Dalla migrazione alla costruzione identitaria

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APPUNTI&RICERCHE, GIUGNO 2015
STEFANIA MORREALE
Dalla migrazione alla costruzione identitaria: riflessioni su una Albania in
mutamento.
Dssa. Stefania Morreale*
[email protected]
Questo breve articolo prende spunto da quello che è stato il mio lavoro di tesi1, all’interno del
quale ho provato ad analizzare la migrazione albanese utilizzando una griglia metaforica che
mi consentisse di leggere le sue dinamiche come si trattasse di un rituale di passaggio alla
vita adulta. Per seguire da vicino il circuito migratorio ho condotto una parte di ricerca a
Torino e una parte in Albania (soprattutto nelle città di Tirana e Durazzo); una etnografia
multisituata sembrava essere l’unica strada percorribile all’interno di uno scenario così
complesso e articolato.
Di centrale importanza in questo contesto sono state le riflessioni e gli spunti offerti dal
lavoro di Nicola Mai e Russel King2, ed è proprio seguendo i loro ragionamenti che ho
provato ad accostare il percorso migratorio albanese a un rituale di passaggio. In questo
senso ho provato a suddividere la rruga për kurbet3 nelle canoniche tre fasi: la fase di
separazione, che coincide con la scelta del migrante di partire e con l’effettivo viaggio
sostenuti dalla presenza di una diffusa cultura dell’esilio, la fase liminale, ovvero il periodo in
cui il migrante risiede all’interno della società ospitante e in cui avviene quel processo di
rielaborazione creativa della cultura che sta alla base del fenomeno antropopoietico4, e la
fase di aggregazione. All’interno di quest’ultima fase ho immaginato due possibili scenari: in
accordo con la riflessione di Chavez5 ho pensato ad una aggregazione coincidente con la
perfetta integrazione del migrante all’interno della società ospitante; un’ulteriore possibilità
*
Stefania Morreale è nata a Palermo, si è trasferita a Torino per studiare prima Comunicazione
Interculturale e poi Antropologia culturale ed Etnologia (UNITO). In triennale ha scritto una tesi di
antropologia medica, lavorando con un gruppo di pazienti epilettici e con la loro associazione. Per la
specialistica ha preferito cambiare ambito, ‘scoprendo’ una forte propensione per l’antropologia
classica (e in particolare per la scuola di Manchester) e per gli studi e le riflessioni di Remotti.
1
'Lulet e kurbetit': la migrazione come rituale di passaggio alla vita adulta in una Albania in
mutamento; Marzo 2015, Università degli Studi di Torino (Antropologia culturale ed Etnologia). È
disponibile l'abstract online a questo indirizzo: www.antropocosmos.org/?page_id=1956
2
King R. / Mai N., Out of Albania. From Crisis Migration to Social Inclusion in Italy, London,
Berghahn Books (2008)
3
Strada per la migrazione
4
Con il termine 'antropopoietico' intendo riferirmi al concetto teorizzato e ampiamente
analizzato da Remotti, anche e soprattutto in Remotti F. Fare umanità. I drammi dell'antropo-poiesi,
Bari, Laterza, 2013
5
Chavez L. R. In "Outside the immagined community: undocumented settlers and ezperiences
of in corporation" (1991)
1
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vede nell’effettivo ritorno in patria la fisiologica conclusione del rituale. Ed è proprio
analizzando più a fondo quest’ultimo scenario che mi è stato possibile rintracciare nella
migrazione albanese una forte componente antropopoietica. Infatti, una volta acquisito lo
status desiderato, molti migranti decidono di tornare in patria per investire lì denaro e saperi
accumulati all'estero. Il momento del ritorno, seppure recente, è fondamentale non solo per il
completamento del percorso del singolo migrante, ma anche per l'Albania in quanto Stato in
transizione. Se iscriviamo l'analisi all'interno di un contesto più ampio è possibile affermare
che l'Albania, attraverso le esperienze dei suoi abitanti, stia vivendo l'ultima fase di un
processo di formazione inevitabilmente plasmato dal fenomeno migratorio. La fase di
aggregazione quindi non rappresenta la parte finale di un percorso stabilito e programmato
in cui il neofita diventato uomo6 tornerà a inserirsi all'interno di un sistema sociale definito e
'immutabile'. Piuttosto il ritorno è da considerarsi il momento in cui il migrante, dopo una
prima e fisiologica fase di spaesamento, si fa promotore di un nuovo modello culturale e
fautore di cambiamento. Questa 'nuova' cultura proposta dai migranti di ritorno, assemblata
durante il periodo liminale, è frutto di trasmissioni culturali e processi mimetici che non vanno
però intesi come atti di mera soggettivazione passiva nei confronti della cultura della società
ospitante.
Nel caso albanese, i migranti svolgono un decisivo ruolo attivo nella scelta di caratteristiche
e atteggiamenti appresi all’estero che potranno potenzialmente essere utili per la costruzione
di un modello sociale che vada bene per l’Albania di oggi. Purtroppo, ad oggi, questo
modello di umanità non esiste ancora, e la mancanza di una identità chiara, propria di questa
‘nuova’ Albania, non fa che accrescere le contraddizioni tipiche di una società in transizione.
I mediascapes provenienti soprattutto dall’Italia, hanno determinato, durante questi anni, la
formazione di panorami ideologici che cozzano vigorosamente contro la tradita shqipëtare7,
già in crisi a causa del ‘caos culturale8’ che stava investendo il paese nei primi anni ’90. E la
6
Il termine 'uomo' è da intendere nell'accezione più ampia di umanità. All'interno della ricerca
non ho analizzato il circuito migratorio alla luce di un preciso inquadramento di genere. Gli intervistati
sono stati selezionati in modo da rappresentare in maniera il più possibile realistica l'intera società
albanese (in questo senso ho cercato di intervistare un campione molto variegato e per genere, e per
stato sociale e per città di provenienza).
7
Tradizione albanese
8
Dal 1945 al 1991 l'Albania è stato uno Stato comunista, isolazionista guidato da Enver Hoxha
(1945 – 1985) e da Ramiz Alia (1985 – 1991); dopo la caduta del regime l'Albania ha vissuto un
momento di grande disordine e culturale e economico. All'interno di questo scenario è possibile
collocare le prime migrazioni verso l'Italia. Dopo una piccola ripresa socio-economica in cui il flusso
migratorio sembrava attenuato (1992-1996) nel 1997, a causa del crollo delle piramidi finanziarie, è
scoppiato nuovamente il caos e sono ricominciati i grandi flussi migratori verso le coste italiane. Nel
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migrazione di massa che ha visto come protagonisti centinaia di migliaia di albanesi, ha
sicuramente sconvolto gli equilibri del paese, privandolo di una fascia attiva e costruttiva
della popolazione. Se è vero che i migranti, attraverso le rimesse, hanno tenuto in piedi
l’economia albanese durante i primi anni dal crollo del regime, è altrettanto vero che la loro
partenza ha contribuito a un processo di depauperamento e distruzione, già in atto dopo la
caduta del modello sociale proposto da Hoxha, di quella che era la società tradizionale
albanese contemporanea. L’inadeguata capacità, da parte della disorganica società
albanese, di inscrivere all’interno di un determinato codice culturale il fenomeno migratorio,
ha determinato una spaccatura profonda tra i sostenitori della modernità e del capitalismo
occidentale (tra cui soprattutto i tanti migranti) e coloro che rimanevano ancorati a una
visione più popolare e tradizionale del mondo.
Questa situazione ricorda il contesto turco nel quale si svolge la storia de Il libro nero, di
Orhan Pamuk, in cui lo scontro tra tradizione e modernità ruota tutto attorno alla figura di
Mastro Bedii e dei suoi manichini, troppo somiglianti ai vecchi turchi per la nuova Turchia,
moderna e occidentale. Così, nella storia di Pamuk la sorte dei manichini è diventata la
metafora della sorte dell’identità, tanto individuale quanto collettiva. Di fronte al dilemma
‘modernità – tradizione’ restano sole le amarezze di qualche nostalgico o le visioni allucinate
di alcuni che, non di meno, riflettono il dirompente effetto del cambiamento […] L’episodio dei
manichini mette in rilievo un duplice processo mimetico: quello che coincide con lo stesso
tentativo di Mastro Bedii di riprodurre simulacri di autenticità (i manichini), convinto che così
si possa salvare ‘l’essenza’ dei turchi; e quello degli stessi turchi che, contro le aspettative
dell’artigiano, vogliono essere ‘altri’. Qualunque sia il modello che l'Albania deciderà di
adottare, sarà un modello profondamente influenzato da quella che è stata l'esperienza di
tanti migranti albanesi. Attraverso il fenomeno della migrazione di ritorno, i migranti, ormai
detentori del nuovo status e possessori di un grande bagaglio di esperienze e conoscenze,
stanno contribuendo al grande processo di costruzione di una nuova Albania, riscattandosi in
questo modo da un passato silenzioso e assente.
Bibliografia
1998 la guerra nel vicino Kosovo ha caricato l'Albania di un'ulteriore responsabilità verso i profughi
kosovari e il Paese è stato sconvolto dall'emergenza umanitaria.
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