ma rispondono per il danno solo in quanto
sia configurabile a loro carico la violazione di un obbligo inerente la loro funzione,
con la conseguenza che, qualora questi abbiano vigilato diligentemente, e ciò nonostante il danno si sia ugualmente prodotto per il comportamento degli amministratori, non potrà essere ravvisata alcuna loro responsabilità ». Nella specie, era
emerso il perdurante difetto di collaborazione dell’amministratore, che aveva ostacolato, anche non fornendo le informazioni o i documenti richiesti, le verifiche del
collegio sindacale.
12. Controllo giudiziario. — In merito all’applicabilità dell’art. 2409 alla
s.r.l. continuano ad emergere indirizzi difformi, benché la materia, come si era già
segnalato nella precedente rassegna (161), sia stata affrontata dalla Corte Costituzionale, 14 dicembre 2005, n. 481 (162), la quale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2409 e 2476, 3o comma, c.c. sollevata
(159) Sul problema v., da ultimo, App. Milano, 23 giugno 2004, in questa Rivista,
2006, II, 1049, con nota di LOFFREDO.
(160) In Società, 2007, 1372, con nota di SPALTRO; in Giur. it., 2007, 2778, con nota
di IOZZO.
(161) V. Rassegna, 2006, § 12.1, 235 ss.
(162) La sentenza è pubblicata in tutte le principali riviste, tra le quali questa Rivista,
2006, II, 798, con note di RIMINI, L’art. 2409 c.c. e le s.r.l. dopo l’intervento della Consulta,
e TINTISONA, Controllo giudiziario e nuova s.r.l.; in Giur. it., 2006, 2087, con nota di DESANA, La pronuncia della Corte Costituzionale sul controllo giudiziario nella società a responsabilità limitata: permangono i dubbi sulla legittimazione alla denuncia del collegio
sindacale; in Riv. dir. soc., 2007, 69, con nota di MATONTI-PANUCCI, Inammissibilità della
denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. nella s.r.l.; in Riv. dir. comm., 2006, II, 19, con note
di BRIZZI, Controllo giudiziario nella s.p.a. e revoca dell’amministratore di s.r.l., tra dubbi di
costituzionalità fugati e profili processuali; PRINCIPE, Note a margine di una recente sentenza
della Corte Costituzionale a proposito del controllo sulla gestione nelle società a responsabilità limitata; in Dir. fall., 2006, II, 427, con nota di PENTA, Controllo giudiziario ex art. 2409
cod. civ., revoca degli amministratori di società a responsabilità limitata e surrogabilità delle
tutele: la Corte Costituzionale si pronuncia. La pronuncia di Trib. Cagliari, 4 febbraio 2005
(ord.), di rimessione della questione alla base della pronuncia della Corte Costituzionale, già
segnalata nella precedente Rassegna, è ora pubblicata in Giur. it., 2006, 75.
282/II
in riferimento all’art. 76 Cost., nella parte in cui non prevedono l’applicabilità dell’istituto del controllo giudiziario alla s.r.l. Secondo la Corte è parimenti infondata
la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2409, 2476, 3o comma, c.c. e
dell’art. 2477, 4o comma, c.c. in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non
riconoscono al socio di s.r.l., bensì esclusivamente ai sindaci di s.r.l. e ai soci di
s.p.a., il diritto di effettuare la denuncia al tribunale di gravi irregolarità nella gestione.
Nelle more della pronuncia del giudice delle leggi, si sono espressi, peraltro,
Trib. Milano, 8 luglio 2005 (decr.) (163) e Trib. Roma, 1 dicembre 2004 (decr.), a
favore della applicabilità del controllo giudiziario alle s.r.l. con collegio sindacale
obbligatorio, in virtù del richiamo operato dall’art. 2477 c.c. alle norme dettate
per la s.p.a. in tema di collegio sindacale. Sul decreto dei giudici romani, in sede
di reclamo, App. Roma, 7 aprile 2005 (decr.) (164), interviene in riforma del provvedimento, pervenendo a soluzione opposta. Nel senso di quest’ultima decisione si
pone, inoltre, App. Roma, 13 aprile 2005 (decr.) (165).
In condivisione di tale ultimo indirizzo, App. Roma, 13 luglio 2006
(decr.) (166), sulla base del presupposto che la peculiare struttura organizzativa
della s.p.a. rappresenti una condizione sostanziale del procedimento ex art. 2409
c.c., condizione che deve sussistere al momento della decisione, afferma la improcedibilità della denuncia qualora, prima che intervengano provvedimenti decisori
nel procedimento promosso dal collegio sindacale di una s.p.a., l’assemblea di
quest’ultima nel deliberi la trasformazione in s.r.l.
Quanto alla ammissibilità del controllo giudiziario nelle società cooperative
che statutariamente adottino la disciplina della società a responsabilità limitata,
per Trib. Cagliari, 15 novembre 2006 (167), la norma dell’art. 2515-quinquiesdecies c.c., nel prevedere in termini generali il controllo giudiziario nelle società cooperative, senza operare distinzioni tra l’uno e l’altro tipo di esse, rende applicabile
tale forma di tutela in tutte le cooperative, a prescindere dalla forma — azionaria
o a responsabilità limitata — che esse rivestano.
13.
Bilancio e scritture contabili.
13.1. Bilancio. — Cass., 20 dicembre 2005, n. 28243 (168), interviene in or(163) In Foro it., 2006, I, 1240.
(164) Entrambi i provvedimenti dei giudici romani sono pubblicati in questa Rivista,
2006, II, 81, con note di GABRIELLI, Quali controlli per le società a responsabilità limitata?,
e DONATO, È applicabile l’art. 2409 c.c. alla s.r.l. riformata?; e commentati anche da SENINI,
Inammissibile il controllo ex art. 2409 c.c. nella s.r.l., in Società, 2006, 451. Sul tema, anche
per la ricostruzione degli orientamenti e per la valutazione dell’istituto del controllo giudiziario in rapporto alla s.r.l., cfr. GUIDOTTI, Il controllo giudiziale nella s.r.l. con collegio sindacale, in Contr. imp., 2007, 219; RIVOLTA, Il controllo giudiziario sulla gestione nel nuovo diritto delle società, in questa Rivista, 2005, I, 757; ROCCO DI TORREPADULA, La società a responsabilità limitata e il controllo giudiziario previsto dall’art. 2409 c.c., in Scritti in onore
di Vincenzo Buonocore (nt. 8), III, t. 3, 3337; SEGA, Il controllo giudiziale nella s.r.l.: orientamenti giurisprudenziali, in N. giur. civ. comm., 2007, II, 139.
(165) In Giur. it., 2006, 75, con nota di MARRA, L’art. 2409 c.c. e la nuova s.r.l.: in attesa della Corte costituzionale già regna l’incertezza.
(166) In Foro it., 2007, I, 1593, con nota di SALVATI.
(167) Cit. supra, § 10.7.1.
(168) In Dir. prat. soc., 9/2006, con nota di VENTURINI.
283/II
dine alla natura della delibera di approvazione del bilancio, affermandone la natura negoziale e, in particolare, quella di atto unilaterale interno, inteso a regolare
rapporti intersoggettivi. La sentenza si inserisce in un contesto di valutazioni tra
loro non uniformi. Al riguardo, la dottrina si orienta per la qualificazione della delibera in termini di mera dichiarazione di scienza, come tale inidonea a dare ratifica agli atti compiuti dagli amministratori. Opposta la posizione assunta dalla
Corte di legittimità (169), ribadita anche nel provvedimento in rassegna, nel quale si
contestavano i compensi spettanti all’amministratore risultanti da bilancio, ma
non previamente deliberati. Secondo la S.C., le delibere di approvazione del bilancio non rappresentano « mere prese d’atto dell’attività dell’amministratore, ma atti
di appropriazione del rapporto da parte della società, idonee a costituire fonte di
obbligazione della società stessa nei confronti del proprio amministratore per ciò
che attiene ai compensi deliberati ».
Circa l’invalidità della delibera di approvazione del bilancio di esercizio, Trib.
Genova, 2 novembre 2005 (170), ha stabilito che, se il vizio, che viene dedotto
quale motivo di invalidità della delibera assembleare, ne comporta la nullità, non
vi è decadenza dalla relativa azione, se la domanda viene proposta oltre il termine
di novanta giorni indicato dall’art. 2479-ter, 1o comma, c.c. ma entro il termine
triennale indicato dall’art. 2479-ter, 3o comma, c.c. Secondo il tribunale, l’interesse del socio ad impugnare per nullità la deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio redatto in violazione delle prescrizioni legali non dipende solo
dalla frustrazione dell’aspettativa alla percezione di un dividendo o, comunque, di
un immediato vantaggio patrimoniale che una diversa e più corretta formulazione
del bilancio possa eventualmente evidenziare, ma può nascere dal fatto che la
poca chiarezza o la scorrettezza del bilancio non gli permetta di avere tutte le informazioni. In ogni caso, i chiarimenti forniti in assemblea dagli amministratori,
se adeguati, fanno venir meno l’interesse del socio, che li ha chiesti ed ottenuti, ad
eventuali impugnative della delibera di approvazione del bilancio di esercizio in
relazione ai punti dei chiarimenti. Pertanto — conclude la decisione — il vizio
della delibera denunciata risulta privo di fondamento dal momento in cui è emerso
pacificamente che il bilancio è stato redatto secondo il principio di veridicità, che
il risultato contabile corrisponde al vero, che della posta contabile oggetto di osservazione, sebbene possa apparire non chiara, nella nota integrativa, tuttavia, è
stata fornita informazione per rendere intelligibile e chiaro a soci e terzi l’origine
di tale voce e il rapporto sottostante.
La carenza di interesse ad agire per l’impugnativa della delibera di bilancio,
ove sia stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo a quello della delibera
(169) Cfr. Cass., 27 febbraio 2001, n. 2832; 21 novembre 1983, n. 6935, richiamate
dalla sentenza in rassegna.
(170) In Società, 2006, 619, con nota di SALAFIA. Circa il carattere dei chiarimenti forniti dagli amministratori ai soci nel corso dell’assemblea, essi hanno lo stesso valore di quelli
contenuti nella relazione al bilancio, atteso il carattere integrativo dei primi al fine dell’adempimento dell’obbligo della chiarezza: Cass., 11 marzo 1993, n. 2959. In tema di bilancio
può ricordarsi come dal 12 dicembre 2006 è in vigore il d. lgs. 7 novembre 2006 n. 285, che
attua la direttiva 2003/38/CE, in modifica della direttiva 1990/60/CE, relativa ai conti annuali, che ha innalzato i limiti per la redazione del bilancio in forma abbreviata, nonché
quelli per la perentoria redazione del bilancio consolidato.
284/II
impugnata, ai sensi dell’art. 2434-bis c.c., è rilevabile d’ufficio, secondo Trib. Treviso, 3 settembre 2004 (ord.) (171).
Trib. Milano, 5 giugno 2006 (172), si pronuncia anch’essa per la illiceità del bilancio, e per la conseguente nullità della delibera di approvazione, per violazione
dei principi di chiarezza e veridicità in ordine ai criteri di valutazione delle partecipazioni possedute, quando, nella nota integrativa, non sia riportata alcuna indicazione sulla differenza tra il costo di acquisto delle partecipazioni delle società controllate e la corrispondente frazione del patrimonio netto.
Circa la specifica questione della compromettibilità in arbitri delle controversie relative alla invalidità delle delibere di bilancio v. supra, § 9.10.
13.2. Scritture contabili. — App. Torino, 19 marzo 2007 (173), propone
un’interpretazione oggettiva del combinato disposto degli artt. 2709 e 2710 c.c.
Con riferimento alla controversia che vede parte del processo il curatore di una
s.r.l. dichiarata fallita, si afferma che, ai sensi dell’art. 2709 c.c., i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione costituiscono prova contro
l’imprenditore, ma la parte che intenda trarne vantaggio non può scinderne il contenuto, dovendo le scritture stesse, una volta invocate ed esibite, essere valutate
nella loro interezza, quale che sia la parte a cui favore o a cui carico depongono.
Tale principio di inscindibilità trova applicazione anche nei confronti del curatore
fallimentare, con la conseguenza che le risultanze dei libri e delle scritture contabili, che eventualmente depongano a favore dell’imprenditore, devono essere utilizzate dal giudice contro il curatore fallimentare che si avvalga di una annotazione contabile dell’imprenditore quale mezzo di prova addotto a fondamento
della propria pretesa, atteso che, in applicazione di detto principio, da un lato il
curatore medesimo non può pretendere di scindere il contenuto delle scritture, né
eccepire l’inopponibilità di quelle favorevoli alla controparte perché prive di data
certa, e, dall’altro, il giudice può assegnare alla singola annotazione valore di
prova contro l’imprenditore solo se il significato che si intende ad essa attribuire
non è smentito da altre scritture contabili (174). Sempre con riferimento alla materia della contabilità, Trib. Messina, 17 maggio 2001 (175), con una decisione resa
sotto il vigore delle ormai superate norme fallimentari, con riferimento ad una
s.r.l. che proponeva domanda di concordato preventivo, ha precisato che in tema
di requisiti per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, previsti dall’art. 160 l. fall., la tenuta di una regolare contabilità per almeno un biennio va intesa sia in senso formale, nel rispetto degli artt. 2214 ss. c.c., sia e soprattutto in
senso sostanziale, dovendosi comunque tutelare l’esigenza che risulti assicurata,
nell’interesse dei creditori, la possibilità di una chiara ricostruzione delle vicende
economiche dell’impresa nell’ultimo biennio anteriore alla proposta di concor(171) In www.judicium.it.
(172) In Dir. prat. soc., 6/207, 77, con nota di DISETTI e POZZI.
(173) In Fall., 2007, 807, con nota di SIGNORELLI.
(174) In argomento, v. RACUGNO, L’ordinamento contabile delle imprese, in Trattato
Buonocore, Padova, CEDAM, 2002, 72, e, più di recente, ID., voce Scritture contabili (nt. 85).
Sul principio di inscindibilità, secondo cui le scritture vanno lette ed interpretate nella loro
globalità, v., espressamente, Cass., 18 marzo 1999, n. 2473.
(175) In Fall., 2007, 430, con nota di MANDRIOLI.
285/II
dato; ne consegue che non risponde ai suddetti criteri la contabilità che, avuto riguardo all’accertata esistenza di pagamenti in nero non registrati, non rispecchia
la realtà delle operazioni economiche e finanziarie effettivamente realizzate.
14.
Operazioni sul capitale sociale. Aumento.
14.1. Sottoscrizione dell’aumento e compensazione. — Seguendo un orientamento consolidato, Trib. Isernia, 29 ottobre 2005 (176), ammette che la sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale avvenga con compensazione con il credito
del socio verso la società, a condizione che questo sia anteriore alla delibera di aumento e regolarmente appostato in bilancio come credito liquido ed esigibile, e
che tale situazione sia esplicitamente contemplata nella delibera di aumento. Lo
stesso provvedimento dichiara legittima la sottoscrizione dell’intero aumento deliberato da parte dei soli soci presenti, sotto la condizione risolutiva che, per la
parte spettante in opzione ai soci assenti, questi siano messi in condizione di esercitare il diritto loro spettante entro un determinato termine.
14.2. Violazione del diritto di sottoscrizione. — La natura inderogabile del
diritto dei soci di s.r.l. di veder loro assegnato un termine non inferiore a trenta
giorni per decidere se sottoscrivere o meno l’aumento del capitale sociale, è affermato da Trib. Milano, 10 gennaio 2007 (177), secondo il quale la violazione dell’art. 2481-bis c.c., nella parte in cui si prevede che la decisione di aumento di capitale debba assegnare un termine di almeno 30 giorni ai soci per esercitare il diritto di sottoscrizione, comporta la nullità della relativa delibera di aumento di capitale, per contrarietà a norma imperativa.
Nella fattispecie, i soci di minoranza avevano contestato che « la sottoscrizione dell’aumento di capitale debba avvenire contestualmente all’assunzione della
delibera, nonché la mancata assegnazione di un termine minimo per procedere
allo stesso » e dichiarato espressamente di non rinunciare ai diritti di opzione, pur
non sottoscrivendo immediatamente l’aumento di capitale. Nonostante ciò, l’assemblea deliberava l’aumento con la sottoscrizione dei soli soci di maggioranza ed
escludendo così la minoranza. Circa l’esigenza di far affluire risorse fresche per far
fronte immediatamente alle perdite, pena lo scioglimento della società, osserva il
tribunale che nulla vieta che i soci che vi abbiano interesse anticipino i finanziamenti per la sottoscrizione del capitale « riservato » agli altri soci, e che ove costoro decidano di sottoscrivere, e versino, le anticipazioni vengano restituite, il che
consente di coniugare il rispetto del diritto di opzione con l’esigenza di far prontamente fronte alle perdite, secondo la nota prassi che consente che i finanziamenti
vengano effettuati sotto la condizione risolutiva dell’esercizio del diritto di opzione spettante ai soci.
(176) In Riv. not., 2007, 469, con nota di PICCHIONE, Compensazione del credito del
socio nei confronti della società con il debito derivante dalla sottoscrizione della partecipazione. Sul problema della compensabilità del debito per conferimento v. MARTORANO, Compensazione del debito per conferimento, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum,
(nt. 1), 1, 519.
(177) In Società, 2007, 1118, con nota di ZAGRA.
286/II
14.3. Diritto di opzione: esercizio e rinuncia. — Cass., 3 novembre 2006, n.
23599 (178), interviene in materia di parità di trattamento dei soci, affermando che
in ipotesi di delibera di aumento del capitale sociale di s.r.l. è necessario garantire
parità di trattamento ai soci presenti e quelli assenti. Di qui, secondo la S.C., la
necessità che a questi ultimi sia assegnato un termine per l’esercizio di diritto di
opzione non inferiore a quello di fatto spettante ai soci presenti. Si osserva, in particolare, nella sentenza, che essendo la delibera assembleare un atto di autonomia
privata, essa deve essere interpretata con riguardo al suo contenuto complessivo e,
in caso di ambiguità del tenore letterale, il suo significato va determinato secondo
buona fede, in modo da assicurarne la giuridica efficacia.
Con un’articolata sentenza, con riferimento ad un’ipotesi di mancato esercizio
del diritto di opzione da parte di un socio, relativamente alle doglianze del terzo
creditore dello stesso che ha agito in giudizio chiedendo, fra l’altro, la dichiarazione di inefficacia dell’atto ex art. 2901 c.c., in quanto il socio suo debitore, per
depauperare il proprio patrimonio, non aveva esercitato il diritto di opzione,
Cass., 11 maggio 2007, n. 10879 (179), ha affermato che sono soggetti all’azione
pauliana soltanto quegli atti i quali importano una modificazione giuridico-economica della situazione patrimoniale del debitore. Tale requisito è configurabile in
riferimento non solo agli atti di alienazione che importino una diminuzione del patrimonio del debitore, ma altresì a quelli che possono comprometterne eventualmente la consistenza in futuro, come gli atti di rinunzia, di assunzione di debito e
la concessione di garanzie personali o reali. Tuttavia, per gli atti abdicativi è necessaria una distinzione, occorrendo accertare se essi si ricolleghino ad una posizione giuridica già potenzialmente acquisita, nei suoi elementi costitutivi, al patrimonio del rinunziante o se invece si concretizzino nella rinunzia ad una facoltà,
per effetto della quale non resti comunque modificato il compendio patrimoniale
quo ante del debitore. In tale secondo caso, il comportamento del debitore non
consente l’esercizio dell’azione revocatoria, perché il futuro incremento del suo
patrimonio non si pone come conseguenza immediata della omessa rinunzia, ma è
collegato all’ulteriore adempimento dell’obbligo, da parte del compratore, di corrispondere il relativo prezzo. Ond’è che, di fronte ad una situazione giuridica ancora in fieri, il mancato acquisto del bene non può mai assumere il valore e la portata di un atto dispositivo, ma può giustificare, tutt’al più, il tempestivo esercizio
dell’azione surrogatoria. Quanto all’eccezione, secondo cui il diritto di opzione
avrebbe avuto un autonomo valore economico, la Cassazione, dopo un lungo
excursus in tema, ha enunciato il principio di diritto secondo cui, a differenza di
quanto avviene per la società per azioni, per la società a responsabilità limitata,
stante la natura più personalistica, il diritto di opzione non ha automaticamente
un valore patrimoniale autonomo, perché tale valore discende dalla disciplina in
concreto adottata in ordine alla circolazione delle quote nell’ambito dello statuto
sociale, che può vietare la circolazione della quota per atto inter vivos o sottoporla
a vincoli più o meno rigorosi. Ne deriva che l’assoggettamento a revocatoria dell’atto di rinunzia o del mancato esercizio di tale diritto di opzione, essendo diretto
alla declaratoria d’inefficacia dell’atto abdicativo ed all’assoggettamento del diritto
(178)
(179)
In Società, 2007, 1468, con nota di DARDES.
In Società, 2007, 957.
287/II
all’azione esecutiva da parte del creditore del socio, comporta la dimostrazione
che il bene oggetto della rinuncia sia sottoponibile all’azione esecutiva secondo la
legge di circolazione delle quote così come stabilita in concreto dallo statuto sociale, con la conseguenza che il creditore non potrebbe mai sostituirsi al creditore
nell’esercizio del diritto di opzione e nella sottoscrizione dell’aumento di capitale
cui l’opzione si riferisce.
14.4. Prelazione su quote inoptate. — Nella società a responsabilità limitata, secondo Trib. Milano, 30 gennaio 2006 (180), il mancato richiamo dell’art.
2495 c.c. all’art. 2441, 3o comma, c.c. non esclude l’applicazione di quest’ultima
previsione, non potendosi automaticamente intendere il mancato richiamo quale
preclusione alla applicazione di esso. Anzi, precisa il tribunale, pesa in senso inverso proprio la struttura tipica della società a responsabilità limitata, specie
quella delineata dalla previgente normativa, a motivare circa il diritto di prelazione come ispirato alla tutela del socio al mantenimento del capitale sociale nelle
mani della medesima compagine sociale.
15.
Operazioni sul capitale sociale. Riduzione.
15.1. Competenza e condizioni. — Cass., 2 aprile 2007, n. 8222 (181), sul
solco di una giurisprudenza uniforme, ha affermato che la riduzione del capitale e
la successiva ricapitalizzazione devono essere deliberate dall’assemblea straordinaria. Nell’occasione, la Corte puntualizza la distinzione tra assemblea ordinaria e
straordinaria, che non riposa su una mera ed astratta qualificazione formale, ma è
data dalla previsione di diverse maggioranze, nonché dalla circostanza che soltanto per la seconda il verbale deve essere redatto per atto pubblico.
Nella medesima circostanza, inoltre, in applicazione del diritto previgente, la
S.C. dichiara la nullità della deliberazione di riduzione assunta in difetto della predisposizione e del deposito di una situazione patrimoniale il più possibile aggiornata. Il mancato rispetto di tale adempimento, finalizzato ad assicurare una adeguata informazione interna e a garantire che l’intervento sul capitale e l’impiego
delle risorse siano proporzionati al reale fabbisogno della società, determina la
nullità della delibera assunta in difetto.
15.2. Riduzione obbligatoria per perdite. — Trib. Roma, 7 ottobre
2005 (182), si inserisce nel contrasto intepretativo giurisprudenziale sulla computa(180) In Società, 2007, 499, con nota di FUNARI. In argomento, dopo la riforma del diritto societario, cfr. GIANNELLI, Le operazioni sul capitale nella società a responsabilità limitata, in questa Rivista, 2003, I, 782; RACUGNO, Le modificazioni del capitale sociale nella
nuova s.r.l., in Riv. soc., 2003, 824. Per un’applicazione analogica del 2441, 3o comma, c.c.
v. RIVOLTA, La società a responsabilità limitata, in Trattato Cicu-Messineo, XXX, 1, Milano,
Giuffrè, 1982, 1143. Sulla distinzione tra diritto di opzione e diritto di prelazione, v. SALAFIA, Natura giuridica del diritto di opzione nelle società di capitali, in Società, 2007, 921, v.,
anche, POSTIGLIONE, La delega all’aumento di capitale nella s.r.l., in Società, 2006, 829. Per
alcuni profili comparatistici v. CINCOTTI, La disciplina della SARL di diritto francese nell’ambito del dibattito europeo sul capitale sociale, in questa Rivista, 2007, I, 600.
(181) In Società, 2007, 845 e in Foro it., 2007, I, 2738.
(182) In Riv. not., 2006, 1101, con nota di CUPINI, Note in tema di riduzione del capi-
288/II
bilità degli utili di periodo nelle operazioni di riduzione del capitale per perdite.
L’orientamento maggioritario, sostenuto anche dalla S.C. (183), è quello al quale
aderisce il collegio romano, per il quale la nozione di perdita rilevante, ai fini del
precetto di cui all’art. 2482-bis c.c., è quella determinata « al netto delle riserve,
dei fondi appostati al passivo, degli utili non distribuiti e anche degli utili di periodo, purché questi ultimi risultino da situazione patrimoniale approvata dall’assemblea e redatta secondo gli stessi criteri imposti dalla legge per la formazione
del bilancio ».
Trib. S. Maria Capua Vetere, 10 ottobre 2006 (184), con decisione conforme
agli indirizzi maggioritari, si occupa, al riguardo, di individuare le regole che sovrintendono alla relazione sulla situazione patrimoniale che gli amministratori devono presentare all’assemblea, ai sensi dell’art. 2482-bis c.c. Esse vengono identificate in quelle imposte per la redazione del bilancio, sulla base del presupposto
che la relazione stessa ha natura di bilancio in senso tecnico. Da ciò consegue sia
l’obbligo di predisporre una relazione comprensiva tanto di stato patrimoniale
quanto di conto economico, sia quello di rispettare i criteri di chiarezza, veridicità
e correttezza prescritti dagli artt. 2423 ss. c.c., per il bilancio di esercizio.
La competenza a redigere la relazione, nelle società nelle quali l’amministrazione sia affidata a un organo collegiale, inoltre, spetta al consiglio e non può essere predisposta da singoli consiglieri: così Trib. Milano, 21 ottobre 2004
(ord.) (185).
Nella valutazione della perdita, ai fini dell’art. 2482-bis c.c., secondo Trib.
Ravenna, 3 febbraio 2006 (186), deve tenersi conto dei risultati di gestione al momento in cui l’assemblea è chiamata a deliberare sulla riduzione, anche quando
tali risultati siano maturati in epoca successiva all’ultimo bilancio nel quale le perdite erano state registrate.
Ad avviso di Trib. Milano, 21 dicembre 2005 (187), è poi, da reputarsi legittima l’utilizzazione del versamento spontaneo di un socio, con il quale sia stata costituita apposita riserva, per la copertura delle perdite, in sostituzione dei provvedimenti di riduzione obbligatoria, ai sensi degli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c., a seconda della misura della perdita rispetto al valore del capitale.
15.2.1. Riduzione al di sotto del limite legale. — In relazione alla riduzione
del capitale al di sotto del limite legale, Trib. Milano, 1o aprile 2005 (decr.) (188),
ritiene che la delibera di riduzione non possa essere iscritta nel Registro delle imtale sociale per perdite e utili di periodo, ove ampi riferimenti agli orientamenti dottrinali e
all’esperienza giurisprudenziale; in Giust. civ., 2007, I, 217, nota CAPRIOLI, La disciplina
della riduzione del capitale per perdite inferiori al terzo tra esigenze dei soci e interessi dei
terzi. In generale, sulla riduzione del capitale, v. SPOLIDORO, La riduzione del capitale sociale nelle s.r.l., in Riv. dir. soc., 2007, II, 2.
(183) Cass., 23 marzo 2004, n. 5740, in Foro it., 2004, I, 3121, con nota di SILVETTI;
in Riv. not., 2004, 1254, con nota di TOSCANO.
(184) In Giur. it., 2007, 2511, con nota di RIVARO, ove riferimenti alla dottrina e alla
giurisprudenza. Sul tema v., inoltre, di recente, SFAMENI, Perdita del capitale sociale e bilancio straordinario, Milano, 2004.
(185) In Corr. merito, 2005, 37.
(186) In Giur. it., 2006, 1875, con nota di CERRATO.
(187) In Società, 2006, 1514, con nota di VENUTI.
(188) In www.associazionepreite.it.
289/II
prese fino a che le perdite non siano coperte con un aumento di capitale effettivo,
cioè fino a quando esso non sia interamente sottoscritto e non siano stati versati
almeno il 25% dei conferimenti e l’intero sopraprezzo.
Rispetto alla stessa fattispecie di perdite, si pronuncia Trib. Busto Arsizio, 25
gennaio 2005 (189), con l’affermazione che il socio il quale, nel caso di azzeramento del capitale sociale e di contestuale delibera di aumento, non si dimostri in
grado di provvedere alla sottoscrizione, perde la propria qualità di socio. La mancata partecipazione del socio al ripianamento delle perdite determina, perciò, la
sua estromissione dalla società.
15.2.2. Azzeramento. — Cass., 12 luglio 2007, n. 15614, ha ritenuto non
invalida per lesione del diritto di opzione la delibera che, a seguito di riduzione integrale del capitale sociale per perdite, decida l’azzeramento e il contemporaneo
aumento, ad una cifra anche superiore al minimo, consentendo la sottoscrizione
immediata e per intero ad uno solo dei soci presenti in assemblea e assegnando
contestualmente, ai soci che ne abbiano diritto (assenti in assemblea o presenti,
ma impossibilitati a una sottoscrizione immediata), il termine di trenta giorni, pari
al periodo minimo previsto dall’art. 2441 c.c., per l’esercizio del diritto di opzione, fungente da condizione risolutiva dell’acquisto delle partecipazioni sottoscritte dal socio in misura eccedente a quella della propria spettanza. Della medesima fattispecie si è occupata pure la precedente decisione di Cass., 17 novembre
2005, n. 23262 (190).
15.3. Riduzione facoltativa per perdite. — In relazione a perdite inferiori a
un terzo del capitale, che non impongano, quindi, ma permettano alla società di
procedere volontariamente alla riduzione di esso, si pronuncia Cass., 13 gennaio
2006, n. 543 (191), con l’affermazione del principio che anche in tale ipotesi, priva
di regolamentazione espressa, l’amministratore deve predisporre, a vantaggio dei
soci chiamati a deliberare discrezionalmente sull’operazione, un’informativa aggiornata sulla situazione patrimoniale della società. La Corte reputa, infatti, che la
previsione dettata al riguardo dall’art. 2446 c.c. rappresenti un « modello predefinito » che offre adeguate garanzie di protezione ai soggetti coinvolti, suscettibile
non già di applicazione analogica, ma capace di rappresentare il criterio che, ai
sensi dell’art. 12 prel., soccorre per il caso non disciplinato della riduzione nominale facoltativa, con gli adattamenti resi necessari dalla discrezionalità dell’operazione, connessa alla minore entità della perdita. Non diversamente che in caso di
riduzione obbligatoria, l’operazione di riduzione, infatti, anche se discrezionale, è
destinata a incidere sull’assetto sociale e ad interferire sulla sfera soggettiva dei
(189) In Società, 2006, 891, con nota di LEONE. Cfr. App. Milano, 24 luglio 1990, in
Società, 1900, 1646: « lo status di socio non può essere riconosciuto a chi, già titolare di una
quota del capitale sociale, non abbia partecipato alla ricostituzione dello stesso »; MENGONI,
Sulla reintegrazione del capitale azionario in caso di perdita totale, in Riv. dir. comm.,
1955, 1, 108; NOBILI-SPOLIDORO, La riduzione di capitale, in Trattato Colombo-Portale, 6, 1,
Torino, UTET, 1993, 383.
(190) In Riv. not., 2007 (nt. 82 ).
(191) In Giust. civ., 2007, con nota di CAPRIOLI, (nt. 182); in Dir. prat. soc., 2006, XI,
64, con nota di CAROLA; in Foro it., 2006, I, 1789, con nota di SIMONETTI; in Riv. not., 2006,
1071, con nota di ARMATI.
290/II
soci, in particolare sul loro diritto alla distribuzione degli utili, nonché a spiegare
influenza sui diritti dei creditori sociali. Anche per tale ipotesi, dunque, « vige l’esigenza imprescindibile che il ceto sociale sia edotto dell’effettiva condizione patrimoniale dell’ente, mediante una relazione che fotografi lo stato patrimoniale e risponda a canone di adeguatezza ». Da quest’ultimo punto di vista, la S.C., inoltre,
reputa che la predisposizione di una situazione patrimoniale ad hoc possa essere
surrogata dall’ultimo bilancio di esercizio, purché nel frattempo non siano intervenuti fatti significativi.
16.
Finanziamenti dei soci.
16.1. Postergazione del rimborso. — Trib. Milano, 25 ottobre 2005 (192), ha
stabilito che spetta al socio che ne chieda la restituzione l’onere di provare di aver
eseguito un determinato versamento di denaro in favore della società, per un titolo
che ne giustifichi la restituzione al di fuori delle ipotesi di liquidazione, e che il relativo accertamento vada compiuto alla luce delle ordinarie regole interpretative.
In ogni caso, ai sensi dell’art. 2467 c.c. (193), il rimborso dei finanziamenti dei soci
di s.r.l. deve essere postergato, rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, in
situazioni quali la liquidazione e l’insolvenza.
Quest’ultimo profilo trova puntuale specificazione da parte di Trib. Milano,
24 aprile 2007 (194), con l’affermazione che la postergazione opera nell’ambito
delle procedure concorsuali o di un procedimento di liquidazione volontaria, così
che, ove la società non versi nelle condizioni di cui all’art. 2467, 2o comma, c.c.
i prestiti sono esigibili dal socio.
(192) In Società, 2006, 1267, con nota di SPALTRO. Secondo la S.C. la concreta volontà delle parti deve essere ricostruita sulla base degli ordinari criteri ermeneutici applicabili ad ogni negozio giuridico, con la precisazione, però, che la prova che il versamento sia
stato eseguito per un titolo che ne giustifichi la pretesa di restituzione « deve essere tratta
non tanto dalla denominazione con la quale il versamento è stato registrato nelle scritture
contabili della società, quanto soprattutto dal modo in cui concretamente è stato attuato il
rapporto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono
sottesi »; in senso conforme, Cass., 19 marzo 1996, in Società, 1996, 1267 ss., con nota di
GENNARI; nello stesso senso, v. Cass., 14 dicembre 1998, n. 12539, in Notariato, 1999, 538
ss.; Cass., 6 luglio 2001, n. 9209, in Società, 2002, 35, con nota di VERDIRAME; Cass., 21
maggio 2002, n. 7427.
(193) In tema si vedano le indicazioni della Circolare Assonime, 17 luglio 2007, n. 40,
Il finanziamento della società a responsabilità limitata; in dottrina cfr., fra gli altri, oltre allo
studio monografico di MAUGERI, Finanziamenti « anomali » dei soci e tutela del patrimonio
nelle società di capitali, Milano, Giuffrè, 2005, i contributi di CAPELLI, I crediti dei soci nei
confronti della società e il rimborso del finanziamento dei soci dopo la riforma, in Riv. dir.
priv., 2005, 99, G. FERRI JR., In tema di postergazione legale, in Riv. dir. comm., 2004, I,
969; PORTALE, I « finanziamenti » dei soci nelle società di capitali, in Banca, borsa, tit.
cred., 2003, I, 663; SCANO, I finanziamenti dei soci nella s.r.l. e l’art. 2467 c.c., in Scritti in
onore di Vincenzo Buonocore (nt. 8), III, t. 3, 3821; F. VASSALLI JR., Sottocapitalizzazione
delle società e finanziamenti dei soci, in Riv. dir. impr., 2004, 261; VITTONE, Questioni in
tema di postergazione dei finanziamenti dei soci, in questa Rivista, 2006, I, 919; ZOPPINI, La
nuova disciplina dei finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata e i prestiti
provenienti da « terzi » (con particolare riguardo alle società fiduciarie), in Riv. dir. priv.,
2004, 417.
(194) In Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, 610, con nota di BALP, Sulla qualificazione
dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c. e sull’ambito di applicazione della norma, in
Giur. it., 2007, 2500, con nota di CAGNASSO, Prime prese di posizione giurisprudenziali in
tema di finanziamenti dei soci di società a responsabilità limitata.
291/II
La disciplina relativa alla postergazione si applica, peraltro, solo ai finanziamenti effettuati dopo l’entrata in vigore di essa: così Trib. Milano, 30 aprile
2007 (195), che, per individuare i finanziamenti dei soci soggetti a postergazione,
richiama, inoltre, il criterio di ragionevolezza utilizzato dal legislatore, il quale,
come specifica la Relazione di accompagnamento al d. lgs. n. 6 del 2003, impone
di tener conto della situazione della società al tempo del finanziamento, confrontata con i comportamenti che nel mercato sarebbe ragionevole aspettarsi.
Secondo Trib. Messina, 30 dicembre 2005 (decr.) (196), che si pronuncia in
sede di ammissione alla nuova procedura di concordato preventivo, deve essere
approvata la proposta concordataria che esclude il pagamento dei crediti dei soci
per finanziamenti, postergati agli altri creditori chirografari, con la conseguenza
che, ove la proposta preveda il pagamento a percentuale dei creditori chirografari,
nulla potrà residuare per i soci finanziatori, che a quelli sono postergati.
Si pronuncia incidentalmente sul finanziamento di una s.r.l. controllata da
parte della s.p.a. controllante, Trib. Milano, 22 ottobre 2005 (197), individuando le
condizioni di liceità della corrispondente scelta gestionale e affermando la possibilità della iscrizione a bilancio delle somme versate dalla s.p.a. come ‘‘crediti verso
controllate’’, anziché come ‘‘partecipazioni’’.
16.2. Qualificazione degli apporti. — Il tema del finanziamento (198) dei soci
è stato affrontato pure sotto i più consueti profili della qualificazione del titolo per
il quale avviene l’apporto, dalla quale discende anche l’eventuale applicazione dell’art. 2467 c.c. Sui criteri di identificazione della funzione e della causa dei versamenti dei soci, nella alternativa tra prestazione a titolo di mutuo e conferimento a
titolo di capitale di rischio, decide prima Cass., 31 marzo 2006, n. 7692 (199), e,
successivamente, in termini, Cass., 30 marzo 2007, n. 7980. In applicazione del
diritto previgente e secondo consolidati orientamenti, in entrambi i provvedimenti
la Corte afferma la liceità di tali versamenti e specifica che la loro qualificazione è
legata alla volontà negoziale, che può essere individuata sulla base di indici, quali
la appostazione contabile delle somme e la denominazione data ad esse in bilancio, le loro finalità pratiche, nonché delle indicazioni ritraibili dalle clausole statutarie. In termini analoghi si esprime Trib. Milano, 19 gennaio 2006 (200), per il
quale ha valore dirimente, circa la concessione a titolo di mutuo, la collocazione
(195) In Giur. it., 2007, 2500, con nota di CAGNASSO (nt. 194).
(196) In Dir. fall., 2006, II, 77, con nota di MORAMARCO, La postergazione del finanziamento dei soci nelle società a responsabilità limitata e il concordato preventivo. Sul rapporto tra finanziamento dei soci e procedure concorsuali v. anche SANGIOVANNI, Finanziamenti dei soci di s.r.l. e fallimento della società, in Fall., 2007, 1393.
(197) In www.associazionepreite.it.
(198) In generale, sul tema del finanziamento della s.r.l., v. PORZIO, La società a responsabilità limitata e il mercato finanziario, in Impresa e società. Studi dedicati a Federico
Martorano, Napoli, ESI, 2007, 841; SPADA, L’emissione di titoli di debito nella ‘‘nuova’’ società a responsabilità limitata, ivi, 1125; FAUCEGLIA, Il finanziamento dei soci nella nuova
disciplina della società a responsabilità limitata, in Scritti in onore di Vincenzo Buonocore
(nt. 8), III, t. 1, 2483.
(199) In Giur. it., 2006, 2080. In tema v., in generale, da ultimo, BALP, I finanziamenti
dei soci ‘‘sostitutivi’’ del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. soc., 2007, 345; GUARINO, I finanziamenti dei soci, in Vita not., 2006, 948.
(200) In www.associazionepreite.it.
292/II
degli apporti dei soci alla voce ‘‘debiti verso soci per finanziamento’’, iscritta nel
passivo del bilancio.
Anche le somme trasferite da una società alle proprie controllate per sostenerle nella fase di avvio della loro attività, devono essere considerate concesse a titolo di mutuo ed essere iscritte nel bilancio della società erogante come crediti,
malgrado la mancanza di previsione di interessi, garanzie e termine di scadenza, se
sussista, in capo alle società beneficiarie, l’obbligo di procedere alla restituzione,
anche graduale, delle somme: in questo senso si pronuncia Trib. Milano, 29 giugno 2005 (201).
Quanto alle somme versate in conto futuro aumento del capitale, Trib. S. Maria Capua Vetere, 10 ottobre 2006 (202), aderisce all’orientamento maggioritario
che le qualifica apporti di patrimonio che non danno titolo alla restituzione. Essi si
traducono in incrementi del patrimonio netto della società, dei quali il socio perde
la disponibilità, e che la società può utilizzare sia per incrementare l’attivo, sia per
ridurre il passivo. Anche per tali versamenti, secondo per App. Roma, 17 agosto
2005 (203), in assenza di specifiche pattuizioni tra socio e società, sono gli indici
rappresentati dalla appostazione in bilancio, a consentire di individuarne l’eventuale carattere di operazione a fondo perduto.
16.3. Fideiussione del socio. — In caso di prestazione di garanzie personali
da parte del socio di s.r.l. a favore della società, per Cass., 6 ottobre 2005, n.
1984 (204), il socio-fideiussore in favore della propria società per l’attività d’impresa di quest’ultima non può essere assimilato al consumatore, ai fini delle tutele
contrattuali assicurate a quest’ultimo, poiché sono la qualità di socio e la strumentalità della garanzia al credito d’impresa che escludono la possibilità di una equiparazione tra socio e persona fisica parte debole.
17. Trasformazione. — Benché si occupi di trasformazione evolutiva di società di persone in s.r.l., merita segnalazione Trib. Reggio Emilia, 13 gennaio
2006 (ord.) (205), per essere uno dei primissimi interventi sull’art. 2500-ter, norma
che consente la trasformazione a maggioranza di quote di partecipazione agli utili,
in deroga alla regola, espressa dall’art. 2252 c.c., delle modificazioni del contratto
di società di persone alla unanimità. L’art. 2500-ter c.c., dettato, come è noto, in
funzione incentivante della trasformazione in tipi societari capitalistici, a giudizio
del tribunale è invece applicabile esclusivamente alle società costituite dopo l’entrata in vigore del nuovo diritto societario, in virtù del principio di irretroattività
della legge di cui all’art. 11 prel., in assenza di disposizione di legge contraria a
tale ultimo principio.
(201) In Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, 627, con nota di MAUGERI, Finanziamenti
dell’unico socio e avvio dell’impresa sociale.
(202) In Giur. it., 2007, 2511, con nota di RIVARO.
(203) In Riv. not., 2007, II, 423, con nota di PICCHIONE, Sulla natura giuridica delle
operazioni a fondo perduto e dei finanziamenti a favore della società.
(204) In Dir. e prat. soc., 2006, III, 72, con nota di LONGHINI.
(205) In Riv. not., 2006, 1603, con nota di CUPINI, Art. 2500-ter e trasformazione di
società di persone costituite prima della riforma del diritto societario.
293/II
18. Scorporo. — In base al diritto previgente, applicabile in base al tempo di
proposizione dell’azione, Trib. Trieste, 9 gennaio 2006 (206), si pronuncia sulla
competenza dell’organo gestorio di una s.r.l. a costituire, tramite scorporo del patrimonio di quella amministrata, una nuova società, per l’effettuazione di una operazione immobiliare rientrante nell’oggetto sociale. Al riguardo, il collegio reputa
valida la delibera del consiglio di amministrazione, per il carattere gestorio dell’operazione di scorporo che, in quanto volta al perseguimento dell’oggetto sociale
nella forma ritenuta più conveniente, è priva di attitudine a modificare le basi essenziali della partecipazione del socio nella società.
19. Scioglimento e liquidazione. — Trib. Ravenna, 3 febbraio 2006
(decr.) (207), aderendo a un orientamento pacifico, ha ribadito che l’impossibilità
di funzionamento dell’assemblea, ai fini dell’art. 2484 c.c., ricorre quando l’organo assembleare appaia stabilmente e irreversibilmente incapace di assolvere le
sue funzioni di disposizione, di direzione e di controllo, essenziali perché l’attività
dell’ente possa svolgersi per il raggiungimento dello scopo sociale. Nell’occasione,
i giudici hanno avuto modo di affermare, inoltre, la non compromettibilità in arbitri delle controversie relative allo scioglimento di una società di capitali.
Secondo Trib. Rimini, 21 giugno 2007 (ord.) (208), la legittimità dell’accertamento della causa di scioglimento di una società di capitali, operato dagli amministratori ed iscritto nel registro delle imprese, può essere contestata con azione proposta in un procedimento, anche di natura cautelare a norma dell’art. 700 c.p.c.,
specificamente instaurato e non necessariamente nel già pendente procedimento
per la nomina del liquidatore. Peraltro, il tribunale ha soggiunto che deve essere
tuttavia respinto il ricorso diretto ad ottenere in via cautelare la revoca dell’accertamento di una causa di scioglimento di una società di capitali, effettuato dagli
amministratori ed iscritto nel registro delle imprese, se, dopo il predetto accertamento, sia sopravvenuta altra causa di scioglimento la cui sussistenza possa essere
delibata positivamente, e sia stato instaurato altro procedimento giudiziale per la
nomina del liquidatore.
In ordine al problema dell’inerzia dell’organo assembleare quale presupposto
per l’intervento dell’autorità giudiziaria per la nomina del liquidatore, Trib. Como,
29 luglio 2004 (ord.) (209), ha stabilito che il provvedimento di nomina giudiziale
(206) In Dir. fall., 2006, II, 768, con nota di PLATANIA, L’impugnazione delle delibere
a carattere gestorio del consiglio di amministrazione di soc. a resp. lim. In tema di scorporo
v., anche per la sottolineatura della natura gestoria dell’operazione, G. RACUGNO, Lo ‘‘scorporo’’ d’ azienda, Milano, Giuffrè, 1995; ID., voce Scorporo d’azienda, in Enc. giur. Treccani, XXVIII, Roma, 1995.
(207) In questa Rivista, 2007, II, 1088, con nota di RESTANO, Impossibilità di funzionamento dell’assemblea e clausola compromissoria; in Giur. it., 2006, 1876 (con data 2 febbraio), con nota di CERRATO, Scioglimento della società e arbitrato: nihil sub sole novi.
(208) In Società, 2007, 1255, con nota di SALAFIA; per una diversa soluzione procedimentale, v. Trib. Rimini, 21 marzo 2007 (ord.), ibidem, secondo cui l’accertamento della
causa di scioglimento di una società di capitali, fatto dagli amministratori ed iscritto nel registro delle imprese, può essere contestato all’interno del procedimento giudiziale per la nomina del liquidatore, se già instaurato, e non in via autonoma con ricorso diretto a chiederne
cautelarmente la revoca a norma dell’art. 700 c.p.c.
(209) In questa Rivista, 2006, II, 177, con nota di CARLEVALE, Il difetto di autodeterminazione dell’assemblea e la nomina giudiziale del liquidatore.
294/II
del liquidatore può essere emesso solo laddove l’assemblea non si sia costituita,
ovvero non abbia deliberato, secondo quanto disposto dall’art. 2487, 1o comma,
c.c.
Per Trib. Roma, 20 gennaio 2006 (decr.) (210), il giudice adito per la nomina
del liquidatore in presenza di una causa di scioglimento, quale la perdita integrale
del capitale sociale, avendo l’assemblea dei soci deliberato soltanto in ordine alla
necessità di nominare un liquidatore, non può anche fissare i criteri per la liquidazione, perché si tratterebbe di un atto di indirizzo delle scelte imprenditoriali che
la legge non attribuisce alla competenza del giudice (211). App. Salerno, 14 giugno
2007 (decr.) (212), ha affrontato, invece, il problema della revoca giudiziale del liquidatore di s.r.l. per giusta causa. Il collegio riconosce che rappresenta giusta
causa di revoca del liquidatore di una s.r.l. che esercita attività finanziaria, l’omissione o il ritardo, da parte di costui, nel versamento nelle casse sociali di somme di
denaro corrisposte da debitori sociali e da dipendenti dell’ente.
Infine, Cass., 21 febbraio 2006, n. 20438 (213), reiterando un principio pacifico, ha stabilito che una sentenza che accerti il debito di una società di capitali ed
emetta condanna al relativo pagamento non implica, di per sé sola, che il medesimo debito gravi anche personalmente sul legale rappresentante (nella specie il liquidatore), e tanto meno costituisce titolo esecutivo azionabile direttamente nei
confronti di quest’ultimo.
20. Cancellazione dal registro delle imprese. — Circa gli effetti della cancellazione di una s.r.l. dal Registro delle imprese, Trib. Milano, 8 giugno 2005 (214),
(210) In Dir. fall., 2006, II, 734, con nota di E. MACRÌ.
(211) Nel senso che il potere sostitutivo dell’assemblea inerte attribuito al giudice riguardi la sola nomina del liquidatore e non comprenda ulteriori scelte, riservate comunque
alle valutazioni dei soci, v. in particolare, in dottrina, NICCOLINI, La disciplina dello scioglimento, della liquidazione e dell’estinzione delle società di capitali, in Il nuovo diritto societario a cura di Ambrosini, II, Torino, Giappichelli, 2005, 18. In senso contrario GALGANO, Il
nuovo diritto societario, in Trattato Galgano, I, Padova, CEDAM, 2004, 420; A. ROSSI, sub
art. 2487, in Commentario Maffei Alberti, Padova, CEDAM, 2005, 2202 ss. Per ulteriori indicazioni v., inoltre, la precedente Rassegna, 2006, § 19, 248.
(212) In Foro it., 2007, I, 2579, e ivi, I, 1619, con nota di TRIPALDI, anche il provvedimento reclamato di Trib. Salerno, 21 febbraio 2006 (decr.), per il profilo del rito camerale
invocato.
(213) In Società, 2007, 39.
(214) In Dir. prat. soc., 2006, XVI, 74, con nota di LONGHINI. Sul problema degli effetti estintivi della cancellazione v., in particolare, NICCOLINI, ad artt. in Commentario Niccolini-Stagno d’Alcontres, 1752; SPERANZIN, L’estinzione delle società di capitali in seguito
alla iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, in Riv. soc., 2004, 514; NIGRO,
Diritto societario e procedure concorsuali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum,
(nt. 1), 1, 182; SPIOTTA, Cancellazione... della cancellazione, in questa Rivista, 2006, I, 710;
per il rapporto tra cancellazione e procedure fallimentari v., in generale, LUBRANO DI SCORPANIELLO, Cessazione dell’impresa e procedure concorsuali, Milano, Giuffrè, 2005 e, con
specifico riferimento ai profili della cancellazione prima e dopo la riforma del diritto fallimentare, rispettivamente, MARASÀ, Cancellazione dal registro delle imprese e procedure concorsuali nel diritto vivente e nei progetti di riforma della legge legge fallimentare, in Dir. fall.,
2004, I, 755, e IBBA, Sul presupposto soggettivo del fallimento, in Riv. dir. civ., 2007, I, 797.
In giurisprudenza, per l’affermazione (incidentale) della irreversibilità dell’effetto estintivo
prodotto dalla cancellazione ex art. 2495, 2o comma, c.c. per le società di capitali, v. Cass.
28 agosto 2006, n. 18618, in Fall., 2007, 294; nonché Cass., sez. trib., 10 ottobre 2005, n.
295/II
che si pronuncia nell’ambito di un giudizio di revocatoria ordinaria nel quale la
società, già in liquidazione, era stata convenuta, reputa la cancellazione irrilevante
ai fini del giudizio, per la circostanza che la revocatoria si svolge nei confronti del
terzo acquirente e non del debitore alienante. Tuttavia, nel decidere, il tribunale
implicitamente aderisce alla lettura dell’irrevocabile effetto estintivo della cancellazione, ex art. 2495 c.c., tanto da pronunciare la condanna alle spese nei confronti del liquidatore, ciò che sottintende l’impossibilità per la società ormai
estinta di risponderne, e la colpa del liquidatore per avere cancellato la società nonostante il permanere di un debito.
Più perentorio, circa l’effetto conseguente alla cancellazione della società,
Trib. Milano, 24 gennaio 2007 (215), per il quale l’inciso del 2o comma dell’art.
2495 c.c. (« ferma restando l’estinzione della società »), comporta che « non possa
più essere messa in discussione la definitiva e irreversibile estinzione della società
dopo la cancellazione », con la conseguenza che i creditori sociali insoddisfatti
possono far valere le loro pretese nei confronti dei soci, nei limiti del riparto di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se sia loro imputabile il mancato pagamento del credito.
ELISABETTA LOFFREDO-GABRIELE RACUGNO
19732, in Società, 2006, 1108, con nota di PAPALEO, Cancellazione di società dal registro
delle imprese e tutela dei creditori sociali. Per ulteriori riferimenti cfr. anche la precedente
Rassegna, 2006, § 21.
(215) In Banca, borsa, tit. cred., 2007, II, 763, con nota di LUBRANO DI SCORPANIELLO,
Cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione della società dopo la riforma.
296/II