L’ARMIR COMPROMISE
LA GUERRA IN AFRICA
CARLO DE RISIO
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el giugno 1942, mentre in africa Settentrionale infuriava la battaglia, i rifornimenti furono i più bassi dall’inizio
della guerra: 32.327 tonnellate, assolutamente
insufficienti per alimentare lo sforzo offensivo
dell’armata corazzata italo-tedesca.
Le perdite di navi da trasporto non erano state
peraltro molto gravi: quattro unità, nulla cioè
di paragonabile alla ‘mattanza’ del novembredicembre 1941, con ventuno mercantili affondati. La rarefazione dei trasporti fu tanto più
avvertita in quanto le operazioni nel deserto si
erano trasformate in lotta di usura, al punto
che molte unità avevano perduto i lineamenti
organici. Accadde così che – dopo la capitolazione della fortezza di Tobruk con 33mila soldati inglesi e del Commonwealth (21 giugno
1942) – la spinta degli italo-tedeschi si arrestò,
per esaurimento, a El Alamein e il ‘miraggio
delle Piramidi’ svanì. Nel volume dell’Ufficio
Strorico della Marina Militare sulla difesa del
traffico in Africa Settentrionale (1° Ottobre
1941 – 30 Settembre 1942), è possibile trovare
la risposta al perché i rifornimenti scarseggiarono, mentre le forze dell’Asse – sia pure provate e con il fiato corto – avanzavano in
territorio egiziano. “Occorre tener presente – vi
si legge – che la carenza di rifornimenti spesso
lamentata non era soltanto frutto dell’offesa
nemica ma derivava molto spesso dal fatto che
dall’Italia poco partiva”.
La verità è che, in quella estate del 1942, le esigenze del fronte nordafricano furono sacrificate
in favore di quelle sul fronte russo. I tedeschi
erano in difficoltà e i loro alleati dovevano dare
un contributo. Artiglierie moderne, controcarri,
mezzi motorizzati, munizioni, materiali furono
assegnati all’ARMIR (Armata Italiana in Russia).
Invano il generale Giovanni Messe – comandante del CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in
Russia) nella precedente campagna – aveva
scongiurato di non incrementare il nostro impegno sul fronte orientale. Né Mussolini, né Cavallero, Capo di Stato Maggiore Generale,
N
Tutti gli armamenti
moderni finirono sul
fronte orientale”
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In apertura: III Compagnia chimica ARMIR - Campagna di Russia
Sopra: Prigionieri italiani dell'ARMIR - fotoreporter sovietico sconosciuto
recepirono questo suggerimento. L’Italia aveva
in Africa Settentrionale un fronte di vitale importanza e tutte le risorse disponibili avrebbero
dovuto esservi impegnate. Non fu così.
L’ARMIR (227mila uomini) assorbì il meglio che
esisteva nel campo delle artiglierie e molta
parte delle disponibilità di automezzi. Ove si rifletta che le divisioni del Decimo e Ventunesimo Corpo di Armata in Libia (“Brescia”,
“Oavia”, “Trento”, “Sabratha”, “Bologna”) si
muovevano a piedio, nel migliore dei casi, su
mezzi dell’Intendenza, si ha una idea della dispersione delle forze a scapito del fronte africano. I pezzi di vario calibro inviati in Russia
furono 960; 16.700 gli automezzi, che si aggiungevano ai 5.500 assegnati al CSIR; 4.470 i
motomezzi; 1.130 i trattori di artiglieria.
Scomponendo il dato relativo alle artiglierie, si
fanno scoperte sorprendente. Finirono sul
fronte del Don: il solo gruppo esistente da
210/22 (15 pezzi); tre gruppi (36 pezzi) da
149/40 – in Africa Settentrionale vi era un solo
gruppo, insieme con pochi 152/37 di preda bellica 1915-18; 24 dei 38 pezzi Krupp da 149/28
ceduti dalla Germania; 52 pezzi contraerei da
75/46; tre gruppi (36 pezzi) da 75/32 controcarro in forza al 201° Reggimento artiglieria;
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72 pezzi da 75/18; 380 cannoni controcarro da
47/32; 220 mitragliere da 20 millimetri.
Destinati in Russia anche 76 pezzi da 105/32,
con gittata di 16.200 metri, anziché di 13.650
dei 105/28 presenti in Libia, insieme con i
100/17 di preda bellica 1915-18.
Scrive Lucio Ceva (“La condotta italiana nella
guerra – Cavallero e il Comando Supremo
1941-1942”, Feltrinelli, 1975): “I combattenti
d’Africa non videro mai un 75/32 e non conobbero il 75/18 nella sua normale versione autotrainata mentre ne ebbero pochissimo nella
versione corazzata cioè il “semovente”. Trentasei moderni anticarro italiani avrebbero rappresentato un grosso apporto se si pensa che lo
schieramento anticarro dell’Asse, rappresentato
essenzialmente dall’88 tedesco, consistette
sempre di poche dozzine di cannoni. (…)
Né il 75/32 italiano, munito di proiettile perforante, era molto inferiore all’88 tedesco in
quanto la differenza di calibro era compensata
dal minore volume e quindi dalla minore vulnerabilità”. Inesplicabile quanto, contemporaneamente a questi paradossi, accadeva per
rifornire le divisioni dell’Afrika Korps. Ne parla
Rimmel nel libro “Guerra senza odio” (Garzanti,
1960), basato sugli appunti e le annotazioni del
Mezzi corazzati tedeschi in ritirata affiancano una colonna di soldati appiedati
Feldmaresciallo: “In Italia si trovavano, in parte
da un anno, circa 2.000 automezzi e quasi 100
cannoni di ogni tipo destinati alle unità tedesche e pronti per il trasporto. Ma questo materiale veniva mandato in Africa con
straordinaria lentezza. Altri 1.000 automezzi e
120 carri armati, con la medesima destinazione, erano in Germania, pronti ad essere spediti dietro richiesta”.
Le disfunzioni nella organizzazione dei trasporti
– che penalizzavano anche l’Afrika Korps – non
possono sviare il discorso sulle responsabilità
politico-militare che portarono a “premiare”
l’impegno in Russia nella cruciale congiuntura
dell’estate 1942, quando un successo strategico decisivo sembrava a portata di mano in
Africa Settentrionale.
Esaustivo, sull’argomento, il commento di Giuseppe Bucciante al Diario di Cavallero, edito da
Cappelli nel 1948, ristampato da Ciarrapico
Editore nel 1984: “Cavallero – rilevano i suoi
critici – è in ritardo di sei mesi, quelli che ha
speso deviando artiglierie, autocarri, munizioni,
anticarri in Russia. La quale, prima di inghiottire centomila uomini dell’armata, ha arrestato
l’avanzata italo-tedesca in Africa, impedendole
di raggiungere il Canale, ha distrutto sei divisioni italiane prive di automezzi e abbandonate
nella ritirata, dopo lo sfondamento del fronte
di El Alamein. L’armata italiana in Russia servì
agli inglesi più di quanto non abbiano concorso
alla difesa di El Alamein le truppe provenienti
dall’India, dalla Siria, dall’Irak in sostegno
dell’8^ Armata”.
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