Di che cosa si occupa la lessicologia

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Linguistica generale
Giovanni Gobber, Moreno Morani
Copyright © 2010 – The McGraw-Hill Companies srl
Risposte alle domande del Capitolo 5
1. Di che cosa si occupa la lessicologia? Come si distingue dalla lessicografia?
La lessicologia è un ambito delle scienze linguistiche nel quale si collocano sia le ricerche
sul lessico e sulla sua organizzazione (prospettiva sincronica) sia le indagini sulla sua
ristrutturazione in prospettiva diacronica.
Alla lessicografia è affidato il compito di elaborare le tecniche per la raccolta,
l’organizzazione e la descrizione del patrimonio lessicale di una lingua. Per mezzo di queste
tecniche si redigono dizionari di vario tipo.
La lessicografia non si limita peraltro ad elaborare tecniche per redigere dizionari di
vario tipo, ma si pone anche il compito di “spiegare”, cioè dare un fondamento scientifico
alle metodologie di analisi impiegate..
2. Esiste la sinonimia completa?
Si trova assai raramente, soprattutto nei linguaggi specialistici, là dove si incontrino più
termini per un medesimo denotato (procuratore e pubblico ministero).
Nelle lingue, tendenzialmente, la sinonimia si configura come una somiglianza
parziale, cioè limitata a parte del potenziale semantico di due o più lessemi. Per esempio,
valuta, moneta e divisa condividono gran parte del senso “mezzo di pagamento garantito
da uno Stato e riferito a una data unità di misura e valore”.
La sinonimia è limitata anche dall’ambito d’uso e dal registro della conversazione.
Vediamo alcuni esempi:
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mal di capo e mal di testa sono sinonimi, ma la prima espressione non è in uso
nell’italiano settentrionale, che preferisce la seconda;
-
nel linguaggio giornalistico, giudice è spesso usato come sinonimo di pubblico
ministero e sostituto procuratore (cfr. i giudici di “Mani Pulite”, che svolgevano le
funzioni di p.m.): tale equivalenza non si riscontra nel linguaggio giuridico.
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L’uso comune adotta volentieri le forme abbreviate dei tecnicismi, rese note dal
linguaggio giornalistico: p.es. gip (giudice delle indagini preliminari), p.m. (sopra
citato), anche nella forma piemme; vi sono poi le srl, le spa ecc.
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Non di rado, il parlante non esperto conosce la sigla, ma non la dizione per esteso:
pmi vale piccola e media impresa, ma le due formulazioni non sono a sempre
sinonime, perché una è più diffusa dell’altra!
La sinonimia non è stabilita da un sistema linguistico, che impone ai parlanti relazioni
prestabilite fra i propri elementi; piuttosto, essa è frutto della consapevolezza
(competenza) linguistica dei parlanti. Per questo, si è parlato, in generale, di limitazioni
dovute all’ambito d’uso.
3. Perché è improprio considerare due lessemi sinonimi fra loro?
Perché la sinonimia non riguarda tutto il potenziale semantico dei lessemi, bensì concerne
loro specifiche valenze (usi, sensi). Per esempio, divisa è sinonimo di valuta, ma solo per
un senso e non per altri: la divisa degli alpini non è la moneta o la valuta degli alpini!
4. Qual è il rapporto fra un iperonimo e i suoi iponimi? Quando due lessemi sono
co-iponimi fra loro?
Va anzitutto precisato che tali rapporti non riguardano lessemi, ma sensi manifestati da
lessemi (detto in altre parole: non concerne tutto il potenziale semantico dei lessemi, bensì
momenti, valenze di tale potenziale semantico). Un iperonimo è un elemento generico,
comune ai suoi iponimi, che di esso costituiscono un’istanza specifica. Per esempio, se ci
limitiamo alla Repubblica Italiana, parlamentare si può considerare l’iperonimo (il
generico) di deputato e di senatore. Come non si dà un carattere generico senza gli
specifici, così non si dà iperonimo senza iponimi. Altri esempi: siamese è iponimo in
rapporto a gatto, ortaggio è iperonimo di pomodoro, crostata è iponimo di torta; salume
è iperonimo di salame, salsiccia, mortadella, prosciutto (cfr. Dizionario Sabatini-Coletti).
Co-iponimi sono gli elementi che hanno un iperonimo in comune: deputato e
senatore sono co-iponimi, in quanto ricadono sotto l’iperonimo parlamentare. Altri
esempi: soriano e siamese sono co-iponimi, in forza dell’iperonimo gatto; conifera è
l’iperonimo comune ad abete, cedro, larice, pino, che sono tra loro co-iponimi.
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5. Che cos’è un dizionario onomasiologico? Come si distingue da un dizionario
semasiologico?
6. Come appare la struttura fondamentale di una voce del dizionario? Eseguire opportune
verifiche, considerando un vocabolo e confrontandone il trattamento in diversi dizionari
dell’uso.
Se consideriamo un dizionario monolingue dell’uso, come, per esempio, il Sabatini-Coletti,
individuiamo quattro componenti: l’entrata, l’informazione grammaticale, l’informazione
semantica e le informazioni complementari. Prendiamo, per esempio, la voce pasqualina:
pasqualina [pa-squa-lì-na] s.f.
Torta fatta per la ricorrenza pasquale; in partic., torta tipica della cucina ligure, a base di pasta sfoglia,
ricotta, spinaci o bietole o carciofi, uova sode
Anche in funzione di agg.: torta p.
ETIM deriv. di pasquale con f. di -ino
a. 1892
(Fonte: Il Sabatini-Coletti, Dizionario della Lingua Italiana versione CD-ROM, Rizzoli Larousse, Milano
2005)
L’entrata è: pasqualina [pa-squa-lì-na]
L’informazione grammaticale si colloca nella prima riga ed è individuata grazie al colore
(tendente al rosso) dei caratteri tipografici: s.f.
L’informazione semantica offre una definizione del senso di pasqualina. Si impiega
dapprima una definizione “aristotelica” (Torta fatta per la ricorrenza pasquale), seguita
dalla citazione dell’esempio tipico (in partic., torta tipica…).
Segue un’ulteriore elemento dell’informazione grammaticale, che riguarda un uso
particolare, corredato di un esempio illustrativo (Anche in funzione di agg.: torta p.).
Infine, si trovano le informazioni complementari, riguardanti l’etimologia.
7. Quali sono i tipi principali di definizione? Verificare l’uso delle definizioni nei dizionari
dell’uso.
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Le definizioni precisano ciascuna un senso di una voce. Esse si articolano in un
definiendum (la voce portata a lemma) e in un definiens, che ha il compito di rendere
esplicito il senso, distinguendolo da eventuali altri.
Vi sono diversi tipi di definizione, a seconda del diverso tipo di organizzazione del
definiens:
a. la definizione classica è articolata in due momenti: il genus proximum e la
differentia specifica. Il primo è rappresentato da un iperonimo, il secondo si
manifesta in uno o più termini specifici, che caratterizzano il definiendum rispetto
ad altri elementi che ricadono sotto lo stesso genus. Per esempio, torta può essere
definito nel modo seguente: «dolce lievitato e cotto al forno in stampi perlopiù
rotondi, preparato con farina, zucchero, uova e burro, farcito e guarnito in vario
modo» (Sabatini-Coletti). Dolce costituisce il genus proximum, il resto del definiens
si può far rientrare nella differentia specifica.
b. Un altro tipo di definizione si basa sulla sinonimia: nel definiens compare uno o più
lessemi portatori di un senso condiviso dal definiendum. Per esempio, se cadere,
«detto di cose», è definito come «precipitare, crollare». Un procedimento
caratteristico nella prassi lessicografica d’epoca moderna è l’uso di un “trifoglio” di
sinonimi. Il verbo crollarsi, voce dell’uso letterario, è definita come «scuotersi,
agitarsi, dimenarsi» (Sabatini-Coletti).
c. Un terzo tipo si caratterizza per il ricorso agli antonimi: tale criterio si incontra
soprattutto nella definizione di verbi che denotano un cambiamento di stato. Per
esempio, uccidere vale «privare della vita una persona o un animale».
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