Supplemento al numero odierno - Dir. resp. Paolo Ghezzi - Sped. in Abb. Post. art. 2, comm. 26, legge 662/96/TN- BZ - Editrice/Stampatrice: S.I.E. Spa, 11 settembre 2001/2 Senza sosta la pioggia cadrà, come lacrime da una stella... senza sosta la pioggia dirà quanto fragili siamo quanto fragili... “ (Sting, 1987) l’Adige ” il mattino l’Adige 2 il mattino FRAGILI che siamo. FRAGILE il nostro pianeta, e inquieto, e sbandato nella sua orbita. PAOLO GHEZZI F ragilità è la coscienza che l'11 settembre ha regalato agli occidentali, illusi che, oltre mezzo secolo dopo la fine della loro ultima guerra mondiale, la fragilità potesse riguardare solo GLI ALTRI, il terzo e il quarto mondo, la pancia meridionale del globo, le terre della fame e della violenza. Così possiamo osare la sacrilega domanda: è stato TERAPEUTICO l'11 settembre, nel senso che ci ha restituito la consapevolezza della nostra immensa fragilità? In certo modo sì, potremmo rispondere, anche se poi facciamo in fretta ad archiviare e a ripetere gli stessi errori/orrori. Così violenza chiama violenza, guerra chiama guerra, terrore chiama terrore, viltà viltà, cecità cecità, follia follia. In questi dodici mesi non pare che l'umanità abbia imparato a ritrovare se stessa in dimensioni rinnovate, "purificate" dall'immensa strage delle Torri. A Johannesburg, per esempio, la Terra ha messo a frutto la lezione "globale" dell'11 settembre? O si è ancora una volta smarrita nei meandri della Realpolitik e nella camicia di forza del Business Planetario? Rimane la speranza che COMUNQUE le parole possano servire a seminare frammenti di Mondo Nuovo. Con questa speranziella (che passi la nottata) abbiamo chiesto ad alcune significative voci del nostro tempo e della nostra terra (ma non solo) di ripensare l'11 settembre un anno dopo. Il mondo non lo salvano solo i poeti e gli scrittori, gli intellettuali e i filosofi, però aiutano a rimetterlo in rotta, perché focalizzano le cose importanti, e spremono il succo dell'essenziale. La FRAGILITA' può ben essere il filo comune che annoda le riflessioni di questo supplemento con il film di Francesco Dal Bosco e Emanuela Rossini, al di là del titolo, FRAGILE appunto. La fragilità, quando accettata e interiorizzata, e non subìta come uno stress psicotico, può renderci più umani e più liberi. Abbiamo ripescato, per la nostra copertina, una canzone di Sting, di quindici anni fa, che si intitolava anch'essa FRAGILE, e che vibra profetica: "Se il sangue scorrerà quando carne e acciaio sono una cosa sola, seccando nel colore del sole della sera, la pioggia di domani laverà via le macchie ma qualcosa nelle nostre teste sempre resterà...On and on the rain will say how fragile we are... Senza sosta la pioggia dirà quanto fragili siamo...". E da un cantante ante-11 settembre a un poeta post11 settembre, il massimo italiano contemporaneo Mario Luzi, 87 anni di vita: "Dimettete la vostra alterigia/ sorelle di opulenza/ gemelle di dominanza.... Vi ha una fede sanguinosa/ in un attimo/ ridotte a niente. / Sia umile e dolente/ non sia furibondo/ lo strazio dell'ecatombe./ Si sono mescolati/ in quella frenesia di morte/ dell'estremo affronto i sangui,/ l'arabo, l'ebreo/ il cristiano, l'indio./... "Risorgete, risorgete,/ non più torri, ma steli,/ gigli di preghiera./ Avvenga per desiderio/ di pace. Di pace vera". Il vecchio poeta ci richiama alla VANITA' della potenza esibita, e dunque alla FRAGILITA' della nostra condizione. Basta una pioggia per lavarci via dalla faccia del pianeta. Se ce lo ricordassimo, avremmo meno voglia di odio, e di sangue, e di guerra. Ci basterebbe, per vivere in pace, ascoltare insieme una poesia, una canzone, una voce umana. 3 l’Adige “ “ ” NONNO, PERCHÉ FESTEGGIAMO IL 29 FEBBRAIO? Pier Aldo Vignazia N onno, perché festeggiamo il 29 febbraio? - chiese ad un tratto il bambino. Appoggiato ai vetri della finestra del trecentesimo piano, guardava la neve cadere sulla strada sottostante fra il viavai della gente carica di pacchi di regali natalizi. Il nonno, sprofondato nella poltrona psiconeuronica, sospirò. -Ragazzo mio - rispose tutto cominciò un lontano 11 settembre. O forse era un 12, non mi ricordo bene. Un certo Ben Lidan o qualcosa di simile fece crollare le più alte torri del mondo usando due nostri aerei come missili. Potevamo non reagire? E infatti attaccammo l’Afghanistan, e lo facemmo fuori. L’Afghanistan, non Ben Lidan. Allora, quello, un 3 ( o forse era il 5) di agosto ci affondò la nostra nave da crociera più grande del mondo usando un nostro pedalò come siluro. E noi reagimmo annientando l’Irak. O forse era l’Iran, vattelapesca. Ben Lidan rispose, mi pare un 13 marzo, distruggendo Disneyland con un nostro Topolino come kamikaze. Noi gli rispondemmo cancellando il Sudan. Insomma, per fartela breve, in poco tempo non ci furono più date libere sul calendario, né nazioni sulla faccia della terra. Ma grazie alla nostra superiorità tecnologica noi abbiamo vinto: infatti abbiamo ricostruito i nostri comodi grattacieli sottoterra, e a Ben Lidan abbiamo lasciato la superficie, ormai completamente inabitabile, fra bombe, inquinamenti ed effetti serra vari. E festeggiamo il 29 febbraio perché è l’unico giorno che sia rimasto senza attacchi. E questa è un’altra dimostrazione della nostra astuzia e superiorità: infatti càpita ogni 4 anni, e Ben Lidan non lo sa perché usa un calendario diverso. Ma ora, per piacere, cambia programma a quella finestra: mi fa freddo vedere neve che cade e gente coi regali di Natale! Mettimi una spiaggia del Pacifico con le donnine nude! TOWERS Anny Ballardini troubled waters and troubled people asking why some look for historical stories to justify others try to interpret obscure biblical predictions - with the feeling of destruction right in the center of every center of our bodies New York was my first age, experts state it is still too early to ask poets to write on the tragedy we need time shock doesn’t allow words to express something happened to me when I was a baby because New York is my childhood and ideas freeze in my mind every time I try to put 9.11 on the screen the same feeling I had as a child when someone hurt me deeply and I could not cry il mattino Quando il vostro lavoro sarà finito e tutto sarà andato bene, ognuno di noi prenderà per mano gli altri fratelli e dirà che questo è stato un lavoro fatto nel nome di Dio Sean, sono io. Sono intrappolata in questo palazzo a New York. C’è un sacco di fumo e volevo dirti che ti amo. Melissa Hughes, messaggio alla segreteria telefonica, dalle Twin Towers ” 2001 2002 TORRI Anny Ballardini acque agitate gente agitata si chiede il perché alcuni alla ricerca di storie storiche per giustificare altri nel tentativo di oscure interpretazioni di predizioni bibliche - con un senso di distruzione nel centro stesso di ogni centro dei nostri corpi New York fu la mia prima età, gli esperti dicono sia ancora troppo presto chiedere ai poeti di scrivere sulla tragedia abbiamo bisogno di tempo lo shock non permette alle parole di esprimere qualcosa mi è successo quando ero bambina perché New York è la mia infanzia e le idee mi si raggelano nella mente quando cerco di mettere l’11 settembre sullo schermo la stessa sensazione che avevo da piccola quando qualcuno mi feriva profondamente e non riuscivo a piangere (Il testo “Torri” è stato pubblicato sul Northport Journal - fondato da Walt Whitman nel 1839 - New York, in un articolo di George Wallace (23/5/02) e viene riproposto qui per gentile concessione del giornale statunitense) MA GLI AFGHANI CHI LI PIANGE? Piera Graffer N el 328 a.C. Alessandro Magno conquista (e distrugge?) le terre oggi chiamate Afghanistan. Prima occupazione (e distruzione?) dell’Afghanistan da parte dell’uomo bianco. Nel 19° secolo le due maggiori potenze colonizzatrici mondiali, Russia e Inghilterra, si fronteggiano per la conquista dell’Asia. Fra di loro l’Afghanistan, stato-cuscinetto. L’esploratore inglese Alexander Burnes, primo “bianco” a metter piede a Kabul nel 1832, così la descrive: “C’erano alberi di pesche, prugne, albicocche, pere, mele, cotogne, ciliegie, noci, more, melograni e uva, tutti in uno stesso giardino... C’erano anche usignoli, merli, tordi e colombe... e gazze chiaccherine su quasi ogni albero”. Di lì a poco inizia la guerra. Nel 1842 George Pollock fa saltar per aria il Bala Hissar di Kabul, il mercato coperto più importante di Mohammed Atta, breviario delle istruzioni pre-attentato tutta l’Asia e uno dei suoi gioielli architettonici. Ci impiega due giorni. Da allora fino alla prima guerra mondiale le due grandi potenze si combattono sul suolo afghano, trasformando quel paradiso terrestre in un deserto di polvere. Fu il “Great Game”. Seconda occupazione e distruzione dell’Afghanistan da parte dell’uomo bianco. Nel 1977 la Russia, desiderosa di costruire un oleodotto per trasportare al mare il petrolio dei suoi immensi giacimenti dell’Asia Centrale, attacca l’Afghanistan. Gli afghani resistono. Il loro leader, Usama bin Laden, è sostenuto e armato dagli USA. Il 15 febbraio 1989 il generale Boris Gromov attraversa a Termez il ponte sul fiume Oxus alla testa dell’esercito russo in rotta. Gli USA hanno vinto militarmente l’arcinemico sovietico grazie al sangue del popolo afghano e il 25 dicembre 1991 Gorbaciov dà le dimissioni. Il giorno seguente l’Unione Sovietica viene formalmente dissolta. L’Afghanistan è di nuovo ridotto a un deserto di polvere. Terza occupazione e distruzione dell’Afghanistan da parte dell’uomo bianco. L’America dimentica il debito di riconoscenza. In Afghanistan tutto è distrutto e la maggior parte dei sopravvissuti è mutilata. Ma nessuno se ne cura, perché ormai quegli straccioni non fanno più paura a nessuno. L’11 settembre 2001 diciotto egiziani e un arabo portano un attacco suicida al cuore dell’America. Agli inizi del 2002 il presidente George W. Bush dichiara la “guerra al terrorismo contro l’Afghanistan. Essa viene combattuta nel segreto più assoluto. Solo qualche tv tedesca riesce a filmare da grande distanza i cerchi bianchi che le bombe cosiddette “tagliamargherite” fanno sbocciare in cielo, e mostra dei bambini afghani che, pazzi di fame, corrono a raccogliere i sacchetti gialli contenenti biscotti buttati dalle cluster bombs, e saltano per aria sulle mine sparse da quelle stesse bombe. Quarta occupazione e distruzione dell’Afghanistan da parte dell’uomo bianco. Ora, mentre piangiamo insieme all’America le sue quasi tremila vittime innocenti, non possiamo non chiederci anche: e gli afghani, chi li piange? Forse che le loro vittime non erano altrettanto innocenti di quelle americane? AR RIYAD, 11 SETTEMBRE 2052 ATTO UNICO Umberto Folena C he cos’è questo rumore, mamma? - Rumore? Non sento nulla, mia bambina, mio fiore. Esulta con me, oggi festeggiamo il Giorno della Vendetta. - Il Grande Sangue, la Purificazione, quando gli angeli scesero dal cielo con la spada di fiamma e con il tuono ad abbattere la Città del Male? - Sì, mia diletta, a cominciare da una torre come questa in cui siamo noi ora, edificata a gloria di Allah il Compassionevole. - Non mi piacciono le storie con tanti morti. - Furono puniti per la loro empietà, stella mia. - Nessuno dovrebbe morire, mai. Io non voglio morire. - Perché questi pensieri cupi in un giorno di festa? Sii felice: dominiamo il mondo nel nome di Dio. - Perché? l’Adige 4 il mattino “ C’è stata una guerra mondiale per i miei nonni, una guerra mondiale per i miei genitori, non mi restava che attendere la terza, la guerra per noi figli, perché le guerre, con equità e generosità, andavano distribuite ad ogni generazione. Ma mentre mio nonno aveva combattuto all’arma bianca, corpo a corpo, noi avremmo semplicemente atteso la morte dall’alto. “ A coloro che sostengono che la nostra città non sarà più la stessa, dico che hanno ragione. Sarà migliore, infatti. ” Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York - Non capisco la tua domanda. - Perché, mamma, perché? - Il rumore… (Un boato, una valanga di fiamme). - Che cos’è, mamma? - I fondamentalisti cristiani! Vieni dammi la mano. - Dove andiamo, mamma, dove andiamo? When we are born we cry that we are come / To this great stage of fools. (Quando si nasce, si piange perché ci si ritrova su questo enorme palcoscenico di matti. Re Lear, atto IV, scena VI). VA BENE Giuseppe Calliari V a bene va bene, se vi va bene va bene in generale, mi va bene voglio dire, va bene e lo so che va bene, se va bene va bene, vi va bene e mi va bene in generale, perché così va perché così ha da, chi è dentro chi è fuori in generale, lo so tanto quanto voi se vi va bene va bene in generale, giù in picchiata che va bene giù che non te ne accorgi giù e giù, va veloce va bene che non arrivi a pensare, è la sua legge in generale vanno giù dritti giù e giù è la legge generale, è così perché è così che va bene, non c’è il tempo di, va bene così, non c’è il tempo dico di fare i vetri, giù filato che era così facile, sbatte sbatte finché le, va bene va bene il difficile era farsene dico, per farsene un’idea bisogna stare in alto in generale, bisogna stare su e per parecchio credimi, cominci piano e poi di più credimi a capire, tu pensi tu pensi tu pensi e poi capisci, te ne fai un’idea un’idea in generale, tutto va così e non ti fa star male credimi, così e così e va bene dici, ok dici, va bene basta capirlo farsene un’idea in generale credimi, volano fuori volano e ci vuole del tempo credimi molto tempo prima di vederle calare giù, il vento in alto c’è sempre in generale, e allora va bene credimi, non ci troveranno altro che entrate uscite uscite entrate, le uscite le uscite in generale credimi, è uscito di là o di là o di là c’è da qualche parte una finestra aperta dici, o un’altra, non aveva capito bene non aveva pensato bene in generale, se uno capisce bene credimi non gli vengono, le entrate vanno come devono andare non è un problema credimi, ci vuole carattere per il bene in generale dico, non ti puoi buttar giù perché qualcuno dico ti disimpara a pensare bene, credimi il mondo ha le sue leggi dico in generale, non vorrai perdere tempo a contare le mosche sui fanali della macchina dico, era un balordo contava le mosche sul fanale, che scoperta che qua e là qualcuno si spiaccica sul fanale, il mondo è fatto così credimi, se lo sai non ti butti, sta’ in alto questo ti dico in generale, credimi sta’ su, più su che puoi è la sua legge in generale, al piano più su e pensa sempre va bene va bene tutto va bene in generale, è una forza credimi è una forza, pace all’anima sua, pace dico in generale COINCIDENZE Maurizio Gentilini L e date dell’11 settembre - giorno dell’attentato terroristico alle torri gemelle di New York - e del 7 ottobre 2001 - l’inizio dell’operazione Enduring freedom da parte della ” 2001 2002 coalizione guidata dagli Stati Uniti - rientreranno sicuramente nei manuali di storia di prossima pubblicazione. Molte cronache di questo periodo e molti autorevoli commentatori hanno attribuito a queste date un significato di particolare rilevanza simbolica in quello che dovrebbe essere lo scoppio di un conflitto tra civiltà, da tempo latente negli scenari politici mondiali: la guerra tra l’Oriente, caratterizzato dall’impronta religiosa islamica, e l’Occidente, erede della tradizione cristiana nelle sue strutture culturali ed istituzionali. Senza voler entrare nel merito e considerando personalmente tale approccio fonte di generalizzazioni che identificano nell’Islam un corpo sociale e religioso compatto e omogeneo, impermeabile ad ogni forma di secolarizzazione e di idea liberale, intrinsecamente legato ad un’idea di guerra santa e di distruzione del cristianesimo, ho trovato quantomeno curiose alcune coincidenze di date che la storiografia ufficiale ha ormai universalmente considerato avvenimenti capitali nelle secolari lotte tra Occidente e Oriente. Scorrendo le cronologie l’11 settembre ed il 7 ottobre ricorrono almeno tre volte, segnando altrettante tappe del confronto tra i vessilli della croce e della mezzaluna. Le segnalo, considerandole appunto singolari coincidenze, presentandole a puro titolo di curiosità e auspicando semmai che la prima guerra esplosa nel terzo millennio non riproponga certi scenari che hanno caratterizzato le vicende del secondo. - 7 ottobre 1571: la Lega Santa, capeggiata da don Giovanni d’Austria, tra le principali potenze navali cattoliche del Mediterraneo (Spagna, Santa Sede, Venezia) sconfiggono la flotta ottomana nella battaglia di Lepanto; - 11 settembre 1683: i Turchi, sconfitti da un esercito composto da truppe imperiali e polacche, tolgono l’assedio alla città di Vienna, che rappresenterà il punto più avanzato della penetrazione di una potenza musulmana verso il cuore dell’Europa; - 11 settembre 1697: Eugenio di Savoia, alla guida di un esercito sorto dall’alleanza tra Piemonte e Impero, sconfigge l’esercito turco nella battaglia di Zenta. Tale vittoria assicurerà all’Impero, con la pace di Carlowitz, la Transilvania e la Slavonia. GRATTACIELO DEGLI AZTECHI Michele Ruele Dalle vetrate si vedeva un gran cielo blu. “Mi sono perso” ho detto a quello vicino a me. “È sempre così, all’inizio”. Cazzo sono morto, mi sono ricordato. Quello vicino a me era vestito da azteco. “A che piano siamo?” gli ho chiesto. “Duemilioniottocentoventiseimilatrecentosettantottesimo”. “Non capisco” ho mormorato. Mi sono guardato meglio intorno e c’erano un sacco Susanna Tamaro, “Corriere della Sera”, 1/9/2002 di aztechi, qua e là qualcuno vestito da soldato spagnolo, tipo del Cinquecento o una cosa così. “È un grattacielo qua?” gli ho chiesto. “Un cosa?” mi ha fatto lui. “Una torre?”. Si agitava in me un ricordo confuso. “Io sono morto su una torre, ero un sacerdote a Tenochtitlan, la nostra capitale”. Anch’io stavo dentro un grattacielo, ecco com’ero morto. Rivedo l’immagine nebbiosa di un aereo che si schianta contro le nostre finestre. “Ma perché siete tutti aztechi e spagnoli, qua?” “Questo è il nostro piano, secondo me con te si sono sbagliati, devi andare più su, in cima. Anche noi una volta eravamo in cima. Di sotto ci sono quelli della Guerra dei Cent’anni insieme ai turchi e ai cristiani di Lepanto, di sopra gli scannati della Guerra dei Trent’anni e poi tutti gli altri” mi ha spiegato. “Siamo tutti uguali, sai… Questo è il Grattacielo delle Guerre e delle Stragi”. TWIN TOWERS TAUTOGRAMMA Umberto Folena T urboelica tonitruante trafigge, taglia, trancia, tronca, travolge, terribile torpedine tambureggiante, torrente, tifone, turbine, tuono. Torri trapanate trabalzano, traballano, tracollano. Torbidi terroristi trucidano. Trappola! Tizzoni tessono tragica trama. Tramonto, tenebra. Turpe tumulo, tappeto tombale, tenero tabernacolo. Trasmissioni terminate. Terra tumefatta tace: torneranno tempi tersi? Tutto troppo triste, tuttavia tenacemente tenteremo L’UNDICI SETTEMBRE DI BEATRICE Chiara Mezzalama C’ è una lapide sulla parete di un palazzo del centro storico di Roma. Recita: Da qui ove sorgeva il carcere di Corte Savella, l’undici settembre 1599, Beatrice Cenci mosse verso il patibolo, vittima esemplare di una giustizia ingiusta. La storia di questa giovane nobildonna, condannata a morte per l’uccisione del padre, rappresenta il simbolo di un’epoca oscura, il Cinquecento, densa di intrighi e tradimenti che portarono spesso a tragici destini. Una vicenda individuale diventata il riflesso di un tempo. E colpisce la coincidenza delle date, come in una strana architettura della storia che abbina i numeri agli eventi. Quattro secoli dopo un altro undici settembre è diventato simbolo di un’epoca. Un evento assai più eclatante della morte di una giovane ragazza innocente, un evento corale che ha scosso come un’onda d’urto l’intero pianeta. Già allora le condanne a morte erano eventi corali, da mostrare come monito di fronte ad una piazza. La piazza adesso si è trasformata in mondo, eppure la barbarie di alcuni esseri umani che infliggono la morte ai loro simili è un evento che resta immutato nella storia, come fosse scritto nel codice genetico dell’umanità, e si manifestasse in maniera 5 l’Adige “ “ ” prorompente ad ogni tornante del tempo. Sicché quella data, scolpita su una lapide, rimarrà scolpita nella memoria di intere generazioni, segno amaro di una sconfitta che si perpetua. DOVE SEI, UOMO? Marco Morelli Che sia avvenuto È l’oscuramento. Che esseri detti umani l’abbiano voluto studiato compiuto con sincronia di scienza astuta. Uomo, chi sei? miscuglio di cellule, fortuito aggregato di fluidi sabbiosi, accidentale dislocazione di atomi? Donde il tuo ingegno infido Reso capillare come un laser Rovente d’odio Questo voler fare il niente dell’altro. Questo voluttuoso escogitare la morte Insistere coatto A frantumare neonati, lo siamo anche a ottant’ anni. Dove, di chi e quale Vittoria? Come ti appaghi Di vendetta? Quale vanto ti esalta? Nel tuo sapere ancor non sai Né per te né per i figli Se meglio sia ancora vivere O trovare fine. Spenta, oscura, cieca, bandita Quello che fu coscienza? Dove sei e come, uomo? VERSO UN ALTRO MONDO Lidia Menapace S i può dire inutile un evento di tale enormità? a me fa venire addosso soprattutto un sentimento di inutilità, come gli appelli sulla povertà dei popoli, lo spreco delle risorse e via così. La ripetitività sembra la condanna di un tempo esso stesso sprecato: si risponde meccanicamente, ripetendo, senza elaborare, senza cercare altre vie: la violenza sotto tutte le forme - stupro pena di morte lapidazioni omicidi rappresaglie di stato terrorismo guerra: tutto ciò rappresenta un mondo verso il quale mi piacerebbe saper dire: “Lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti e cerchiamo la vita in tutta la sua splendente varietà differenza molteplicità curiosità”. Purtroppo quei morti spesso siamo noi stessi, noi stesse quando non sappiamo dire: l’11 settembre non è che la ripetizione degli eventi di scempio di vite che hanno insanguinato il secolo scorso: due guerre mondiali, Auschwitz e Hiroshima. Rischiamo di lasciar innescare una ripetizione insensata, se non riprendiamo il cammino iniziato dopo la seconda guerra mondiale, la decisione allora elaborata di considerare le guerre sempre dei crimini e l’attuazione dei diritti umani il compito del futuro. Credo che, se vogliamo essere vivi e non il mattino Chi pensava che l’11 settembre avrebbe rinsaldato l’amicizia euro-americana constata con sorpresa e un po’ di preoccupazione che vi sono giorni in cui i due partner sembrano due vecchi sposi sull’orlo del divorzio Lo scontro tra la civiltà cristiana e la civiltà islamica non nasce dalle loro differenze ma dalle loro somiglianze Bernard Lewis, “Corriere della Sera”, 1/9/2002 ” 2001 2002 solo sopravvivere depressi/e, dobbiamo riprendere quel cammino, con coraggio civile e metodo nonviolento: bisogna osare uno stacco verso un “altro mondo”. ESSERE SE STESSI, ESSERE ALTRI Silvano Bert IN MEMORIA DEI SOMMERSI E DEI SALVATI Francesco Comina Dicono, se ho ben capito che sia uno scontro di civiltà assopite e incrudelite e che nell’apocalisse di Manhattan si sia come rivelata la teoria, la prassi, la filosofia Dicono, se ho ben capito loro, i cultori dell’ordine universale (etnocentrico, cosmobellico, radicaldollaro) che il crocicchio dei popoli altro non è che un caos dilazionato nel progressivo perdersi degli eventi Dicono, ma non fanno di un mondo diviso in tre che la somma (parziale) di una rapina (globale). P erché è così difficile misurarci con l’attentato delle Torri, a New York, ma simbolo dell’Occidente? È perché, quando studiamo la violenza, ci dice Christopher Browning, siamo stretti in un dilemma. Se partiamo, dall’esterno, da un’istintiva e necessaria condanna, morale e giuridica, ci scopriamo, noi occidentali, in diritto e in dovere di reagire, e colpire, per ristabilire l’universalità della giustizia. Ma così la violenza ci sfugge, ci riesce difficile comprenderla. Se cerchiamo d’immedesimarci, antropologicamente, nella cultura, nell’etica, nella psicologia degli attentatori, la comprensione rischia di diventare giustificazione. Scopriamo, come occidentali, di essere odiati, nemici pericolosi, contro cui si può e si deve reagire. Nel 1969, quando cominciavo a insegnare, l’attentato di Piazza Fontana, a Milano, accelerò bruscamente il nostro sentirci, seppure ancora a fatica, cittadini d’Italia. Nel 2001, con gli ultimi studenti fra i banchi, l’11 settembre ci stimola a diventare, e a vivere, da cittadini del mondo. Ma è difficile questo passaggio. Guardando sul video il bagliore del fuoco, è forte la tentazione di dirci che riguarda loro, non noi. Noi possiamo continuare a spendere le nostre energie Sergio Romano, «Corriere della Sera», 2/9/2002 in difesa dei nostri consumi, piaceri, diritti, a compiacerci delle nostre piccole risse dentro il confine. Alexis de Tocqueville, proprio ne “La democrazia in America”, a proposito dell’individuo moderno, scriveva che “l’energia che gli uomini spendono nei piccoli affari, li placa sui grandi”. E la risposta di guerra, con tutto il resto immutato, provvisoriamente ci placa, individui moderni, e indifferenti, alla grande politica. Per capire sono fragili le parole della cultura, ma sono le uniche di cui disponiamo. Da dove vengono i rischi maggiori, dall’orgoglio dell’Occidente che autoproclama la sua superiorità, o dal rassegnarci a un impotente relativismo fra le culture? Abbiamo oggi più bisogno di una ragione orientata all’identità universale, all’eguaglianza, o di conoscenza, di interazione fra le diverse identità culturali? Essere “se stessi” ed essere “altri”, essere “dentro” ed essere “fuori”, è l’atteggiamento che dovrebbero costruire sul mondo la scuola, gli intellettuali, la stampa. In un paese, sappiamo, che legge a fatica libri e giornali. E con una televisione dedita ad altri fini. FERRAGLIA E FRAGILITA’ Giorgio Mezzalira L a tv passa le immagini dei resti delle 2 torri, che vengono gettati nel forno di una fabbrica di uno di quei Paesi, che si chiamano poveri. L'enorme ammasso di ferraglia delle Twin Towers ha attraversato l'oceano per essere riciclata e diventare del nuovo materiale, magari da costruzione. Lo scomparso simbolo del nuovo mondo rivivrà, sotto altre forme, nel vecchio mondo. Altre notizie riportano del ritrovamento in un ospedale di un sopravvissuto alla tragedia. Ha perso la memoria, ma è vivo. Simbolo di un'altra vita strappata dalle macerie di ground zero, anche se lì ormai non si scava più. … E' passato un anno. E' tempo di tornare alla vita e di non dimenticare. Eppure, proprio lui, il sopravvissuto, quello che non può dimenticare, ha perso la memoria. L'inferno che è stato e che ha vissuto, ha lo spessore del vuoto, del buio e del disorientamento. Un anno dopo, come lui, anche i tempi che viviamo sono fragili. Fragili come la consuetudine del nostro quotidiano, sulla quale incombe quel "niente sarà più come prima", ripetuto all'ossessione da commentatori ed esperti, all'indomani dell'11 settembre. Fragili come il richiamo ad una guerra senza quartiere al terrorismo islamico, che parla solo con la forte voce dell'America di Bush. Fragili come l'ONU, l'Europa, gli attuali equilibri internazionali. Fragili come l'individualismo sfrenato dei nostri giorni. Fragili come il sogno di riscatto e di potenza, che alimenta un'idea di libertà che si coniuga in "splendido isolamento". Oggi, 11 settembre 2002, ci sono tante cose che non dobbiamo dimenticare. PRIMA E DOPO Maurizia Spitaler Prima e dopo Immagini prima e dopo Storia prima e dopo l’Adige 6 il mattino “ “ Non siamo andati in Afghanistan per prendere Osama ma perché i talebani mettevano in pericolo la costruzione di un oleodotto che avrebbe trasportato il petrolio del Caspio. È il momento di ritirare il nostro Impero: ci è costato miliardi di dollari e non serve a nessuno Detentori di una potenza militare senza rivali sul pianeta, gli Stati Uniti sono liberi nella loro scelta. Sta a loro valutare se la tempesta che possono provocare su Baghdad spegnerà gli ultimi fuochi della jihad o, al contrario, ravviverà le sue braci con il rischio d’incendiare il Medio Oriente ” Manhattan prima e dopo Paura prima e dopo Gente prima e dopo Sindaco prima e dopo Bush prima e dopo Afghanistan prima e dopo male prima peggio dopo Iraq prima o dopo FRONTIERE Reinhard Christanell Niente di strano, non era Mia intenzione guardare Fuori da questa costellazione Trascurabile, ripetere il tempo. Niente di strano continua Ad accadere dove ancora Si eseguono le pene non solo Per cercare cadaveri e catene, Un giorno dopo l’altro La mia ora. Se adesso Fossi qui sulle frontiere Nessuno sguardo per fuggire Dalla lama del futuro. IL FUTURO E’ ARRIVATO E IO HO PAURA Luca Coser S cusate, volevo dire una cosa: il futuro è arrivato e io ho paura! Aveva paura anche Stig Dagerman, e anche il tizio che recita in inglese… e chissà, forse aveva paura anche Anna. Ma non è affar mio; il fatto è che loro non ce l’hanno fatta... quello che volevo dire è che le cose andranno bene. Già, ho dei contatti, delle prospettive, e insomma, come ha scritto qualcuno: “ehi, vivrò e sarò felice qualunque cosa accada!” (testo tratto dal video “Anna (L’avventura)”, 2002) UN ASCIUGAMANO BIANCO Lia Guardini C he significa questa data? Immagini di umanità straziata da una tragedia enorme. La donna che scende per le scale tutta bruciata, con la carne viva che si stacca a brandelli, morte vagante; e quello che con il suo asciugamano bianco in mano, usato per far segnali inutili, disegna contro il cielo giallo di polvere un tuffo che pare un quadro di Klee; e poi la altissima lezione di democrazia data dalla disperata votazione dei passeggeri del volo 93 che decidono di ribellarsi ai terroristi; e poi l'amore di Thomas che dal suo cellulare racconta alla moglie l'esito della votazione e dice "Ci proviamo. Ti amo cara", e l'amore dei due volati via dal fuoco e dalla devastazione e piombati giù e schiantati al suolo ad un velocità di 230 km. all'ora, "non sufficiente per far perdere i sensi, ma abbastanza per assicurare una morte istantanea"; ” 2001 2002 Gore Vidal, Los “Angeles Weekly” e poi le due mani, simbolo macabro ed atroce della tragedia di New York, le due mani, di un uomo e di una donna, che testimoniano un amore che arriva di là dell'ombra di una morte terribile; e infine la polvere alta in modo incredibile, e le mille carte che volano giù dalle torri e sembrerebbe carnevale se non fosse l'orrore che ha messo piede nella nostra storia. Sono frammenti di immagini e di pensieri di un anno fa, quando era possibile l'augurio che nei tre minuti di silenzio del 13 settembre ogni uomo possa aver taciuto ed ascoltato, per sentire la voce lieve che viene dal mondo della morte e che afferma nonostante tutto "la vita, l'amore e la politica vera e attenta ai valori veri e alti". Oggi, nel primo anniversario di questa tragedia, c'è solo voglia di silenzio. E una domanda. Quanto è stato fatto, da ognuno di noi, perché loro non siano morti invano? UN PO' DI SILENZIO Astrid Mazzola S ilenzio. Un po' di silenzio, infine! Troppe parole gettate alla rinfusa nello spazio che ci circonda, per creare illusioni di certezze cui aggrapparci, per non vederci dentro l'un l'altro, per soffocare il battito di tutti questi cuori e non scorgere le spalle che si sollevano nel respiro. Parole ormai consunte, sfocate, ansimanti, che conservano solo un'ombra di significato con i cui fragili resti ancora banchettiamo, contendendoceli soltanto per fame di rumore. Abbiamo parlato troppo. La luna sale nel silenzio delle terre, che persino i cani faticano a rompere. Non riempiamo di parole l'incanto del suo sorgere, o ne veleremo la luce. Prendiamoci invece per mano. Ascoltiamoci la vita addosso. Vi prego! Sì, sto parlando troppo. Morte. Amore. Illusione. Ideale. Follia. Sino a quando ogni parola ridiventerà pura, tornerà se stessa e non un vestito della nostra ambizione e del nostro terrore di comprendere... ed anche allora parleremo sottovoce, per timore di spezzare il silenzio del cielo e della stretta delle nostre mani, che dice tutto ciò che c'è da capire: non giocheremo a chi urla più forte, ma ci leggeremo gli occhi. Fino a quel momento... Silenzio. Gilles Kepel, “Corriere della Sera”, 4/9/2002 I PRIGIONIERI DIMENTICATI Enzo Fontana V orrei dedicare queste poche righe alla sorte riservata ai prigionieri nella recente (non ultima) guerra afghana. Innumerevoli parole sono state usate per ricordare le vittime degli attentati alle torri gemelle. Molti hanno denunciato la strage di altri innocenti, questa volta civili afghani, morti sotto le bombe americane. Pochi si sono indignati per la sorte riservata ai nemici della nostra civiltà. Chi farà mai l'appello degli arabi, dei ceceni, dei filippini, dei talebani scomparsi? Per questi, nessuna pietà. Ciascuna madre piangerà il suo. È certo che migliaia di uomini vennero trucidati una volta che si erano arresi. La televisione ha registrato qualcosa del massacro in quella fortezza dove i prigionieri vennero persino bombardati col pretesto che si erano ribellati (si erano ribellati probabilmente perché avevano capito che comunque la loro sorte era segnata). Di recente sono state scoperte fosse comuni coi resti di tanti disgraziati: vennero chiusi e soffocati nei containers. Anche di ciò resta qualche immagine televisiva. Ma ciò che è emerso è probabilmente poca cosa in confronto a ciò che è sepolto per sempre nelle desolate lande dell'Afghanistan. Non fu solo una resa dei conti fra tribù afghane. Molti penseranno che quei terroristi se la sono cercata, ma è un modo di meschino di pensare. Un conto è ammazzare un nemico in combattimento (cosa già di per sé crudele), un conto è ammazzarlo dopo che si è arreso. Qualunque soldato che non sia un criminale conosce la differenza. Ciò che è avvenuto coi prigionieri in Afghanistan merita almeno una menzione nella "storia universale dell'infamia". Meriterebbe almeno l'inchiesta di un tribunale internazionale, se a questo mondo ci fosse giustizia. RAGION DI STATO O SICUREZZA UMANA? Giuliano Pontara D al punto di vista della Realpolitik, della ragion di stato, i massimi beneficiari della violenza indiscriminata dell'11 settembre contro New York e Washington sono stati gli USA e Israele che hanno visto crescere il loro potere geopolitico. Dal punto di vista della sicurezza umana, a livello globale, la strage dell'11 settembre, il susseguente massiccio attacco americano in Afghanistan e la crescente brutale militarizzazione della lotta da parte del governo Sharon costituiscono un'ulteriore fase in un processo di escalazione e globalizzazione della violenza armata che aumenta ulteriormente i rischi di un'immane catastrofe mondiale. Questo processo si sta ora avviando verso una nuova e ancor più pericolosa fase, quella di una seconda guerra contro l'Iraq. Il governo di Baghdad è un governo oppressore - lo era già ai tempi della sua aggres- 7 l’Adige “ Saddam è tornato ad essere il nemico da colpire. Lui, già sconfitto e graziato da Bush padre, ora si dice pronto a sfidare Bush figlio. Bin Laden ringrazia e sta a guardare ” Danilo Fenner "Q uando se ne sono andati tutti?". Fatima, la donna delle pulizie, siede a cavallo di un vecchio condizionatore e fuma. "Questo? Oh, è fuori uso ormai" dice, e fa un gesto con la mano come a voler comprendere, con il condizionatore, l'intero universo. Questa era una città sacra: il minareto, un tempietto, la strada sgangherata fino a un ruscello e a una fonte miracolosa. Immer Leku, cinquant'anni, e suo figlio Ramiz si offrono di accompagnarci, se vogliamo. A parte loro due, Fatima e il sindaco, un giovanotto dalla barba nera appuntita, sembra proprio che non sia rimasto nessuno qui. Forse non sono animati da buoni presagi. Solo nel tunnel dietro il Magazzino Cperk incontriamo ancora alcune persone, un barbiere fa i capelli a tutti, è pieno di allegria, un tizio col cappello in mano saltella tra le voragini piene di fango. Aslan e la sua famiglia vengono da Cabic. Hanno fatto tutta la strada a piedi, le bambine piangono, il cane è morto per strada e qui si sta preparando un bel temporale. La jeep scarica pacchi arancione, l'odore è quello tipico dei medicinali, invece sono pacchi di pasta. Una figlia di Aslan guarda compiaciuta la sua gonna strappata: "Tanto era da buttare..." commenta ridendo. L'uomo apre una mano a ventaglio davanti alla faccia. Che giorno è oggi, ci chiede. L'11 luglio, rispondiamo. Aslan fa una smorfia. Un anno fa, ci ricorda, esattamente un anno fa i serbi di Karadzic entrarono a Srebrenica. Gli uomini vennero divisi dalle donne, i giovani dai vecchi. Li portarono via e li uccisero, tutti. Furono seppelliti in fosse comuni. Quanti morti? Boh, tanti, tantissimi… Sette o diecimila. Davvero, mica se le inventa queste cose. È per questo che ogni mese, ogni undici di ogni mese, le donne di Srebrenica escono in piazza, no? La mano sulla faccia stringe la bocca, la asciuga dalla schiuma bianca. ” 2001 2002 Vittorio Zucconi, “la Repubblica”, 4/9/2002 OGNI UNDICI DI OGNI MESE il mattino “ Crediamo di sapere tanto, un anno dopo, su Al-Qaeda, su Osama, ma conosciamo appena la lista delle loro vittime, che cambia ancora. Niente di quanto è stato fatto, la troppo facile «vittoria» contro i Taliban afgani, i progetti di assalti all’Iraq, i 150 milioni di dollari di fondi sequestrati in un anno, sommette da campagna acquisti di calcio, ci convince che le autorità americane sappiano quel che fanno sione contro l'Iran, ma allora riceveva enormi aiuti dall'Occidente. La guerra degli USA contro l'Iraq non sarebbe una guerra di difesa - perché l'Iraq non ha attaccato gli USA; né una guerra di difesa preventiva, perché tale guerra non è contemplata nell'àmbito del diritto internazionale. Sarebbe una guerra di ulteriore espansione geopolitica. Darebbe ulteriori spazi ai fanatici dello Jihad e porterebbe Saddam Hussein in una situazione in cui nulla avrebbe da perdere usando le armi di distruzione di massa di cui si dice disponga. Aggiungerebbe indicibili sofferenze alla popolazione irachena, già così provata dalle centinaia di migliaia di morti causati da una politica di sanzioni che ha colpito solo essa. L'alternativa è appoggiare al massimo la proposta di togliere le sanzioni se l'Iraq accetta nuove ispezioni, fatta dal segretario dell'ONU. E investire centinaia di miliardi di dollari nella lotta contro la povertà, altro che nella guerra. 9/11 E NON SOLO: LA VITA VALE POCO Mirco Elena 9/11 come dicono gli americani, undici settembre. C'è indubbiamente stata enfasi, forse eccessiva. Si è avuta una forte evidenziazione, proprio come tutto ciò che avviene negli USA (gli attentati "ceceni" ai condomini di Mosca sono rapidamente scomparsi dai nostri media). L'unica superpotenza rimasta ha visto improvvisamente sgretolarsi il rassicurante sogno di invulnerabilità del proprio territorio, sogno che per oltre un secolo aveva avuto le sembianze della realtà. Forse per questo si è intrapresa una guerra all'Afghanistan, di per sé sproporzionata rispetto alle dimensioni dell'attacco. I super-ricercati Osama bin Laden e mullah Omar non sono però stati presi, mentre sicuramente si sono fatte numerose vittime innocenti nella popolazione civile. Questo non sembra pesare molto sulla nostra coscienza occidentale, come fossero morti di serie B. Fors'anche perché essere musulmano equivale ormai per molti a essere un potenziale assassino. Si è complicato l'andare in aereo, con tempi allungati e regolamenti talora bizzarri e inutili (se non addirittura sciocchi, come nel caso del bando alle limette dei tagliaunghie. Ormai si verifica che non ci sia esplosivo nei tacchi delle scarpe; a quando l'esame per il tritolo nelle mutande? Chi controllerà?). E potremmo continuare. Esaminando i numeri vediamo peraltro che le nostre società occidentali accettano, talora pure con un certo fatalismo, un numero di decessi assai più elevato di quello causato dall'attacco alle torri gemelle. È il caso degli incidenti automobilistici, sul lavoro, per esposizione a inquinanti ambientali, ecc. L'impressione causata da questi ultimi è però minore, secondo una ben nota regola psicologica. Si riconferma che l'emozione domina, anche nella politica internazionale. Dall'attacco alle torri gemelle e da quel che ne è seguito, possiamo trarre due insegnamenti: che da una parte la vita umana vale poco (e purtroppo lo sapevamo già); dall'altra che si dovrebbe fare di più, molto di più, per evitare che la prossima volta sia per dei terroristi facile scagliarsi contro una città opulenta non con un aereo, ma con un ordigno nucleare, forse uno di quelli che in Russia sono custoditi in modo poco sicuro. Magdi Allam , “la Repubblica”, 4/9/2002 PACE, NON VENDETTA Sergio Artini L a società civile occidentale, eticamente e tecnologicamente avanzata, è in grado di mettere in atto modalità efficaci e compatibili per prevenire e fronteggiare le varie forme di terrorismo. Ma il potere tecnologico da solo non riesce a salvarci dal senso tragico del mondo. L'unica speranza sta nel saper correre il rischio della libertà, tra il bene il male. E il cristianesimo attuale potrebbe rilanciare l'utopia di un dialogo conciliatore tra gli antagonisti. Quello che non deve accadere è di trasformare i martiri dell'11 settembre in pretesti offensivi, cadendo così nella spirale nichilista di una guerra tra religioni e tra civiltà. Anche quando a noi pare che quei morti chiamino vendetta, loro dicono pace. LA FIDUCIA DEI CONSUMATORI Albert Mayr D ei fatti dell'11 settembre, dei retroscena e dei sospetti - spesso inquietanti - collegati a tali fatti, si è già scritto tanto. Forse, a distanza di un anno, può essere utile una breve riflessione su come tutto ciò è arrivato a noi, lettori e spettatori geograficamente lontani, mediato dai media. Un breve ricordo personale: in quei giorni mi trovavo all'estero e guardavo, tra gli altri, un news channel americano di cui non ricordo il nome. Ebbene, già il 12 settembre - mentre, per esempio, la televisione tedesca documentava le innumerevoli manifestazioni spontanee di solidarietà - la speaker di quel canale, sullo sfondo delle ben note immagini delle macerie fumanti, si poneva, e ci poneva, angosciata, questo interrogativo: "Cosa faranno ora i consumatori, dopo un simile fatto la fiducia dei consumatori tornerà?" Tralascio ogni commento. RISPETTARE L’ISLAM: CE LO INSEGNA UN GRANDE EBREO Silvano Zucal C osa resta dentro di noi del bagliore tragico dell’11 settembre? Cosa ha significato quest’anno nelle coscienze? Solo memoria del tragico o anche un embrione di speranza? Se andiamo alla macabra contabilità dei morti, i morti delle torri e i morti civili in Afghanistan vediamo solo dei numeri che si rincorrono e dei volti che scompaiono all’orizzonte. Ma non ci resta solo questa danza macabra. C’è stato l’emergere di un problema su tutti. Il problema del rapporto tra Occidente ed Islam. Può chiudersi tutto in un gioco ristrettissimo tra integralismo islamico e arroganza occidentale? Questa la domanda. In realtà ci sono due segue a pagina 10 l’Adige 8 il mattino 2001 2002 TRENTO l’Adige del 12 settembre FRANCIA Le Monde minuto per minuto... ITALIA LA STAMPA ITALIA CORRIERE DELLA SERA ITALIA Il Sole 24 ORE BRASILE O Dia FINLANDIA HELSINGIN SANOMAT ITALIA la Repubblica ITALIA l’Unità BOLIVIA LA Razon BRASILE O GLOBO MESSICO REFORMA 14.48 Sono le 8.48 del mattino a NewYork Un grande aereo, probabilmente dirottato, si schianta contro una delle torri del World Trade Center Dall'esterno dell'edificio si vede un buco e all'interno scoppia un incendio 15.03 Un secondo aereo, un altro jet passeggeri, si schianta contro la seconda torre del World Trade Center ed esplode Entrambi i grattacieli sono in fiamme. 15.17 La Faa, l'ente Usa di controllo al volo, decide di chiudere tutti gli aeroporti dell'area di New York 15.21 La New York City Port Authority ordina la chiusura di tutti i ponti e di tutti i tunnel dell'area di New York 15.30 Il presidente americano George Bush, parlando dalla Florida, dice che il Paese ha subito "un apparente attacco terroristico" 15.40 La Faa decide di bloccare i voli in tutti gli aeroporti americani E' la prima volta nella storia americana che viene fermato il traffico aereo in tutto il Paese 15.43 Un aereo si schianta sul Pentagono, a Washington, sollevando un'enorme colonna di fumo Immediatamente comincia l'evacuazione 15.45 Viene evacuata la Casa Bianca 16.05 Crolla la torre meridionale del World Trade Center, franando nelle strade attorno Si forma un'enorme nuvola di povere e di detriti che man mano si allarga allontanandosi dall'edificio 16.08 Agenti dei Servizi Segreti armati con le armi automatiche vengono schierati lungo il parco Lafayette al lato della Casa Bianca 16.10 Crolla una parte del Pentagono 16.10 Il volo 93 della United Airlines si schianta in Pennsylvania, a Sudest di Pittsburgh 16.13 Viene evacuato anche l'edificio delle Nazioni Unite, sempre a New York Lasciano l'edificio 4.700 persone del quartier generale dell'Onu e 7.000 dell'Unicef e dei programmi di sviluppo delle Nazioni Unite 16.22 A Washington vengono evacuati i dipartimenti di Stato e di Giustizia, il Parlamento e la Banca Mondiale 16.24 La Faa informa che tutti i voli transatlantici diretti negli Stati Uniti vengono dirottati in Canada 16.28 La torre Nord del World Trade Center crolla Viene giù dalla cima come se venisse spellata Si leva un'enorme nuvola di detriti e di fumo 16.45 Viene decisa l'evacuazione di tutti gli edifici federali a Washington 16.46 Il segretario di Stato americano Colin Powell decide di interrompere il proprio viaggio in Sudamerica e di tornare negli Usa 16.53 Il sindaco di New York Rudolph Giuliani decide di rimandare le elezioni pri- 16.54 17.02 17.18 17.26 17.59 18.04 18.15 18.30 19.04 19.27 19.44 20.00 marie per il sindaco di New York, che avrebbero dovuto svolgersi in giornata Israele evacua tutte le proprie sedi diplomatiche Giuliani chiede ai cittadini di New York di stare a casa e ordina l'evacuazione di tutta la parte meridionale di Manhattan L'American Airlines annuncia di aver perso due dei propri aerei Uno è il volo 11, un Boeing 767 in volo da Boston a Los Angeles con 81 passeggeri e 11 membri dell'equipaggio a bordo L'altro è il volo 11 in rotta da Washington a Los Angeles, con 58 passeggeri e sei membri dell'equipaggio Si pensa che quest'ultimo sia uno degli aerei che si è schiantato sul World Trade Center La United Airlines conferma che il volo 93, in volo da Newark, nel New Jersey, a San Francisco, si è schiantato in Pennsylvania La compagnia aerea si dice "molto preoccupata" per il volo 175 La United Airlines conferma che il volo 175, da Boston a Los Angeles, si è schiantato con 56 passeggeri e nove membri dell'equipaggio a bordo I soccorritori affermano che non ci sono superstiti Viene evacuato l'aeroporto internazionale di Los Angeles, destinazione dei due aerei dell'American Airlines dirottati Viene evacuato e chiuso l'aeroporto di San Francisco, destinazione del volo 77 dell'American Airlines, uno dei due che hanno colpito il World Trade Center L'ente americano di controllo dei volo rende noto che nei cieli statunitensi ci sono ancora 50 velivoli, ma che nessuno ha dato notizia di avere dei problemi Bush, parlando dalla base aerea di Barksdale, dice che tutte le necessarie misure di sicurezza sono state prese Tra queste anche la messa in stato di massima allerta di tutte le basi statunitensi del mondo Il presidente chiede di pregare per coloro che sono stati uccisi o feriti negli attacchi e afferma: "State certi, gli Stati Uniti scoveranno e puniranno i responsabili di questi attacchi codardi" Viene dichiarato lo stato di emergenza nella città di New York Il Pentagono annuncia che cinque navi da guerra e due portaerei lasceranno la base di Norfolk, in Virginia, e saranno posizionati nell'area di New York e lungo la Costa orientale Le portaerei hanno attrezzatura per la difesa aerea delle aree di New York e l'area di Washington Fonti autorevoli dell'Fbi dicono alla CNN che si sta lavorando sull'ipotesi investigativa che i quattro aerei che sono caduti fossero stati dirottati nell'ambito di un disegno terroristico GERMANIA Pforzheimer Zeitung GERMANIA Neue Ruhr Zeitung NORVEGIA VART LAND FILIPPINE SUN STAR POLONIA SLOWO POLSKIE SPAGNA EL PAIS ESTONIA Ohtuleht VENEZUELA La Voz INGHILTERRA The London Free Press URUGUAY EL OBSERVADOR 9 l’Adige 2001 2002 11/9/2001-11/9/2002 COREA Seul Economic Daily 11 SET tra le 8:48 e le 9:43 tre aerei dirottati da kamikaze si schiantano contro le torri gemelle di New York su un’ala del Pentagono. Un quarto aereo precipita in Pennsylvania. 14 SET il Congresso Usa autorizza l’uso della forza. 15 SET il presidente Bush dichiara che la guerra non sarà breve e che il primo sospettato per gli attacchi è Osama Bin Laden. 19 SET Bush chiede ai Talebani la consegna di Bin Laden. Annunciato il piano militare Usa con il nome «Giustizia infinita», poi cambiato in «Libertà duratura». 24 SET Bin Laden chiama alla guerra santa contro «la campagna dei nuovi ebrei e crociati americani». Congelati negli Usa i beni di sette enti sospettati di legami con Al Qaida. 4 OTT primo caso di contaminazione dolosa con spore di antrace (carbonchio) in Florida. 7 OTT iniziano le operazioni militari in Afghanistan. In un video Bin Laden ringrazia Dio per distruzione dei simboli Usa. 9 OTT primo errore nei bombardamenti, colpita a Kabul sede di agenzia Onu, quattro morti. 17 OTT allarme carbonchio, chiuso per disinfestazione il Congresso Usa. 7 NOV Il parlamento italiano dà il via libera alla partecipazione alle operazioni militari con 2.700 soldati. 9 NOV cade la città di Mazar-i-Sharif, nel nord dell’Afghanistan. 10 NOV Bin Laden minaccia di usare l’atomica se gli americani la impiegheranno. 12 NOV le forze afghane antitalebane prendono Bamyan ed Herat e la pianura di Shomali a nord-est di Kabul. 14 NOV cade Jalalabad, nel nord-est del paese. 19 NOV assassinata vicino a Kabul la giornalista italiana Maria Grazia Cutuli, in un agguato in cui restano uccisi anche tre suoi colleghi, uno spagnolo, un australiano e un afghano. 24 NOV cade Kunduz, nel nord-est. 5 DIC accordo raggiunto a Bonn tra le forze afghane per l’insediamento di un governo provvisorio e lo schieramento di una forza di pace. 6 DIC resa di Kandahar. 16 DIC cessa ogni resistenza a Tora Bora, ritenuto l’ultimo baluardo dei Talebani, ma non c’è traccia di Bin Laden e dell’altro super ricercato, la guida spirituale dei Talebani mullah Omar, genero dello sceicco saudita. Iniziano a circolare, susseguendosi poi fino a questi giorni le voci sulla loro sorte. 20 DIC il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva il mandato di sei mesi all’Isaf, la forza multinazionale di sicurezza in Afghanistan. Il mandato sarà successivamente rinnovato. 22 DIC si insedia a Kabul il governo provvisorio guidato da Hamid Karzai. 2002 4 GEN firmato a Kabul l’accordo sul dispiegamento dell’Isaf. Primo soldato Usa muore sotto fuoco nemico. 7 GEN Blair è il primo leader occidentale a visitare Kabul. 11 GEN i primi 20 prigionieri, Talebani e membri di Al Qaida, giungono nella base della marina Usa a Guantanamo, sull’isola di Cuba. Nei mesi successivi scoppiano le polemiche sul trattamento dei prigionieri. 20 GEN conferenza di Tokyo sulla ricostruzione dell’ Afghanistan. Partecipano 60 Paesi e 22 organismi internazionali. 23 GEN rapito in Pakistan il giornalista del Wall Street Journal Daniel Pearl. Un mese dopo si saprà che è stato ucciso. 30 GEN nel Discorso sullo stato dell’unione, Bush teorizza l’”asse del male», che comprende Iraq, Iran e Corea del Nord. 2 MAR scatta l’Operazione Anaconda che impegna le forze americane contro postazioni di Al-Qaida sulle montagne vicino alle città di Gardez, nel sud-est dell’Afghanistan. Si conclude il 18 marzo. Otto soldati americani muoiono negli scontri. 17 APR torna a Kabul dall’esilio romano l’ex re Zahir Shah. 10 GIU arrestato negli Usa un cittadino americano accusato di preparare un attentato a Washington 11 GIU si apre a Kabul la Loya Jirga, assemblea delle tribù afghane. 19 GIU nasce il governo Karzai. 1 LUG oltre 100 civili muoiono in Aghanistan per un bombardamento definito da Washington un errore. 19 LUG Bush annuncia di voler «finire il lavoro» iniziato in Afghanistan e conferma l’impegno a sradicare il terrorismo. 28 LUG l’Iraq si prepara ad affrontare un attacco americano: il parlamento approva norme relative ad un piano di difesa militare ed inizia la mobilitazione “contro Usa e sionismo”. 19 AGO Cnn mostra i video sulle armi chimiche di Al Qaida. 21 AGO Bush dichiara che la fine del regime di Saddam Hussein è “nell’interesse del mondo”. 25 AGO su un sito internet islamico compaiono nuove minacce agli Usa, attribuite a Bin Laden. 27 AGO ritrovato in un ospedale del New Jersey un uomo dato per disperso nel crollo del World Trade Center. Soffre di amnesia e schizofrenia. 2 SET il ministro degli Esteri russo Ivanov annuncia che la Russia porrà il veto se l’attacco all’Iraq sarà discusso al consiglio di sicurezza dell’Onu. 11 SET Gli Usa si preparano con settimane di anticipo alla giornata del ricordo, tra la paura di nuovi attentati e le insistenti voci su un’attacco all’Iraq. NORVEGIA BA USA Newsday USA NY DAILY NEWS USA New York Times USA NY DAILY NEWS INDIA THE HINDU AUSTRALIA The Courier Mail AUSTRIA VN 2817 i morti accertati dell’11 settembre 2001 3600 i morti civili stimati nella guerra in Afghanistan 2172 (1533 palestinesi e 589 israeliani) le vittime della nuova Intifada 60 i poliziotti morti al World Trade Center 343 i vigili del fuoco del dipartimento di NewYork uccisi dal disastro (60 erano fuoriservizio) 200 le persone che si sono lanciate dai grattacieli, schiantatesi al suolo ad una velocità di 230 Km all'ora. Le loro morti sono state classificate dal medico legale come “omicidì”; 266 le vittime sui quattro voli dirottati 1.379 le vittime identificate ufficialmente; 20.000 le parti di corpi da identificare nei laboratori del Dna della città di New York. 16 le persone che si trovavano nella Torre sud sopra il piano colpito dal jet, e che sono riuscite a salvarsi 89 le persone che tuttora risultano disperse 65.000 i beni personali recuperati da Ground Zero 144 gli anelli ritrovati nelle macerie delle Torri 89 per cento la popolarità di Bush dopo gli attentati, 69 per cento oggi 51 su 100 gli americani favorevoli alle truppe di terra in Iraq 29 anni l'età delle Twin Towers alla morte (furono inaugurate il 4 aprile 1973) 417 metri l'altezza della Torre nord, 415 quella della Torre sud 58 secondi il 2002 i numeri tempo impiegato dagli ascensori per raggiungere l'ultimo piano 6 bambini americani su 10 pensano all'11 settembre più di una volta in settimana 80.000 le persone che andavano ogni giorno alle torri (le 50 mila che ci lavoravano, più i turisti e i visitatori vari) 80 mesi il tempo impiegato per costruire il World Trade Center, dal 1966 al 1973 102 minuti il tempo impiegato per distruggere le due torri, dal primo impatto al secondo crollo 760 e 950 km all'ora la presunta velocità dei due Boeing al momento dell'impatto 980 gradi la temperatura delle fiamme prodotte dall'incendio degli aerei (a 550 gradi l'acciaio perde metà della sua resistenza) 2.235.997 dollari la cifra lorda del risarcimento governativo per un adulto di 25 anni con figlio a carico e un reddito di 50 mila dollari al momento della morte 116.000 le bandiere a stelle e strisce vendute da Wal Mart l'11 settembre 2001 3.600.000 i turisti che avranno visitato Ground Zero alla fine di quest'anno 30.000.000 di dollari il patrimonio del gruppo Al Qaeda secondo analisti americani 37 per cento l'aumento del budget delle spese militari proposto da Bush per il 2003 110 i piani delle due Torri gemelle, realizzate nel 1972 con un costo di 1,2 miliardi di dollari. Per la loro costruzione sono state impiegate 200.000 tonnellate di acciaio. In esse lavoravano 50.000 persone di 430 imprese di 26 paesi diversi. 19 i kamikazedirottatori dei quattro aerei usati per compiere gli attentati. 60.000 metri quadrati era la superficie occupata dal complesso del World Trade Centre, dove si sta progettando di costruire un gigantesco mausoleo. 500 le vittime le cui famiglie hanno chiesto risarcimenti. 40 miliardi di dollari stanziati dal Congresso per far fronte ai danni prodotti dagli attacchi. 100.000 posti di lavoro perduti nella settimana dopo il mattino BOLZANO il mattino del 12 settembre PERÙ El Comercio l'attacco e 1,2 milioni di posti di lavoro persi negli Stati Uniti ad un anno dagli eventi, soprattutto nella città di New York. Colpito soprattutto il settore turistico. 6.000 degli 11.000 uomini dell’FBI sono stati impiegati nel Paese per le indagini sul terrorismo . 300 statue di cani a grandezza naturale saranno esposte a Manhattan fino a novembre per ricordare gli animali che parteciparono alle operazioni di ricerca dei superstiti del Wtc. A dicembre saranno messe all'asta per raccogliere fondi per l'addestramento dei cani da soccorso in tutti gli Usa. 150 le pubblicazioni uscite sull'11 settembre. 15.000 cantanti, da Aukland (Nuova Zelanda) a Manhattan, commemoreranno il primo anniversario degli attacchi, con l'esibizione di 160 cori di 24 paesi in 20 fasce di fusi orari, a partire dalle 8.46 di New York, ora del primo schianto. 50 /60 milioni di dollari sarà l'ammontare delle perdite in ricavi pubblicitari per le 24 ore di silenzio e riflessione, che l'11 settembre coinvolgeranno i media americani. 72% dei newyorkesi si aspetta un nuovo attacco. Di questi il 33% lo ritengono molto probabile, mentre il 39% abbastanza probabile. 11 i registi di fama internazionale, tra cui Amos Gitai, che hanno partecipato alla realizzazione del film '11/09/01', presente a Venezia, ma che forse non sarà distribuito in Usa perchè tacciato di “antiamericanismo”. PORTO RICO Primera Hora SVEZIA Afton Bladet CANADA The Globe and Mail ARGENTINA Clarìn CILE SEGUNDA l’Adige 10 il mattino “ “ I kamikaze hanno stecchito migliaia di persone, ma non importa: la maggior parte dei nostri connazionali sta dalla parte dei terroristi e non delle vittime Ancora una volta, insomma, la guerra ci è apparsa - è apparsa a molti di noi - come la risorsa estrema ma alla fine irrinunciabile per non essere travolti dalle convulsioni del mondo ” Ernesto Galli della Loggia, “Sette”, 5 settembre 2002 pianeti che non si conoscono, meglio che non si conoscevano, e che l’11 settembre ha costretto ad un incrocio obbligato di sguardi, un reciproco tentativo di scrutare il pianeta altrui. Mai come in quest’anno le librerie hanno venduto libri sull’Islam. Certo questo approccio ha visto anche il libello della Fallaci che ha scaricato sull’Islam violenza verbale, intolleranza e incapacità dialogica. Libro trionfante nelle vendite quello della Fallaci. Ma, in modo meno vistoso, è cresciuta anche un’altra e inedita frontiera. Quella di chi cerca di capire, di apprezzare l’altro e di non ridurlo alle follie suicide e omicide di Bin Laden. Tutti costoro crescono alla scuola del più grande filosofo ebreo del nostro secolo, Emmanuel Lévinas, il filosofo del volto. Ebbene Lévinas con sofferta profondità scriveva già nel 1959 passaggi come questi che dicono tutto l’apprezzamento dell’altro: «L’Islam è uno dei fattori principali della costituzione dell’umanità. Il suo compito è stato arduo e grandioso. Da molto tempo è andato oltre le tribù da cui nacque; ha seminato in tre continenti, ha unito popoli e razze innumerevoli. Ha compreso meglio di tutti che una verità universale vale più dei particolarismi locali. Non è casuale che un apologo talmudico citi Ismaele simbolo dell’Islam, tra i rari figli della Storia Santa, il cui nome fu formulato e annunziato prima della loro nascita, come se la loro funzione nel mondo fosse da tutta l’eternità prevista nell’economia della creazione. Davanti alla grandezza di questa realizzazione il giudaismo non ha cessato di inchinarsi». Testo paradigmatico. Non c’è solo il disprezzo e la furia anti-islamica della Fallaci nel nostro futuro, se sappiamo crescere alla scuola di chi sa gustare la grandezza dell’altro. Splendida lezione di un filosofo ebreo mentre giudaismo e Islam confliggono in Israele. PERICOLO ISLAM: UN ALIBI PER IL BUSINESS? Michele Dalla Palma D a mesi, cercando di nascondere in ogni modo il mio inevitabile pragmatismo occidentale, inseguo avventure confondendomi dentro realtà che non mi appartengono. Sforzandomi, se non di capirle, almeno di conoscerle. Balcani, Turchia, Siria, Libano, Giordania, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Mauritania, Marocco mi hanno permesso di assaporare atmosfere e culture del Medio Oriente e dell’Africa bianca, ma, soprattutto, dell’Islam. I cento, mille volti di una religione capace di unire, in un unico credo e un’unica lingua, al di là dei particolarismi locali, una nazione smisurata, dai confini del subcontinente indiano all’oceano Atlantico. Parlando con tante persone, uomini qualunque incontrati nella quotidianità dei souk, delle medine, delle moschee, compagni occasionali gentili e misurati come solo gli arabi sanno essere, non ho mai percepito alcuna simpatia per il fondamentalismo e la violenza come strumento di affermazione di un principio. Certo il musulmano, ben lontano dall’essere un oppresso in cerca di riscatti o emancipazioni, è invece un guerriero che insegue il sogno di evangelizzare il mondo nel segno del suo credo. ” 2001 2002 È scritto, in modo chiaro e inequivocabile, nel Corano. Ma nel XXI secolo non possono essere bombe e attentati a convertire i popoli, quanto una penetrazione, lenta ma inesorabile, nella nostra realtà. Che, confusa tra ateismo modernista e una eligiosità di facciata, non possiede le basi ideologiche per opporsi all’energia della devozione islamica. Il “pericolo Islam” e la demonizzazione di questa cultura è stato il filo conduttore, e spesso l’alibi, degli ultimi settecento anni di storia di un’Europa incapace di esprimere una riconoscibile cultura unitaria, al di sopra delle peculiarità regionali. Ben diverso il governo, sconosciuto e incontrollabile, dei grandi poteri occulti che oggi condizionano la vita e ipotecano il futuro dell’intero pianeta. Mostri che crescono sulla grande speculazione, capace di mettere in ginocchio qualsiasi economia, su traffici, dalle armi alla droga, sotterranei ma estremamente redditizi, e anche sullo sfruttamento incontrollato e incondizionato delle risorse, rifiutando qualsiasi logica che guardi con un minimo di rispetto, amore e preoccupazione al futuro. Questo Moloch, sfuggito al controllo della ragione e delle nazioni, non può certo crescere e alimentarsi nell’ordine e nella cer- tezza del diritto, bensì nel caos. Giustificato da un perenne “stato di guerra” contro un nemico sempre più evanescente e difficilmente identificabile. Affermato con azioni eclatanti per sviare l’attenzione dai problemi reali di un’umanità che si sta suicidando in nome del potere e della ricchezza. Analizzando con obiettività le trame di questi giochi di potere, che si intersecano in ogni parte del mondo, scaturisce inevitabile la domanda: “cui prodest”? Chi arma gli infiniti Bin Laden, microbi del sistema inventati per nascondere virus ben più letali? NYC, MAGGIO 2002 Gigi Zoppello Sono partito, e ho volato in mezzo ai fusi orari, E all’aeroporto una security maligna Ha tolto le scarpe proprio a tutti. File di scarpe, punte dritte e storte, in viaggio Come le scarpe nelle foto di Dachau, Un mucchio di suole consumate, vedo Ciascuna è la misura dell’andare Di ognuno, la sua storia di bipede E di scimmia evoluta. Scarpe io vedo Vittorio Feltri, “Libero”, 7 settembre 2002 Un serpente di passi, e di passioni Sul nastro infinito, gira e gira, e noi Con bianche dita dai buchi dei calzini Come le cicatrici di operazioni antiche Che vedi in spiaggia, sotto gli ombrelloni. Dico: cose che vuoi vedere e cose che non vedi. Poi. Come non andare lì a Ground Zero? Ci sono stato ed è un grande cantiere Zeppo di ruspe gialle come api “Oh, va molto meglio, puoi sentire una gran voglia di rinascita qui in giro” la breve cantilena, Ram si rassicura Parola di speranza, profezia, in un bar Che come un utero ci accoglie Nel ventre molle della Babilonia E non posso, lo sai, in questo momento Né dire sì, né no, e neanche forse. TUTTI SOTTO TIRO Giovanni Colombo L a mattina dopo in metropolitana c’era un insolito silenzio. Anche gli angeli custodi tacevano. E ci fu del panico negli occhi di tanti quando il vagone si fermò per una ventina di secondi in galleria. Per la prima volta anche la nostra generazione, risparmiata dalla morte che nei decenni scorsi ha mietuto così allegramente in mille luoghi lontani, aveva paura. Dopo l’11 settembre siamo tutti sotto tiro. Ormai può succedere pure a noi di andare al lavoro, di alzare gli occhi dalla scrivania e morire con la visione impressa nella retina del muso di un Boeing 767 che entra sparato dalla finestra. Nel corso di quest’anno, anche se in apparenza ci siamo lavati i capelli, mangiato i cioccolatini, tifato la squadra del cuore come se le cose girassero per il solito verso, nel nostro profondo è aumentato il disagio nei confronti del mondo. Abbiamo provato più forte il desiderio di nasconderci, di mettere la testa sotto le coperte. Sono rifioriti i sogni dell’isola remota in cui rifugiarsi dalle grinfie della storia, dell’arca di Noè in cui salvarsi dal diluvio. Ma è inutile sospirare, un altro mondo non c’è. Quest’unico che abbiamo a disposizione rimane pur sempre la nostra casa. E ora, caduto insieme alle due torri l’invisibile burqa culturale che avevamo calato sugli occhi e che ci impediva di vedere cosa stesse realmente succedendo, diventa almeno più nitida la direzione da prendere. Non più solo il bene della famiglia, del partito, del clan, della tribù, della razza, dell’etnia, della nazione, della chiesa, ma il bene dell’umanità intera: questa è la pace. LE PREGHIERE LE PAROLE SPRECATE Cristina Vignocchi D urante la processione paesana dell’Assunta, uguale a se stessa da un centinaio d’anni e più, ci si accorge che il presente è tale solo per la trovata tecnologica del pingue e sudato parroco, la cui voce esce gracchiante dalla rete di una tromba di megafono, che lo precede appoggiata in 11 l’Adige ” Mimmo Càndito, “La Stampa”, 6 settembre 2002 una cesta come la testa mozzata di Oloferne, portata dal chierichetto per le due strade del pellegrinaggio serale della festa di mezza estate perché tutti, ma proprio tutti, lo possano sentire al di là della sua presenza, peccando di desiderio ubiquitario. Esorta i fedeli a pregare la Madonna perché doni ai nostri giorni la pace e la gioia che “grandemente desideriamo”, ad invocare l’aiuto di Dio per chi soffre, per il riposo eterno dei defunti e per “l’esaudirsi delle proprie preghiere personali”. Un salto nel vuoto. Parole nel vuoto, sonnambule, dette tra sé e sé nonostante l’eco, in un’assenza pneumatica di storia, di umanità, in un imbarazzo riflessivo e smemorato, oserei dire egoista, di diritto. Dal mondo deputato allo spirito ci si aspetta qualcosa di più. Non sembra succedere mai nulla qui, tra le due strade del paese, vissuto come specchio del più vasto mondo. E se qualcosa succede, è sempre la stessa cosa vaga, la realtà, per cui le parole vaghe ben le si adattano. Il male è male, e non è altro, il bene è il bene, ma a differenza del primo, ha confini meno netti. Come si può fare per allargare la comprensione e la possibilità del “bene”? Perché il mattino “ “ Che gli americani abbiano vinto la loro battaglia contro i taleban, non c’è dubbio alcuno. Ma la vittoria e la fine della guerra non sono la stessa cosa 2001 2002 Era stato un augurio, che il mondo non fosse più quello di prima: e ora già lo si rimpiangeva. Un altro mondo finito, una paura della fine del mondo ” non realizzare ogni tanto un sincero e purificatore silenzio? Cura indolore contro le retoriche, non contro le celebrazioni. Desiderio del ripristino della quotidiana dignità e significato del vivere. Perché non prevalga lo stupore sul possibile fragore mondano, quello stupore subito zittito dall’incomprensione, e tuttavia anch’essa inammissibile, così da evitare gli esami di coscienza generali, o almeno il tentativo di guardare ad una verità. Stupore e incomprensione che frettolosamente si vorrebbe arginare con altrettanto frettolose preghiere. Frettolose indignazioni, o pettegolezzi e mistificazioni. Agglomerati di confusione sempre uguali nel tempo e nello spazio, della piccola storia. E intanto però nella storia di tutti le cose succedono. Spesso succedono trascinate, accompagnate e ingigantite da parole sbagliate. Aggiunte di tifoni di parole, bombe di parole, terremoti di parole. Alluvioni di parole. Abbondanza tristemente inutile, malefica, in odore di peccato di spreco, grave quanto lo spreco del pane. IL PRIMA E IL DOPO di Paola Rosà L e date non dicono mai nulla, sono come quegli appunti per la spesa che ti fanno tornare a casa con il carrello pieno: perché accanto al latte c’è la panna da dolci, e se hanno finito il crudo arrivi a comprare bresaola e pecorino. Le date sono fatte di un prima e di un dopo, che si consumano nel vuoto dell’orgia celebrativa, nelle parole senza eco delle cerimonie. C’è chi non riesce a piangere ai funerali, e chi non si fa incantare dai sorrisi degli sposi impomatati il giorno dei confetti: è il «prima» a dare dignità al defunto, ed è il «dopo» a garantire sostanza al matrimonio. E non è certo il numero dei partecipanti, o il luogo del rito, a intaccare il valore dell’evento. Eppure coi numeri ci hanno giocato, puntando al rialzo con le vittime di New York e facendo grandi sconti agli afghani; hanno giocato con le bandiere e con gli inni, con la retorica e l’eroismo, con la cultura e la religione. Nel «prima», di una pacifica ostilità sotto Adriano Sofri, “Diario del mese”, 6 settembre 2002 controllo; nel «dopo», di una coesa risposta senza pensiero. Perché è il pensiero a legare il prima e il dopo, a volte invertendoli: il pensiero riconosce l’odio ma non se ne appropria, rispetta il dolore ma non lo strumentalizza. NESSUNO SI ACCORSE CHE LA LUCE SI ERA SPENTA Giancarlo Narciso N on erano stati i morti a farlo decidere. Certo, per giorni era rimasto senza fiato. La brutalità dell’attacco era stata amplificata dalla TV, che non aveva avuto nessun ritegno a continuare a mostrare i filmati fino alla nausea: il cozzo degli aerei, gli edifici che eruttavano fiamme, la gente che saltava dalle finestre verso la morte. Ma doveva anche ammettere che non era stato il peggior massacro della storia. Se si accettava la logica cruda dei bollettini di guerra - e secondo gli attentatori, quella era una guerra - era ben poca cosa di fronte alle vittime del bombardamento alleato di Dresda: 55.000 in una notte, quasi tutte civili. O di il mattino 12 Speriamo che nel mondo che ci si profila dinnanzi ognuno di noi si mostri capace di sollevarsi da sotto le sue macerie emotive e di ricostruire la cattedrale che ha semptre sognato, ma che non ha mai osato creare Di mia sorella Lorraine hanno trovato solo il portafogli. Ma non so se sia peggio così che avere un dito, un brandello. E’ questo che la gente ha ricevuto l’Adige “ “ ” Paulo Coelho, “Corriere della Sera”, 8 settembre 2002 Hiroshima. Nagasaki. Nanchino. I campi di sterminio in Cambogia. La lista era lunga. Triste, ma così va il mondo. E nemmeno il fatto che la strage fosse stata compiuta in suo nome. Che c’era di nuovo? In secoli di storia, era già successo fin troppe volte. No, quello che non era riuscito a mandar giù era stato tutto il rumore che era seguito. Quella notte a Kuala Lumpur che gli era parsa eterna - a lui, di tutte le creature? ridicolo - il clamore di migliaia di bottiglie di birra che si urtavano in brindisi osceni, e la gente che festeggiava, cantando fino all’alba. Le risate con cui era stata salutata la notizia nelle isole dell’Indonesia. Il cicalio degli SMS con cui ricchi sauditi avevano condiviso la gioia del successo. E i politici, così pronti a saltare sul carro dell’odio, quelli che avevano detto agli uomini in divisa di farsi trovare pronti e quelli che non avevano nemmeno dato tempo alla polvere di posarsi prima di urlare ai microfoni delle radio che non c’era poi motivo di scandalizzarsi. Scandalizzarsi? E chi si scandalizzava più? Non certo lui, a quel punto. Lo avevano creato a loro immagine e somiglianza. E alla fine, era arrivato a crederci perfino lui. Ora era stanco. In fondo, era in servizio da un’eternità. Non gli ci volle molto per smettere di esistere. Gli bastò pensarlo. Il bello di essere onnipotenti. Nel mondo, nessuno si accorse che la luce si era spenta. INVOCAZIONE AL DIO D’AMERICA Andrea Zanotti Dio d’America, Dio di schiavi e di emigranti; Dio degli onnipotenti miracoli e dei ghetti brulicanti; Dio dell’uomo che solletica il tuo cielo; Dio della libertà e delle praterie, dei deserti e dei canyons, dei calcolatori e delle limousine, del jazz e del carnevale di New Orleans; Dio della luna e degli spazi, dell’Atlantico e del Pacifico, Signore di vecchi marinai e nuovi esploratori, non lasciare che ci avvolga la paura, non permettere che la polvere di ciò che non è più inaridisca lo spirito; lascia che l’uomo viva il sogno della sua grandezza, lascia che il nostro tempo corra senza cadere nei tranelli orditi da antichi sortilegi. Fa’ che gli sfregi che hanno segnato con due lampi i nostri volti possano essere colti solo come il rigurgito di un mondo che più non siamo e non vogliamo. Et libera nos a malo. PICCOLO GLOSSARIO DELL’11 SETTEMBRE Giacomo Sartori A ereo di linea: velivolo adibito al trasporto di persone, con percorso in genere prestabilito (da aeroporto a aeroporto) Afghanistan: paese molto povero, futuro percorso di strategici oleodotti ” 2001 2002 America: “nuovo” continente scoperto, almeno ufficialmente, nel 1492 americani: invasori insediatosi (vedi “pulizia etnica”) nel continente di cui sopra, rivalutatisi in seguito per la forma molto perfezionata di convivenza (interna) pacifica Barba: villosità del viso maschile, con un’eventuale connotazione politica (sorta di camicia nera) Bin Laden (Osama): cruento e spietato eroe, benchè immensamente ricco, di molti quartieri sfavoriti di numerose città europee e mediorientali Bombe a frammentazione inesplose: oggetti metallici impropriamente presi da molti afgani per scatole di cibarie Dodici settembre 2001: data in cui gli americani scoprono il vecchio mondo Morti dell’11 settembre: vittime innocenti della spietatezza dell’integralismo islamico Morti civili afgani: vittime innocenti della spietatezza dell’integralismo occidentale Talebani: barbuti fanatici messi al potere in Afghanistan dagli americani, poi da essi rinnegati e deposti Terrorista: letteralmente: che semina terrore; aggettivo il cui utilizzo è in molti casi controverso (es.: i nazisti chiamavano atti terroristici i bombardamenti degli americani) Torre: costruzione allungata in senso verticale, inizialmente con scopi difensivi, poi mera affermazione di potenza economica (di qui la sua vulnerabilità) Umanità: litigiosa comunità degli essere umani, capace di atti anche orrendamente atroci. IL DIAVOLO, PROBABILMENTE Antonio Autiero E' difficile parlare di anniversario, pensando allo scorso 11 settembre 2001. L'evento che ha mandato in polvere le torri gemelle e in frantumi le vite di tante persone non è chiuso e quindi non del tutto consegnato alla memoria della storia, su cui fare anniversario. Con quella terribile violazione dello scenario antropologico, politico e perfino urbanistico, si sono spezzate anche le frontiere del tempo: non si può più scandire la storia con il ritmo del passato e del futuro. Tutta acquista un minacciante spessore di presente. Ciò che verrà è già iniziato e quello che è stato non ha finito di essere. Il presente si carica di pesi insopportabili e viene reso evanescente da una specie di sospensione della temporalità. La sostanza dell'evento di quel giorno infausto è e resta il terrorismo internazionale che, scavalcando i metodi del confronto democratico ed argomentativo, fa uso della violenza per contrapporre un modo di vedere la vita ad un altro, ritenuto diabolico. Ma cosa è diabolico, se non la follia distruttiva che arma la mano e stigmatizza l'altro, il diverso come nemico da abbattere? Questa logica non è più lineare, non conosce più un prima e un poi, un passato oramai consumato e un Patricia Reiley, New York possibile futuro che si spera non ci sia mai. Diventa piuttosto una specie di necessità permanente, alla cui presenza vivere e alla cui incombenza non pare non ci si possa sottrarre. Per non risultare priva di speranze, una simile distorsione del senso della storia e della temporalità chiede insistentemente di essere riscattata: le vie della salvezza si fanno strette, eppure il non credere ad esse non è altro che creare le fatali condizioni della resa totale. Ma questo è proprio il cuore del disegno di ogni terrorismo. Contro cui ogni fede nell'umano deve sapersi ribellare! TU PROVA Daniela Rossi Saretto T u prova, ora, a metterti nei panni di Kasa, dieci anni, nato in una baraccopoli alle porte di Kinshasa. La sua vita inizia e finisce sul ciglio di una strada, seduto fino a sera a vendere sacchettini di farina, da cui trarre i soldi per un pasto. Prova, poi, a metterti nei panni di Arul, bambina di strada per le vie di Bangalore, sfuggita ad una fabbrica di fiammiferi e diventata un rifiuto malato. Prova, infine, a metterti nei panni di Kazan. Ha due capre ed un piccolo pezzo di terra. E non conosce il mare. Immagina, dunque, di essere uno o una di loro e di vedere che nel tuo paese, ad un certo punto, da un giorno all’altro, per una ragione o per l’altra, si incominicia a giocare un grande gioco. E mentre tu stai lì con i tuoi sacchettini appesi al collo o le tue due capre e dei fanatici venuti da mezzo mondo se ne stanno a casa tua e si addestrano al terrorismo, ti trovi con i B 52 sopra la testa! E allora penso - come ha detto un uomo buono - che per qualche miliardo di persone, di bambine e bambini, di donne e di uomini, da sempre, sulla terra, è 11 di settembre tutti i giorni. BERLINO, MANHATTAN E I CANTI SENZA FRONTIERE Renato Morelli D a Erevan a Tbilisi in pullman. Ho fatto questo viaggio alla fine del 1988 per approfondire la conoscenza della polivocalità trazionale caucasica: un miracolo musicale, una sintesi sorprendente fra elementi apparentemente lontanissimi fra loro (il nostro canto alpino, il melisma persiano, lo Jodl svizzero, il bordone ortodosso slavo-russo, il canto polivocale sardo, il raga indiano). Nella Georgia (ortodossa) questa pratica musicale è talmente radicata che anche nella regione dell’Ossezia (enclave islamica) si canta a quattro voci: è forse l’unico esempio in tutto il mondo musulmano, tradizionalmente “monodico”. Il viaggio dalla capitale dell’Armenia a quel- 13 l’Adige ” Olivier Clément, “Avvenire”, 5 settembre 2002 la della Georgia è relativamente breve (più o meno come da Trento a Milano), ma le differenze culturali-linguistico-religiose rimangono clamorose. Basti pensare al cartello stradale (per indicare una località oppure un confine) che in realtà è la sovrapposizione di cinque cartelli, ognuno in un alfabeto differente: i tre “locali” (armeno, georgiano, arabo per l’Azerbaigian) e i due “sovranazionali” (cirillico e latino per qualche raro viaggiatore occidentale). Anche uno sguardo, pur distratto, attraverso il bellissimo centro storico persiano di Tbilisi impone subito queste differenze: una chiesa ortodossa georgiana dalla quale si può intravedere una moschea mediovale azzurra, a sua volta non molto distante da un’antica sinagoga. Differenze, distanze, confini, sicuramente clamorosi ed ingombranti: hanno generato nel corso dei secoli immani tragedie ma anche straordinari “miracoli” di convivenza e di arricchimento reciproco. Come il “miracolo” (sicuramente piccolo e marginale) della musica. Nel corso di quel viaggio ho consolidato ulteriormente la convizione che proprio la musica potesse essere un veicolo privilegiato di reciproca conoscenza e dunque di tolleranza a scapito dei vari integralismi. Quel viaggio si è svolto pochi mesi prima del crollo del muro di Berlino: crollo che, pur con mille contraddizioni, ha favorito notevolmente il mio lavoro di “interscambio” musicale. Il crollo delle Twin Towers rischia invece di comprometterlo irreversibilmente, anche se preferisco ancora pensare ad un’antica ballata piemontese, raccolta dal Nigra, che porta un titolo inequivocabile: potere del canto. GRANDI INCOSCIENTI E BAMBINI ARRABBIATI Dino Pedrotti I “grandi” riescono a giustificare tutti i loro comportamenti. Certi “grandi” possono abbattere le Twin Towers, possono arrivare a distruggere un popolo e una civiltà, potrebbero anche inviare una testata nucleare su Roma (perché no?): il tutto con la coscienza tranquilla, soddisfatti e convinti di aver compiuto un loro “diritto-dovere”. La giustificazione viene spesso ricercata in alto (lo si fa “per volontà di Dio o di Allah”: Gott mit uns, Dio lo vuole, Morte agli infedeli,…) oppure ci si orienta verso una estrema destra, in nome di nazionalismi o di razzismi esasperati, o anche verso una estrema sinistra, “in nome del popolo sovrano”, per contestare un ordine costituito. Non ci sono solo “grandi” che odiano, uccidono, distruggono in nome di fondamentalismi di tipo politico-religioso. Ci sono anche “grandi” che con razionalità ed ampie giustificazioni si arrogano il diritto di distruggere foreste, clonare uomini, diffondere droga,… E poi ci sono “grandi” che non fanno niente, sicuri nella loro fede, nel loro benessere, nelle loro idee. Come conseguenza di questi atteggiamenti irresponsabili ci sono tante vittime, tanti “piccoli” che subiscono, che muoiono di fame, di AIDS, in guerra o negli attentati. La maggior parte delle vittime non si ribella, ma attende passivamente che qualcuno le aiuti, che dia loro ascolto e voce. I bambini, che sono “i più piccoli tra i pic- il mattino “ “ Dietro Al Qaeda non c’è più l’Islam di una volta. C’è un islam che utilizza le tecniche della modernità fino a diventare una sorta di ideologia sempre più totalitaria Si ha la sensazione che il mondo abbia smesso di fidarsi. Non sospettosi dell’estraneo che ti avvicina per offrirti una caramella, ma di qualcuno solo perché sembra venire dal Medio Oriente. Questo sì che mi spaventa ” 2001 2002 coli”, non possono certo ribellarsi; ma – se potessero parlare, se qualcuno volesse dar voce ai loro bisogni-diritti – esprimerebbero tutta la loro rabbia e la loro delusione nei confronti del comportamento stupido e irrazionale dei “grandi” (homo stupidus, ci etichetta Giovanni Sartori sul Corriere della Sera). A Johannesburg si è parlato spesso di responsabilità verso le “future generazioni”, un termine efficace, ma che rimanda a tempi che verranno. In realtà i “futuri grandi” sono già tra di noi e sono i bambini che oggi, in ogni parte del mondo, nascono, crescono, giocano e vanno a scuola (non sempre). I nostri figli vorrebbero certamente vivere in un mondo di pace e benessere e perciò si attendono da subito cultura, salute, istruzione, dialogo, rispetto dell’ambiente, sviluppo sostenibile, atti intelligenti di prevenzione primaria, partendo dal basso, alla rovescia, dai bambini. La prevenzione secondaria e terziaria (violenza alla violenza, scudo spaziale, intelligence,…) costano molto e danno solo effetti temporanei e discutibili. La migliore risposta al terrorismo (così come per AIDS, cancro, droga,…) si deve impostare con atti concreti di prevenzione primaria. L’ABBRACCIO Vittorio Colombo L a luce del primo pomeriggio entrava dritta dai finestroni. Il riverbero gli fece socchiudere gli occhi. Non s’era ancor abituato alla vista di New York dall’alto. Da vertigine. Era cresciuto tra le case basse di una cittadina di provincia, aveva lavorato sodo. Steven Spielberg, Los Angeles, giugno 2002 Lavoro e studio, garzone, lavapiatti e studente universitario. E la mamma, una vita di sacrifici. Per farlo arrivare fin lassù. “Ho una scrivania tutta mia, con il mio nome, al 78° piano”. La gioia, l’orgoglio. “Devi, venire, mamma. Devi venire al più presto”. Solo qualche giorno prima la telefonata. New York era ai suoi piedi. Con gli occhi semichiusi vedeva la mamma, com’era giovane…, che lo teneva in braccio. E sentiva le sue parole di allora. Parole che lo avevano segnato: “Tu andrai in alto, piccolo mio. In alto come un angelo”. Sorrise, sentì dietro il suo collega più anziano che scherzava con la giovane impiegata che aveva la scrivania accanto alla sua. Li conosceva da poco, ma erano simpatici. L’uomo teneva vicino al computer una foto: la moglie con i tre figli. Si sentiva bene. Un giorno anche lui... una foto sulla scrivania. La ragazza, l’avrebbe invitata a cena. Tra qualche giorno però, prima c’era la mamma… Sono qui, in cima, pensò, … la squadra di basket, gli amici, l’università, tanti ricordi,… la mia piccola storia e infinite altre storie, tutte assieme a costruire un paese intero. Una città nella torre che abita nel cielo. Sentì il suo nome, il collega lo stava chiamando. “Telefono…” Alzò la cornetta. “Sono a Boston. Sto salendo sull’aereo, volo 175”. La voce era dolce, segnata dall’emozione. La voce della mamma. “A Los Angeles, dai una bacio alla mia sorellina, e al mio nipotino” rispose. “Presto verrò a trovare, anche te, a New York, adesso che ti sei sistemato..” disse la donna. “Tranquilla, mamma, da qui non mi muovo. Ti aspetto, per abbracciarti”. Gli sembrò, o immaginò di sentire… Benedetta donna, sempre le lacrime in tasca. “Ti aspetto - disse ancora… - ah ti voglio bene. A presto… a presto”. Cercò di aprire gli occhi, ma la luce del primo pomeriggio a New York è proprio forte. E il cristallo dei finestroni fa il resto. Una luce dritta e una riflessa si incontravano sulla sua scrivania. Quietamente. “Una croce”, pensò. Vide la mamma che si asciugava le lacrime e che se ne stava ormai seduta. Al suo posto sul Boeing della United Airlines. Era felice. Sentì un gran caldo dentro. Forte come un abbraccio, forte come una esplosione. IL MURO DEL MONDO Mauro Cereghini I l muro del mondo è crollato a New York. Dodici anni dopo Berlino, un nuovo crollo unisce est e ovest, nord e sud. Quanto varia è l’umanità sepolta a ground zero: bianchi, neri, ispanici, asiatici, arabi, tutti abitanti delle Torri e metafora del mondo globale, ferito eppure unito. Ma il muro crollato porta anche nuove divisioni, nuovi muri che si chiamano libertà duratura e guerra infinita. Altri crolli, meno audience però: chi piange le case di Kabul o di Baghdad? E chi ricostruirà quelle di Grozny? Di Jenin? A crescere, per ora, sono solo altri muri. Quelli della violenza e della guerra umanitaria. Quelli della separazione e di Schengen, delle frontiere armate e dei permessi di soggiorno a tempo. I morti di New York chiedono giustizia e sicurezza. Che non sono bombardieri né recinti di filo spinato, ma case dai muri solidi. E dalle porte aperte. l’Adige 14 il mattino “ “ E se le Torri, uno slancio verso il cielo della nostra civiltà, le buttano giù, con tanti morti, bisogna pur ricostruirle perché siamo così, l’Occidente è questa cosa qui Grande Oracolo, che hai dormito nei secoli/, Risvegliati adesso finalmente/ E dicci come salvarci da noi stessi/ e come sopravvivere ai nostri propri governanti Renato Farina, «Libero», 7/9/2002 Lawrence Ferlinghetti, settembre 2002 ” QUEL JUMBO JET CHE SI SCHIANTA OGNI GIORNO Karen Hooper O ggi, come l’11 settembre di un anno fa, come ciascuno dei 364 giorni trascorsi da allora, circa 13.000 bambini sotto i 5 anni moriranno per cause attribuibili al degrado degli ambienti in cui vivono: le malattie respiratorie, infettive e gastrointestinali uccidono ogni 45 minuti l’equivalente di un jumbo-jet carico di bambini. Con quest’analogia Gro Brundtland, attuale direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha lanciato la settimana scorsa a Johannesburg un nuovo movimento per combattere gli effetti del degrado ambientale sulla salute dei figli dei più poveri e vulnerabili, ovunque. Un altro terrore, un’altra guerra. Tornano in mente le parole di Mark Twain, che più di un secolo fa descrisse due “Regni di Terrore” - l’uno che dissemina morte in preda alla passione, l’altro invece con sangue freddo e indifferenza; l’uno che dura pochi mesi, l’altro che si trascina per decenni; l’uno che miete migliaia di vittime in un colpo solo, l’altro che, inesorabile, ne uccide lentamente decine di milioni. E come scrisse Twain allora “i nostri tremori sono tutti per gli “orrori” del Terrore momentaneo: ma qual è l’orrore di una morte rapida per un colpo d’ascia a confronto di una morte che dura una vita, provocata dalla fame, dal freddo, dall’ingiuria, dalla disperazione?” E noi, impressionati ancora dalle immagini forti del nostro “Terrore momentaneo”, ci lasceremo scuotere altrettanto dallo spettro di quel jumbo-jet che si schianta ogni 45 minuti, tutti i giorni, ma che spesso fatichiamo ad inquadrare? LA STORIA, I MACELLI Pino Loperfido C i dissero che le nostre vite non sarebbero state più le stesse. Che da allora in poi il mondo sarebbe cambiato. Sul momento ci credemmo pure. Ce l'eravamo fatta sotto, quel pomeriggio dannato. Che dire? Un fattaccio del genere, migliaia di morti: un casino fuori di testa. Ma poi, dopo qualche mese, ci capitò di incontrare la Storia, di sentire il racconto del nonno, la Storia vera non le bugie che "quegli" storici ci avevano raccontato per cinquant'anni. Già. Poi, ripensammo alla guerra, ai milioni di morti, a "quello" Sterminio, ai gulag, alle foibe dimenticate... e due torri piene di impiegati stressati che non fanno a tempo a fuggire ci parvero poca cosa. Non lo dicemmo a nessuno perché ce ne vergognavamo. Ma la nostra vita, piano piano, risveglio dopo risveglio, tornò allo stesso punto di prima. La sera ci fregava solo che alla tv ci fosse qualcosa da guardare. Ci bastava che i negozi fossero ben forniti e che i Tg non la ” facessero troppo grossa. La solita vita, il solito lavoro... ...e per strada le solite facce brutte di immigrato; tu le guardavi e cercavi di indovinare quale tra quelli sarebbe stato, un giorno, capace di combinarti un altro casino del genere, un macello che non ti aspetti. Quale tra quelle facce cattive sarebbe stato in grado, ancora una volta, di farti credere che la tua vita non sarebbe stata più la stessa, dopo. TROPPE BUGIE Duccio Canestrini U no shock indicibile. Maggiore di quello suscitato dalla bomba atomica su Hiroshima. Forse perché l'attentato alle Twin Towers l'abbiamo rivisto cento volte in televisione. Forse perché gli americani sono cristiani e occidentali come noi, dunque culturalmente nostri vicini. Purtroppo, un morto vicino vale cento morti lontani (giapponesi, mediorientali, iracheni, afghani). Con il ricordo, cocente, rimangono l'indignazione e la condanna di chi ha colpito migliaia di innocenti. Accompagnate da riflessioni, dubbi e incredulità. Soprattutto rispetto all'ingenua semplificazione della lotta tra l'impero del Bene contro l'impero del Male. Incredulità nel vederci servire bugie che a distanza di un anno, anziché svanire nella vergona, si rafforzano. Come l'aereo sul Pentagono, i cui rottami non sono stati trovati dai pompieri (le foto sono in internet a questo indirizzo www.asile.org/citoyens/numero13/pentagone/erreurs_it.htm). O la bufala della minaccia terroristica di avvelenare l'Occidente con l'antrace, poi risultata uscita da un laboratorio USA. Poi le domande. Perché i servizi segreti che sapevano sono stati a guardare? Che fine ha fatto il diavolo di turno Bin Laden? Che relazione c'è tra gli interessi della famiglia di petrolieri americani Bush, l'Arabia e la guerra in Afghanistan? A chi giova la retorica sullo scontro tra civiltà? Chi si poneva queste normali domande, un anno fa, veniva accusato istericamente di spalleggiare i terroristi. Oggi non più. Ma le domande (senza risposte) si moltiplicano, e porle mette ancora a disagio. Faccio fatica a ripensare all'orrore di quei giorni, senza sentirmi offeso per come è stata sottovalutata l'intelligenza di tutti noi, che pure abbiamo subìto un tremendo stress emotivo. Né la tragedia vissuta, né questioni di sicurezza autorizzano governi e media a mentire. Troppe bugie ci hanno raccontato. Perché? IL NOME DI DIO INVANO Lucio Pinkus R ipenso alle foto e hai commenti e ancora mi sento sopraffatto dalla grandinata di parole che ha coperto l'evento. Parole tutte sia da parte delle autorità USA che degli aggressori autoproclamatisi espressione dell'Islam - che sembrano esse- 15 l’Adige “ “ ” re generate da un unico "modello ": quello di una cultura aggressiva e quasi cannibalica. Ma quello che più mi ha ferito è stato quel continuo tirare in campo - senza ritegno da ogni parte - Dio, dimenticando o, peggio, rimuovendo il fatto che la religione ha consentito al linguaggio umano di dire quei simboli religiosi che hanno generato la possibilità di dare un senso alle esperienze critiche del percorso esistenziale (quelle connesse al nascere e al morire, all'amare e all'ammalarsi, alle qualità dell'anima e al valore dell'immaginario). Ma questo è potuto avvenire perché l'umanità aveva imparato che non bisogna strumentalizzare cioè nominare invano il Nome di Dio. Quanto è avvenuto ci costringe ad una riflessione sul futuro dell'avventura umana sul nostro pianeta che oltrepassa la religione per osare confrontarsi con le scabre ragioni della fede, cioè di un fidarsi senza riserve della vita, qualunque siano i riferimenti di questo atteggiamento. Per questo non bisogna far clamore all'interno della religione o fuori dalla religione. Non bisogna far chiasso in nome di Dio o contro Dio. Il chiasso del mondo non deve invadere, con la violenza dell'affermazione o del diniego, l'origine silenziosa da cui sono scaturite tutte le parole che incarnano la nostra "fede". Solo a partire da questa atmosfera di condivisa umiltà e silenzio, che non è ancora un atto di fede ma comunque di riconoscimento della realtà, si possono cominciare a vivere cammini di speranza preparando un futuro diverso con atteggiamenti inediti. E INVECE NON SIAMO CAMBIATI Isabella Bossi Fedrigotti A vevano detto che la tragedia non poteva che cambiare la storia. E avevano anche detto che un terremoto simile avrebbe, paradossalmente, riassestato in positivo le nostre vite. Vedrai, mi avevano assicurato, come l'orrore si trasformerà in lezione di umanità, vedrai come dalle macerie della devastazione spunterà la pianta buona della speranza. Riemergeremo migliori da questa disfatta, più generosi e sapienti. Invece, siamo qui, un anno dopo, a parlare ancora e sempre di guerra. Par di sentire come affila la sua spada il presidente americano e il rumore della pietra molare che cozza contro la lama -che altro sono se non questo i suoi proclami minacciosi?- purtroppo non sembra solo un tamtam per spaventare i nemici. Nemici che non sprecano molte parole, ma il cui silenzio è carico come le nuvole di un temporale. E là dove la nostra vita è un poco cambiata, è avvenuto per paura e non per resipiscenza. Viaggiamo di meno non per rallentare i ritmi o goderci di più famiglia e casa, ma per insicurezza; spendiamo di meno non perché disgustati dal folle consumismo, ma perché, ipocritamente non ci pare il momento; rinunciamo a feste chiassose a ostentazioni volgari... Chi, come, quando? Qualcuno ha davvero rinunciato? il mattino Il nostro maggiore contributo alla pace, in un mondo gravido di conflitti e di minacce di nuovi assurdi conflitti, nascerà da un cuore che anzitutto vive in se stesso il perdono e la pace Agli occhi di un vero credente, come a quelli di chi non crede, è chiaro che quando le religioni predicano l’odio rinnegano se stesse Carlo Azeglio Ciampi, Loreto, 9/9/2002 ” 2001 2002 Carlo Maria Martini, Milano, 9/9/2002 LE FIRME Pier Aldo Vignazia Disegnatore, vignettista, scrittore Belluno Sergio Artini Medico, scrittore Trento Albert Mayr Anny Ballardini Musicista Firenze/Bolzano Insegnante, poetessa Bolzano Silvano Zucal Piera Graffer Scrittrice, etnologa Trento Professore universitario di filosofia - Trento Umberto Folena Michele Dalla Palma Giornalista, editorialista - Milano Alpinista, giornalista, scrittore - Trento Giuseppe Calliari Gigi Zoppello Giornalista, poeta Critico musicale, poeta Trento - Trento Maurizio Gentilini Storico dell’Archivio Sturzo - Roma Giovanni Colombo Presidente della Rosa Bianca - Milano Michele Ruele Cristina Vignocchi Insegnante, scrittore Trento Pittrice, scultrice Bolzano Chiara Mezzalama Paola Rosà Psicanalista, editorialista - Roma Marco Morelli Docente di filosofia, prete, scultore, poeta Rovereto Lidia Menapace Editorialista - Rovereto Giancarlo Narciso Scrittore - Riva del Garda/Kuala Lumpur Andrea Zanotti Professore universitario di diritto, editorialista Trento/Bologna Tra i fondatori del “Manifesto”, intellettuale femminista Giacomo Sartori - Bolzano/Roma Scrittore Francesco Trento/Parigi Comina Giornalista, saggista Bolzano Silvano Bert Insegnante, editorialista - Trento Maurizia Spitaler Editorialista, scrittrice - Bolzano Antonio Autiero Teologo, direttore dell’Istituto di scienze religiose Trento/Münster Daniela Rossi Saretto Insegnante, vicesindaco di Merano Renato Morelli Giorgio Mezzalira Antropologo, regista, musicista - Trento Insegnante, storico Bolzano Dino Pedrotti Reinhard Christanell Poeta, vicesindaco di Laives Luca Coser Artista - Trento Lia Guardini Medico neonatologo, pubblicista - Trento Vittorio Colombo Giornalista, scrittore Riva del Garda Mauro Cereghini Insegnante, editorialista - Trento Ricercatore dell’Osservatorio dei Balcani - Rovereto Astrid Mazzola Karen Hooper Studentessa, scrittrice - Trento Esperta di pena di morte per Amnesty International, editorialista - Cles Enzo Fontana Scrittore Trento/Cesena Giuliano Pontara Pino Loperfido Scrittore - Trento Duccio Canestrini Filosofo, studioso di relazioni internazionali - Stoccolma/Rovereto Antropologo, giornalista, scrittore Trento Danilo Fenner Lucio Pinkus Giornalista, poeta Trento psicologo - Arco Mirco Elena Isabella Bossi Fedrigotti Fisico antinuclearista, editorialista - Trento Giornalista, scrittrice Milano V2091099 S “ i afferma che in certe epoche Shiva danzi sul mondo, abolendo le forme. Ciò che oggi danza sul mondo è la stupidità, la violenza e l’avidità dell’uomo”. Così Marguerite Yourcenar negli “Archivi del nord”. E’ forse questa una sintesi pertinente non solo dei fatti dell’11 settembre, ma dei caratteri di una contemporaneità in cui la Storia - data affrettatamente per conclusa - ha mostrato di sè una parte inaspettata, feroce, imbarazzante. L’11 settembre, in questo senso, rimane non solo nella sua evidenza di episodio-limite, di espressione radicale dell’assurdità omicida, ma si ripropone anche come metafora di una nuova generazione di conflitti: guerre non più mondiali ma “globali” e, a scale diverse, guerre etniche, guerre dimenticate, guerre metropolitane. Situazioni nelle quali si esprimono paradossalmente, quasi fossero sintomi psicotici, conflitti atavici ma anche il rimosso della nostra civiltà e le sue pulsioni irrisolte. Quale pensiero, dunque, e quale possibile chiave di lettura per accostarci a questo anniversario e attualizzarne la memoria? Prima di tutto, un pensiero discreto e commosso alle vittime, alle loro famiglie, a quegli “eroi per caso” che hanno perso la vita nell’adempimento del dovere. Collocando questo episodio in prospettiva, non possiamo sottrarci ad una riflessione più articolata ed esigente. Non possiamo non prendere atto di un’evidenza definitiva: sempre meno la soluzione di squilibri di portata planetaria ammette fibrillazioni; sempre meno può essere consegnata ad interventi vistosi, che al più gratificano un’opinione pubblica comprensibilmente smarrita; e sempre più le criticità di questi mesi e di questi anni vanno riconosciute per quello che sono: come una “deriva di civiltà”, nella quale interagiscono squilibri demografici e ambientali, povertà e sfruttamento, intransigenze dogmatiche, disperazione. Difficile, davvero, parlare di speranza. Ma non abbiamo alternative, io credo, se non quelle di costruire - o almeno di tentare percorsi di futuro per tutti i popoli e per tutte le persone senza terra, senza tutele, senza identità, senza diritti, senza voce. Un esercizio di responsabilità che ricomponga il massimo del realismo e il massimo dell’utopia. Alberto Pacher SINDACO DI TRENTO