Fisica dello Stato Solido Richiami di fisica classica Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Elettronica a.a.10-11 http://www.de.unifi.it/FISICA/Bruzzi/fss.html Sommario Termodinamica • Primo principio della Termodinamica • Gas Ideale – Teoria Cinetica dei gas ideali • Calori specifici molari • Secondo principio della termodinamica • Entropia Onde elettromagnetiche • Spettro delle Onde elettromagnetiche • Diffrazione • Interferenza • Diffrazione con Raggi X su cristalli e legge di Bragg Primo principio della termodinamica Sistema termodinamico : insieme di uno o piu’ corpi di composizione nota che si trovano in una regione dello spazio delimitata da superfici ideali o reali che li distinguono fisicamente dagli altri corpi o sistemi con cui essi possono interagire e che costituiscono l’ambiente circostante del sistema. Universo = sistema + ambiente Sistema aperto Se tra sistema e ambiente avviene scambio di energia e materia Sistema chiuso Se tra sistema e ambiente avviene solo scambio di energia Sistema isolato Se tra sistema e ambiente non avvengono scambi di energia e materia Lo stato del sistema termodinamico viene descritto mediante un insieme di grandezze fisiche misurabili dette coordinate o variabili termodinamiche. Il numero minimo di grandezze fisiche necessario a descrivere completamente uno stato non è fissato, ma dipende dalle caratteristiche chimico.fisiche del sistema. Nel caso che vedremo di gas ideale questo numero è 3, ad esempio p,V,T. Considero un sistema termodinamico descrivibile con tre coordinate termodinamiche macroscopiche (e.g. p,V,T). Il sistema è in uno stato di equilibrio termodinamico se, ferme restando le condizioni esterne dovute all’ambiente, le coordinate termodinamiche non variano. Perciò lo stato termodinamico è detto di equilibrio quando le variabili termodinamiche che lo caratterizzano sono costanti nel tempo. In uno stato di equilibrio sussiste in generale una precisa relazione tra le coordinate termodinamiche: f(pV,T) = 0, tale relazione viene chiamata equazione di stato. Se viene meno lo stato di equilibrio avviene una trasformazione termodinamica ed il sistema passa da uno stato iniziale A ad uno finale B, considereremo A e B stati di equilibrio. Supponiamo di avere eseguito una trasformazione A → B e di voler riportare il sistema allo stato iniziale: se nel fare ciò anche l’ambiente è ritornato allo stato iniziale allora la trasformazione si dice reversibile, altrimenti la trasformazione si dice irreversibile. In una trasformazione reversibile si conoscono tutti gli stati intermedi assunti dal sistema nel passare dallo stato iniziale a quello finale, è quindi possibile ripercorrere la trasformazione all’inversoIl sistema passa da una molteplicità di stati di equilibrio mediante trasformazioni infinitesime con variazioni dp, dV, dT. Tutto ciò non vale per la irreversibile. Due sistemi in diversi stati termodinamici possono interagire tra loro. Nel caso in cui tra loro vi sia una parete diatermica ( conduttore termico ) essi evolvono spontaneamente verso un nuovo stato, detto di equilibrio termico. Se i due sistemi sono invece separati da una parete adiabatica ( isolante termico ) essi restano nei loro stati termodinamici iniziali ( a meno che non venga compiuto lavoro meccanico su di essi). Per caratterizzare l’equilibrio termico fra i sistemi si introduce una nuova grandezza, detta temperatura. Per definizione quindi, due sistemi che sono in equilibrio termico fra loro hanno la stessa temperatura. Principio zero della Termodinamica: Due sistemi separatamente in equilibrio termico con un terzo sistema sono in equilibrio termico tra di loro. Sulla base del principio zero è possibile procedere alla misura della temperatura utilizzando un sistema campione: il termometro. Consideriamo ora un sistema racchiuso da pareti adiabatiche, esso non subirà variazioni di temperatura e le interazioni con l’ambiente esterno dovranno essere di natura esclusivamente meccanica. In generale sappiamo che il lavoro effettuato dall’ambiente sul sistema dipende sia dagli stati finale ed iniziale che dal tipo di trasformazione attuata. Nel caso della trasformazione adiabatica invece, si verifica sperimentalmente che il lavoro dipende solamente dagli stati iniziale e finale. E’ quindi possibile definire una grandezza, detta energia interna Ui, tale che: W = - ∆Ui = Uiiniziale - Uifinale Una proprietà importante che ne discende è che l’energia interna è una funzione di stato del sistema, definita a meno di una costante additiva, in quanto la sua definizione operativa fornisce la grandezza come differenza tramite il lavoro adiabatico. Consideriamo invece il caso in cui siano consentiti scambi anche di tipo termico (pareti diatermiche). Eseguendo trasformazioni diverse che portano dallo stato iniziale allo stesso stato finale si osserva che il lavoro dipende sia dagli stati iniziale e finale che dal tipo di trasformazione adottata. Inoltre, se la trasformazione non è adiabatica, si osserva che: W ≠ − ∆U i Si introduce quindi una nuova grandezza fisica, detta calore, Q, tale che valga, per qualsiasi trasformazione compiuta tra lo stato iniziale e quello finale la relazione seguente: Q − W = ∆U i Primo Principio della Termodinamica Usualmente, (ma non sempre ! vedi e.g. trasformazione a T = costante ) un corpo che scambia calore varia anche la sua temperatura. Consideriamo un corpo che scambiando il calore Q vari la sua temperatura da Ti a Tf. Si definiscono le quantità: δQ C= δT Capacità termica 1 δQ c= m δT Calore specifico 1 δQ c= n δT Calore specifico molare Osserviamo inoltre che il lavoro eseguito per passare da uno stato a Volume V1 ad uno stato a Volume V2 può essere sempre valutato come: sB sB V2 sA sA V1 W = ∫ F ⋅ ds = ∫ pAds = ∫ pdV Gas ideale Considero un sistema di N particelle contenute in un recipiente chiuso e fermo in un sistema di riferimento inerziale. In generale le particelle risulteranno in movimento e interagiranno tra loro con forze che supponiamo conservative. Consideriamo in particolare che siano valide le seguenti assunzioni: 1) l’interazione tra le particelle ha raggio d’azione trascurabile, esse si muovono perciò come particelle indipendenti l’una dall’altra, cioè (tra un urto con le pareti e il successivo) di moto rettilineo uniforme. Tale movimento è del tutto casuale visto che non esistono posizioni o direzioni privilegiate. 2) Gli urti delle molecole con le pareti del recipiente sono praticamente istantanei e completamente elastici ( pareti lisce e di massa infinita ). 3) Il volume occupato dalle particelle è trascurabile rispetto a quello del recipiente. Tale modello è ragionevolmente applicabile ai gas rarefatti , cioè in condizioni di bassa pressione e temperatura elevata rispetto al punto di liquefazione. In tal caso parliamo di gas ideale. Teoria cinetica dei gas ideali Considero per semplicità un recipiente cubico di lato L ed un gas ideale composto da particelle identiche di massa m. Una particella urta contro una parete piano (y,z) con velocità v1, dopo l’urto ha velocità v2, se la parete è liscia le componenti lungo y e z sono inalterate mentre la vx si è invertita, dato che la parete ha massa infinita e l’urto è elastico v1 = v2. La variazione di quantità di moto della particella i-esima nell’urto è: y v1 ∆pi = -2mvxiux La particella va avanti e indietro urtando le pareti, non urta le altre particelle ( gas rarefatto ) e si muove tra urti successivi di moto rettilineo uniforme . In un intervallo ∆t esegue ∆t un numero di urti pari a : N = ∆t v2 x 2 L / v xi ed in ciascun urto scambia l’impulso Ii = 2mvxi. Quindi l’impulso scambiato in ∆t da tutte le particelle è: I = ∑ I i =∑ 2mvxi N ∆t = ∑ 2mvxi ∆t ∆t = ∑ mvxi2 2 L / vxi L L’impulso per unità di tempo è pari alla forza media esercitata dal gas sulla parete, essa è pari a: m Fx = v ∑ L 2 xi A tale forza corrisponde una pressione sulla parete: p= Fx m m mN 1 = 3 ∑ v xi2 = ∑ v xi2 = A L V V N mN 2 2 v = ∑ xi V vx Ripetendo le stesse considerazioni per le altre pareti otteniamo risultati analoghi. Poiché sperimentalmente risulta che la pressione è la stessa su tutte le pareti, deve valere che: 2 2 2 vx = v y = vz Essendo inoltre v 2 = v x2 + v y2 + v z2 Otteniamo: v x2 = v2 3 mN 2 . Sia U = 1 mv 2 energia cinetica media delle particelle K v Risulta perciò: p = 2 3V Otteniamo: 2 pV = NU K 3 Equazione di stato dei gas ideali Si verifica che in un sistema idrostatico di massa costante le tre coordinate macroscopiche pressione, temperatura e volume non sono indipendenti, ma deve esistere una relazione analitica che lega le tre coordinate: f(p,V,T) = 0: ad essa viene dato il nome di equazione di stato di quel particolare sistema. Definiamo: mole = numero di atomi contenuti in 12g dell’isotopo del carbonio avente numero di massa 12 n= numero di moli = massa espressa in grammi / peso molecolare o atomico = m/mA Numero di Avogadro NA = Numero di atomi o molecole contenute in una mole = 6.02x1023 mol-1 Per il gas ideale valgono le leggi sperimentali: pV = cos t. Legge di Boyle valida per le trasformazioni a temperatura costante VT = V0 βT Legge di Charles o I legge di Gay Lussac valida per le trasformazioni a pressione costante pT = p0 βT II legge di Gay Lussac valida per le trasformazioni a volume costante Con: β = 1 C −1 273.15 p0 e V0 pressione e volume del gas a 0 C, T in Kelvin. Valgono inoltre le due leggi di Avogadro: -Una mole di qualsiasi sostanza contiene NA = 6.02x1023 molecole/ atomi -Volumi uguali di gas diversi nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole ( e quindi lo stesso numero di moli ). Dalle leggi sopra viste otteniamo: 1 p n,T costanti Vα T n,p costanti Vα Vα n Da cui segue: p,T costanti pV = cos t.nT Si trova cioè l’equazione di stato dei gas perfetti pV = nRT R = costante universale dei gas, dal valore sperimentale R = 8.31 J/molK Scriviamo anche: nR = nN A K B = NK B con KB = costante di Boltzmann = 1.38x10-23 J/K N = numero di particelle del gas L’equazione di stato: pV = NK BT unita alla relazione: pV = 2 NU K 3 Ci porta ad una relazione tra temperatura del gas ideale ( grandezza macroscopica) ed energia cinetica media delle particelle ( grandezza microscopica ): UK = 3 K BT 2 Energia cinetica totale del gas ideale alla Temperatura T: U Ktot = NU K = 3 nRT 2 Calori specifici dei gas ideali Consideriamo alcune trasformazioni interessanti del gas ideale Isocora ( volume costante ): W = 0; Q = ∆Ui 1 δQ 1 dU i cV = = n δT V =cos t n dT Poiché Ui è funzione di stato deduciamo che , per qualsiasi altra trasformazione, possiamo sempre scrivere : dU = nc dT i che si traduce nell’espressione del primo principio: Differenziamo la: pV = nRT Si ha: ottenendo: δQ = ncV dT + nRdT − Vdp V δQ = ncV dT + pdV pdV + Vdp = nRdT Isobara ( pressione costante ): W = p∆V; Definiamo calore specifico a pressione costante Allora vale : E quindi: 1 δQ cp = n δT p =cos t nc p dT = ncV dT + nRdT c p = cV + R Relazione di Mayer Abbiamo mostrato prima come per una particella di cui non si consideri la struttura interna ( molecola monoatomica ) l’energia cinetica media si può esprimere come UK = 3 K BT 2 In tal caso l’energia interna del gas si ottiene moltiplicando tale energia cinetica per il numero di atomi che compongono il gas 3 3 U i = NK BT = nRT 2 2 Poiché una molecola monoatomica ha tre gradi di libertà è come se ciascuna particella contribuisse in media all’energia interna con un’energia: 1 2 ε = K BT Per ciascun grado di libertà. Questa affermazione può essere effettivamente giustificata da un punto di vista statistico attraverso il Teorema di equipartizione dell’energia utilizzabile quando al sistema si può applicare la termodinamica statistica classica: In un sistema che si trovi in equilibrio termodinamico alla temperatura T ogni termine quadratico indipendente della sua energia interna ha un valore medio pari a 1 . 2 K BT Da ciò, per un gas ideale monoatomico: cV = 3 R 2 cp = 5 R 2 Per un gas biatomico, è necessario considerare i due atomi con ciascuno tre gradi di libertà della posizione, però con una relazione tra essi che fissa costante la loro distanza ( 5 gradi di libertà in tutto ). Entro questi limiti: gas ideale biatomico: cV = 5 R 2 cp = 7 R 2 Una evoluzione del modello prevede che la molecola biatomica possa vibrare, quindi vanno aggiunti altri due contributi, l’energia cinetica vibrazionale e quella potenziale elastica, da cui: 7 cV = R 2 cp = 9 R 2 Accade perciò che per temperature basse (e.g. per la molecola di H2 T minori di 40K) il calore specifico è quello della molecola monoatomica, per T intermedi ( sempre per H2 tra 250K e 500K ) il calore specifico è quello della molecola biatomica a distanza interatomica fissa, per T superiori il calore specifico tiene conto anche della componente vibrazionale. Notiamo che questi comportamenti possono essere descritti solo in termini quantistici, infatti da un punto di vista classico l’energia dovuta alla rotazione e quella dovuta alla vibrazione possono assumere valori continui, anche piccoli a piacere, quantisticamente invece, essendo l’energia quantizzata, i termini di rotazione e vibrazione danno un contributo apprezzabile solo se la temperatura supera un valore di soglia. cv 7/2R 5/2R 3/2R T II Principio della Termodinamica Enunciato di Kelvin-Planck E’ impossibile realizzare una qualsiasi trasformazione il cui unico risultato sia quello di convertire completamente in lavoro il calore prelevato da un solo serbatoio. La macchina termica piu’ semplice preleva Q1 da una sorgente calda a T1 e cede calore Q2 alla sorgente fredda a T2 producendo il lavoro W. La variazione di energia interna è nulla perché ho ciclo. Convenzione sui segni: T1 Q1 Q1 > 0 W W<0 W>0 Q2 Q2 < 0 T2 Allora per il primo principio della termodinamica: W = Q1 + Q2 Rendimento del ciclo : η= W Q1 + Q2 Q = = 1+ 2 < 1 Q1 Q1 Q1 La macchina termica descritta nella slide precedente può essere riprodotta utilizzando un ciclo di Carnot isoterma di espansione a T1 da A a B, adiabatica BC, isoterma di compressione a T2 e adiabatica DA. p A D T2 Si dimostra che il ciclo di Carnot ha rendimento pari a : η C = 1 − T1 B T2 Q2 da cui otteniamo: Q1 Q2 = 1+ + =0 Allora: 1 − T1 Q1 T1 T2 C V Si può dimostrare inoltre che vale il Teorema di Carnot : Il rendimento di una macchina termica generica non può essere maggiore di quello di una macchina di Carnot: η ≤ ηC η = ηC Se la macchina è reversibile, η < ηc se la macchina è irreversibile ENTROPIA In generale quindi la relazione diviene: Q1 Q2 + ≤0 T1 T2 Dove l’uguaglianza vale per trasformazione ciclica reversibile. Il Teorema di Clausius generalizza tale espressione al caso in cui il sistema durante il ciclo scambia calore con piu’ sorgenti, in tal caso vale: ∫ δQ T ≤0 integrale di Clausius Dove l’uguaglianza vale per trasformazione ciclica reversibile: δQ ∫ T rev = 0 Ma allora, nel caso di trasformazione ciclica reversibile, è possibile definire una funzione di stato, detta entropia, S, tale che: finale ∆S = δQ ∫ T rev iniziale Relazione tra integrale di Clausius e entropia Considero una trasformazione ciclica formata dalla trasformazione irreversibile da A a B piu’ una reversibile da B ad A. irreversibile B B δQ ∫ T A = ∫ T A reversibile A δQ La trasformazione reversibile può essere invertita: +∫ irr B A δQ ∫ B Inoltre l’ integrale è pari alla variazione di entropia: B ∫ A B Otteniamo: ∫ A δQ T < SB − S A irr δQ T T δQ T <0 rev B = −∫ rev A δQ T = − ∆S rev = S B − S A = ∆S rev Come caso particolare di questa relazione Consideriamo il sistema isolato termicamente B In generale allora vale la: ∆S = S B − S A ≥ ∫ A δQ T Dove l’uguaglianza vale per la trasformazione reversibile, la disuguaglianza per quella irreversibile. Come caso particolare di questa relazione consideriamo il sistema isolato termicamente. Poiché non si ha scambio termico allora δQ = 0 e quindi ∆S = S B − S A ≥ 0 Che è noto come principio dell’aumento di entropia: L’entropia di un sistema isolato termicamente aumenta se esso esegue una trasformazione irreversibile, resta costante se la trasformazione è reversibile. L’universo è sicuramente un sistema isolato, quindi vale sempre: Poiché: ∆Su ≥ 0 ∆Su = ∆S sistema + ∆S ambiente se la trasformazione è ciclica ∆Ssist =0 quindi: ∆Su = ∆S Amb ≥ 0 Denominazione Spettro Elettromagnetico ν [Hz] [ ] λ Onde radio < 3 109 > 10 cm Microonde 3 109 – 3 1011 10 cm – 1 mm Infrarossi 3 1011 – 428 1012 1 mm – 700 nm Luce visibile 428 1012 – 749 1012 700 nm – 400 nm Ultravioletti 749 1012 – 3 1016 400 nm – 10 nm Raggi X 3 1016 – 3 1018 10 nm – 1 pm Raggi gamma > 3 1018 < 1 pm 2 . Diffrazione Consideriamo una sorgente di onde elettromagnetiche S piane, i cui fronti d’onda incontrano un ostacolo come l'apertura in uno schermo opaco (fenditura). La fenditura abbia dimensioni lineari dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda della radiazione elettromagnetica. Consideriamo il caso particolare Diffrazione di Fraunhofer ) dove la sorgente S e lo schermo C dove si visualizza il fenomeno della diffrazione siano a grande distanza dalla fenditura che supponiamo rettilinea, di larghezza a e lunghezza L>>a. S k a Fronti d’onda piana Schermo opaco con fenditura Schermo C Suddividiamo la fenditura in N strisce ciascuna di larghezza ∆y =a/N. Ciascuna striscia funge da sorgente di onde secondarie ( principio di Huygens-Fresnel) contribuendo con ampiezza ∆E al campo risultante Ep in un punto P dello schermo, individuato dai raggi uscenti ad angolo θ rispetto alla normale al piano della fenditura. I contributi relativi a due strisce adiacenti hanno nel punto P la differenza di fase, derivante dalla differenza di cammino ∆ysenθ θ: Metodo dei fasori Possiamo rappresentare l’onda armonica come un vettore, detto FASORE, di modulo E0/r, che ruota intorno all’origine con velocità angolare ω. La proiezione del fasore sull’asse verticale dà, istante per istante, il valore E1(t). Con riferimento alla figura, gli N fasori che rappresentano le ampiezze ∆E delle singole sorgenti secondarie, in cui è suddivisa la fenditura, costituiscono una poligonale di N lati. L’angolo formato tra ciascun fasore e il successivo è dato da : La differenza di fase tra l’onda emessa dall’estremo B e l’estremo A è : Per ∆y → 0 ed N → ∞ la poligonale diventa un arco di circonferenza di raggio ρ con angolo al centro pari a α. Dalla figura l’ampiezza del campo elettrico risultante è pari alla corda che sottende l’arco: Esercizi sulla diffrazione 3. 1. 2. 1. 2. 3. 3. Interferenza di onde: esperimento di Young In questo esperimento la luce uscente dalla sorgente S viene diffratta alle fenditure S1 ed S2. La luce emessa da S1 ed S2 produce su uno schermo C, posto a distanza L >> d ( d = separazione fenditure) una figura di interferenza consistente in strisce chiare (massimi di intensità luminosa ) e scure (minimi) alternate, detta figura di interferenza. Siano E1, E2 onde prodotte dalle sorgenti S1 ed S2: La differenza di fase tra le due onde è: I massimi di interferenza si hanno quando la differenza di percorso dsenθ θè un multiplo intero della lunghezza d’onda λ. In questa condizione le due onde risultano infatti in fase. Esercizi sull’ interferenza 1. 3. 2. 1. 2. 3. 4. Diffrazione X dei Cristalli Abbiamo visto come i solidi, in forma cristallina, si dispongano in strutture tridimensionali ordinate. Un reticolo cristallino molto comune in natura è per esempio il reticolo cubico a facce centrate (FCC). a (Å) C ( diamante ) Si Ge α-Sn GaAs a 3.57 5.43 5.66 6.49 5.65 Cu Si 2 FCC compenetrati di ¼ della diagonale di corpo NaCl 2 FCC compenetrati di 1/2 lato del cubo E’ possibile esplorare la struttura microscopica dei cristalli utilizzando un fascio di raggi X, radiazione elettromagnetica con lunghezza d’onda di circa 1Ǻ, lo stesso ordine di grandezza della costante reticolare a nei cristalli. La teoria della diffrazione X è stata sviluppata da Sir William Bragg nel 1913. Bragg mostrò che un piano di atomi nel cristallo riflette la radiazione nello stesso modo nel quale la luce viene riflessa da uno specchio, percui l’angolo in uscita θr è uguale all’angolo incidente θi. k cristallo Fronte onda piana Fascio incidente Fascio riflesso Θr = Θi Θi a Piano di Bragg Legge di Bragg Se si considera la radiazione come riflessa da piani di Bragg paralleli e successivi, è possibile che i fasci riflessi dai vari piani interferiscano costruttivamente. Perché si abbia interferenza costruttiva, la differenza di cammino tra le due onde riflesse deve essere tale che: θ A θ θ d AB + BC = nλ λ C ossia deve valere la legge di Bragg: B 2d sen θ = nλ λ Poiché la distanza tra piani d corrisponde a qualche Å il fenomeno non si osserva con luce visibile ( ~ 5000 Å). E’ necessario usare fotoni X. Esercizi sulla Diffrazione nei cristalli 1. Lo ioduro di potassio ha stessa struttura cristallina di quella del NaCl, con d = 0.353 nm. Un fascio monocromatico di raggi X mostra un massimo di diffrazione per primo ordine quando l’angolo di incidenza è 7.6°. Calcolare la lunghezza d’onda dei raggi X. λ = 0.934nm 2. Un fascio monocromatico di raggi X incide sulla superficie di un cristallo di NaCl. Nel fascio riflesso il massimo del secondo ordine si trova ad un angolo di 20.5° tra il fascio incidente e la superficie. Determinare la lunghezza d’onda dei raggi X. λ = 0.984nm 3. Raggi monocromatici X di lunghezza d’onda λ = 0.166nm incidono su un cristallo di KCl. Se la distanza tra i piani è di 0.314nm a quale angolo rispetto alla superficie del cristallo bisogna dirigere il fascio per poter osservare un massimo del secondo ordine ? α = 32° 32°