Protocollo Regione Calabria - La salute della popolazione

Accordo Ministero della Salute – Agenas: DGPREV 0054892-P-03/122009, f.5.B.C.3
“La salute della popolazione immigrata:
il monitoraggio da parte dei Sistemi Sanitari Regionali”
Protocolli diagnostico-terapeutici
Prevenzione delle Malattie Infettive nei CIE
Regione Calabria
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INDICE
Introduzione pag. 3
Protocollo per la prevenzione e la diagnosi di HIV pag. 6
Protocollo per la prevenzione e la diagnosi delle epatiti virali pag. 16
Protocollo prevenzione e gestione della malattia tubercolare pag. 37
Protocollo gestione delle infezioni sessualmente trasmesse pag.58
Protocollo per la diagnosi e la gestione della malaria pag. 71
Protocollo diagnosi e gestione delle parassitosi intestinali pag. 78
Gestione di un caso di scabbia pag. 83
Gestione e prevenzione della pediculosi pag. 84
Gestione delle dermatomicosi pag. 87
Bibliografia pag. 88
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Introduzione
I CIE sono luoghi in cui convivono negli stessi alloggi abitativi persone con differenti fragilità e
differenti situazioni sanitarie: persone sane, persone affette da tossicodipendenze, da patologie
croniche infettive, da patologie psichiatriche.
La maggior parte degli ospiti del CIE sono extracomunitari che, pur provenendo da situazioni di
estrema o grave emarginazione, giungono nel nostro Paese in condizioni discrete di salute.
Le patologie che frequentemente si riscontrano in questi soggetti, sono causate da malattie
contratte nel territorio italiano. Purtroppo, a causa dell'estrema povertà, della clandestinità e della
scarsità di Centri di Accoglienza, queste persone sono costrette a vivere in condizioni di degrado e
spesso di affollamento. La nutrizione è spesso non equilibrata ed insufficiente a causa della
differenze dietetiche dei Paesi di provenienza e la cura della salute, anche per banali malattie,
viene trascurata per mancanza di mezzi, disinformazione, paura e difficoltà di accesso alle
strutture sanitarie.
La lunga permanenza degli ospiti immigrati nel Centro (da 2 a 18 mesi) comporta l’emergere di
nuove problematiche sanitarie. La prolungata reclusione suscita nel Centro frequenti risse, rivolte
con ripercussioni sulla salute fisica e psichica degli stessi.
Gli ospiti del CIE devono poter usufruire, oltre che delle cure essenziali, anche di cure preventive,
a tutela della salute individuale ed anche della Comunità locale ospitante.
Da qui la necessità di garantire un’assistenza sanitaria adeguata, potenziando i contatti con il
Servizio Sanitario Nazionale, elaborando specifici protocolli diagnostico-terapeutici.
3
Criticità riscontrate all’interno del CIE relative all’assistenza sanitaria
1) trasferimento degli ospiti all’esterno:
•
Organizzazione del trasporto del paziente,
•
Scorta e piantonamento delle forze dell’ordine
2) necessità di prenotare esami/visite ambulatoriali con ridotti tempi di attesa
3) Status giuridico dell’ospite
Strategie attuabili
•
stesura di Protocolli per la prevenzione della malattie infettive redatte in collaborazione
con il personale sociosanitario interno alla struttura e i sanitari esperti dell’ASP di
riferimento
•
attività di monitoraggio della situazione sanitaria all’interno del Centro e dell’applicazione
dei protocolli di riferimento
•
Prevedere visite mediche, all’ingresso e periodicamente, di tutti gli ospiti per individuare
precocemente eventuali malattie infettive.
•
Convenzioni con l’ Azienda Sanitaria del territorio di riferimento al fine di poter usufruire
di consulenze specialistiche sia all’interno del CIE che nei Servizi Aziendali.
Interventi specifici:
• Educazione e formazione sulle principali malattie infettive, che si riscontrano in migranti a
rischio, rivolta a:
1) Operatori sociosanitari del CIE
2) Mediatori culturali
3) Pazienti
• Controllo sulla dotazione dei farmaci
• Somministrazione della terapia con osservazione diretta
• Possibilità di eseguire in sede alcuni atti diagnostici e terapeutici mirati al controllo delle
malattie infettive
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Educazione sanitaria rivolta ai pazienti
Tutti gli sforzi della prevenzione devono essere il più possibile adatti ai bisogni specifici dei
migranti. Personale sanitario esperto dovrà fornire con regolarità agli ospiti, attraverso l’ausilio di
mediatori culturali e del personale che lavora nei CIE, le informazioni basilari sulla prevenzione
delle malattie infettive.
Educazione sanitaria del personale socio-sanitario del CIE
Il personale dei CIE deve essere addestrato e aggiornato regolarmente con incontri periodici
programmati su tutti gli aspetti medico-psicologici e sociali collegati alle principali malattie
infettive prese in considerazione nel suddetto documento.
Principali obiettivi sono:
•
formare personale sicuro e professionalmente in grado di gestire situazioni di emergenza
•
garantire nella gestione di ogni caso le misure necessarie per evitare la diffusione di
eventuali malattie infettive
•
dare agli ospiti la guida e il supporto più appropriato evitando ogni discriminazione
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PROTOCOLLO PER LA PREVENZIONE E DIAGNOSI DI
INFEZIONE DA HIV
Introduzione
La prevenzione dell’HIV nei CIE deve essere considerata una questione sanitaria di primaria
importanza. Obiettivo di questo protocollo è la diagnosi precoce di infezione da HIV nei migranti
del CIE.
Tutti gli ospiti devono avere la possibilità di effettuare in ogni momento ed in forma riservata e
gratuita, il test HIV.
Prima e dopo il test devono poter contare su un’apposita terapia psicologica di supporto.
I risultati dei test devono essere consegnati agli interessati in forma riservata, da personale
sanitario, a prescindere dal loro esito.
Le cure mediche per l’infezione verranno erogate da specialisti esterni alla struttura con gli stessi
standard utilizzati fuori dal CIE.
Se un ospite del CIE risulterà affetto da HIV non dovrà essere isolato né discriminato.
Definizione di infezione e di malattia
L'agente eziologico responsabile della patologia è un virus ad RNA il cui decorso infettivo può
avere diverse manifestazioni cliniche: AIDS conclamata, Sindrome correlata all'AIDS (ARC),
linfoadenopatia persistente (LAS). Inoltre, in molti soggetti l'infezione da HIV può provocare la
produzione di anticorpi senza alcuna manifestazione clinica (asintomaticità). Spesso in questi
soggetti la diagnosi di HIV è tardiva e vi si arriva attraverso il riscontro di altre patologie (epatiti,
TBC, tumori) che generalmente accompagnano il decorso della malattia in fase avanzata. ll virus
HIV attacca specifici linfociti, chiamati cellule T-helper , prende il sopravvento su di esse e si
moltiplica. Questo processo continuo distrugge altre cellule T, compromettendo cosi la capacità
del corpo di reagire ad insulti esterni attraverso il sistema immunitario. Quando il numero di
cellule T diminuisce considerevolmente, le persone con HIV sono predisposte ad infezioni
opportuniste e potrebbero contrarre alcuni tipi di cancro. Questa ridotta immunità
(immunodeficienza) è conosciuta come AIDS. Sebbene l’AIDS sia sempre il risultato di un infezione
da HIV, non tutti quelli che hanno contratto l’HIV hanno l’AIDS.
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Fattori di rischio epidemiologici
1) comportamenti a rischio:
• tossicodipendenza
• promiscuità sessuale
• rapporti sessuali con partners affetti da AIDS o infezione da HIV
• rapporti omosessuali
2) anamnesi positiva per ulcera genitale
3) trasfusione di sangue avvenuta prima del 1975 o in Paesi ad alta prevalenza di HIV
4) tatuaggi, piercing o circoncisione effettuati con strumenti non sterili
Modalità di trasmissione
La trasmissione del virus avviene per via parenterale, sessuale, verticale durante la gravidanza e
perinatale. Il virus dell’HIV si trova in quantità significativamente importante nel:
1) sangue
2) liquido pre-eiaculatorio e sperma
3) fluido vaginale
4) latte materno
Fasi dell’infezione
L’infezione da HIV passa essenzialmente attraverso 4 stadi principali:
1)
incubazione totalmente asintomatica in media 2-4 settimane dopo il contagio
2)
infezione acuta (dura in genere meno di un mese e si manifesta con sintomi similinfluenzali)
3)
periodo di latenza,
4)
AIDS.
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Classificazione dell’infezione da HIV
L’attuale sistema di classificazione del C.D.C. (Centers for Disease Control and Prevention) di
Atlanta prevede tre gruppi contraddistinti dalle lettere A; B; C e da un numero da 1 a 3. La lettera
indica la presenza o meno di sintomi correlati all’immunodeficienza (A: asintomatico; B: sintomi ed
infezioni non opportunistiche; C: infezioni opportunistiche tipiche), mentre i numeri definiscono la
quantità di CD4 circolanti (1 più di 500 CD4/µl; 2 tra 200 e 500; 3 meno di 200).
Classificazione dell’infezione da HIV secondo il CDC di Atlanta
N/lettera
Descrizione
A
PAZIENTE ASINTOMATICO
B
SINTOMI E INFEZIONI NON OPPORTUNISTICHE
C
INFEZIONI OPPORTUNISTICHE TIPICHE DA AIDS
1
LINFOCITI T CD4 + CON VALORI SUPERIORI A 500 /µl
2
LINFOCITI T CD4+ CON VALORI COMPRESi TRA 200 E 500 µl
3
LINFOCITI T CD4+ CON VALORI INFERIORE A 200 µl
Le patologie definenti l’ AIDS sono (C.D.C. 1993):
candidosi esofagea, tracheale, bronchiale o polmonare;
criptococcosi extrapolmonare;
criptosporidiosi (con diarrea persistente da oltre un mese);
cytomegalovirosi corioretinica, polmonare o del sistema nervoso centrale;
infezione da herpes simplex ulcerativa, persistente o disseminata;
sarcoma di Kaposi;
linfoma cerebrale primitivo;
altri linfomi non-Hodgkin a fenotipo B, o dei seguenti tipi istologici: linfomi a piccole cellule
non-cleaved, sarcoma immunoblastico;
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carcinoma invasivo della cervice uterina;
micobatteriosi non-tubercolare disseminata (da Mycobacterium avium-complex o da altri
micobatteri atipici);
tubercolosi polmonare o extrapolmonare;
sepsi ricorrenti da salmonelle non-tifoidi;
broncopolmonite a eziologia batterica (almeno due episodi nell’arco di un anno);
polmonite da Pneumocystis Jiroveci;
leucoencefalopatia multifocale progressiva;
toxoplasmosi viscerale e del sistema nervoso centrale;
strongiloidiasi extraintestinale;
coccidioidomicosi disseminata;
istoplasmosi disseminata;
encefalopatia da HIV (AIDS-dementia complex);
isosporiasi (con diarrea persistente da oltre un mese);
Wasting syndrome (cachessia AIDS-correlata);
polmonite interstiziale linfoide (in età pediatrica, fino a 13 anni);
infezioni batteriche gravi, multiple e ricorrenti (nell’arco di tempo di due anni; in età
pediatrica, fino a 13 anni).
Decorso Clinico
L’HIV si trasforma in AIDS in un tempo variabile, dipendente dal virus, dall’ospite e da fattori
ambientali; la media è attorno ai 10 anni, ma sono possibili periodi più brevi o più lunghi. Rispetto
all’epidemia degli inizi degli anni novanta, in cui sono morte milioni di persone a breve distanza dal
momento del contagio, oggi la situazione è enormemente migliorata, per cui l’AIDS si è
trasformata in malattia cronica, controllabile con terapie efficaci anche se non prive di effetti
collaterali. Senza il supporto terapeutico la morte sopravviene entro un anno. La maggior parte
dei pazienti muore per infezioni opportunistiche dovute al progressivo indebolimento del sistema
immunitario.
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Terapia
Qualunque decisione sull'inizio o sui cambiamenti della terapia si basa sul rilievo dei parametri
virologici (conta del numero di copie di HIV RNA nel plasma) e immunologici (conta del numero di
linfociti T CD4+ nel sangue circolante). In effetti, la valutazione congiunta di tali parametri
consente di predire il rischio di progressione clinica dell’infezione e di valutare l'entità della
risposta terapeutica. Il trattamento farmacologico dell'HIV ha quattro obiettivi principali:
•
prolungare l'aspettativa di vita e migliorare la qualità della vita
•
bloccare la progressione dell'HIV
•
ridurre la carica virale a livelli non rilevabili (meno di 50 copie/millilitro) il più a lungo
possibile
•
limitare lo sviluppo della resistenza ai farmaci antiretrovirali.
La terapia per l'HIV di solito comprende più farmaci contro l'HIV delle classi riportate nella tabella.
L'associazione di questi farmaci è studiata per impedire al virus di eseguire copie di sé stesso,
riducendo il più possibile eventuali effetti collaterali ed il numero di pillole da prendere. Questa
terapia combinata è chiamata HAART o terapia antiretrovirale altamente efficace.
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Inibitori nucleosidici
della transcrittasi
inversa (NRTI)
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Abacavir (ABC)
Abacavir
+
Lamivudina (ABC +
3TC)
Abacavir
+
Lamivudina
+
Zidovudina (ABC +
AZT + 3TC)
Didanosina (ddl)
Emtricitabina (FTC)
Tenofovir TDF +
Emtricitabina (TDF +
FTC)
Lamivudina (3TC)
Stavudina (d4T)
Tenofovir TDF (TDF
or Bis(POC) PMPA)
Zalcitabina (ddC)
Zidovudina (AZT o
ZDV)
Zidovudina
+
Lamivudina (AZT +
3TC)
Inibitori nonnucleosidici della
transcrittasi
inversa (NNRTI)
•
Efavirenz
(EFV)
•
Inibitori della proteasi
(IP)
•
Atazanavir (ATZ)
•
Fosamprenavir
•
Delaviridina
•
Etravirina
•
Enfuvirtide (T20)
•
Maraviroc
• Raltegravir
(FPV)
Nevirapina
(NVP)
Inibitori dell’ingresso Inibitori
e della fusione (IF)
dell’integrasi
•
Indinavir (IDV)
•
Lopinavir
+
Ritonavir (LPV)
•
Nelfinavir (NFV)
•
Ritonavir (RTV)
•
Saquinavir (SQV)
•
Tipranavir (TPV)
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Tra gli schemi possibili le esperienze più positive riguardano queste combinazioni:
•
Due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa più un inibitore della trascrittasi inversa
non nucleosidico
•
Due inibitori della trascrittasi inversa più un inibitore della proteasi,
•
Due inibitori della trascrittasi inversa più due inibitori della proteasi
•
Tre inibitori della trascrittasi inversa, indicato soprattutto quando vi è una bassa viremia
Questi sono schemi che si applicano su pazienti non trattati in precedenza (naive). Variazioni di
questi schemi si rendono necessarie per il fallimento della terapia, lo sviluppo di intolleranze o di
resistenze del virus.
Consenso HIV
In base alla legge n.135 del 5.6.1990, nessuno può essere sottoposto al test dell’HIV senza il suo
consenso, "se non per necessità cliniche nel suo interesse". Se il paziente rifiuta il consenso il
sospetto della presenza di malattia potrà essere avanzato solo in caso di grave pericolo di vita e
presenza di forti fattori di rischio: tossicodipendenza, prostituzione, omosessualità .
Diagnosi di laboratorio
L’infezione da Virus dell’immunodeficenza acquisita (HIV) può essere diagnosticato in laboratorio
attraverso test di screening rapidi e molto sensibili, capaci di individuare l’infezione anche in una
fase precoce (test che rilevano la presenza nel siero di anticorpi anti-p24).
Il test da richiedere in laboratorio come screening è la ricerca di anticorpi anti-HIV
con
metodiche ELISA o equivalenti.
Data la possibilità di risultati falsi positivi è necessario confermare l’esito utilizzando un test di
conferma con metodica Western-Blotting (WB) e, se l’esito è positivo attraverso la ricerca del
genoma virale.
-
Preparazione del paziente
possibilmente a digiuno da 12/18 ore
12
-
Esecuzione prelievo e trasporto del campione
Per il test di screening e di conferma, prelevare mediante venopuntura circa 10 cc
di sangue periferico in provetta adatta ad esami sierologici.
La provetta opportunamente codificata ed
accompagnata da un modulo di
richiesta, che riporta anche i dati anagrafici del paziente ed alcune brevi notizie
anamnestiche, và inviata immediatamente in laboratorio o conservata per alcune
ore a temperatura di 2-4°C.
Per la ricerca del genoma virale è necessario inviare tre campioni di sangue raccolto
in provette con EDTA (provette per emocromo).
Il trasporto del campione deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici
potenzialmente infettanti.
Modalità di gestione dell’ospite risultato positivo al test HIV
Se un ospite del CIE è affetto da infezione HIV dovrà essere periodicamente sottoposto ad
accertamenti finalizzati a:
• monitorare l'evoluzione della patologia
• specifici e necessari interventi sanitari e farmacologici
• evidenziare eventuali infezioni opportunistiche (toxoplasmosi, candida, etc.) e malattie
(epatiti, TBC, sviluppo di neoplasie tipo sarcoma di Kaposi) che si associano
frequentemente all’infezione da HIV.
Il malato inoltre, deve essere assistito farmacologicamente con farmaci antiretrovirali specifici per
l'HIV e altri farmaci, in combinazioni anche complesse nel caso di infezioni opportunistiche.
La terapia verrà prescritta dallo specialista infettivologo del presidio ospedaliero più vicino o del
territorio. Per individuare gli eventuali effetti o i danni all'organismo del paziente è necessario
effettuare il monitoraggio degli esami ematochimici. Tali accertamenti diagnostici devono, per la
loro complessità, necessariamente essere compiuti in ambito ospedaliero.
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PROTOCOLLO PER LA PREVENZIONE E LA DIAGNOSI DELLE EPATITI
VIRALI
Introduzione
La prevalenza di epatiti tra gli ospiti del CIE risulta abitualmente superiore a quella della
popolazione residente in Italia. Ciò e legato ai seguenti fattori:
• comportamenti a rischio associati al processo di migrazione
• la provenienza da Paesi in cui la prevalenza delle epatiti è maggiore e le politiche vaccinali
spesso carenti o inefficaci
• l'uso in comune di oggetti personali anche nei CIE
• il frequente affollamento delle strutture
• le frequenti risse con possibilità di esposizione a sangue di soggetti infetti
Pertanto nel CIE lo screening delle epatiti dovrebbe essere proposto su base volontaria a tutti gli
ospiti.
Gli immigrati devono essere informati in maniera appropriata soprattutto per evitare ogni
possibile confusione tra HIV ed epatiti virali.
A quanti saranno risultati negativi verrà consigliato il vaccino contro l’epatite B a prescindere dalla
durata della loro permanenza nella struttura.
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Definizione
L'epatite virale è un processo necro-infiammatorio diffuso che interessa il fegato.
Eziologia
In base all'agente eziologico si distinguono: l'epatite A correlata all' HAV (virus dell'epatite A);
l'epatite B determinata dall'HBV, l'epatite C determinata dall'HCV; l'epatite delta determinata
dall'HDV; l'epatite E eziologicamente correlata all'HEV; l'epatite F non ancora correlata ad un virus;
l'epatite G individuata di recente.
Modalità di trasmissione
A seconda dell'agente, diversi possono essere i canali di trasmissione ma, in generale, l'epatite
virale predilige le vie ematiche sia per via parenterale (inoculazione di sangue e suoi derivati, uso
di aghi, siringhe, strumenti chirurgici, trapianto di organi infetti) che per via inapparente, ossia la
penetrazione del virus attraverso la lesione non visibile della cute o della mucosa oro-faringea, uso
di articoli da toilette, contatto sessuale, graffi, morsi, trasmissione fetale.
Storia naturale della malattia
In relazione al processo necroinfiammatorio si possono definire diverse fasi:fase stabile del
processo, riacutizzazione della malattia, evoluzione in cirrosi epatica con conservazione delle
funzioni del fegato, evoluzione in cirrosi epatica con perdita della funzionalità del fegato,
evoluzione neoplastica (epatocarcinoma). Dunque tra gli individui colpiti dall'infezione bisogna
distinguere i soggetti, affetti da epatopatia cronica, che presentano una alterazione dei parametri
di funzionalità epatica e che necessitano di uno specifico trattamento farmacologico; i soggetti
portatori sani del virus dell'epatite, i quali non presentano epatopatia in atto, ma rappresentano il
principale serbatoio di diffusione del virus e in grado di subire una riattivazione dell'infezione in
seguito ad un calo delle difese immunitarie; i soggetti affetti da varie forme di danno epatico e di
evoluzione cirrotica, quale fase precancerosa.
PERIODO DI INCUBAZIONE
Epatite A:
Epatite B
Epatite C
Circa 5-7 giorni
Circa 60 giorni
Fino a 6 mesi
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EPATITE A
Introduzione
L’epatite A è una malattia diffusa in tutto il mondo con alte percentuali di prevalenza nei Paesi in
via di sviluppo, dove le condizioni igienico-sanitarie sono scadenti. In questi Paesi molto spesso la
malattia può manifestarsi con epidemie diffuse.
Eziologia
L’agente che causa l’epatite A (HAV) è un virus ad RNA delle dimensioni di 27 nm appartenente ai
PicoRNAvirus.
Vie di trasmissione
L’uomo è l’unica sorgente di infezione ed il malato elimina il virus con le feci da qualche settimana
prima del periodo itterico fino a qualche giorno dopo. La modalità di contagio è quella tipica delle
malattie a trasmissione oro-fecale. L’infezione per via orale può essere diretta interumana oppure
indiretta attraverso veicoli, quali l’acqua e gli alimenti (soprattutto frutti di mare e verdure
contaminate consumati crudi).
Decorso clinico
Nei pazienti sintomatici le manifestazioni più frequenti sono : nausea, vomito, ittero, diarrea,
dolori addominali, malessere generale, astenia, febbre, inappetenza, feci ipocoliche ed urine
ipercromiche.
La malattia acuta si risolve in 4-6 settimane, solo pochi casi (5-10%) hanno durata protratta (2-4
mesi), rarissimi casi (0.1%) evolvono in una forma fulminante ad esito letale e rari (2-5%) casi
evolvono in modo sub-acuto.
La malattia non cronicizza mai. Non esiste alcun trattamento specifico. Nei casi ad andamento
particolarmente protratto o ad intensa impronta colestatica, una eventuale terapia steroidea deve essere
decisa da specialisti e va praticata sotto stretto controllo clinico e di laboratorio. Il miglioramento delle
condizioni igienico-sanitarie costituisce il mezzo più efficace di prevenzione dell’epatite da HAV.
La denuncia è obbligatoria. E’ prescritta la contumacia (obbligo di permanere in un determinato
luogo, anche domicilio) della durata di 15 giorni. E’ opportuno procedere alla disinfezione degli
effetti provenienti dal malato (stoviglie, indumenti) e dei servizi igienici.
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Diagnosi di laboratorio
L’infezione da Virus dell’epatite A può essere diagnosticata in laboratorio attraverso test di
screening rapidi e molto sensibili, capaci di individuare l’infezione anche in una fase precoce .
Il test da richiedere in laboratorio come screening è la ricerca di anticorpi anti-HAV IgG ed IgM
con metodiche ELISA o equivalenti.
Preparazione del paziente
possibilmente a digiuno da 12/18 ore
-
Esecuzione prelievo e trasporto del campione
prelevare mediante venopuntura circa 10 cc di sangue periferico in provetta adatta
ad esami sierologici.
La provetta opportunamente codificata ed accompagnata da un modulo di
richiesta, che riporta anche i dati anagrafici del paziente ed alcune brevi notizie
anamnestiche, và inviata immediatamente in laboratorio o conservata per alcune
ore a temperatura di 2-4°C.
Il trasporto del campione deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici
potenzialmente infettanti.
Interpretazione dei risultati:
Esordio malattia
IgG -
IgM+
Stadio acuto o sub-acuto
IgG+
IgM +
Guarigione
IgG +
IgM –
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Vaccinazione
Per la prevenzione esiste in commercio un vaccino, non obbligatorio in Italia.
Il vaccino è costituito da virus inattivato (cioè da virus vivo, in grado di stimolare il sistema
immunitario ma non di provocare malattia). Deve essere conservato in frigorifero.
Somministrazione:
- almeno 2 settimane prima dell'eventuale esposizione;
- iniezione per via intramuscolare.
Dosi:
- 1a dose: tempo 0
- 2a dose: dopo 6 mesi
Protezione:
- il vaccino risulta efficace in circa il 100% dei casi;
- la protezione ha una durata di 10 - 15 anni
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EPATITE B
Introduzione
Si stima che ci siano circa 400 milioni di persone affette da epatite B nel mondo, di cui quasi 14
milioni in Europa, Medio Oriente e Nord Africa, tuttavia solo il 12% di loro sa di aver contratto
l’infezione. Si stima che ogni anno 4,5 milioni di soggetti contraggono il virus e che solo una parte
di essi vada incontro ad epatite cronica, cirrosi ed epatocarcinoma cellulare; l'epatite B provoca
oltre 600.000 decessi annui per le conseguenze croniche della malattia
Solitamente l’infezione viene rilevata ad un controllo occasionale degli esami ematici.
La maggioranza dei soggetti infetti nei Paesi dell'Europa Occidentale, hanno un'infezione di lunga
durata, attualmente sostenuta dal ceppo mutante sull'"e" o variante e-minus, questo poiché
l'introduzione della vaccinazione obbligatoria contro l’epatite B dal 1991 ha notevolmente ridotto
i nuovi casi di infezione. Nei Paesi dell'Europa dell'Est ed in Asia ed Africa, dove invece la frequenza
di nuove infezioni è ancora alta, la maggioranza dei soggetti è infetta dal ceppo selvaggio o wildtype.
Eziologia
L’epatite virale di tipo B è causata da un virus (HBV) a DNA appartenente alla famiglia degli
HepaDNAviridae. Il virus ha una grandezza di 42 nm ed è costituito da un nucleo capside interno
costituito da DNA, proteine (HBeAg, HBcAg)e da una DNA polimerasi; esternamente esso è
rivestito da un envelope che contiene l’antigene di superficie HBsAg.
Epatite B nei migranti
Recenti studi epidemiologici hanno evidenziato nei migranti elevate percentuali di infezione da
virus dell’epatite B, soprattutto in quelli provenienti dall’Africa sub sahariana che presentano un
tasso di infezione > 8% rispetto a quanti provengono dall’Europa occidentale. Ciò è dovuto
verosimilmente a una inadeguata o assente copertura delle vaccinazioni nei Paesi di origine
nonché a comportamenti a rischio.
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Vie di trasmissione
Le modalità di trasmissione dell’epatite B sono le seguenti:
•
via parenterale
•
per scambio di siringhe infette, contatti con sangue e liquidi infetti e trasfusioni di sangue o
emoderivati infetti
•
via parenterale inapparente (uso di rasoi e forbici da unghie infetti)
•
via sessuale ( per rapporti vaginali ed anali)
•
transplacentare
e
perinatale,
al
neonato
da
parte
di
madre
infetta.
L'infezione può essere trasmessa dai malati con infezione acuta, ma anche da un serbatoio
di portatori cronici del virus (nel mondo sono circa 300 milioni). I portatori cronici sono
soggetti che presentano nel sangue l'antigene di superficie del virus (HBsAg) per un
periodo superiore ai sei mesi.
Storia naturale dell’infezione
La storia naturale dell'infezione è completamente diversa a seconda che essa venga contratta nella
prima infanzia
(evento ormai più frequente nei Paesi in via di svilppo che non praticano
vaccinazione antiepatite B nei nuovi nati), nel qual caso si assiste ad una percentuale di
cronicizzazione in oltre il 90% dei casi, o in età adulta. In questo ultimo caso la guarigione avviene
in oltre il 90% dei casi.
La guarigione si manifesta dal punto di vista laboratoristico con la scomparsa della proteina HBsAg
e con la comparsa di un livello di anticorpi contro questa proteina, detti HBsAb, protettivo, cioè
maggiore di 10 U.
La persistenza dell'HBsAg, e quindi dell'infezione, oltre 6 mesi definisce lo stato di epatite B
cronica.
Nelle prime fasi dell'infezione il virus replica in maniera costante o oscillante, indipendentemente
tuttavia dal modello di replicazione virale, questa fase è caratterizzata dalla presenza della
proteina HBeAg. I ceppi virali che replicano esprimendo questa proteina "e" vengono definiti ceppi
selvatici o wild type. È possibile tuttavia che in un tempo estremamente variabile il sistema
immunitario impari a produrre un anticorpo contro l'HBeAg detto HBeAb.
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Se questo avviene la capacità del virus di replicare viene bloccata, la concentrazione di virus nel
sangue, detta HBV-DNA sierico, scende ed il processo di danno epatico rallenta in maniera
sostanziale.
La presenza dell'anticorpo HBeAb e di una bassa carica virale nel sangue trasforma il soggetto da
un paziente con epatite B attiva ad un "portatore inattivo", capace comunque di infettare altri
soggetti, a rischio di riattivazione virale, ma in questo momento minimamente evolutivo se non
per nulla evolutivo.
A questo punto, dopo la comparsa dell'HBeAb e lo spegnimento del processo epatitico si possono
verificare due circostanze:
1) il soggetto può sviluppare anche l'anticorpo contro la proteina HBsAg (HBsAb) e quindi guarire.
Questo avviene soprattutto entro i primi 6 mesi dall'infezione (ma non solo) ed è il meccanismo
attraverso cui i soggetti guariscono pur mantenendo il DNA virale (CCC-DNA) all’interno degli
epatociti.
2) Il soggetto può restare anni nello stato di portatore cronico inattivo. Tuttavia la pressione
selettiva esercitata dal sistema immunitario attraverso l'HBeAb può indurre il virus a mutare. Il
nuovo ceppo virale mutante impara a replicare senza esprimere l'HBeAg ma attraverso altre vie
non ancora note.
Questo ceppo, detto mutante sull'"e" o variante e-minus, è responsabile del ritorno del soggetto
dallo stato di portatore inattivo allo stato di epatitico cronico con epatite attiva, caratterizzata dal
nuovo incremento della viremia, cioè dell'HBV-DNA nel sangue, e dal rialzo delle transaminasi.
La maggioranza delle epatiti B croniche attive in Italia sono oggi sostenute da questi ceppi mutanti.
Questo dato ci fa quindi comprendere quanto sia erroneo ritenere un soggetto portatore inattivo
per la sola presenza dell'HBeAb, senza aver valutato l'effettiva carica virale.
Manifestazioni cliniche
L’ammalato può non presentare una sintomatologia conclamata pur essendo infetto e
potenzialmente in grado di trasmettere la malattia, in questo caso il soggetto assume il profilo
clinico di "portatore inattivo".
Nei casi sintomatici l'esordio può essere rappresentato da ittero, o subittero, valutabile a livello
della mucosa congiuntivale e sottolinguale.
23
I sintomi che possono essere riferiti dal paziente sono: astenia, febbre, prurito con lesioni da
grattamento, nausea e vomito, dolore all'ipocondrio destro ed eventualmente alla spalla destra,
feci acoliche (chiare), urine color marsala.
Questi segni evidenti di danno epatico però possono anche non presentarsi, impedendo
l'avvicinamento del paziente a una struttura sanitaria. Sempre presente è invece l'innalzamento
delle transaminasi riscontrabile dopo prelievo ematico con aumenti di ALT e AST superiore di 510 volte i valori normali. Altro valore alterato è quello della bilirubina sia nella sua forma diretta
che indiretta.
L'infezione da virus dell'epatite B evolve in diverse situazioni correlate con la risposta immunitaria
del soggetto infetto:
•
decorso acuto con completo recupero e acquisizione della immunità dall'infezione (89%
dei casi)
• epatite fulminante (mortalità del 90%, può richiedere il trapianto di fegato nell’ 1% dei
casi)
•
infezione cronica: persistenza del virus nell'organismo con danno epatico (5-10% dei casi);
in questo caso la malattia ha un andamento cronico e può compromettere la funzionalità
epatica nel giro di 10-30 anni con l'insorgenza di cirrosi epatica o di carcinoma
epatocellulare primitivo (di solito dopo che è già presente la cirrosi)
•
stato di portatore inattivo (5% dei casi): il virus persiste nel fegato ma non provoca danno
epatico; può rimanere in questo stato anche tutta la vita, senza arrecare danni nemmeno a
lungo termine. È anche meno contagioso per gli altri.
La diagnosi clinica di epatite B
La raccolta anamnestica dei sintomi ed i risultati delle transaminasi dovrebbero essere i punti di
partenza di un’indagine per il sospetto di epatite virale acuta che verrà confermata con il dosaggio
dei markers virali specifici:
HBsAg: antigene Australia o di superficie, positivo al contatto col virus anche nel periodo
antecedente alla manifestazione dei segni e sintomi della malattia;
24
HBsAb: anticorpi contro l'antigene di superficie prodotti dai linfociti B, positivo dopo la guarigione
da fase acuta della malattia o nei soggetti vaccinati;
HBcAb: anticorpi contro l'antigene del core virale (HBcAg), può esistere di due diverse classi di
immunoglobuline: la classe IgM è dosabile in fase acuta mentre la classe IgG lo è per tutta la vita;
HBeAg: antigene non corpuscolato del core virale; indica attività della malattia e della replicazione
virale, è presente in fase acuta e nel portatore cronico attivo;
HBeAb: anticorpo contro l'antigene non corpuscolato del core virale, compare nell'epatite acuta
quando comincia a risolversi; può essere presente anche nel portatore cronico sia attivo che
inattivo.
Il soggetto vaccinato presenta solo anticorpi di tipo HBsAb, che possono essere titolati.
Il sospetto di epatite virale cronica è in relazione a :
–
persistenza di valori di ALT superiori al limite superiore di riferimento (1-3 volte il
limite superiore)
–
positività per HBsAg per più di 6 mesi.
Diagnosi di laboratorio
L’infezione da Virus dell’epatite B può essere diagnosticata in laboratorio attraverso la ricerca di
marcatori sia di natura virale (ricerca degli antigeni virali), che dell’ospite (anticorpi).
Gli antigeni virali che si possono ricercare nel siero del paziente sono l’HBsAg e L’HBeAg, mentre gli
anticorpi specifici sono l’ HBsAb, l’HBcAb e l’HbeAb.
Deve essere specificata la richiesta di ognuno dei marcatori suddetti.
Test di approfondimento nel paziente con epatite cronica B sono la ricerca dell’HBV-DNA
quantitativo e del genotipo virale.
Preparazione del paziente
possibilmente a digiuno da 12/18 ore
25
-
Esecuzione prelievo e trasporto del campione
Per la ricerca dei markers sierologici prelevare mediante venopuntura circa 10 cc di
sangue periferico in provetta
opportunamente codificata ed
adatta ad
esami sierologici. La provetta
accompagnata da un modulo di richiesta, che
riporta anche i dati anagrafici del paziente ed alcune brevi notizie anamnestiche, và
inviata immediatamente in laboratorio o conservata per alcune ore a temperatura
di 2-4°C.
Per la ricerca del genoma virale è necessario inviare tre campioni di sangue raccolto
in provette con EDTA (provette per emocromo). Il trasporto del campione deve
seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici potenzialmente
infettanti.
Intrerpretazione dei markers dell’epatite B
Marker
Stadio
infezione
Acuta
(precoce)
Acuta(
in
risoluzione)
Cronica (alta
infettività)
Cronica
(bassa
infettività)
Guarigione
Vaccinazione
HBsAg
HBeAg
antiHBc
IgM
antiHBc
IgG
HBVDNA
AntiHBe
AntiHBs
+
+
+
+
+
-
-
+
-
+
+
-
+/-
-
+
+/-
-
+
+
-
-
+
-
-
+
-
+/-
-
-
-
-
+
-
+/-
+/-
-
-
-
-
-
-
+
26
Terapia
si attua in due situazioni:
1) in caso di presunta infezione entro 48h si può eseguire una profilassi passiva con iniezioni
di Immunoglobuline anti-HBV ovvero anticorpi diretti contro il virus ed iniziare la
vaccinazione completa;
2) in caso di infezione cronica la terapia consiste o nell'utilizzo di PEG-interferone
(tentativo di terapia eradicante, può portare anche alla stabilizzazione della malattia)
oppure con farmaci antivirali (es. lamivudina, adefovir, entecavir e tenofovir) che agiscono
impedendo al virus di replicarsi (terapia soppressiva, non eradicante: deve essere
continuata a lungo termine, spesso a vita).
Se un ospite risulterà affetto da epatite B verrà indirizzato all’infettivologo del territorio
o dell’ospedale che completerà l’iter diagnostico (esami di funzionalità epatica, dosaggio
dell’HBV-DNA, ecografia epatica, eventuale biopsia epatica).
Al termine dell’iter diagnostico verrà indicata la terapia appropriata al caso e le modalità
di follow up della stessa.
Vaccinazione
Negli adulti si somministrano tre dosi al tempo 0, e dopo 1 e 6 mesi. Non sono necessari richiami. I
vaccini
antiepatite
B
sono
efficaci
al
95%. La
durata
della
protezione
è
molto
lunga. verosimilmente, anche se non vi è certezza (il vaccino è in uso da quasi 20 anni) , la
protezione dura tutta la vita.
Effetti collaterali: La maggior parte delle persone che ricevono il vaccino dell'epatite B (65%) non
presenta alcun effetto collaterale. L’evento più frequente è la febbre. Reazioni locali si verificano
nel 20 % dei casi. Queste comprendono dolore, rossore e gonfiore nel punto dove è stata eseguita
l’iniezione; si verificano in genere entro 48 ore dalla vaccinazione e durano fino a un paio di giorni.
27
Distribuzione geografica dell’infezione
HBV
HBsAg Prevalenza
≥8% - Alta
2-7% - Intermedia
<2% - Bassa
28
EPATITE C
Introduzione
Sono oltre 250 milioni le persone infettate dal virus HCV nel mondo. In Italia oltre il 2% della
popolazione adulta è infetto. Esistono 6 diversi tipi di HCV (genotipi) diffusi in modo diverso nei
vari continenti; in Italia prevalgono i tipi 1b e 2a/c.
Eziologia
L’epatite C è sostenuta dall’HCV, un virus ad RNA a singola catena dalle dimensioni di circa 60 nm
appartenente ai Flavivirus.
Decorso clinico
Il periodo di incubazione dell’infezione è di circa 6-8 settimane. La maggioranza delle infezioni
acute è asintomatica e tende a cronicizzare nel 70% dei casi. I soggetti che si infettano in giovane
età hanno un rischio inferiore di evoluzione della epatite cronica in cirrosi epatica rispetto ad
individui che acquisiscono l’infezione dopo i 40 anni di età. Il 10-20% di tutti i pazienti con
infezione cronica può sviluppare cirrosi nell’arco di 20-40 anni, soprattutto in presenza di alcuni
fattori di co-morbidità (consumo di bevande alcoliche, sovrappeso corporeo, co-presenza di
malattie che accumulano ferro) e di una non ancora definita predisposizione individuale su base
genetica. La co-infezione con HBV e con il virus HIV facilitano la cronicizzazione e l’evoluzione
cirrotica. Il tumore epatico è una frequente tardiva complicanza della cirrosi causata da HCV. Lo
stato di infezione viene definito dalla dimostrazione del virus nel sangue (HCV-RNA). Il virus si
replica nel fegato e si trasmette mediante sangue e fluidi biologici infetti inoculati per via
percutanea.
Diagnosi di laboratorio
L’infezione da Virus dell’epatite C può essere diagnosticata in laboratorio attraverso test di
screening rapidi e molto sensibili, capaci di individuare l’infezione anche in una fase precoce .
Il test da richiedere in laboratorio come screening è la ricerca di anticorpi anti-HCV
con
metodiche ELISA o equivalenti. A causa della loro elevata sensibilità, i test di screening possono
dare, in alcuni casi, risultati positivi su soggetti sani mai venuti a contatto con il virus (falsi positivi).
29
Un risultato positivo ottenuto col test di screening deve essere completato con un test di
conferma e, se positivo, deve essere seguito dalla ricerca diretta quantitativa del virus (HCV-RNA)
e dalla determinazione del genotipo.
Preparazione del paziente
possibilmente a digiuno da 12/18 ore
-
Esecuzione prelievo e trasporto del campione
Per la ricerca degli anticorpi anti-HCV e per il test di conferma, prelevare mediante
venopuntura circa 10 cc di sangue periferico in provetta
adatta ad
esami
sierologici.
La provetta opportunamente codificata ed
accompagnata da un modulo di
richiesta, che riporta anche i dati anagrafici del paziente ed alcune brevi notizie
anamnestiche, và inviata immediatamente in laboratorio o conservata per alcune
ore a temperatura di 2-4°C. Per la ricerca del genoma virale è necessario inviare tre
campioni di sangue raccolto in provette con EDTA (provette per emocromo). Il
trasporto del campione deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di
campioni biologici potenzialmente infettanti.
Gestione della terapia nell’ospite del CIE
Se un ospite risulta affetto da epatite C cronica verrà indirizzato alle cure del caso presso la
struttura specialistica di riferimento. Presso tale struttura il paziente potrà essere seguito con
visita medica, ecografia e prelievi ematici. Dopo la valutazione specialistica verrà verificata la
possibilità di avviare il trattamento del caso.
Lo specialista dovrà considerare:
-
fattori predittivi di risposta al trattamento (genotipo, viremia, età, severità della
malattia e di recente anche la determinazione del genotipo dell’ Interleukina 28B);
-
stadio della malattia e quindi rischio di progressione nel breve-medio termine, in
particolare per i pazienti affetti da genotipo 1, meno responsivo al trattamento;
30
-
Età , co-morbilità ed attesa di vita in assenza di complicanze dovute all’epatite C;
-
Controindicazioni e rischi potenziali della terapia;
-
Motivazioni del paziente, dopo adeguata informazione sul trattamento, in quanto
l’aderenza alla terapia è di fondamentale importanza, in particolare per le forme da
genotipo 1.
Terapia
Gli interferoni peghilati, associati a ribavirina costituiscono oggi la terapia standard e sono capaci
di eliminare il virus in oltre l’80% delle infezioni sostenute dai genotipi 2 e 3 e nel 50% dei casi di
genotipo 1. Un ulteriore supporto terapeutico sarà fornito dall’immissione in commercio di nuovi
farmaci appartenente alla classe degli Inibitori delle Proteasi di prima generazione.
Le schedule di trattamento dipendono dal genotipo virale e dalla severità della malattia epatica
valutata istologicamente (entità della flogosi e della fibrosi).
Il paziente verrà istruito sulla malattia e sulle cure. Nel 10-15% dei casi possono insorgere effetti
collaterali che costringono a una precoce sospensione della terapia. La terapia antivirale non potrà
essere eseguita nel CIE nei pazienti con malattia epatica scompensata che dovranno essere inviati
e trattati presso Centri ospedalieri specializzati.
La terapia di combinazione richiede un monitoraggio con prelievi ematici e visite a tempi più
ravvicinati nei primi mesi di terapia per gli effetti collaterali dovuti alla ribavirina (anemia
emolitica, esantemi) e all’interferone (neutropenia, piastrinopenia, sindrome depressiva).
Andranno pertanto eseguiti periodicamente controlli dell’emocromo, della funzionalità epatica,
della funzionalità renale, della funzionalità tiroidea.
31
Pazienti naives
Genotipo 2 e 3:
Pazienti naives Genotipo 1/4
-PEG-INTERFERONE alfa2b 1.5 -PEG-INTERFERONE alfa2b
µg/Kg/settimana + ribavirina 1.5µg/Kg/settimana +
800 mg/die per 6 mesi
ribavirina 800 mg (< 75 Kg) o
1000-1200 mg (> 75 Kg)/ die
- PEG-INTERFERONE alfa 2a per 12 mesi
180 µg settimana + ribavirina
- PEG-INTERFERONE alfa 2a
800 mg/die per 6 mesi
180 µg settimana + ribavirina
- INTERFERONE alfa 3 MU/ 3 1000-1200 mg/die per 12 mesi
volte la settimana + ribavirina
1000 mg (< 75 Kg) o 1200 mg
(> 75 Kg)/ die
per 6 mesi
Pazienti naives che
presentano controindicazioni
alla ribavirina
- PEG-INTERFERONE alfa2b
1.0-1.5 µg/Kg settimana o
- PEG-INTERFERONE alfa2a 180
µg/settimana per 48 settimane
32
Pazienti con recidiva (relapsers)
o con assente risposta dopo
monoterapia con interferone
Genotipo 2\3
PEG-INTERFERONE alfa2b 1.5
µg/Kg/settimana + ribavirina 800
mg (< 75 Kg) o 1000-1200 mg (>
75 Kg)/ die per 6 mesi
- PEG-INTERFERONE alfa 2a 180
µg settimana + ribavirina 10001200 mg/die per 6 mesi
-IFN alfa 3 MU/ 3 volte la
settimana + ribavirina 1000 mg (<
75 Kg) o 1200 mg (> 75 Kg)/ die
per 6 mesi
Genotipo 1\4
PEG-INTERFERONE alfa2b 1.5
µg/Kg/settimana + ribavirina 800
mg (< 75 Kg) o 1000-1200 mg (>
75
Kg)/ die per 12 mesi
Pazienti con recidiva
(relapser) o con assente
risposta
dopo
monoterapia
con
interferone e
controindicazioni
alla
ribavirina
INTERFERONE alfa 5-6
MU/ 3 volte la settimana
per 12 mesi
PEG-INTERFERONE
alfa2b 1.0-1.5 µg/Kg
o
PEG- PEG-INTERFERONE alfa 2a 180 settimana
µg settimana + ribavirina 1000- INTERFERONE alfa2a 180
µg/settimana
1200 mg/die per 12 mesi
per 48 settimane
INTERFERONE alfa 5-6 MU/ 3
volte la settimana + ribavirina
1000 mg (< 75 Kg) o 1200 mg (>
75 Kg)/ die per 12 mesi
33
Gestione della terapia dell’epatite C nell’ospite
del CIE
L’ospite
affetto da
epatite C
cronica verrà
indirizzato
presso la
struttura
specialistica
di
riferimento .
Visita
Specialisti
ca
epatologic
a
Ecografia
epatica
Prelievi
ematici
Valutazione
specialistica
per avviare il
trattamento
del caso.
Gli interferoni
peghilati,
associati a
ribavirina
costituiscono
oggi la terapia
standard e
sono capaci di
eliminare il
virus in oltre
l’80% delle
infezioni
sostenute dai
genotipi 2 e 3 e
nel 50% dei
casi di
genotipo 1.
Il paziente verrà
istruito sulla
malattia e sulle
cure. Nel 10-15%
dei casi possono
insorgere effetti
collaterali che
costringono a una
precoce
sospensione della
terapia. I pazienti
con malattia
epatica
scompensata
dovranno essere
inviati e trattati
presso Centri
ospedalieri
specializzati.
34
EPATITE DELTA
Introduzione
Il virus dell’epatite delta colpisce solo le persone infettate dal virus dell'epatite B : si definisce
coinfezione se il paziente è simultaneamente infettato dall’HBV e dall’HDV,
si
definisce
sovrainfezione se il paziente infettato dall’HDV è già un portatore cronico di HBV.
I soggetti guariti da un'epatite B o vaccinati contro il virus dell'epatite B sono protetti dall’infezione
da virus Delta.
Eziologia
L’ HDV è un virus ad RNA definito difettivo poiché, per infettare le cellule necessita della presenza
del virus dell’epatite B (HBV). E’ costituito da un core interno (RNA e antigene delta HDVAg) e da
un rivestimento esterno costituito da HBsAg. Il virione completo misura 36 nm.
Vie di tasmissione
L’HDV è trasmesso per via parenterale apparente attraverso la somministrazione di sangue o
emoderivati contaminati o per via parenterale inapparente attraverso contatti interpersonali,
seguendo le stesse modalità di trasmissione dell'HBV.
Diagnosi di laboratorio
La diagnosi di coinfezione o sovrainfezione da HDV può essere diagnosticata tramite la ricerca
dell’antigene virale (HDVAg) e la ricerca di anticorpi specifici di classe IgG ed IgM.
I test da richiedere in laboratorio come screening sono la ricerca di anticorpi anti-HDV IgG ed IgM
ed il relativo antigene (HDV-Ag) con metodiche ELISA o equivalenti.
Preparazione del paziente
possibilmente a digiuno da 12/18 ore
35
Esecuzione prelievo e trasporto del campione
prelevare mediante venopuntura circa 10 cc di sangue periferico in provetta
adatta ad
esami sierologici.
La provetta opportunamente codificata ed accompagnata da un modulo di richiesta, che riporta
anche
i dati anagrafici del paziente ed alcune brevi notizie anamnestiche, và
inviata
immediatamente in laboratorio o conservata per alcune ore a temperatura di 2-4°C.
Il trasporto del campione deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici
potenzialmente infettanti.
EPATITE E
L’agente eziologico e’ un virus (HEV) che ha lo stesso meccanismo dell’HAV. La malattia ha le
stesse caratteristiche di quella A, con una quota maggiore di forme fulminanti ed un maggior
rischio per le donne in gravidanza. E’ diffusa nei paesi in via di sviluppo. Non esiste ancora un
vaccino.
La diagnostica dell’Epatite E si basa sulla ricerca degli anticorpi specifici.
In corso di infezione acuta sono precocemente determinabili anticorpi di classe sia IgM, sia IgG.
Quest’ultimi rimangono dosabili per anni dopo l’infezione, pertanto non hanno significato
diagnostico. Al contrario, gli anticorpi IgM sono presenti solo nell’infezione acuta o recente,
pertanto utili nella diagnosi.
Attualmente la diagnostica si completa con la ricerca del genoma virale nel siero o nelle feci,
utilizzando metodiche di amplificazione genica.
Sono stati descritti per il virus dell’Epatite E 4 genotipi, ciascuno con una specifica distribuzione
geografica.
36
PROTOCOLLO DIAGNOSI E GESTIONE DELLA MALATTIA
TUBERCOLARE
Introduzione
Gli ospiti del CIE sono ad elevato rischio di TBC. Ciò è dovuto ai seguenti fattori:
1) la maggior parte dei soggetti proviene da aree ad elevata endemia per la tubercolosi
2) la maggior parte ha vissuto un importante stress migratorio (viaggio e cattive condizioni
igieniche e nutrizionali nelle primissime fasi della migrazione)
3) un discreto numero sono tossicodipendenti
4) il regime di detenzione rappresenta un ulteriore fattore di rischio.
L’immigrazione da un Paese ad alta endemia tubercolare (l’OMS definisce come alta una incidenza
≥ 100 casi/100.000) rappresenta un importante fattore di rischio di riattivazione di una
preesistente infezione latente. Questo rischio si riduce con il tempo e tende a diventare uguale a
quello della popolazione autoctona entro 5 anni di soggiorno nel paese ospitante. Tuttavia, se le
condizioni socio-economiche dell’immigrato rimangono precarie, il rischio si mantiene
comparabile a quello del Paese di provenienza anche dopo i primi 5 anni.
La valutazione del rischio di sviluppare la TB in un soggetto immigrato deve quindi tenere conto di:
Paese di provenienza;
tempo trascorso dall’arrivo in Italia;
situazione socio-economica.
Sulla base di queste caratteristiche i cittadini immigrati possono essere classificati in:
Soggetti ad alto rischio se:
- provengono da Paesi ad alta endemia tubercolare, nei primi 5 anni di soggiorno in Italia;
- continuano a vivere in precarie condizioni socio-economiche anche dopo i primi 5 anni di
soggiorno in Italia;
37
Soggetti con livello di rischio comparabile a quello della popolazione residente se:
-
provengono da Paesi a bassa prevalenza di tubercolosi;
-
pur provenendo da Paesi ad alta endemia, vivono in Italia da almeno 5 anni e non si
trovano in condizioni di vita precarie.
Vanno in ogni caso considerati i fattori di rischio di ordine sanitario, individuale e sociale che
possono sommarsi, aggravandoli, a quelli specifici legati all’immigrazione.
Secondo l'OMS i Paesi ad alta endemia tubercolare (incidenza di tubercolosi stimata > 100
casi/100.000) sono quelli situati nelle aree geografiche indicate nella tabella seguente:
AFRICA
Angola
Guinea
Nigeria
Benin
Guinea Bissau
Rep. Centrafricana
Botswana
Liberia
Senegal
Burundi
Madagascar
Sierra Leone
Cameroun
Malawi
Somalia
Ciad
Mali
Sud Africa
Congo
Marocco
Sudan
Costa d'Avorio
Mauritania
Tanzania
Etiopia
Monrovia
Togo
Gabon
Mozambico
Uganda
Gambia
Namibia
Zaire
Ghana
Niger
Zambia
Bolivia
Haiti
Paraguay
Ecuador
Honduras
Perù
El Salvador
Nicaragua
Rep. Dominicana
Afghanistan
Corea
Nepal
Bangladesh
India
Pakistan
Bhutan
Laos
Thailandia
Cambogia
Mongolia
Vietnam
Cina
Myanmar
AMERICA CENTRALE E LATINA
ASIA
EUROPA
Macedonia
Georgia
Romania
Filippine
Melanesia
Polinesia francese
Indonesia
Micronesia
MEDIO ORIENTE
Iraq
OCEANIA
38
Ciclo di trasmissione e prevenzione
39
Definizione della malattia
La tubercolosi è una malattia infettiva, infiammatoria e cronica, in genere localizzata ai polmoni
ma che può colpire qualsiasi organo. La resistenza individuale alla tubercolosi dipende dallo stato
di salute e dalle condizioni generali di vita: un cattivo stato fisico, un ambiente affollato ed
insalubre, la malnutrizione ed altre condizioni sfavorevoli possono diminuire le difese immunitarie
e favorire l'insorgenza della malattia.
Eziologia
Gli agenti patogeni responsabili della tubercolosi umana sono bacilli
alcool-acido resistenti
appartenenti al genere Mycobacterium e le cui specie sono raggruppate in un unico complesso il
Mycobacterium Tuberculosis Complex (MTC).
Fanno parte dell’MTC i seguenti Micobatteri:
M. tuberculosis, M. canettii, M. africanum, M. bovis, M. bovis sub-caprae, M. bovis sub-BCG, M.
microti. I bacilli tubercolari si trasmettono per inalazione di aria inquinata da microgoccioline di
secreti infetti. I bacilli possiedono un alto grado di sopravvivenza come è dimostrato dalla loro
presenza per mesi in un espettorato essiccato, mentre nel corpo possono rimanere attivi per
decenni e riattivarsi a distanza di anni dalla infezione iniziale.
Sospetto di malattia in atto o pregressa
E’ importante che coloro che hanno avuto la malattia in passato vengano individuati attraverso
un’attenta anamnesi ed eventuale valutazione di documenti o radiografie in possesso dei soggetti.
I soggetti che riferiscono pregressa malattia tubercolare dovranno essere sottoposti a visita
infettivologica o pneumologica.
40
TUBERCOLOSI: IL CASE FINDING
41
Prevenzione della TBC
Il protocollo di sorveglianza epidemiologica prevede l’esecuzione della intradermoreazione
secondo Mantoux a tutti gli ospiti del CIE all’ingresso nella struttura.
La Mantoux verrà praticata dal personale sanitario della struttura utilizzando 5 U.I. di PPD.
La prova viene valutata positiva se l’infiltrato è maggiore di 10 mm alla lettura dopo 72 ore.
Tutti i soggetti risultati postivi saranno sottoposti a Rx torace ed in caso di dubbio a ricerca del BK
nell’espettorato.
Ai soggetti risultati cutipositivi al test di Mantoux va consigliata la chemioprofilassi.
Contatti, conviventi, compagni di stanza
Una rapida ed efficace indagine epidemiologica tra i contatti è essenziale ai fini della prevenzione
secondaria di TBC. Viene considerato paziente fonte un soggetto che presenta TBC polmonare o
laringea.
Sospetto clinico di malattia
Il sospetto clinico di malattia tubercolare deve essere posto nei pazienti che presentino:
− tosse persistente da oltre due settimane
− astenia persistente ed inappetenza
− febbricola serotina persistente
− sudorazioni notturne
− calo ponderale (non dovuto a dieta ipocalorica)
− linfoadenopatie persistenti da più di tre settimane.
Particolare attenzione andrà inoltre prestata a pazienti a rischio come pazienti infettati
dall’HIV, tossicodipendenti, alcolisti, diabetici, immuno-compromessi.
42
Diagnosi di laboratorio
La diagnosi microbiologica di tubercolosi riveste un ruolo rilevante per le strategie di lotta alla
malattia, infatti permette non solo per individuare i soggetti malati, ma anche di individuare
rapidamente quei pazienti eventualmente infettati da ceppi che presentano resistenze
farmacologiche importanti (ceppi MDR ed XDR).
La presenza di micobatteri tubercolari, rilevabile in laboratorio attraverso vari esami
microbiologici, permette di porre con certezza la diagnosi di tubercolosi. I sistemi diagnostici in
uso sono vari e presentano, oltre a tempi di esecuzione diversi, anche un grado di sensibilità
diverso.
1) L’esame batterioscopico è il test più rapido, ma anche il meno sensibile. Esso
permette di osservare la presenza o meno nel campione clinico di Bacilli alcoolacido resistenti e di stabilirne la quantità. E’ un esame molto utile nel monitoraggio
della terapia, infatti una negativizzazione di un esame precedentemente positivo o
la diminuzione del numero di bacilli osservati su vetrini allestiti in tempi successivi,
può dimostrare l’efficacia del trattamento farmacologico;
2) La ricerca di genoma di MTC direttamente da campione ha una sensibilità maggiore
rispetto alla microscopia e, se si ottiene un risultato positivo, permette di
identificare il MTC. Questo test non è utile nel monitoraggio della terapia poiché
evidenzia anche il materiale genetico di micobatteri non vitali;
3) l’esame colturale presenta tempi lunghi, ma sensibilità più elevata. E’ l’esame di
riferimento nella diagnostica tubercolare e permette di allestire il test di sensibilità
ai farmaci utilizzati nella terapia antitubercolare (antibiogramma) e di collezionare il
ceppo per eventuali test di approfondimento o per la tipizzazione.
43
Preparazione del paziente e modalità di raccolta dei campioni
Il paziente non deve essere in trattamento con farmaci attivi sui micobatteri. Se il paziente è in
trattamento con farmaci antibiotici bisogna segnalare al settore di micobatteriologia il tipo di
farmaco utilizzato, la posologia e la durata del trattamento. Per la raccolta dei campioni biologici
da sottoporre a ricerca di micobatteri devono essere utilizzati contenitori sterili con tappo a vite.
Al fine di aumentare la sensibilità diagnostica, per alcune raccolte che possono essere ripetute
agevolmente più volte, come l’escreato o l’urina, è necessaria la raccolta di tre campioni per tre
mattine consecutive. Nella tabella seguente sono riportati i campioni biologici e il numero di
campioni necessari.
Campioni biologici e modalità di raccolta:
Materiale
Quantità
Espettorato
espettorati
5/10 ml
Espettorato Indotto 5/10 ml
Aspirato gastrico
5/10 ml
Feci
>= 1 g
Tessuti
>= 1 g
Urine
Sangue
periferico
N° campioni
>= 50 ml
Campioni non idonei
3 campioni raccolti in tre mattine consecutive
saliva;pool di
3 campioni raccolti in tre mattine consecutive
3 campioni raccolti la mattina
campioni non tamponati con
Bicarbonato di sodio
campioni fissati
3 campioni raccolti la mattina
Tre mattine consecutive
urine delle 24 ore
5/10 ml
flaconi per emocoltura
campioni coagulati
Sangue
alcuni ml
mestruale
raccolti in provetta con
eparina al 2°-3° giorno
del flusso mestruale
campioni coagulati
44
Terapia e gestione dei malati
La diagnosi tempestiva e il trattamento efficace di tutti i casi, con particolare riguardo alle forme
polmonari con esame dell'espettorato positivo per micobatteri tubercolari, sono i cardini
fondamentali su cui si basa il controllo della tubercolosi. Il trattamento ha un duplice scopo:
a. perseguire la guarigione del soggetto ammalato;
b. ridurre il numero delle fonti di infezione presenti nella collettività, rendendo il paziente
non contagioso nel più breve tempo possibile. Il trattamento mal condotto, oltre ad avere
conseguenze negative nel singolo individuo, favorisce la persistenza di fonti di contagio e
l'acquisizione di farmacoresistenza.
Per un trattamento efficace sono indispensabili:
•
la prescrizione d'uno schema terapeutico corretto, con l'impiego obbligatorio di più farmaci
in associazione, per un periodo di tempo sufficientemente lungo e alla posologia corretta;
•
l'assunzione regolare dei farmaci da parte del paziente per tutta la durata della terapia
ricorrendo in caso di necessità anche al trattamento direttamente osservato;
Fanno parte integrante del corretto trattamento l'educazione alla terapia del paziente e la
continua supervisione del trattamento stesso da parte di personale sanitario qualificato.
Primo trattamento
Un caso nuovo farmacosensibile prevede una terapia d’attacco con 4 farmaci: Isoniazide,
rifampicina, etambutolo e pirazinamide per due mesi, ed una fase successiva di continuazione o
mantenimento con isoniazide e rifampicina per quattro mesi.
La fase di mantenimento può essere prevista per sei o nove mesi in rapporto alla localizzazione o
alla gravità della malattia.
45
Trattamento in caso di recidiva o fallimento terapeutico
In questi pazienti vi è il sospetto di resistenza ai farmaci. Pertanto, all'inizio del trattamento, va
sempre eseguito un test di sensibilità farmacologica. In attesa del risultato dell'antibiogramma,
vanno raccolte informazioni su:
•
•
•
test di sensibilità effettuati su eventuali precedenti isolamenti;
schema, dosi, compliance, modalità di somministrazione (DOT/autosomministrazione) di
un eventuale precedente trattamento;
eventuale malassorbimento.
La terapia dovrebbe essere iniziata preferibilmente in regime di ricovero. La scelta del regime
iniziale di trattamento deve comprendere non meno di 5 farmaci (RMP, INH, PZN, EMB, SM) e, in
caso di elevato rischio di multiresistenza o in caso di eventi epidemici da ceppi
multifarmacoresistenti, possono essere somministrati sino a 7 farmaci (aggiungendo un
fluorochinolonico e/o cicloserina o PAS). Lo schema terapeutico va quindi reimpostato non appena
disponibili i risultati dell'antibiogramma.
Se il test di sensibilità farmacologica effettuato all'inizio del trattamento ha escluso resistenza ai
farmaci antitubercolari maggiori, lo schema globale di terapia può essere il seguente:
•
•
fase iniziale: 5 farmaci (RMP; INH, PZN, EMB, SM) per 2 mesi seguito da 4 farmaci (RMP,
INH, PZN, EMB) per 1 mese;
fase di continuazione: INH, RMP, EMB per 5 mesi (5HRE).
Se il test di sensibilità farmacologica all'inizio del trattamento ha evidenziato resistenza a RMP o
INH, lo schema di terapia deve essere individualizzato ricorrendo al parere di un esperto di
gestione della tubercolosi multiresistente. La terapia deve essere effettuata sotto stretta
osservazione, preferibilmente in ambiente ospedaliero (almeno nella fase iniziale). In caso di
fallimento terapeutico, ogni variazione di terapia deve comprendere non meno di due farmaci
nuovi nello schema di ritrattamento e, in ogni caso, il trattamento deve essere individualizzato
ricorrendo al parere di un esperto di gestione della tubercolosi multiresistente. La durata totale
della terapia, per i casi di accertata multiresistenza, non deve essere comunque inferiore a 12 mesi
dopo la negativizzazione dell'espettorato. In casi selezionati va considerato l'approccio chirurgico.
In queste categorie sono compresi anche le recidive ed i fallimenti terapeutici in pazienti escreato
negativi.
46
Indagini Radiologiche
La radiografia standard del torace riveste un ruolo fondamentale nella diagnosi della TB
polmonare e va comunque sempre praticata, anche nelle forme extrapolmonari.
Sebbene alcuni quadri radiologici abbiano un’elevata specificità per una TB attiva (p.e. infiltrato
apicale escavato, adenopatia ilare, ecc.), nessun quadro radiologico permette di escludere a priori
la TB, compreso un Rx del torace normale, soprattutto in presenza di gravi depressioni
immunitarie e in particolare nei soggetti HIV positivi.
La TAC del torace si esegue di norma:
per la diagnosi differenziale con altre patologie polmonari (alcune delle quali possono
presentarsi anche in associazione alla TB) quali neoplasie, ascessi, infezioni fungine, fibrosi
polmonari, malattie interstiziali;
nei pazienti con Rx torace negativo e forte sospetto clinico di TB;
per identificare e valutare la presenza di adenopatie ilo-mediastiniche sospettate alla
radiografia standard del torace.
Gestione del paziente con TB
Il ricovero e l’isolamento ospedaliero sono indicati quando ci sia rischio di trasmissione
dell’infezione nei casi di pazienti che vivono in comunità.
Il paziente affetto da TB polmonare con escreato positivo andrà prontamente ricoverato.
Il paziente con TB polmonare escreato negativo, di fatto scarsamente contagioso, verrà inviato al
ricovero in caso di forma clinica grave e condizioni generali del paziente compromesse.
Il ricovero può essere giustificato anche in caso di recidiva, fallimento terapeutico con i farmaci di
prima linea e di recupero dopo abbandono, quando lo schema terapeutico è ancora in fase di
definizione.
47
Follow-up del paziente con TB
La malattia tubercolare deve essere seguita con regolarità, dal punto di vista clinico,
laboratoristico e strumentale, in modo da garantire il monitoraggio del decorso della malattia dal
tempo “0”, fino al risultato della terapia. Prima di iniziare il trattamento si deve delineare la
situazione di base in ordine all’obbiettività clinica e strumentale, allo stato batteriologico e alla
funzionalità dei principali organi. La cadenza dei controlli routinari riconosce momenti comuni a
tutte le forme cliniche, ma anche peculiarità relative allo schema terapeutico adottato e alla
localizzazione della malattia.
48
INDAGINI DA AVVIARE IN UN CASO DI SOSPETTA TUBERCOLOSI
• Indagine radiologica standard ( + altre indagini a giudizio
medico )
• Esame espettorato diretto e colturale su 3 campioni
• Tipizzazione ( differenziazione fra M.Tuberculosis ad altri M.)
• Determinazione delle resistenze ai farmaci e antibiogramma
• Esami ematici: Emocromo, piastrine, funzionalità epatica e
renale, acido urico, test HIV ,Sierologia per epatite A, B e C
nei soggetti a rischio
• Valutazione acuità visiva e discriminazione rosso / verde se il
paziente è in terapia con etambutolo
• VISITA INFETTIVOLOGICA E COLLOQUIO (cadenza mensile)
• Importanza della compliance, sintomi di farmacotossicità
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Indagini da avviare dopo il primo mese di terapia
• Es. espettorato diretto e colturale su 3 campioni per valutare
la risposta alla terapia e la compliance terapeutica
• Es. ematici
• Dosaggio delle transaminasi
• Visita e colloquio ( cadenza mensile o secondo indicazione
specialistica)
50
Le caratteristiche di contagiosità del caso
1) Il paziente:
Le caratteristiche da valutare sono quelle che testimoniano della capacità del caso di produrre
aerosol contenenti bacilli tubercolari:
•
la presenza di micobatteri all'esame microscopico diretto dell'espettorato (o lavaggio
gastrico o broncoalveolare) è il segno della massima infettività;
•
in caso di esame microscopico diretto negativo (la negatività deve essere osservata in
almeno tre campioni successivi), la presenza di bacilli tubercolari(Mycobacterium
tuberculosis, bovis o africanum) nella coltura dell'espettorato è un segno di contagiosità
potenziale, ma molto più ridotta che nel caso positivo all'esame diretto;
•
in caso di negatività dell'esame diretto e della coltura dell'espettorato, la contagiosità può
essere considerata come trascurabile. Per affermare la negatività dell'espettorato gli
accertamenti diretti e colturali devono essere eseguiti in tre diversi campioni prelevati in
giorni diversi;
•
la contagiosità diviene in genere nulla dopo meno di 2 settimane di trattamento efficace e
ben condotto. La maggioranza delle trasmissioni avviene prima della diagnosi e dell'inizio di
un trattamento efficace. Il rischio di contagio sotto trattamento persiste nel caso di una
multifarmacoresistenza primaria, che interessa contemporaneamente l'isoniazide e la
rinfampicina ed è attualmente ancora poco frequente in Italia;
•
la resistenza dei bacilli a uno solo degli antitubercolari maggiori utilizzati (si tratta in genere
dell'isoniazide) non diminuisce l'efficacia del trattamento standard raccomandato, che
prevede l'uso di 4 farmaci. Questa non ha alcuna influenza sulla contagiosità del malato.
Invece, la multifarmacoresistenza prolunga il periodo di contagiosità e aumenta di fatto il
rischio di trasmissione.
51
Altri fattori che influenzano il rischio di trasmissione sono:
•
la presenza di una caverna tubercolare (altamente bacillifera);
•
la laringite tubercolare (forma clinica divenuta eccezionale);
•
l'intensità e la durata della tosse;
•
le espirazioni spontanee (canto, grida, etc.) o provocate da manovre particolari (aerosol,
Kinesiterapia).
2) L'ambiente
La trasmissione dei bacilli tubercolari si verifica, attualmente, quasi esclusivamente per via aerea;
tutte le condizioni che influenzano la concentrazione dei bacilli nell'aria ambientale condizionano il
rischio di trasmissione.
52
53
3) Il tipo di contatto con il caso
Gli elementi da valutare sono la vicinanza al caso di tubercolosi contagiosa e il tempo trascorso a
contatto con il caso. Questi elementi consentono di classificare i contatti in tre categorie:
•
contatti stretti: persone che convivono con il caso o che hanno condiviso lo stesso spazio
confinato per numerose ore al giorno;
•
contatti regolari: persone che condividono regolarmente lo stesso spazio chiuso;
•
contatti occasionali: persone che condividono occasionalmente lo stesso luogo chiuso
Per la valutazione delle priorità di screening si può fare riferimento alla seguente tabella:
Tipo di contatto
Collettività
stretto
compagni di camera
regolare
frequentano regolarmente gli stessi
ambienti chiusi
occasionale
altri ( stessi spazi comuni)
Lo screening deve essere iniziato nelle persone che hanno avuto un contatto stretto e, per
opportunità, eseguito anche nelle persone che lo richiedono spontaneamente. La decisione di
estendere lo screening alle altre categorie sarà presa in considerazione sulla base della frequenza
di cutipositività trovata tra i contatti indagati, che può essere considerata come l'indicatore
dell'infettività realmente espressa dal caso nella specifica situazione ambientale. Se gli
accertamenti condotti tra i contatti stretti escludono che vi sia stata una trasmissione, l'indagine
può essere limitata a questo gruppo. In caso contrario, devono essere esaminati i contatti regolari
e, analogamente, se vi è evidenza di avvenuta trasmissione dell'infezione tra i soggetti di questa
seconda categoria, l'indagine deve essere estesa anche ai contatti occasionali.
Lo screening deve essere sempre considerato per i soggetti particolarmente vulnerabili,
soprattutto persone con infezione da HIV.
54
Screening Iniziale (tempo zero)
Tutti i contatti devono essere sottoposti a test di intradermoreazione secondo Mantoux con 5 U.I.
Quanti risultano positivi (in questo caso contatti cutipositivi > 5 mm) verranno sottoposti a Rx
torace. La radiografia del torace verrà eseguita indipendentemente dal risultato del test
tubercolinico nelle persone anziane, immunodepresse o con infezione da HIV. Tra questi soggetti il
rilievo di un test alla tubercolina negativo non è sufficiente per escludere la presenza d’una
tubercolosi attiva.
a) Rx positivo: proseguire l'iter diagnostico e iniziare tempestivamente la terapia.
b) Rx negativo: chemioterapia preventiva, se soggetto non vaccinato in precedenza con BCG. Nelle
persone vaccinate l'opportunità della chemioterapia preventiva deve essere valutata tenendo
conto dell'entità dell'esposizione, dell'età, del tempo trascorso dall'effettuazione del BCG
(l'immunità si attenua in 10-15 anni) e del fatto che l'infiltrato in un soggetto vaccinato, di
norma, non supera i 10 mm.
Nei soggetti HIV positivi la chemioterapia va eseguita sempre, anche se vaccinati.
- Contatti cutinegativi < 5 mm: ripetere intradermoreazione secondo Mantoux dopo due mesi.
Nei contatti cutinegativi di età < 15 anni o con infezione da HIV, deve essere iniziata la
chemioprofilassi in attesa del successivo controllo a 2 mesi.
Controllo dopo 2 mesi
Ripetere l'intradermoreazione secondo Mantoux a tutti i contatti risultati negativi al primo
controllo.
- Contatti cutipositivi > 5 mm: eseguire Rx.
a) Rx positivo: proseguire l'iter diagnostico e iniziare tempestivamente la terapia.
b) Rx negativo: chemioterapia preventiva. Nei soggetti anziani l'aumento delle dimensioni
dell'infiltrato può essere dovuto all' "effetto booster" e quindi deve essere interpretato con
prudenza. Se si tratta di soggetti di età < 15 anni in cui era stata iniziata la chemioprofilassi,
proseguire la chemioprofilassi per ulteriori 4 mesi.
55
Chemioterapia preventiva antitubercolare (chemioprofilassi)
Per chemioterapia preventiva antitubercolare si intende l'assunzione di farmaci antimicobatterici
per un periodo definito, per prevenire, nei soggetti nei quali sia già avvenuto il viraggio
tubercolinico, la progressione da infezione a malattia tubercolare; il termine chemioprofilassi deve
essere invece riservato ai tentativi farmacologici atti ad impedire l'infezione tubercolare in soggetti
a rischio di contagio.
L'utilità della chemioterapia preventiva è dimostrata dal fatto che si ritiene che su 100.000
soggetti infettati dal M.T. e non trattati, si sviluppi la malattia dal 5 all'8% dei casi (a seconda che si
tratti di Paesi industrializzati o di Paesi in via di sviluppo); si ritiene infatti che la sua applicazione
sia efficace nel prevenire la progressione dall'infezione alla malattia in una percentuale variabile
dal 54% all'88% nelle statistiche statunitensi, fino al 93% secondo quelle europee.
Il criterio di prescrizione della chemioterapia preventiva è basato sul rischio di comparsa di
malattia tubercolare che può dipendere da condizioni socio-ambientali, da condizioni patologiche
e
costituzionali,
dall'età
e
dalla
risposta
dell'esame
tubercolinico.
In base a questi criteri, è possibile identificare i soggetti a rischio di progressione dall'infezione alla
malattia tubercolare da sottoporre a chemioterapia preventiva.
Allo stato attuale, il farmaco scelto in tutto il mondo per attuare la chemioterapia preventiva è
l' isoniazide in base a controlli di efficacia, maneggevolezza, tolleranza ed economicità.
L'Isoniazide deve essere somministrata alla dose di 5-10 mg/kg/die (massimo 300 mg/die
nell'adulto) per una durata minima di sei mesi, con l'eccezione dei soggetti HIV positivi, nei quali la
durata deve essere almeno di un anno. Nel caso di difficoltà di somministrazione giornaliera si
potrà adottare una somministrazione bisettimanale alla dose di 15 mg/kg/die (massimo 900
mg/die).
Schemi alternativi prevedono l’associazione di Rifampicina 600 mg + Isoniazide 300 mg per 3 mesi
o Rifampicina 600 mg per 4 mesi in caso di resistenza a Isoniazide.
56
Controlli da effettuare in corso di chemioterapia preventiva
1) esami ematochimici (VES, Glicemia, Azotemia, Bilirubinemia, AST, ALT, Fosfatasi Alcalina,
Gamma GT, Emocromo) all'inizio del trattamento;
2) per i soggetti inferiori a 50 anni, ricerca degli anticorpi anti HIV all'inizio del trattamento (previo
consenso informato);
3) controlli periodici a giudizio del centro specialistico di riferimento
4) somministrazione controllata del farmaco negli ospiti del CIE in considerazione della possibile
bassa compliance
5) esame radiologico del torace al termine del trattamento.
Segnalazione del caso di malattia
Qualsiasi caso di TB attiva, anche sospetto, deve essere segnalato da parte del medico entro 48
ore alle U.O. di Medicina Preventiva o di Igiene e Sanità Pubblica.
Notifica
I casi accertati di TB vanno notificati come malattia infettiva di classe III attraverso un apposito
modello di notifica finalizzato a raccogliere informazioni più complete sul malato, sull’agente
eziologico, gli strumenti diagnostici, i fattori di rischio, ecc., che deve essere trasmesso al SISP o al
Dispensario Funzionale non appena ottenute le informazioni ivi contemplate
57
PROTOCOLLO GESTIONE INFEZIONI SESSUALMENTE TRASMESSE
Introduzione
Le malattie sessualmente trasmesse (MTS) rappresentano un importante problema di sanità
pubblica per i risvolti di tipo sanitario, sociale ed economico. Gli immigrati sono esposti alle
malattie sessualmente trasmesse in relazione a fattori di rischio specifici, come la provenienza da
Paesi ad alta endemia, l’età giovanile, la prevalente condizione di single e la quasi totale assenza di
campagne di informazione in tema di MTS rivolte agli immigrati.
Definizione
Si definiscono MST infezioni che riconoscono modalità di contagio diretto degli agenti infettivi,
tramite contatti sessuali. Nel XIX secolo, con lo sviluppo delle moderne scienze biologiche, furono
identificate alcune malattie riconducibili ad agenti eziologici trasmissibili tramite rapporti sessuali,
definite Malattie Veneree (MV): sifilide, gonorrea, linfogranuloma venereo, ulcera molle,
granuloma inguinale. L’approfondimento delle conoscenze in campo microbiologico e clinico, ha
condotto all’emergenza e all’individuazione delle MST di “seconda generazione”: Trichomonas
vaginalis, Chlamydia trachomatis, Mycoplasma spp, Herpesvirus (HSV)1/2, una notevole varietà di
tipi di Papillomavirus umani (HPV) e il virus dell’epatite B (HBV). A completare lo scenario, a
partire dal 1980 è comparsa l’epidemia da HIV, responsabile dell’attuale pandemia di AIDS, che
riconosce una via di trasmissione sessuale, etero o omosessuale, in oltre l’80% dei casi. Oggi si
riconoscono più di 30 malattie classificate come MST e la lista è in costante espansione.
58
Epidemiologia
Dal rapporto del Sistema di sorveglianza delle MST, relativo al periodo gennaio 1991 - giugno
1995, emerge che più del 10% dei pazienti MST è risultato essere straniero, di cui oltre il 50%
proveniente dall'Africa. Circa la distribuzione delle patologie per sesso, tra gli uomini si è notata
una preponderanza delle uretriti aspecifiche, mentre fra le donne è stata maggiormente
diagnosticata la sifilide latente sieropositiva. I pazienti stranieri presentano una proporzione tripla
di gonorrea e doppia di sifilide rispetto ai pazienti italiani, in cui invece si è riscontrata una
frequenza relativa doppia di condilomatosi ano-genitali e quasi doppia di cervicovaginiti
aspecifiche.
Sintomi che devono far sospettare una MST
• Secrezione patologica dalla vagina o dal pene
• Dolore o bruciore alla minzione
• Edema in regione genitale o perigenitale
• Sanguinamenti vaginali anomali o crampi mestruali insoliti e gravi
• Prurito in regione genitale o anale
• Dolori pelvici e durante l’atto sessuale
• Rash cutanei o lesioni del cavo orale
Prevenzione delle Malattie sessualmente trasmesse
Adeguata igiene personale
Accorto stile di vita
Uso corretto del preservativo
Evitare rapporti a rischio con partner occasionali
Evitare rapporti in caso di lesioni evidenti sui genitali del partner o se lo stesso è in
trattamento per MST
In caso di diagnosi di MST avvisare il partner
Non condividere biancheria intima da bagno e altri oggetti igienici personali
59
Se un ospite
lamenta secrezione uretrale o disuria
Approfondire l’anamnesi
ed eseguire accurato esame
obiettivo
Eventuale spremitura uretrale
Secrezione assente
Secrezione presente
Educare il paziente, fare counselling,
promuovere l’uso del condom, proporre il
test HIV, rivalutare il paziente dopo una
settimana
Eseguire il tampone ed avviare il
trattamento per gonorrea o
Chlamydia.
60
Il paziente lamenta la presenza di
ulcere dolenti in regione genitale
Raccolta anamnestica
ed esame obiettivo
Se presenza di dolore, ulcere,
vescicole
Se negativa
Educare, consigliare condom,
proporre test HIV.
Anamnesi positiva per presenza di
vescicole ricorrenti, ulcere
diagnosi di herpes simplex
terapia, educazione, counseling,
proporre test HIV
Anamnesi negativa per ulcere
ricorrenti
sospettare sifilide
trattare, educare, counselling
61
GONORREA
E’ una delle più comuni MST. E’ causata da un germe Neisseria gonorrhoeae. La trasmissione
avviene per via vaginale o anale, meno per via oro-genitale. Sono colpiti prevalentemente
soggetti giovani (90% dei casi). Il rapporto maschi/femmine 1:1 (variabile). Altri fattori di rischio
sono bassi livelli socio-economici, uso di droghe, prostituzione.
Periodo di incubazione: 2-5 giorni per l'uretrite, 5-10 per l'infezione cervicale; l'1-10% degli
uomini e il 20-40% delle donne rimane asintomatico.
Sintomatologia: perdite uretrali o vaginali, disuria, perdite ematiche intermestruali o menorragie.
Esame obiettivo: Nella donna infetta può esserci essudato endocervicale purulento o
mucopurulento; talvolta essudato purulento dall'uretra, dalle ghiandole periuretrali o dalle
ghiandole del Bartolini. Nel maschio può esserci secrezione uretrale spontanea o alla spremitura,
tipicamente giallastra ma talvolta poco purulenta.
Trattamento:
Data la diffusione di ceppi di Neisseria gonorrhoeae resistenti a penicillina e tetracicline è
preferibile l'uso di altri antibiotici, preferibilmente in regime monodose e attivi per un'eventuale
infezione da Chlamydia trachomatis. Vanno trattati anche i casi sospetti e i partner sessuali. Il
farmaco di scelta è rappresentato dal Ceftriaxone (Rocefin fl da 250 mg) 250 mg i.m. in singola
dose, (1,6) seguito da Doxiciclina (Bassado et al. cps 100 mg) 100 mg due volte al dì per una
settimana. In alternativa si può usare inizialmente:- Spectinomicina (Trobicin fl da 2 g) 2 g i.m. in
dose singola; o Cefixime (Cefixoral et al. cpr da 400 mg) 400-800 mg per os o Cefotaxime
(Claforan o Zariviz fl da 1 g) 1 g i.m. o Ceftizoxime (Eposerin fl da 500 mg) 500 mg i.m. o
Ciprofloxacina (Ciproxin o Flociprin cpr da 500 mg) 500 mg per os o Norfloxacina (Noroxin et al.
cpr da 400 mg) 800 mg per os seguito da:
- Tetraciclina HCL (Acromicina et al. cps da 250 mg) 500 mg per os 4 volte al dì per una
settimana; oppure
-
Eritromicina (Eritrocina bust. da 1 g) 2 g al dì per una settimana
62
GRANULOMA INGUINALE O DONOVANOSI
Causata da: Calymmatobacterium granulomatis è una infezione relativamente rara,
attualmente in aumento, si trasmette presumibilmente per via sessuale ed il periodo di
incubazione va da due settimane a tre mesi..
Sintomatologia: una o più ulcere genitali, non dolenti, con fondo "carnoso", talvolta
ipertrofiche senza essudato purulento; l'estensione sottocutanea può portare alla formazione
di una massa inguinale (pseudobubbone).
Trattamento:
Tetraciclina HCL (Acromicina cps da 250 mg) 500 mg per os quattro volte al dì, per 10-21 giorni
o fino a completa guarigione; in alternativa Sulfametossazolo-Trimethoprim (Bactrim forte cpr
800/160) una cpr per os due volte al dì per una settimana.
SIFILIDE
E’ causata da una Spirochetacea non coltivabile in vitro, il Treponema pallidum. E’ una
infezione in aumento e si può trasmettere per via sessuale, connatale e perinatale. L'incidenza
maggiore coincide con l'età di massima attività sessuale. Vi è una lieve prevalenza nel sesso
maschile (rischio maggiore nei maschi omosessuali e bisessuali). Altri fattori di rischio sono
l’uso di droga, la prostituzione. Altre possibilità di trasmissione non veneree sono: il bacio
umido se ci sono lesioni sulle labbra o all’interno della bocca. Condizioni di vita caratterizzate
da scarsa igiene e il sovraffollamento possono creare le condizioni socio-economiche per
frequenti occasioni di contagio extrasessuale e quindi di contatto cutaneo tra bambini e
giovani adulti (sifilide endemica). Il periodo di incubazione può variare da 2 a 6 settimane.
La sifilide è una malattia che, se non curata, ha decorso cronico. La sua evoluzione è
suddivisibile nei periodi di incubazione primario, secondario, di latenza e terziario.
Classificazione:
La sifilide si divide in acquisita e congenita.
La sifilide acquisita si suddivide a sua volta in:
- precoce: sifilide primaria, la secondaria e la precoce latente (con
comparsa entro i primi 2 anni)
63
- tardiva: sifilide tardiva latente (>2 anni), sifilide terziaria con gomme ed il coinvolgimento
cardiovascolare e neurologico.
La sifilide congenita è suddivisa in:
- precoce (primi 2 anni)
- tardiva
Sintomatologia
Nella sifilide primaria: sifiloma (nodulo unico, non dolente, duro, eroso, con essudato scarso o
assente); linfoadenopatia regionale (di solito bilaterale, con linfonodi duri, non fluttuanti, non
dolenti). Non sono presenti sintomi sistemici.
Nella sifilide secondaria: spesso eruzione, non pruriginosa, papulo-desquamativa, generalizzata,
che caratteristicamente interessa il palmo dalle mani e la pianta dei piedi. Altre manifestazioni
comuni sono: placche mucose, condilomi piani genitali o perianali, alopecia a chiazze,
linfoadenopatia generalizzata, febbre, cefalea e malessere. Sul cuoio capelluto può apparire
un’alopecia a chiazze rotondeggianti e diradamento della porzione esterna dei sopraccigli.
All’insieme di questi aspetti clinici possono associarsi sintomi generici quali malessere, febbre,
cefalea, scarso appetito, dolori muscolari e articolari. Il periodo secondario è un periodo di alta
contagiosità. Esaurita questa fase (2-3 anni) la sifilide entra nel periodo di latenza ossia in una fase
priva di segni e sintomi della malattia. E’ uno stadio di durata variabile (2-10 anni) a cui vanno
incontro soggetti che non hanno mai eseguito alcun tipo di trattamento.
Sifilide tardiva (oggi rara): gomma luetica (lesioni nodulari che tendono a rammollirsi al centro
facendo uscire un liquido gommoso), neurosifilide tardiva (paralisi progressiva, tabe dorsale),
lesioni cardio-vascolari.
Diagnosi di laboratorio
La Sifilide può essere evidenziata in laboratorio attraverso vari sistemi di diagnosi sierologica.
Quelli utilizzati come screening sono:
la Veneral Disease Research Laboratory (VDRL) che è un test non treponemico (minore
specificità),
il test Treponema pallidum Hemoagglutination (TPHA). Una positività a questi test deve essere
seguita dall’esecuzione di un test di conferma con metodica Western Blot per la ricerca di
anticorpi anti-T. pallidum di tipo IgG ed IgM. Altri sistemi diagnostici comprendono la metodica
immunoenzimatiche (EIA o ELISA) o di immunofluorescenza indiretta (FTA-ABS).
64
Preparazione del paziente:
possibilmente a digiuno da 12/18 ore
Materiale necessario:
Sistema per prelievo ematico e provetta per sierologia (provetta priva di anticoagulante)
Esecuzione prelievo e trasporto del campione:
Prelevare mediante venopuntura circa 10 cc di sangue periferico.
La provetta opportunamente codificata, insieme ad un modulo di richiesta esami, che riporta
anche i dati anagrafici del paziente ed alcune brevi notizie anamnestiche,
va
inviata
immediatamente in laboratorio.
Il trasporto del campione deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici
potenzialmente infettanti.
Terapia
La terapia di scelta è la penicillina G benzatina (Penicillina potassica Squibb fl da 1.200.000 UI)
2,4 milioni di UI i.m. in dose singola per le forme primarie, secondaria e latente precoce. Nella
forma latente tardiva il trattamento prevede 2,4 milioni di penicillina G benzatina a settimana
per 3 settimane. Nei casi in cui non può essere utilizzata la penicillina G benzatina le
alternative sono: tetracicline (Bassado et al. cps da 100 mg: 100 mg per os due volte al dì p er
2 settimane), eritromicina (Eritrocina cpr da 200 mg 500 mg per os 4 volte al dì per 2
settimane), ceftriaxone (Rocefin fl da 250 mg: 250 mg i.m. al dì per 10 gg.)
65
INFEZIONI DA CHLAMYDIA
Descrizione
Circa 500 milioni di persone nel mondo sono state infettate dal serovar tracoma e circa 9 milioni
sono diventate cieche . Il tracoma è endemico in Medio-Oriente, Nord Africa ed India Il principale
serbatoio di infezione sono i bambini. Causata da Chlamydia trachomatis, nei paesi industrializzati
l’incidenza è 3-4 volte maggiore di quella della gonorrea. La trasmissione avviene esclusivamente
per via sessuale o perinatale. E’ più comune nelle popolazioni di basso livello socio-economico e
scolastico. Il periodo di incubazione va da una a tre settimane.
Sintomatologia
Molte infezioni rimangono asintomatiche. I sintomi e i segni più comuni sono le perdite uretrali o
vaginali; uretrite, disuria, proctite, epididimite, cervicite muco-purulenta, salpingite, malattia
infiammatoria pelvica (PID).
Trattamento:
La Doxiciclina (Bassado cps da 100 mg) 100 mg per os due volte al dì per una settimana è il
farmaco di prima scelta. In gravidanza il farmaco di scelta è l'eritromicina.
L’uso del preservativo riduce, anche se non elimina, il rischio di infezione. Le persone infette
dovrebbero comunque astenersi da qualsiasi attività sessuale fino all’ottenimento di un riscontro
diagnostico di negatività, a distanza di tre-quattro mesi dopo la cura.
66
Diagnosi di laboratorio delle MST
Raccolta di secrezioni uretrali
La ricerca di Micoplasmi, Ureaplasmi, Clamidia e Trichomonas richiede prelievi separati con
sistemi di trasporto specifici, pertanto, per questo tipo di richiesta, è necessario rivolgersi al
laboratorio che esegue i test per avere le necessarie informazioni.
Alcuni microrganismi possono essere ricercati con tecniche di diagnostica molecolare o con sistemi
di immunofluorescenza diretta (IF) o con tecniche immunoenzimatiche.
Anche in questo caso, prima dei effettuare il prelievo, se non si conoscono le tecniche utilizzate
dal laboratorio, bisogna contattarlo.
Preparazione del paziente:
1) Avere cessato qualsiasi trattamento chemioterapico da almeno 7 giorni
2) Astenersi dai rapporti sessuali nelle 48 ore precedenti la raccolta
3) Non urinare nelle ultime 3 ore, prima di sottoporsi al prelievo
4) Effettuare accurato lavaggio dei genitali esterni
Materiale necessario:
Esistono in commercio specifici tamponi sterili di dimensione ridotta adatti per prelievo uretrale,
tali tamponi permettono una più agevole raccolta e sono raccomandati.
Per la ricerca dei germi comuni e dei miceti: tampone sterile per prelievi uretrali con terreno di
trasporto per germi comuni.
Per la ricerca dei micoplasmi ed ureaplasmi: tampone sterile per prelievi uretrali e specifico
terreno di raccolta e trasporto (chiedere in laboratorio).
Per la ricerca di clamidia: tampone sterile per prelievo uretrale ed apposito sistema di raccolta e
trasporto (chiedere in laboratorio).
Per la ricerca di Trichomonas : tampone sterile per prelievo uretrale ed apposito sistema di
raccolta e trasporto (chiedere in laboratorio).
Esecuzione del prelievo e trasporto del campione:
il paziente maschio deve essere disteso sul lettino; se si tratta di paziente di sesso femminile, la
posizione raccomandata è quella ginecologica.
67
Il tampone deve essere inserito in uretra per circa 1-2 cm e fatto ruotare prima di estrarlo, per
riporlo nel terreno di trasporto.
Se sono presenti secrezioni spontanee vanno raccolte col tampone.
Effettuare il numero di tamponi necessario per ogni specifica ricerca.
I tamponi, insieme con il foglio di accompagnamento del campione che riporta i dati anagrafici del
paziente ed alcune brevi notizie anamnestiche, vanno inviati immediatamente in laboratorio o
conservati con le modalità ed i tempi previsti da ciascun sistema diagnostico.
Il trasporto dei campioni deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici
potenzialmente infettanti.
Raccolta di secrezioni vaginali
La ricerca di Micoplasmi, Ureaplasmi, Clamidia e Trichomonas richiede prelievi separati con
sistemi di trasporto specifici, pertanto, per questo tipo di richiesta, è necessario rivolgersi al
laboratorio che esegue i test per avere le necessarie informazioni.
Alcuni microrganismi possono essere ricercati con tecniche di diagnostica molecolare o con sistemi
di immunofluorescenza diretta (IF) o con tecniche immunoenzimatiche, anche in questo caso,
prima dei effettuare il prelievo, se non si conoscono le tecniche utilizzate dal laboratorio, bisogna
contattarlo.
Preparazione della paziente:
1) Avere cessato qualsiasi trattamento chemio-terapico da almeno 7 giorni;
2) Astenersi dai rapporti sessuali nelle 48 ore precedenti la raccolta;
3) Essere lontana dal periodo mestruale;
4) Non avere eseguito irrigazioni vaginali nelle precedenti 24 ore;
5) Il giorno del prelievo la paziente può effettuare il lavaggio dei genitali esterni solo con
acqua.
Materiale necessario:
Speculum
Tamponi sterili per eventuale rimozione di muco.
Tampone sterile con terreno di trasporto per la ricerca di per germi comuni e miceti
Tampone sterile e specifico terreno di raccolta e trasporto (chiedere in laboratorio per la ricerca
di ureaplasmi e mycoplasmi).
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Tampone sterile ed apposito sistema di raccolta e trasporto per la ricerca di Clamidia t. (chiedere
in laboratorio)
Tampone sterile ed apposito sistema di raccolta e trasporto (chiedere in laboratorio) per la ricerca
di Trichomonas .
Esecuzione del prelievo e trasporto del campione:
la paziente deve porsi in posizione ginecologica . Lo speculum deve essere inserito senza l’utilizzo
di sostanze lubrificanti, ad eccezione di soluzione fisiologica.
Se è presente muco, questo va allontanato, prima di eseguire i prelievi, con tamponi.
Il tampone per Germi comuni e miceti e quello per Trichomonas va eseguito nel fornice posteriore
della vagina, strisciando il tampone dall’alto verso il basso.
I tamponi per Micoplasmi/Ureaplasmi e per Clamidia vanno eseguiti prelevando dall’esocervice ed
endocervice.
I tamponi, insieme con il foglio di accompagnamento del campione che riporta i dati anagrafici
della paziente ed alcune brevi notizie anamnestiche, vanno
inviati immediatamente
in
laboratorio o conservati con le modalità ed i tempi previsti da ciascun sistema diagnostico.
Il trasporto dei campioni deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici
potenzialmente infettanti.
CANDIDOSI
L’infezione da candida è una delle più frequenti MST. La candida è un fungo che è normalmente
presente in varie mucose dell’organismo (vagina, bocca, apparato digerente). In condizioni
particolari (malattie debilitanti, altre MST, non corretta igiene intima) la candida si può sviluppare
in modo anomalo e provocare infezioni. Nell’uomo l’infezione avviene quasi esclusivamente per
via sessuale, nella donna per via sessuale o attraverso biancheria infetta, water non puliti, per
autoinfezione attraverso le feci. I sintomi nell’uomo sono scarsi e consistono nella maggior parte
dei casi in una balanopostite, nella donna vi può essere leucorrea, prurito e bruciore
vulvovaginale. Il sospetto diagnostico viene posto con la visita medica e la diagnosi di certezza si
ottiene eseguendo gli esami microbiologici (tampone vaginale,tampone balano-prepuziale).
La terapia prevede l’uso di antimicotici topici o, in casi selezionati, antimicotici per os. La terapia
va estesa al partner per evitare reinfezioni.
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CONDILOMATOSI
L’agente eziologico dei condilomi è il papillomavirus umano (HPV), appartenente alla famiglia dei
Papovavirus.
Alcuni HPV sono i responsabili dell’insorgenza del tumore al collo dell’utero, tuttavia si tratta di tipi
differenti da quelli che determinano la condilomatosi ano-genitale. La via di trasmissione è, nella
maggior parte dei casi, quella sessuale.
La trasmissione attraverso le mani o l’utilizzo di oggetti non può essere escluso, ma è
epidemiologicamente irrilevante.
Quadro clinico
Il virus è responsabile dell’insorgenza di:
- Forme floride, caratterizzate dalla presenza di condilomatosi genitale (perianale, perineale,
vulvare, peniena). La lesione è spesso asintomatica; nei casi sintomatici può dare bruciore, senso
di peso, prurito. I condilomi si possono dividere in acuminati e piatti.
Diagnosi
La diagnosi è sostanzialmente clinica. E’ possibile, anche se non generalmente indicato,
l’identificazione dell’HPV con tecniche di identificazione genica, che permettono anche la
caratterizzazione del tipo virale.
Terapia
Laserterapia; Diatermocoagulazione;
- Podofillina 10-25% in tintura composta di benzoino: applicazione vaginale una volta alla
settimana su un area massima di 2 cm2 da asciugare prima di ritirare lo speculum.
- Acido tricloroacetico 80-90%: singola applicazione.
Ripetere ogni settimana se necessario spolverando con talco o bicarbonato di sodio l’area trattata
dopo ogni applicazione
- Imiquimod crema uso topico: 3 volte / settimana per 16 settimane
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PROTOCOLLO PER LA DIAGNOSI E LA GESTIONE
DELLA MALARIA
Introduzione
La malaria è una malattia infettiva endemica in più di 100 paesi del mondo di cui circa la metà
situati nell’Africa subsahariana. Ogni anno nel mondo si verificano da 300 a 500 milioni di casi
sintomatici.
L’Italia è stata dichiarata paese libero da malaria nei registri dell’OMS dal 1970. Tutte le
segnalazioni successive della malattia hanno riguardato infezioni contratte durante viaggi
all’estero con l’eccezione di una decina di casi trasmessi da trasfusioni o aghi infetti, punture di
zanzare trasportate in Italia da container provenienti da Paesi tropicali.
Eziologia
La malattia è causata da parassiti unicellulari detti plasmodi. Quattro sono i plasmodi patogeni per
l’uomo:
Plamsodium falciparum che causa la terzana maligna (responsabile di circa il 40-60 % di malaria
nel mondo e del 95% dei casi mortali con un tasso di letalità 1-3%),
Plamodium ovale e vivax che causano la malaria terzana benigna,
Plasmodium malariae che causa la malaria quartana benigna.
I plasmodi sono trasmessi all’uomo dalle punture di zanzare del genere Anopheles a loro volta
infettatesi da altri uomini.
Sintomatologia
Gli attacchi malarici sono ciclici; si manifestano con febbre alternata da periodi liberi, cefalea,
malessere generale, affaticamento, nausea, dolore muscolare, lieve diarrea.
La malaria grave si caratterizza per i seguenti sintomi: alterazione dello stato di coscienza, delirio,
convulsioni generalizzate, coma.
Le morti per malaria possono essere attualmente prevenute con i seguenti interventi:
misure di controllo dei vettori, zanzariere per ridurre le punture di insetto, diagnosi precoce di
malaria, accesso a trattamenti efficaci, accesso a trattamenti preventivi.
71
Notifica della malattia
La malaria è una malattia infettiva soggetta a notifica obbligatoria.
La malaria nei CIE
Nei CIE lo screening per malaria (test rapido e striscio ematico) va effettuato nei casi a rischio:
•
soggetti provenienti da aree fortemente endemiche (Africa)
•
soggetti che riferiscono pregressa malattia nei Paesi di origine.
L’immunità che molti immigrati presentano per malaria può ridursi nel tempo e di conseguenza la
malattia si può presentare in forma sintomatica a distanza di tempo dall’arrivo in Italia.
I casi positivi saranno inviati allo specialista infettivologo per ulteriori accertamenti e per avviare le
cure del caso.
Potranno essere trattati in regime extraospedaliero i casi asintomatici o scarsamente sintomatici
privi di segni di malattia grave (alterazione dello stato di coscienza, ittero, oliguria, anemia severa
o ipoglicemia, conta dei parassiti > 100.000 micrl o >2%, vomito, acidosi).
Diagnosi di laboratorio
La malaria deve essere diagnosticata tempestivamente. Sono attualmente disponibili in
laboratorio sistemi rapidi che permettono di individuare antigeni tipici dei parassiti malarici in
breve tempo. Alla positività di questi test deve seguire un esame emoscopico che, oltre a
confermare la diagnosi, darà un indice della parassitemia (necessario per le parassitemie da
plasmodium falciparum).
Esecuzione prelievo e trasporto del campione:
prelevare mediante venopuntura sangue periferico in una provetta contenente anticoagulante
(esempio: provetta per emocromo).
La provetta opportunamente codificata, insieme ad un modulo di richiesta esami, che riporta
anche i dati anagrafici del paziente ed alcune brevi notizie anamnestiche, va inviata
immediatamente in laboratorio.
Il trasporto del campione deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici
potenzialmente infettanti.
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Terapia
Il tipo di trattamento verrà scelto dal clinico in base ad alcuni parametri: la specie del parassita in
causa, l’indice di parassitemia, l’età del paziente, il profilo di sicurezza e di efficacia dei vari
preparati antimalarici.
SCREENING PER MALARIA
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GESTIONE DI UN CASO DI SOSPETTA MALARIA
74
GESTIONE POST DIMISSIONE DI UN CASO DI MALARIA
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76
PROTOCOLLO DIAGNOSI E GESTIONE PARASSITOSI INTESTINALI
Introduzione
Le parassitosi intestinali sono infezioni opportunistiche distribuite in tutto il globo, in Italia,
accanto alle forme presenti nel paese, si devono aggiungere altre forme non abituali importate da
Paesi in via di sviluppo (regioni tropicali e sub-tropicali) attraverso i flussi migratori. Mentre gli
elminti sono sempre da considerare patogeni, le infestazioni di alcuni protozoi devono essere
valutate attentamente, soprattutto in riferimento allo stato immunitario del paziente.
Eziologia
Le parassitosi intestinali sono sostenute da:
Protozoi : amebe, flagellati, ciliati, coccidi e microsporidi
Elminti : nematodi, cestodi e trematodi.
Distribuzione geografica delle principali parassitosi intestinali dei rifugiati (CDC)
GLOBALE
Ascaris
lumbricoides
Trichuris
trichiura
Hookworm
Strongyloides
stercoralis
AFRICA
Schistosoma
mansoni
ASIA
AMERICA
LATINA
MEDIO
ORIENTE
Fasciolopsis
buski
Taenia solium EchinoSudest Asia:
coccus
Opisthorchis
Schistosoma
viverrini
mansoni
Giardia
Opisthorchis
Clonorchis
guayaquilensis
sinensis
(Ecuador)
Schistosoma
haematobium
intercalatum
Taenia
saginata
(speciamente
Etiopia
e Schistosoma
Eritrea)
japonicum
mekongi
EUROPA DELL’EST
Diphyllobothrium
latum
Opisthorchis
felineus
Enterobius
vermicularis
Fasciola
Sud
Asia:
Taenia solium
Hymenolepis
Giardia
intestinalis
(lamblia)
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Trasmissione
La via di trasmissione è quella fecale-orale. L’uomo si infetta ingerendo le larve, le uova, le cisti o
le oocisti presenti in alimenti o acque contaminate, o attraverso le mani per scarsa igiene. Il
miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e l’educazione sanitaria possono prevenire
efficacemente il diffondersi di tali malattie.
Quadri clinici
Per alcune parassitosi la sintomatologia può essere assente o con quadri molto sfumati. Il
sospetto clinico si basa, oltre che sulla esposizione del soggetto per comportamenti a rischio, su
presenza di alcuni disturbi di tipo gastrointestinale quali: diarrea, dissenteria, occlusione
intestinale, disappetenza, nausea, vomito, dolori addominali, prurito anale, stipsi o anche quadri
di anemia, perdita di peso, stato ansioso .
Diagnosi di laboratorio
Le parassitosi intestinali da protozoi e da elminti possono essere diagnosticate in laboratorio
tramite l’osservazione microscopica diretta di campioni di feci opportunamente preparati, oppure
dopo avere effettuato colorazioni differenziali. Degli elminti vengono ricercati i vermi adulti, le
uova o le larve; dei protozoi vengono ricercate le cisti o i trofozoiti. Alcune parassitosi possono
essere diagnosticate anche attraverso la ricerca sierologica di anticorpi specifici. Ogni laboratorio
determina il sistema diagnostico da utilizzare, le modalità di raccolta, di conservazione e di
trasporto dei campioni fecali, pertanto, è opportuno, prima di eseguire la raccolta dei campioni,
informarsi presso il laboratorio di riferimento sui sistemi di raccolta e di trasporto disponibili.
Alcuni laboratori utilizzano appositi sistemi di raccolta, che contengono un liquido che conserva i
campioni fecali
(liquido fissativo). Tali sistemi permettono la conservazione dei campioni a
temperatura ambiente e per molto tempo. Altri laboratori non hanno sistemi specifici di raccolta,
in questo caso i campioni possono essere raccolti in contenitori sterili (contenitori per
coprocoltura). La ricerca di uova di ossiuri può essere effettuata tramite raccolta di materiale a
livello delle pliche anali, utilizzando un tampone sterile ed una provetta contenente qualche cc di
soluzione fisiologica. L’esecuzione preventiva di un emocromo può essere utile, poiché
l’infestazione da parassiti si associa spesso a valori elevati di eosinofilia.
78
Raccolta dei campioni fecali
Preparazione del paziente:
Il paziente non deve essere in trattamento con farmaci antiparassitari.
Materiale necessario:
Contenitori sterili con tappo a vite o sistemi di raccolta e conservazione con liquido fissante
Modalità di raccolta e trasporto dei campioni:
Al fine di aumentare la sensibilità dell’esame, è utile raccogliere tre campioni di feci a giorni
alterni. Le feci devono essere emesse su una superficie asciutta e pulita (es. padella da letto, foglio
di carta, sacchetto di plastica e non devono essere contaminate con urina. Se il laboratorio non è
fornito degli appositi contenitori contenenti liquido di conservazione, prelevare qualche grammo
di feci in un contenitore sterile con tappo a vite utilizzando un abbassalingua o un cucchiaino di
plastica. Durante la raccolta prelevare da più punti e, se presenti, da zone con muco o sangue. Se
si utilizzano contenitori con liquido fissante, rispettare la quantità di feci richiesta ed
omogeneizzare perfettamente le feci con il liquido agitando il contenitore ben chiuso.
I campioni raccolti in contenitori senza liquido fissante vanno portati immediatamente in
laboratorio, i campioni raccolti in contenitori con liquido fissante possono essere conservati a
temperatura ambiente e inviati in laboratorio alla fine della raccolta di tutti e tre i campioni.
Il trasporto del campione deve seguire le raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici
potenzialmente infettanti.
Raccolta di materiale dalle pliche anali per uova di ossiuri
Preparazione del paziente:
Il paziente non deve essere in trattamento con farmaci antiparassitari e non deve avere defecato
prima del prelievo.
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Materiale necessario:
Tamponi sterili e provette tipo falcon da 15 ml con tappo a vite contenenti 2-3 ml di soluzione
fisiologica
Modalità di raccolta e trasporto dei campioni :
La raccolta di tre campioni raccolti a giorni alterni deve essere effettuata di mattina , poiché le
femmine dei parassiti depositano le uova nelle pliche anali durante la notte. Il paziente non deve
aver defecato e non deve effettuare nessuna pulizia anale. Distendere le pliche anali con le dita e
strisciare più volte il tampone sulle pliche anali in modo da raccogliere il campione. Stemperare il
tampone nella soluzione fisiologica e scartarlo. I campioni così raccolti vanno identificati con i dati
del paziente ed inviati in laboratorio al più presto. Il trasporto del campione deve seguire le
raccomandazioni per il trasporto di campioni biologici potenzialmente infettanti.
Terapia
Le parassitosi da protozoi possono essere trattate con:
-
derivati benzoimidazolici come l’Albendalolo per trattare le infezioni da microsporidi
-
derivati nitroimidazolici come il Metronidazolo per Entamoeba e il Furazolidone per Giardia
Le parassitosi da Nematodi possono essere trattate con Pirantel pomoato, Mebendazolo,
Albendazolo e Levamisolo (non disponibile in Italia) che sono molecole attive su Ascaris, Trichuris,
Hookworm, Enterobius.Il Thiabendazolo è il farmaco di elezione per i trattamenti antiStrongiloides.
Le Parassitosi da Cestodi, come le Tenie, possono essere trattate con Praziquantel (non disponibile
in Italia) o con Niclosamide in dose singola.
80
Screening Parassitologico
Malattia
Ricerca diretta
Teniosi
Esame parassitologico feci e
scotch test
Esame parassitologico feci
Esame parassitologico feci e
scotch test
Esame parassitologico feci o
urina
Ascaridiosi
Ossiuriosi
Schistosomosi apparato
digerente o apparato
urinario
Tripanosomosi americana
ed africana
Oncocercosi
Giardiosi
Amebiasi
Leishmaniosi cutanea
Leishmaniosi viscerale
Cisticercosi
Tricuridosi
Trichinellosi
Criptosporidiosi
Strongiloidosi
Fialariosi
Malaria
Ancylostomosi
Toxocarosi
Esame emoscopico
Esame microscopico
Esame microscopico feci e/o
succo duodenale e ricerca di
antigeni
Esame microscopico feci
Esame microscopico lesione
cutanea
Esame microscopico midollo
e PCR
Esami Sierologici
Anticorpi anti-Schistosoma
Anticorpi anti-T. brucei o T.
cruzi
Anticorpi anti-amebe
Anticorpi anti-Leishmania
Anticorpi anti-cisticerco
Esame parassitologico feci
Anticorpi anti-trichinella
Esame microscopico feci e
ricerca antigeni
Esame parassitologico feci
Esame emoscopico
Esame emoscopico, PCR e
ricerca di antigeni
Esame parassitologico feci
Anticorpi anti-Strongiloides
Anticorpi anti-filaria
Anticorpi anti-toxocara
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GESTIONE DI UN CASO DI SCABBIA
Introduzione
La scabbia è una parassitosi cutanea riscontrabile in entrambi i sessi ed in tutte le età.
Fattori di rischio sono la mancanza di igiene, la promiscuità.
Modalità di trasmissione. Il contagio avviene quasi esclusivamente per trasmissione diretta da
individuo infestato, raramente per trasmissione sessuale oppure indirettamente per contatto con
indumenti o con biancheria del letto.
Eziologia. Il parassita in causa è l'acaro Sarcoptes scabiei varietas hominis, parassita umano
obbligato. La vita di un acaro adulto è di 28-42 giorni.
Clinica. La lesione patognomonica della scabbia è il cunicolo, che appare lievemente rilevato, di
colore bruno chiaro, a decorso tortuoso, largo circa 1 mm e lungo 5-10 mm, con un estremo più
superficiale ricoperto da una piccola squama (ingresso del cunicolo) e l’altro più profondo
costituito da una vescicola nella quale si annida la femmina adulta. I fenomeni di ipersensibilità
agli acari e ai loro prodotti sono responsabili dell’insorgenza di papule e noduli. Sedi preferenziali
delle manifestazioni cutanee sono le regioni interdigitali, i polsi, sedi genitali maschili e femminili, i
cavi ascellari, le pieghe inguinali ed i glutei. ll prurito è il sintomo più importante della scabbia;
peggiora la notte ed insorge dopo 3-6 settimane dal contagio.
Il prurito è espressione di una reazione immune e quindi è variabile da soggetto a soggetto, è
ritardato rispetto al momento dell’infestazione, può persistere per breve tempo dopo il
trattamento senza assumere il significato di fallimento terapeutico.
Diagnosi. La diagnosi presuntiva si basa su sintomi riferiti dal paziente come prurito (più intenso di
notte), la sede tipica delle lesioni, la storia familiare e ambientale di promiscuità. La diagnosi di
certezza si ha con il reperimento dell’acaro e/o di uova nella cute tramite microscopio.
Terapia. I farmaci di scelta per il trattamento cutaneo sono: l’emulsione al 20% di benzoato di
benzile, la piretrina e ed emulsioni a base di permetrina da applicare su tutto il corpo e da ripetere
dopo il primo ciclo almeno un’altra volta. Il prurito può persistere per qualche settimana, anche
dopo l’eradicazione del parassita.
82
GESTIONE E PREVENZIONE DELLA PEDICULOSI
Pediculosi del capo
Eziologia. La pediculosi del capo è una parassitosi causata da un insetto ematofago speciespecifico dell'ordine Anoplura, il Pediculus humanus capitis, comunemente chiamato pidocchio.
Trasmissione. La trasmissione si verifica soprattutto per contatto diretto con la testa di una
persona infestata. Sono necessari circa 30 secondi affinché un pidocchio si trasferisca da una testa
all’altra. Occasionalmente il pidocchio può essere trasmesso tramite veicoli (pettini, spazzole,
cuscini, ornamenti per capelli, cappelli ecc.) utilizzati da persone infestate.
Sintomatologia. Molto spesso non ci sono sintomi, a un attenta osservazione si possono però
vedere le uova del parassita (lendini). Possono essere presenti: solletico, sensazione di qualcosa
che si muove tra i capelli prurito, causato da una reazione allergica alle punture che a volte
possono causare piccole lesioni da grattamento.
Terapia. Scegliere un prodotto antiparassitario in gel, lozione, schiuma, crema. Ripetere il
trattamento dopo 7 giorni. Un buon prodotto deve possedere le seguenti proprietà:
alta azione ovocida (esempio: Permetrina all’1%, Piretrina, Piperonilbutossido, Malathione 0,5%) e
bassa tossicità. Recentemente sono stati messi in commercio prodotti che agiscono in modo fisico:
avvolgendo i pidocchi e le uova con una pellicola, che li fa soffocare: Dimeticone al 4%, ostruendo
l’apparato respiratorio.
83
Pediculosi del corpo
Eziologia. Lo Phthirus pubis, comunemente chiamato piattola per la sua forma schiacciata, è
un insetto parassita dell'uomo che infesta le zone coperte da peli. Dopo l'accoppiamento, la
femmina di Phthirus pubis depone giornalmente circa 10 uova, chiamate léndini, ancorandole
saldamente al fusto del pelo. In seguito all'infestazione, tali parassiti svolgono la loro attività
ematofagica provocando il tipico quadro clinico.
Trasmissione. La pediculosi del pube può essere trasmessa attraverso il contatto (di tipo sessuale)
con soggetti portatori o attraverso l'utilizzo di biancheria infestata. Dal pube, può diffondersi
allo scroto, alle cosce, alla regione perianale e alle ascelle.
Sintomatologia. Il quadro clinico è dominato dall'intenso prurito nelle zone colpite. Nelle zone di
puntura possono inoltre essere evidenziate le macule cerulee, macchie bluastre di pochi millimetri
ed intensamente pruriginose. In un contesto anamnestico dominato da prurito in zona pubica,
l'esame obiettivo con riscontro di léndini e parassiti ha un valore patognomonico.
Terapia. Benché le lendini possano essere facilmente eliminate con un pettine a denti stretti in
seguito al lavaggio della zona pubica con una soluzione calda contenente acido acetico, la
disinfestazione completa avviene solo attraverso l'utilizzo di emulsionanti, shampi o polveri a base
di permetrina, lindano o alcuni petroli sintetici. Tali composti devono essere applicati
frequentemente e per un lungo periodo per evitare recidive.
84
85
GESTIONE DELLE DERMATOMICOSI
Introduzione
Le dermatomicosi (tinee) sono micosi superficiali, cioè incapaci solitamente di diffondere nel
derma e nei tessuti sottostanti, molto diffuse.
Eziologia.I dermatofiti (che non fanno parte della normale flora cutanea) sono miceti filamentosi
in grado di metabolizzare la cheratina presente nell’epidermide. Nel raggruppamento sono
compresi tre generi: Trichophyton, Microsporum ed Epidermophyton. Sono patogeni per la cute e
gli annessi cutanei (unghie, peli e capelli).
Trasmissione. I dermatofiti si trasmettono per contatto diretto o indiretto tramite l' uso comune di
pettini, spazzole, asciugamani, ecc. contaminati. Sempre più comune è l'infezione da funghi zoofili
(che colpiscono solitamente gli animali) grazie alla sempre maggior diffusione degli animali da
compagnia. Frequenti tra gli animali sono i portatori asintomatici.
Diagnosi Microbiologica. La raccolta di campioni di cute e di annessi cutanei deve essere
preceduta dalla disinfezione con alcool al 70%. Devono essere raschiati i margini periferici della
lesione utilizzando un bisturi sterile e raccogliendo le scaglie in un contenitore sterile, i capelli
vanno raccolti con pinzette sterili.
Terapia. Le dermatofitosi della cute "glabra" (tinea corporis e tinea faciei) vengono trattate con
successo con i soli antimicotici locali applicati una o due volte al giorno, purchè la cura venga
eseguita con costanza, per un tempo adeguato (20-30 giorni) e fino a totale scomparsa delle
lesioni.
86
Bibliografia
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87
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Autori Vari Micobatteriologia Clinica Selecta Medica, 2008
Percorsi diagnostici su: www.amcli.it
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Gruppo di Lavoro:
Dott. Lorenzo Antonio Surace (Infettivologo - Referente Scientifico)
Dott.ssa Laura Pontoriero (Infettivologa – Pediatra)
Dott. Salvatore Nisticò (Microbiologo)
Dott.ssa Angela Latella (Infermiera Professionale)
Dott.ssa Alessandra Cugnetto (Mediatrice Culturale)
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