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Indice
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Ri-abitare spazi e luoghi
Come ripensare l’abitare tradizionale
1. Esistono oggi i presupposti per far fronte al fabbisogno abitativo con risposte nuove e flessibili, rivedendo
il concetto stesso di casa per adattarlo ad esigenze alloggiative che appaiono profondamente mutate.
Si è sviluppato infatti un “concetto innovativo di abitabilità” più rispondente ai bisogni di mobilità
caratteristici della società attuale. Il concetto di casa non è attualmente sempre riconducibile al modello
tradizionale di permanenza e stabilità e questo per la flessibilità delle condizioni di vita e di lavoro, peraltro
non solo dei migranti ma anche di larghe fasce di popolazione autoctona.
Questa evoluzione dell’abitare nasce da una mobilità umana ormai generalizzata (tanto in relazione alla
durata del fabbisogno abitativo quanto alla sua natura) che ha mutato profondamente il panorama delle
richieste di alloggio. Globalizzazione e mobilità sono divenute due componenti inscindibili della realtà
odierna, e questo aldilà della crisi economica e della sua persistenza.
Tutti i paesi del mondo sono oggi contemporaneamente Paesi di destinazione, di origine e di transito. La
stessa Europa da una parte accoglie il 31,3% dei migranti del mondo, dall’altra rappresenta l’area di origine
per un altro 25,3%. Recenti dati Eurostat valutano, per fare riferimento alla sola Europa, che la popolazione
“straniera” complessivamente presente nei 27 Paesi dell’Unione ha quasi raggiunto i 35 milioni di persone,
equivalenti al 6,8% di tutti i residenti.
Per tutti questi soggetti la possibilità di disporre di un alloggio è una condizione ineludibile. E tuttavia essi
esprimono un bisogno abitativo differente da quello tradizionale. Con una esistenza sradicata dalla terra
d’origine e non (ancora) legata ai territori di arrivo, essi esprimono la necessità di un alloggio caratterizzata
da un fattore di instabilità. Il prendere possesso di un luogo non corrisponde infatti necessariamente allo
stabilirsi e riconoscersi in quel luogo; comporta di fatto una condizione di “stabile temporaneità”, come
viene definita dagli esperti.
In sostanza, chi considera un determinato contesto come un luogo di passaggio di minore o maggiore
durata, ha bisogni abitativi e di servizi diversi da quelli tradizionalmente legati al risiedere fisso. In altri
termini, rispetto alla mobilità ed ai percorsi di vita dei “nuovi” abitanti, risulta incongrua per molte ragioni
una offerta di residenzialità segnata dall’immobilità. E’ piuttosto una soluzione di abitare di emergenza o
temporaneo che può soddisfare il bisogno di un tetto.
Su un altro fronte, l’esigenza di un abitare temporaneo accomuna oggi ai migranti segmenti crescenti di
popolazione autoctona. Pur motivati da ragioni differenti, single e nuclei familiari, studenti fuori sede e
lavoratori temporanei, genitori separati, anziani soli, parenti di pazienti ospedalieri, Rom, homeless, ospiti
di strutture di accoglienza ed altri, esprimono una domanda abitativa caratterizzata da una specifica
multidimensionalità e temporaneità, che include la funzione residenziale all’interno di un sistema
complesso di servizi ed opportunità.
E’ peraltro anche il caso di una crescente “area grigia “ di disagio meno esplicito, multiforme e spesso
temporaneo, che caratterizza nuclei familiari e single che dispongono di un reddito insufficiente o quasi a
far fronte alle spese abitative (morosi o sfrattati). Sono soggetti in bilico tra emergenza e normalità che un
evento imprevisto può far precipitare in uno stato di vera e propria emergenza abitativa, che potrebbe
tuttavia essere anche superata ad alcune condizioni.
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2. In sostanza, i tempi sono maturi per avviare la sperimentazione di un “nuovo modello di abitabilità”
richiesto da domande sociali quali quelle di cui si diceva, derivanti dal repentino cambiamento dei nuclei
familiari, dalla pressione degli immigrati e degli studenti fuori sede, dalla necessità di aggirare costi
immobiliari inaccessibili, dalla inadeguatezza dei sistemi abitativi tradizionali per I fabbisogni emergenziali
di rifugiati, richiedenti asilo, homeless ed altri.
Per questo tuttavia si impone di mettere in campo soluzioni innovative indagando sulla replicabilità di
modelli di Housing sociale già in atto in altri contesti nazionali ed europei che puntano a soddisfare
differenti esigenze, sia pratiche (alloggi in emergenza, residenze temporanee, abitazioni più stabili),sia
socioculturali (abitudini abitative, differenti modalità di intendere casa e servizi collegati).
In molti territori dei paesi EU lo Housing sociale rappresenta oggi l’insieme di alloggi e servizi, di azioni e
strumenti, con i quali si intende offrire (a chi non riesce a soddisfare il proprio bisogno abitativo per ragioni
economiche o per l’assenza di una offerta adeguata) un contesto abitativo e sociale dignitoso, all’interno
del quale sia possibile non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma anche a relazioni umane ricche e
significative.
In questa direzione (in attesa della nuova programmazione europea 2014/2020) è comunque possibile
almeno in Campania valorizzare sia il secondo ciclo del Piano sociale regionale con il suo raccordo al PAC e
la sua sintonia con la strategia di Europa 2020, che rende possibili interventi di contrasto al disagio abitativo
di soggetti economicamente deboli (autoctoni ed immigrati),sia le Linee Guida in materia di Edilizia
Residenziale Sociale che hanno individuato nello Housing sociale una risposta utile a soddisfare almeno in
parte il fabbisogno abitativo delle categorie di cui sopra. Oltre alla implementazione di uno specifico Piano
di Housing sociale, l’Assessorato competente sta sperimentando due iniziative di autocostruzione per
famiglie a reddito debole, la prima ormai completata e la seconda in fase molto avanzata di completamento
dell’edificato, lavorando al tempo stesso alla messa in campo di interventi di recupero ed autorecupero di
immobili o spazi inutilizzati o dimessi.
D’altra parte è recente l’adozione del PON METRO nazionale 2014 – 2020, nell’ambito del quale le città
metropolitane, tra cui Napoli, si vedranno attribuire dalla UE risorse per “promuovere interventi integrati e
policentrici capaci di riqualificare gli insediamenti urbani affinché diventino luoghi di vita e di lavoro
innovativo, attrattivi, inclusivi e sostenibili”. Il Programma prevede tra l’altro interventi sul sociale molto
articolati: servizi di accoglienza/alloggio per persone senza fissa dimora, riqualificazione ad uso sociale di
spazi urbani da destinare a persone colpite da acuto disagio abitativo ed a basso reddito,
accompagnamento alla casa per nuclei appartenenti a comunità emarginate quali i rom. Peraltro il disagio
abitativo e la necessità di affrontarlo con modalità adeguate sono parte di altri Programmi dei Fondi sociale
e regionale, in corso di definitiva approvazione e dunque di possibile implementazione nel corso
dell’autunno 2015.
3. I dati ricavati dalla mappatura campione del patrimonio inoccupato (pubblico e privato) nell’area
metropolitana di Napoli e gli elementi individuati sui reali fabbisogni di coloro i quali non hanno oggi
accesso al mercato immobiliare (cfr. Benchmerking 1 e 2 ) consentono alcuni incroci utili a delineare
strategie urbanistiche e modelli abitativi innovativi, in linea con i nuovi fabbisogni e finanziabili con le
risorse disponibili a livello nazionale o in imminente arrivo dalla nuova Programmazione europea.
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In questa direzione peraltro le esperienze di Aliseicoop nel campo dell’Housing sociale ed il know-how di chi
come la cooperativa sociale da sempre ha esplorato il difficile campo del disagio abitativo nelle sue
molteplici implicazioni, possono tornare molto utili per rafforzare relazioni con una articolata gamma di
soggetti pubblici, privati e del privato sociale per il raggiungimento dell’obiettivo di un abitare sociale, ma
soprattutto per esplorare nuovi modelli abitativi, indagare e valutare la replicabilità di soluzioni diversificate
che sfruttino le potenzialità degli immobili, definire e proporre soluzioni innovative.
“Ricostruita” la consistenza reale di un campione significativo del patrimonio sfitto nell’area metropolitana
di Napoli, se ne sono individuate le potenzialità di recupero per situazioni abitative emergenziali, per alloggi
temporanei, per formule innovative di co-housing o, comunque, di un abitare sociale per il quale la casa
non è solo un tetto ma coesiste con servizi individuali e collettivi.
Si precisa che suggerimenti e linee di intervento prospettate nelle pagine che seguono, partono dal
presupposto che si punti sempre ad operazioni di valorizzazione sociale degli immobili, coerente con le
nuove linee di indirizzo ed intervento per un welfare abitativo sostenibile e condiviso, quali emergono dal
Piano nazionale di edilizia abitativa, dal decreto Sblocca Italia, dalla normativa europea e da quella
regionale campana.
Si precisa ancora che nelle pagine successive (II) sono state messe in campo soluzioni innovative di Housing
sociale che intendono sfruttare le potenzialità degli immobili mappati per soddisfare differenti esigenze, sia
pratiche (alloggi in emergenza, residenze temporanee, abitazioni più stabili),sia socioculturali (abitudini
abitative, differenti modalità di intendere casa e servizi collegati, spazi di aggregazione e socializzazione).
Il filo conduttore (così come già sperimentato in alcuni territori in Italia ed in Europa) sono modelli
residenziali “ibridi” che consentono di sviluppare relazioni tra interno ed esterno del sistema abitativo,
promuovendo connessioni tra abitazioni e spazi pubblici, capaci quindi di generare spazi collettivi di uso
pubblico e di ospitarne altri dedicati ad attività diverse, anche di carattere commerciale.
Sono modelli che connotano di fatto di un sistema integrato di housing sociale adattabile alla complessità
e variabilità dei fabbisogni presi in conto, il cui orizzonte è al tempo stesso multi generazionale, multi
culturale e multi funzionale, comunque centrato sull’abitare come pratica di vita e di socialità.
Un aspetto specifico che è stato preso in conto, è la prospettazione di modelli abitativi che tengano conto
di due dati che connoteranno la società italiana alla fine del 2015: la presenza di 12 milioni di giovani tra i
15 ed i 35 anni e quella di 12 milioni di anziani.
Forse si impone “Una casa a metà per nonni e nipoti” come titolava di recente un noto quotidiano?
Ovviamente non ci si riferiva a ghetti giovani/anziani, ma a soluzioni abitative flessibili, pensate per
necessità diversificate ma strutturate per una vita in autonomia che consenta tuttavia di permettere di
condividere spazi di aggregazione comuni, da vicini di casa disponibili se non amicali che riescano a
connotare un vivere di vicinato o di quartiere.
Va detto al riguardo che nelle numerose strutture che rappresentano oggi il versante istituzionale
dell’abitare in età avanzata, pochi sono i segnali di rinnovamento culturale ed organizzativo che
provengono dal nostro paese, a differenza di quanto avviene nel resto di Europa.
Le indicazioni formulate dall’ONU per le persone anziane si fondano su quello che è stato definito “ l’arco di
vita”, con questo intendendo la necessità di affrontarne i problemi e le specificità in una visione
complessiva delle dinamiche generazionali.
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In sostanza, se si tiene conto del concetto dell’arco di vita, strutture che si vogliano considerare “
innovative” per l’abitare in età avanzata, dovrebbero inspirarsi a tre linee guida: la variabilità in relazione al
fatto che gli anziani non sono una categoria - un complesso di individui omogeneo e con bisogni omologatima rappresentano un mondo di variabili biografiche che richiedono scelte altrettanto diversificate ed
articolate; la progressività in quanto l’invecchiamento non è uno stato ma un percorso che richiede, perché
dinamico ed in progressione, una flessibilità tipologica dei moduli abitativi che accompagni l’ evoluzione
individuale dell’anziano, single o in coppia; la intergenerazionalità poiché la soluzione dei problemi
dell’abitare in età anziana non può prescindere da una presa in conto globale del disagio abitativo (di
anziani e di giovani), così come del fatto che quand’anche gli anziani vogliano vivere in maniera
indipendente, non per questo lo vogliono fare in solitudine, il che significa che si debba mettere in campo
una strategia abitativa che contempli la multigenerazionalità come risorsa e non come ostacolo.
L’introduzione di questi tre concetti-chiave consente di superare i limiti dell’approccio culturale e delle
politiche sociali succedutesi nel tempo: dall’autarchia socio assistenziale della famiglia multi generazionale
contadina di fine Ottocento, agli ospizi caserma della società industriale inurbata tra le due guerre,
dall’evoluzione sanitarizzata delle case di riposo degli anni Sessanta, alla rigorosa e rigida codificazione degli
standard strutturali ed assistenziali degli anni Ottanta.
Ed è questo approccio dell’arco di vita che ha trovato accoglienza, sia pure con gradi diversi, nelle più
innovative sperimentazioni dei vari paesi della UE, consentendo di costruire una frontiera avanzata
dell’abitare anziano che contempla insediamenti multi generazionali - a diversa tipologia sociale e logistica caratterizzati dalla presenza di alloggi per anziani accanto a residenze per madri in difficoltà, bambini e
giovani socialmente” fragili”, persone ad esclusione sociale (e/o quanto altro necessario al contesto di
riferimento), connotati da uno straordinario corredo di servizi sociali : sanitari, telematici, di assistenza
permanente, di ma anche spazi comuni come lavanderie, biblioteche, mense, ambulatori medici, palestre,
che consentono ai residenti una integrazione nel sistema, nel vicinato e nel quartiere.
Il successo di questo modello (ormai diffusamente sperimentato in Europa) sta negli effetti positivi che è
stato capace di generare e nei meccanismi sociali che ha prodotto in quanto suscettibile (attraverso
l’inserimento contestuale di “edifici ibridi” dotati di residenze e di servizi) di sviluppare solidarietà ed
appartenenza ed in senso più lato di “fare comunità”.
Nello specifico degli anziani, la loro partecipazione sociale, il loro coinvolgimento nella vita della comunità
ai ruoli e alle relazioni sociali (dell’insieme degli abitanti del sistema e del vicinato) costituiscono elementi
indispensabili al mantenimento di una buona qualità di vita; negli anni dell’invecchiamento con il
subentrare di oggettive limitazioni alla mobilità spaziale, può diventare infatti sempre più difficile
mantenere sufficienti livelli di partecipazione che possono portare l’anziano sull’orlo dell’esclusione sociale,
con quanto ne consegue.
In questo sistema integrato di housing sociale potrebbero trovare spazio residenze di seconda accoglienza
per rifugiati e richiedenti asilo, in sintonia con il Piano approvato dal governo nel maggio 2015 per uscire
dall’emergenza profughi.
Un ulteriore elemento di significativa valenza da tenere in conto nell’ambito del sistema integrato di cui si
parla, è la necessità di strutturare spazi di incontro comunitari, che in particolare per la popolazione
immigrata sono componenti fondamentali nella ricostruzione di legami sociali e di solidarietà nell’ambito
della singola comunità migrante.
A queste diverse tipologie di spazi condivisi, si aggiunge l’opportunità di una serie di servizi particolari
ipotizzabili sulla base delle abitudini di vita delle diverse comunità etniche presenti Questi servizi
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potrebbero essere degli spazi di lavoro o di studio, uno spazio wi-fi, una biblioteca multietnica, uno spazio
dedicato all’insegnamento della lingue e delle culture delle diverse etnie, degli spazi per attività sportive, un
giardino o un orto, un nido per bambini in età non scolare, etc.
Le modalità organizzative e gestionali di questi spazi potrebbero essere improntate allo sviluppo di legami
di collaborazione e fiducia reciproca tra i cohousers. Se vi sono alcuni spazi per i quali sono più evidenti le
possibilità di gestione condivisa, come ad esempio gli spazi verdi e la biblioteca, per altri si potrebbero
mettere a punto delle nuove modalità. Il nido per esempio potrebbe essere caratterizzato da un regime di
auto organizzazione ed autogestione da parte di genitori che si organizzano in gruppi a rotazione, per
accudire i figli propri e quegli altrui. Anche la manutenzione dei diversi spazi comuni e l’autorganizzazione
delle attività in essi previste potrebbe stimolare l’ integrazione e la conoscenza reciproca e trasformarsi per
alcuni anche in un’opportunità lavorativa.
In questa direzione si potrebbe prevedere un ampliamento di servizi, includendovi degli spazi caratterizzati
anche da una apertura verso l’esterno che potrebbero rappresentare un’ entrata economica per l’intera
comunità di cohousers, come negozi di cibi etnici, ristoranti, parrucchieri, etc.
Ai fini di favorire un’amplia dotazione di servizi, nei casi in cui l’offerta spaziale di un edificio sia limitata, si
potrebbe ipotizzare che servizi diversi siano collocati in edifici diversi e condivisi tra più edifici favorendo
anche la rigenerazione di una dimensione di vicinato allargato dal singolo edificio al quartiere.
Il modello di condivisione ipotizzato risulta quindi improntato ad un progressivo allargamento del campo di
alleanze possibili a partire dalle necessità comuni di diversi gruppi di coinquilini.
4. Esigenza imprescindibile nell’ambito del sistema individuato è il suo corretto “governo”. Ovviamente la
soluzione più ovvia può essere la gestione pubblica del complesso degli edifici e dei servizi. Tuttavia, la
sperimentazione più recente in alcuni paesi europei ed in alcuni territori del Nord Italia, ha fornito preziose
indicazioni su alcune modalità innovative, adottate per governare strutture complesse. Le formule più
efficaci prevedono la gestione congiunta degli aspetti sociali ed immobiliari da parte di soggetti
indipendenti, privati ma con una missione d’interesse pubblico.
Questi soggetti, che assumono la forma giuridica non profit si occupano dell’’insieme delle attività connesse
sia alla gestione degli immobili che delle relazioni tra le persone che vi abitano. Devono nello specifico
prevenire e governare la loro eventuale conflittualità e garantire il rispetto del bene comune da parte dei
residenti, scongiurando il rischio di una precoce obsolescenza fisica e funzionale degli edifici.
Tra l’altro, hanno il compito di supportare o assistere alla selezione degli “inquilini”, coinvolgere i residenti
in azioni volte a sviluppare il senso di comunità e appartenenza, prestare ogni possibile attenzione agli
aspetti sociali dell’intero sistema residenziale.
Si occupano in modo specifico della gestione dei servizi (pulizia, manutenzione e quanto altro), stimolando
laddove utile e possibile la creazione di piccole cooperative (anche tra gli stessi abitanti del complesso),
coordinano inoltre le attività ricreative organizzate con l’obiettivo di facilitare l’interazione tra vicini, si
occupano dell’implementazione e gestione di piccole attività commerciali fruibili da parte degli abitanti del
sistema e del vicinato.
La loro attenzione agli aspetti sociali della gestione socio immobiliare deve peraltro contribuire anche a
favorire l’equilibrio rischio-rendimento del complesso degli interventi devono anche saper mettere in atto
accorgimenti utili alla riduzione del rischio (sostenibilità dei canoni, gestione delle morosità, coinvolgimento
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degli inquilini nella manutenzione, ecc.) e alla massimizzazione del rendimento (mix abitativo e funzionale,
contenimento costi di gestione, ecc.), utili a garantire la sostenibilità complessiva del sistema.
5. Sulla base di queste considerazioni, e forti delle conoscenze acquisite sul campo, il progetto, come detto,
non si è voluto limitare alla mappatura dei luoghi e degli edifici inutilizzati nell’area metropolitana di Napoli
e ad uno studio approfondito della domanda abitativa, ma ha voluto anche sperimentare anche alcune
soluzioni progettuali scaturite dall’incrocio di queste due indagini.
I risultati ottenuti dalle osservazioni raccolte, ci hanno suggerito spontaneamente una restituzione pratica
delle teorie elaborate. La profonda diversità dei contesti urbani, delle esigenze abitative e della titolarità
degli immobili ci ha indotto ad esemplificare più soluzioni progettuali, cercando, in questo modo, di
prospettare idealmente, tutti gli interventi possibili.
Gli esempi elencati dimostrano che è possibile e auspicabile un riutilizzo degli immobili abbandonati per
rispondere in maniera concreta e moderna al sempre crescente disagio abitativo in virtù di una
consapevolezza che ormai l’abitare non può essere scisso dalla presenza di servizi collettivi.
Per queste ragioni, sebbene i progetti presentati abbiano la valenza di uno studio preliminare, ci siamo
interrogati sulle reali esigenze che ogni luogo preso in esame poteva soddisfare e sulle criticità emerse nello
studio di analisi.
Ne sono scaturite quattro proposte differenti, più una quinta in fase di rielaborazione a causa delle
difficoltà emerse in fase di acquisizione delle informazioni sulla proprietà dell’area. Questa quinta proposta,
infatti, ipotizzata nell’area dell’Ex Arsenale Militare nel Comune di Napoli, non può essere perfezionata
perché non tutte le particelle catastali sono state trasferite all’Agenzia del Demanio da parte del Ministero
della Difesa e appare ancora complesso ipotizzarne un progetto complessivo .
Le altre quattro proposte invece, sono state valutate attentamente e abbiamo ipotizzato interventi sia su
patrimoni di proprietà pubblica (come nel caso del Comune Calvizzano e quello di Aversa), sia su immobili
di proprietà privata (Comune di Mondragone) e abbiamo preso in esame tipologie edilizie differenti (un ex
convento, una casa rurale, palazzine residenziali in cemento armato, grande edificio storico nel centro della
città) in contesti urbani distinti.
1. A Calvizzano_ in Via del Ritiro, l’amministrazione ci ha segnalato un ex convento di proprietà del
Comune, solo in parte utilizzato e fortemente degradato. Le poche risorse disponibili da parte del
Comune e le necessità di un utilizzo diversificato della struttura per poterne sfruttare tutte le
potenzialità, ci hanno portato ad elaborare un progetto che vede la permanenza delle attività
scolastiche oggi presenti congiuntamente ad un uso residenziale di una parte dell’immobile.
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L’unità edilizia, di tipo a corte pre-ottocentesca rurale, è caratterizzata da due cortili interni di
differenti dimensioni. In una prima corte, quella più ampia e rappresentativa, si affacciano i locali,
su due livelli, attualmente occupati dall’Istituto delle Suore Catechiste del Sacro Cuore. Questa
prima parte della struttura versa in discrete condizioni e non richiede particolari interventi di
ristrutturazione. Nella seconda corte, invece, si affacciano alcuni locali inutilizzati.
La particolare conformazione architettonica degli ambienti, però, è assolutamente compatibile a un
uso residenziale di tipo moderno, che preveda quindi spazi di socializzazione tanto al coperto come
all’area aperta. La separazione delle due corti, inoltre, e la presenza d’ingressi totalmente separati,
garantisce la necessaria riservatezza tanto alla Suore e alle loro attività, quanto a potenziali
inquilini.
(ipotesi progettuale dello schema aggregativo funzionale)
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( Planimetrie dell’intervento )
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( Foto inserimenti di progetto )
Sulla base di queste prime suggestioni quindi, è stato elaborato un primo schema di massima, di
tipo funzionale, per verificare dimensioni e possibilità dell’intervento.
Sono stati ipotizzati cinque appartamenti di diverse dimensioni e su due piani differenti con annessi
due locali coperti per gli spazi di socializzazione. Sono stati garantiti accessi separati a ognuna delle
abitazioni ed è stata verificata la fattibilità della creazione di nuovi impianti elettrici e idraulici in
prossimità delle condotte preesistenti. Inoltre anche nella parte di edificio attualmente occupato
dalle Suore Catechiste del Sacro Cuore si è ipotizzato una rifunzionalizzazione degli ambienti interni.
Per incrementare l’offerta abitativa anche a categorie considerate più vulnerabili, infatti, si è deciso
di destinare alcuni locali alla formazione di una casa famiglia che possa ospitare un numero di
bambini di dieci unità. Anche in questo caso sono previsti ambienti sia per il pernottamento sia per
una cucina comune ed alcune camere per le attività di svago. L’intero complesso quindi nella sua
articolazione, risponde in maniera idonea alle moderne esigenze abitative avendo un carattere
multi generazionale e dinamico, favorendo da un lato l’integrazione e le relazione fra gli individui e
garantendo al contempo la necessaria riservatezza.
2. L’immobile individuato in via Duca degli Abruzzi nel Comune di Mondragone, di proprietà privata,
è un tipico casale che insiste su due corti interne.
Nel corso degli anni le vicissitudini familiari hanno già determinato un frazionamento dei volumi in
piccoli appartamenti indipendenti, in special modo al primo piano.
Attualmente il manufatto appare fortemente degradato e in condizioni di totale abbandono. Il
proprietario, divenuto unico erede, si è dimostrato disponibile a ipotizzare soluzioni innovative per
riqualificare l’edificio nella sua interezza.
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Tale apertura, la consapevolezza di un mercato immobiliare spento e la forte domanda invece, di
alloggi di prima accoglienza, in special modo per i numerosi lavoratori stagionali che convergono
nella zona, ci ha spinto a elaborare un sistema integrato di housing sociale che bene si adatta alle
caratteristiche del luogo.
Al piano terra, infatti, il recupero degli ambienti esistenti ha suggerito la localizzazione di 8
camerate con servizi e luoghi di socializzazione in comune che bene si conformano con la logica di
soggiorni stagionali per i lavoratori della zona. Un ampio giardino sul retro è sfruttato come orto
per la produzione di viveri consumati direttamente dalla comunità. Un’ampia cucina e il ripristino
del vecchio forno a legna contribuiscono ad assicurare tutti gli ambienti necessari. Al primo piano
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invece, rispettando in parte le suddivisioni spaziali, si sono ipotizzate delle abitazioni di modeste
dimensioni a carattere più privato, prevedendo così la permanenza di nuclei familiari. Tutti gli
appartamenti sono dotati di servizi esclusivi e di un piccolo angolo cottura. Il patio principale,
rigenerato e riportato al suo uso primordiale, rappresenta un luogo perfetto per favorire la
socializzazione e l’integrazione.
La logica adottata quindi, per la valorizzazione di questo bene e per il soddisfacimento di una
domanda abitativa a basso costo, è di un sistema integrato di social housing, che prevede anche
una grande mobilità abitativa e strutture che possano generare anche un indotto tale da garantire il
corretto funzionamento di tutto il complesso.
(foto inserimenti di progetto)
3. L’isolato di via San Lorenzo nel Comune di Aversa è costituito da otto unità residenziali aggregate a
due a due, di cinque piani fuori terra, ognuna comprendente dieci alloggi di 80mq ca. , e di altre
quattro unità, aggregate in un edificio continuo da tre ed un altro edificio isolato, per un totale di
ulteriori 40 alloggi di 60 mq ca.
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In totale quindi, vi sono 120 unità immobiliari suddivise in 6 blocchi residenziali, inoltre vi è un
intero edificio, in precedenza adibito a scuola materna, attualmente abbandonato e spazi di verde
pubblico attrezzato in evidente stato di degrado e abbandono.
Gli spazi comuni al piano terra, così come i vani scala, sono molto degradati ed i sottotetti restano
inutilizzati.
La possibilità di usufruire degli spazi al piano terra e di quelli nei sottotetti rende affascinante
l’ipotesi di incremento di volumetrie da destinare sia ad abitazioni temporanee da dare in locazione
(studenti, single, etc. ) sia a servizi. Questo in linea con le direttive europee sull’Housin sociale
consentirebbe di diversificare l’uso dell’area , creare cioè, luoghi di socializzazione, piccoli spazi
commerciali, attrezzature di quartiere etc.
Il ripristino dell’edificio scolastico e la sua rifunzionalizzazione per usi diversi, la valorizzazione delle
aree verdi consentirebbero d’ innescare un processo di riqualificazione virtuoso dell’intera area.
La proposta preliminare si struttura in più fasi e fa leva su quello che viene definito “effetto
domino”.
Nel concreto infatti, s’intende proporre la riqualificazione integrale di un primo blocco di abitazioni
e delle parti comuni (scuola e aree verdi) con la partecipazione attiva di un primo gruppo di auto
recuperatori, i più disponibili e che possono maggiormente garantire impegno lavorativo e i
successivi canoni di locazione agevolati.
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Si prevede ad esempio di operare su di un blocco di edifici da 20 alloggi, da 80 mq circa di superficie
utile. In concreto il progetto prevede quindi la rifunzionalizzazione del sottotetto adibendolo a
residenze per studenti (16 camere singole o doppie, 2 ampie cucine e servizi in comune ) e la
riqualificazione del piano terra mediante l’inserimento di volumetrie leggere e assemblabili a secco
dove ipotizzare piccole attività commerciali e spazi di socializzazione.
Tale intervento avrebbe , come detto, il duplice scopo ,da un lato di avere una sorta di mixitè
abitativa che appare essenziale in contesti abitativi residenziali di tale genere, e dall’altro di
rivitalizzare una zona che appare come un unico quartiere dormitorio in cui vi è l’assoluta assenza
di ogni sorta di servizio.
(planimetrie di progetto)
4. L’edificio in via dei Cristallini a Napoli ha una storia lunga e articolata. Il complesso di proprietà
comunale è di grandi dimensioni e nel tempo è stato riqualificato in maniera più che soddisfacente.
L’amministrazione ha sempre individuato in questo edificio il luogo ideale per una residenza di
anziani dotata delle più moderne attrezzature.
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Il programma funzionale alla base di questo vasto progetto è stato delineato in tempi passati e le
esigenze di quartiere così come anche le previsioni di mantenimento finanziario dell’intero
complesso, sembrano oggi mutate. Appare chiaro che una così imponente opera di riqualificazione
di un edificio di tale importanza, rischia di rimanere inutilizzato e di deperire nel tempo. Ad oggi
non è chiaro l’affidamento della gestione e se vi sono le necessarie risorse finanziarie. L’ipotesi
quindi, che si è voluto delineare è quella di una rifunzionalizzazione degli ambienti interni in una
logica di integrazione di differenti attività.
(schema funzionale e planimetria
del piano terra)
Mantenendo il prevalente
carattere di casa di accoglienza
per anziani, infatti, si è
cercato
di
ipotizzare
un
coinvolgimento di più attori e di porzioni consistenti della popolazione residente nel quartiere. Il
forte degrado sociale presente nel quartiere della Sanità deve essere necessariamente ostacolato
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mediante azioni di collettività e con una sempre maggiore presenza di servizi al quartiere. In questo
senso l’apertura del piano terra a molteplici funzioni, da quella del dopo scuola a quella della
mensa comune, con l’opportunità di usufruire dei grandi spazi aperti e dei giardini del complesso
ha l’esplicita valenza di aprirsi al quartiere e di rendere partecipe più segmenti della popolazione
residente.
La grande struttura adibita a cucina e i due grandi patii interni suggeriscono di rendere fruibile
queste aree in più ore della giornata ipotizzando anche strutture a carattere commerciale che
possano in qualche modo contribuire al funzionamento dell’intero edificio. La grande palestra,
posta sempre al piano terra, potrebbe essere utilizzata in maniera dinamica e non essere solo a
servizio degli anziani.
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Anche l’ampio spazio dedicato alla lavanderia potrebbe essere letto in un’ottica di condivisione e
contribuirebbe a offrire una visione partecipata delle attività del complesso.
Al primo e al secondo piano le funzioni prevalenti rimarrebbero ad uso esclusivo degli anziani, le
ampie camere dotate di servizi indipendenti e le vaste aree dedicate alle attività collettive
garantiscono la rispondenza del nuovo programma alle intenzioni primordiali dell’ amministrazione.
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Così come emerso dal progetto precedente verrebbero garantite anche quelle abitazioni di tipo
“protetto” ad uso esclusivo dei portatori di handicap. Al terzo ed ultimo piano infine, si ipotizzano
dei mini appartamenti quasi indipendenti da destinare in maniera temporanea a nuclei familiari in
emergenza o a donne sole con bambini che avrebbero modo di mantenere anche una certa
riservatezza ed indipendenza dal resto della struttura. L’intero complesso quindi a nostro parere si
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adatta perfettamente ad una visione moderna dell’abitare e dell’housing sociale, non più di tipo
esclusivamente assistenzialista, ma che integra più funzioni e più destinatari.
5. Si è già sottolineato come le proposte presentate, siano state formulate come ipotesi preliminare,
che tuttavia sono indicative della volontà e di un approccio metodologico che per molti versi
consideriamo innovativo. L’integrazione fra differenti utenti, l’articolato sistema di gestione dei
complessi nei quali si è agito e le molteplici soluzioni ipotizzate, a nostro avviso non rappresentano
un fattore di debolezza, ma al contrario indicano con estrema chiarezza il convincimento che solo
dalla concatenazione e dalla relazione di più elementi, possono nascere risposte concrete al
problema del disagio abitativo.
La strada che si vuole intraprendere con estrema determinazione è quella di un abitare integrato ai
servizi, alla socializzazione e al dialogo fra i cittadini, contemplando e valorizzando le opportunità
che ci consegna una società moderna in continuo cambiamento.
L’esigenza di approfondire queste tematiche e di ampliare il nostro lavoro concretizzandolo in
queste suggestioni progettuali, esprime in maniera chiara la nostra volontà di dimostrare
la realizzabilità delle nostre proposte. Quello che più di ogni altra cosa emerge da questo progetto
è l’assoluta convinzione della validità delle nostre ipotesi. Non solo un modo alternativo di
ripensare le soluzioni al disagio abitativo è possibile, ma è necessario. Inoltre non deve essere
contrapposto alle più tradizionali politiche sulla casa, ma deve integrarle. Le direttive europee
rispecchiano a pieno queste esigenze e favoriscono azioni di questo tipo. Il nostro impegno è quello
di proseguire quanto fatto sino ad oggi nella speranza che possa essere concretizzato e che divenga
pratica comune.
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