Philip Corner nel Minimalismo della complessità
È già a partire dal titolo Up & Down In and Around Design for music and not, dipinto
espressionisticamente a colori su carta bianca, che si comprende l’estensione del campo
ideativo, percettivo, esecutivo, della mostra antologica multimediale del compositore, artista,
performer newyorkese Philip Corner. Le indicazioni di direzione, di ordine spaziale, Up &
down, come a dire dal cielo alla terra, In and Around, da interno a intorno, di transcodificazione
linguistica, designs for music and not, disegni per musica e non-musica, non potrebbero
essere più eloquenti circa le modalità operative di questo maestro d’Occidente incline alle
inflessioni d’Oriente. È leggibile, attraverso le opere in mostra, nel corso degli anni, lo
scorrimento del fuoco di attenzione dell’autore verso le sfere della Cultura, del Mondo, della
Mente, del Corpo, dello Spirito e dell’Anima. Non c’è nulla di più lontano dalla sua mentalità
che l’adesione, sia pure marginale, a sistemi chiusi, a regole prefissate, a canoni accademici,
certamente studiati e analizzati negli anni della formazione a New York come a Parigi, nella
classe di Philosophie Musicale di Olivier Messiaen, e in quelli dell’insegnamento alla New
School for Social Research, di New Yoork, nella classe ereditata dal suo fondatore John Cage,
dopo Richard Maxfield e Malcolm Goldstein – di cui era stato assistente - giusto per poterne
prendere, nel suo iter, le distanze. Può avere un senso qui ricordare che si deve a Messiaen la
applicazione inusuale del Dodecafonismo dove la Serie viene trattata piuttosto come una
Moda, ed applicata alle dimensioni di Valeurs et d’Intensités (Durezze e Intensità). L’attitudine
di Phil Corner all’apertura verso l’esterno come verso la propria interiorità, verso le pulsioni del
corpo come attraverso le soglie della mente, non sminuisce la sua individualità, idealmente
condivisa dall’artista con il patrimonio collettivo, né intacca la sua qualità innovativa, che si
sottrae programmaticamente a una nozione di progresso. Non è la stessa danzatrice e
coreografa statunitense Phoebe Neville, sua moglie, che, rispondendo a una sua domanda,
circa una possibile definizione di sé e della sua opera, gli ricorda che Philip Corner è Philip
Corner? Si potrebbe azzardare l’affermazione che, pur nella determinazione e chiarezza delle
sue scelte di campo, Corner è un compositore che lavora a una fenomenologia sonora
caratterizzata dalle porte aperte, sia sul piano estetico del sentire emozionale e del percepire
sensoriale che su quello ideativo del comporre e del mutare nel tempo. Infatti egli stesso non
esita a dire di essere più incline ad una pratica additiva che sottrattiva, più coniugativa di
molteplicità espressive che esclusiva. La polarità entro cui spazia il suo apporto creativo si
individua, infatti, tra i punti estremi di complessità e semplicità, tra Serialismo e Cromatismo
Sistematico ed Informale, Musica Aleatoria, comprendendo l’Improvvisazione e le Ripetizioni
del cosiddetto Minimalismo. La sua Ars Combinatoria comprende suono, rumore, silenzio,
sonata visiva, action music, segno, disegno, gesto, movimento, danza, colore, preparazione di
strumenti, assemblage di oggetti, scultura, arrivando perfino ad utilizzare una sorta di
numerazione di impianto logico, senza riferimenti esoterici. La sua apertura alla cultura
indonesiana si individua senz’altro nell’adozione del potenziale ritmico, melodico e percussivo,
anche in direzione meditativa, dell’orchestra di strumenti Gamelan - comprendente metallofoni,
xilofoni, tamburi, gong - senza mai entrare sul terreno dell’imitazione, altro punto fondamentale
del suo operare. Il fatto di aver studiato e praticato calligrafia in Corea non comporta
un’adesione ai canoni espressivi e alle pratiche spirituali d’Oriente, ma va letto piuttosto come
la libera assimilazione da parte di un soggetto d’Occidente. Per quanto concerne la questione
della notazione delle sue partiture, Corner si dice conscio del fatto di non essere il primo a
muoversi liberamente nel corpo della pagina trasgredendo la linearità sequenziale delle note,
come, d’altronde, lascia all’esecutore dei suoi testi musicali la libertà di interpretazione
secondo coscienza, nel possibile rispetto dell’idea di fondo della composizione, formulata
sempre in modo da lasciare un campo di possibilità. Già in una sua annotazione degli anni
Settanta, si dichiara del tutto consapevole della responsabilità, da dividere tra compositore ed
esecutore/performer, relativamente alla corretta lettura dei suoi testi musicali, al punto da
pensare ad un eventuale scritto di supporto. Corner sceglie di esprimere il suo interesse verso
la qualità del suono piuttosto che verso altezze fisse di scale, orientandosi verso vibrazioni,
passaggi tra alto e basso, disegni che tracciano, attraverso notazioni grafiche, il movimento del
suono nel suo fluttuare e ondulare. La sua partitura manuale, di libera calligrafia e pittura, priva
di notazioni convenzionali come pentagrammi, note, chiavi musicali, è connaturata in lui dalla
pratica di una action music e dallo studio della coreografia. Assecondando spontaneamente gli
andamenti della Pittura Informale e dell’Espressionismo astratto, Corner individua un legame
tra il concetto sonoro e la sua realizzazione simbolica. Nella serie degli Orgasmi, a titolo di
esempio, egli si discosta dal campo musicale, usando il colore spruzzato dal basso con
l’ausilio di una pompetta, o in caduta dall’alto - tecnica denominata Colori dall’Alto o
“FluxFlows”- avvicinandosi in qualche modo agli spruzzi caotici ed ai gocciolamenti della
pittura di Sam Francis. Parlando di sonorità - afferma Philip Corner - nella musica occidentale i
toni di una melodia si dispongono in linea retta, ma nella ricerca musicale orientale la sonorità
si articola su variazioni tonali, che si dispiegano in espressioni, inflessioni, fluttuazioni
molteplici; nella mia musica, invece, un punto diviene un tratto, che indica un tono che si
prolunga indefinitamente. Il suo esercizio della contestazione accade in termini che non si
oppongono all’avanguardia, né rifiutano la tradizione, ma elaborano inedite possibilità
costruttive. Alla luce dell’espansione dei suoi confini, oltre gli aspetti di ordine sintattico
dell'espressione musicale, della fluidità dinamica del suo pensiero, la sottoscrizione di una
dimensione operativa riconducibile a quello che è conosciuto come Fluxus, rientra pienamente
nel quadro della sua immagine. A questo proposito riporto un aforisma, firmato Philip Corner e
inviato, nel 2003, a Francesco Conz: Let’s just accept everything good and call it all
Fluxus/Accettiamo tutto il buono e chiamiamolo Fluxus. Il suo mettere in campo le
complementarità dei metodi di conoscenza, le compossibilità, termine legato al pensiero del
filosofo Edgar Morin, di elementi anche contraddittori, lo preserva dall’irrigidimento nell’ordine
dell’universo classico e dell’universalità razionale, immettendolo nel non-ordine del caso e del
caos, termini che sono significativamente l’uno l’anagramma dell’altro.
Viana Conti
Genova, 11 Gennaio 2010