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NON PIU' VITTIME, NON PIU' VITTIMISMO
I neri americani utilizzavano, nel periodo della schiavitù nei campi degli stati
del sud, le canzoni spiritual e gospel in parte per farsi forza durante le
persecuzioni e le fatiche quotidiane, in parte per pregare e in parte per
comunicare con codici non comprensibili ai 'bianchi' alcune modalità per
scappare. In alcuni testi che richiamano la stella polare, o il fiume, o altri
luoghi geografici, sono contenuti in realtà dei messaggi che sottintendevano
dove era possibile trovare la libertà, ad esempio negli stati del nord, o oltre il
guado del tale corso d'acqua, attraverso la pianura e con l'uso di alcuni
stratagemmi.
Essere minoranza (non per forza in senso numerico) perseguitata all'interno
di un contesto collettivo che non dà spazi di visibilità senza rischi di
persecuzione, implica lo sviluppo di dinamiche comunicative e di pensiero
sottotraccia, come ora avviene in Cina o in altri stati solo in apparenza
democratici.
Ma gli stessi neri delle piantagioni, hanno atteso un Martin Luther King e altri
esponenti come lui per uscire dal sottobosco dei messaggi codificati e
arrivare alla luce di una protesta visibile e chiara, a testa alta e a piena voce.
Oggi vi è un presidente americano di colore nello stesso paese che pochi
decenni prima vedeva impiccati per mere rivendicazioni razziste i neri agli
alberi dell'Alabama o del Missouri.
L'Italia, la Russia, l'Iran e tutti gli stati che hanno la pena di morte o
l'ostracismo sociale per chi ha un'identità affettiva diversa dal 'dogma'
tradizionale, o semplicemente non sono ancora arrivati a un riconoscimento
civile delle unioni omo-affettive, vedranno mai attuarsi un processo di
civilizzazione degno di questo nome?
I neri americani hanno molti martiri per la 'causa', che ricordano con
opportuna deferenza e in parte mitizzano. E' doveroso ricordare chi ha perso
la vita o la ragione o l'anima per la violenza morale e fisica, come ricordare
che ogni volta che questa violenza, anche per indifferenza, viene perpetrata,
le vittime non sono solo i corpi che giacciono a terra, ma tutti coloro che
hanno circondato quella persona e non hanno avuto gli strumenti e i modi per
aiutarla, accoglierla, farsi interrogare da essa prima di gesti fatali.
Pregare per l'anima delle vittime ha valore se ciò è accompagnato da un
atteggiamento diverso nella vita, anche rivolto alla 'pericolosa' visibilità di sé.
Ma molti sono i chiamati e pochi gli eletti, chi ha la forza e la possibilità di
manifestare se stesso senza timore è guida e luce per tutti coloro che
nell'ombra attendono di prendere tra le mani con dignità la propria storia
personale e mi chiedo se queste non siano già vittime. I neri non potevano
scegliere di essere 'invisibili', così molte altre 'categorie' oggi invise al
perbenismo collettivo.
Il versetto scelto per le veglie di quest'anno parla di ‘profano’ e
‘impuro’. Termini terribili, categorici, che non lasciano spazio al minimo
ragionamento razionale o a giustificazioni: impuro è qualcuno che non può
nemmeno essere toccato o avvicinato senza rischio di un 'contagio' morale o
fisico; profano è qualcuno che agisce o è sentito agire con intenzione
dissacratoria verso la morale costituita nei secoli e condivisa da una
comunità.
Il versetto fa riferimento a un incontro di Pietro con il centurione Cornelio,
dopo essere giunto a Roma. E' interessante leggere alcune righe precedenti
in cui Pietro, che ha fame lungo il viaggio, viene invitato da un angelo a
mangiare ciò che trova. "Ma Pietro rispose: «Non sia mai, Signore; io non ho
mai mangiato nulla di profano e d'impuro». E la voce disse ancora: «Quel che
Dio ha purificato, tu non lo chiamar profano»".
Dio è il purificatore non la regola o i riti sacri, Dio mette la vita umana prima
della legge e delle tradizioni. Da questo Pietro stesso coglie il senso delle
parole di Dio e in seguito, a casa di Cornelio, usa le parole del versetto che
per intero è: «Voi sapete che non si conviene a un Giudeo l'unirsi o
accostarsi a uno straniero; ma Dio m'ha insegnato a non chiamar profano o
impuro alcun uomo. Perciò chiamato, venni senza esitanza». Ossia tutti sono
degni di accogliere Dio nella loro vita.
Dio stesso sovverte le usanze ritenute fino a quel momento sacre e
immutabili, nel momento in cui si sta formando una nuova comunità che da lì
in poi sarà una comunità cristiana, una derivazione dall'ebraismo per alcune
cose, ma cristocentrica. Lasciando perdere le derive teologiche e le critiche
storico-bibliche su quel periodo narrato negli Atti degli Apostoli, ciò che
possiamo cogliere noi contemporanei è di non lasciarci definire dalla voce
degli uomini e dalle categorie dei sistemi sociali e collettivi. Dio vede più in là.
Dio ci chiama per nome e ha un segno di grazia e amore per ciascuno. Ogni
cuore è puro abbastanza per 'convertirsi' a Dio. La dignità è conferita
dall'essere viventi, non dall'essere giudei o cristiani o banchi o eterosessuali
o europei anziché altro.
Va evidenziato come questo atteggiamento tutto mirato nella narrazione al
proselitismo, ora sia allargabile ad un messaggio più 'laico' e universale. Ogni
uomo è degno per vivere l'amore secondo le sue capacità, desideri e
dinamiche nel momento in cui ciò non nuoce al vivere civile e non è un atto di
violenza. Potrebbe essere considerata una forzatura, ma Dio chiama al suo
cospetto ogni uomo, di qualunque condizione sociale o spirituale. Dio ha
braccia più accoglienti della legge o della 'gerarchia' religiosa o delle stesse
comunità. Perché l'accoglienza divina non resti solo un miraggio celeste, è
compito di chi si è sentito vittima ridestare le coscienze e ribaltare il giudizio
stesso su di sé. Ed è compito di chi si riconosce in queste parole evangeliche
renderne testimonianza anche con atti concreti nella società.
Gesù ha mandato i suoi discepoli nel mondo, il mondo li ha fatti rintanare
nelle catacombe, ora è tempo di uscirne nuovamente!
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