Andrea Atzeni1 Ma che cosa è quest’amore della sapienza? Ideai questa piccola indagine la prima volta che mi trovai a insegnare filosofia, l’ho poi riproposta in casi simili per tutto il lustro che è seguito. Mi era stata affidata, tra le altre, una classe alle prime prese con questa materia, e sia i programmi, sia il libro di testo, sia le consuetudini mi invitavano a muovere da una introduzione preliminare. Tuttavia anche i ragazzi che non l’hanno mai incontrata a scuola, hanno già sentito usare la parola “filosofia”. Le hanno dunque attribuito un qualche significato e, nell’affrontare l’omonima materia, nutrono aspettative, timori, speranze e pregiudizi. Come direbbe qualche filosofo, ne hanno una precomprensione. Ed ecco l’idea. Prima ancora di addurre io stesso qualche chiarimento mi chiesi e chiesi loro: che cosa pensano sia la filosofia gli studenti prima di intraprenderne lo studio scolastico? Tiriamo allora un bel respiro e immergiamoci nel profluvio di pluriennali responsi studenteschi. “La filosofia è una scienza” è una risposta non infrequente. Qualcuno precisa: “si distingue dalla scienza in quanto non ha risposte esatte”, e impiega una metodologia “molto diversa dalla scienza, quasi opposta”. Qualcun altro ribatte: “si occupa di studiare i problemi morali dell’uomo, i misteri che la scienza convenzionale non riesce a spiegare” (ma, vien fatto di chiedersi: che cosa sarebbero le scienze? e quali i “misteri” ad esse inaccessibili?). Altri stanno più sul generico: è “una disciplina”, “un campo di studi”, banalmente “una materia scolastica”. Alcuni se la cavano ricorrendo all’etimologia (espediente molto frequentato dai libri di testo): “amore per il sapere”, “amicizia della conoscenza”, “amore di sapienza”. Appurato almeno che parliamo di una disciplina, che disciplina è? È “un modo di interpretare le cose che ci circondano; studiandola ci dà nuovi punti di vista per guardare le cose; secondo me essere filosofi vuol dire essere saggi”; “un’analisi soggettiva di ciò che ci circonda e che si dà a volte per scontato”; un insieme di “interpretazioni, 1 E’ stato docente di filosofia e storia al Ferraris. 1 strane, magari non accettabili da tutti, risposte a domande”; “diverse interpretazioni di fatti o cose”. Più esattamente di che cosa (di quali “fatti” e “cose”) tratta? Della “vita”; “un ideale di vita”; “è un ideale di vita, un modo di pensare e di trasmettere agli altri le proprie idee”; “risponde ai vari quesiti sulla vita”; “le riflessioni umane basate su ogni aspetto della vita”; “privilegia soprattutto la riflessione; i filosofi, infatti, esponevano dei concetti sulla vita”; è “studio della vita, una materia che aiuta a capire meglio la realtà in cui ci troviamo”. Che quesiti si pone? “Le domande che riguardano gli uomini”; “le domande esistenziali”; “quesiti esistenziali che da sempre attanagliano l’uomo”; “spiega come affrontare la vita di ogni giorno”. La vita (umana) torna in tante risposte, ma sotto prospettive diverse, dalle più generali e astratte a quelle più spicciole, quotidiane. Psicologiche persino: oggetto della filosofia è “l’animo umano, indaga nella mente dell’uomo”; “il pensiero umano”; “il pensiero degli uomini”; “i pensieri che una persona si pone nella vita”; “la natura e l’essenza dello spirito dell’uomo, riguarda il pensiero umano”; e “riguarda tutto ciò che entra nell’ambito mentale: pensieri, la psicologia; insomma, l’aspetto interiore dell’umano”. In altri casi sembra chiaro che il pensiero di cui si parla non sia tanto un mero fatto psicologico (più o meno nobilitato come “esistenziale”) quanto la ricognizione, forse più prosaica ma in fondo aderente alla materia scolastica, dei risultati di certe attività intellettuali, magari in chiave storiografica (quanti manuali si intitolano al “pensiero”, magari “occidentale”, o alla sua “storia”?): la filosofia “ti aiuta a capire in che modo gli altri intendono certe cose”; studia “le forme di pensiero”; “il pensiero sul mondo”, “le idee del sapere umano”, “le idee della gente e i modi di pensare”; “il pensiero dell’uomo posto come idee ed opinioni”; “studio del pensiero e del sapere”; “gli ideali e le correnti di pensiero umano”; “un modo di pensare e ragionare diverso da quello normale, dove uno riflette sul significato delle parole e il messaggio che portano più profondo”; “è imparare a pensare in modo diverso, per imparare ad aprire la mente”; “il pensiero nel corso delle epoche”; “i pensieri espressi nel corso degli anni dall’uomo”; “pensiero di un uomo o anche il modo in cui qualcuno riesce a concepire tutto quello che lo circonda cercando anche di dargli un senso”; “l’analisi delle riflessioni umane”; “il modo di pensare delle persone”; “interpreta il pensiero di una persona”; “il pensiero ed è utile materia di studio in quanto permette di conoscere le ideologie di altre persone”; “la discussione delle idee maturate dall’osservazione e dal dubbio”; “come veniva interpretata e vista la realtà”; “interpretazione del pensiero di vari autori attraverso le parole ed il linguaggio delle loro parole”; “è fondata su una base di parole che vengono utilizzate per descrivere dei concetti legati alla storia o alla scienza, che trascendono dalla materia stessa e ne raccontano la sua storia”; “studia i testi e gli autori del periodo in cui si iniziò a formare la letteratura”; “raccoglie un insieme di pensieri”; “l’insieme di idee e concetti dei diversi studiosi”; “un’idea, un modo di pensare scritto diventato materia di studio in modo da trasmetterci emozioni e pensieri dell’autore che ha scritto”; “l’esposizione teorica del pensiero di alcuni uomini”; “il pensiero a partire da diversi autori che si 2 differenziano per i metodi di pensiero”; “i fatti storici avvenuti nel tempo che li studia in chiave di pensiero” (anacoluto di un hegeliano in erba?). Non uomini qualunque, ma filosofi, naturalmente: “forme di pensiero dei filosofi di maggiore importanza”; “i pensieri e le idee, con le relative teorie, di persone (filosofi) che osservano gli elementi naturali e situazioni di vita quotidiana”; “le interpretazioni, i pensieri, i modi di vivere dei grandi filosofi”; “le idee e le correnti di pensiero di persone, ovviamente filosofi, riguardanti la vita dell’uomo”; “studio di importanti filosofi e le loro scritture, anche nel contesto storico in cui vivono”; “un movimento di pensiero, che ogni filosofo ha, uno diverso dall’altro”; “i filosofi e i loro testi”; e “filosofi sono coloro che si pongono delle domande e sono a favore della ragione”; “i pensieri di diversi studiosi cioè i filosofi”. Se talvolta si parla ancora genericamente di vita (“spirito”, “pensiero” o anche mere “opinioni”), talaltra ci si riferisce invece alle vicende e alle riflessioni più specifiche di alcuni personaggi ritenuti rilevanti per la disciplina e chiamati, appunto, “filosofi” (definire la filosofia ricorrendo al termine “filosofo” senza definirlo a sua volta può apparire viziosamente circolare, ma sarà davvero così?). E ancora: “l’analisi di pensieri pensati da personaggi storici”; “un modo di pensare dei vari studiosi antichi”; “la scuola dei pensatori greci, romani e di tutti gli autori classici”; “le varie correnti del pensiero del passato”; “le idee e il pensiero degli antichi”; “il pensiero di autori che sono vissuti molto tempo prima di noi”; “le ricerche dei filosofi che si sono susseguiti nel corso del tempo, dall’antica Grecia fino ai giorni nostri”. Molte delle ultime formulazioni sembrano risentire di qualche conoscenza della forma che la filosofia assume come materia scolastica: siamo abbastanza vicini all’usuale oggetto dell’insegnamento in questione. Quali sono, se ci sono, le specifiche domande cui cerca di rispondere la filosofia? Sono “domande e pensieri sulla vita dell’uomo”; “le domande difficili sulla vita”; “i problemi dell’umano, del suo aspetto interiore”; “domande che ci si pone sulla natura della vita e dell’uomo”; “i grandi interrogativi”; “problemi quotidiani ma con osservazioni che siano una base di conoscenza scientifica”; “domande che all’apparenza è impossibile rispondere, sul senso della vita e l’esistenza di tutti noi”; “i problemi di natura umana, i vari pensieri ai quali una persona non riesce a dare una risposta”; “i problemi della società”; “le grandi domande che si è posto l’uomo durante la storia”; “domande esistenziali dell’uomo”; “studio di come un uomo dovrebbe vivere la propria vita”; “sulla vita e sull’origine delle cose”; “sulla natura dell’uomo, sulla sua capacità di ragionare e altro ancora, prima che la scienza naturale”; “sulla natura umana e sul perché dell’esistenza”; “su concetti base per capire l’origine di qualcosa”; “su concetti ‘seri’, anche su diversi aspetti della vita”; “cerca di dare un senso alla vita”; “sul perché delle cose”; “domande essenziali che spesso 3 non hanno risposta definita, come: chi sono? perché sono qui?”; “ricerca il significato e l’origine della vita e delle cose”; “cerca di capire il senso della vita, il suo significato”; “spiegazioni a fenomeni come il tempo, il pensiero, la morte”; “i pareri o le tesi di importanti filosofi”; “i filosofi attraverso studi, pensieri, cercano di ipotizzare il senso dell’esistenza e non si basano su esperimenti ma solo su pensieri”. In buona parte non si tratta che della ripetizione di quanto abbiamo già visto, a proposito della vita e dell’esistenza umana soprattutto, con circonlocuzioni leggermente diverse. Fa capolino talvolta la presunta domanda delle domande: qual è il senso della vita? Qualche esempio di grande domanda filosofica? “Come sappiamo quel che sappiamo?”; “Come si può sapere? Come si può capire il mondo e la realtà?”; “perché viviamo?”; “Perché esisto? Posso superare i miei limiti?”; “Cosa succederà dopo la fine di tutto? E altre domande di ordine morale ed esistenziale, si pone domande sui grandi eventi; come mai è successo questo in un certo periodo e luogo?”; “Domande essenziali come: che scopo ha la vita? Da dove veniamo? Chi siamo?”; “Perché? Quali idee sulla vita e su come bisogna viverla?”; “La concezione materialistica della vita, cosa ci sarà dopo la morte?”; “Se l’uomo è una semplice aggregazione di materia o se ci sarà una vita dopo la morte”; “L’esistenza di Dio, del pensiero umano (conscio, subconscio)”; “Il perché della vita e dell’uomo e il suo comportamento”; “Il perché dell’esistenza della forma di vita: essere o non essere? è questo il dilemma”; “La creazione di tutto, non solo dell’uomo”; “La creazione dell’uomo”; “L’universo, la vita, l’esistenza”; “Universo, esistenza, vita, religione”; “Religione, universo, vita, esistenza”; “L’esistenza di Dio, chi siamo”; “Domande esistenziali, per esempio: chi siamo? da dove veniamo?”; e da queste risposte cercare di spiegare qual è la nostra utilità nel mondo”; “Concetti di vita e morte, la nostra esistenza, la creazione dell’uomo”; “Capire perché l’uomo esiste, da dove viene e che cos’è l’uomo”; “Vita e scopo dell’uomo, la sua coscienza, il suo pensiero, l’aldilà, se esiste o no, e cosa bisogna fare nella vita per realizzarsi, come è stato fatto e creato tutto”; “Domande del tipo: chi siamo? Come mai siamo qui? Dove stiamo andando?”; “Il senso della vita dell’uomo”. Lo confesso mi sarei aspettato una numero ben maggiore di occorrenze di “senso della vita”: pare che molti continuino a ritenerla ancora la questione più tipicamente filosofica, compresi anche tanti che hanno studiato la disciplina almeno al liceo. Altri scopi dell’indagine filosofica? “Lo scopo è analizzare e dare delle ragioni che rispondano alle domande che normalmente il genere umano si pone”; “Cerca di spiegare concetti che all’uomo risultano difficili da comprendere o addirittura impossibili. Ad es. certi eventi che avvengono in natura oppure il perché della vita”. Dunque ancora si occupa “della ricerca di una spiegazione vera e accettabile del tempo, del pensiero e rende insicura ogni certezza presa in considerazione”; “del pensiero, degli ideali, delle regole; un esempio carpe diem, mi limito ad aspettare delle occasioni”; 4 “di questioni e argomenti che riguardano l’istruire la mente umana, dove è difficile dare una risposta giusta a un problema in cui non c’è mai un colpevole, ma neanche un giusto”; “di dare alcune spiegazioni alla natura morale dell’uomo, sulla sua vita, sulla sua morte e la natura che lo circonda”; “di rendere astratto qualcosa di concreto, di ragionare su problemi comuni o personali, di dare un’interpretazione a fatti o concetti e problemi, personali o politici”; “di ogni problema osservabile, ma il tema più trattato è la vita”; “dei più svariati argomenti, principalmente nella storia dell’uomo e la sua vita e l’universo e i suoi meccanismi, ma anche le varie forze del sapere”; “del pensiero che ha l’uomo verso la vita”; “di concetti di tipo scientifico e fisico”; “di analizzare vari aspetti di diverse materie… e ci insegna a descrivere ciò che vediamo con occhi diversi, con un pensiero più dolce che freddo, con descrizioni filosofiche”; “dello studio di importanti tesi o pareri di filosofi”; “di problemi esistenziali e anche semplici problemi che si verificano lungo il corso di una giornata”; “di argomenti scientifici e morali”; “di problemi politici e nuove scoperte”; “dei concetti riguardanti la vita e potrebbe aiutare a rispondere alle “domande esistenziali”; “dei problemi e concetti riguardanti la vita”; “si occupa di concetti riguardanti la vita e i pensieri degli scrittori”; “della vita, sul suo senso, sul modo di vedere la realtà magari sulla religione, alcuni aspetti della società”; “di qualsiasi problema, da politico a pratico a scientifico”; “di concetti profondi”; “di concetti astratti e concreti”; “di concetti scientifici e sociali, inoltre serve a spiegare e a raccontare le situazioni sociali”; “di concetti e problemi astratti che non hanno applicazione pratica che permettono però di sviluppare il pensiero”; “di concetti di tipo sentimentale”; “di qualsiasi cosa dalla questione pubblica alla privata”; “di rispondere alle grandi domande della vita”; “di analizzare la realtà sotto un punto di vista ideale”; “di concetti che scandiscono lo stile di vita dal punto del pensiero, parlando di molti ‘perché’ umani”; “dei problemi di tutti i giorni: per decidere il ‘vincitore’ di una causa legale; la geometria e la matematica”; “dei paradossi della nostra esistenza: trovare il senso della vita”; “di concetti e problemi più storici e letterari, si occupa dei pensieri dell’uomo e delle sue domande”; “dell’essere, di quesiti che almeno una volta nella vita ogni uomo si chiede. Del perché e del come facciamo a esistere”; “principalmente dello studiare la vita del singolo artista e di capirne gli avvenimenti che più hanno influito su quest’ultimo per poi estrarre il pensiero e quindi la sua filosofia di vita”; “di tutti i problemi che si trovano davanti le persone e di lì averne una soluzione plausibile”; “non so, ho sentito parlare di filosofia applicata alla politica, o ai meccanismi della società, come ho sentito parlare anche della filosofia che cerca risposte alle grandi domande della vita, sulla nostra esistenza e quella del cosmo”; “di risolvere i problemi dell’uomo”; “dei problemi morali dell’uomo e si studiano concetti come l’esistenza e la conoscenza”; “delle idee in fatto di cultura e di altri argomenti”; “di tutto ciò che porta le persone a discutere e confrontarsi, quindi ogni argomento che ha modo di far porre dei dubbi a qualcuno; 5 come la conoscenza del mondo, dell’essere”; “un po’ di tutto, dalla medicina alla condizione umana”. Come si è visto tutto sommato solo alcune risposte alludono al fatidico “senso della vita”. Il che è confortante visto che spesso incontro adulti di buona cultura, che magari la filosofia l’hanno studiata almeno a scuola e talvolta leggono quanto meno articoli o interviste a filosofi sui principali quotidiani, che ancora dichiarano con sicumera che l’oggetto della filosofia è proprio il senso della vita. Ma chi gliel’ha detto? Il ministero, probabilmente. Infatti è particolarmente grottesco leggere nelle prime righe dei programmi ministeriali riguardanti l’insegnamento della storia della filosofia che “Al termine del percorso liceale lo studente è consapevole del significato della riflessione filosofica come modalità specifica e fondamentale della ragione umana che, in epoche diverse e in diverse tradizioni culturali, ripropone costantemente la domanda… sull’esistenza dell’uomo e sul senso dell’essere e dell’esistere”. Devo essere stato molto distratto durante le lezioni liceali di filosofia: non saprei proprio dare alcuna risposta a queste domande, neppure in chiave storica. Peggio, non capisco proprio le domande. Per brevità lasciamo pure perdere l’“essere” e le domande sul suo senso, ma che cosa sarebbe “la domanda sull’esistenza dell’uomo”? e sul “senso dell’esistere”? I filosofi nei secoli si sono occupati prevalentemente di rispondere a queste domande? E ci hanno fornito delle risposte? Oppure i filosofi (per definizione, magari) passano il proprio tempo a porsi domande stravaganti per il solo gusto di farlo, senza che importi tanto pervenire a risposte plausibili? Secondo Joshua Seachris (in un intervento che si può leggere anche sul web) è tipico dei non filosofi ritenere che i filosofi discutano del senso della vita, mentre un filosofo ben difficilmente dichiarerà qualcosa del genere. Il riferimento è ai filosofi angloamericani, ma anche nel continente europeo, per quando pulluli di tromboni, ben pochi si concederebbero una sparata tanto grossolana. A memoria rivado a certi volumetti letti due o tre decenni fa, come “Cosa fanno oggi i filosofi” o “Dove va la filosofia italiana”, o anche a testi usciti più di recente, come quello sui Filosofi italiani contempoanei (quattordicesimo volume della Storia della filosofia dalle origini a oggi della Bompiani) nel quale costoro si presentavano da sé, e mi vengono in mente giusto un paio di sparuti personaggi che potrebbero lasciarsi andare a simili dichiarazioni: che qualcuno di essi abbia direttamente o indirettamente influito sulla stesura dei programmi ministeriali? Seachris osserva anche che la domanda sul senso della vita, a seconda di chi la pone, può essere una delle domande più profonde oppure una richiesta priva di senso costruita su una confusione concettuale, un po’ 6 come: “Che sapore ha il rosso?”. Non c’è bisogno di scomodare Wittgenstein per accorgersi che gran parte delle presunte questioni filosofiche sono costruite proprio così, e naturalmente non solo non hanno risposta, ma non hanno senso, specialmente quando sembrano fare un gran parlare del senso. Se si consultano i principali dizionari ed enciclopedie filosofici alla voce “senso”, i concetti trattati sono ben altri che non la “vita” o l’“esistenza”. Possono comparire i sensi intesi come organi umani alla base della sensibilità e della percezione, di sicuro interesse per la teoria della conoscenza. Può comparire il senso come oggetto della semantica, sinonimo o meno di “significato”, di fondamentale interesse per la linguistica e la semiotica. Inoltrandosi per la fenomenologia e l’ermeneutica si può forse trovare qualcosa di più pertinente alla nostra domanda. Magari restando comunque al modesto approccio lessicografico e psicologico, per convenire senz’altro che “L’uomo, a differenza dell’animale, è originariamente aperto al senso, inteso come orizzonte, al cui interno ognuno fissa determinati significati, in cui esprime la propria esistenza. Il senso non è già dato, ma ogni volta conferito, ed è in questa accezione che la fenomenologia parla dell’uomo come donatore di senso” (U. Galimberti, Dizionario di Psicologia, lemma “Senso”). Il senso allora è quello che chiunque cerca di dare alla propria esistenza attribuendo dei significati alle cose e ai fatti che lo riguardano. Ma allora non si vede perché mai dovrebbe essere un oggetto privilegiato che spetti al filosofo indagare specialisticamente. Tuttavia sulla Stanford Encyclopedia of Philosophy Thaddeus Metz firma un saggio sul senso della vita, dove riconosce che questo tema è ben difficile da rintracciare in forma esplicita nella storia della filosofia, ma molti dei principali filosofi hanno fornito una risposta alla “questione su che cosa renda la vita significativa, se mai c’è qualcosa del genere”, benché tipicamente non abbiano posto il problema in questi termini. Gli esempi sono naturalmente piuttosto diversi: dall’esercizio della razionalità per Aristotele, alla visione beatifica in Tommaso e al sommo bene secondo Kant. Come dire che nelle pagine di alcuni filosofi che si sono occupati di questioni antropologiche o etiche compare talvolta il tentativo di rispondere a quella domanda che abbiamo precedentemente visto solo sotto una luce soggettiva e psicologica, cercando invece di assumere stavolta un punto di vista un po’ più universale, descrittivo, oggettivo. Sembra però che i tentativi di innalzarsi a questo piano più elevato siano condizionati spesso da impostazioni finalistiche e antropocentriche, magari culminanti nell’adesione a una prospettiva divina (impostazioni dalle quali, religione a parte, un disincantato studio dello sviluppo del pensiero occidentale suggerirebbe di accomiatarsi). Il senso non appare determinato da liberi progetti e scelte individuali, ma da un disegno cosmico in cui l’individuo da un lato può così apparire onorato da una collocazione, 7 appunto, “significativa”, tuttavia dall’altro è comunque ridotto a un piccolo dettaglio che deve fare la parte che gli è più o meno generosamente assegnata. Va sottolineato che se c’è un’altra materia scolastica cui i programmi del ministero (stavolta in combutta con la CEI) riconoscono competenza in merito al “senso della vita”, essa è l’insegnamento della religione cattolica, che “si collega, per la ricerca di significati e l’attribuzione di senso, all’area scientifica, matematica e tecnologica”. Par di capire insomma che l’area scientifica, matematica e tecnologica non risponda alla questione del senso, anzi che la susciti insidiosamente nel cuore dell’uomo senza trovarne soluzione al proprio interno. Fa le pentole ma non i coperchi, come il diavolo. Se poi ricordiamo che la filosofia, come si è visto, da secoli non farebbe che “riproporre costantemente” ed esplicitamente la stessa domanda, ecco che finalmente sappiamo dove trovare la risposta: l’insegnamento confessionale, che “promuove, attraverso un’adeguata mediazione educativo-didattica, la conoscenza della concezione cristiano-cattolica del mondo e della storia, come risorsa di senso per la comprensione di sé, degli altri e della vita”. La risposta è allora quella che leggiamo nel Catechismo della Chiesa cattolica (e pazienza per quanti non scelgono né il catechismo né l’insegnamento cattolico a scuola, che continueranno a brancolare nel buio attanagliati dalle angosciose domande di senso!): “Dio, infinitamente perfetto e beato in se stesso, per un disegno di pura bontà, ha liberamente creato l'uomo per renderlo partecipe della sua vita beata. Per questo, in ogni tempo e in ogni luogo, egli è vicino all'uomo. Lo chiama e lo aiuta a cercarlo, a conoscerlo e ad amarlo con tutte le forze. Convoca tutti gli uomini, che il peccato ha disperso, nell'unità della sua famiglia, la Chiesa”. Amen. Significativamente (e per fortuna) al di fuori della scuola pare esserci (almeno) un solo altro ambito in cui la ricerca del senso della vita ha dato luogo ad una fiorente produzione: quello umoristico. A quanti contro l’esigenza di porre a freno certe ispirate quanto vacue elucubrazioni fanno valere ancora oggi lo spauracchio del comunismo, occorre ribattere che la migliore confutazione resta invece pur sempre il marxismo, nel senso, si badi bene, del metodo approntato non da Karl ma da Groucho Marx. Si pensi soltanto a quel capolavoro dei Monty Python che s’intitola proprio Il senso della vita, oppure alle numerosissime incursioni filosofiche di Woody Allen. O, restando in casa, come non ricordare i personaggi del nostro Guzzanti? Al santone di Quelo chiedono il “segreto della vita”, e lui: “Se te lo dico che segreto è?”; oppure gli pongono altre domande roboanti e vagamente filosofeggianti e lui, con aria assorta: “La risposta è dentro di te, e però… è sbagliata!”. Anche a don Pizzarro, suo collega meno esotico, vengono posti analoghi quesiti, e lui: “Il senso della vita è… la vita!”; “Il fine della vita è… la fine!”. Ma la chiusa 8 migliore, almeno per chi scrive, resta quella di Douglas Adams: la risposta alla domanda definitiva sulla vita, l’universo e ogni cosa è quarantadue!”. Tornando alla filosofia non si può non notare anzitutto che i racconti mitici, come quello catechistico sopra riportato, stando alle pagine introduttive dei manuali di storia della filosofia, sono quanto di meno filosofico si possa prospettare. Tutti infatti prendono le mosse dall’origine della filosofia in Grecia attraverso la contrapposizione tra mythos e logos, cioè tra le grandi narrazioni, magari ammantate di deferenza religiosa, e la spregiudicata indagine razionale. La filosofia così come viene insegnata a scuola avrebbe la sua origine storica proprio nella presa di distanza dai racconti sacrali e illuminati tramandati e accolti in modo passivo e acritico, per privilegiare il confronto, l’argomentazione e il dialogo. Questo non significa che la razionalità sia un’invenzione della filosofia greca. Anche se forse l’uomo comune non è quel ragionatore sistematico che ci si è voluti talvolta figurare, ad esempio in talune dottrine politiche ed economiche, sicuramente applica e sempre ha applicato forme di razionalità alla vita spicciola. La filosofia si caratterizzerebbe per porre questioni meno contingenti, più generali e complesse, magari le stesse che tradizionalmente erano liquidate o rimosse (o forse addirittura inventate di sana pianta?) dalle costruzioni mitiche e religiose, nel tentativo di sottrargliele. Dice uno degli studenti interpellati che “per fare filosofia bisogna pensare in prima persona e ragionare”. Molti sostengono che la filosofia “apra” la mente. Ma tipicamente si pensa in prima persona quando si fa filosofia (a scuola)? Si ragiona molto? Più che in altre discipline? Più realisticamente le risposte degli studenti che più risentono di qualche conoscenza dell’insegnamento scolastico già chiariscono trattarsi anzitutto di una storia, di una storia del pensiero occidentale che comincia con le civiltà classiche e che (forse) giunge fino ai giorni nostri. Si articola attraverso il pensiero di singoli individui (più raramente di scuole e correnti) di cui non si manca mai di tratteggiare la vita, insistendo in misura più o meno rilevante sul rapporto tra vita e pensiero dell’autore. La filosofia sembra aver a che fare con la ragione, la scienza, la letteratura e soprattutto con la storia. Pare vada cercata nelle parole, nei testi. E soprattutto nel passato più o meno remoto. Forse hanno rilievo il contesto storico e le vicende storiche in cui si sono svolte le vite dei singoli pensatori. Forse importano anche le loro personalissime vicende biografiche. Anche le prime pagine dei manuali, l’abbiamo già notato, si sforzano di spiegare ai neofiti la natura di questa disciplina. Intento che per le materie in qualche modo presenti fin dai primi anni di scuola si preferisce schivare, nonostante non sia molto più facile dire che cosa sia la matematica o il linguaggio o la storia. Forse è proprio la difficoltà a scoraggiare l’impresa, potendo confidare nell’intuizione maturata con l’ingenua frequentazione dei rudimenti di quelle discipline durante i 9 precedenti anni di studio dentro e fuori dalla scuola, e sperando che nessuno studente si ponga troppe domande. Parafrasando le arguzie di Agostino sul tempo, potremmo dire che, se nessuno lo chiede, gli studenti sanno bene che cosa siano queste materie e i loro oggetti, ma se volessero darne una spiegazione, non lo saprebbero più. Talvolta anche di altre materie nuove per lo studente (dal diritto all’informatica, dall’economia alla topografia) si ritiene preliminarmente utile chiarire il significato, l’oggetto di studio, i metodi e gli scopi. Le risposte sono in genere sbrigative anche se precise. Nel caso della filosofia, al contrario, ci si compiace spesso di dichiarare filosofica la stessa domanda sul significato della filosofia (secondo alcuni, anzi, sarebbero filosofiche anche le domande circa la natura della matematica, del linguaggio, della storia, e magari anche del diritto o dell’economia), insistendo sulla difficoltà della questione e brancolando in un circolo che si vorrebbe ineludibile e quanto mai tipicamente filosofico. La risposta non è né precisa né esauriente, ha perlopiù carattere storico, ipotetico e non alieno da controversie. Forse la paradossale notazione agostiniana circa il sapere di non sapere che seguirebbe, socraticamente, la formulazione di certe domande vale per tutte quelle tipicamente filosofiche e ci aiuta a individuarle. L’insistenza sulla vita, sulla vita umana in generale, di molte risposte degli studenti può apparire ingenua, ma già i vecchi programmi scolastici caldeggiavano “un'introduzione la quale miri a porre in luce che la filosofia non è qualcosa di avulso dalla vita, ma è anzi la vita stessa che vuol farsi consapevole di sé, onde avviare gradualmente il processo verso la liberazione”. La “vita” stessa? In che senso e in che modo si studierebbe qualcosa del genere? E cosa intendiamo qui per “consapevolezza”? È qualcosa che manca a chi non studia la filosofia? Basta davvero il “volere”, la buona volontà, il mero proposito, o si perviene a qualche risultato? Alla “liberazione”, forse? Ma la liberazione da che cosa? Quella dal nazifascismo che da allora festeggiamo il venticinque aprile? O qualcosa di più astorico, o perenne, eterno in cui culminerebbe lo studio in questione? Temo che questa definizione potesse far sorgere negli studenti, se mai l’avessero letta, delle suggestive attese destinate a venir subito deluse dal rispettivo insegnamento. L’alba della nuova era iniziava, anche in ambito scolastico con le peggiori (e vecchissime) premesse: parole vaghe e altisonanti che dovrebbero suonare edificanti e filosofiche all’orecchio del dotto e del profano. A leggere tante delle risposte che ho sopra riportato, pullulanti di varie forme di “vita”, viene insomma da temere che nel corso dei decenni questo indirizzo ministeriale (che ha senz’altro avuto i suoi suggeritori, facilmente immaginabili e attivi anche ad altri livelli) debba aver prodotto i suoi frutti. Quanto ai rapporti tra la filosofia e la vita umana in generale e quella dei filosofi in particolare, sovviene la Prefazione del venerando manuale universitario di Abbagnano, croce e delizia di generazioni di studenti universitari: 10 Questa Storia della filosofia è intesa a mostrare l’essenziale umanità dei filosofi. Perdura ancora oggi il pregiudizio che la filosofia si affatichi intorno a problemi che non hanno il minimo rapporto con l’esistenza umana e rimanga chiusa in una sfera lontana e inaccessibile dove non giungano le aspirazioni e i bisogni degli uomini… che la storia della filosofia sia il panorama sconcertante di opinioni che si accavallano e si contrappongono, prive di un filo conduttore che serva di orientamento per i problemi della vita… [Mentre invece] nulla di ciò che è umano è estraneo alla filosofia e… anzi questa è l’uomo stesso, che si fa problema a se stesso e cerca le ragioni e il fondamento dell’essere che è suo. L’essenziale connessione tra la filosofia e l’uomo è la prima base dell’indagine storiografica… Su tale base, questa indagine prende a considerare la ricerca che da 26 secoli gli uomini dell’occidente conducono intorno al proprio essere e al proprio destino. Il generico riferimento alle vite e in particolare a quelle dei filosofi ha dunque sostenitori illustri, anche se oggi può far storcere il naso a tanti che abitualmente dichiarano irrilevanti gli aspetti biografici o più generalmente di contestualizzazione storica nello studio della filosofia, che andrebbe invece incentrato sul primato del pensiero in se stesso. Al di là delle dichiarazioni di rito tuttavia temo che l’equivoco biografico, proprio perché rimosso con negazioni di maniera, finisca sempre per dominare la disciplina. L’uomo in generale, l’uomo che il filosofo è stato e l’uomo odierno che è colui che si interessa di filosofia e che della filosofia è pure oggetto. Secondo Abbagnano la sua sarebbe una difesa della storia, della storia della filosofia, ma talvolta si rischia persino di cadere nell’equivoca difesa della biografia spicciola, sia pure al comprensibile scopo di sfuggire alla storiografia di scuola idealistica o marxista. Qualcuno, conoscendo la produzione di Abbagnano, parlerebbe di approccio esistenzialistico, e si è già notato come un uso generico del termine “esistenziale” sia presente in tante risposte studentesche sopra riportate: si tratta di uno di quei termini tecnici nati in filosofia e poi dilagati nel discorso quotidiano. Come nei casi già visti anche qui si rischierebbe di imbellettare con un termine tecnico un approccio banalmente biografico e psicologistico alla disciplina. Chi non ricorda la Storia di Abbagnano? Era scandito perlopiù in capitoli consacrati a singoli autori. Ogni capitolo iniziava con la vita del pensatore, comprendente qualche collocazione storica e, specie in conclusione, qualche curioso aneddoto rivelativo del carattere del filosofo o dell’ironia delle sue vicende umane. Si articolava poi, secondo i casi, la gnoseologia, la metafisica, poi il pensiero etico, politico, estetico eccetera. Una impostazione storico-biografica che ha fatto scuola, è il caso di dire. La centralità della vita è negli indirizzi ministeriali come nelle aspettative di tanti studenti. Ma non seguono più o meno questo schema tutti i manuali ancora oggi in uso? Scriveva ancora Abbagnano: La storia della filosofia è profondamente diversa da quella della scienza. Le dottrine passate e abbandonate non hanno più per la scienza significato vitale; e quelle ancora valide fanno parte del suo corpo vivente e non c’è bisogno di rivolgersi alla storia per apprenderle e farle proprie. In filosofia la considerazione storica è invece fondamentale; una filosofia del passato, se è stata veramente filosofia, non è un errore abbandonato e morto, ma una fonte perenne di insegnamento e di vita. 11 Veniamo al dunque. L’approccio della nostra scuola alla filosofia è storico, anzi direi storiografico-storicistico. Pare soggiacervi l’idea di uno sviluppo razionale intrinseco della disciplina che il singolo studente dovrebbe rivivere nelle sue tappe per farla sua. Da un lato si prevede che per capire Cartesio si debba conoscere il pensiero medievale e che per capire il pensiero medievale occorra aver prima studiato separatamente e in ordine Platone e Aristotele. Per conoscere i problemi filosofici contemporanei (posto che ci si arrivi) necessita percorrere la catena fino al termine. Eppure allo stesso tempo si sostiene spesso che non ci sia un vero accrescimento del sapere, non perlomeno una cumulazione di risultati. Né un superamento di errori, per usare ancora le parole di Abbagnano. Anche perché altrimenti tale sapere lo si potrebbe in buona parte esporre prescindendo dall’ordine cronologico e tralasciando dettagli storici e biografici irrilevanti per le argomentazioni in questione, come si fa per altre materie, tipicamente per quelle scientifiche. In matematica o in fisica l’esposizione dei contenuti segue un ordine sistematico, dalle nozioni più semplici a quelle più complesse la cui adeguata comprensione presuppone le prime. A scuola talvolta questo approccio è adattato a esigenze didattiche e alle capacità degli studenti presupposte dalla psicologia dello sviluppo. In ogni caso i risultati non sono riproposti nell’ordine cronologico con cui sono stati storicamente ricavati. Biografie e contesti possono comparire solo in alcuni casi, magari confinati nelle note. Un elemento storico può emergere nella menzione di “errori” poi individuati e ritenuti a loro modo istruttivi (talvolta interessanti perché comprendenti tratti che sono stati recuperati da teorie più recenti), oppure nell’illustrazione di cesure “rivoluzionarie” come la comparsa delle geometrie non euclidee, della relatività o della fisica quantistica. Ma, al contrario di quel che amano credere certi umanisti che così blandiscono la propria ignoranza scientifica, non certo per suggerire epocali visioni del mondo alternative e incomunicabili fra loro, né per negare la specificità del sapere scientifico, né la sua coerenza formale interna né l’accrescimento quantitativo nella conoscenza della realtà. La fisica newtoniana non è studiata con intenti storiografici. Rispetto alla fisica contemporanea è un’utilissima e correttissima approssimazione, e utile proprio perché corretta. Se avesse solo una valenza storica, i fisici non la studierebbero affatto e la lascerebbero alla storia della fisica. Allo stesso modo in cui l’alchimia e l’astrologia sono prese in esame dalla storia della scienza, non dalla chimica e dall’astronomia in quanto tali. La difesa dell’approccio scolastico tradizionale è piuttosto generalizzata. L’intellettuale italiano medio ci si è evidentemente affezionato. Eco (nella sua Autobiografia filosofica, capitolo del già citato volume sui Filosofi italiani contemporanei) al proposito ha scritto: È ovvio che Eco non accetti la divisione tra storico della filosofia e filosofo, così radicale nei dipartimenti americani. Naturalmente c’è chi ha dedicato tutta la vita soltanto a studi storici (pur senza lasciare capire quale sia la sua visione teoretica) ma certamente non si può fare teoria senza partire da una conoscenza storica della 12 questione. Ciò, come Eco spesso dice ai colleghi americani, è tipico della filosofia continentale, dell’influenza dello storicismo, dal fatto che in Italia si è avuta la fortuna di studiare al liceo la storia della filosofia, mentre i poveri studenti francesi si sentono di colpo assaliti da questioni teoretiche e morali di cui ignorano l’origine e l’esistenza di visioni contrapposte. Ma essere stato educato da una visione storicistica non significa condividere l’idea che nel corso della storia del pensiero ogni filosofia inveri e faccia maturare quella precedente. Al contrario, riflettere sul passato significa anche pensare che certe soluzioni della filosofia di un tempo siano più mature di quelle attuali e sia fruttuoso conoscerle – così come anche in tecnologia si può decidere in pieno XXI secolo che appare più “avanzato” e volto al futuro il ritorno all’energia eolica. Gli americani e i francesi sono filosofi peggiori di noi? C’è qualche indagine che documenti i diversi effetti dell’insegnamento statunitense o francese della filosofia? Ma, prima ancora, che cosa significa “partire da una conoscenza storica della questione”? Occorre (come si pretende spesso a scuola) conoscere la biografia di quanti se ne sono occupati, gli autori che li hanno influenzati, i confronti con altri indirizzi contemporanei o precedenti, i contesti politici in cui hanno operato, i condizionamenti extrafilosofici che hanno subito? Perché un approccio alternativo dovrebbe ignorare l’eventuale esistenza di visioni contrapposte? Che cosa significa conoscere l’“origine” di una questione? Se la questione è ancora attuale, non sarà più opportuno porre in secondo piano il radicamento storico “originario”? Se non c’è un progresso necessario, perché mai seguire la mera successione cronologica? Per converso, con l’acqua sporca idealistica dell’“inveramento” non si rischia di gettar via dissennatamente il più ragionevole bimbo della banale progressione del sapere, ostacolandone anche l’ulteriore crescita? Se certe vecchie soluzioni filosofiche sono tuttora attuali e più moderne di altre sorte successivamente, ha senso somministrarle in chiave storiografica? L’analogia con antiche soluzioni tornate in auge tali e quali (motivo ricorrente in tutta la produzione di Eco) non rischia quindi di porre l’accento solo su generiche visioni contrapposte piuttosto che sulla pertinenza degli argomenti? Evidentemente tanti ritengono che la storia della filosofia, o forse meglio la filosofia come storia sia solo una rassegna di modi di vedere che testimoniano un elemento del proprio tempo da incastonare tra gli altri e ivi abbandonare. Sulla base del fatto che dei filosofi ci dovrebbero interessare le argomentazioni e non certo le testimonianze, che non occorre uscire dall’argomentazione per stabilire se la sua conclusione sia credibile o no, che uscirne per occuparsi dell’autore e delle circostanze storiche della sua vita e della sua epoca equivale a cadere nella fallacia ad personam, Santambrogio ha più volte denunciato le concezioni “storicistiche” (ad es. nel suo Manuale di scrittura): Più in generale esiste una teoria filosofica… la quale sostiene che un’idea (filosofica ad esempio, ma anche scientifica, morale, eccetera) reca traccia nel suo contenuto delle circostanze in cui è nata. In una forma o nell’altra, questa teoria si trova alla base dell’idea diffusissima che lo studio della storia possa servire a farci comprendere o anche solo a farci comprendere meglio, la filosofia, l’arte, le discipline scientifiche e molte altre 13 cose… Senza lo storicismo, diremmo che per capire il contenuto di un’idea dobbiamo solamente afferrare le ragioni a suo favore e quelle contrarie, le sue conseguenze e tutto ciò che entra nel gioco delle argomentazioni… È sicuramente per un pregiudizio storicistico che nella scuola italiana si studia la storia e poco altro: storia della letteratura italiana, storia della letteratura latina, storia della letteratura greca, storia della filosofia, storia dell’arte, e naturalmente storia – politica, sociale, diplomatica, militare, e così via. (E qualcuno vorrebbe che si studiasse anche la storia della scienza). Purtroppo quella pudicamente racchiusa tra parentesi non è solo una battuta. Che cosa leggiamo nelle prime righe dei programmi ministeriali a proposito della matematica nei licei? “Al termine del percorso dei licei… lo studente conoscerà i concetti e i metodi elementari della matematica... Egli saprà inquadrare le varie teorie matematiche studiate nel contesto storico entro cui si sono sviluppate… Lo studente avrà acquisito una visione storico-critica dei rapporti tra le tematiche principali del pensiero matematico e il contesto filosofico, scientifico e tecnologico”. Marconi (nel suo Il mestiere di pensare) ha difeso piuttosto il modello, di origine giuridica anglosassone, della storia della filosofia come repertorio di precedenti: I teorici sono a volte inconsapevoli di alternative teoriche che sono state realizzate storicamente, e farebbero bene a prenderle in considerazione, superando il disagio dovuto alle differenze di contesto, linguaggio ecc… La storia della filosofia è, tra l’altro, un grande serbatoio di idee e argomentazioni e di discussioni di quelle idee e argomentazioni, e la storiografia filosofica, o la sua parte migliore, è a sua volta un grande serbatoio di ricostruzioni e analisi di tutto ciò. Ignorare questa tradizione, per un filosofo teorico, sarebbe come se un giudice, in un sistema di common law, ignorasse i precedenti pertinenti alle decisioni che deve prendere. Un filosofo siffatto potrebbe anche essere abile, ma sarebbe certamente inesperto. Tutti conosciamo i difetti dei dilettanti in filosofia. Il dilettante “non sa di cosa parla”: non conosce le analisi a cui sono stati sottoposti i concetti di cui fa uso, cade nelle trappole argomentative più ovvie (che l’esperto sa evitare), ignora distinzioni canoniche, scopre continuamente l’acqua calda. Una comunità filosofica che ignorasse la storia della filosofia sarebbe una specie di dilettante collettivo… Si fa riferimento alle argomentazioni dei filosofi del passato sia in positivo, per evitare di ripercorrere, presumibilmente in modo meno ricco e meno convincente, un itinerario argomentativo già percorso, sia – forse ancor più spesso – in negativo, per indicare sinteticamente le conseguenze di certe mosse argomentative, di certe premesse o di certi usi concettuali. Viene allora fatto di chiedersi, nella scuola italiana si apprende un tale repertorio di idee e argomentazioni? Si impiega il pensiero dei filosofi del passato in positivo e in negativo nel senso appena menzionato? L’approccio storico mira a padroneggiare i linguaggi e a familiarizzare coi contesti delle discussioni stesse? Lo studente conosce le distinzioni canoniche, è in grado di sfuggire alle trappole argomentative e alla riscoperta dell’acqua calda? È abituato a esaminare gli argomenti senza timore reverenziale denunciando le fallacie nelle quali si imbatte? Non pare proprio. Un aspetto cruciale al quale ho già alluso è l’abitudine di somministrare i contenuti storici in ordine cronologico. Non sarebbe molto più efficace in molti casi aggregare contenuti sulla base 14 dell’affinità concettuale, dell’analogia di approccio, del livello di complessità e così via, al di là del tempo che li separa? A chi ci vedesse un eccesso di scientismo si potrebbero ricordare la metafora delle “vette” di Nietzsche o quella delle costellazioni di Heidegger, autori in genere cari a chi adotta simili stigmatizzazioni. Per fare un paio di esempi banali, ha forse senso spiegare prima la sillogistica aristotelica (che ricade nella logica predicativa quantificata come sua legittima parte) e solo dopo e in genere più frettolosamente la sillogistica stoica (che tra l’altro ha qualche legame coi Megarici che però in genere sono trascurati a favore del mainstream platonico), molto più semplice ed elementare (ricadendo nella logica degli enunciati, che dà inizio a qualsiasi odierno manuale di logica)? O, nel caso della riflessione morale, quanto è importante porre in luce la differente impostazione teorica dell’etica del dovere rispetto a quella consequenzialistica e quanto invece conta la contestualizzazione storica della contrapposizione originaria, poniamo, tra stoici ed epicurei o tra Kant e Mill? Paradossalmente proprio gli studenti alle prime armi si trovano ad aver a che fare con un maggior aggravio di problemi sia filosofici sia più squisitamente storici. Filosofico in senso generale può essere lo sforzo richiesto agli studenti di calarsi in mentalità di uomini vissuti in tempi e contesti lontani e diversi dai propri: che senso ha che proprio chi inizia a studiare la disciplina per la prima volta debba compiere la fatica maggiore, confrontandosi con pensatori vissuti duemilacinquecento anni fa piuttosto che negli ultimi secoli? Storico è invece il problema della ricostruzione di prodotti culturali tanto remoti di cui tipicamente ci restano nella gran parte dei casi solo opere frammentarie e testimonianze tarde e variamente distorte (spesso riferite da chi intendeva polemizzare con gli autori in oggetto) o successivi reimpieghi che ne hanno favorito ulteriori deformazioni. Ma anche se prendiamo uno dei pochi autori di cui sostanzialmente ci è pervenuta l’opera completa, al proposito si sollevano questioni allotrie di vario genere: quali sono i dialoghi platonici autentici? quale l’ordine della loro stesura? quali dottrine sono originali, quali socratiche, quali di altri? Platone va preso alla lettera quando ci parla di iperuranio? e che dire delle dottrine non scritte? Tutti questi non sono problemi filosofici. Davvero è importante affrontare simili problemi a scuola? Ed è forse meglio, come pure spesso si fa, far finta che questo problema non esista, pur pretendendo di fare onestamente storia della filosofia? La scansione inoltre avviene per singoli autori (solo dove non se ne può fare a meno, dei capitoli sono dedicati a scuole – nonostante si dica, con qualche eccesso, che i risultati della filosofia, fin dall’antichità sono risultati di scuole – o persino a dibattiti su questioni, che, vista la materia, dovrebbero invece essere il parametro di riferimento), concedendo al biografismo, come si è già notato, più di quanto si sia disposti ad ammettere. Si difende questa impostazione sostenendo che la 15 filosofia è una disciplina umanistica (tesi che andrebbe a sua volta dimostrata o perlomeno chiarita) e l’analogia è con la storia della letteratura o quella dell’arte. A parte il resto, occorre rilevare che negli anni nell’ambito dell’insegnamento di queste altre discipline si è imposta la centralità del testo, cioè l’idea che lo studente debba impossessarsi di un minimo di strumenti formali di analisi testuale e che debba studiare un buon numero di testi o parti significative di essi. Si insegnano quanto prima metodi formali di decodifica del testo letterario (analogo discorso si può fare per la storia dell’arte), e sui manuali di letteratura i brani dei classici occupano una posizione centrale, mentre il resto è costruito attorno ad essi. Non solo i testi significativi occupano buona parte delle pagine, ma sono supportati da note e apparati per favorirne lo studio più efficace, in genere sono antologizzati anche utili contributi critici. Nell’insegnamento della filosofia non si riscontra nulla del genere. Nonostante si sia parlato a lungo dell’importanza dei testi, la loro posizione nei manuali è marginale, in genere in coda ai capitoli, o servile all’esposizione, magari sotto forma di breve citazione nel corpo del testo. Nella didattica è del tutto residuale. Nei casi migliori gli studenti sono lasciati alla lettura solitaria di qualche breve brano oppure di opere da affrontare durante i giorni di vacanza. Si noti anche che i docenti delle materie letterarie ritengono utile favorire una consuetudine con la letteratura e con la lettura più in generale. Abitualmente non esitano a suggerire opere letterarie, anche e soprattutto di autori contemporanei purché accessibili, anche a studenti che non hanno iniziato a studiare la storia della letteratura o che comunque non sono giunti a studiare l’autore in questione e i suoi contemporanei. In filosofia invece sembra che senza aver percorso, sia pure nelle forme discutibili che stiamo esaminando, la storia della filosofia da Talete a Nietzsche non sia il caso di leggere alcunché, specialmente di attuale. In tutto questo le idee rilevanti e le argomentazioni a loro supporto, che pure tutti a parole protestano essere il vero nucleo significativo della filosofia, si perdono in un discorso generale, di impianto perlopiù narrativo o descrittivo, che deve ricalcare perlopiù un flusso temporale nel quale si intende magari scorgere, anche se lo si nega a parole perché non è di moda dirsi idealisti anche quando in fondo lo si è di fatto, una misteriosa razionalità intrinseca. I manuali scolastici degli ultimi decenni hanno preso in generale le distanze dal culto dell’oscurità che era di moda fino a pochi decenni fa, ma la ruminazione filosofica è tuttora dominante per iscritto e a voce, anche e soprattutto tra i filosofi più noti, ospiti dei salotti televisivi, delle terze pagine culturali dei quotidiani e dei festival per vacanzieri meditabondi. E che cosa succederà mai nelle aule scolastiche? Il contatto tra storia e filosofia è problematico anche sotto altre prospettive. Anzitutto la storia della filosofia spesso non fa che ripetere miti prodotti dagli stessi filosofi, magari a proprio 16 beneficio, per assegnarsi appunto un ruolo storicamente significativo. Nonostante il fenomeno sia ben noto, l’insegnamento scolastico sembra più interessato a onorare le tradizioni che la verità storica. La filosofia presocratica ad esempio è in buona parte un’invenzione degli ambienti socratici e platonici per crearsi un retroterra rispetto al quale distaccarsi col rifiuto di principi meramente materialistici. Che esistessero scuole filosofiche e che la filosofia fosse intesa come disciplina specifica prima del confronto coi Sofisti è quanto meno dubbio. Eppure come si intitolano i primi capitoli di tutti i manuali scolastici? Persino Democrito è ridotto a presocratico anche se l’etichetta è ridicola già dal solo punto di vista cronologico: ed è ridotto a uno tra gli altri, nonostante l’originalità del pensiero e l’enorme mole di opere, non a caso perdute. Ben poco ci resta anche delle scuole socratiche diverse dall’Accademia e, purtroppo, se mancano i documenti, non si può far storia, rischiando però per scambiare per un realistico panorama fattuale il povero e spesso interessato ritaglio che degli eventi ci è rimasto. Discorso simile vale per le scuole ellenistiche, a partire dagli Stoici, dei quali pure abbiamo perso l’enorme produzione intellettuale. Più note sono le tipiche ricostruzioni retrospettive di Aristotele che proietta sui presunti predecessori le proprie categorie concettuali, come le quattro cause, ma la maggiore consapevolezza non induce necessariamente un maggior senso critico e storico. Lasciamo perdere per brevità le manipolazioni medievali dell’eredità filosofica greca, che anzi si sarebbe tentati di tentato di rivalutare per la capacità di far proprie per svilupparle a piacimento le categorie teoriche altrui, senza troppi scrupoli storiografici (naturalmente per mancanza di senso storico e per presunzione di fede, certo, ma, ancora, facciamo storia o filosofia?). Alcuni manuali sembrano prendere ancora molto sul serio l’articolazione del pensiero moderno (seicentesco in particolare) nelle due opposte correnti del razionalismo e dell’empirismo, che troverebbero infine in Kant una mirabile sintesi (dove, di nuovo, è la tappa finale a riscrivere a proprio piacimento il percorso precedente). La storiografia hegeliana invece la paga per tutti, additato come unico colpevole, capro espiatorio di questo vizio secolare. Vizio che infatti può così continuare ancora oggi più che mai. Affrontando i contemporanei è ancor più difficile mantenere obiettività e rigore, ma è ben noto che certe discipline, correnti filosofiche e costellazioni di autori non godono di buona fama nel nostro Paese. Giusto un esempio da Roberto Casati (in Prima lezione di filosofia), che pure si mostra assolutamente indulgente sulla faccenda: “Gottlob Frege, padre della logica e della filosofia del linguaggio contemporanee, non compare in molti manuali di storia della filosofia”. È senz’altro così in gran parte di quelli scolastici: non ha un capitolo a sé dedicato e, se va bene, è menzionato nei capitoli che trattano di Russell e di Wittgenstein sempre che siano adeguati. Nell’insegnamento liceale l’assimilazione di storia e filosofia è incoraggiata non soltanto dall’impostazione storica dell’insegnamento della filosofia ma anche dall’associazione a esso, in 17 una stessa classe concorsuale e dunque tramite la coincidenza delle figure professionali, dell’insegnamento della storia genericamente intesa. Perché queste due materie dovrebbero essere appaiate e gestite dagli stessi insegnanti? Si incoraggia non solo una trattazione esclusivamente storica della filosofia, ma anche una trattazione filosofica della storia stessa, così come è stata praticata da certi filosofi cari alla nostra tradizione ed evidentemente anche alla nostra scuola che appare interessata a trasmetterne il retaggio alle giovani generazioni. Approcci come quelli ispirati allo spiritualismo cattolico, all’idealismo storicistico o al materialismo storico sono oggi molto meno diffusi che qualche decennio fa (ma tutt’altro che scomparsi, e il fatto che permangano in maniera irriflessa non è meno insidioso). Piuttosto diffusa invece appare la tendenza a proiettare sul passato le proprie categorie, a ordinarne gli eventi alla luce dei fatti che si intende privilegiare nell’esaltazione o nell’esecrazione. Sembrano avere un certo successo certe grossolane metafore semplificatorie come l’eredità culturale, le radici della civiltà, la figliolanza e la genitorialità intellettuale eccetera, che poi permeano anche la mentalità di una classe dirigente cresciuta con queste sollecitazioni. La stessa riflessione filosofica è genericamente presentata come madre di tutte le scienze e di chissà che altro. I rovelli dei filosofi diventano fattori storici determinanti nel caratterizzare epoche e svolte storiche cruciali, oscure fonti dello sviluppo storico. Così ancora una volta la filosofia si trasforma nel suo opposto: il mito oracolare, la rinuncia alla verità e al valore, l’abdicazione alla ragione e al senso critico, la mistificazione e la giustificazione a posteriori, l’apologia dell’esistente. 18