Supplemento al numero odierno - Dir. resp. Paolo Ghezzi - Sped. in Abb. Post. art. 2, comm. 26, legge 662/96/TN- BZ - Editrice/Stampatrice: S.I.E. Spa,
11 settembre 2001/2
Senza sosta
la pioggia cadrà,
come lacrime
da una stella...
senza sosta
la pioggia dirà
quanto fragili siamo
quanto fragili...
“
(Sting, 1987)
l’Adige
”
il mattino
l’Adige
2
il mattino
FRAGILI
che siamo.
FRAGILE
il nostro pianeta, e inquieto,
e sbandato nella sua orbita.
PAOLO GHEZZI
F
ragilità è la coscienza che l'11 settembre ha
regalato agli occidentali, illusi che, oltre
mezzo secolo dopo la fine della loro ultima
guerra mondiale, la fragilità potesse riguardare solo GLI ALTRI, il terzo e il quarto
mondo, la pancia meridionale del globo, le terre
della fame e della violenza.
Così possiamo osare la sacrilega domanda: è stato
TERAPEUTICO l'11 settembre, nel senso che ci ha
restituito la consapevolezza della nostra immensa
fragilità?
In certo modo sì, potremmo rispondere, anche se
poi facciamo in fretta ad archiviare e a ripetere gli
stessi errori/orrori.
Così violenza chiama violenza, guerra chiama guerra, terrore chiama terrore, viltà viltà, cecità cecità,
follia follia.
In questi dodici mesi non pare che l'umanità abbia
imparato a ritrovare se stessa in dimensioni rinnovate, "purificate" dall'immensa strage delle Torri.
A Johannesburg, per esempio, la Terra ha messo a
frutto la lezione "globale" dell'11 settembre? O si è
ancora una volta smarrita nei meandri della Realpolitik e nella camicia di forza del Business Planetario?
Rimane la speranza che COMUNQUE le parole possano servire a seminare frammenti di Mondo
Nuovo.
Con questa speranziella (che passi la nottata)
abbiamo chiesto ad alcune significative voci del
nostro tempo e della nostra terra (ma non solo) di
ripensare l'11 settembre un anno dopo.
Il mondo non lo salvano solo i poeti e gli scrittori, gli
intellettuali e i filosofi, però aiutano a rimetterlo in
rotta, perché focalizzano le cose importanti, e spremono il succo dell'essenziale.
La FRAGILITA' può ben essere il filo comune che
annoda le riflessioni di questo supplemento con il
film di Francesco Dal Bosco e Emanuela Rossini, al
di là del titolo, FRAGILE appunto.
La fragilità, quando accettata e interiorizzata, e non
subìta come uno stress psicotico, può renderci più
umani e più liberi.
Abbiamo ripescato, per la nostra copertina, una
canzone di Sting, di quindici anni fa, che si intitolava anch'essa FRAGILE, e che vibra profetica: "Se il
sangue scorrerà quando carne e acciaio sono una
cosa sola, seccando nel colore del sole della sera, la
pioggia di domani laverà via le macchie ma qualcosa nelle nostre teste sempre resterà...On and on the
rain will say how fragile we are... Senza sosta la
pioggia dirà quanto fragili siamo...".
E da un cantante ante-11 settembre a un poeta post11 settembre, il massimo italiano contemporaneo
Mario Luzi, 87 anni di vita: "Dimettete la vostra alterigia/ sorelle di opulenza/ gemelle di dominanza....
Vi ha una fede sanguinosa/ in un attimo/ ridotte a
niente. / Sia umile e dolente/ non sia furibondo/ lo
strazio dell'ecatombe./ Si sono mescolati/ in quella
frenesia di morte/ dell'estremo affronto i sangui,/ l'arabo, l'ebreo/ il cristiano, l'indio./...
"Risorgete, risorgete,/ non più torri, ma steli,/ gigli
di preghiera./ Avvenga per desiderio/ di pace. Di
pace vera".
Il vecchio poeta ci richiama alla VANITA' della
potenza esibita, e dunque alla FRAGILITA' della
nostra condizione. Basta una pioggia per lavarci via
dalla faccia del pianeta.
Se ce lo ricordassimo, avremmo meno voglia di
odio, e di sangue, e di guerra. Ci basterebbe, per
vivere in pace, ascoltare insieme una poesia, una
canzone, una voce umana.
3
l’Adige
“
“
”
NONNO, PERCHÉ
FESTEGGIAMO
IL 29 FEBBRAIO?
Pier Aldo Vignazia
N
onno, perché festeggiamo il 29
febbraio? - chiese ad un tratto il
bambino. Appoggiato ai vetri
della finestra del trecentesimo
piano, guardava la neve cadere
sulla strada sottostante fra il viavai della
gente carica di pacchi di regali natalizi. Il
nonno, sprofondato nella poltrona psiconeuronica, sospirò. -Ragazzo mio - rispose tutto cominciò un lontano 11 settembre. O
forse era un 12, non mi ricordo bene. Un
certo Ben Lidan o qualcosa di simile fece
crollare le più alte torri del mondo usando
due nostri aerei come missili. Potevamo
non reagire? E infatti attaccammo l’Afghanistan, e lo facemmo fuori. L’Afghanistan,
non Ben Lidan. Allora, quello, un 3 ( o forse
era il 5) di agosto ci affondò la nostra nave
da crociera più grande del mondo usando
un nostro pedalò come siluro. E noi reagimmo annientando l’Irak. O forse era l’Iran, vattelapesca. Ben Lidan rispose, mi
pare un 13 marzo, distruggendo Disneyland
con un nostro Topolino come kamikaze.
Noi gli rispondemmo cancellando il Sudan.
Insomma, per fartela breve, in poco tempo
non ci furono più date libere sul calendario,
né nazioni sulla faccia della terra. Ma grazie
alla nostra superiorità tecnologica noi
abbiamo vinto: infatti abbiamo ricostruito i
nostri comodi grattacieli sottoterra, e a
Ben Lidan abbiamo lasciato la superficie,
ormai completamente inabitabile, fra
bombe, inquinamenti ed effetti serra vari.
E festeggiamo il 29 febbraio perché è l’unico giorno che sia rimasto senza attacchi. E
questa è un’altra dimostrazione della
nostra astuzia e superiorità: infatti càpita
ogni 4 anni, e Ben Lidan non lo sa perché
usa un calendario diverso.
Ma ora, per piacere, cambia programma a
quella finestra: mi fa freddo vedere neve
che cade e gente coi regali di Natale! Mettimi una spiaggia del Pacifico con le donnine nude!
TOWERS
Anny Ballardini
troubled waters and troubled people
asking why
some look for historical stories to justify
others try to interpret obscure biblical
predictions
- with the feeling of destruction right in the
center of every center of our bodies
New York was my first age,
experts state it is still too early to ask
poets to write on the tragedy
we need time
shock doesn’t allow words to express
something happened to me when I was a
baby
because New York is my childhood
and ideas freeze in my mind
every time I try to put 9.11 on the screen
the same feeling I had
as a child when someone hurt me deeply
and I could not cry
il mattino
Quando il
vostro lavoro sarà
finito e tutto sarà
andato bene, ognuno
di noi prenderà per
mano gli altri fratelli e
dirà che questo è stato
un lavoro fatto nel
nome di Dio
Sean, sono io.
Sono intrappolata in
questo palazzo a
New York. C’è un
sacco di fumo e
volevo dirti che ti
amo.
Melissa Hughes, messaggio alla segreteria
telefonica, dalle Twin Towers
”
2001 2002
TORRI
Anny Ballardini
acque agitate gente agitata
si chiede il perché
alcuni alla ricerca di storie storiche per
giustificare
altri nel tentativo di oscure interpretazioni
di predizioni bibliche
- con un senso di distruzione nel centro
stesso di ogni centro dei nostri corpi
New York fu la mia prima età,
gli esperti dicono sia ancora troppo presto
chiedere ai poeti di scrivere sulla tragedia
abbiamo bisogno di tempo
lo shock non permette alle parole di
esprimere
qualcosa mi è successo quando ero
bambina
perché New York è la mia infanzia
e le idee mi si raggelano nella mente
quando cerco di mettere l’11 settembre
sullo schermo
la stessa sensazione che avevo
da piccola quando qualcuno mi feriva
profondamente
e non riuscivo a piangere
(Il testo “Torri” è stato pubblicato sul
Northport Journal - fondato da Walt Whitman nel 1839 - New York, in un articolo di
George Wallace (23/5/02) e viene riproposto qui per gentile concessione del giornale statunitense)
MA GLI AFGHANI
CHI LI PIANGE?
Piera Graffer
N
el 328 a.C. Alessandro Magno
conquista (e distrugge?) le terre
oggi chiamate Afghanistan.
Prima occupazione (e distruzione?) dell’Afghanistan da parte
dell’uomo bianco.
Nel 19° secolo le due maggiori potenze
colonizzatrici mondiali, Russia e Inghilterra, si fronteggiano per la conquista dell’Asia. Fra di loro l’Afghanistan, stato-cuscinetto. L’esploratore inglese Alexander Burnes, primo “bianco” a metter piede a Kabul
nel 1832, così la descrive: “C’erano alberi di
pesche, prugne, albicocche, pere, mele,
cotogne, ciliegie, noci, more, melograni e
uva, tutti in uno stesso giardino... C’erano
anche usignoli, merli, tordi e colombe... e
gazze chiaccherine su quasi ogni albero”.
Di lì a poco inizia la guerra. Nel 1842 George Pollock fa saltar per aria il Bala Hissar di
Kabul, il mercato coperto più importante di
Mohammed Atta, breviario
delle istruzioni pre-attentato
tutta l’Asia e uno dei suoi gioielli architettonici. Ci impiega due giorni. Da allora fino
alla prima guerra mondiale le due grandi
potenze si combattono sul suolo afghano,
trasformando quel paradiso terrestre in un
deserto di polvere. Fu il “Great Game”.
Seconda occupazione e distruzione dell’Afghanistan da parte dell’uomo bianco.
Nel 1977 la Russia, desiderosa di costruire
un oleodotto per trasportare al mare il
petrolio dei suoi immensi giacimenti dell’Asia Centrale, attacca l’Afghanistan. Gli
afghani resistono. Il loro leader, Usama bin
Laden, è sostenuto e armato dagli USA. Il 15
febbraio 1989 il generale Boris Gromov
attraversa a Termez il ponte sul fiume Oxus
alla testa dell’esercito russo in rotta. Gli
USA hanno vinto militarmente l’arcinemico
sovietico grazie al sangue del popolo afghano e il 25 dicembre 1991 Gorbaciov dà le
dimissioni. Il giorno seguente l’Unione
Sovietica viene formalmente dissolta. L’Afghanistan è di nuovo ridotto a un deserto
di polvere.
Terza occupazione e distruzione dell’Afghanistan da parte dell’uomo bianco.
L’America dimentica il debito di riconoscenza. In Afghanistan tutto è distrutto e la
maggior parte dei sopravvissuti è mutilata.
Ma nessuno se ne cura, perché ormai quegli straccioni non fanno più paura a nessuno.
L’11 settembre 2001 diciotto egiziani e un
arabo portano un attacco suicida al cuore
dell’America.
Agli inizi del 2002 il presidente George W.
Bush dichiara la “guerra al terrorismo contro l’Afghanistan. Essa viene combattuta
nel segreto più assoluto. Solo qualche tv
tedesca riesce a filmare da grande distanza
i cerchi bianchi che le bombe cosiddette
“tagliamargherite” fanno sbocciare in cielo,
e mostra dei bambini afghani che, pazzi di
fame, corrono a raccogliere i sacchetti gialli contenenti biscotti buttati dalle cluster
bombs, e saltano per aria sulle mine sparse
da quelle stesse bombe.
Quarta occupazione e distruzione dell’Afghanistan da parte dell’uomo bianco.
Ora, mentre piangiamo insieme all’America
le sue quasi tremila vittime innocenti, non
possiamo non chiederci anche:
e gli afghani, chi li piange? Forse che le loro
vittime non erano altrettanto innocenti di
quelle americane?
AR RIYAD,
11 SETTEMBRE 2052
ATTO UNICO
Umberto Folena
C
he cos’è questo rumore, mamma?
- Rumore? Non sento nulla, mia
bambina, mio fiore. Esulta con
me, oggi festeggiamo il Giorno
della
Vendetta.
- Il Grande Sangue, la Purificazione, quando
gli angeli scesero dal cielo con la spada di
fiamma e con il tuono ad abbattere la Città
del Male?
- Sì, mia diletta, a cominciare da una torre
come questa in cui siamo noi ora, edificata
a gloria di Allah il Compassionevole.
- Non mi piacciono le storie con tanti morti.
- Furono puniti per la loro empietà, stella
mia.
- Nessuno dovrebbe morire, mai. Io non
voglio morire.
- Perché questi pensieri cupi in un giorno di
festa? Sii felice: dominiamo il mondo nel
nome di Dio.
- Perché?
l’Adige
4
il mattino
“
C’è stata una guerra
mondiale per i miei nonni, una
guerra mondiale per i miei genitori,
non mi restava che attendere la
terza, la guerra per noi figli, perché le
guerre, con equità e generosità,
andavano distribuite ad ogni
generazione. Ma mentre mio nonno
aveva combattuto all’arma bianca,
corpo a corpo, noi avremmo
semplicemente atteso la morte
dall’alto.
“
A coloro che
sostengono che la
nostra città non
sarà più la stessa,
dico che hanno
ragione. Sarà
migliore, infatti.
”
Rudolph Giuliani, ex sindaco
di New York
- Non capisco la tua domanda.
- Perché, mamma, perché?
- Il rumore…
(Un boato, una valanga di fiamme).
- Che cos’è, mamma?
- I fondamentalisti cristiani! Vieni dammi la
mano.
- Dove andiamo, mamma, dove andiamo?
When we are born we cry that we are come
/ To this great stage of fools. (Quando si
nasce, si piange perché ci si ritrova su questo enorme palcoscenico di matti. Re Lear,
atto IV, scena VI).
VA BENE
Giuseppe Calliari
V
a bene va bene, se vi va bene va
bene in generale, mi va bene
voglio dire, va bene e lo so che
va bene, se va bene va bene, vi
va bene e mi va bene in generale,
perché così va perché così ha da, chi è dentro chi è fuori in generale, lo so tanto quanto voi se vi va bene va bene in generale, giù
in picchiata che va bene giù che non te ne
accorgi giù e giù, va veloce va bene che non
arrivi a pensare, è la sua legge in generale
vanno giù dritti giù e giù è la legge generale, è così perché è così che va bene, non c’è
il tempo di, va bene così, non c’è il tempo
dico di fare i vetri, giù filato che era così
facile, sbatte sbatte finché le, va bene va
bene il difficile era farsene dico, per farsene un’idea bisogna stare in alto in generale,
bisogna stare su e per parecchio credimi,
cominci piano e poi di più credimi a capire,
tu pensi tu pensi tu pensi e poi capisci, te
ne fai un’idea un’idea in generale, tutto va
così e non ti fa star male credimi, così e
così e va bene dici, ok dici, va bene basta
capirlo farsene un’idea in generale credimi,
volano fuori volano e ci vuole del tempo
credimi molto tempo prima di vederle calare giù, il vento in alto c’è sempre in generale, e allora va bene credimi, non ci troveranno altro che entrate uscite uscite entrate, le uscite le uscite in generale credimi, è
uscito di là o di là o di là c’è da qualche
parte una finestra aperta dici, o un’altra,
non aveva capito bene non aveva pensato
bene in generale, se uno capisce bene credimi non gli vengono, le entrate vanno
come devono andare non è un problema
credimi, ci vuole carattere per il bene in
generale dico, non ti puoi buttar giù perché
qualcuno dico ti disimpara a pensare bene,
credimi il mondo ha le sue leggi dico in
generale, non vorrai perdere tempo a contare le mosche sui fanali della macchina
dico, era un balordo contava le mosche sul
fanale, che scoperta che qua e là qualcuno
si spiaccica sul fanale, il mondo è fatto così
credimi, se lo sai non ti butti, sta’ in alto
questo ti dico in generale, credimi sta’ su,
più su che puoi è la sua legge in generale, al
piano più su e pensa sempre va bene va
bene tutto va bene in generale, è una forza
credimi è una forza, pace all’anima sua,
pace dico in generale
COINCIDENZE
Maurizio Gentilini
L
e date dell’11 settembre - giorno
dell’attentato terroristico alle torri
gemelle di New York - e del 7 ottobre 2001 - l’inizio dell’operazione
Enduring freedom da parte della
”
2001 2002
coalizione guidata dagli Stati Uniti - rientreranno sicuramente nei manuali di storia di
prossima pubblicazione.
Molte cronache di questo periodo e molti
autorevoli commentatori hanno attribuito
a queste date un significato di particolare
rilevanza simbolica in quello che dovrebbe
essere lo scoppio di un conflitto tra civiltà,
da tempo latente negli scenari politici mondiali: la guerra tra l’Oriente, caratterizzato
dall’impronta religiosa islamica, e l’Occidente, erede della tradizione cristiana nelle
sue strutture culturali ed istituzionali.
Senza voler entrare nel merito e considerando personalmente tale approccio fonte
di generalizzazioni che identificano nell’Islam un corpo sociale e religioso compatto
e omogeneo, impermeabile ad ogni forma
di secolarizzazione e di idea liberale, intrinsecamente legato ad un’idea di guerra
santa e di distruzione del cristianesimo, ho
trovato quantomeno curiose alcune coincidenze di date che la storiografia ufficiale ha
ormai universalmente considerato avvenimenti capitali nelle secolari lotte tra Occidente e Oriente.
Scorrendo le cronologie l’11 settembre ed il
7 ottobre ricorrono almeno tre volte,
segnando altrettante tappe del confronto
tra i vessilli della croce e della mezzaluna.
Le segnalo, considerandole appunto singolari coincidenze, presentandole a puro titolo di curiosità e auspicando semmai che la
prima guerra esplosa nel terzo millennio
non riproponga certi scenari che hanno
caratterizzato le vicende del secondo.
- 7 ottobre 1571: la Lega Santa, capeggiata
da don Giovanni d’Austria, tra le principali
potenze navali cattoliche del Mediterraneo
(Spagna, Santa Sede, Venezia) sconfiggono
la flotta ottomana nella battaglia di Lepanto;
- 11 settembre 1683: i Turchi, sconfitti da un
esercito composto da truppe imperiali e
polacche, tolgono l’assedio alla città di
Vienna, che rappresenterà il punto più
avanzato della penetrazione di una potenza
musulmana verso il cuore dell’Europa;
- 11 settembre 1697: Eugenio di Savoia, alla
guida di un esercito sorto dall’alleanza tra
Piemonte e Impero, sconfigge l’esercito
turco nella battaglia di Zenta. Tale vittoria
assicurerà all’Impero, con la pace di Carlowitz, la Transilvania e la Slavonia.
GRATTACIELO
DEGLI AZTECHI
Michele Ruele
Dalle vetrate si vedeva un gran cielo blu.
“Mi sono perso” ho detto a quello vicino a
me. “È sempre così, all’inizio”.
Cazzo sono morto, mi sono ricordato.
Quello vicino a me era vestito da azteco.
“A che piano siamo?” gli ho chiesto.
“Duemilioniottocentoventiseimilatrecentosettantottesimo”.
“Non capisco” ho mormorato. Mi sono
guardato meglio intorno e c’erano un sacco
Susanna Tamaro, “Corriere della Sera”,
1/9/2002
di aztechi, qua e là qualcuno vestito da soldato spagnolo, tipo del Cinquecento o una
cosa così.
“È un grattacielo qua?” gli ho chiesto.
“Un cosa?” mi ha fatto lui.
“Una torre?”. Si agitava in me un ricordo
confuso.
“Io sono morto su una torre, ero un sacerdote a Tenochtitlan, la nostra capitale”.
Anch’io stavo dentro un grattacielo, ecco
com’ero morto. Rivedo l’immagine nebbiosa di un aereo che si schianta contro le
nostre finestre.
“Ma perché siete tutti aztechi e spagnoli,
qua?”
“Questo è il nostro piano, secondo me con
te si sono sbagliati, devi andare più su, in
cima. Anche noi una volta eravamo in cima.
Di sotto ci sono quelli della Guerra dei
Cent’anni insieme ai turchi e ai cristiani di
Lepanto, di sopra gli scannati della Guerra
dei Trent’anni e poi tutti gli altri” mi ha
spiegato.
“Siamo tutti uguali, sai… Questo è il Grattacielo delle Guerre e delle Stragi”.
TWIN TOWERS
TAUTOGRAMMA
Umberto Folena
T
urboelica tonitruante trafigge,
taglia, trancia, tronca, travolge,
terribile torpedine tambureggiante, torrente, tifone, turbine,
tuono. Torri trapanate trabalzano, traballano, tracollano. Torbidi terroristi
trucidano. Trappola! Tizzoni tessono tragica trama. Tramonto, tenebra. Turpe tumulo, tappeto tombale, tenero tabernacolo.
Trasmissioni terminate. Terra tumefatta
tace: torneranno tempi tersi? Tutto troppo
triste, tuttavia tenacemente tenteremo
L’UNDICI
SETTEMBRE
DI BEATRICE
Chiara Mezzalama
C’
è una lapide sulla parete di
un palazzo del centro storico
di Roma. Recita: Da qui ove
sorgeva il carcere di Corte
Savella, l’undici settembre
1599, Beatrice Cenci mosse verso il patibolo, vittima esemplare di una giustizia ingiusta.
La storia di questa giovane nobildonna,
condannata a morte per l’uccisione del
padre, rappresenta il simbolo di un’epoca
oscura, il Cinquecento, densa di intrighi e
tradimenti che portarono spesso a tragici
destini. Una vicenda individuale diventata
il riflesso di un tempo.
E colpisce la coincidenza delle date, come
in una strana architettura della storia che
abbina i numeri agli eventi.
Quattro secoli dopo un altro undici settembre è diventato simbolo di un’epoca. Un
evento assai più eclatante della morte di
una giovane ragazza innocente, un evento
corale che ha scosso come un’onda d’urto
l’intero pianeta. Già allora le condanne a
morte erano eventi corali, da mostrare
come monito di fronte ad una piazza.
La piazza adesso si è trasformata in
mondo, eppure la barbarie di alcuni esseri
umani che infliggono la morte ai loro simili
è un evento che resta immutato nella storia, come fosse scritto nel codice genetico
dell’umanità, e si manifestasse in maniera
5
l’Adige
“
“
”
prorompente ad ogni tornante del tempo.
Sicché quella data, scolpita su una lapide,
rimarrà scolpita nella memoria di intere
generazioni, segno amaro di una sconfitta
che si perpetua.
DOVE SEI,
UOMO?
Marco Morelli
Che sia avvenuto
È l’oscuramento.
Che esseri detti umani l’abbiano voluto
studiato compiuto
con sincronia di scienza astuta.
Uomo, chi sei?
miscuglio di cellule,
fortuito aggregato di fluidi sabbiosi,
accidentale dislocazione di atomi?
Donde il tuo ingegno infido
Reso capillare come un laser
Rovente d’odio
Questo voler fare il niente dell’altro.
Questo voluttuoso escogitare la morte
Insistere coatto
A frantumare neonati,
lo siamo anche a ottant’ anni.
Dove, di chi e quale
Vittoria? Come ti appaghi
Di vendetta? Quale vanto ti esalta?
Nel tuo sapere ancor non sai
Né per te né per i figli
Se meglio sia ancora vivere
O trovare fine.
Spenta, oscura, cieca, bandita
Quello che fu coscienza?
Dove sei e come, uomo?
VERSO UN ALTRO
MONDO
Lidia Menapace
S
i può dire inutile un evento di tale
enormità? a me fa venire addosso
soprattutto un sentimento di inutilità, come gli appelli sulla povertà
dei popoli, lo spreco delle risorse e
via così.
La ripetitività sembra la condanna di un
tempo esso stesso sprecato: si risponde
meccanicamente, ripetendo, senza elaborare, senza cercare altre vie: la violenza sotto
tutte le forme - stupro pena di morte lapidazioni omicidi rappresaglie di stato terrorismo guerra: tutto ciò rappresenta un mondo
verso il quale mi piacerebbe saper dire:
“Lasciamo che i morti seppelliscano i loro
morti e cerchiamo la vita in tutta la sua
splendente varietà differenza molteplicità
curiosità”.
Purtroppo quei morti spesso siamo noi
stessi, noi stesse quando non sappiamo
dire: l’11 settembre non è che la ripetizione
degli eventi di scempio di vite che hanno
insanguinato il secolo scorso: due guerre
mondiali, Auschwitz e Hiroshima. Rischiamo di lasciar innescare una ripetizione
insensata, se non riprendiamo il cammino
iniziato dopo la seconda guerra mondiale,
la decisione allora elaborata di considerare
le guerre sempre dei crimini e l’attuazione
dei diritti umani il compito del futuro.
Credo che, se vogliamo essere vivi e non
il mattino
Chi pensava che
l’11 settembre avrebbe
rinsaldato l’amicizia
euro-americana constata
con sorpresa e un po’ di
preoccupazione che vi
sono giorni in cui i due
partner sembrano due
vecchi sposi sull’orlo del
divorzio
Lo scontro
tra la civiltà
cristiana e la civiltà
islamica non nasce
dalle loro differenze
ma dalle loro
somiglianze
Bernard Lewis, “Corriere della Sera”,
1/9/2002
”
2001 2002
solo sopravvivere depressi/e, dobbiamo
riprendere quel cammino, con coraggio
civile e metodo nonviolento: bisogna osare
uno stacco verso un “altro mondo”.
ESSERE SE STESSI,
ESSERE ALTRI
Silvano Bert
IN MEMORIA
DEI SOMMERSI
E DEI SALVATI
Francesco Comina
Dicono, se ho ben capito
che sia uno scontro di civiltà
assopite e incrudelite
e che nell’apocalisse di Manhattan
si sia come rivelata
la teoria, la prassi, la filosofia
Dicono, se ho ben capito
loro, i cultori dell’ordine universale
(etnocentrico, cosmobellico,
radicaldollaro)
che il crocicchio dei popoli
altro non è che un caos dilazionato
nel progressivo perdersi degli eventi
Dicono, ma non fanno
di un mondo diviso in tre
che la somma (parziale)
di una rapina (globale).
P
erché è così difficile misurarci con
l’attentato delle Torri, a New York,
ma simbolo dell’Occidente? È perché, quando studiamo la violenza,
ci dice Christopher Browning,
siamo stretti in un dilemma. Se partiamo,
dall’esterno, da un’istintiva e necessaria
condanna, morale e giuridica, ci scopriamo, noi occidentali, in diritto e in dovere di
reagire, e colpire, per ristabilire l’universalità della giustizia. Ma così la violenza ci
sfugge, ci riesce difficile comprenderla.
Se cerchiamo d’immedesimarci, antropologicamente, nella cultura, nell’etica, nella
psicologia degli attentatori, la comprensione rischia di diventare giustificazione. Scopriamo, come occidentali, di essere odiati,
nemici pericolosi, contro cui si può e si
deve reagire.
Nel 1969, quando cominciavo a insegnare,
l’attentato di Piazza Fontana, a Milano,
accelerò bruscamente il nostro sentirci,
seppure ancora a fatica, cittadini d’Italia.
Nel 2001, con gli ultimi studenti fra i banchi, l’11 settembre ci stimola a diventare, e
a vivere, da cittadini del mondo. Ma è difficile questo passaggio. Guardando sul video
il bagliore del fuoco, è forte la tentazione di
dirci che riguarda loro, non noi. Noi possiamo continuare a spendere le nostre energie
Sergio Romano, «Corriere della Sera»,
2/9/2002
in difesa dei nostri consumi, piaceri, diritti,
a compiacerci delle nostre piccole risse
dentro il confine.
Alexis de Tocqueville, proprio ne “La democrazia in America”, a proposito dell’individuo moderno, scriveva che “l’energia che
gli uomini spendono nei piccoli affari, li
placa sui grandi”. E la risposta di guerra,
con tutto il resto immutato, provvisoriamente ci placa, individui moderni, e indifferenti, alla grande politica.
Per capire sono fragili le parole della cultura, ma sono le uniche di cui disponiamo. Da
dove vengono i rischi maggiori, dall’orgoglio dell’Occidente che autoproclama la
sua superiorità, o dal rassegnarci a un
impotente relativismo fra le culture? Abbiamo oggi più bisogno di una ragione orientata all’identità universale, all’eguaglianza,
o di conoscenza, di interazione fra le diverse identità culturali?
Essere “se stessi” ed essere “altri”, essere
“dentro” ed essere “fuori”, è l’atteggiamento che dovrebbero costruire sul mondo la
scuola, gli intellettuali, la stampa. In un
paese, sappiamo, che legge a fatica libri e
giornali. E con una televisione dedita ad
altri fini.
FERRAGLIA
E FRAGILITA’
Giorgio Mezzalira
L
a tv passa le immagini dei resti
delle 2 torri, che vengono gettati
nel forno di una fabbrica di uno di
quei Paesi, che si chiamano poveri.
L'enorme ammasso di ferraglia
delle Twin Towers ha attraversato l'oceano
per essere riciclata e diventare del nuovo
materiale, magari da costruzione. Lo scomparso simbolo del nuovo mondo rivivrà,
sotto altre forme, nel vecchio mondo. Altre
notizie riportano del ritrovamento in un
ospedale di un sopravvissuto alla tragedia.
Ha perso la memoria, ma è vivo. Simbolo di
un'altra vita strappata dalle macerie di
ground zero, anche se lì ormai non si scava
più. … E' passato un anno. E' tempo di tornare alla vita e di non dimenticare. Eppure,
proprio lui, il sopravvissuto, quello che non
può dimenticare, ha perso la memoria. L'inferno che è stato e che ha vissuto, ha lo
spessore del vuoto, del buio e del disorientamento. Un anno dopo, come lui, anche i
tempi che viviamo sono fragili. Fragili come
la consuetudine del nostro quotidiano, sulla
quale incombe quel "niente sarà più come
prima", ripetuto all'ossessione da commentatori ed esperti, all'indomani dell'11 settembre. Fragili come il richiamo ad una
guerra senza quartiere al terrorismo islamico, che parla solo con la forte voce dell'America di Bush. Fragili come l'ONU, l'Europa, gli attuali equilibri internazionali. Fragili
come l'individualismo sfrenato dei nostri
giorni. Fragili come il sogno di riscatto e di
potenza, che alimenta un'idea di libertà che
si coniuga in "splendido isolamento". Oggi,
11 settembre 2002, ci sono tante cose che
non dobbiamo dimenticare.
PRIMA E DOPO
Maurizia Spitaler
Prima e dopo
Immagini
prima e dopo
Storia
prima e dopo
l’Adige
6
il mattino
“
“
Non siamo andati
in Afghanistan per prendere
Osama ma perché i talebani
mettevano in pericolo la
costruzione di un oleodotto
che avrebbe trasportato il
petrolio del Caspio. È il
momento di ritirare il nostro
Impero: ci è costato miliardi
di dollari e non serve
a nessuno
Detentori di una
potenza militare senza rivali
sul pianeta, gli Stati Uniti sono
liberi nella loro scelta. Sta a
loro valutare se la tempesta che
possono provocare su Baghdad
spegnerà gli ultimi fuochi della
jihad o, al contrario, ravviverà
le sue braci con il rischio
d’incendiare il Medio
Oriente
”
Manhattan
prima e dopo
Paura
prima e dopo
Gente
prima e dopo
Sindaco
prima e dopo
Bush
prima e dopo
Afghanistan
prima e dopo
male prima
peggio dopo
Iraq
prima o dopo
FRONTIERE
Reinhard Christanell
Niente di strano, non era
Mia intenzione guardare
Fuori da questa costellazione
Trascurabile, ripetere il tempo.
Niente di strano continua
Ad accadere dove ancora
Si eseguono le pene non solo
Per cercare cadaveri e catene,
Un giorno dopo l’altro
La mia ora. Se adesso
Fossi qui sulle frontiere
Nessuno sguardo per fuggire
Dalla lama del futuro.
IL FUTURO
E’ ARRIVATO
E IO HO PAURA
Luca Coser
S
cusate, volevo dire una cosa: il futuro è arrivato e io ho paura! Aveva
paura anche Stig Dagerman, e anche
il tizio che recita in inglese… e chissà, forse aveva paura anche Anna.
Ma non è affar mio; il fatto è che loro non ce
l’hanno fatta...
quello che volevo dire è che le cose
andranno bene. Già, ho dei contatti, delle
prospettive, e insomma, come ha scritto
qualcuno:
“ehi, vivrò e sarò felice qualunque cosa
accada!”
(testo tratto dal video “Anna (L’avventura)”, 2002)
UN ASCIUGAMANO
BIANCO
Lia Guardini
C
he significa questa data? Immagini di umanità straziata da una tragedia enorme. La donna che scende per le scale tutta bruciata, con
la carne viva che si stacca a brandelli, morte vagante;
e quello che con il suo asciugamano bianco
in mano, usato per far segnali inutili, disegna contro il cielo giallo di polvere un tuffo
che pare un quadro di Klee;
e poi la altissima lezione di democrazia
data dalla disperata votazione dei passeggeri del volo 93 che decidono di ribellarsi ai
terroristi;
e poi l'amore di Thomas che dal suo cellulare racconta alla moglie l'esito della votazione e dice "Ci proviamo. Ti amo cara", e
l'amore dei due volati via dal fuoco e dalla
devastazione e piombati giù e schiantati al
suolo ad un velocità di 230 km. all'ora, "non
sufficiente per far perdere i sensi, ma abbastanza per assicurare una morte istantanea";
”
2001 2002
Gore Vidal, Los “Angeles Weekly”
e poi le due mani, simbolo macabro ed
atroce della tragedia di New York, le due
mani, di un uomo e di una donna, che testimoniano un amore che arriva di là dell'ombra di una morte terribile;
e infine la polvere alta in modo incredibile,
e le mille carte che volano giù dalle torri e
sembrerebbe carnevale se non fosse l'orrore che ha messo piede nella nostra storia.
Sono frammenti di immagini e di pensieri di
un anno fa, quando era possibile l'augurio
che nei tre minuti di silenzio del 13 settembre ogni uomo possa aver taciuto ed ascoltato, per sentire la voce lieve che viene dal
mondo della morte e che afferma nonostante tutto "la vita, l'amore e la politica
vera e attenta ai valori veri e alti".
Oggi, nel primo anniversario di questa tragedia, c'è solo voglia di silenzio. E una
domanda. Quanto è stato fatto, da ognuno
di noi, perché loro non siano morti invano?
UN PO'
DI SILENZIO
Astrid Mazzola
S
ilenzio. Un po' di silenzio, infine!
Troppe parole gettate alla rinfusa nello spazio che ci circonda,
per creare illusioni di certezze
cui aggrapparci, per non vederci
dentro l'un l'altro, per soffocare il battito
di tutti questi cuori e non scorgere le
spalle che si sollevano nel respiro.
Parole ormai consunte, sfocate, ansimanti, che conservano solo un'ombra di
significato con i cui fragili resti ancora
banchettiamo, contendendoceli soltanto
per fame di rumore.
Abbiamo parlato troppo.
La luna sale nel silenzio delle terre, che
persino i cani faticano a rompere. Non
riempiamo di parole l'incanto del suo
sorgere, o ne veleremo la luce.
Prendiamoci invece per mano.
Ascoltiamoci la vita addosso.
Vi prego!
Sì, sto parlando troppo.
Morte. Amore.
Illusione. Ideale. Follia.
Sino a quando ogni parola ridiventerà
pura, tornerà se stessa e non un vestito
della nostra ambizione e del nostro terrore di comprendere... ed anche allora
parleremo sottovoce, per timore di spezzare il silenzio del cielo e della stretta
delle nostre mani, che dice tutto ciò che
c'è da capire: non giocheremo a chi urla
più forte, ma ci leggeremo gli occhi.
Fino a quel momento...
Silenzio.
Gilles Kepel, “Corriere della Sera”,
4/9/2002
I PRIGIONIERI
DIMENTICATI
Enzo Fontana
V
orrei dedicare queste poche
righe alla sorte riservata ai prigionieri nella recente (non ultima) guerra afghana. Innumerevoli parole sono state usate per
ricordare le vittime degli attentati alle torri
gemelle. Molti hanno denunciato la strage
di altri innocenti, questa volta civili afghani, morti sotto le bombe americane. Pochi
si sono indignati per la sorte riservata ai
nemici della nostra civiltà.
Chi farà mai l'appello degli arabi, dei ceceni, dei filippini, dei talebani scomparsi? Per
questi, nessuna pietà. Ciascuna madre
piangerà il suo. È certo che migliaia di
uomini vennero trucidati una volta che si
erano arresi. La televisione ha registrato
qualcosa del massacro in quella fortezza
dove i prigionieri vennero persino bombardati col pretesto che si erano ribellati (si
erano ribellati probabilmente perché avevano capito che comunque la loro sorte era
segnata). Di recente sono state scoperte
fosse comuni coi resti di tanti disgraziati:
vennero chiusi e soffocati nei containers.
Anche di ciò resta qualche immagine televisiva.
Ma ciò che è emerso è probabilmente poca
cosa in confronto a ciò che è sepolto per
sempre nelle desolate lande dell'Afghanistan. Non fu solo una resa dei conti fra
tribù afghane. Molti penseranno che quei
terroristi se la sono cercata, ma è un modo
di meschino di pensare. Un conto è ammazzare un nemico in combattimento (cosa già
di per sé crudele), un conto è ammazzarlo
dopo che si è arreso. Qualunque soldato
che non sia un criminale conosce la differenza. Ciò che è avvenuto coi prigionieri in
Afghanistan merita almeno una menzione
nella "storia universale dell'infamia". Meriterebbe almeno l'inchiesta di un tribunale
internazionale, se a questo mondo ci fosse
giustizia.
RAGION DI STATO
O SICUREZZA
UMANA?
Giuliano Pontara
D
al punto di vista della Realpolitik, della ragion di stato, i massimi beneficiari della violenza
indiscriminata dell'11 settembre contro New York e Washington sono stati gli USA e Israele che hanno
visto crescere il loro potere geopolitico.
Dal punto di vista della sicurezza umana, a
livello globale, la strage dell'11 settembre,
il susseguente massiccio attacco americano in Afghanistan e la crescente brutale
militarizzazione della lotta da parte del
governo Sharon costituiscono un'ulteriore
fase in un processo di escalazione e globalizzazione della violenza armata che
aumenta ulteriormente i rischi di un'immane catastrofe mondiale.
Questo processo si sta ora avviando verso
una nuova e ancor più pericolosa fase,
quella di una seconda guerra contro l'Iraq.
Il governo di Baghdad è un governo oppressore - lo era già ai tempi della sua aggres-
7
l’Adige
“
Saddam è tornato
ad essere il nemico da
colpire. Lui, già sconfitto e
graziato da Bush padre,
ora si dice pronto a
sfidare Bush figlio. Bin
Laden ringrazia e sta a
guardare
”
Danilo Fenner
"Q
uando se ne sono andati
tutti?". Fatima, la donna
delle pulizie, siede a
cavallo di un vecchio
condizionatore e fuma.
"Questo? Oh, è fuori uso
ormai" dice, e fa un gesto con la mano
come a voler comprendere, con il condizionatore, l'intero universo.
Questa era una città sacra: il minareto, un
tempietto, la strada sgangherata fino a un
ruscello e a una fonte miracolosa. Immer
Leku, cinquant'anni, e suo figlio Ramiz si
offrono di accompagnarci, se vogliamo. A
parte loro due, Fatima e il sindaco, un giovanotto dalla barba nera appuntita, sembra
proprio che non sia rimasto nessuno qui.
Forse non sono animati da buoni presagi.
Solo nel tunnel dietro il Magazzino Cperk
incontriamo ancora alcune persone, un
barbiere fa i capelli a tutti, è pieno di allegria, un tizio col cappello in mano saltella
tra le voragini piene di fango.
Aslan e la sua famiglia vengono da Cabic.
Hanno fatto tutta la strada a piedi, le bambine piangono, il cane è morto per strada e
qui si sta preparando un bel temporale. La
jeep scarica pacchi arancione, l'odore è
quello tipico dei medicinali, invece sono
pacchi di pasta.
Una figlia di Aslan guarda compiaciuta la
sua gonna strappata: "Tanto era da buttare..." commenta ridendo.
L'uomo apre una mano a ventaglio davanti
alla faccia. Che giorno è oggi, ci chiede. L'11
luglio, rispondiamo.
Aslan fa una smorfia.
Un anno fa, ci ricorda, esattamente un anno
fa i serbi di Karadzic entrarono a Srebrenica. Gli uomini vennero divisi dalle donne, i
giovani dai vecchi. Li portarono via e li
uccisero, tutti. Furono seppelliti in fosse
comuni.
Quanti morti? Boh, tanti, tantissimi… Sette
o diecimila. Davvero, mica se le inventa
queste cose.
È per questo che ogni mese, ogni undici di
ogni mese, le donne di Srebrenica escono
in piazza, no? La mano sulla faccia stringe
la bocca, la asciuga dalla schiuma bianca.
”
2001 2002
Vittorio Zucconi, “la Repubblica”, 4/9/2002
OGNI UNDICI
DI OGNI MESE
il mattino
“
Crediamo di sapere
tanto, un anno dopo, su Al-Qaeda,
su Osama, ma conosciamo appena
la lista delle loro vittime, che
cambia ancora. Niente di quanto è
stato fatto, la troppo facile «vittoria»
contro i Taliban afgani, i progetti
di assalti all’Iraq, i 150 milioni di
dollari di fondi sequestrati in un
anno, sommette da campagna
acquisti di calcio, ci convince che
le autorità americane sappiano
quel che fanno
sione contro l'Iran, ma allora riceveva enormi aiuti dall'Occidente. La guerra degli USA
contro l'Iraq non sarebbe una guerra di
difesa - perché l'Iraq non ha attaccato gli
USA; né una guerra di difesa preventiva,
perché tale guerra non è contemplata nell'àmbito del diritto internazionale.
Sarebbe una guerra di ulteriore espansione
geopolitica. Darebbe ulteriori spazi ai fanatici dello Jihad e porterebbe Saddam Hussein in una situazione in cui nulla avrebbe
da perdere usando le armi di distruzione di
massa di cui si dice disponga.
Aggiungerebbe indicibili sofferenze alla
popolazione irachena, già così provata
dalle centinaia di migliaia di morti causati
da una politica di sanzioni che ha colpito
solo essa.
L'alternativa è appoggiare al massimo la
proposta di togliere le sanzioni se l'Iraq
accetta nuove ispezioni, fatta dal segretario dell'ONU.
E investire centinaia di miliardi di dollari
nella lotta contro la povertà, altro che nella
guerra.
9/11 E NON SOLO:
LA VITA
VALE POCO
Mirco Elena
9/11
come dicono gli
americani, undici settembre. C'è
indubbiamente
stata
enfasi,
forse eccessiva. Si è avuta una forte evidenziazione, proprio come tutto ciò che
avviene negli USA (gli attentati "ceceni" ai
condomini di Mosca sono rapidamente
scomparsi dai nostri media).
L'unica superpotenza rimasta ha visto
improvvisamente sgretolarsi il rassicurante sogno di invulnerabilità del proprio territorio, sogno che per oltre un secolo aveva
avuto le sembianze della realtà.
Forse per questo si è intrapresa una guerra
all'Afghanistan, di per sé sproporzionata
rispetto alle dimensioni dell'attacco. I
super-ricercati Osama bin Laden e mullah
Omar non sono però stati presi, mentre
sicuramente si sono fatte numerose vittime
innocenti nella popolazione civile.
Questo non sembra pesare molto sulla
nostra coscienza occidentale, come fossero morti di serie B. Fors'anche perché essere musulmano equivale ormai per molti a
essere un potenziale assassino.
Si è complicato l'andare in aereo, con tempi
allungati e regolamenti talora bizzarri e inutili (se non addirittura sciocchi, come nel
caso del bando alle limette dei tagliaunghie. Ormai si verifica che non ci sia esplosivo nei tacchi delle scarpe; a quando l'esame per il tritolo nelle mutande? Chi controllerà?).
E potremmo continuare.
Esaminando i numeri vediamo peraltro che
le nostre società occidentali accettano,
talora pure con un certo fatalismo, un
numero di decessi assai più elevato di quello causato dall'attacco alle torri gemelle. È
il caso degli incidenti automobilistici, sul
lavoro, per esposizione a inquinanti
ambientali, ecc.
L'impressione causata da questi ultimi è
però minore, secondo una ben nota regola
psicologica. Si riconferma che l'emozione
domina, anche nella politica internazionale.
Dall'attacco alle torri gemelle e da quel che
ne è seguito, possiamo trarre due insegnamenti: che da una parte la vita umana vale
poco (e purtroppo lo sapevamo già); dall'altra che si dovrebbe fare di più, molto di
più, per evitare che la prossima volta sia
per dei terroristi facile scagliarsi contro
una città opulenta non con un aereo, ma
con un ordigno nucleare, forse uno di quelli che in Russia sono custoditi in modo
poco sicuro.
Magdi Allam , “la Repubblica”, 4/9/2002
PACE,
NON VENDETTA
Sergio Artini
L
a società civile occidentale, eticamente e tecnologicamente avanzata, è in grado di mettere in atto
modalità efficaci e compatibili per
prevenire e fronteggiare le varie
forme di terrorismo.
Ma il potere tecnologico da solo non riesce
a salvarci dal senso tragico del mondo.
L'unica speranza sta nel saper correre il
rischio della libertà, tra il bene il male.
E il cristianesimo attuale potrebbe rilanciare l'utopia di un dialogo conciliatore tra gli
antagonisti.
Quello che non deve accadere è di trasformare i martiri dell'11 settembre in pretesti
offensivi, cadendo così nella spirale nichilista di una guerra tra religioni e tra civiltà.
Anche quando a noi pare che quei morti
chiamino vendetta, loro dicono pace.
LA FIDUCIA
DEI
CONSUMATORI
Albert Mayr
D
ei fatti dell'11 settembre, dei
retroscena e dei sospetti - spesso inquietanti - collegati a tali
fatti, si è già scritto tanto. Forse,
a distanza di un anno, può essere utile una breve riflessione su come tutto
ciò è arrivato a noi, lettori e spettatori geograficamente lontani, mediato dai media.
Un breve ricordo personale: in quei giorni
mi trovavo all'estero e guardavo, tra gli
altri, un news channel americano di cui non
ricordo il nome. Ebbene, già il 12 settembre
- mentre, per esempio, la televisione tedesca documentava le innumerevoli manifestazioni spontanee di solidarietà - la
speaker di quel canale, sullo sfondo delle
ben note immagini delle macerie fumanti, si
poneva, e ci poneva, angosciata, questo
interrogativo: "Cosa faranno ora i consumatori, dopo un simile fatto la fiducia dei
consumatori tornerà?" Tralascio ogni commento.
RISPETTARE L’ISLAM:
CE LO INSEGNA
UN GRANDE EBREO
Silvano Zucal
C
osa resta dentro di noi del bagliore tragico dell’11 settembre? Cosa
ha significato quest’anno nelle
coscienze? Solo memoria del tragico o anche un embrione di speranza? Se andiamo alla macabra contabilità
dei morti, i morti delle torri e i morti civili
in Afghanistan vediamo solo dei numeri
che si rincorrono e dei volti che scompaiono all’orizzonte. Ma non ci resta solo questa danza macabra. C’è stato l’emergere di
un problema su tutti. Il problema del rapporto tra Occidente ed Islam. Può chiudersi tutto in un gioco ristrettissimo tra integralismo islamico e arroganza occidentale?
Questa la domanda. In realtà ci sono due
segue a pagina 10
l’Adige
8
il mattino
2001 2002
TRENTO
l’Adige del 12 settembre
FRANCIA
Le Monde
minuto per minuto...
ITALIA
LA STAMPA
ITALIA
CORRIERE DELLA SERA
ITALIA
Il Sole 24 ORE
BRASILE
O Dia
FINLANDIA
HELSINGIN SANOMAT
ITALIA
la Repubblica
ITALIA
l’Unità
BOLIVIA
LA Razon
BRASILE
O GLOBO
MESSICO
REFORMA
14.48 Sono le 8.48 del mattino a
NewYork Un grande aereo,
probabilmente dirottato, si
schianta contro una delle
torri del World Trade Center Dall'esterno dell'edificio
si vede un buco e all'interno scoppia un incendio
15.03 Un secondo aereo, un
altro jet passeggeri, si
schianta contro la seconda torre del World Trade
Center ed esplode Entrambi i grattacieli sono in fiamme.
15.17 La Faa, l'ente Usa di controllo al volo, decide di
chiudere tutti gli aeroporti
dell'area di New York
15.21 La New York City Port
Authority ordina la chiusura di tutti i ponti e di tutti i
tunnel dell'area di New
York
15.30 Il presidente americano
George Bush, parlando
dalla Florida, dice che il
Paese ha subito "un apparente attacco terroristico"
15.40 La Faa decide di bloccare i
voli in tutti gli aeroporti
americani E' la prima volta
nella storia americana che
viene fermato il traffico
aereo in tutto il Paese
15.43 Un aereo si schianta sul
Pentagono, a Washington,
sollevando un'enorme
colonna di fumo Immediatamente comincia l'evacuazione
15.45 Viene evacuata la Casa
Bianca
16.05 Crolla la torre meridionale
del World Trade Center,
franando nelle strade attorno Si forma un'enorme
nuvola di povere e di detriti che man mano si allarga
allontanandosi dall'edificio
16.08 Agenti dei Servizi Segreti
armati con le armi automatiche vengono schierati
lungo il parco Lafayette al
lato della Casa Bianca
16.10 Crolla una parte del Pentagono
16.10 Il volo 93 della United Airlines si schianta in Pennsylvania, a Sudest di Pittsburgh
16.13 Viene evacuato anche l'edificio delle Nazioni Unite,
sempre a New York
Lasciano l'edificio 4.700
persone del quartier generale dell'Onu e 7.000 dell'Unicef e dei programmi di
sviluppo delle Nazioni
Unite
16.22 A Washington vengono
evacuati i dipartimenti di
Stato e di Giustizia, il Parlamento e la Banca Mondiale
16.24 La Faa informa che tutti i
voli transatlantici diretti
negli Stati Uniti vengono
dirottati in Canada
16.28 La torre Nord del World
Trade Center crolla Viene
giù dalla cima come se
venisse spellata Si leva
un'enorme nuvola di detriti
e di fumo
16.45 Viene decisa l'evacuazione
di tutti gli edifici federali a
Washington
16.46 Il segretario di Stato americano Colin Powell decide
di interrompere il proprio
viaggio in Sudamerica e di
tornare negli Usa
16.53 Il sindaco di New York
Rudolph Giuliani decide di
rimandare le elezioni pri-
16.54
17.02
17.18
17.26
17.59
18.04
18.15
18.30
19.04
19.27
19.44
20.00
marie per il sindaco di
New York, che avrebbero
dovuto svolgersi in giornata
Israele evacua tutte le proprie sedi diplomatiche
Giuliani chiede ai cittadini
di New York di stare a casa
e ordina l'evacuazione di
tutta la parte meridionale
di Manhattan
L'American Airlines annuncia di aver perso due dei
propri aerei Uno è il volo
11, un Boeing 767 in volo
da Boston a Los Angeles
con 81 passeggeri e 11
membri dell'equipaggio a
bordo L'altro è il volo 11 in
rotta da Washington a Los
Angeles, con 58 passeggeri e sei membri dell'equipaggio Si pensa che quest'ultimo sia uno degli aerei
che si è schiantato sul
World Trade Center
La United Airlines conferma che il volo 93, in volo
da Newark, nel New Jersey, a San Francisco, si è
schiantato in Pennsylvania
La compagnia aerea si
dice "molto preoccupata"
per il volo 175
La United Airlines conferma che il volo 175, da
Boston a Los Angeles, si è
schiantato con 56 passeggeri e nove membri dell'equipaggio a bordo I soccorritori affermano che
non ci sono superstiti
Viene evacuato l'aeroporto
internazionale di Los Angeles, destinazione dei due
aerei dell'American Airlines
dirottati
Viene evacuato e chiuso
l'aeroporto di San Francisco, destinazione del volo
77 dell'American Airlines,
uno dei due che hanno
colpito il World Trade Center
L'ente americano di controllo dei volo rende noto
che nei cieli statunitensi ci
sono ancora 50 velivoli,
ma che nessuno ha dato
notizia di avere dei problemi
Bush, parlando dalla base
aerea di Barksdale, dice
che tutte le necessarie
misure di sicurezza sono
state prese Tra queste
anche la messa in stato di
massima allerta di tutte le
basi statunitensi del
mondo Il presidente chiede
di pregare per coloro che
sono stati uccisi o feriti
negli attacchi e afferma:
"State certi, gli Stati Uniti
scoveranno e puniranno i
responsabili di questi
attacchi codardi"
Viene dichiarato lo stato di
emergenza nella città di
New York
Il Pentagono annuncia che
cinque navi da guerra e
due portaerei lasceranno
la base di Norfolk, in Virginia, e saranno posizionati
nell'area di New York e
lungo la Costa orientale Le
portaerei hanno attrezzatura per la difesa aerea delle
aree di New York e l'area di
Washington
Fonti autorevoli dell'Fbi
dicono alla CNN che si sta
lavorando sull'ipotesi investigativa che i quattro aerei
che sono caduti fossero
stati dirottati nell'ambito di
un disegno terroristico
GERMANIA
Pforzheimer Zeitung
GERMANIA
Neue Ruhr Zeitung
NORVEGIA
VART LAND
FILIPPINE
SUN STAR
POLONIA
SLOWO POLSKIE
SPAGNA
EL PAIS
ESTONIA
Ohtuleht
VENEZUELA
La Voz
INGHILTERRA
The London Free Press
URUGUAY
EL OBSERVADOR
9
l’Adige
2001 2002
11/9/2001-11/9/2002
COREA
Seul Economic Daily
11 SET tra le 8:48 e le 9:43 tre aerei dirottati da kamikaze si schiantano contro le torri gemelle di New York su
un’ala del Pentagono. Un quarto
aereo precipita in Pennsylvania.
14 SET il Congresso Usa autorizza l’uso
della forza.
15 SET il presidente Bush dichiara che la
guerra non sarà breve e che il
primo sospettato per gli attacchi è
Osama Bin Laden.
19 SET Bush chiede ai Talebani la consegna di Bin Laden. Annunciato il
piano militare Usa con il nome
«Giustizia infinita», poi cambiato in
«Libertà duratura».
24 SET Bin Laden chiama alla guerra santa
contro «la campagna dei nuovi
ebrei e crociati americani». Congelati negli Usa i beni di sette enti
sospettati di legami con Al Qaida.
4 OTT primo caso di contaminazione
dolosa con spore di antrace (carbonchio) in Florida.
7 OTT iniziano le operazioni militari in
Afghanistan. In un video Bin Laden
ringrazia Dio per distruzione dei
simboli Usa.
9 OTT primo errore nei bombardamenti,
colpita a Kabul sede di agenzia
Onu, quattro morti.
17 OTT allarme carbonchio, chiuso per
disinfestazione il Congresso Usa.
7 NOV Il parlamento italiano dà il via libera
alla partecipazione alle operazioni
militari con 2.700 soldati.
9 NOV cade la città di Mazar-i-Sharif, nel
nord dell’Afghanistan.
10 NOV Bin Laden minaccia di usare l’atomica se gli americani la impiegheranno.
12 NOV le forze afghane antitalebane prendono Bamyan ed Herat e la pianura
di Shomali a nord-est di Kabul.
14 NOV cade Jalalabad, nel nord-est del
paese.
19 NOV assassinata vicino a Kabul la giornalista italiana Maria Grazia Cutuli,
in un agguato in cui restano uccisi
anche tre suoi colleghi, uno spagnolo, un australiano e un afghano.
24 NOV cade Kunduz, nel nord-est.
5 DIC accordo raggiunto a Bonn tra le
forze afghane per l’insediamento di
un governo provvisorio e lo schieramento di una forza di pace.
6 DIC resa di Kandahar.
16 DIC cessa ogni resistenza a Tora Bora,
ritenuto l’ultimo baluardo dei Talebani, ma non c’è traccia di Bin
Laden e dell’altro super ricercato, la
guida spirituale dei Talebani mullah
Omar, genero dello sceicco saudita. Iniziano a circolare, susseguendosi poi fino a questi giorni le voci
sulla loro sorte.
20 DIC il Consiglio di Sicurezza dell’Onu
approva il mandato di sei mesi all’Isaf, la forza multinazionale di sicurezza in Afghanistan. Il mandato
sarà successivamente rinnovato.
22 DIC si insedia a Kabul il governo provvisorio guidato da Hamid Karzai.
2002
4 GEN firmato a Kabul l’accordo sul
dispiegamento dell’Isaf. Primo soldato Usa muore sotto fuoco nemico.
7 GEN Blair è il primo leader occidentale a
visitare Kabul.
11 GEN i primi 20 prigionieri, Talebani e
membri di Al Qaida, giungono nella
base della marina Usa a Guantanamo, sull’isola di Cuba. Nei mesi
successivi scoppiano le polemiche
sul trattamento dei prigionieri.
20 GEN conferenza di Tokyo sulla ricostruzione dell’ Afghanistan. Partecipano 60 Paesi e 22 organismi internazionali.
23 GEN rapito in Pakistan il giornalista del
Wall Street Journal Daniel Pearl. Un
mese dopo si saprà che è stato
ucciso.
30 GEN nel Discorso sullo stato dell’unione,
Bush teorizza l’”asse del male»,
che comprende Iraq, Iran e Corea
del Nord.
2 MAR scatta l’Operazione Anaconda che
impegna le forze americane contro
postazioni di Al-Qaida sulle montagne vicino alle città di Gardez, nel
sud-est dell’Afghanistan. Si conclude il 18 marzo. Otto soldati
americani muoiono negli scontri.
17 APR torna a Kabul dall’esilio romano l’ex
re Zahir Shah.
10 GIU arrestato negli Usa un cittadino
americano accusato di preparare
un attentato a Washington
11 GIU si apre a Kabul la Loya Jirga,
assemblea delle tribù afghane.
19 GIU nasce il governo Karzai.
1 LUG oltre 100 civili muoiono in Aghanistan per un bombardamento definito da Washington un errore.
19 LUG Bush annuncia di voler «finire il
lavoro» iniziato in Afghanistan e
conferma l’impegno a sradicare il
terrorismo.
28 LUG l’Iraq si prepara ad affrontare un
attacco americano: il parlamento
approva norme relative ad un piano
di difesa militare ed inizia la mobilitazione “contro Usa e sionismo”.
19 AGO Cnn mostra i video sulle armi chimiche di Al Qaida.
21 AGO Bush dichiara che la fine del regime
di Saddam Hussein è “nell’interesse del mondo”.
25 AGO su un sito internet islamico compaiono nuove minacce agli Usa,
attribuite a Bin Laden.
27 AGO ritrovato in un ospedale del New
Jersey un uomo dato per disperso
nel crollo del World Trade Center.
Soffre di amnesia e schizofrenia.
2 SET il ministro degli Esteri russo Ivanov
annuncia che la Russia porrà il veto
se l’attacco all’Iraq sarà discusso al
consiglio di sicurezza dell’Onu.
11 SET Gli Usa si preparano con settimane
di anticipo alla giornata del ricordo,
tra la paura di nuovi attentati e le
insistenti voci su un’attacco all’Iraq.
NORVEGIA
BA
USA
Newsday
USA
NY DAILY NEWS
USA
New York Times
USA
NY DAILY NEWS
INDIA
THE HINDU
AUSTRALIA
The Courier Mail
AUSTRIA
VN
2817 i morti
accertati dell’11
settembre 2001
3600 i morti
civili stimati nella
guerra in Afghanistan
2172 (1533
palestinesi e 589
israeliani) le vittime
della nuova Intifada
60 i poliziotti
morti al World Trade
Center
343 i vigili del
fuoco del
dipartimento di
NewYork uccisi dal
disastro (60 erano
fuoriservizio)
200 le persone
che si sono lanciate
dai grattacieli,
schiantatesi al suolo
ad una velocità di
230 Km all'ora. Le
loro morti sono state
classificate dal
medico legale come
“omicidì”;
266 le vittime
sui quattro voli
dirottati
1.379 le vittime
identificate
ufficialmente;
20.000 le parti
di corpi da
identificare nei
laboratori del Dna
della città di New
York.
16 le persone che
si trovavano nella
Torre sud sopra il
piano colpito dal jet, e
che sono riuscite a
salvarsi
89 le persone che
tuttora risultano
disperse
65.000 i beni
personali recuperati
da Ground Zero
144 gli anelli
ritrovati nelle macerie
delle Torri
89 per cento la
popolarità di Bush
dopo gli attentati, 69
per cento oggi
51 su 100 gli
americani favorevoli
alle truppe di terra in
Iraq
29 anni l'età delle
Twin Towers alla
morte (furono
inaugurate il 4 aprile
1973)
417 metri
l'altezza della Torre
nord, 415 quella della
Torre sud
58 secondi il
2002
i numeri
tempo impiegato
dagli ascensori per
raggiungere l'ultimo
piano
6 bambini
americani su 10
pensano all'11
settembre più di una
volta in settimana
80.000 le
persone che
andavano ogni giorno
alle torri (le 50 mila
che ci lavoravano, più
i turisti e i visitatori
vari)
80 mesi il tempo
impiegato per
costruire il World
Trade Center, dal
1966 al 1973
102 minuti il
tempo impiegato per
distruggere le due
torri, dal primo
impatto al secondo
crollo
760 e 950 km
all'ora la presunta
velocità dei due
Boeing al momento
dell'impatto
980 gradi la
temperatura delle
fiamme prodotte
dall'incendio degli
aerei (a 550 gradi
l'acciaio perde metà
della sua resistenza)
2.235.997
dollari la cifra lorda
del risarcimento
governativo per un
adulto di 25 anni con
figlio a carico e un
reddito di 50 mila
dollari al momento
della morte
116.000 le
bandiere a stelle e
strisce vendute da
Wal Mart l'11
settembre 2001
3.600.000 i
turisti che avranno
visitato Ground Zero
alla fine di quest'anno
30.000.000 di
dollari il patrimonio
del gruppo Al Qaeda
secondo analisti
americani
37 per cento
l'aumento del budget
delle spese militari
proposto da Bush per
il 2003
110 i piani delle
due Torri gemelle,
realizzate nel 1972
con un costo di 1,2
miliardi di dollari. Per
la loro costruzione
sono state impiegate
200.000 tonnellate di
acciaio. In esse
lavoravano 50.000
persone di 430
imprese di 26 paesi
diversi.
19 i kamikazedirottatori dei quattro
aerei usati per
compiere gli attentati.
60.000 metri
quadrati era la
superficie occupata
dal complesso del
World Trade Centre,
dove si sta
progettando di
costruire un
gigantesco
mausoleo.
500 le vittime le
cui famiglie hanno
chiesto risarcimenti.
40 miliardi di
dollari stanziati dal
Congresso per far
fronte ai danni
prodotti dagli
attacchi.
100.000 posti
di lavoro perduti nella
settimana dopo
il mattino
BOLZANO
il mattino del 12 settembre
PERÙ
El Comercio
l'attacco e 1,2 milioni
di posti di lavoro persi
negli Stati Uniti ad un
anno dagli eventi,
soprattutto nella città
di New York. Colpito
soprattutto il settore
turistico.
6.000 degli
11.000 uomini
dell’FBI sono stati
impiegati nel Paese
per le indagini sul
terrorismo .
300 statue di
cani a grandezza
naturale saranno
esposte a Manhattan
fino a novembre per
ricordare gli animali
che parteciparono
alle operazioni di
ricerca dei superstiti
del Wtc. A dicembre
saranno messe
all'asta per
raccogliere fondi per
l'addestramento dei
cani da soccorso in
tutti gli Usa.
150 le
pubblicazioni uscite
sull'11 settembre.
15.000 cantanti,
da Aukland (Nuova
Zelanda) a
Manhattan,
commemoreranno il
primo anniversario
degli attacchi, con
l'esibizione di 160
cori di 24 paesi in 20
fasce di fusi orari, a
partire dalle 8.46 di
New York, ora del
primo schianto.
50 /60 milioni di
dollari sarà
l'ammontare delle
perdite in ricavi
pubblicitari per le 24
ore di silenzio e
riflessione, che l'11
settembre
coinvolgeranno i
media americani.
72% dei
newyorkesi si aspetta
un nuovo attacco. Di
questi il 33% lo
ritengono molto
probabile, mentre il
39% abbastanza
probabile.
11 i registi di
fama internazionale,
tra cui Amos Gitai,
che hanno
partecipato alla
realizzazione del film
'11/09/01', presente a
Venezia, ma che
forse non sarà
distribuito in Usa
perchè tacciato di
“antiamericanismo”.
PORTO RICO
Primera Hora
SVEZIA
Afton Bladet
CANADA
The Globe and Mail
ARGENTINA
Clarìn
CILE
SEGUNDA
l’Adige
10
il mattino
“
“
I kamikaze
hanno stecchito
migliaia di persone,
ma non importa: la
maggior parte dei
nostri connazionali
sta dalla parte dei
terroristi e non delle
vittime
Ancora una volta,
insomma, la guerra ci è
apparsa - è apparsa a
molti di noi - come la
risorsa estrema ma alla
fine irrinunciabile per
non essere travolti dalle
convulsioni del
mondo
”
Ernesto Galli della Loggia,
“Sette”, 5 settembre 2002
pianeti che non si conoscono, meglio che
non si conoscevano, e che l’11 settembre
ha costretto ad un incrocio obbligato di
sguardi, un reciproco tentativo di scrutare
il pianeta altrui. Mai come in quest’anno le
librerie hanno venduto libri sull’Islam.
Certo questo approccio ha visto anche il
libello della Fallaci che ha scaricato sull’Islam violenza verbale, intolleranza e incapacità dialogica. Libro trionfante nelle vendite quello della Fallaci. Ma, in modo meno
vistoso, è cresciuta anche un’altra e inedita
frontiera. Quella di chi cerca di capire, di
apprezzare l’altro e di non ridurlo alle follie
suicide e omicide di Bin Laden. Tutti costoro crescono alla scuola del più grande filosofo ebreo del nostro secolo, Emmanuel
Lévinas, il filosofo del volto. Ebbene Lévinas con sofferta profondità scriveva già nel
1959 passaggi come questi che dicono
tutto l’apprezzamento dell’altro: «L’Islam è
uno dei fattori principali della costituzione
dell’umanità. Il suo compito è stato arduo e
grandioso. Da molto tempo è andato oltre
le tribù da cui nacque; ha seminato in tre
continenti, ha unito popoli e razze innumerevoli. Ha compreso meglio di tutti che una
verità universale vale più dei particolarismi
locali. Non è casuale che un apologo talmudico citi Ismaele simbolo dell’Islam, tra i
rari figli della Storia Santa, il cui nome fu
formulato e annunziato prima della loro
nascita, come se la loro funzione nel
mondo fosse da tutta l’eternità prevista
nell’economia della creazione. Davanti alla
grandezza di questa realizzazione il giudaismo non ha cessato di inchinarsi».
Testo paradigmatico. Non c’è solo il
disprezzo e la furia anti-islamica della Fallaci nel nostro futuro, se sappiamo crescere alla scuola di chi sa gustare la grandezza
dell’altro. Splendida lezione di un filosofo
ebreo mentre giudaismo e Islam confliggono in Israele.
PERICOLO ISLAM:
UN ALIBI
PER IL BUSINESS?
Michele Dalla Palma
D
a mesi, cercando di nascondere
in ogni modo il mio inevitabile
pragmatismo occidentale, inseguo avventure confondendomi
dentro realtà che non mi appartengono. Sforzandomi, se non di capirle,
almeno di conoscerle. Balcani, Turchia,
Siria, Libano, Giordania, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Mauritania, Marocco mi hanno
permesso di assaporare atmosfere e culture del Medio Oriente e dell’Africa bianca,
ma, soprattutto, dell’Islam.
I cento, mille volti di una religione capace
di unire, in un unico credo e un’unica lingua, al di là dei particolarismi locali, una
nazione smisurata, dai confini del subcontinente indiano all’oceano Atlantico.
Parlando con tante persone, uomini qualunque incontrati nella quotidianità dei
souk, delle medine, delle moschee, compagni occasionali gentili e misurati come solo
gli arabi sanno essere, non ho mai percepito alcuna simpatia per il
fondamentalismo e la violenza come strumento di affermazione di un principio.
Certo il musulmano, ben lontano dall’essere un oppresso in cerca di riscatti o emancipazioni, è invece un guerriero che insegue il sogno di evangelizzare il mondo nel
segno del suo credo.
”
2001 2002
È scritto, in modo chiaro e inequivocabile,
nel Corano. Ma nel XXI secolo non possono
essere bombe e attentati a convertire i
popoli, quanto una penetrazione, lenta ma
inesorabile, nella nostra realtà.
Che, confusa tra ateismo modernista e una
eligiosità di facciata, non possiede le basi
ideologiche per opporsi
all’energia della devozione islamica.
Il “pericolo Islam” e la demonizzazione di
questa cultura è stato il filo conduttore, e
spesso l’alibi, degli ultimi settecento anni
di storia di un’Europa incapace di esprimere una riconoscibile cultura unitaria, al di
sopra delle peculiarità regionali.
Ben diverso il governo, sconosciuto e
incontrollabile, dei grandi poteri occulti
che oggi condizionano la vita e ipotecano il
futuro dell’intero pianeta.
Mostri che crescono sulla grande speculazione, capace di mettere in ginocchio qualsiasi economia, su traffici, dalle armi alla
droga, sotterranei ma estremamente redditizi, e anche sullo sfruttamento incontrollato e incondizionato delle risorse, rifiutando
qualsiasi logica che guardi con un minimo
di rispetto, amore e preoccupazione al
futuro.
Questo Moloch, sfuggito al controllo della
ragione e delle nazioni, non può certo crescere e alimentarsi nell’ordine e nella cer-
tezza del diritto, bensì nel caos. Giustificato da un perenne “stato di guerra” contro
un nemico sempre più evanescente e difficilmente identificabile. Affermato con azioni eclatanti per sviare l’attenzione dai problemi reali di un’umanità che si sta suicidando in nome del potere e della ricchezza.
Analizzando con obiettività le trame di questi giochi di potere, che si intersecano in
ogni parte del mondo, scaturisce inevitabile la domanda: “cui prodest”? Chi arma gli
infiniti Bin Laden, microbi del sistema
inventati per nascondere virus ben più letali?
NYC, MAGGIO 2002
Gigi Zoppello
Sono partito, e ho volato in mezzo ai fusi orari,
E all’aeroporto una security maligna
Ha tolto le scarpe proprio a tutti.
File di scarpe, punte dritte e storte, in viaggio
Come le scarpe nelle foto di Dachau,
Un mucchio di suole consumate, vedo
Ciascuna è la misura dell’andare
Di ognuno, la sua storia di bipede
E di scimmia evoluta. Scarpe io vedo
Vittorio Feltri, “Libero”,
7 settembre 2002
Un serpente di passi, e di passioni
Sul nastro infinito, gira e gira, e noi
Con bianche dita dai buchi dei calzini
Come le cicatrici di operazioni antiche
Che vedi in spiaggia, sotto gli ombrelloni.
Dico: cose che vuoi vedere e cose che non vedi.
Poi. Come non andare lì a Ground Zero?
Ci sono stato ed è un grande cantiere
Zeppo di ruspe gialle come api
“Oh, va molto meglio, puoi sentire
una gran voglia di rinascita qui in giro”
la breve cantilena, Ram si rassicura
Parola di speranza, profezia, in un bar
Che come un utero ci accoglie
Nel ventre molle della Babilonia
E non posso, lo sai, in questo momento
Né dire sì, né no, e neanche forse.
TUTTI SOTTO TIRO
Giovanni Colombo
L
a mattina dopo in metropolitana
c’era un insolito silenzio. Anche gli
angeli custodi tacevano. E ci fu del
panico negli occhi di tanti quando
il vagone si fermò per una ventina
di secondi in galleria.
Per la prima volta anche la nostra generazione, risparmiata dalla morte che nei
decenni scorsi ha mietuto così allegramente in mille luoghi lontani, aveva paura.
Dopo l’11 settembre siamo tutti sotto tiro.
Ormai può succedere pure a noi di andare
al lavoro, di alzare gli occhi dalla scrivania
e morire con la visione impressa nella retina del muso di un Boeing 767 che entra sparato dalla finestra.
Nel corso di quest’anno, anche se in apparenza ci siamo lavati i capelli, mangiato i
cioccolatini, tifato la squadra del cuore
come se le cose girassero per il solito
verso, nel nostro profondo è aumentato il
disagio nei confronti del mondo. Abbiamo
provato più forte il desiderio di nasconderci, di mettere la testa sotto le coperte. Sono
rifioriti i sogni dell’isola remota in cui rifugiarsi dalle grinfie della storia, dell’arca di
Noè in cui salvarsi dal diluvio.
Ma è inutile sospirare, un altro mondo non
c’è. Quest’unico che abbiamo a disposizione rimane pur sempre la nostra casa. E ora,
caduto insieme alle due torri l’invisibile
burqa culturale che avevamo calato sugli
occhi e che ci impediva di vedere cosa stesse realmente succedendo, diventa almeno
più nitida la direzione da prendere.
Non più solo il bene della famiglia, del partito, del clan, della tribù, della razza, dell’etnia, della nazione, della chiesa, ma il
bene dell’umanità intera: questa è la pace.
LE PREGHIERE
LE PAROLE
SPRECATE
Cristina Vignocchi
D
urante la processione paesana
dell’Assunta, uguale a se stessa
da un centinaio d’anni e più, ci si
accorge che il presente è tale
solo per la trovata tecnologica
del pingue e sudato parroco, la cui voce
esce gracchiante dalla rete di una tromba
di megafono, che lo precede appoggiata in
11
l’Adige
”
Mimmo Càndito, “La Stampa”,
6 settembre 2002
una cesta come la testa mozzata di Oloferne, portata dal chierichetto per le due strade del pellegrinaggio serale della festa di
mezza estate perché tutti, ma proprio tutti,
lo possano sentire al di là della sua presenza, peccando di desiderio ubiquitario.
Esorta i fedeli a pregare la Madonna perché
doni ai nostri giorni la pace e la gioia che
“grandemente desideriamo”, ad invocare
l’aiuto di Dio per chi soffre, per il riposo
eterno dei defunti e per “l’esaudirsi delle
proprie preghiere personali”.
Un salto nel vuoto.
Parole nel vuoto, sonnambule, dette tra sé
e sé nonostante l’eco, in un’assenza pneumatica di storia, di umanità, in un imbarazzo riflessivo e smemorato, oserei dire egoista, di diritto.
Dal mondo deputato allo spirito ci si aspetta qualcosa di più.
Non sembra succedere mai nulla qui, tra le
due strade del paese, vissuto come specchio del più vasto mondo.
E se qualcosa succede, è sempre la stessa
cosa vaga, la realtà, per cui le parole vaghe
ben le si adattano.
Il male è male, e non è altro, il bene è il
bene, ma a differenza del primo, ha confini
meno netti.
Come si può fare per allargare la comprensione e la possibilità del “bene”? Perché
il mattino
“
“
Che gli
americani abbiano
vinto la loro
battaglia contro i
taleban, non c’è
dubbio alcuno. Ma
la vittoria e la fine
della guerra non
sono la stessa
cosa
2001 2002
Era stato un
augurio, che il
mondo non fosse più
quello di prima: e
ora già lo si
rimpiangeva. Un
altro mondo finito,
una paura della fine
del mondo
”
non realizzare ogni tanto un sincero e purificatore silenzio?
Cura indolore contro le retoriche, non contro le celebrazioni. Desiderio del ripristino
della quotidiana dignità e significato del
vivere.
Perché non prevalga lo stupore sul possibile fragore mondano, quello stupore subito
zittito dall’incomprensione, e tuttavia
anch’essa inammissibile, così da evitare gli
esami di coscienza generali, o almeno il
tentativo di guardare ad una verità.
Stupore e incomprensione che frettolosamente si vorrebbe arginare con altrettanto
frettolose preghiere.
Frettolose indignazioni, o pettegolezzi e
mistificazioni.
Agglomerati di confusione sempre uguali
nel tempo e nello spazio, della piccola storia.
E intanto però nella storia di tutti le cose
succedono.
Spesso succedono trascinate, accompagnate e ingigantite da parole sbagliate.
Aggiunte di tifoni di parole, bombe di parole, terremoti di parole.
Alluvioni di parole.
Abbondanza tristemente inutile, malefica,
in odore di peccato di spreco, grave quanto lo spreco del pane.
IL PRIMA
E IL DOPO
di Paola Rosà
L
e date non dicono mai nulla, sono
come quegli appunti per la spesa
che ti fanno tornare a casa con il
carrello pieno: perché accanto al
latte c’è la panna da dolci, e se
hanno finito il crudo arrivi a comprare bresaola e pecorino. Le date sono fatte di un
prima e di un dopo, che si consumano nel
vuoto dell’orgia celebrativa, nelle parole
senza eco delle cerimonie.
C’è chi non riesce a piangere ai funerali, e
chi non si fa incantare dai sorrisi degli
sposi impomatati il giorno dei confetti: è il
«prima» a dare dignità al defunto, ed è il
«dopo» a garantire sostanza al matrimonio.
E non è certo il numero dei partecipanti, o
il luogo del rito, a intaccare il valore dell’evento.
Eppure coi numeri ci hanno giocato, puntando al rialzo con le vittime di New York e
facendo grandi sconti agli afghani; hanno
giocato con le bandiere e con gli inni, con la
retorica e l’eroismo, con la cultura e la religione.
Nel «prima», di una pacifica ostilità sotto
Adriano Sofri, “Diario del mese”,
6 settembre 2002
controllo; nel «dopo», di una coesa risposta
senza pensiero. Perché è il pensiero a legare il prima e il dopo, a volte invertendoli: il
pensiero riconosce l’odio ma non se ne
appropria, rispetta il dolore ma non lo strumentalizza.
NESSUNO SI ACCORSE
CHE LA LUCE
SI ERA SPENTA
Giancarlo Narciso
N
on erano stati i morti a farlo decidere. Certo, per giorni era rimasto senza fiato. La brutalità dell’attacco era stata amplificata
dalla TV, che non aveva avuto
nessun ritegno a continuare a mostrare i filmati fino alla nausea: il cozzo degli aerei, gli
edifici che eruttavano fiamme, la gente che
saltava dalle finestre verso la morte. Ma
doveva anche ammettere che non era stato
il peggior massacro della storia. Se si accettava la logica cruda dei bollettini di guerra
- e secondo gli attentatori, quella era una
guerra - era ben poca cosa di fronte alle vittime del bombardamento alleato di Dresda:
55.000 in una notte, quasi tutte civili. O di
il mattino
12
Speriamo che nel
mondo che ci si profila
dinnanzi ognuno di noi si
mostri capace di sollevarsi
da sotto le sue macerie
emotive e di ricostruire la
cattedrale che ha semptre
sognato, ma che non ha
mai osato creare
Di mia sorella
Lorraine hanno trovato
solo il portafogli.
Ma non so se sia peggio
così che avere un dito,
un brandello.
E’ questo che la gente
ha ricevuto
l’Adige
“
“
”
Paulo Coelho, “Corriere della Sera”,
8 settembre 2002
Hiroshima. Nagasaki. Nanchino. I campi di
sterminio in Cambogia. La lista era lunga.
Triste, ma così va il mondo.
E nemmeno il fatto che la strage fosse stata
compiuta in suo nome. Che c’era di nuovo?
In secoli di storia, era già successo fin troppe volte.
No, quello che non era riuscito a mandar
giù era stato tutto il rumore che era seguito. Quella notte a Kuala Lumpur che gli era
parsa eterna - a lui, di tutte le creature? ridicolo - il clamore di migliaia di bottiglie di
birra che si urtavano in brindisi osceni, e la
gente che festeggiava, cantando fino all’alba. Le risate con cui era stata salutata la
notizia nelle isole dell’Indonesia. Il cicalio
degli SMS con cui ricchi sauditi avevano
condiviso la gioia del successo. E i politici,
così pronti a saltare sul carro dell’odio,
quelli che avevano detto agli uomini in divisa di farsi trovare pronti e quelli che non
avevano nemmeno dato tempo alla polvere
di posarsi prima di urlare ai microfoni delle
radio che non c’era poi motivo di scandalizzarsi.
Scandalizzarsi? E chi si scandalizzava più?
Non certo lui, a quel punto. Lo avevano
creato a loro immagine e somiglianza. E alla
fine, era arrivato a crederci perfino lui. Ora
era stanco. In fondo, era in servizio da
un’eternità.
Non gli ci volle molto per smettere di esistere. Gli bastò pensarlo. Il bello di essere
onnipotenti. Nel mondo, nessuno si accorse che la luce si era spenta.
INVOCAZIONE
AL DIO
D’AMERICA
Andrea Zanotti
Dio d’America,
Dio di schiavi e di emigranti;
Dio degli onnipotenti miracoli
e dei ghetti brulicanti;
Dio dell’uomo che solletica
il tuo cielo;
Dio della libertà
e delle praterie,
dei deserti e dei canyons,
dei calcolatori e delle limousine,
del jazz e del carnevale di New Orleans;
Dio della luna e degli spazi,
dell’Atlantico e del Pacifico,
Signore di vecchi marinai e nuovi
esploratori,
non lasciare che ci avvolga
la paura,
non permettere che la polvere
di ciò che non è più
inaridisca lo spirito;
lascia che l’uomo viva il sogno
della sua grandezza,
lascia che il nostro tempo corra
senza cadere nei tranelli orditi
da antichi sortilegi.
Fa’ che gli sfregi
che hanno segnato con due lampi
i nostri volti
possano essere colti
solo come il rigurgito
di un mondo che più non siamo e non
vogliamo.
Et libera nos a malo.
PICCOLO GLOSSARIO
DELL’11 SETTEMBRE
Giacomo Sartori
A
ereo di linea: velivolo adibito al
trasporto di persone, con percorso in genere prestabilito
(da aeroporto a aeroporto)
Afghanistan: paese molto povero, futuro percorso di strategici oleodotti
”
2001 2002
America: “nuovo” continente scoperto,
almeno ufficialmente, nel 1492 americani:
invasori insediatosi (vedi “pulizia etnica”)
nel continente di cui sopra, rivalutatisi in
seguito per la forma molto perfezionata di
convivenza (interna) pacifica
Barba: villosità del viso maschile, con un’eventuale connotazione politica (sorta di
camicia nera)
Bin Laden (Osama): cruento e spietato
eroe, benchè immensamente ricco, di molti
quartieri sfavoriti di numerose città europee e mediorientali
Bombe a frammentazione inesplose: oggetti metallici impropriamente presi da molti
afgani per scatole di cibarie
Dodici settembre 2001: data in cui gli americani scoprono il vecchio mondo
Morti dell’11 settembre: vittime innocenti
della spietatezza dell’integralismo islamico
Morti civili afgani: vittime innocenti della
spietatezza dell’integralismo occidentale
Talebani: barbuti fanatici messi al potere in
Afghanistan dagli americani, poi da essi rinnegati e deposti
Terrorista: letteralmente: che semina terrore;
aggettivo il cui utilizzo è in molti casi controverso (es.: i nazisti chiamavano atti terroristici i bombardamenti degli americani)
Torre: costruzione allungata in senso verticale, inizialmente con scopi difensivi, poi
mera affermazione di potenza economica
(di qui la sua vulnerabilità)
Umanità: litigiosa comunità degli essere
umani, capace di atti anche orrendamente
atroci.
IL DIAVOLO,
PROBABILMENTE
Antonio Autiero
E'
difficile parlare di anniversario, pensando allo scorso 11
settembre 2001. L'evento che
ha mandato in polvere le torri
gemelle e in frantumi le vite di
tante persone non è chiuso e quindi non
del tutto consegnato alla memoria della
storia, su cui fare anniversario. Con quella
terribile violazione dello scenario antropologico, politico e perfino urbanistico, si
sono spezzate anche le frontiere del tempo:
non si può più scandire la storia con il
ritmo del passato e del futuro. Tutta acquista un minacciante spessore di presente.
Ciò che verrà è già iniziato e quello che è
stato non ha finito di essere. Il presente si
carica di pesi insopportabili e viene reso
evanescente da una specie di sospensione
della temporalità. La sostanza dell'evento
di quel giorno infausto è e resta il terrorismo internazionale che, scavalcando i
metodi del confronto democratico ed argomentativo, fa uso della violenza per contrapporre un modo di vedere la vita ad un
altro, ritenuto diabolico. Ma cosa è diabolico, se non la follia distruttiva che arma la
mano e stigmatizza l'altro, il diverso come
nemico da abbattere? Questa logica non è
più lineare, non conosce più un prima e un
poi, un passato oramai consumato e un
Patricia Reiley, New York
possibile futuro che si spera non ci sia mai.
Diventa piuttosto una specie di necessità
permanente, alla cui presenza vivere e alla
cui incombenza non pare non ci si possa
sottrarre.
Per non risultare priva di speranze, una
simile distorsione del senso della storia e
della temporalità chiede insistentemente di
essere riscattata: le vie della salvezza si
fanno strette, eppure il non credere ad esse
non è altro che creare le fatali condizioni
della resa totale. Ma questo è proprio il
cuore del disegno di ogni terrorismo. Contro cui ogni fede nell'umano deve sapersi
ribellare!
TU PROVA
Daniela Rossi Saretto
T
u prova, ora, a metterti nei panni
di Kasa, dieci anni, nato in una
baraccopoli alle porte di Kinshasa. La sua vita inizia e finisce sul
ciglio di una strada, seduto fino
a sera a vendere sacchettini di farina, da
cui trarre i soldi per un pasto.
Prova, poi, a metterti nei panni di Arul,
bambina di strada per le vie di Bangalore,
sfuggita ad una fabbrica di fiammiferi e
diventata un rifiuto malato.
Prova, infine, a metterti nei panni di Kazan.
Ha due capre ed un piccolo pezzo di terra.
E non conosce il mare.
Immagina, dunque, di essere uno o una di
loro e di vedere che nel tuo paese, ad un
certo punto, da un giorno all’altro, per una
ragione o per l’altra, si incominicia a giocare un grande gioco.
E mentre tu stai lì con i tuoi sacchettini
appesi al collo o le tue due capre e dei fanatici venuti da mezzo mondo se ne stanno a
casa tua e si addestrano al terrorismo, ti
trovi con i B 52 sopra la testa!
E allora penso - come ha detto un uomo
buono - che per qualche miliardo di persone, di bambine e bambini, di donne e di
uomini, da sempre, sulla terra, è 11 di settembre tutti i giorni.
BERLINO,
MANHATTAN
E I CANTI SENZA
FRONTIERE
Renato Morelli
D
a Erevan a Tbilisi in pullman. Ho
fatto questo viaggio alla fine del
1988 per approfondire la conoscenza della polivocalità trazionale caucasica: un miracolo
musicale, una sintesi sorprendente fra elementi apparentemente lontanissimi fra loro
(il nostro canto alpino, il melisma persiano,
lo Jodl svizzero, il bordone ortodosso
slavo-russo, il canto polivocale sardo, il
raga indiano). Nella Georgia (ortodossa)
questa pratica musicale è talmente radicata che anche nella regione dell’Ossezia
(enclave islamica) si canta a quattro voci: è
forse l’unico esempio in tutto il mondo
musulmano, tradizionalmente “monodico”.
Il viaggio dalla capitale dell’Armenia a quel-
13
l’Adige
”
Olivier Clément,
“Avvenire”, 5 settembre 2002
la della Georgia è relativamente breve (più
o meno come da Trento a Milano), ma le
differenze culturali-linguistico-religiose
rimangono clamorose. Basti pensare al cartello stradale (per indicare una località
oppure un confine) che in realtà è la
sovrapposizione di cinque cartelli, ognuno
in un alfabeto differente: i tre “locali”
(armeno, georgiano, arabo per l’Azerbaigian) e i due “sovranazionali” (cirillico e
latino per qualche raro viaggiatore occidentale).
Anche uno sguardo, pur distratto, attraverso il bellissimo centro storico persiano di
Tbilisi impone subito queste differenze:
una chiesa ortodossa georgiana dalla quale
si può intravedere una moschea mediovale
azzurra, a sua volta non molto distante da
un’antica sinagoga.
Differenze, distanze, confini, sicuramente
clamorosi ed ingombranti: hanno generato
nel corso dei secoli immani tragedie ma
anche straordinari “miracoli” di convivenza e di arricchimento reciproco.
Come il “miracolo” (sicuramente piccolo e
marginale) della musica.
Nel corso di quel viaggio ho consolidato
ulteriormente la convizione che proprio la
musica potesse essere un veicolo privilegiato di reciproca conoscenza e dunque di
tolleranza a scapito dei vari integralismi.
Quel viaggio si è svolto pochi mesi prima
del crollo del muro di Berlino: crollo che,
pur con mille contraddizioni, ha favorito
notevolmente il mio lavoro di “interscambio” musicale. Il crollo delle Twin Towers
rischia invece di comprometterlo irreversibilmente, anche se preferisco ancora pensare ad un’antica ballata piemontese, raccolta dal Nigra, che porta un titolo inequivocabile: potere del canto.
GRANDI INCOSCIENTI
E BAMBINI
ARRABBIATI
Dino Pedrotti
I
“grandi” riescono a giustificare tutti i
loro comportamenti. Certi “grandi”
possono abbattere le Twin Towers,
possono arrivare a distruggere un
popolo e una civiltà, potrebbero anche
inviare una testata nucleare su Roma (perché no?): il tutto con la coscienza tranquilla, soddisfatti e convinti di aver compiuto
un loro “diritto-dovere”.
La giustificazione viene spesso ricercata in
alto (lo si fa “per volontà di Dio o di Allah”:
Gott mit uns, Dio lo vuole, Morte agli infedeli,…) oppure ci si orienta verso una
estrema destra, in nome di nazionalismi o
di razzismi esasperati, o anche verso una
estrema sinistra, “in nome del popolo
sovrano”, per contestare un ordine costituito. Non ci sono solo “grandi” che odiano,
uccidono, distruggono in nome di fondamentalismi di tipo politico-religioso. Ci
sono anche “grandi” che con razionalità ed
ampie giustificazioni si arrogano il diritto
di distruggere foreste, clonare uomini,
diffondere droga,… E poi ci sono “grandi”
che non fanno niente, sicuri nella loro fede,
nel loro benessere, nelle loro idee.
Come conseguenza di questi atteggiamenti
irresponsabili ci sono tante vittime, tanti
“piccoli” che subiscono, che muoiono di
fame, di AIDS, in guerra o negli attentati. La
maggior parte delle vittime non si ribella,
ma attende passivamente che qualcuno le
aiuti, che dia loro ascolto e voce.
I bambini, che sono “i più piccoli tra i pic-
il mattino
“
“
Dietro Al Qaeda
non c’è più l’Islam
di una volta. C’è un
islam che utilizza le
tecniche della
modernità fino a
diventare una sorta di
ideologia sempre più
totalitaria
Si ha la sensazione
che il mondo abbia smesso
di fidarsi. Non sospettosi
dell’estraneo che ti
avvicina per offrirti una
caramella, ma di
qualcuno solo perché
sembra venire dal Medio
Oriente. Questo sì che mi
spaventa
”
2001 2002
coli”, non possono certo ribellarsi; ma – se
potessero parlare, se qualcuno volesse dar
voce ai loro bisogni-diritti – esprimerebbero tutta la loro rabbia e la loro delusione
nei confronti del comportamento stupido e
irrazionale dei “grandi” (homo stupidus, ci
etichetta Giovanni Sartori sul Corriere
della Sera).
A Johannesburg si è parlato spesso di
responsabilità verso le “future generazioni”, un termine efficace, ma che rimanda a
tempi che verranno. In realtà i “futuri grandi” sono già tra di noi e sono i bambini che
oggi, in ogni parte del mondo, nascono,
crescono, giocano e vanno a scuola (non
sempre). I nostri figli vorrebbero certamente vivere in un mondo di pace e benessere
e perciò si attendono da subito cultura,
salute, istruzione, dialogo, rispetto dell’ambiente, sviluppo sostenibile, atti intelligenti
di prevenzione primaria, partendo dal
basso, alla rovescia, dai bambini. La prevenzione secondaria e terziaria (violenza
alla violenza, scudo spaziale, intelligence,…) costano molto e danno solo effetti
temporanei e discutibili.
La migliore risposta al terrorismo (così
come per AIDS, cancro, droga,…) si deve
impostare con atti concreti di prevenzione
primaria.
L’ABBRACCIO
Vittorio Colombo
L
a luce del primo pomeriggio entrava dritta dai finestroni. Il riverbero
gli fece socchiudere gli occhi. Non
s’era ancor abituato alla vista di
New York dall’alto. Da vertigine.
Era cresciuto tra le case basse di una cittadina di provincia, aveva lavorato sodo.
Steven Spielberg, Los Angeles,
giugno 2002
Lavoro e studio, garzone, lavapiatti e studente universitario. E la mamma, una vita
di sacrifici. Per farlo arrivare fin lassù.
“Ho una scrivania tutta mia, con il mio
nome, al 78° piano”. La gioia, l’orgoglio.
“Devi, venire, mamma. Devi venire al più
presto”. Solo qualche giorno prima la
telefonata.
New York era ai suoi piedi. Con gli occhi
semichiusi vedeva la mamma, com’era giovane…, che lo teneva in braccio. E sentiva
le sue parole di allora. Parole che lo avevano segnato: “Tu andrai in alto, piccolo mio.
In alto come un angelo”.
Sorrise, sentì dietro il suo collega più anziano che scherzava con la giovane impiegata
che aveva la scrivania accanto alla sua. Li
conosceva da poco, ma erano simpatici.
L’uomo teneva vicino al computer una foto:
la moglie con i tre figli. Si sentiva bene. Un
giorno anche lui... una foto sulla scrivania.
La ragazza, l’avrebbe invitata a cena. Tra
qualche giorno però, prima c’era la
mamma…
Sono qui, in cima, pensò, … la squadra di
basket, gli amici, l’università, tanti ricordi,… la mia piccola storia e infinite altre
storie, tutte assieme a costruire un paese
intero. Una città nella torre che abita nel
cielo.
Sentì il suo nome, il collega lo stava chiamando. “Telefono…” Alzò la cornetta.
“Sono a Boston. Sto salendo sull’aereo,
volo 175”. La voce era dolce, segnata dall’emozione. La voce della mamma.
“A Los Angeles, dai una bacio alla mia
sorellina, e al mio nipotino” rispose.
“Presto verrò a trovare, anche te, a New
York, adesso che ti sei sistemato..” disse la
donna.
“Tranquilla, mamma, da qui non mi muovo.
Ti aspetto, per abbracciarti”. Gli sembrò, o
immaginò di sentire… Benedetta donna,
sempre le lacrime in tasca.
“Ti aspetto - disse ancora… - ah ti voglio
bene. A presto… a presto”.
Cercò di aprire gli occhi, ma la luce del
primo pomeriggio a New York è proprio
forte. E il cristallo dei finestroni fa il resto.
Una luce dritta e una riflessa si incontravano sulla sua scrivania. Quietamente. “Una
croce”, pensò.
Vide la mamma che si asciugava le lacrime
e che se ne stava ormai seduta. Al suo
posto sul Boeing della United Airlines.
Era felice. Sentì un gran caldo dentro. Forte
come un abbraccio, forte come una esplosione.
IL MURO
DEL MONDO
Mauro Cereghini
I
l muro del mondo è crollato a New
York. Dodici anni dopo Berlino, un
nuovo crollo unisce est e ovest, nord e
sud. Quanto varia è l’umanità sepolta a
ground zero: bianchi, neri, ispanici,
asiatici, arabi, tutti abitanti delle Torri e
metafora del mondo globale, ferito eppure
unito.
Ma il muro crollato porta anche nuove divisioni, nuovi muri che si chiamano libertà
duratura e guerra infinita. Altri crolli, meno
audience però: chi piange le case di Kabul
o di Baghdad? E chi ricostruirà quelle di
Grozny? Di Jenin?
A crescere, per ora, sono solo altri muri.
Quelli della violenza e della guerra umanitaria. Quelli della separazione e di Schengen, delle frontiere armate e dei permessi
di soggiorno a tempo.
I morti di New York chiedono giustizia e
sicurezza. Che non sono bombardieri né
recinti di filo spinato, ma case dai muri solidi. E dalle porte aperte.
l’Adige
14
il mattino
“
“
E se le Torri,
uno slancio verso il
cielo della nostra
civiltà, le buttano
giù, con tanti morti,
bisogna pur
ricostruirle perché
siamo così,
l’Occidente è questa
cosa qui
Grande
Oracolo, che hai
dormito nei secoli/,
Risvegliati adesso
finalmente/ E dicci
come salvarci da
noi stessi/ e come
sopravvivere ai
nostri propri
governanti
Renato Farina, «Libero», 7/9/2002
Lawrence Ferlinghetti, settembre 2002
”
QUEL JUMBO JET
CHE SI SCHIANTA
OGNI GIORNO
Karen Hooper
O
ggi, come l’11 settembre di un
anno fa, come ciascuno dei
364 giorni trascorsi da allora,
circa 13.000 bambini sotto i 5
anni moriranno per cause
attribuibili al degrado degli ambienti in cui
vivono: le malattie respiratorie, infettive e
gastrointestinali uccidono ogni 45 minuti
l’equivalente di un jumbo-jet carico di bambini.
Con quest’analogia Gro Brundtland, attuale
direttore generale dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità, ha lanciato la settimana scorsa a Johannesburg un nuovo
movimento per combattere gli effetti del
degrado ambientale sulla salute dei figli dei
più poveri e vulnerabili, ovunque.
Un altro terrore, un’altra guerra.
Tornano in mente le parole di Mark Twain,
che più di un secolo fa descrisse due
“Regni di Terrore” - l’uno che dissemina
morte in preda alla passione, l’altro invece
con sangue freddo e indifferenza; l’uno che
dura pochi mesi, l’altro che si trascina per
decenni; l’uno che miete migliaia di vittime
in un colpo solo, l’altro che, inesorabile, ne
uccide lentamente decine di milioni.
E come scrisse Twain allora “i nostri tremori sono tutti per gli “orrori” del Terrore
momentaneo: ma qual è l’orrore di una
morte rapida per un colpo d’ascia a confronto di una morte che dura una vita, provocata dalla fame, dal freddo, dall’ingiuria,
dalla disperazione?” E noi, impressionati
ancora dalle immagini forti del nostro “Terrore momentaneo”, ci lasceremo scuotere
altrettanto dallo spettro di quel jumbo-jet
che si schianta ogni 45 minuti, tutti i giorni,
ma che spesso fatichiamo ad inquadrare?
LA STORIA,
I MACELLI
Pino Loperfido
C
i dissero che le nostre vite non
sarebbero state più le stesse. Che
da allora in poi il mondo sarebbe
cambiato. Sul momento ci credemmo pure. Ce l'eravamo fatta sotto,
quel pomeriggio dannato. Che dire? Un fattaccio del genere, migliaia di morti: un casino
fuori di testa. Ma poi, dopo qualche mese, ci
capitò di incontrare la Storia, di sentire il racconto del nonno, la Storia vera non le bugie
che "quegli" storici ci avevano raccontato per
cinquant'anni. Già. Poi, ripensammo alla guerra, ai milioni di morti, a "quello" Sterminio, ai
gulag, alle foibe dimenticate... e due torri
piene di impiegati stressati che non fanno a
tempo a fuggire ci parvero poca cosa. Non lo
dicemmo a nessuno perché ce ne vergognavamo. Ma la nostra vita, piano piano, risveglio
dopo risveglio, tornò allo stesso punto di
prima. La sera ci fregava solo che alla tv ci
fosse qualcosa da guardare. Ci bastava che
i negozi fossero ben forniti e che i Tg non la
”
facessero troppo grossa. La solita vita, il
solito lavoro...
...e per strada le solite facce brutte di immigrato; tu le guardavi e cercavi di indovinare
quale tra quelli sarebbe stato, un giorno,
capace di combinarti un altro casino del
genere, un macello che non ti aspetti.
Quale tra quelle facce cattive sarebbe stato
in grado, ancora una volta, di farti credere
che la tua vita non sarebbe stata più la stessa, dopo.
TROPPE BUGIE
Duccio Canestrini
U
no shock indicibile. Maggiore di
quello suscitato dalla bomba
atomica su Hiroshima. Forse
perché l'attentato alle Twin
Towers l'abbiamo rivisto cento
volte in televisione. Forse perché gli americani sono cristiani e occidentali come noi,
dunque culturalmente nostri vicini. Purtroppo, un morto vicino vale cento morti
lontani (giapponesi, mediorientali, iracheni, afghani).
Con il ricordo, cocente, rimangono l'indignazione e la condanna di chi ha colpito
migliaia di innocenti. Accompagnate da
riflessioni, dubbi e incredulità. Soprattutto
rispetto all'ingenua semplificazione della
lotta tra l'impero del Bene contro l'impero
del Male.
Incredulità nel vederci servire bugie che a
distanza di un anno, anziché svanire nella
vergona, si rafforzano.
Come l'aereo sul Pentagono, i cui rottami
non sono stati trovati dai pompieri (le foto
sono in internet a questo indirizzo
www.asile.org/citoyens/numero13/pentagone/erreurs_it.htm).
O la bufala della minaccia terroristica di
avvelenare l'Occidente con l'antrace, poi
risultata uscita da un laboratorio USA. Poi
le domande.
Perché i servizi segreti che sapevano sono
stati a guardare? Che fine ha fatto il diavolo di turno Bin Laden? Che relazione c'è tra
gli interessi della famiglia di petrolieri americani Bush, l'Arabia e la guerra in Afghanistan? A chi giova la retorica sullo scontro
tra civiltà?
Chi si poneva queste normali domande, un
anno fa, veniva accusato istericamente di
spalleggiare i terroristi. Oggi non più. Ma le
domande (senza risposte) si moltiplicano,
e porle mette ancora a disagio. Faccio fatica a ripensare all'orrore di quei giorni,
senza sentirmi offeso per come è stata sottovalutata l'intelligenza di tutti noi, che
pure abbiamo subìto un tremendo stress
emotivo. Né la tragedia vissuta, né questioni di sicurezza autorizzano governi e media
a mentire. Troppe bugie ci hanno raccontato. Perché?
IL NOME
DI DIO INVANO
Lucio Pinkus
R
ipenso alle foto e hai commenti e
ancora mi sento sopraffatto
dalla grandinata di parole che ha
coperto l'evento. Parole tutte sia da parte delle autorità USA
che degli aggressori autoproclamatisi
espressione dell'Islam - che sembrano esse-
15
l’Adige
“
“
”
re generate da un unico "modello ": quello
di una cultura aggressiva e quasi cannibalica. Ma quello che più mi ha ferito è stato
quel continuo tirare in campo - senza ritegno da ogni parte - Dio, dimenticando o,
peggio, rimuovendo il fatto che la religione
ha consentito al linguaggio umano di dire
quei simboli religiosi che hanno generato la
possibilità di dare un senso alle esperienze
critiche del percorso esistenziale (quelle
connesse al nascere e al morire, all'amare e
all'ammalarsi, alle qualità dell'anima e al
valore dell'immaginario). Ma questo è potuto avvenire perché l'umanità aveva imparato che non bisogna strumentalizzare cioè
nominare invano il Nome di Dio. Quanto è
avvenuto ci costringe ad una riflessione sul
futuro dell'avventura umana sul nostro pianeta che oltrepassa la religione per osare
confrontarsi con le scabre ragioni della
fede, cioè di un fidarsi senza riserve della
vita, qualunque siano i riferimenti di questo atteggiamento. Per questo non bisogna
far clamore all'interno della religione o
fuori dalla religione. Non bisogna far chiasso in nome di Dio o contro Dio. Il chiasso
del mondo non deve invadere, con la violenza dell'affermazione o del diniego, l'origine silenziosa da cui sono scaturite tutte
le parole che incarnano la nostra "fede".
Solo a partire da questa atmosfera di condivisa umiltà e silenzio, che non è ancora
un atto di fede ma comunque di riconoscimento della realtà, si possono cominciare a
vivere cammini di speranza preparando un
futuro diverso con atteggiamenti inediti.
E INVECE
NON SIAMO
CAMBIATI
Isabella Bossi Fedrigotti
A
vevano detto che la tragedia
non poteva che cambiare la storia. E avevano anche detto che
un terremoto simile avrebbe,
paradossalmente, riassestato in
positivo le nostre vite. Vedrai, mi avevano
assicurato, come l'orrore si trasformerà in
lezione di umanità, vedrai come dalle
macerie della devastazione spunterà la
pianta buona della speranza. Riemergeremo migliori da questa disfatta, più generosi
e sapienti. Invece, siamo qui, un anno
dopo, a parlare ancora e sempre di guerra.
Par di sentire come affila la sua spada il
presidente americano e il rumore della pietra molare che cozza contro la lama -che
altro sono se non questo i suoi proclami
minacciosi?- purtroppo non sembra solo
un tamtam per spaventare i nemici. Nemici
che non sprecano molte parole, ma il cui
silenzio è carico come le nuvole di un temporale. E là dove la nostra vita è un poco
cambiata, è avvenuto per paura e non per
resipiscenza. Viaggiamo di meno non per
rallentare i ritmi o goderci di più famiglia e
casa, ma per insicurezza; spendiamo di
meno non perché disgustati dal folle consumismo, ma perché, ipocritamente non ci
pare il momento;
rinunciamo a feste chiassose a ostentazioni volgari... Chi, come, quando?
Qualcuno ha davvero rinunciato?
il mattino
Il nostro
maggiore contributo
alla pace, in un
mondo gravido di
conflitti e di minacce
di nuovi assurdi
conflitti, nascerà da
un cuore che anzitutto
vive in se stesso il
perdono e la pace
Agli occhi di
un vero credente,
come a quelli di chi
non crede, è chiaro
che quando le
religioni predicano
l’odio rinnegano se
stesse
Carlo Azeglio Ciampi, Loreto, 9/9/2002
”
2001 2002
Carlo Maria Martini, Milano, 9/9/2002
LE FIRME
Pier Aldo
Vignazia
Disegnatore,
vignettista, scrittore Belluno
Sergio Artini
Medico, scrittore Trento
Albert Mayr
Anny Ballardini
Musicista Firenze/Bolzano
Insegnante, poetessa Bolzano
Silvano Zucal
Piera Graffer
Scrittrice, etnologa Trento
Professore
universitario di
filosofia - Trento
Umberto Folena
Michele Dalla
Palma
Giornalista,
editorialista - Milano
Alpinista, giornalista,
scrittore - Trento
Giuseppe
Calliari
Gigi Zoppello
Giornalista, poeta Critico musicale, poeta Trento
- Trento
Maurizio
Gentilini
Storico dell’Archivio
Sturzo - Roma
Giovanni
Colombo
Presidente della Rosa
Bianca - Milano
Michele Ruele
Cristina
Vignocchi
Insegnante, scrittore Trento
Pittrice, scultrice Bolzano
Chiara
Mezzalama
Paola Rosà
Psicanalista,
editorialista - Roma
Marco Morelli
Docente di filosofia,
prete, scultore, poeta Rovereto
Lidia Menapace
Editorialista - Rovereto
Giancarlo
Narciso
Scrittore - Riva del
Garda/Kuala Lumpur
Andrea Zanotti
Professore
universitario di diritto,
editorialista Trento/Bologna
Tra i fondatori del
“Manifesto”,
intellettuale femminista
Giacomo Sartori
- Bolzano/Roma
Scrittore Francesco
Trento/Parigi
Comina
Giornalista, saggista Bolzano
Silvano Bert
Insegnante,
editorialista - Trento
Maurizia
Spitaler
Editorialista, scrittrice
- Bolzano
Antonio Autiero
Teologo, direttore
dell’Istituto di scienze
religiose Trento/Münster
Daniela Rossi
Saretto
Insegnante,
vicesindaco di Merano
Renato Morelli
Giorgio
Mezzalira
Antropologo, regista,
musicista - Trento
Insegnante, storico Bolzano
Dino Pedrotti
Reinhard
Christanell
Poeta, vicesindaco di
Laives
Luca Coser
Artista - Trento
Lia Guardini
Medico neonatologo,
pubblicista - Trento
Vittorio
Colombo
Giornalista, scrittore Riva del Garda
Mauro Cereghini
Insegnante,
editorialista - Trento
Ricercatore
dell’Osservatorio dei
Balcani - Rovereto
Astrid Mazzola
Karen Hooper
Studentessa, scrittrice
- Trento
Esperta di pena di
morte per Amnesty
International,
editorialista - Cles
Enzo Fontana
Scrittore Trento/Cesena
Giuliano
Pontara
Pino Loperfido
Scrittore - Trento
Duccio Canestrini
Filosofo, studioso di
relazioni internazionali
- Stoccolma/Rovereto
Antropologo,
giornalista, scrittore Trento
Danilo Fenner
Lucio Pinkus
Giornalista, poeta Trento
psicologo - Arco
Mirco Elena
Isabella Bossi
Fedrigotti
Fisico antinuclearista,
editorialista - Trento
Giornalista, scrittrice Milano
V2091099
S
“ i afferma che in certe epoche Shiva danzi sul mondo, abolendo le forme. Ciò che oggi danza sul mondo è la stupidità, la
violenza e l’avidità dell’uomo”.
Così Marguerite Yourcenar negli “Archivi del nord”. E’ forse
questa una sintesi pertinente non solo dei fatti dell’11 settembre,
ma dei caratteri di una contemporaneità in cui la Storia - data affrettatamente per conclusa - ha mostrato di sè una parte inaspettata, feroce, imbarazzante.
L’11 settembre, in questo senso, rimane non solo nella sua evidenza di episodio-limite, di espressione radicale dell’assurdità
omicida, ma si ripropone anche come metafora di una nuova generazione di conflitti: guerre non più mondiali ma “globali” e, a
scale diverse, guerre etniche, guerre dimenticate, guerre metropolitane. Situazioni nelle quali si esprimono paradossalmente,
quasi fossero sintomi psicotici, conflitti atavici ma anche il rimosso della nostra civiltà e le sue pulsioni irrisolte.
Quale pensiero, dunque, e quale possibile chiave di lettura per
accostarci a questo anniversario e attualizzarne la memoria?
Prima di tutto, un pensiero discreto e commosso alle vittime, alle loro famiglie, a quegli “eroi per caso” che hanno perso la vita
nell’adempimento del dovere.
Collocando questo episodio in prospettiva, non possiamo sottrarci ad una riflessione più articolata ed esigente. Non possiamo
non prendere atto di un’evidenza definitiva: sempre meno la soluzione di squilibri di portata planetaria ammette fibrillazioni;
sempre meno può essere consegnata ad interventi vistosi, che al
più gratificano un’opinione pubblica comprensibilmente smarrita; e sempre più le criticità di questi mesi e di questi anni vanno
riconosciute per quello che sono: come una “deriva di civiltà”,
nella quale interagiscono squilibri demografici e ambientali, povertà e sfruttamento, intransigenze dogmatiche, disperazione.
Difficile, davvero, parlare di speranza. Ma non abbiamo alternative, io credo, se non quelle di costruire - o almeno di tentare percorsi di futuro per tutti i popoli e per tutte le persone senza terra, senza tutele, senza identità, senza diritti, senza voce. Un esercizio di responsabilità che ricomponga il massimo del realismo e
il massimo dell’utopia.
Alberto Pacher
SINDACO DI TRENTO