Ai limiti della docenza: i convegni come andrebbero fatti di Francesca Tabusso Attuale docente e rettore, fino allo scorso anno, dell’Università di Urbino, Stefano Pivato* ha presentato lo scorso 22 maggio nell’aula magna della sede universitaria di Asti la sua ultima opera, diversa, nei temi trattati, dalle sue precedenti, di analisi storica. Infatti, anche se in copertina appare Narciso, mentre si specchia, assorto, il pamphlet di Pivato “Al limite della docenza”, che gioca nel titolo con una brillante paronomasia degna del miglior creativo, non parla di mitologia, bensì di antropologia: quella del professore universitario e della sua “tribù”. Poche dense pagine racchiudono, con uno stile scorrevole, ma mai banale, le critiche all’ultimo anello del percorso di formazione italiano. Ha introdotto l’incontro Francesco Scalfari, docente di Antropologia all’università del Piemonte Orientale e direttore del polo universitario Asti Studi Superiori, luogo del convegno, che ha sottolineato l’importanza della valenza affettiva e sentimentale, non solo di quella scientifica e intellettuale, del lavoro accademico. Stefano Pivato afferma di essere stato criticato dai colleghi, con la motivazione di aver contestato un sistema di cui lui stesso fa parte e precisa che la sua non vuole essere una critica disfattista ma, al contrario, costruttiva: un “libro militante”, contenente consigli e “buone pratiche” per risollevare l’attuale mondo universitario italiano. Il lavoro del docente universitario è fatto di ricerca scientifica, ma anche di didattica, che non dovrebbe essere messa in secondo piano, come invece spesso accade negli atenei. Bisognerebbe chiedersi perché il 44% degli studenti non conclude il percorso universitario. I giovani oggi sono cambiati, vivono un’adolescenza prolungata. Tramite una formazione adeguata dei docenti, la didattica dovrebbe aggiornarsi, a tutti i livelli di istruzione, per andare incontro a questi studenti altrimenti disadattati. Ma il docente universitario è un po’ narciso, sempre pronto a chiedersi «Come sto?» quando incontra l’altro (che sia uno studente, o un suo collega) sul suo cammino. L’invito di Stefano Pivato è quello di essere un po’ meno egocentrici, di notare, come docente, i difetti del sistema universitario e di arrivare ad “indignarsi” per poterlo migliorare. Mario Zunino (già professore di Zoologia nelle università di Torino, Palermo e Urbino) in veste di moderatore, a proposito del saggio, parla di impegno civile, riportando tre elementi che contribuiscono a far sì che l’Italia detenga il triste primato dei pochi laureati rispetto agli iscritti: scarsa comunicazione tra mondo accademico e mondo “esterno”, colpevole un linguaggio oscuro e altisonante, che infonderebbe autorità a prescindere dai contenuti; pensionamento tardivo dei docenti, cui non seguono assunzioni di giovani, per cui la classe docente italiana rimane tra le più “vecchie” d’Europa; la presenza di uno “Ius loci” per cui non si promuove la circolazione di docenti tra Atenei, ma la crescita di “scuole” interne, cioè di gruppi di potere. Fortunatamente esistono strutture con una libertà d’azione più ampia di un ateneo. L’esempio virtuoso che porta Mario Zunino è proprio quello di Asti Studi Superiori, che costituisce un polo di aggregazione di segmenti universitari e di didattica, formando non un “calderone”, ma un “crogiuolo” di ricerca e formazione, non solo universitaria. Nella giornata spiccano per originalità gli interventi dei relatori. Piercarlo Grimaldi porta la sua esperienza di rettore dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, che nella sua specificità si scontra con l’intransigenza dei vincoli imposti al rispetto delle rigide strutture ministeriali. Giuseppe Alloatti, fisiologo e presidente del corso di laurea in Scienze Motorie dell’università di Torino, deplora il mancato rinnovamento dell’organico dei docenti universitari. Enrico Caprio, docente a contratto dell’università di Torino, lamenta il calo dei numeri di assegnisti di ricerca e di dottorandi; suggerisce di lavorare di più al reperimento di fondi alternativi tra aziende e privati; di stabilire più contatti e fare più esperienze all’estero per risollevare la ricerca universitaria. Interessanti e autorevoli anche gli interventi da parte del pubblico. Bruno Giau, docente di Agraria di Torino, osserva che la didattica non si è rinnovata per far fronte al numero crescente di studenti universitari. Ai docenti si continua a non insegnare ad insegnare. Inoltre l’università non rappresenta più un volano sociale: tanti sono i laureati triennali, ma pochi quelli biennali, cioè quelli specialistici (20%). La riforma cosiddetta “3+2” ha contribuito ad accrescere, per equipararsi all’Europa, la quota dei laureati di primo livello (3 anni), ma non ha innalzato la qualità dei laureati, che rimangono, di fatto, i pochi specialistici (2 anni). Maria Bussa, docente di Fisica all’università di Torino, rimarca la distinzione arbitraria che viene fatta tra ricerca e didattica, valutando solo la prima per attribuire gli scatti di carriera: il sistema di valutazione nazionale ANVUR infatti considera solo le pubblicazioni scientifiche e non le competenze didattiche. I commenti della giornata chiosano dunque l’acuta analisi antropologica dell’homo academicus italicus, che si auspica modifichi l’inveterata attitudine (in particolare nell’ambito didattico), tralasciando il proprio ego a favore di prospettive più disinteressate e lungimiranti per la salvaguardia di un’istituzione così preziosa per il diritto alla conoscenza. * Stefano Pivato insegna Storia contemporanea all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Storico della mentalità e dei comportamenti collettivi, ha al suo attivo numerosi saggi e volumi. Ha ricoperto varie cariche accademiche e, dal 2009 al 2014, è stato rettore dell’università nella quale è docente. Stefano Pivato, Al limite della docenza , Donzelli Editore, Roma 2015