bollettino d`informazione sui farmaci

bollettino
d’informazione
sui farmaci
ANNO X - N. 3-4 - 2003
ANNO X N.3-4 MAGGIO-AGOSTO 2003 Bimestrale - Sped. in abb. postale art.2 Comma 20/C - Legge 662/96 - Filiale di Roma
EDITORIALE
113 Etica dell’informazione indipendente
sui farmaci
BIMESTRALE DEL MINISTERO DELLA SALUTE
DALLA LETTERATURA
145 L’informazione proveniente dalle aziende
farmaceutiche e gli opinion leaders
PANORAMI E PERCORSI
119 Come utilizzare i farmaci analgesici
oppiacei
147 Sponsorizzazione da parte dell’industria
farmaceutica ed esiti e qualità della
ricerca: una revisione sistematica
FARMACOVIGILANZA
125 Dear Doctor Letter
148 Evidence b(i)ased medicine. Informazione
selettiva sugli studi sponsorizzati
dall’industria farmaceutica: revisione
degli studi allegati alle domande
di autorizzazione all’ammissione
in commercio di nuovi farmaci
• Repaglinide (Novonorm®-Prandin®)
e gemfibrozil
• Ketek®
AGGIORNAMENTI
127 La medicina basata sull’evidenza
(evidence-based medicine, EBM).
L’uso della letteratura scientifica
nella medicina clinica
ATTIVITÁ EDITORIALI DALLA DIREZIONE
GENERALE
138 Clinical Evidence: un utile supporto
informativo per i medici?
I risultati di uno studio realizzato in dieci
regioni italiane
143
Guida all’uso dei farmaci per i bambini
150 Come ballare con i porcospini: regole
e linee guida dei rapporti tra medici e
aziende farmaceutiche
153 Come possono i comitati etici proteggere
al meglio i pazienti coinvolti
in sperimentazioni cliniche?
157 Riviste mediche e industrie farmaceutiche:
amanti a disagio
158 La stampa muore, viva la stampa
164 Editoria condizionata sì, ma da cosa?
167 Una malsana manipolazione dei fatti
169 Rapporti tra industria farmaceutica e
associazioni di malati
LE
CON INSERTO STACCABI
IMENTAZIONE
DEL BOLLETTINO DI SPER
I IN ITALIA
CLINICA DEI MEDICINAL
MINISTERO DELLA SALUTE
DIREZIONE GENERALE DEI FARMACI
E DEI DISPOSITIVI MEDICI
bollettino
d’informazione
sui farmaci
BIMESTRALE DEL MINISTERO DELLA SALUTE
Direttore responsabile
Nello Martini
Redazione editoriale
Il Pensiero Scientifico Editore
Via Bradano 3/c, 00199 Roma
Direttore scientifico
Antonio Addis
Tel. (06) 862821
Fax (06) 86282250
[email protected]
Comitato scientifico
Francantonio Bertè
Marco Bobbio
Fausto Bodini
Franca De Lazzari
Albano Del Favero
Nicola Montanaro
Luigi Pagliaro
Paolo Preziosi
Alessandro Rosselli
Alessandro Tagliamonte
Gianni Tognoni
Francesca Tosolini
Massimo Valsecchi
Redazione
Gabriella R.A. Adamo
Elisabetta Neri
Linda Pierattini
Francesca Rocchi
Carmela Santuccio
Valeria Severi
Segreteria di Redazione
Monica Pirri
Comunicazioni
e osservazioni al Bollettino
dovranno essere inoltrate
presso:
www.pensiero.it
Responsabile: Manuela Baroncini
Progetto grafico
ed impaginazione
Doppiosegno snc
Stampa
Istituto Poligrafico
e Zecca dello Stato
Eventuali incongruenze cronologiche
tra il materiale citato e la data di
pubblicazione del BIF sono dovute
alla numerazione in arretrato
del Bollettino. Fa testo la data
di chiusura in tipografia.
© Ministero della Salute
La riproduzione e la divulgazione dei
contenuti del BIF sono consentite fatta
salvo la citazione della fonte ed il
rispetto dell’integrità dei dati utilizzati.
Questo numero è stato chiuso
in settembre 2003.
Redazione Bollettino
d’Informazione sui Farmaci
Direzione Generale dei
Farmaci e dei Dispositivi
Medici
Ministero della Salute
Viale della Civiltà Romana, 7
00144 Roma
Fax 06 59943117
[email protected]
Le comunicazioni relative a variazioni di indirizzo dovranno riportare nome, cognome e nuovo
indirizzo del destinatario, ed essere
preferibilmente accompagnate
dall’etichetta allegata ad una delle
copie ricevute, in cui figurano
codice, nome, cognome e vecchio
indirizzo del destinatario stesso.
A questo numero, oltre ai
componenti del comitato
scientifico e della redazione,
hanno contribuito:
L. Covino, L. De Fiore, P. Dri,
G. Formoso, A. Liberati,
A.R. Marra, L. Moja,
F. Nonino, R. Satolli.
bollettino d’informazione sui farmaci
113
EDITORIALE
Etica dell’informazione
indipendente sui farmaci
Una corretta informazione sui farmaci è un
fattore essenziale per una pratica clinica efficiente.
Affermazioni simili fanno da cappello a così
tanti testi dedicati al tema dell’informazione sui
farmaci che risulta difficile pensare che non si
tratti di un dettato ormai assodato e generalmente condiviso. Eppure, per quanto tutto
ciò appaia scontato, non è semplice affrontare
questo tema mettendo pienamente a fuoco
bisogni e limiti che impediscono l’accessibilità
ad un’informazione indipendente. Purtroppo, la
recente cronaca insegna che il rischio della distorsione dei messaggi sul corretto utilizzo dei
farmaci diventa evidente solamente nei casi di
maggiore emergenza. Tutto ciò alimenta nel
settore un clima di forte diffidenza che costringe
alla ricerca di soluzioni in provvedimenti
estremi1.
In questo ambito diventa importante riprendere il tema dell’informazione trasparente e
scientificamente valida, che deve essere nettamente differenziata dalla promozione dell’industria e dalle strategie di mercato e riproporre la
necessità di fare il punto sulla normativa che riguarda l’informazione scientifica, disciplinata dal
decreto legislativo 541 del 30.12.1992.
Il D.lgs. 541 aveva recepito la direttiva
92/28/CEE, concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano e aveva avuto il merito di
regolamentare i rapporti tra industrie farmaceutiche, informatori scientifici, farmacisti,
medici e pubblico, modificando un certo malcostume, allora vigente; col tempo però sono
sorte alcune difficoltà di applicazione e si è assistito a sempre più frequenti tentativi di allargarne le maglie interpretative; a distanza di 10
anni, è necessario uno sforzo comune per
adeguare la legge alle mutate esigenze, per impedire che si riproduca una nuova condizione di
malcostume, che umilia la professione medica,
penalizza le industrie che non si adeguano a
comportamenti eticamente dubbi ed espone il
Ministero alla critica di non saper vigilare. Sinteticamente la legge regolamenta:
• la pubblicità presso il pubblico (articoli
3,4,5,6);
• la pubblicità verso operatori sanitari (articoli
7,8);
• i requisiti che devono avere gli informatori
scientifici (articolo 9);
• le modalità per la concessione di premi o
vantaggi pecuniari (articolo 11);
• l’organizzazione di congressi riguardanti i
medicinali (articolo 12);
• la dispensazione di campioni gratuiti (articolo 13).
Il tema dell’informazione corretta sui farmaci, e
di tutti i problemi ad esso connessi (conflitto di interesse, autorevolezza delle fonti, utilità ed efficacia
dell’informazione, ecc.), può essere sintetizzato a
seconda della prospettiva, in molte maniere, ma per
quanto ci riguarda si tratta soprattutto di trovare una
precisa definizione dell’informazione indipendente sui farmaci. Questi termini però non
bastano più a descrivere i limiti, i problemi e le
eventuali proposte che riguardano il settore. A
riprova di quanto detto basti pensare quante volte
la stessa definizione viene associata alla conseguente
domanda: indipendente da chi? da quali interessi?
di mercato, di risparmio, di prestigio accademico, di
difesa dei ruoli professionali…? La lista dei punti di
domanda potrebbe evidentemente continuare.
Tenendo conto del suo mandato di informazione sul farmaco e soprattutto di documentazione, il BIF vuole dare il suo contributo per stimolare riflessioni e dibattiti, a fronte anche di
quanto recentemente apparso in letteratura sul
tema: a tale proposito si vedano all’interno di
questo numero (pag. 145) alcuni estratti da un
recente numero del British Medical Journal, quasi
interamente dedicato al tema dell’informazione
scientifica e dei problemi ad essa connessi. Ciò innanzitutto per chiarire che il tema del conflitto di
interessi nell’informazione scientifica – ed in particolar modo quella dedicata al farmaco – non è
confinato ad una realtà nazionale ma coinvolge
in maniera globale l’intera società scientifica.
In generale, i Servizi Sanitari Nazionali, pur in-
Ministero della Salute
114
EDITORIALE
dividuando l’informazione sui farmaci come una
parte importante della crescita professionale degli
operatori sanitari, contano sulla formazione universitaria. Nella realtà pratica l’aggiornamento è
stato svolto prevalentemente dal settore privato e
dall’industria farmaceutica. Solo recentemente
l’informazione è stata individuata come un
elemento strategico e di governo per la razionalizzazione dell’utilizzo dei farmaci. Da ciò è nata
la possibilità di finanziare progetti di informazione e formazione specifici utili a osservare,
comunicare e quindi in-formare gli operatori della
salute riguardo il pianeta farmaco.
Si è passati quindi da un’informazione di tipo
prettamente burocratico/regolatorio ad una di
tipo più scientifico/divulgativo, dando spazio ad
attività che hanno avuto come primo obiettivo
quello di elevare gli standard di riferimento. Per
fare questo bisognava necessariamente allontanarsi dal linguaggio della gazzetta ufficiale e
rifarsi piuttosto a quello dei Drug Therapeutic Bulletins più autorevoli.
Quanto detto ha evidentemente a che vedere
con gli strumenti di informazione, quale è questo
stesso bollettino, ma non solo. Infatti l’etica dell’informazione passa immancabilmente anche
attraverso codici e regolamentazioni condivise. A
questo proposito (vedi box p. 115) il Ministero
della Salute ha fatto una proposta concreta che
poi è stata condivisa da tutti gli attori principali
e rappresenta il primo passo per un aggiornamento della legge che regolamenta tutto il
settore dell’informazione medico-scientifica
(Legge 541/92). Per quanto si tratti di principi generali, già da questi primi passi si individua la
volontà di fare maggiore chiarezza tra tutto ciò
che è promozione e quanto invece possiamo reputare informazione.
Tutto ciò vale quindi come premessa ad una
informazione indipendente sui farmaci che sia in
realtà strettamente legata (dipendente!) da
un’etica dell’osservazione della comunicazione e
della in-formazione. Occorre quindi verificare per
ognuno di questi punti lo stato dell’arte e i limiti
delle risorse messe in campo fino ad ora dallo
stesso Ministero della Salute.
minare alla fonte il dato su cui si basa l’eventuale intervento terapeutico. In questo
senso occorre che venga riconosciuta all’osservazione un suo valore, indipendentemente da
come lo sponsor ne valuta l’impatto sull’utente
finale2. La preferenza dell’informazione per i
dati positivi rispetto a quelli negativi è solo uno
degli aspetti delle possibili distorsioni dell’osservazione. Infatti a ciò si aggiungono la duplicazione delle pubblicazioni, la selezione dei
risultati all’interno dei protocolli o la scelta di
controlli artificiosi e poco legati con veri
standard di riferimento. Il presente numero
riporta nella sezione dalla Letteratura degli
esempi di studi al riguardo (pag. 145).
Per quanto riguarda l’analisi di quanto è già
stato fatto è utile ricordare l’impegno del Ministero della Salute nella costituzione degli Osservatori Nazionali sulle sperimentazioni
(OsSC)3 e sull’uso dei medicinali (OsMed).
Questi ultimi si pongono come obiettivo
proprio quello di rendere espliciti e trasparenti
i principali dati che definiscono questa area
(utilizzo e sperimentazione dei farmaci). La disponibilità di una fonte autorevole ed ufficiale
dei dati è un punto essenziale e irrinunciabile
non solo nell’ottica del controllo ma più
utilmente per il monitoraggio dell’appropriatezza prescrittiva e di sperimentazione in risposta ai reali bisogni terapeutici del paziente.
In pratica la corretta osservazione dell’utilizzo
dei medicinali ci permette di verificare quanto
le recenti acquisizioni della farmacoterapia si
stiano trasferendo nel mondo reale4,5.
• Comunicare. È noto che vi sono diverse
maniere per influenzare il medico prescrittore
e l’operatore sanitario nella scelta di un
farmaco piuttosto di un altro. Tempo fa uno
studio identificò almeno 16 maniere con cui i
medici possono subire la pressione del mercato
nell’ambito delle loro scelte6. La letteratura
scientifica è ricca di esempi che documentano
quanto i messaggi informativi vengono comunicati in maniera differente a seconda dell’audience a cui ci si rivolge (specialista,
medico, paziente)7,8. È difficile trovare una
società scientifica che non si sia posta il
problema di autoregolamentarsi nell’ambito
della comunicazione e la maggior parte dei
codici risponde a criteri condivisibili e simili a
quanto di recente lo stesso Ministero ha reso
pubblico (vedi box pag. 145). Tuttavia non vi
• Osservare. Negli ultimi anni non mancano
certo ricerche e referenze che sottolineino
quanto una corretta informazione è vincolata
ad una osservazione che abbia un fondamento
etico. Altrimenti si perde il presupposto oggettivo e le distorsioni non possono che
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
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ANNO X N. 3-4 2003
MANIFESTO
SUI PRINCIPI ETICI DELL’INFORMAZIONE SCIENTIFICA
SUI FARMACI SU PROPOSTA DEL MINISTRO DELLA SALUTE
■ Gli attori, che sottoscrivono il presente
Manifesto etico, concordano sui seguenti
punti:
ai pazienti affinché essi comprendano
medici dipende in larga misura la cor-
bene vantaggi e svantaggi che possono
rettezza dell’informazione e della pre-
derivare dal suo uso ed essere pronti nel
scrizione che ne deriva e rifiutano qua-
1. il farmaco rappresenta uno strumento
segnalare eventuali reazioni avverse al
lunque condizionamento che possa
indispensabile a preservare o ripristinare
medico non appena queste insorgano. È
esercitare sulla prescrizione effetti di-
la salute (gran parte dei brillanti risultati
necessario che al paziente venga
storsivi. Rifiutano altresì, conte-
della moderna medicina è riferibile ai
spiegato dal medico curante e dalle Isti-
stualmente alle Aziende, di utilizzare
farmaci che continuamente vengono
tuzioni che l’eccessivo uso dei farmaci è
risorse per fini non connessi alla corretta
messi in commercio). La ricerca nel-
dannoso alla salute e che l’impropria eli-
illustrazione delle caratteristiche tecnico-
l’ambito farmaceutico, atta ad esaltarne
minazione dei farmaci, oltre ad un danno
scientifiche del farmaco, al suo uso più
gli effetti positivi e a ridurne quelli ne-
economico, può comportare inqui-
appropriato, nonché all’educazione
gativi, è fondamentale per il benessere
namento dell’ambiente con ulteriori
continua del medico, ed in particolare
rischi per la salute.
per strumenti volti a condizionarne im-
dell’umanità. Il farmaco è quindi un
valore riconosciuto da tutta la comunità
4. Il medico utilizzerà i farmaci solo sulla
propriamente la prescrizione.
base di una documentazione e di un’e-
7. I distributori farmaceutici e le loro asso-
2. Il buon uso del farmaco è fondamentale
videnza scientifica e non subirà pressioni
ciazioni devono garantire il servizio di
per garantire il valore di cui al punto 1
di nessun altro genere che non siano
buona conservazione e distribuzione dei
e ogni distorsione o inappropriatezza
quelle legate agli interessi del paziente.
medicinali, essenziale per la tutela della
clinica comunque generata circa il suo
5. Il farmacista si impegnerà a: informare
salute pubblica. In particolare, essi
uso va contrastata con decisione, sia essa
correttamente i prescrittori e i pazienti
devono assicurare in maniera capillare e
originata da scarsa informazione o da
al momento della consegna del
tempestiva il pieno assortimento ed il
comportamenti non trasparenti. Oltre
farmaco, anche rispondendo a
flusso costante dalla produzione alle
che provocare danni alla salute, il cattivo
eventuali quesiti, in merito alle modalità
farmacie, secondo il sistema di qualità
uso del farmaco può comportare costi
di utilizzo e di conservazione del me-
previsto dalle norme di legge.
impropri al SSN e dirottare risorse che
desimo, segnalando possibili effetti col-
8. Tutti i firmatari del presente Manifesto
potrebbero essere altrimenti impiegate a
laterali, interazioni e controindicazioni
sono consci che ogni comportamento
beneficio dei malati. Il marketing, pur
rilevanti; promuovere, in generale,
che si discosti dai punti qui sopra
rappresentando un valore per il settore
un’educazione al corretto uso, conser-
elencati costituisce una grave violazione
farmaceutico, è subordinato al principio
vazione e smaltimento dei medicinali;
degli interessi di tutti gli attori che lo
che il farmaco è un bene etico e quindi
favorire l’uso dei farmaci meno costosi
sottoscrivono, un danno per i pazienti
l’interesse del paziente è assolutamente
a parità di principio attivo, che de-
ed un’azione contraria alle finalità del
prioritario rispetto ad altri interessi.
termina un risparmio per la collettività
Servizio Sanitario e si impegnano quindi
senza ridurre il livello di assistenza.
ad operare, in base alla loro com-
scientifica e laica.
3. I medici e i farmacisti hanno la necessità
di ricevere una puntuale informazione sui
6. I produttori di medicinali e le loro asso-
petenza e alle loro possibilità, per creare
farmaci in commercio e sui farmaci
ciazioni, pur nel legittimo perse-
le condizioni idonee alla applicazione di
nuovi, così da curare al meglio i propri
guimento di obiettivi di sviluppo indu-
questi principi e, altresì a contrastare
pazienti ed evitare possibili effetti avversi.
striale, condividono la necessità di
qualsiasi comportamento non consono
Per questo motivo essi si impegnano ad
un’informazione trasparente e scientifi-
ai principi stessi. Le parti firmatarie si im-
esercitare la farmacovigilanza intra ed
camente valida che aiuti il medico nel-
pegnano ad evitare di porre in atto
extra-ospedaliera secondo le modalità
l’esercizio della sua professione con la fi-
rapporti che possano costituire conflitti
previste dalla legge, mantenendo anche
nalità unica e condivisa di giovare al
di interesse.
uno stretto rapporto con le Istituzioni
paziente, in base ad un proprio codice
(Regione, Ministero della Salute), così
deontologico, del quale riconfermano la
che l’informazione raggiunga rapi-
validità e si impegnano a non utilizzare
damente tutti i nodi strategici del paese
nessuno strumento che possa influire
ed internazionali onde prevenire possibili
sulla prescrizione dei medici, che non sia
danni ai pazienti. La prescrizione e la di-
basata sull’appropriatezza scientifica. Gli
spensazione del farmaco devono essere
informatori scientifici sono consci che
corredate da un’adeguata informazione
dal loro quotidiano rapporto con i
Ministero della Salute
Letto, firmato e sottoscritto.
ADF; ANAAO Assomed; ANPO; ASSOFARM; ASSOGENERICI; CIMO-ASMD;
FARMINDUSTRIA; FEDERFARMA; FEDERFARMA SERVIZI; FIMMG; FOFI; SIFO;
SIMMG.
Roma, 30 aprile 2003
116
EDITORIALE
sono adeguati strumenti di verifica e valutazione della reale applicazione di queste
regole. In Italia si sconta, in questo senso, soprattutto l’asimmetria di una comunicazione
che conta diverse migliaia di professionisti,
portatori di messaggi promozionali e di una
quota di mercato dedicata alla promozione che
non è paragonabile agli investimenti pubblici.
In questo contesto il Ministero della Salute ha
cercato di rendere disponibili gli strumenti di
informazione di provata autorevolezza e capaci
di garantire le fonti: la Guida all’uso dei farmaci,
Clinical Evidence, Farmacovigilanza news, la
Guida all’uso dei farmaci per i bambini sono
alcuni degli esempi concreti di tale sforzo. A ciò
si aggiunge la crescita di un numero verde in
termini di gestione delle emergenze informative (per esempio, cerivastatina, sibutramina) e della disponibilità di risorse via Internet (www.bif-online.it). Per ora queste
esperienze hanno risposto ad una logica di riorganizzazione interna della Direzione Generale
dei Farmaci e dei Dispositivi Medici, ma dovranno in futuro svilupparsi in una rete di
centri di informazione collegati fra loro ma indipendenti nella capacità di sviluppare progetti
autonomi di informazione.
dei modelli che aiutino a definire i requisiti
minimi necessari per ottenere una (in)formazione con contenuti autorevoli, facilmente aggiornabili e che permettano un
legame stretto con la pratica clinica.
Nonostante i limiti dell’informazione fornita
dalle aziende bisogna riconoscere che l’industria
farmaceutica ha contribuito in questi anni in
modo pressoché assoluto all’aggiornamento
medico, vicariando una macroscopica carenza di
iniziative da parte delle regioni, delle aziende sanitarie e ospedaliere, che non hanno fondi
adeguati e non sanno gestire proficuamente quelli
disponibili. Le industrie non hanno finanziato
soltanto l’organizzazione e la partecipazione a
congressi propri, ma anche a congressi delle
società scientifiche nazionali e internazionali, e
non hanno fornito ai medici soltanto materiale
propagandistico di propria produzione, ma anche
materiale scientifico (testi, trattati, rassegne, articoli, CD-Rom) di origine non sospetta. Però lo
squilibrio tra la povertà delle iniziative pubbliche
e la ricca e variegata offerta di allettanti proposte
delle industrie farmaceutiche espone i medici a
una formazione parziale, interessata e talvolta
non utile al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In
effetti il doppio mandato di rispettare le aspettative degli azionisti (mercato) con gli impegni di
operare per il bene comune (salute pubblica) è un
presupposto su cui è difficile trovare un corretto
equilibrio9.
Bisogna pertanto ripartire su un nuovo livello,
assicurando all’industria il diritto alla propaganda
dei propri prodotti, ma soprattutto garantendo al
personale del SSN un aggiornamento e una formazione indipendente che risponda alle esigenze
delle aziende sanitarie e ospedaliere. Il fulcro
intorno al quale dovrà ruotare la nuova normativa è pertanto quello di separare l’informazione dalla propaganda, in modo che si
possano distinguere le iniziative culturali da
quelle commerciali.
Nessuno può mettere in discussione il fatto che
il personale sanitario merita e ha bisogno di un
aggiornamento autonomo e indipendente.
Le diverse iniziative del Ministero non risolvono di per sé il problema di un’informazione
indipendente sui farmaci. Negli ultimi anni si è
però cercato di trovare una migliore definizione
dei percorsi che abbiano come orizzonte una
informazione sui farmaci indipendente. Molte
delle problematiche sopraesposte avranno una
• Informare. L’informazione sul farmaco
deve necessariamente avere come obiettivo
quello di una crescita culturale negli operatori sanitari e nel paziente ma come tale
necessità di un impegno continuo per l’aggiornamento. In Italia stiamo solo recentemente acquisendo un approccio che vede
la professionalità dell’operatore sanitario vincolata alla formazione continua. In questo
senso la (in)formazione necessita di professionalità specifiche e che abbiano la missione
di fornire continuamente dati ed aggiornamenti utili alla pratica clinica. L’efficienza
di queste figure non può ovviamente essere
misurata sulla base del numero di farmaci
che vengono venduti ma dovrebbe misurarsi
sul grado di aggiornamento e informazioni
utili trasmessi al prescrittore e/o operatore
sanitario.
In questo ambito alcune delle iniziative editoriali della Direzione Generale dei Farmaci
e dei Dispositivi Medici sono sotto esame per
l’eventuale trasformazione in contenuti utili
alla educazione medica continua. Anche in
questo caso potrebbe essere utile sviluppare
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
117
ANNO X N. 3-4 2003
maggiore probabilità di risoluzione quando si avrà
chiaro che l’etica di un’informazione sul farmaco
è vincolata alla crescita di professionalità specifiche. In questo senso occorre uno sforzo nel
pubblico e nel privato che coinvolga tutti gli operatori del settore, tenendo conto che questo tipo
di servizio va inteso come una parte di un investimento più complessivo e che risponde al diritto
di cura del paziente.
Bibliografia
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contrastare gli illeciti nel settore sanitario (GU, Serie
Generale, 4 marzo 2003 n°52).
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unethical. Lancet 2003; 361: 978.
3. Martini N, Tomino C, Liberati A. Role of a research ethics
committee in follow-up and publication of results. Lancet
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Cliniche. La sperimentazione clinica dei medicinali. 2°
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2002.
5. Ministero della Salute. Osservatorio sull’uso dei medicinali.
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Editore, 2003.
6. Melander H, Ahlqvist-Rastad J, Meijer G, Beermann B.
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1: Entanglement. BMJ 2003; 326:1189-92.
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9. Dukes MNG. Accountability of the pharmaceutical industry.
Lancet 2002; 360:1682-4.
a proposito di…
Nimesulide
Il rischio di epatopatie associate all’uso di nimesulide e di altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sembra essere tutto
sommato basso. Questo è quanto emerge da uno studio di coorte realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità e recentemente
pubblicato sul British Medical Journal (BMJ 2003;327:18-22). Si tratta del più grosso studio osservazionale sul rischio di epatotossicità legato all’uso di nimesulide finora realizzato e che ha monitorato per 5 anni (1997-2001) le prescrizioni di farmaci
antinfiammatori non steroidei in Umbria. Le preoccupazioni legate all’uso di questo FANS avevano portato alcuni paesi europei
(Finlandia e Spagna) a ritirare il farmaco dal commercio a causa di danni provocati al fegato rilevati dall’esame delle segnalazioni spontanee. Il nuovo studio ha evidenziato che l’incidenza di epatotossicità associata a questo farmaco è di poco più
elevata rispetto agli altri antinfiammatori non steroidei, e che comunque il più importante fattore di rischio di epatopatie rimane
l’età.
Ministero della Salute
Un’informazione
pubblica, indipendente
e aggiornata
Direzione e redazione scientifica
Direzione Generale dei Farmaci
e dei Dispositivi Medici
Ministero della Salute
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bollettino d’informazione sui farmaci
119
PANORAMI E PERCORSI
Come utilizzare i farmaci analgesici
oppiacei nella terapia del dolore
Al fine di facilitare la prescrizione e l’impiego
dei farmaci oppiacei e di supportare gli operatori
sanitari, negli ultimi anni è stata effettuata una
serie di interventi normativi. La modifica sostanziale è avvenuta in seguito all’emanazione
della Legge 8 febbraio 2001 n.12, che ha previsto
semplificazioni delle modalità prescrittive per
dieci farmaci ritenuti essenziali per il trattamento
del dolore (vedi box) ed ha abolito le sanzioni precedentemente previste a carico del medico, nel
caso incorresse in errori di compilazione della
ricetta.
Successivamente, è stato approvato il nuovo
modello di ricetta4 con il quale il medico ha avuto
la possibilità di prescrivere anche due farmaci
analgesici oppiacei diversi tra loro per coprire cicli
di terapia fino a trenta giorni.
Nonostante l’introduzione di queste sostanziali
modifiche, nel nostro paese l’impiego degli oppiacei è rimasto inadeguato al reale bisogno.
Pertanto, il Ministero della Salute ha ritenuto
di emanare un nuovo decreto5 per apportare ulteriori semplificazioni che si sono focalizzate sulla
modalità di prescrizione farmaceutica degli oppiacei, in modo da renderla uniforme a quella di
un comune farmaco non sottoposto alla normativa sugli stupefacenti.
I principali cambiamenti introdotti con il D.M.
4 aprile 2003 sono di seguito elencati:
Il trattamento del dolore oncologico rappresenta un grave problema di salute pubblica in
tutto il mondo e si calcola che ogni anno siano
10 milioni i nuovi casi di cancro e 6 milioni i
decessi per questa malattia1.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
ha evidenziato che la maggior parte dei casi di
dolore oncologico potrebbe essere trattata applicando le opportune terapie che derivano dall’evoluzione delle conoscenze mediche2.
Purtroppo, nonostante le indicazioni fornite
dall’OMS, i pazienti affetti da grave dolore non
sempre sono curati con le opportune terapie farmacologiche e ciò costituisce una negazione del diritto
degli individui di alleviare la propria sofferenza.
In diverse sedi è stato ribadito come i governi
dei singoli paesi abbiano il dovere morale di garantire agli operatori gli strumenti per poter
mettere in atto le indicazioni dell’OMS. Questo
vale soprattutto nei paesi industrializzati dove le
lacune dei trattamenti possono essere colmate
con l’educazione del personale sanitario e agevolando l’accesso ai farmaci analgesici oppiacei.
Alla luce di recenti analisi sul consumo dei
farmaci oppiacei, l’Italia risulta essere un paese
che non risponde ai reali bisogni dei pazienti
affetti da dolore severo in corso di patologie neoplastiche o degenerative, negando loro il giusto
sollievo, in particolare nella fase terminale.
Lo scarso utilizzo di farmaci oppiacei è dovuto
a diversi fattori ed in particolare alle norme legislative molto restrittive che hanno reso difficile il
giusto accesso a tali farmaci, riducendo nel
contempo la possibilità, da parte dei medici, di
svilupparne le conoscenze e gli usi in terapia.
Infatti, fino ad oggi, i farmaci oppiacei potevano essere prescritti esclusivamente con la
speciale ricetta ministeriale, da compilarsi con inchiostro indelebile ed indicando sia il medicinale
sia la posologia.
Inoltre, gli stessi medicinali non potevano
coprire un periodo superiore ad otto giorni di
terapia; in caso di mancata osservanza di tali
norme, il medico rischiava di incorrere in gravi
sanzioni penali3.
• nuovo ricettario in triplice copia autocopiante
disponibile anche nelle versioni italianotedesco ed italiano-francese per la prescrizione
dei farmaci compresi nell’allegato III-bis impiegati nella terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa;
• prescrizione senza obbligo di dover utilizzare
“tutte lettere” per scrivere la dose, il modo e
il tempo di somministrazione e la quantità
di confezioni. Per descrivere il medicinale
prescritto, la posologia ed il numero di confezioni si possono utilizzare caratteri numerici e le normali contrazioni;
• eliminazione dell’obbligo di indicare l’indirizzo di residenza del paziente;
Ministero della Salute
120
PANORAMI E PERCORSI
singole ASLL a recarsi presso il sito di riferimento
regionale per acquisire il quantitativo di ricettari
loro assegnato.
Essendo le ricette stampate su carta valori, il
loro trasporto deve avvenire in presenza di personale di Pubblica Sicurezza o Guardia di Finanza.
Anche i Vigili Sanitari, con qualifica di Ufficiale
di Polizia Giudiziaria, possono assolvere a tale
compito.
• eliminazione dell’obbligo, da parte del prescrittore, di conservare per sei mesi la copia
della ricetta a sé destinata;
• prescrizione di medicinali contenenti buprenorfina in tutte le forme farmaceutiche.
La delicatezza della materia a cui si riferiscono
tali modifiche espone al rischio di creare molti
quesiti e dubbi riguardo alla corretta applicazione
della normativa.
Per favorire una corretta interpretazione e al
fine di fugare eventuali dubbi nella prescrizione e
nella dispensazione dei farmaci analgesici oppiacei, si è ritenuto utile fornire agli operatori sanitari una serie di domande-risposte da utilizzare
come guida nella pratica professionale quotidiana.
2) I medici specialisti non convenzionati
possono ritirare ed utilizzare il ricettario?
Sì. Tutti i medici, di base e specialisti, convenzionati e non, e i veterinari devono ritirare ed utilizzare il ricettario per la prescrizione dei farmaci
compresi nell’allegato III-bis per la terapia del
dolore.
Il ricettario del medico o del veterinario è
sempre personale, anche quando essi dipendono da
strutture sanitarie dislocate sul territorio.
Bibliografia
1. World Health Organization Programme on Cancer Control.
Developing a global strategy for cancer. Editor: Karol
Sikora. March 1998.
2. Organizzazione Mondiale della Sanità, Istituto Europeo di
Oncologia. Sostanze stupefacenti e psicotrope – Realizzare
un equilibrio nelle normative nazionali sul controllo degli
oppioidi. Ginevra, 2000.
3. Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990,
n.309.
4. Decreto Ministeriale 24 maggio 2001.
5. Decreto Ministeriale 4 aprile 2003.
3) Cosa fare dei ricettari già stampati e distribuiti dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato alle regioni e quindi alle ASLL?
I ricettari stampati ai sensi del D.M. 24 maggio
2001 e distribuiti dall’Istituto Poligrafico e Zecca
dello Stato alle regioni, alle ASLL e agli operatori
sanitari possono essere ancora utilizzati fino a
completo esaurimento delle scorte. Per la loro compilazione si rispetteranno le norme d’uso del D.M.
4 aprile 2003.
Box. I 10 farmaci che godono delle
agevolazioni prescrittive
▼ COME COMPILARE I RICETTARI AUTOCOPIANTI
Buprenorfina
Codeina
Didrocodeina
Fentanyl
Idrocodone
Idromorfone
Metadone
Morfina
Ossicodone
Ossimorfone
1) Quali medicinali si devono prescrivere?
Tutti i medicinali contenenti principi attivi compresi
nell’allegato III-bis (Legge n. 12 dell’8 febbraio
2001), quando impiegati nella terapia del dolore in
corso di patologia neoplastica o degenerativa,
devono essere prescritti con la ricetta autocopiante.
Frequently Asked Questions (FAQ)
2) Quanti medicinali possono essere prescritti?
Si possono prescrivere due medicinali diversi tra
loro oppure uno stesso medicinale con due differenti dosaggi o forme farmaceutiche.
▼ DOVE TROVARE I RICETTARI AUTOCOPIANTI
1) Dove possono ritirare i ricettari i medici
e/o i veterinari?
I medici e/o i veterinari ritirano i ricettari
presso le singole ASLL.
L’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato
fornisce al sito di riferimento regionale il numero
di ricettari necessari. In linea generale, saranno le
3) Quante confezioni possono essere prescritte?
Il numero di confezioni prescritte con ogni
ricetta autocopiante può coprire un ciclo di
terapia non superiore a trenta giorni.
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
121
ANNO X N. 3-4 2003
4) È possibile prescrivere un numero di confezioni di medicinale per terapie superiori a
trenta giorni?
No. L’ultima confezione prescritta deve essere
esaurita entro il trentesimo giorno di terapia; successivamente la prescrizione deve essere rinnovata.
Nel caso di prescrizione di cerotti transdermici,
che devono essere sostituiti ogni tre giorni, il
limite di trenta giorni è rappresentato dal giorno
dell’applicazione dell’ultimo cerotto.
legato III-bis, e comunque compresi nella tabella
V delle sostanze stupefacenti e psicotrope (ai sensi
dell’art.14 del DPR 309/90), devono essere prescritti:
• con ricetta autocopiante nel caso di terapia del
dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa;
• con ricetta da rinnovarsi volta per volta nel caso
di impiego per il trattamento del dolore acuto
(mal di denti, fratture, contusioni, ecc.).
5) Il medico può adeguare la terapia?
In caso di variazione del dosaggio inizialmente
prescritto, il medico può compilare una nuova ricetta
autocopiante con la nuova prescrizione, anche se il
paziente non ha completato il ciclo di terapia iniziale.
9) E se i medicinali sono compresi nella
tabella V (DPR 309/90) e nella tabella n. 4 F.U.?
I medicinali compresi nella tabella V e contestualmente nella tabella n. 4 della Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana sono prescritti:
6) Come prescrivere la buprenorfina nell’ambito della terapia del dolore?
La buprenorfina, quando utilizzata, in tutte le
forme farmaceutiche (fiale, cerotti, compresse,
ecc.), nell’ambito della terapia del dolore in corso di
patologia neoplastica o degenerativa (ai sensi della
Legge n. 12/01), deve essere prescritta utilizzando
la ricetta autocopiante.
La buprenorfina, quando utilizzata per trattare
forme di dolore acuto (colica renale, frattura, ecc.)
deve essere prescritta, nelle quantità previste dalla
specifica modalità di ricettazione, come specificato di seguito:
• con ricetta ripetibile, qualora utilizzati per il
trattamento sintomatico delle affezioni dolorose acute e croniche (dolore odontostomatologico, osteo-articolare, postoperatorio,
ginecologico, ecc.). Si ricorda che l’indicazione da parte del medico di un numero di
confezioni superiori all’unità esclude la ripetibilità della vendita (D. lgs. 30/12/92, n. 539,
art. 4, comma 3);
• con ricetta autocopiante se utilizzati nella
terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa.
• buprenorfina fiale: ricetta speciale ministeriale
(ricetta gialla), per una cura non superiore ad
otto giorni, ridotti a tre in caso di prescrizione veterinaria;
• buprenorfina in altre forme farmaceutiche
(compresse, cerotti, ecc.): ricetta da rinnovarsi
volta per volta, per una cura non superiore a
trenta giorni.
10) Cosa fare della ricetta gialla?
La ricetta speciale ministeriale a madre-figlia
(ricetta gialla), distribuita dagli Ordini Professionali, continua ad essere valida per le prescrizioni che non rispondono ai criteri di applicazione della Legge n. 12/01.
11) Cosa deve fare il sostituto del medico titolare?
Un medico che sostituisce un titolare di ambulatorio non può utilizzare il ricettario del titolare.
Anche il medico sostituto deve dotarsi del ricettario personale ed utilizzarlo qualora se ne
presenti la necessità.
Il medico sostituto deve segnare l’indirizzo
dell’ambulatorio del titolare nell’apposito spazio
della ricetta destinato all’indicazione dell’indirizzo professionale.
Ai fini del rimborso da parte del SSN, la ricetta
emessa dal medico sostituto non necessita dell’apposizione del codice regionale personale del
medico.
7) Come prescrivere un medicinale con
principi attivi in associazione?
I medicinali stupefacenti composti da associazioni di più principi attivi, quando utilizzati nella
terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa, devono essere prescritti
secondo quanto previsto dalla Legge n. 12/01 e
con la ricetta autocopiante se almeno uno dei
farmaci è compreso nell’allegato III-bis.
8) Come prescrivere i medicinali compresi
nella tabella V?
I medicinali che contengono farmaci dell’al-
Ministero della Salute
122
PANORAMI E PERCORSI
▼ COME DISPENSARE LA TERAPIA DEL DOLORE
5) E se lo specialista esercita la professione
nel proprio studio?
Il paziente che riceve una ricetta autocopiante da
un medico specialista non convenzionato con il
SSN, che svolge la propria attività nello studio
privato, può prendere i medicinali in farmacia pagandoli; per poter ottenere i medicinali in regime
di convenzione con il SSN, deve presentare la ricetta
autocopiante rilasciata dal proprio medico di base.
1) Tutte le confezioni prescritte sono coperte
dal SSN?
Sono coperte dal SSN tutte le confezioni di medicinali compresi nella fascia A del Prontuario Farmaceutico Nazionale (PFN).
Le confezioni necessarie per completare un
ciclo di terapia che, in ogni caso, non può superare i trenta giorni, sono prescritte e dispensate
con una sola ricetta autocopiante (Legge 16 novembre 2001, n. 405, art. 9, comma 4).
6) Se il farmacista riceve una ricetta che prescrive un numero di confezioni eccedente i
trenta giorni, cosa fa?
La prescrizione di farmaci in quantità tale da
superare i trenta giorni di terapia non rispetta il
comma 3-bis dell’art.43 del DPR 309/90, introdotto dalla legge n. 12/01.
Pertanto la ricetta è da ritenersi non spedibile.
2) Cosa fare se lo spazio della ricetta destinato ai bollini non basta?
Se l’apposito spazio della ricetta (copia SSN)
non è sufficiente ad apporre i bollini autoadesivi,
il farmacista li può applicare anche sul retro della
ricetta; se lo spazio non dovesse essere ancora sufficiente, anche su un foglio allegato alla stessa.
7) Cosa deve fare il farmacista con la copia
originale della ricetta?
La copia originale della ricetta autocopiante deve
essere trattenuta dal farmacista come giustificativo
dello scarico dei medicinali sul registro di entrata e
uscita, qualora i medicinali consegnati siano compresi
nelle tabelle I, III e IV di cui all’art. 14 del DPR 309/90
e sono pertanto soggetti all’obbligo di registrazione.
Il farmacista deve conservare la ricetta per cinque
anni a partire dal giorno di spedizione della stessa.
3) Le ricette autocopianti, ai fini della rimborsabilità, hanno valenza su tutto il territorio
nazionale?
Le ricette autocopianti valgono su tutto il territorio nazionale, anche ai fini del rimborso da parte
del SSN, indipendentemente dalla residenza del
paziente, dalla regione di appartenenza del
medico prescrittore e dall’ubicazione della
farmacia. Anche le ricette stampate in duplice
lingua, e destinate alla Regione autonoma Valle
d’Aosta e alla Provincia Autonoma di Bolzano,
hanno lo stesso ambito di validità.
8) Qualora si tratti di medicinali compresi
nella tabella V?
Il medicinale incluso nella tabella V non è mai
soggetto all’obbligo di carico e scarico sul registro di
entrata e uscita in uso alle farmacie e pertanto il
farmacista non è tenuto a conservare copia della
ricetta autocopiante per cinque anni. La ricetta autocopiante deve essere ritirata dal farmacista, che
è tenuto a conservarla per sei mesi, qualora non la
consegni all’autorità competente per il rimborso
del prezzo a carico del SSN (D.lgs. 30/12/92, n.
539, art. 5, comma 3). In considerazione del fatto
che la ricetta autocopiante può arrivare in
farmacia in copia originale unita con la copia per
il SSN, il farmacista, non dovendo mantenere il
documento giustificativo dello scarico e per
quanto sopra riferito, può eliminare la copia originale della ricetta autocopiante.
4) Cosa succede in farmacia nel caso di un
paziente che riceve una ricetta autocopiante da
uno specialista che lavora in una struttura sanitaria convenzionata?
Tale paziente può andare direttamente in
farmacia per prendere i medicinali in regime di convenzione. Infatti la prescrizione farmaceutica in caso
di urgenza terapeutica o di necessità e di dimissione
ospedaliera, in orari coperti dalla continuità assistenziale, è compilata anche dai medici dipendenti
e dagli specialisti convenzionati interni, secondo le
disposizioni di cui all’art.15-decis del decreto legislativo n.502/92 e successive modificazioni (DPR
28/7/2000, n. 270, art. 36, comma 7).
Nel caso sopra descritto, nello spazio della ricetta
destinato all’indicazione dell’indirizzo professionale
del medico, deve essere riportata la denominazione
e l’indirizzo della struttura sanitaria convenzionata
con il SSN dove svolge attività il medico prescrittore.
9) Il farmacista quando deve accertarsi dell’identità dell’acquirente?
Il farmacista ha l’obbligo di accertarsi dell’identità
dell’acquirente quando dispensa farmaci compresi
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
123
ANNO X N. 3-4 2003
nelle tabelle I, II e III del DPR 309/90.
Nel caso in cui il farmacista spedisce ricette autocopianti di medicinali a base di buprenorfina
(compresse, cerotti, ecc.) compresi in tabella IV e
di medicinali compresi in tabella V, non è tenuto
ad accertarsi dell’identità dell’acquirente e lo
spazio “acquirente” predisposto sulla ricetta autocopiante non deve essere compilato.
di servizio di farmacia interna e titolari di gabinetto per l’esercizio delle professioni sanitarie,
possono acquistare dalle farmacie i medicinali
compresi nelle tabelle I, II, III e IV delle sostanze
stupefacenti e psicotrope, con richiesta in triplice
copia.
5) Le strutture sanitarie devono allestire un
registro?
I medicinali acquistati ai sensi dell’art. 42 del DPR
309/90 devono essere riportati sul registro di carico
e scarico, intestato alla struttura sanitaria, sotto la
responsabilità del direttore sanitario o del titolare
di gabinetto, previsto dall’art. 64 del DPR 309/90,
che deve essere vidimato annualmente dall’autorità
sanitaria locale.
Infatti i medicinali acquistati con richiesta in
triplice copia, ai sensi dell’art. 42 del DPR 309/90,
servono per il fabbisogno della struttura sanitaria
e non, come previsto dalla Legge n. 12/01, per uso
professionale urgente del medico o del veterinario.
▼ AUTOPRESCRIZIONE
1) I medici ed i veterinari possono approvvigionarsi dei farmaci compresi nell’allegato
III-bis?
Sì. Medici e veterinari possono approvvigionarsi dei farmaci compresi nell’allegato III-bis,
per uso professionale urgente, mediante autoricettazione compilata sulla ricetta autocopiante.
Non sono tenuti a rispettare i limiti quali-quantitativi previsti per le prescrizioni rilasciate ai pazienti.
I medicinali così prescritti non possono essere dispensati dalla farmacia in regime di fornitura a carico
del SSN.
▼ ASSISTENZA OSPEDALIERA
1) Un paziente in dimissione ospedaliera
può ricevere i medicinali?
Il paziente in dimissione dal ricovero ospedaliero può ricevere la quantità di medicinale necessaria per continuare la terapia, avendo in questo
modo il tempo per procurarsi i medicinali, prescritti con la ricetta autocopiante, in farmacia.
La quantità di medicinale fornita al paziente
sarà registrata sul registro di carico e scarico delle
unità operative (D.M. 3 agosto 2001).
2) Il medico o il veterinario deve conservare
copia dell’autoprescrizione?
Sì. Il medico o il veterinario deve conservare
copia dell’autoprescrizione per due anni.
3) Il medico o il veterinario deve avere un
registro?
Sì. Il medico o il veterinario deve avere il registro delle prestazioni effettuate, dove devono
essere annotate le movimentazioni relative ai
farmaci compresi nell’allegato III-bis di cui si approvvigiona per uso professionale urgente.
Tale registro non è di modello ministeriale e non
deve essere vidimato dalle autorità competenti.
Deve essere conservato per due anni a far data dall’ultima registrazione effettuata (Legge n. 12/01).
Il registro delle prestazioni non deve essere assimilato alle altre tipologie di registri previsti dal DPR
309/90 e successive modifiche ed integrazioni.
2) Quali strutture sanitarie possono realizzare procedure di assistenza domiciliare?
Tutte le strutture che possiedono i requisiti per
poter garantire la continuità assistenziale. I requisiti necessari per poter svolgere tali attività
sono definiti a livello di amministrazioni locali.
La Legge 16 novembre 2001 n. 405, art. 8 (Particolari modalità di erogazione di medicinali agli assistiti), detta che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anche con
provvedimenti amministrativi, hanno facoltà di
assicurare l’erogazione diretta da parte delle
aziende sanitarie dei medicinali necessari al trattamento dei pazienti in assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale e di disporre, al fine
di garantire la continuità assistenziale, che la
4) È ancora consentito, da parte del medico
e del veterinario, l’acquisto dei farmaci stupefacenti con richiesta in triplice copia?
L’art. 42 del DPR 309/90 è ancora in vigore e
pertanto i direttori sanitari di ospedali, ambulatori, istituti e case di cura in genere, sprovvisti
Ministero della Salute
124
PANORAMI E PERCORSI
struttura pubblica fornisca direttamente i farmaci,
limitatamente al primo ciclo terapeutico
completo, sulla base di direttive regionali, per il
periodo immediatamente successivo alla dimissione dal ricovero ospedaliero o alla visita specialistica ambulatoriale.
La certificazione deve essere prodotta su carta
intestata. Non si deve utilizzare la ricetta autocopiante in quanto i medicinali descritti nella certificazione non saranno dispensati dalla farmacia
aperta al pubblico.
4) Cosa si intende per assistenza domiciliare
integrata (ADI)?
L’ADI è la formula assistenziale che, attraverso
l’intervento di più figure professionali sanitarie e
sociali, realizza a domicilio del paziente un
progetto assistenziale unitario, limitato o continuativo nel tempo.
L’obiettivo è il miglioramento della qualità
della vita del paziente e l’umanizzazione del trattamento, in un contesto familiare certamente più
idoneo, in particolare per il paziente anziano.
L’ADI si inserisce nella rete dei servizi territoriali delle ASLL, da cui dipendono gli operatori
sanitari che offrono le loro prestazioni.
Gli analgesici oppiacei prescritti dal medico di
famiglia, di sua iniziativa o in accordo con gli specialisti coinvolti nelle cure al malato, al paziente
in ADI devono essere forniti dalla farmacia ospedaliera della ASL.
3) La consegna dei farmaci compresi nell’allegato III-bis al domicilio dei pazienti, come
deve avvenire?
I farmaci compresi nell’allegato III-bis possono
essere trasportati e consegnati al domicilio del paziente da:
• personale sanitario che opera nei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali o negli
ospedali pubblici o accreditati;
• infermieri professionali che effettuano servizi
di assistenza domiciliare nell’ambito dei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali
delle ASLL;
• familiari del paziente, opportunamente identificati dal medico o dal farmacista ospedaliero.
Coloro i quali trasportano i medicinali, nella
quantità da consegnare, devono avere una certificazione medica che ne prescriva la posologia e l’utilizzazione al domicilio del paziente.
a proposito di…
A cura della Commissione Terapia del Dolore
del Ministero della Salute
Immunoglobuline antitetaniche
A seguito della comunicazione della ditta titolare dell’unica immunoglobulina specifica esistente per uso endovenoso di voler
interrompere la produzione di questo medicinale, la CUF ha incaricato una commissione esterna di esperti per valutare l’opportunità di trattare il tetano conclamato con immuno-terapia passiva. Questa terapia si basa sull’uso delle immunoglobuline
specifiche antitetaniche intramuscolari o delle immunoglobuline umane normali aspecifiche (dato l’elevato titolo in esse della
componente antitetanica, circa 15 U.l. per ml.) o di entrambi i tipi di immunoglobuline in associazione.
Ministero della Salute
125
DEAR DOCTOR LETTER
Si pubblicano di seguito due Dear Doctor Letter (DDL) recentemente inviate ai medici per diffondere tempestivamente nuove evidenze sulla sicurezza di alcuni medicinali. Le DDL sono concordate con il Ministero che quindi
ne condivide i contenuti; con la loro pubblicazione sul Bollettino d’Informazione sui Farmaci si intende sottolinearne l’importanza e facilitarne l’archiviazione. Si ricorda inoltre che per ulteriori informazioni ci si può rivolgere
all’Ufficio VI della Direzione Generale dei Farmaci e dei Dispositivi Medici via fax, al numero: 06/59943554.
Nota informativa importante
concordata con le autorità
sanitarie
■
Controindicazioni sull’uso
concomitante di repaglinide
(Novonorm®-Prandin®) e
gemfibrozil
Egregio Dottore, Gentile Dottoressa,
desideriamo informarLa che i risultati di uno studio recentemente
pubblicato da Niemi et al.1 hanno
evidenziato un’interazione tra la re-
paglinide (Novonorm®-Prandin®),
un segretagogo insulinico ad azione
breve, e gemfibrozil, un agente che
riduce i lipidi usato nel trattamento
della dislipidemia.
L’effetto ipoglicemizzante della
repaglinide può essere fortemente
amplificato e prolungato dalla
concomitante somministrazione
di gemfibrozil.
Inoltre la Novo Nordisk ha ricevuto
cinque segnalazioni spontanee di
episodi di ipoglicemia grave in pazienti trattati contemporaneamente
con repaglinide e gemfibrozil.
Novonorm®: consumi farmaceutici in Italia (pubblico + privato).
Anno 2001
N. confezioni
DDD 1000 ab/die
% sul totale DDD
ipolipemizzanti orali*
Spesa €
% sul totale spesa
ipolipemizzanti orali*
Anno 2002
∆% 2002
vs 2001
438.297
0,13
570.979
0,45
+30
+247
1,3
3.155.956
1,2
10.085.833
-8
+220
0,9
2,8
+211
*Gruppo ATC: A10
Elaborazioni OsMed su fonte dati IMS Health
Gemfibrozil: consumi farmaceutici in Italia (pubblico + privato).
N. confezioni
DDD 1000 ab/die
% sul totale DDD fibrati*
Spesa €
% sul totale spesa fibrati*
Anno 2001
Anno 2002
∆% 2002
vs 2001
1.072.284
0,76
24,3
11.275.927
41,0
820.890
0,58
29,1
7.573.716
35,7
-23
-24
+20
-33
-13
*Gruppo ATC: C10AB
Elaborazioni OsMed su fonte dati IMS Health
Ministero della Salute
Gli effetti riportati da Niemi et al.1
consistevano in una significativa alterazione delle proprietà farmacocinetiche della repaglinide dopo
somministrazione concomitante di
gemfibrozil in volontari sani. L’area
sotto la curva (AUC) è risultata aumentata di 8,1 volte e l’emivita di
eliminazione (T1/2) prolungata da
1,3 ore a 3,7 ore. Questa somministrazione contemporanea ha anche
influenzato i livelli di glicemia.
Queste variazioni sono causate
dall’inibizione del CYP2C8 da
parte del gemfibrozil.
Questo sistema enzimatico gioca
un ruolo importante nel metabolismo della repaglinide.
Sulla base delle suddette informazioni: l’uso concomitante del
gemfibrozil e della repaglinide
è controindicato.
In accordo alle recenti conoscenze,
il metabolismo degli altri agenti
che riducono i lipidi non coinvolge il CYP2C8, pertanto questi
farmaci possono essere utilizzati in
alternativa al gemfibrozil.
1. Niemi M, Backman JT, Neuvonen M,
Neuvonen PJ. Effects of gemfibrozil,
itraconazole, and their combination
on the pharmacokinetics and pharmacodynamics of repaglinide: potentially hazardous interaction
between gemfibrozil and repaglinide. Diabetologia 2003; 46: 347-51.
126
DEAR DOCTOR LETTER
Nota informativa importante
concordata con le autorità
sanitarie
■
Precauzioni sull’uso di telitromicina (Ketek®) in pazienti con miastenia grave
Egregio Dottore, Gentile Dottoressa,
lo scopo di questa comunicazione è
di informarLa sulle nuove precauzioni che dovrà prendere prima di
somministrare telitromicina a pazienti affetti da miastenia grave, una
rara malattia autoimmune.
Telitromicina (Ketek®) è il capostipite dei ketolidi, una nuova classe di
agenti antibatterici. In Europa è
stato approvato nel luglio 2001 per
il trattamento delle infezioni del
tratto respiratorio: polmoniti acquisite in comunità, riacutizzazione di
bronchite cronica, sinusite acuta e
tonsillite/faringite.
Recentemente sono stati segnalati casi di riacutizzazione di miastenia grave, incluso un caso di
decesso, in pazienti con miastenia
grave accertata che avevano preso
telitromicina per il trattamento
delle infezioni del tratto respiratorio. La riacutizzazione della debolezza muscolare, dispnea o
grave insufficienza respiratoria
acuta si sono manifestate entro
poche ore dalla prima somministrazione del farmaco. Il meccanismo di tali riacutizzazioni non è
noto. L’insufficienza respiratoria
acuta in pazienti con miastenia
grave può metterne in pericolo la
vita. In caso di riacutizzazione di
tali sintomi, Ketek® deve essere interrotto e deve essere istituito un
adeguato trattamento di supporto
come indicato dalla situazione
clinica.
La riacutizzazione della miastenia
grave è stata segnalata con diversi
altri antibiotici inclusi gli aminoglicosidici, i macrolidi ed alcuni fluorochinolonici.
•
•
•
In breve, i prescrittori devono
sapere che:
• casi di esacerbazione di miastenia
grave con potenziale pericolo di
Ketek®: consumi farmaceutici in Italia (pubblico + privato).
N. confezioni
DDD 1000 ab/die
% sul totale DDD macrolidi*
Spesa €
% sul totale spesa macrolidi*
•
vita sono stati segnalati in pazienti affetti da miastenia grave
trattati con telitromicina;
si raccomanda pertanto di non
somministrare telitromicina a pazienti affetti da miastenia grave a
meno che non siano disponibili
terapie alternative;
quando si inizia un trattamento
con telitromicina, i pazienti affetti da miastenia grave dovranno
essere attentamente controllati;
i pazienti con miastenia grave dovranno essere informati di contattare immediatamente un medico se si accorgono di qualsiasi
peggioramento della loro sintomatologia dopo aver preso telitromicina;
qualora si manifestasse una esacerbazione della sintomatologia,
il trattamento con telitromicina
deve essere interrotto e devono
essere intraprese adeguate misure
di supporto.
Anno 2001‡
Anno 2002
-
295.577
0,07
1,4
10.199.427
2,9
*Gruppo ATC: J01FA
‡
Non in commercio nel 2001.
Elaborazioni OsMed su fonte dati IMS Health
Ministero della Salute
Il Ministero della Salute coglie
l’occasione per ricordare a tutti i
medici l’importanza della segnalazione delle reazioni avverse da farmaci, quale strumento indispensabile per confermare un rapporto beneficio/rischio favorevole nelle
loro reali condizioni di impiego.
Le segnalazioni di sospetta reazione avversa da farmaci devono essere inviate al Responsabile di Farmacovigilanza della
Struttura di appartenenza.
bollettino d’informazione sui farmaci
127
AGGIORNAMENTI
La medicina basata sull’evidenza
(evidence-based medicine, EBM).
L’uso della letteratura scientifica nella medicina clinica
Punti chiave
■ L’EBM ebbe origine nel 1992, da una
serie di studi iniziati oltre 10 anni prima
presso il Dipartimento di Epidemiologia
Clinica e Biostatistica dell’Università canadese McMaster e aventi come
oggetto il miglior uso della letteratura
scientifica per l’aggiornamento medico.
Da queste radici, l’EBM ha sviluppato il
concetto che le “evidenze” devono
avere un ruolo preminente nelle decisioni terapeutiche, intendendo con il
termine “evidenze” le informazioni aggiornate e metodologicamente valide
dalla letteratura medica.
■ L’EBM ha avuto sviluppo in due aree di
applicazione: le macrodecisioni di
sanità pubblica o riguardanti gruppi
omogenei di popolazione e la pratica
medica sul paziente individuale. È
questa l’area di maggior interesse per
l’EBM, che si è data una missione essenzialmente didattica: insegnare ai
medici come tradurre in domande
chiare e definite (“answerable”) il
bisogno d’informazione emergente
durante l’incontro con un paziente, e
come ricercare nella letteratura, selezionare e applicare le “evidenze”.
■ Originariamente definita come “un
nuovo paradigma emergente per la
MEDICINA BASATA SULL’EVIDENZA (EBM):
UN RIESAME NEL SUO DECIMO COMPLEANNO
LA
pratica medica”, l’EBM ricevette,
quattro anni dopo, una definizione più
cauta: “EBM è l’uso coscienzioso
esplicito e giudizioso delle migliori
evidenze aggiornate [dalla letteratura]
per prendere decisioni riguardo alla
cura dei pazienti individuali”, riconoscendo poi la necessità di integrare le
“evidenze” con la competenza clinica
individuale (“expertise”).
■ L’EBM ha prodotto un enorme numero
di iniziative editoriali, classificabili in due
categorie principali: iniziative che
espongono e commentano i criteri metodologici di valutazione critica e di applicazione delle “evidenze” e pubblicazioni “secondarie” che presentano
sintesi di articoli originali, selezionati per
interesse clinico (soprattutto terapeutico) e valutati criticamente per validità metodologica (“prefiltered”).
■ Sono soprattutto queste ultime (delle
quali quella clinicamente più importante è Clinical Evidence, ora
tradotta in italiano e inviata dal Ministero della Salute a tutti i medici
iscritti all’ordine) che l’EBM raccomanda come “evidenze” utilizzabili
nella pratica, riconoscendo che la
ricerca sistematica e la valutazione
critica degli articoli originali sarebbero
un compito inverosimile per i medici
che esercitano la pratica corrente.
■ Nella più realistica versione attuale
(uso delle “evidenze” riassunte e commentate nelle pubblicazioni secondarie; riconoscimento del ruolo
primario della competenza clinica per
praticare la medicina) l’EBM potrebbe
assumere un ruolo strategico nell’implementare il passaggio delle innovazioni terapeutiche dalla ricerca
clinica alla pratica.
■ Tuttavia, a dieci anni dalla sua nascita,
l’impatto dell’EBM sulla pratica
medica continua a essere limitato da
numerosi ostacoli. Gli ostacoli potrebbero essere rimossi o attenuati se
(com’è probabile) l’accesso alle
evidenze sarà reso più facile dall’informatica e se migliorerà la preparazione
pre-laurea e post-laurea di metodologia clinica. In ogni caso, l’EBM
rappresenta un approccio incompleto
alla medicina, che va integrato con
conoscenze diagnostiche, di fisiopatologia e di farmacologia che nell’EBM
attuale non hanno diritto d’asilo.
usare la letteratura scientifica per la pratica medica
– la prima sul Canadian Medical Association Journal
(CMAJ) dal 1981 al 1984, la seconda su Annals of Internal Medicine nel 1986. Il termine EBM fu coniato
da Guyatt1 nel 1990 per definire un programma
interno della McMaster; fu “esportato” con un articolo sul JAMA nel 1992 da un Working Group della
stessa università che definì l’EBM: “un nuovo pa-
“Evidence does not make decisions, people do”
(Haynes RB et al., 2002)
▲INTRODUZIONE
L’evidence-based medicine (EBM) ebbe origine
nell’università canadese McMaster, che aveva in precedenza pubblicato due serie di articoli su come
Ministero della Salute
128
AGGIORNAMENTI
radigma emergente per la pratica medica”2. In
coerenza con questa definizione, l’esperienza e le discipline di base erano sommariamente citate come
“necessarie ma non sufficienti” per le decisioni
cliniche; queste dovevano essere essenzialmente
basate su “evidenze” dalla letteratura medica, intendendo con il termine “evidenze” informazioni
aggiornate da ricerche metodologicamente valide –
soprattutto da trial randomizzati (RCTs) e review sistematiche. La capacità di ricercare e valutare criticamente le “evidenze” per poi applicarle a ogni
nuovo paziente diventava la caratteristica distintiva
della qualità del nuovo medico.
Negli ultimi anni, questa posizione piuttosto
estrema si è attenuata, e il Working Group di EBM
ha restituito un maggior peso alla competenza
clinica e alle preferenze dei pazienti come determinanti delle decisioni cliniche. Il cambiamento
è evidente da alcuni editoriali3,4 (v. oltre), e più organicamente dal volume edito da Guyatt e
Rennie1, che raccoglie e amplia le 25 Users’ Guides
originariamente pubblicate sul JAMA e rielabora la
“filosofia” dell’EBM. Esprime questa posizione clinicamente più realistica il titolo del primo paragrafo del primo capitolo del volume: “Clinical
Decision Making: Evidence is never enough”1.
Durante i dieci anni dalla sua origine, l’EBM ha
avuto una diffusione straordinaria (oltre 11.000
citazioni in MEDLINE) e ha prodotto o stimolato
un gran numero di iniziative editoriali, che
rientrano in due tipologie principali:
• pubblicazioni che illustrano e commentano i
criteri metodologici per ricercare, valutare e applicare le “evidenze”. Rientrano in questa tipologia le 25 Users’ Guides to the Medical Literature
apparse sul JAMA dal 1992 al 2000 e ora ripresentate, ampliate e largamente modificate nel
volume citato1, numerosi importanti editoriali, e
il manuale di Sackett et al. “per praticare e insegnare l’EBM” ora giunto alla seconda edizione5;
• pubblicazioni “secondarie” che presentano
sintesi di RCTs e review sistematiche selezionate
per rilevanza clinica e valutate per validità metodologica (“prefiltered”), di cui le più notevoli
sono Clinical Evidence, ACP Journal Club ed
Evidence-Based Medicine, e le meta-analisi della
Cochrane Library. Esistono anche numerosi
trattati (per es.: Evidence-Based Cardiology) e numerose riviste settoriali (per es.: Evidence-Based
Mental Health).
L’EBM ha due aree di applicazione: le macrodecisioni di sanità pubblica o riguardanti gruppi di popolazione omogenei per malattie o fattori di rischio
(Evidence-Based Health Care, EBHC6), e la pratica
medica del singolo paziente (EBM propriamente
detta, Evidence-Based Clinical Practice5). È quest’ultima l’area maggiormente focalizzata dal
Working Group, secondo cui l’EBM “comincia e
finisce con i pazienti”5. La missione che l’EBM si è
autoattribuita è essenzialmente didattica: insegnare
ai medici come tradurre in domande chiare e definite (“answerable”) il bisogno d’informazione
emergente durante l’incontro con un paziente, e
come ricercare nella letteratura, selezionare e applicare al paziente le informazioni pertinenti e metodologicamente più valide (tabella I).
EBM e il bisogno d’informazione
dei medici
Il medico ha bisogno di nuove informazioni
per risolvere un problema clinico con una frequenza media di tre informazioni ogni due pazienti7, particolarmente per patologie che non gli
sono familiari6. Le informazioni richieste sono
Tabella I – I precetti di EBM.
1.
Convertire il bisogno d’informazione (sulla diagnosi, la prognosi, la terapia, la causa, ecc.) in una domanda
che consenta una risposta utile (“answerable”).
2.
Ricercare le migliori evidenze (#) con cui rispondere alla domanda.
3.
Valutare criticamente quelle evidenze dal punto di vista della validità (cioè approssimazione alla verità),
impatto (entità dell’effetto, “effect size”) e applicabilità (utilità nella pratica clinica).
4.
Integrare la valutazione critica con la competenza clinica e con le caratteristiche biologiche dei pazienti
e le circostanze.
(#) Informazioni aggiornate dalla letteratura cartacea e online.
Da: Sackett DL, Straus SE, Richardson WS, Rosenberg W, Haynes RB. Evidence-based Medicine. How to practice and teach EBM. 2nd edition.
London: Churchill Livingstone, 2000, modif.
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
129
ANNO X N. 3-4 2003
molto varie 8-11, ma riguardano soprattutto la
terapia e la diagnosi. Se si prendono in considerazione i medici di medicina generale (MMG), che
sono la categoria medica più numerosa e con il
maggior numero di pazienti, le prime 3 fra le 10
domande più frequenti sono (tabella II):
Tabella II – Quali sono i bisogni dei medici
per la soluzione di problemi clinici?
Le 10 domande più spesso poste dai medici
(ten top questions)
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
1. Qual è il farmaco di scelta per la condizione X?
2. Qual è la causa del sintomo X? (e anche,
domanda n. 7: qual è la causa del segno X?)
3. Quale test è indicato nella situazione X?
Il presente articolo riesamina se e come queste
domande possano ricevere risposte utili dalle pubblicazioni e dalla filosofia dell’EBM, qual è
l’impatto reale dell’EBM sulla pratica medica, e
come si può migliorare la capacità dei medici di
usare i risultati della ricerca scientifica nella loro
pratica. Le tre domande sono esaminate nell’ordine, seguendo per ognuna la sequenza dei
precetti dell’EBM riportati nella tabella I.
Qual è il farmaco di scelta per la condizione X?
Qual è la causa del sintomo X?
Quale test è indicato nella condizione X?
Qual è la dose del farmaco X?
Come dovrei trattare la condizione X?
Come dovrei gestire il problema X?
Qual è la causa del segno X?
Qual è la causa del risultato X del test Y?
Può il farmaco X causare la reazione avversa Y?
Potrebbe questo paziente avere la malattia X?
Da: Ely JW, Osheroff JA, Gorman PN et al. A taxonomy of generic
clinical questions: classification study. BMJ 2000; 321: 429-32.
medicinale sperimentale per il convergente interesse della ditta produttrice e di sperimentatori
che da un trial positivo ricavano vantaggi economici o di carriera17-19. Errori e bias degli RCTs si
ripetono nelle revisioni sistematiche, che sugli RCTs
sono costruite e che possono a loro volta subire le
influenze promozionali dell’industria.
Negli RCTs pubblicati sulle riviste maggiori, i
criteri classici di validità sono rispettati praticamente sempre (randomizzazione “concealed”,
cioè non prevedibile dagli sperimentatori; completezza del follow-up; analisi “intention to treat”,
ecc.5,20). Questi criteri sono ovviamente basilari, ma
insufficienti. Gli RCTs sono soggetti a più sottili
meccanismi di distorsione promozionale: per
esempio, la decisione del trial per un farmaco “metoo”, copia di tanti altri già in uso (v. i trial di equivalenza21); la scelta di un trattamento di controllo
“debole”22 o inattivo (placebo); gli end-point combinati, in cui il risultato positivo di quelli minori si
espande discutibilmente ai maggiori (per es. dagli
eventi non fatali alla mortalità)23; la significatività
solo statistica di risultati clinicamente irrilevanti24.
Infine, per le stesse ragioni promozionali, i trial con
risultati positivi hanno maggiori probabilità di
essere pubblicati e di apparire su riviste più diffuse
rispetto ai trial negativi (publication bias25). Ogni
RCT andrebbe dunque valutato per i propri meriti
e non perché rispetta i criteri formali di appartenenza a una categoria generale di studi. È questo
un compito che non si può chiedere ai medici
perché la valutazione degli RCTs è difficile anche
per gli esperti26,27, ed è anche più difficile scoprire
le eventuali distorsioni promozionali.
1. Qual è il farmaco di scelta per la condizione X?
1.1. Convertire il bisogno d’informazione in una
domanda che consenta una risposta utile (“answerable”).
Secondo l’EBM, il bisogno d’informazione terapeutica è traducibile in tre parti: il paziente a cui si
riferisce la domanda; l’intervento terapeutico; l’esito
desiderato dell’intervento (outcome); per esempio:
“in questo paziente con fibrillazione atriale è preferibile usare il warfarin o l’aspirina per prevenire uno
stroke embolico?”12; “in questo cirrotico con grosse
varici esofagee c’è indicazione a un beta-bloccante
per prevenire un’emorragia?”13. Queste domande
sono chiare e definite (“answerable”) ed è possibile
ricercare la risposta in “evidenze” della letteratura.
1.2. Ricercare le migliori evidenze con cui rispondere alla domanda e
1.3 valutarle dal punto di vista della validità,
impatto e applicabilità.
È giudizio generale, pienamente condiviso
dall’EBM, che il golden standard degli studi terapeutici14-16 sia rappresentato dagli RCTs e dalle
review sistematiche che ne cumulano i risultati.
Tuttavia, la ricerca degli articoli originali che riportano RCTs e review sistematiche richiede tempo,
motivazione e competenza che il medico raramente
possiede. Inoltre, anche gli RCTs sono soggetti a
errori e sono esposti a un bias generale a favore del
Ministero della Salute
130
AGGIORNAMENTI
L’esperienza di 10 anni ha dimostrato al Working
Team che, a causa di queste difficoltà, il 70-80% dei
medici che praticano l’EBM ricerca le “evidenze” in
pubblicazioni secondarie che selezionano, valutano
e sintetizzano RCTs e review sistematiche1. Il suggerimento attuale del Working Team è, dunque, che
i medici che non sono in grado di valutare autonomamente gli RCTs usino la “prefiltered information” delle pubblicazioni secondarie1,3, di cui le
principali sono le seguenti: Clinical Evidence28; ACP
Journal Club29 ed Evidence-Based Medicine30; la Cochrane Database of Systematic Reviews (CSDR)31, che
contiene meta-analisi di RCTs.
Clinical Evidence è un compendio semestrale di
review terapeutiche “evidence-based” ad accrescimento progressivo ma ancora limitato (per es.,
nell’edizione più recente, dicembre 2002, manca
la terapia di malattie clinicamente importanti
come le epatiti virali croniche). Seguendo il primo
precetto della tabella I, l’esposizione inizia con
domande “answerable” sugli effetti dei trattamenti
in una malattia, per esempio “quali sono gli effetti
dei trattamenti per la gastroenterite acuta?”, “quali
sono gli effetti dei trattamenti farmacologici nell’insufficienza cardiaca?”. Nelle risposte i trattamenti sono distinti in sei classi di efficacia, da
“beneficial” a “probabilmente inefficaci o
dannosi”. Questa struttura, che riproduce le
domande dei medici, e la concisione del testo consentono una consultazione rapida e facile (Clinical
Evidence è stata definita “the friendly end front”
della CSDR5). L’esclusione dei trattamenti non
“evidence-based” determina qualche omissione
talora paradossale (per es., nella terapia dell’insufficienza cardiaca non sono citati i diuretici).
ACP Journal Club (edito dall’American College
of Physicians) ed Evidence-Based Medicine (edito
dal BMJ Publishing Group) hanno contenuti largamente sovrapposti e presentano in una o due
pagine il riassunto strutturato e commentato di
articoli già pubblicati in altre riviste. Hanno i
vantaggi essenziali della brevità che ne consente
un uso particolarmente rapido e della selezione di
articoli, prevalentemente di terapia, clinicamente
rilevanti e metodologicamente validi.
La CDSR contiene un numero continuamente
crescente di meta-analisi (1.596 al 31 marzo 2003),
costruite secondo un disegno metodologico unico
e rigoroso. Nell’uso di CDSR, il medico deve risolvere un’alternativa: limitarsi alle “implications
for practice”, assai brevi e sommarie, oppure affrontare una consultazione più estensiva, che richiede tempo e competenza statistica.
Quando la ricerca di evidenze in queste pubblicazioni fallisce, gli articoli originali di RCTs e le
review sistematiche possono essere ricercati in
banche-dati informatiche (la più grande è
MEDLINE, con oltre 11.000.000 di citazioni). Per
molte riviste però è disponibile in MEDLINE solo
l’abstract, il cui contenuto d’informazione è limitato e spesso inadeguato ad applicazioni cliniche;
inoltre, anche quando il full text è disponibile (per
es., nel BMJ o nel CMAJ), l’informazione è “unfiltered”1, lasciando al medico la valutazione della
qualità metodologica e clinica dell’articolo trovato.
È stato ripetutamente osservato che spesso le innovazioni terapeutiche vengono trasferite alla
pratica in ritardo e applicate solo a una parte dei pazienti per i quali potrebbero essere utili. Gli esempi
citati sono numerosi, e vanno dall’impiego di antibiotici inappropriati nell’otite dei bambini32 al frequente non uso di beta-bloccanti o di aspirina postinfarto33. Il segmento in cui si concentra il deficit
del trasferimento dalla ricerca alla pratica è quello
post-sperimentazioni cliniche33, osservazione che
spiega l’importanza attualmente attribuita all’EBM.
E tuttavia, le domande di terapia non trovano risposte “evidence-based” nelle “grey zones” della
medicina34, dove gli RCTs non ci sono o hanno risultati incerti o discordanti. Nelle “grey zones” le
scelte terapeutiche si devono ricavare da conoscenze
fisiopatologiche (per es.: come associare i diuretici in
un paziente con cirrosi ascitica parzialmente refrattaria35), o da studi non controllati in piccole serie
di pazienti (per es.: come trattare un paziente con
ipercalcemia da immobilizzazione36), o su case report,
e più di altre scelte terapeutiche devono tener conto
delle preferenze dei pazienti37. Le pubblicazioni
EBM-correlate non sono di nessun aiuto in queste
condizioni perché non contengono conoscenze di
fisiopatologia, farmacologia e altre discipline da cui
estrapolare la terapia.
1.4. Integrare la valutazione critica con la competenza clinica e con le caratteristiche biologiche
proprie dei pazienti e delle circostanze.
I trial randomizzati vengono eseguiti in condizioni ideali per la valutazione dei trattamenti: i
pazienti sono selezionati per patologie “pure”, cioè
senza comorbilità importanti e senza trattamenti
associati; i medici sono particolarmente esperti; il
monitoraggio è più assiduo e completo di quello
routinario; la compliance è mantenuta alta in tutti
i modi. L’efficacia di un trattamento dimostrata dal
trial in queste condizioni (“efficacy”) può non
trovare riscontro in una pari efficacia nella pratica
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
131
ANNO X N. 3-4 2003
corrente (“effectiveness”) 38; oppure, un trattamento di provata efficacia può non essere applicabile perché la presenza di comorbilità ne altera il
profilo rischio/beneficio. Per esempio, in un paziente con fibrillazione atriale e cirrosi con grosse
varici esofagee, il warfarin può essere controindicato perché il rischio di emorragia variceale infrenabile supererebbe la riduzione del rischio di
stroke embolico3. Inoltre, gli RCTs sono strumenti
poco sensibili per la rilevazione di eventi avversi,
che vengono identificati e caratterizzati da case
report e studi osservazionali post-marketing39,40, che
la metodologia dell’EBM ignora5 o relega in posizioni di retroguardia1.
Alcuni criteri proposti dall’EBM per giudicare
l’applicabilità dei risultati dei trial ai pazienti della
pratica corrente sono riportati nella tabella III, riconoscendo peraltro che – se sperimentati su
esempi pratici – sono di incerta utilità.
razione in questa sezione (2. qual è la causa del
sintomo X? Qual è la causa del segno X?) rispecchia
il bisogno d’informazione durante la fase induttiva; la domanda successiva (3. quale test è indicato nella situazione X?) rispecchia il bisogno
d’informazione emergente nella fase ipotetico-deduttiva di verifica. In questa domanda, il termine
test ha un significato generale e include sintomi,
segni, test di laboratorio, imaging, ecc.
2.1. Convertire il bisogno d’informazione in una
domanda che consenta una risposta utile (“answerable”).
La generazione di un’ipotesi diagnostica deriva
dal confronto (“matching”) fra i dati osservati in
un paziente e i modelli mentali di malattie
(“scripts”42) in precedenza memorizzati, fino a
trovare un modello che si adatti ai dati del paziente. I dati dei modelli di malattia possono essere
rappresentati come nodi di una rete collegati da
connessioni reciproche e con concetti astratti (“semantic network”43). Il riconoscimento di un dato
clinico attiva un network che attraverso le sue connessioni ne espande l’interpretazione ed elabora
un’ipotesi di malattia e la selezione dei dati di
conferma. Per la generazione di ipotesi diagnostiche è dunque necessaria la precedente memorizzazione di dati clinici, acquisiti dall’esperienza o
dalla lettura di studi osservazionali. Se questa
manca, difficilmente può dare risultati utili la
ricerca di “evidenze” diagnostiche emergente dal
bisogno d’informazione durante l’incontro con un
paziente. Sintomi e segni infatti assumono significato clinico diverso in funzione del contesto
clinico, dei loro caratteri, della cronologia di
comparsa e sviluppo, della loro frequenza nelle malattie ipotizzabili. Per esempio: l’epatomegalia associata a splenomegalia e nevi racemosi fa pensare
anzitutto alla cirrosi; associata a giugulari turgide e
fibrillazione atriale, all’insufficienza cardiaca con-
2. Qual è la causa del sintomo X? Qual è la
causa del segno X?
3. Quale test è indicato nella situazione X?
Premessa
Il ragionamento diagnostico ha due fasi41:
• la prima è induttiva: il medico rileva sintomi
e segni di un paziente, li aggrega in cluster
o problemi e genera una o più ipotesi diagnostiche;
• la seconda è ipotetico-deduttiva, o di verifica:
il medico deduce che se la sua ipotesi (o una
di esse) è vera (o falsa), devono esser presenti
altri sintomi, segni e test di laboratorio che
la confermano (o la escludono). Le due fasi,
concettualmente distinte, sono largamente
sovrapposte nel tempo, con un processo circolare di continui ritorni dall’una all’altra.
La prima delle due domande prese in conside-
Tabella III – Domande a cui rispondere per giudicare l’applicabilità dei risultati di un trial a un paziente individuale.
1.
È il mio paziente così differente da quelli del trial da renderne inapplicabili irisultati? (risultato applicabile
se la risposta è NO)
2.
Nel contesto in cui mi trovo, è fattibile il trattamento positivamente sperimentato nel trial? (risultato applicabile se la risposta è SI)
3.
Quali sono, verosimilmente, i benefici e i rischi di eventi avversi del trattamento? [nota: il trial consente
solo in parte il giudizio sul rischio di eventi avversi]
4.
In che modo i valori [le preferenze] del mio paziente influenzano la decisione terapeutica?
Da: Glasziou P, Guyatt GH, Dans AL et al. Applying the results of trials and systematic reviews to individual patients. ACP J Club 1998; 129: A17-18.
Ministero della Salute
132
AGGIORNAMENTI
gestizia; in un soggetto con storia di ulcere genitali,
ambliopia e afte, a sindrome di Budd-Chiari da m.
di Behçet; in una donna con artrite reumatoide di
lunga durata e sindrome nefrosica, all’amiloidosi.
L’interpretazione del sintomo dolore dipende dall’intensità, dal ritmo di comparsa, dai fattori che lo
alleviano o lo accentuano; l’interpretazione del
segno epatomegalia dalle dimensioni del fegato,
dalla consistenza, dai caratteri del margine e della
superficie, dall’eventuale dolenzia palpatoria.
“ascendente” deriva dall’esperienza, ed è esemplificato nei case report, che in questo modo forniscono
modelli didattici di ragionamento diagnostico, e
che seguitano a essere pubblicati regolarmente da
grandi riviste (per es., in ogni numero del N Engl J
Med). Particolarmente efficaci sono i case report di
Clinical Problem Solving, nei quali il ragionamento
diagnostico è reso esplicito e commentato. Eccellenti esempi sono i case report di Clinical Problem
Solving del testo di Kassirer e Kopelman41 e quelli di
una serie pubblicata sul N Engl J Med dal 199251,52 a
oggi53.
In conclusione, l’interpretazione diagnostica
dei sintomi e segni e la generazione di ipotesi diagnostiche richiedono:
a. la presenza in memoria di modelli mentali
di malattie;
b. la capacità cognitiva di risalire ad essi dalle
presentazioni cliniche.
Riferimenti bibliografici sono, rispettivamente,
gli studi osservazionali descrittivi delle malattie e
i case report di Clinical Problem Solving.
2.2. Ricercare le migliori evidenze con cui rispondere alla domanda.
Le “evidenze” dalla letteratura necessarie alla generazione di ipotesi diagnostiche derivano da studi
osservazionali descrittivi di serie di casi (“case series
reports”44) e da review che vengono pubblicati da
tutte le grandi riviste, con particolare frequenza e
con maggiori dettagli da Medicine (Baltimora:
Williams & Wilkins). Nella letteratura EBM-correlata possono avere qualche utilità per l’apprendimento del significato clinico di sintomi e segni
le review pubblicate sul JAMA nella serie dal titolo
generale “The Rational Clinical Examination”45,46.
Molte di esse però riguardano l’accuratezza delle
modalità di rilievo dei sintomi e segni e hanno uno
scarso contenuto descrittivo. Dei testi sulla
diagnosi “evidence-based”47-49 il solo che può
essere di aiuto in questa fase diagnostica è il primo,
che fornisce informazioni quantitative su un gran
numero di segni fisici.
Nelle riviste e nei trattati le malattie vengono
presentate con un percorso “discendente” – dalla
tassonomia alle manifestazioni cliniche (per es.:
“Adult Still’s disease” “arthritis; fever > 39 °C;
rash”; ecc.50). La generazione delle ipotesi diagnostiche ha direzione inversa, “ascendente”: dalle
manifestazioni cliniche all’ipotesi (cioè: “arthritis;
fever > 39 °C; rash”; ecc. “Adult Still’s disease”).
La capacità di invertire il percorso “discendente” in
2.3. Valutare criticamente le evidenze dal punto di
vista della validità, dell’impatto e dell’applicabilità.
La metodologia degli studi osservazionali descrittivi e dei case report è assai meno standardizzata di quella degli studi sperimentali (per es.,
degli RCTs), e non è neppure citata nel manuale
di EBM5. Riportano una sequenza di criteri per la
valutazione metodologica degli studi osservazionali dei quadri clinici di malattie il testo di
Guyatt e Rennie1 (p. 111) e la precedente Users’
Guide54 da cui è tratta la tabella IV. Non c’è invece
nella letteratura EBM-correlata alcun riferimento a
case report caratterizzabili come di Clinical Problem
Solving; i case report “evidence-based” che per
qualche tempo furono pubblicati sul BMJ quasi
sempre assumevano la diagnosi come acquisita e
riguardavano solo le “evidenze” terapeutiche55-57.
Tabella IV – Criteri per la valutazione metodologica di articoli che riportano le manifestazioni cliniche di una malattia.
•
•
•
•
•
•
Erano affidabili i criteri di diagnosi della malattia?
Il campione di pazienti studiato era sufficientemente rappresentativo dello spettro clinico della malattia?
La ricerca delle manifestazioni cliniche era sufficientemente accurata?
È riportata la frequenza delle manifestazioni cliniche della malattia?
Qual è la precisione della frequenza delle manifestazioni cliniche della malattia (= qual è l’intervallo di confidenza)?
È riportato il tempo di comparsa e di evoluzione delle manifestazioni cliniche nel corso della malattia?
Da: Richardson WS, Wilson MC, Williams, et al. for the EBM Working Group.
Users’ Guides to the medical literature. XXIV. How to use an article on the clinical manifestations of disease. JAMA 2000; 284: 869-75 (modificata).
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
133
ANNO X N. 3-4 2003
della probabilità pre-test della malattia, espongono
la strategia diagnostica e le misure di accuratezza
dei test, e concludono con la revisione della probabilità diagnostica alla luce del risultato dei test
(probabilità post-test).
2.4. Integrare la valutazione critica con la competenza clinica e con le caratteristiche biologiche
proprie dei pazienti e delle circostanze.
L’integrazione delle nuove informazioni con le
conoscenze in precedenza memorizzate e con le
caratteristiche del paziente ha un significato particolare per la diagnosi. La diagnosi richiede
infatti un doppio processo di integrazione: anzitutto, l’integrazione in modelli mentali di malattie (“scripts”42) delle conoscenze cliniche e dell’esperienza con pazienti reali. In secondo luogo,
la capacità cognitiva di integrare i dati osservati
in un nuovo paziente con i modelli mentali di
malattia con essi compatibili (“matching”41),
processo da cui dipende la generazione di ipotesi
diagnostiche. Senza una continua opera di integrazione le informazioni rimangono isolate, inerti
e labilmente memorizzate43, e non c’è sviluppo di
competenza diagnostica.
3.3. Valutare criticamente le evidenze dal
punto di vista della validità, dell’impatto e dell’applicabilità.
Il trattato di Black61 è la migliore fonte di informazioni “evidence-based” che possono orientare
la scelta e l’interpretazione dei test. Fra i test di laboratorio sono più facilmente interpretabili quelli
con risultati binari, positivo/negativo, o
presente/assente. L’interpretazione dei molti test
con risultati scalari (per es.: glicemia, colesterolemia, transaminasi) richiede metodi statistici di
non immediata comprensione (per es.: curve
ROC), che risultano ostici ai medici63. Le pubblicazioni di EBM1,5 suggeriscono di usare il rapporto
veri positivi/falsi positivi (“likelihood ratio”) per
ognuno dei valori numerici del test positivo (e il
rapporto falsi negativi/veri negativi per i test negativi), ricorrendo al grafico di Fagan per trovare la
probabilità post-test. Neppure questo metodo
sembra però molto usato nella pratica. Un’interpretazione molto semplice ma anche molto grossolana è basata sulla distanza dei risultati rispetto
al range della norma: all’aumentare della distanza
aumenta la specificità e si riduce la sensibilità del
risultato5. Infine, rimane largamente soggettiva
l’interpretazione degli esami di imaging (per es.:
TAC, scintigrafie, ecografie, arteriografie), che
danno informazioni multiple oltre a quella specificamente ricercata, e hanno livelli di probabilità e
riproducibilità dipendenti da fattori almeno in
parte non generalizzabili (per es.: qualità della tecnologia, esperienza dell’osservatore63,64).
3. Quale test è indicato nella situazione X?
3.1. Convertire il bisogno d’informazione in una
domanda che consenta una risposta utile (“answerable”).
I test servono prevalentemente nella fase di verifica di un’ipotesi diagnostica, o per discriminare
fra più ipotesi. Come per la terapia, le domande
d’informazione sui test diagnostici possono essere
divise in tre parti: il paziente a cui si riferisce la
domanda; il test diagnostico; l’esito desiderato,
cioè la probabilità post-test della diagnosi. Per
esempio: “in un paziente con dissenteria e sospetto di amebiasi, quale test posso usare, e come
si modifica la probabilità di amebiasi in base al risultato del test?”58; o anche: “in un paziente con
dolore toracico anteriore, quale test (o sintomo, o
segno, o loro carattere) può discriminare tra
infarto del miocardio e dissezione aortica, e con
quale probabilità posso escludere la diagnosi di
dissezione aortica in base al risultato del test?46,49.
3.4. Integrare la valutazione critica con la competenza clinica e con le caratteristiche biologiche
proprie dei pazienti e delle circostanze.
Questo precetto di EBM è clinicamente importante. Infatti, sensibilità e specificità dei test
non sono valori costanti e si modificano in
funzione del contesto clinico. La sensibilità generalmente si eleva con l’aumento della severità o
dello stadio di malattia; la specificità è diversa a
seconda dell’alternativa diagnostica posta dalla
presentazione clinica del paziente. Inoltre, l’interpretazione di un test positivo o negativo varia con
il variare della probabilità pre-test della malattia
sospettata1,41, che dipende da un giudizio clinico
3.2. Ricercare le migliori evidenze con cui rispondere alla domanda.
Testi di riferimento che espongono i criteri EBM
per la valutazione metodologica dei test sono una
Users’ Guide60, il trattato di Guyatt e Rennie1 e la
serie di saggi del volume edito da Knottnerus49. Il
trattato di Black et al.61, disponibile anche in CDROM62, è il riferimento più completo. Ha una
prima parte metodologica. La seconda parte, che
riguarda il significato clinico dei singoli test, è particolarmente efficace: i capitoli partono dalla stima
Ministero della Salute
134
AGGIORNAMENTI
largamente soggettivo, e la cui importanza per l’interpretazione dei test è costantemente esemplificata nei capitoli del trattato di Black et al.61.
fine del 2001, e potrebbe essere ulteriormente perseguito attraverso l’inclusione obbligatoria di brevi
eventi formativi72 nel programma di educazione
medica continua.
Qual è l’impatto attuale dell’EBM sulla
pratica medica e in particolare il suo peso
nel determinare le prescrizioni?
EBM, il curriculum universitario
e i trattati di medicina
Il deficit di tempestività e di generalizzazione
del trasferimento delle innovazioni terapeutiche
dalla ricerca clinica alla pratica rende strategico e
importante il ruolo dell’EBM.
Tuttavia, convertire il bisogno d’informazione in
domande “answerable” e trovare risposte utili pone
problemi particolarmente frequenti in medicina generale 11,65-67. Sono 59 gli ostacoli alla pratica
dell’EBM identificati dagli stessi MMG11, fra i quali
sei giudicati particolarmente importanti (“salient”):
difficoltà di trasformare in termini chiari e precisi le
domande spesso vaghe e generiche della pratica (per
es.: dalla tabella II: “Come dovrei gestire il problema
X?”); difficoltà ad identificare una strategia di
ricerca appropriata; tempo eccessivo richiesto dalla
ricerca dell’informazione; fallimento della ricerca;
difficoltà di sintetizzare in una conclusione clinica
utile frammenti molteplici di evidenza. Altri
problemi sorgono quando i disturbi non sono inquadrabili in una diagnosi definita (per es.: nel 50%
dei pazienti con dolore toracico anteriore e nell’80%
di quelli con dolore addominale66); quando l’intervento del medico è richiesto per problemi al
limite fra patologico e sociale; quando la prescrizione di una terapia “evidence-based” rischia di
essere inappropriata per la presenza di comorbilità
o non è accettata dal paziente. Questi ostacoli
possono spiegare lo scarso impatto dell’EBM sulle
prescrizioni, che sono prevalentemente determinate da informazioni dirette o indirette dell’industria, dall’influenza di opinion leaders, dall’esempio di prescrizioni ospedaliere, e dalle richieste
dei pazienti68-70.
È possibile che per implementare l’uso delle
“evidenze” nella pratica medica siano necessarie
due condizioni. La prima è quella di rendere facile
e gratuito l’accesso alle pubblicazioni secondarie
dell’EBM o simili (per es.: Clinical Evidence, Medical
Letter, Uptodate), un processo nel quale è impegnato
il Ministero della Salute. La seconda è quella di migliorare le conoscenze dei medici sulla metodologia
clinica. Quest’obiettivo ha motivato una serie di
articoli dal titolo generale di “ABC delle sperimentazioni cliniche” pubblicata sul BIF dal 1998 alla
Il miglioramento della conoscenza dei medici
sulla metodologia degli RCTs, delle review sistematiche e dei test diagnostici potrebbe essere
avviato negli anni pre-laurea ampliandone lo
spazio nel curriculum universitario, e coordinandola con discipline correlate come la farmacologia, la statistica e la medicina generale. È stato
dimostrato, infatti, che lo studio della metodologia ha risultati migliori se avviene negli anni
pre-laurea73, che sono istituzionalmente finalizzati all’apprendimento di nuove conoscenze.
Per il coordinamento con la medicina interna,
la metodologia dovrebbe avere uno spazio nei
trattati di medicina generale. In realtà questo
avviene assai parzialmente. Se si prendono in
esame i trattati di maggior prestigio internazionale, un capitolo dedicato alle sperimentazioni
cliniche si trova infatti solo nell’Oxford Textbook
of Medicine74, ma non nell’Harrison’s Principles of
Internal Medicine75; in nessuno dei due sono stati
esposti i principi che governano la scelta e l’interpretazione dei test diagnostici. Altri limiti dei
trattati di medicina sono: l’obsolescenza dei contenuti, specie se gli intervalli fra le riedizioni sono
lunghi (per es.: 7 anni fra la 3a e la 4a edizione dell’Oxford); la frequente mancanza di dati quantitativi sulla frequenza e la cronologia delle manifestazioni cliniche delle malattie76; la povertà dei
riferimenti bibliografici. Nonostante questi limiti,
i trattati di medicina generale di buona qualità
sono didatticamente necessari perché trasmettono un grande volume di conoscenze e
perché rispettano un ordine e una sistematicità
che facilitano l’apprendimento. Sembra perciò un
paradosso polemico la raccomandazione dell’EBM
di “bruciare i trattati tradizionali”5, motivata soprattutto con l’obsolescenza delle indicazioni terapeutiche77, che però è meno rapida per altri contenuti e in particolare per la descrizione clinica
delle malattie78.
Alcuni dei limiti dei trattati cartacei tradizionali
sono corretti da quelli in versione informatica, con
aggiornamento continuo, con una bibliografia
assai più ricca e aggiornata, e con la possibilità di
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
135
ANNO X N. 3-4 2003
leggere in ipertesto gli abstract dei lavori citati79.
La loro diffusione in Italia è ostacolata dalla lingua
inglese, dalla minore familiarità con la presentazione informatica rispetto a quella cartacea e dai
costi più elevati. È verosimile però che con il
continuo progresso dell’informatica, una
maggiore diffusione della conoscenza dell’inglese
e la riduzione dei costi saranno i trattati del futuro.
posto (su sette) nella graduatoria di validità delle
evidenze giudicate1 e pertanto di fatto ignorate
dalla letteratura di EBM.
L’EBM non offre risposte a domande relative all’interpretazione dei sintomi e segni e alla generazione di ipotesi diagnostiche perché ignora gli
studi osservazionali descrittivi e gli esempi di ragionamento diagnostico dei case report, particolarmente di quelli con la struttura del Clinical
Problem Solving, in cui lo sviluppo del ragionamento è reso esplicito e seguito fase per fase.
La letteratura EBM-correlata può dare informazioni “evidence-based” per la scelta e l’interpretazione degli indici e dei test diagnostici finalizzati
alla verifica di ipotesi diagnostiche o alla loro discriminazione (esemplare il testo di Black et al.61).
L’EBM ha avuto un grande successo nel riportare
in molteplici pubblicazioni la metodologia di valutazione degli studi terapeutici e le “evidenze” ottenute dai soli studi giudicati credibili - RCTs e
review sistematiche. Il gigantismo di questa letteratura non sembra aver avuto un proporzionale
impatto sulla pratica medica. A ciò contribuiscono
i molti ostacoli identificati dagli stessi medici,
teorici destinatari del messaggio di EBM11,82, e il
fatto sostanziale che le decisioni mediche hanno
genesi multidimensionale e non possono essere
ridotte all’applicazione di “evidenze” dalla letteratura85-87.
In conclusione, a dieci anni dalla sua nascita
l’EBM appare come un contributo necessario alle
scelte terapeutiche, anche se incompleto per la
mancanza dei riferimenti di fisiopatologia e di farmacologia, non raramente necessari per adeguare
i trattamenti alla variabilità clinica della patologia.
È certamente auspicabile che il suo impatto sulla
pratica medica sia implementato, anche come antidoto parziale alle influenze promozionali dell’industria sulla letteratura medica. Questo sarà possibile se si renderà più facile e rapido l’accesso alle
“evidenze” (e a questo potrebbe contribuire il
continuo progresso dell’informatica); se l’apprendimento della metodologia delle sperimentazioni
terapeutiche potrà avere inizio nei più recettivi anni
pre-laurea73 ed essere mantenuto attivo da programmi di educazione continua post-laurea72; se
prevarrà nell’EBM la tendenza a integrarsi come una
delle componenti della expertise del medico85-87, e
non a proporsi come un improbabile “nuovo paradigma” della medicina2.
EBM a dieci anni dalla nascita:
considerazioni finali
Come altre ideologie, le esternazioni iniziali
dell’EBM erano estremistiche, attribuendo alle
“evidenze” della letteratura e in particolare alle sperimentazioni cliniche un’importanza preminente
per la pratica della medicina, mentre “expertise” del
medico e valori del paziente erano di fatto ridotti al
rango di fattori complementari. Come è stato notato
da altri80, negli ultimi anni questa posizione si è attenuata. Il Working Team dell’EBM riconosce oggi
che è più pratico ricorrere a “evidenze” “prefiltered”
che ricercare e tentare di valutare in proprio gli articoli originali1, e che le “evidenze” sono solo una
componente delle decisioni cliniche3; (“evidence
does not make decisions, people do”81). A questa
versione rivisitata e più realistica di EBM si riferiscono le seguenti considerazioni.
Nonostante il numero enorme di pubblicazioni
attorno ai concetti e alla pratica dell’EBM, non c’è
a tutt’oggi nessuna evidenza che l’uso dei precetti
di EBM migliori la qualità della pratica medica82,
un’osservazione che – applicata a una ideologia
basata sulle “evidenze” – appare come un paradosso83. È forse possibile che per una valutazione
globale degli effetti dell’EBM sia necessaria una
maggiore diffusione di essa nella pratica rispetto a
quella pressoché virtuale oggi raggiunta.
L’EBM può dare risposta alle domande d’informazione dei medici sull’efficacia dei trattamenti,
soprattutto con le sintesi “prefiltered” di articoli
originali come Clinical Evidence, ACP Journal Club
ed Evidence-based Medicine e come le meta-analisi
della Cochrane Collaboration. Un grande vantaggio della diffusione di queste pubblicazioni è
che esse applicano una valutazione critica delle
“evidenze” che può contrastare l’influenza promozionale dell’industria. Nelle “grey zones” dove
non ci sono RCTs o dove essi sono inapplicabili
alle caratteristiche individuali dei pazienti, sono
necessarie evidenze estrapolate dalla fisiopatologia, dalla farmacologia, ecc., collocate al sesto
A cura del prof. Luigi Pagliaro
Azienda Ospedaliera “V. Cervello”, Palermo.
Ministero della Salute
136
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Ministero della Salute
138
bollettino d’informazione sui farmaci
ATTIVITÀ EDITORIALI DELLA DIREZIONE GENERALE
Clinical Evidence: un utile supporto
informativo per i medici?
I risultati di uno studio realizzato in dieci regioni italiane
Clinical Evidence, edizione italiana
siti Internet. Negli ultimi anni si è infatti assistito
ad una notevole crescita nel numero delle fonti
informative - soprattutto in seguito all’avvento di
Internet - fino a configurare una situazione paradossale di eccesso di informazioni disponibili.
In questa situazione i professionisti spesso non
hanno gli strumenti per valutare la validità delle
informazioni proposte e per selezionare quelle
maggiormente affidabili 5 . Laddove esistano
informazioni basate su una metodologia rigorosa
(per es. revisioni sistematiche o linee guida
“evidence-based”) queste sono in genere limitate
a singoli problemi clinici. La Cochrane Library
(una biblioteca elettronica [database] di revisioni
sistematiche nelle principali aree cliniche) rappresenta una lodevole eccezione, ma presenta
alcune importanti differenze rispetto a Clinical
Evidence: parte spesso da argomenti per i quali è
maggiore il numero di studi disponibili, e comunque dalle prove più che dai problemi clinici2;
non considera le prove derivanti dai singoli studi
(quando non è possibile realizzare revisioni sistematiche); ha un formato editoriale più
orientato al ricercatore che al medico pratico;
infine, è consultabile solo attraverso computer.
La Cochrane Library è peraltro una delle principali
fonti da cui Clinical Evidence trae spunti e contenuti e Clinical Evidence è, per certi versi, una
versione “portatile” della Cochrane Library.
Dopo una prima distribuzione di 50.000 copie
di Clinical Evidence ad un campione di medici,
docenti di facoltà di medicina e infermieri in 10
regioni italiane, avvenuta nei primi mesi del 2002,
il Ministero della Salute ha deciso di distribuire
quest’anno una versione aggiornata e concisa del
volume con allegato il CD-rom della versione integrale a tutti i medici italiani. Al Centro Cochrane
Italiano (Milano) e al CeVEAS di Modena è stata
affidata una prima valutazione sulla rilevanza e
sull’utilità pratica di Clinical Evidence secondo le
opinioni dei riceventi. Di seguito presentiamo i risultati della valutazione relativa ai medici.
Clinical Evidence è un
volume di 1.112 pagine,
edito in Italia alla fine del
2001 dal Ministero della
Salute. Si tratta della traduzione e dell’adattamento
italiano dell’omonimo
volume inglese, pubblicato
dal BMJ Publishing Group1
e curato dal Centro Cochrane Italiano e dall’editore Zadig. Il testo
contiene riassunti, continuamente aggiornati, delle informazioni disponibili riguardo all’efficacia e agli effetti negativi di
diversi interventi clinici.
Clinical Evidence rappresenta una novità rilevante nel campo dell’informazione biomedica2,3. Rispetto ai bisogni informativi crescenti legati alla valutazione di efficacia degli
interventi sanitari (in particolare delle novità terapeutiche), alla pressione di pazienti sempre più
“informati” e, in generale, alle continue necessità di aggiornamento dei professionisti, si è
cercato di realizzare uno strumento che potesse
essere affidabile e al tempo stesso disponibile a
una facile e veloce consultazione: in una parola,
che fosse “fruibile” nella pratica quotidiana4. In
un unico testo (Clinical Evidence, appunto) sono
state sintetizzate, per ciascuno dei principali
problemi clinici, le prove disponibili sull’efficacia degli interventi sanitari disponibili,
cercando di coniugare il rigore metodologico, la
trasparenza e indipendenza nell’analisi delle
fonti con una valutazione concisa di utilità
pratica e impatto degli interventi stessi.
Il merito indiscutibile di Clinical Evidence è di
portare sul tavolo dei suoi lettori una sintesi
valida, credibile e aggiornata di informazioni altrimenti disperse in innumerevoli riviste, testi e
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
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ANNO X N. 3-4 2003
Materiali e metodi dell’indagine
domande, è stata sottoposta ad un processo di face
validity in un gruppo di 8 medici, non successivamente coinvolti nell’indagine nazionale.
Nell’analisi dei dati, differenze tra alcuni sottogruppi (per tipologia professionale, sesso e anzianità di laurea) sono state valutate - rispetto ad
alcuni item di interesse - con test del chi-quadro.
All’inizio del 2002, 43.000 copie di Clinical
Evidence sono state distribuite ad altrettanti
medici di 10 regioni italiane. Successivamente, è
stato distribuito un questionario da auto-compilare a un campione di 6.619 di questi medici
(scelti da liste fornite dalle Direzioni Sanitarie
delle aziende coinvolte), prevalentemente per via
postale, nonché durante incontri dedicati alla presentazione del volume oppure durante altri incontri aziendali (incontri di formazione, riunioni
generali di dipartimento, ecc.).
Obiettivi specifici dell’indagine erano quelli di
valutare: a) la frequenza di consultazione del
volume (in generale e rispetto a capitoli specifici);
b) la comprensibilità delle informazioni e della
struttura editoriale; c) la percezione sulla validità
dei contenuti; d) la percezione sull’utilità del
volume rispetto alla propria pratica professionale
e al positivo confronto con altri colleghi (specialisti e non); e) la percezione sulla tipologia di
supporto informativo fornito da Clinical Evidence
rispetto ad altre fonti (linee-guida in particolare).
Abbiamo predisposto un questionario
composto di due sezioni: una prima parte per la
raccolta dei dati personali, una seconda per la valutazione specifica di Clinical Evidence. Una prima
versione del questionario è stata inviata ai
membri del comitato scientifico italiano di
Clinical Evidence (30 rappresentanti), sottolineando gli scopi dell’indagine e la prerogativa di
mantenere una estrema semplicità del questionario. La versione finale, comprendente 17
Risultati
Caratteristiche del campione
Il 20% dei medici intervistati ha risposto al
questionario (tabella I, con i dettagli sulle singole
regioni). Il 63% del campione è costituito da
medici di famiglia, mentre il 23% da specialisti
ospedalieri. Il 75% dei rispondenti è maschio e la
maggior parte ha un’anzianità di laurea dai 15 ai
30 anni (tabella II).
Motivi di consultazione
La maggior parte dei rispondenti (84%) ha consultato il volume almeno una volta e molti lo
hanno consultato più di una volta nell’ultimo
mese (il 49% un paio di volte, il 28% quattrocinque volte e il 12% almeno due volte alla settimana). Aggiornamento personale e informazione su specifici quesiti sembrano essere i
motivi principali di consultazione (tabella III).
Il capitolo sulle malattie cardiovascolari risulta
il più letto o consultato; circa un terzo dei rispondenti ha inoltre letto i capitoli su gastroenterologia, malattie infettive, pneumologia e malattie muscolo-scheletriche (tabella IV).
Tabella I – Indagine nazionale: n° schede e tassi di
risposta per regione.
Questionari
compilati
Basilicata
Calabria
Campania
Emilia-Romagna
Friuli VG
Lombardia
Toscana
Umbria
Valle d’Aosta
Veneto
Totale
51
72
40
737
57
99
71
151
20
52
1350
% rispetto
al totale
Tassi
di risposta
3,8
5,3
3,0
54,6
4,2
7,3
5,3
11,2
1,5
3,9
100,0
13%
15%
8%
31%
19%
9%
16%
30%
20%
15%
20%
Tabella II – Anzianità di laurea dei rispondenti.
Anni dalla laurea
N°
%
Non specificato
49
3,6
0-5
20
1,5
6-10
55
4,1
11-15
158
11,7
16-20
285
21,1
21-30
643
47,6
31-40
90
6,7
41-50
28
2,1
51-60
22
1,6
Totale
1350
100,0
Ministero della Salute
140
ATTIVITÀ EDITORIALI DELLA DIREZIONE GENERALE
Tabella III – Motivi di consultazione di Clinical Evidence e utilità percepita (% dei rispondenti).
Motivi di consultazione
Utilità percepita
Molto utile
Abbast. utile
Aggiornamento personale
38,9
54,7
4,6
1,3
0,4
Informazione su quesiti clinici
34,8
57,4
6,2
1,3
0,4
Preparazione conferenze
o pubblicazioni
18,7
34,3
24,2
7,7
15,1
Non saprei
(“molto utili” per il 20%, “abbastanza utili” per il
68%). Il 29% dichiara inoltre di aver modificato
almeno una volta la propria pratica clinica in
seguito a quanto letto su Clinical Evidence. Il 28%
dei rispondenti ha “scoperto”, dopo la lettura del
volume, che interventi largamente usati non
hanno una solida base scientifica, mentre il 10%
ha rilevato - al contrario - che interventi poco
usati sono efficaci. La maggior parte dei rispondenti (87%) ritiene che Clinical Evidence
possa favorire un dialogo costruttivo tra colleghi,
in particolare (per il 54%) tra medici di medicina
generale (MMG) e specialisti. Le opinioni sull’utilità del volume non variano in base all’anzianità
di laurea e al sesso e all’aver assistito o meno a incontri di presentazione del volume. È invece da
sottolineare come Clinical Evidence sia considerato
più utile dai MMG che dai medici ospedalieri
(“molto utile” dal 23% vs 14%, p<0,01); inoltre i
MMG riferiscono più frequentemente dei loro
colleghi ospedalieri di aver cambiato la loro
pratica dopo aver letto Clinical Evidence (33% vs
23%, p<0,01).
Tabella IV – Capitoli letti (% dei rispondenti).
Malattie cardiovascolari
Gastroenterologia
Malattie infettive
Pneumologia
Malattie muscolo-scheletriche
Endocrinologia
Neurologia
Dermatologia
Salute mentale
Pediatria
Malattie renali
Otorinolaringoiatria
Lesioni trofiche gambe
Ginecologia
Gravidanza e parto
Tossicologia
Andrologia
Oculistica
Salute sessuale
Odontoiatria
Non molto utile Del tutto inutile
59,2
32,3
31,0
30,1
29,4
22,4
21,3
18,6
18,4
15,4
14,9
14,8
14,0
12,0
9,6
8,6
8,3
7,1
5,8
3,4
Comprensibilità e validità dei contenuti
La struttura editoriale e i contenuti di Clinical
Evidence sono giudicati chiari dalla gran parte dei
rispondenti (“molto chiari” per il 26%, “abbastanza chiari” per il 66%) e il livello delle informazioni fornite è “giusto” per il 90% di essi. Per
quanto riguarda la validità scientifica dei contenuti, questi sono percepiti come “molto validi”
dal 28% dei rispondenti e “abbastanza validi” dal
68%. Le opinioni su comprensibilità e validità dei
contenuti non variano in base all’anzianità di
laurea, al sesso e alla tipologia professionale dei
rispondenti e all’aver partecipato o meno a incontri di presentazione del volume.
Percezione sulla tipologia di informazioni
fornite da Clinical Evidence (informazioni
vs linee guida)
Il 45% dei rispondenti considera Clinical
Evidence un libro per l’aggiornamento, il 6% un
libro di testo e l’11% un “Bignami” della medicina. Il 38% ritiene invece che Clinical
Evidence sia un libro di linee guida; questi ultimi
non differiscono dagli altri per anzianità di
laurea, sesso, tipologia professionale, per l’aver
assistito a incontri di presentazione del volume
e opinioni su comprensibilità, validità e utilità
del volume. Il 64% dei rispondenti dichiara
infine che non avrebbe preferito ricevere un
testo di linee guida, confermando la scarsa
simpatia che questo strumento informativo generalmente evoca nei clinici.
Utilità delle informazioni
La gran parte dei rispondenti dichiara che le
informazioni trovate in Clinical Evidence sono utili
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
141
ANNO X N. 3-4 2003
Discussione
tivati e favorevoli a Clinical Evidence potrebbero
aver partecipato più volentieri all’indagine).
Inoltre, il campione è rappresentato per più del
50% da medici provenienti da un’unica regione,
l’Emilia-Romagna. La percentuale di risposte è
stata, a livello nazionale, relativamente bassa (un
quinto dei partecipanti). Bisogna tuttavia sottolineare come i medici emiliano-romagnoli, caratterizzati da un tasso di risposta abbastanza superiore al resto del campione (tabella I), abbiano
opinioni del tutto simili a quelle degli altri partecipanti. Questa circostanza potrebbe indicare
come, in questo caso, il bias di selezione non abbia
modificato in modo rilevante i risultati dell’indagine. Questo sondaggio può fornire preziosi
spunti di riflessione sull’utilità di Clinical Evidence
e, più in generale, sull’utilità di un’informazione
trasparente, “evidence-based” e indipendente,
oltre che sulle modalità di presentazione (struttura
editoriale) di questa informazione.
I risultati di questa indagine suggeriscono come
Clinical Evidence sia considerato, dai medici che
hanno partecipato all’indagine, una fonte scientificamente valida, di facile consultazione e fondamentalmente utile nella pratica professionale. Di
particolare rilievo è la possibilità che le informazioni
“evidence-based” contenute in Clinical Evidence modifichino le conoscenze dei medici sull’efficacia di
alcuni interventi (“ingiustamente” sottoutilizzati per es. aspirina nell’IMA - o sovrautilizzati - per es.
calcio antagonisti nell’ipertensione e riposo a letto
nella lombalgia) e, soprattutto, che inducano modifiche nella pratica clinica (quasi un terzo dei rispondenti dichiara di essere stato in tal senso influenzato almeno in una specifica decisione clinica
dopo la lettura del volume).
Altrettanto importante è la possibilità che
Clinical Evidence migliori la comunicazione tra medicina di primo e secondo livello e che quindi possa
fungere da stimolo al miglioramento della continuità assistenziale. Ciò potrebbe avvenire soprattutto attraverso la definizione di una base conoscitiva comune - fondata su prove scientifiche nel rispetto di ciò che è certo e ciò che è meno certo.
Una delle caratteristiche principali del volume è
infatti quella di esplicitare, dato un problema
clinico, sia le conoscenze sia i dubbi sull’efficacia
degli interventi, sottolineando come l’incertezza
nelle scelte cliniche possa dipendere non solo da
lacune nel bagaglio culturale del medico ma anche
dalle lacune delle conoscenze scientifiche. Questa
“operazione trasparenza” dovrebbe comunque
aiutare a limitare il ruolo delle “opinioni” e la variabilità nei comportamenti clinici, senza naturalmente incidere sulle valutazioni “di merito” che
ciascun medico deve effettuare sulla trasferibilità
delle prove scientifiche in ciascuna situazione
clinica e rispetto a pazienti specifici. In questo
senso, gli autori di Clinical Evidence hanno manifestamente scelto di fornire “sintesi di conoscenze”
piuttosto che “raccomandazioni di comportamento”, riconoscendo l’autonomia del clinico
nelle decisioni e considerando la maggiore trasferibilità nella pratica di un approccio “informationbased” rispetto a un approccio “guideline-based”2.
I rispondenti a questa indagine sembrano essere
d’accordo con questa scelta editoriale (due terzi di
loro non avrebbero gradito un testo di linee guida).
Indagini di questo tipo possono essere caratterizzate da problemi di rappresentatività del
campione e da bias di selezione (i medici più mo-
Sviluppi futuri
Dopo aver valutato (prevalentemente in modo
quantitativo) le opinioni dei medici su Clinical
Evidence come strumento informativo, l’obiettivo
sarà ora quello di identificare le opportune iniziative locali per facilitare la conoscenza del
volume, l’apprezzamento dei medici e degli altri
professionisti sanitari (tra questi, sono senz’altro
da considerare gli infermieri, anche loro destinatari della prima distribuzione del volume) e,
conseguentemente, il suo utilizzo nella pratica
quotidiana come supporto informativo. La valutazione (positiva o meno) dei medici potrebbe
anche dipendere dalle modalità di presentazione
del volume a livello locale. Anche se non è stata
riscontrata nei dati la semplice associazione
“quantitativa” tra le opinioni dei rispondenti e
l’aver assistito a incontri di presentazione di
Clinical Evidence, la riflessione che particolare importanza debba essere attribuita all’implementazione locale riflette le migliori conoscenze disponibili sull’efficacia degli interventi
informativi6-9. L’utilizzo di Clinical Evidence in
corsi di formazione accreditati potrebbe inoltre
costituire un’utile iniziativa per promuovere la conoscenza e l’utilizzo del volume, oltre che per
avere a disposizione materiale didattico affidabile
e approfondito. A livello centrale, il Ministero
della Salute sta già predisponendo un corso online che sarà disponibile nel 2004.
Ministero della Salute
142
ATTIVITÀ EDITORIALI DELLA DIREZIONE GENERALE
A cura di Giulio Formoso1, Lorenzo Moja2,
Francesco Nonino1, Pietro Dri3 e Alessandro
Liberati1,2,4.
Bibliografia
1. Clinical Evidence. Issues 1-8. BMJ Publishing Group,
London.
2. Godlee F, Smith R, Goldman D. Clinical Evidence. BMJ
1999;318:1570-1.
3. Smith R, Chalmers I. Britain’s gift: a “Medline” of synthesised evidence. BMJ 2001;323:1437-8.
4. Smith R. What clinical information do doctors need? BMJ
1996;313:1062-8.
5. Muir Gray JA. Where’s the chief knowledge officer? BMJ
1998;317:832-40.
6. Thomson O’Brien MA, Oxman AD, Davis DA, Haynes RB,
Freemantle N, Harvey EL. Educational outreach visits:
effects on professional practice and health care outcomes
Cochrane Review. In: The Cochrane Library.
7. Thomson O’Brien MA, Oxman AD, Haynes RB, Davis DA,
Freemantle N, Harvey EL. Local opinion leaders: effects on
professional practice and health care outcomes (Cochrane
Review). In: The Cochrane Library.
8. Beney J, Bero LA, Bond C. Expanding the roles of outpatient pharmacists: effects on health services utilisation,
costs, and patient outcomes (Cochrane Review). In: The
Cochrane Library.
9. Davis D, Evans M, Jadad A et al. The case for knowledge
translation: shortening the journey from evidence to effect.
BMJ 2003;327:33-5.
Si desidera ringraziare, per il supporto fornito
per la realizzazione dell’indagine nelle singole
regioni: S. Baldissera, G. Baraldo, G. Beghi,
M. Biocca, M. Callà, M. Font, F. Mammì, G. Miglio,
L. Monari, A. Montedori, R. Pizzuti, M.G. Zullo.
1. Centro per la Valutazione dell’Efficacia dell’Assistenza Sanitaria (CeVEAS), Azienda USL e
Azienda Policlinico di Modena
2. Centro Cochrane Italiano, Milano
3. Casa Editrice Zadig, Milano
4. Università di Modena e Reggio Emilia
a proposito di…
PFN 2003
A seguito di alcune segnalazioni di mancato recapito del Prontuario Farmaceutico Nazionale 2003 , questa Direzione Generale
ha provveduto a trasmettere ad ogni ASL n. 150 copie del PFN perché vengano distribuite a medici, farmacisti ed infermieri che
ne fanno richiesta. Pertanto, gli operatori sanitari che intendono ricevere una copia del PFN 2003 possono direttamente rivolgersi alla ASL di appartenenza.
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
143
ANNO X N. 3-4 2003
Guida all’uso dei
farmaci per i bambini
La Direzione Generale
dei Farmaci e dei Dispositivi Medici ha recentemente avviato la distribuzione
del
primo
prontuario terapeutico nazionale pediatrico, la
Guida all’uso dei farmaci
per i bambini, tratto da Medicines for Children, il prestigioso formulario pediatrico nazionale inglese.
Si tratta di una nuova
iniziativa editoriale, realizzata in 600.000 copie,
distribuite gratuitamente e in modo capillare a
tutti i medici, pediatri, farmacisti ed infermieri.
Lo scopo principale di una guida terapeutica
non è solo quello di riportare la lista dei farmaci
correntemente in uso, ma di rappresentare uno
strumento essenziale per l’uso razionale dei
farmaci; fonte di informazione, ma anche guida
terapeutica per problemi reali, a partire dai più
frequenti.
Per quanto riguarda la popolazione pediatrica, e in particolare l’uso dei farmaci nei
bambini, la necessità di un apposito prontuario
rappresenta da tempo un bisogno non solo
italiano. Molti nuovi farmaci e la maggior parte
delle molecole in commercio non sono registrati
per l’uso in età pediatrica. Ciò significa che non
sono stati condotti adeguati studi clinici controllati nei bambini e che le evidenze disponibili
sono spesso insufficienti. L’attuale legislazione
italiana ed europea consente, tuttavia, di prescrivere ai bambini farmaci senza licenza d’uso
per l’età pediatrica o per indicazioni diverse da
quelle riportate nelle schede tecniche (uso offlabel). Di conseguenza molti farmaci vengono
prescritti ai bambini senza specifiche conoscenze circa il profilo rischio/beneficio, ovvero
circa il dosaggio ottimale, le caratteristiche
farmaco-cinetiche e farmacodinamiche e le potenziali reazioni avverse.
L’uso off-label è un aspetto molto complesso.
A questo è associato un aumento del rischio di
reazioni avverse, soprattutto nei bambini più
piccoli, anche gravi, che possono richiedere un
ricovero ospedaliero o il protrarsi della degenza.
Alcune gravi reazioni avverse risultano anche
fatali. Molti possono essere i motivi che determinano questo tipo di utilizzo. I medici hanno
il dovere di prescrivere un farmaco in modo appropriato e devono quindi essere ben informati
sulle malattie per le quali il farmaco è indicato,
sulle caratteristiche particolari di ogni paziente
e sulle proprietà del farmaco in questione. Il
fatto che l’autorità responsabile per l’immissione in commercio dei farmaci abbia dato
l’autorizzazione per un particolare uso può
essere rassicurante, ma non sufficiente poiché
alla prescrizione di un farmaco sono associati
diversi aspetti (indicazioni, dosaggio, forma farmaceutica, ecc.).
Un prontuario specifico per i bambini rappresenta, quindi, uno strumento essenziale nell’indicare per quali farmaci sono disponibili documentate evidenze terapeutiche, quali farmaci
necessitano di ulteriori studi e per quali sarebbe
opportuno intraprendere specifici ed appropriati
programmi di sorveglianza nazionale.
La Guida all’uso dei farmaci per i bambini è
strutturata in tre sezioni: patologie/sintomi funzionali, monografie sui farmaci e appendici. In
particolare, la prima parte è costituita da una
guida alla prescrizione dei farmaci nei bambini,
in cui vengono forniti i principi generali di
terapia per singole patologie. Segue la sezione
più specifica delle monografie di ciascun
principio attivo, elencate in ordine alfabetico,
in cui vengono forniti i nomi generici dei
farmaci e vengono riportati i dosaggi specifici
per fasce di età. Infine, la terza parte è costituita
da due appendici, nelle quali sono rispettivamente riportati l’elenco dei farmaci ordinati
per principio attivo con relative specialità medicinali, classe terapeutica e prezzi in vigore in
Italia (laddove ci sia sovrapposizione tra sostanze presenti in commercio nel Regno Unito
e nel nostro paese), e l’elenco dei principi attivi
contemplati in Medicines for Children non disponibili in Italia come specialità medicinali.
La Guida all’uso dei farmaci nei bambini si pone
quindi come strumento unico nel suo genere, accurato, efficace e maneggevole, da utilizzare nella
Ministero della Salute
144
ATTIVITÀ EDITORIALI DELLA DIREZIONE GENERALE
pratica clinica quotidiana degli operatori sanitari.
La pubblicazione è, peraltro, testimonianza
diretta dell’impegno di questa Direzione nel
settore dell’informazione scientifica indipendente
di alto livello, e si inquadra all’interno di un
disegno organico che si articola in specifiche attività volte a fornire strumenti concreti per la formazione continua degli operatori sanitari.
indipendente rivolta agli operatori sanitari ed ai
cittadini (www.marionegri.it). Le traduzioni, a
seconda del tema trattato, sono state affidate e
revisionate da clinici o da ricercatori esperti.
Bibliografia essenziale
- Franzosi MG, Pisacane A, Tognoni G, eds. Bambini e farmaci.
Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1979.
- Impagliazzo N, Longobardi G, Scarpellino B, Pisacane A.
Malattie e farmaci in pediatria ambulatoriale. Napoli: L’Isola
dei ragazzi edizioni, 1999.
- Addis A, Assael BM, Raimo F. Farmaci essenziali in pediatria
ambulatoriale. Milano: UTET, 2002.
- Pandolfini C, Impicciatore P, Provasi D, Rocchi F, Campi R,
Bonati M. Italian Paediatric Off-label Collaborative Group. The
off-label use of drugs in Italy: a prospective, observational,
multicentre study. Acta Paediatric 2002;91:339-47.
L’edizione italiana della Guida all’uso dei
farmaci per i bambini, traduzione del testo inglese
adattato alla realtà italiana, è stata curata dal Laboratorio per la Salute Materno-Infantile dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri
di Milano, che da anni si occupa di informazione
a proposito di…
Schering e TOS
La Schering utilizza l’associazione dei medici tedeschi per promuovere la terapia ormonale sostitutiva
Koch K. Schering uses German medical association to promote HRT. BMJ 2003;326:1161.
Diverse migliaia di ginecologi tedeschi sono stati destinatari di una campagna promozionale sulla terapia ormonale sostitutiva
(TOS) in postmenopausa, nella quale si sosteneva “la scarsa rilevanza” per la popolazione tedesca dei risultati negativi emersi
da uno dei maggiori studi americani sull’argomento.
Il messaggio era, in parte, mascherato come rapporto ufficiale proveniente da un’importante associazione di ginecologi, la Berufsverband der Frauenärzte. La campagna si è messa in moto dopo l’improvvisa interruzione di parte dello studio Women
Health Initiative sulla TOS, condotto negli Stati Uniti e pubblicato nel Luglio 2002 (BMJ 2002; 325:61). Lo studio, che coinvolgeva 16.000 donne, dimostrava un lieve incremento di rischio di tumore alla mammella, di malattie cardiovascolari, di
trombosi e di ictus tra le donne sottoposte a TOS in postmenopausa. Appena tre giorni dopo la notizia relativa allo studio americano, molti ginecologi tedeschi hanno ricevuto un fax dal prof. Alexander Aschaffenburg, presidente della commissione sugli
ormoni della Berufsverband, nel quale si affermava che “i dati presentati risultavano di scarsa importanza per la realtà tedesca”.
I medici hanno cominciato a nutrire dei sospetti quando hanno associato il numero di fax da cui provenivano le dichiarazioni a
due aziende tedesche produttrici di terapie ormonali: la Schering tedesca e la Jenapharm, una filiale della Schering AG a Berlino.
I fax contenevano anche un “foglietto informativo” che i medici potevano copiare e consegnare a mano alle pazienti. Questo
foglietto portava la firma del prof. Teichmann e dei membri della Berufsverband.
Tuttavia il prof. Teichmann, dopo essere stato criticato per il suo comportamento dalle pagine del Deutsches Arzteblätt, organo
di stampa ufficiale dell’associazione dei medici tedeschi, ha declinato ogni responsabilità per l’accaduto: “Non avevo mai visto
il foglio informativo per i pazienti prima che venisse distribuito”, ha dichiarato. In effetti la Schering ha ammesso di aver redatto
il foglio informativo internamente all’azienda, senza il coinvolgimento del prof. Teichmann o della Berufsverband. L’azienda “si
è scusata per il fraintendimento”. Il contenuto del foglio informativo per i pazienti è stato oggetto di critiche perché non faceva
cenno all’interruzione di parte del trial americano per motivi di sicurezza. Comunque, secondo il portavoce dell’azienda, la
Schering aveva fornito solo supporto logistico, senza influenzare la stesura del foglio.
• Fino all’aprile del 2001 Jenapharm era registrata come proprietaria del dominio Internet della commissione.
Dopo una inchiesta della stampa sul dominio, lo scorso novembre, in poche ore, l’azienda ha rimosso la pagina web.
Ministero della Salute
MINISTERO DELLA SALUTE
Direzione generale della valutazione dei medicinali e della farmacovigilanza
BOLLETTINO
SPERIMENTAZIONE CLINICA DEI MEDICINALI IN ITALIA
n. 2 - Giugno 2003
Osservatorio Nazionale
Sperimentazione Clinica
Osservatorio Nazionale sulla Sperimentazione Clinica dei medicinali
Responsabile: Carlo Tomino°
Bollettino n. 2 - giugno 2003
Autori
Coordinamento tecnico-scientifico:
Carlo Tomino°
Coordinamento gestione e analisi dei dati:
Marisa De Rosa#
Paola Aita°
Roberta Coppari°
Simona de Gregori°
Adele Misticoni Consorti°
Maria Elena Russo°
Francesco Campana#
Elisa Rinieri#
Federica Ronchetti#
Contributo tecnico-scientifico
Maria Alario°
Giuseppe Cammisa°
Elisabetta Caponi°
Salvatore Caruso°
Fernanda D’Alfonso°
Gabriella Dezi°
Antonio Galluccio°
Fulvia Guglielmi°
Editing, grafica e segreteria
Roberta Coppari°
Simona de Gregori°
Valentina Colussi#
° Sperimentazione Clinica – Ministero della salute - Roma
Consorzio Interuniversitario (CINECA) – Casalecchio di Reno, Bologna
#
Questo Bollettino raccoglie i dati dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2002
IL PRESENTE BOLLETTINO E’ DISPONIBILE SUL SITO WEB
http://oss-sper-clin.sanita.it/dati_pubblicazioni.htm
Direzione generale della valutazione dei medicinali e della farmacovigilanza
Ministero della salute
Direttore: Nello Martini
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Comitati Etici
L’istituzione e il funzionamento dei Comitati Etici sono regolamentati dal decreto ministeriale
18 marzo 1998.
I Comitati Etici accreditati presso il Ministero della salute al 31 dicembre 2002 sono 289, di cui oltre il
19% concentrato in Lombardia; altre Regioni con un’alta rappresentatività di Comitati Etici sono
Lazio (11.1%), Sicilia (9.3%), Campania e Veneto (8.3%).
A fronte di una media nazionale di un Comitato Etico ogni 197 217 abitanti, alcune Regioni si
discostano notevolmente da questa media, come il Molise, la Toscana e il Friuli-Venezia Giulia (a
parte la Valle d’Aosta per la bassa densità abitativa).
Le Regioni che hanno invece un elevato numero di residenti per Comitato Etico sono il Piemonte,
l’Umbria, il Trentino-Alto Adige e la Calabria.
Va ricordato inoltre che, mentre in Umbria è attivo un unico Comitato Etico regionale, in Lombardia,
Piemonte e Valle d’Aosta i Comitati Etici locali affiancano l’operato di quello regionale.
L’elevato numero di Comitati Etici è fonte inevitabile di disomogeneità delle procedure e delle
disposizioni autorizzative locali, nonché per le richieste inoltrate agli Sponsor.
La Direttiva europea 2001/20/CE, di prossimo recepimento in Italia, tra i tanti obiettivi avrà anche
quello di armonizzare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative locali di tutti gli Stati
membri.
Tabella 1
Comitati Etici per Regione di appartenenza
CE totali: 289
Regione di appartenenza
Lombardia
Lazio
Sicilia
Campania
Veneto
Emilia-Romagna
Puglia
Toscana
Calabria
Marche
Liguria
Friuli-Venezia Giulia
Sardegna
Abruzzo
Basilicata
Molise
Piemonte
Trentino-Alto Adige
Valle d'Aosta
Umbria
Totale
Nr. CE
%
56
32
27
24
24
18
17
13
12
12
11
10
10
5
4
4
4
3
2
1
289
19.4
11.1
9.3
8.3
8.3
6.2
5.9
4.5
4.2
4.2
3.8
3.5
3.5
1.7
1.4
1.4
1.4
1.0
0.7
0.3
100.0
%
cum.
19.4
30.4
39.8
48.1
56.4
62.6
68.5
73.0
77.2
81.3
85.1
88.6
92.0
93.8
95.2
96.5
97.9
99.0
99.7
100.0
Nr.
abitanti *
9 032 554
5 112 413
4 968 991
5 701 931
4 527 694
3 983 346
4 020 707
3 497 806
2 011 466
1 470 581
1 571 783
1 183 764
1 631 880
1 262 392
597 768
320 601
4 214 677
940 016
119 548
825 826
56 995 744
Nr. abitanti /
Nr. CE
161 296
159 763
184 037
237 580
188 654
223 373
234 314
113 122
291 484
167 622
142 889
118 376
163 188
252 478
149 442
80 150
1 053 669
313 339
59 774
825 826
* fonte Istat (popolazione residente censita al 21 ottobre 2001, dichiarata popolazione legale fino al prossimo censimento con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 aprile 2003 – tabella pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 81 del
7 aprile 2003, supplemento ordinario n. 54)
2
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Figura 1
Comitati Etici per Regione di appartenenza
3
(1.0%)
2
(0.7%)
56
(19.4%)
24
(8.3%)
4
(1.4%)
11
(3.8%)
10
(3.5%)
18
(6.2%)
13
(4.5%)
1
(0.3%)
12
(4.2%)
5
(1.7%)
32
(11.1%)
4
(1.4%)
24
(8.3%)
4
(1.4%)
10
(3.5%)
17
(5.9%)
12
(4.2%)
27
(9.3%)
3
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Centri Privati
La sperimentazione clinica dei medicinali nei Centri Privati è regolamentata dal decreto ministeriale
19 marzo 1998, il quale stabilisce, tra l’altro, che tale tipologia di strutture - al fine di poter prendere
parte a studi clinici - deve essere preventivamente autorizzata dal Ministero della salute.
Il numero dei Centri Privati presenti nell’OsSC al 31 dicembre 2002 e a cui fanno riferimento i dati di
questo Bollettino è salito a 30.
La Lombardia, con 14 Centri Privati autorizzati, è seguita da Lazio (4), Emilia Romagna (3),
Veneto (3), Abruzzo (2) e Campania (2). In Puglia e Sicilia è presente 1 solo centro accreditato.
Per quanto concerne i rami specialistici in cui è possibile condurre sperimentazioni cliniche nei Centri
Privati, c’è una netta prevalenza delle unità operative di Ortopedia e Traumatologia (50%) e di
Urologia (46.7%), seguite da Cardiologia (36.7%), Medicina Generale (36.7%), Neurologia (36.7%),
Chirurgia Generale (33.3%) e Ostetricia e Ginecologia (33.3%).
Tabella 2
Centri Privati per Regione di appartenenza
CP totali: 30
Regione di appartenenza
Lombardia
Lazio
Emilia-Romagna
Veneto
Abruzzo
Campania
Puglia
Sicilia
Totale
Nr. CP
%
14
4
3
3
2
2
1
1
30
46.7
13.3
10.0
10.0
6.7
6.7
3.3
3.3
100.0
Tabella 3
Centri Privati per ramo specialistico
CP totali: 30
Ramo specialistico
Ortopedia e traumatologia
Urologia
Cardiologia
Medicina generale
Neurologia
Chirurgia generale
Ostetricia e ginecologia
Oncologia
Riabilitazione e recupero funzionale
Cardiochirurgia
Oculistica
Anestesia, rianimazione, terapia intensiva
Chirurgia vascolare
Otorinolaringoiatria
Nr.
CP
15
14
11
11
11
10
10
9
8
7
7
6
6
6
%
50.0
46.7
36.7
36.7
36.7
33.3
33.3
30.0
26.7
23.3
23.3
20.0
20.0
20.0
(segue)
4
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
(segue)
Ramo specialistico
Chirurgia plastica
Gastroenterologia
Medicina interna
Radiologia
Dermatologia
Ematologia
Geriatria
Neurochirurgia
Neuropsichiatria
Pneumologia
Reumatologia
Broncopneumologia
Chirurgia toracica
Endocrinologia
Endoscopia digestiva
Fisiatria
Medicina nucleare
Nefrologia
Neonatologia
Pediatria
Allergologia
Anatomia patologica
Andrologia
Chirurgia oncologica
Chirurgia toraco-vascolare
Elettrofisiologia
Emodinamica
Epatologia
Medicina di laboratorio
Microchirurgia oculare
Psichiatria
Radioterapia
Totale
Nr.
CP
5
5
4
4
3
3
3
3
3
3
3
2
2
2
2
2
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
200 *
%
16.7
16.7
13.3
13.3
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
10.0
6.7
6.7
6.7
6.7
6.7
6.7
6.7
6.7
6.7
3.3
3.3
3.3
3.3
3.3
3.3
3.3
3.3
3.3
3.3
3.3
3.3
* questo totale risulta superiore al nr. di CP poiché ciascun centro può essere abilitato alla sperimentazione in più rami
specialistici. La percentuale in seconda colonna è stata calcolata rispetto al nr. totale di CP (30)
5
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Sperimentazioni Cliniche dei medicinali
I dati presentati in questo Bollettino, relativi al periodo 1° gennaio 2000 – 31 dicembre 2002,
comprendono 1 659 sperimentazioni cliniche (incluse le Fasi I):
Anno
2000
2001
2002
Totale
Nr. sperim.
562
590
507
1 659
In base ai dati inseriti nell’OsSC, a fronte di un cospicuo numero di valutazioni (12 057), circa il 70% di
queste si concretizzano nell’avvio della sperimentazione (8 705), circa 1/3 giungono a conclusione
(4 454) ed una minima percentuale produce risultati che diventano disponibili all’intera comunità
scientifica tramite pubblicazione su riviste nazionali e/o internazionali.
La presenza dell’Italia negli studi internazionali è aumentata sensibilmente, raggiungendo il 63.2% nel
2002 (vedere Grafico 1).
Si evidenzia come in Italia sia percentualmente molto alta la sperimentazione clinica di
Fase III (55.6%); bisogna tuttavia sottolineare la crescita degli studi di Fase II, la cui percentuale è
passata dal 27.8% nel 2000 al 36.5% nel 2002 (vedere Grafico 2).
Gli studi di Fase I, grazie anche alla modifica della normativa, hanno avuto un incremento nel corso
del tempo, fino ad arrivare, con 11 approvazioni nel 2002, a rappresentare il 2.2% del totale.
Grafico 1
65
60
60
55
55
Studi Internazionali
Studi Nazionali
45
50
%
50
%
Grafico 2
65
45
40
40
35
35
30
30
25
Studi di Fase III
Studi di Fase II
25
2000
2001
2002
2000
2001
2002
Le categorie terapeutiche nelle quali si eseguono maggiormente sperimentazioni cliniche sono quelle
dei farmaci antineoplastici ed immunomodulatori (30.7%), seguite dai farmaci per il sistema
nervoso (11.2%) e dagli antimicrobici generali per uso sistemico (11.2%).
Il 77% della sperimentazione clinica italiana viene condotta avendo come Sponsor le Aziende
farmaceutiche, mentre il restante 23% è coordinato da enti no profit (Aziende Ospedaliere, ASL,
Associazioni scientifiche, IRCCS, Università, ecc.). Analizzando in dettaglio, si può notare come le
Aziende farmaceutiche concentrino la loro ricerca nei gruppi terapeutici degli antineoplastici ed
immunomodulatori (20.9%), dei farmaci per il sistema nervoso (12.8%) e degli antimicrobici generali
per uso sistemico (12.1%), mentre gli enti no profit mirino le ricerche prevalentemente nella categoria
degli antineoplastici (62.6%).
Per quanto riguarda le Società farmaceutiche, le prime 21 Aziende sponsorizzano il 59.1% degli studi
clinici, le prime 50 il 81.1%, le prime 100 il 93.3%.
Ponendo l’attenzione alle sperimentazioni con Sponsor no profit, i primi 21 enti concentrano il 61.8%
degli studi, mentre i primi 50 l’82.8% del totale.
I Comitati Etici dei centri coordinatori, le cui competenze sono particolarmente importanti alla luce dei
decreti del 18 marzo 1998, conducono un’intensa e concentrata attività; i primi 25 sono coordinatori
del 68.5% delle sperimentazioni, mentre i primi 50 dell’85.5%.
Gli Ospedali a gestione diretta (31.9%) e le Aziende Ospedaliere (30%) rappresentano oltre metà di
tutti i centri clinici partecipanti alle sperimentazioni. Nell’analisi regionale spiccano, nelle prime cinque
posizioni, la Lombardia (22%), l’Emilia-Romagna (10.6%), la Toscana (8.6%), il Lazio (8.5%), il
Veneto (7.8%); le altre Regioni, tutte insieme, rappresentano il 42.5% del totale.
6
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Tabella 4
Sperimentazioni per tipologia: monocentrica / multicentrica
Sperimentazioni totali: 1 659 di cui 1 605 (96.7%) con tipologia specificata
2000
Tipologia
2001
2002
Totale
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
81
460
541
15.0
85.0
100.0
109
470
579
18.8
81.2
100.0
106
379
485
21.9
78.1
100.0
296
1 309
1 605
18.4
81.6
100.0
Monocentrica
Multicentrica
Totale
Tabella 5
Sperimentazioni multicentriche nazionali e internazionali
Sperimentazioni multicentriche: 1 309 di cui 1 129 (86.2%) con tipologia specificata
2000
Tipologia
2001
2002
Totale
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
186
206
392
47.4
52.6
100.0
153
250
403
38.0
62.0
100.0
123
211
334
36.8
63.2
100.0
462
667
1 129
40.9
59.1
100.0
Nazionale
Internazionale
Totale
Tabella 6
Sperimentazioni monocentriche / multicentriche per fase
Sperimentazioni totali: 1 659 di cui 1 605 (96.7%) con tipologia e fase specificate
Fase di
sperimentazione
Fase III
Fase II
Fase IV
Bioeq / Biod
Fase I *
Totale
Monocentriche
Nr.
sperim.
94
115
34
41
12
296
Multicentriche
Nr.
sperim.
806
392
101
3
7
1 309
%
10.4
22.7
25.2
93.2
63.2
18.4
Totale
Nr.
sperim.
900
507
135
44
19
1 605
%
89.6
77.3
74.8
6.8
36.8
81.6
%
100.0
100.0
100.0
100.0
100.0
100.0
* inserite dal Ministero della salute
Tabella 7
Sperimentazioni per fase e anno
Sperimentazioni totali: 1 659
Fase di
sperimentazione
Fase III
Fase II
Fase IV
Bioeq / Biod
Fase I *
Totale
2000
2002
Totale
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
Nr.
sperim.
%
347
156
44
10
5
562
61.7
27.8
7.8
1.8
0.9
100.0
314
193
59
19
5
590
53.3
32.7
10.0
3.2
0.8
100.0
261
185
34
16
11
507
51.4
36.5
6.7
3.2
2.2
100.0
922
534
137
45
21
1 659
55.6
32.2
8.3
2.7
1.3
100.0
* inserite dal Ministero della salute
7
2001
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Tabella 8
Sperimentazioni per ATC - Gruppo Anatomico Principale (GAP) - e per anno
Sperimentazioni totali: 1 638 di cui 1 578 (96.3%) con ATC del farmaco in studio specificato *
2000
2001
2002
Gruppo Anatomico Principale (GAP)
Nr.
Nr.
Nr.
%
%
%
sperim.
sperim.
sperim.
160 33.8
L Antineoplastici ed immunomodulatori
157 29.3 167 29.3
49
N Sistema nervoso
60
68
11.2
12.0
10.3
38
J Antimicrobici generali per uso sistemico
67
71
12.5
12.5
8.0
59
30
A App. gastrointestinale e metabolismo
47
8.8
10.4
6.3
38
39
C Sistema cardiovascolare
38
7.1
6.7
8.2
33
35
B Sangue ed organi emopoietici
36
6.7
5.8
7.4
29
32
M Sistema muscolo-scheletrico
29
5.4
5.1
6.8
30
11
G Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali
37
6.9
5.3
2.3
26
25
V Vari
12
2.2
4.6
5.3
17
18
R Sistema respiratorio
24
4.5
3.0
3.8
10
14
H Prep. ormonali sistemici, esclusi gli ormoni sessuali
12
2.2
1.8
3.0
10
13
S Organi di senso
11
2.1
1.8
2.7
7
10
D Dermatologici
6
1.1
1.2
2.1
3
0
P Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti
0
0.0
0.5
0.0
Totale
536 100.0 568 100.0 474 100.0
* esclusa Fase I
Tabella 9
Sperimentazioni per ATC - Sottogruppo terapeutico (SGT)
Sperimentazioni totali: 1 638 di cui 1 578 (96.3%) con ATC del farmaco in studio specificato **
Sottogruppo Terapeutico (SGT)
L
L01
L03
L04
L02
L
N
N06
N05
N03
N04
N07
N02
N01
N
J
J05
J01
J07
J02
J06
J
Antineoplastici ed immunomodulatori
antineoplastici
agenti ad azione immunostimolante
agenti ad azione immunosoppressiva
terapia endocrina
Antineoplastici ed immunomodulatori *
Sistema nervoso
psicoanalettici
psicolettici
antiepilettici
antiparkinsoniani
altri farmaci attivi sul sistema nervoso centrale
analgesici
anestetici
Sistema nervoso *
Antimicrobici generali per uso sistemico
antivirali per uso sistemico
antibatterici ad uso sistemico
vaccini
antimicotici per uso sistemico
sieri immuni ed immunoglobuline
Antimicrobici generali per uso sistemico *
Nr.
sperim.
484
313
78
68
23
2
177
51
37
31
17
16
13
10
2
176
76
55
40
2
2
1
%
su gruppo
100.0
64.7
16.1
14.0
4.8
0.4
100.0
28.8
20.9
17.5
9.6
9.1
7.3
5.7
1.1
100.0
43.2
31.3
22.7
1.1
1.1
0.6
%
su totale
30.7
19.8
4.9
4.3
1.5
0.1
11.2
3.2
2.3
2.0
1.1
1.0
0.8
0.6
0.1
11.2
4.8
3.5
2.5
0.1
0.1
0.1
(segue)
8
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
(segue)
Sottogruppo Terapeutico (SGT)
A
A10
A02
A16
A07
A05
A03
A04
A06
A08
A
A12
A09
A01
C
C09
C01
C10
C08
C02
C05
C07
C04
C
C03
B
B01
B03
B02
B05
B06
M
M01
M05
M03
M02
M
G
G04
G03
G01
G
G02
9
App. gastrointestinale e metabolismo
antidiabetici
antiacidi, antimeteorici ed antiulcera peptica
altri farmaci app. gastrointestinale e metabolismo
antidiarroici, antinfiammatori ed antimicrobici intest.
terapia biliare ed epatica
antispastici procinetici ed anticolinergici
antiemetici ed antinausea
lassativi
farmaci contro l’obesità, esclusi i prodotti dietetici
App. gastrointestinale e metabolismo *
integratori minerali
digestivi, inclusi gli enzimi
stomatologici
Sistema cardiovascolare
sostanze ad azione sul sistema renina-angiotensina
terapia cardiaca
sostanze ipolipemizzanti
calcioantagonisti
antiipertensivi
vasoprotettori
betabloccanti
vasodilatatori periferici
Sistema cardiovascolare *
diuretici
Sangue ed organi emopoietici
antitrombotici
farmaci antianemici
antiemorragici
succedanei del plasma e soluzioni perfusionali
altri agenti ematologici
Sistema muscolo-scheletrico
farmaci antinfiammatori ed antireumatici
altri farmaci per affez. sistema muscolo-scheletrico
miorilassanti
farmaci uso topico per dolori articolari e muscolari
Sistema muscolo-scheletrico *
Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali
urologici
ormoni sessuali e stimolanti del sistema genitale
antimicrobici ed antisettici ginecologici
Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali *
altri ginecologici
Nr.
sperim.
136
50
24
20
16
11
3
3
3
2
1
1
1
1
115
31
26
24
9
6
6
5
4
2
2
104
56
25
17
5
1
90
48
22
9
7
4
78
41
25
6
3
3
%
su gruppo
100.0
36.8
17.7
14.7
11.8
8.1
2.2
2.2
2.2
1.5
0.7
0.7
0.7
0.7
100.0
27.0
22.6
20.9
7.8
5.2
5.2
4.4
3.5
1.7
1.7
100.0
53.9
24.0
16.3
4.8
1.0
100.0
53.3
24.5
10.0
7.8
4.4
100.0
52.6
32.1
7.7
3.8
3.8
%
su totale
8.6
3.2
1.5
1.3
1.0
0.7
0.2
0.2
0.2
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
7.3
2.0
1.6
1.5
0.6
0.4
0.4
0.3
0.3
0.1
0.1
6.6
3.5
1.6
1.1
0.3
0.1
5.7
3.0
1.4
0.6
0.4
0.3
4.9
2.6
1.6
0.4
0.2
0.2
(segue)
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
(segue)
Sottogruppo Terapeutico (SGT)
V
V08
V03
V06
V09
V01
V04
V20
R
R03
R05
R06
R07
R01
H
H01
H02
H05
H03
S
S01
S
S03
D
D07
D01
D06
D11
D03
D05
D
D08
D10
D02
P
P01
P03
Vari
mezzi di contrasto
tutti gli altri prodotti terapeutici
agenti nutrizionali
radiofarmaceutici diagnostici
allergeni
diagnostici
medicazioni chirurgiche
Sistema respiratorio
antiasmatici
preparati per la tosse e malattie da raffreddamento
antistaminici per uso sistemico
altri preparati per il sistema respiratorio
preparati rinologici
Prep. ormonali sistemici, escl. ormoni sessuali
ormoni ipofisari, ipotalamici ed analoghi
corticosteroidi sistemici
calcio-omeostatici
terapia tiroidea
Organi di senso
oftalmologici
Organi di senso *
preparati oftalmologici ed otologici
Dermatologici
corticosteroidi, preparati dermatologici
antimicotici per uso dermatologico
antibiotici e chemioterapici per uso dermatologico
altri preparati dermatologici
preparati per il trattamento di ferite ed ulcerazioni
antipsoriasici
Dermatologici *
antisettici e disinfettanti
preparati antiacne
emollienti e protettivi
Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti
antiprotozoari
ectoparassiticidi, compresi antiscabbia e altri
Totale
Nr.
sperim.
63
29
24
4
3
1
1
1
59
40
7
5
5
2
36
26
5
3
2
34
32
1
1
23
5
4
3
3
2
2
1
1
1
1
3
2
1
1 578
%
su gruppo
100.0
46.0
38.1
6.3
4.8
1.6
1.6
1.6
100.0
67.8
11.8
8.5
8.5
3.4
100.0
72.2
13.9
8.3
5.6
100.0
94.2
2.9
2.9
100.0
21.7
17.3
13.0
13.0
8.7
8.7
4.4
4.4
4.4
4.4
100.0
66.7
33.3
100.0
%
su totale
4.0
1.8
1.5
0.3
0.2
0.1
0.1
0.1
3.7
2.5
0.4
0.3
0.3
0.1
2.3
1.6
0.3
0.2
0.1
2.2
2.0
0.1
0.1
1.5
0.3
0.3
0.2
0.2
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.1
0.2
0.1
0.1
100.0
* non ulteriormente specificato
** esclusa Fase I
10
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Tabella 10
Sperimentazioni per tipo di Sponsor
Sperimentazioni totali: 1 638 *
Tipo di Sponsor
Azienda farmaceutica
ASL o Azienda ospedaliera
IRCCS pubblico o privato
Associazione scientifica
Università
Ente di ricerca
Fondazione
Ente governativo
Totale
Nr.
sperim.
%
1 260
146
125
64
28
10
3
2
1 638
77.0
8.9
7.6
3.9
1.7
0.6
0.2
0.1
100.0
* esclusa Fase I
Tabella 11
Sperimentazioni per ATC - Gruppo Anatomico Principale (GAP)
Confronto Azienda farmaceutica / Sponsor no profit
Sperimentazioni totali: 1 638 di cui 1 578 (96.3%) con ATC del farmaco in studio specificato *
Gruppo Anatomico Principale (GAP)
L
N
J
A
C
B
M
G
V
R
H
S
D
P
Antineoplastici ed immunomodulatori
Sistema nervoso
Antimicrobici generali per uso sistemico
App. gastrointestinale e metabolismo
Sistema cardiovascolare
Sangue ed organi emopoietici
Sistema muscolo-scheletrico
Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali
Vari
Sistema respiratorio
Prep. ormonali sistemici esclusi gli ormoni sessuali
Organi di senso
Dermatologici
Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti
Totale
* esclusa Fase I
11
Azienda farmaceutica
Nr. sperim.
253
155
146
126
99
87
78
74
50
58
26
33
21
3
1 209
%
20.9
12.8
12.1
10.4
8.2
7.2
6.5
6.1
4.1
4.8
2.2
2.7
1.7
0.3
100.0
No profit
Nr. sperim. %
231
62.6
22
6.0
30
8.1
10
2.7
16
4.3
17
4.6
12
3.3
4
1.1
13
3.5
1
0.3
10
2.7
1
0.3
2
0.5
0
0.0
369
100.0
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Figura 2
Sperimentazioni per Sponsor Azienda farmaceutica
I primi 21 su 175 rappresentano il 59.1% del totale delle sperimentazioni (esclusa Fase I)
GlaxoSmithKline
64
62
Novartis Farma
Bristol-Myers Squibb
54
Wyeth Lederle
47
AstraZeneca
46
Roche
45
Merck Sharp & Dohme
44
Sigma-Tau
42
Pharmacia & Upjohn
42
Pfizer
37
Schering-Plough
34
Lilly
34
Janssen-Cilag
25
Bayer
24
Boehringer Ingelheim
22
Sanofi-Synthelabo
21
Schering
20
Abbott
20
Takeda
19
Novo Nordisk
19
Bracco
19
0
10
20
30
40
50
60
70
Nr. SC
12
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Figura 3
Sperimentazioni per Sponsor no profit
I primi 21 su 110 rappresentano il 61.8% del totale delle sperimentazioni (esclusa Fase I)
Policlinico S. Matteo (PV)
30
Osp. S. Raffaele (MI)
27
Policlinico Univ. Gemelli (RM)
19
Ist.Naz. Tumori – Fond. Pascale (NA)
18
Ist. Europeo Oncologia (MI)
15
European Org. Research Treatment Cancer
13
AO Pol. S. Orsola Malpighi (BO)
13
12
DIMI AO S. Martino e Cliniche Univ. (GE)
11
AO di Padova (PD)
10
AO Ist. Ospitalieri di Verona (VR)
Università degli studi Udine (UD)
8
Università degli studi Siena (SI)
7
Casa Sollievo della Sofferenza (FG)
6
AO Osp. Riuniti (BG)
6
Ist. Naz. Tumori (MI)
6
Ist. Ortopedici Rizzoli (BO)
6
AO Careggi (FI)
6
Ist. Fisioterapici Ospedalieri (RM)
5
Istituto Superiore Sanità (RM)
5
New Drugs Development Office
5
Osp. Maggiore (MI)
5
0
5
10
15
20
Nr. SC
13
25
30
35
Bollettino
Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 – giugno 2003
Figura 4
Sperimentazioni per Comitato Etico del centro coordinatore
I primi 25 su 141 rappresentano il 68.5% del totale delle sperimentazioni (esclusa Fase I)
CE Fond. S. Raffaele Monte Tabor (MI)
114
CE Pol. S. Matteo (PV)
110
CE AO Pisana (PI)
91
CE Pol. S. Orsola - Malpighi (BO)
83
CE Univ. Catt. S. Cuore – Pol. Gemelli (RM)
69
CE Az. Sanitarie Umbria (PG)
58
CE AO Senese (SI)
55
CE Osp. Maggiore (MI)
45
CE AO Padova (PD)
45
CE Ist. Naz. Tumori Fond. Pascale (NA)
40
CE Regione Piemonte (TO)
38
CE AO Careggi (FI)
34
CE DIMI Univ. Genova – Osp. S. Martino (GE)
33
CE Ist. Europeo di Oncologia (MI)
30
CE AO S. Martino Clin. Universitarie (GE)
30
CE Pol. Umberto I (RM)
30
CE AO Pol. Consorziale (BA)
30
CE AO Istituti Ospitalieri (VR)
29
CE Ist. Naz. Ricerca sul Cancro (GE)
26
CE Provinciale Modena (MO)
25
CE Ist. Europeo Oncologia (MI)
23
CE Univ. G. D'Annunzio (CH)
22
CE Osp. L. Sacco (MI)
22
CE Univ. Federico II (NA)
19
CE Policlinico Univ. Udine (UD)
19
0
20
40
60
80
100
120
140
Nr. SC
14
Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia
n. 2 - giugno 2003
Inserto del Bollettino d’Informazione sui Farmaci (BIF)
bollettino d’informazione sui farmaci
145
DALLA LETTERATURA
Questa rubrica è di solito dedicata al riassunto di recenti articoli riguardanti i temi principalmente
discussi nello stesso numero del BIF.
In questo caso si è voluta cogliere l’occasione di un numero del British Medical Journal (BMJ 2003;
326), quasi interamente dedicato al problema dell’informazione medico-scientifica, soprattutto in relazione ai farmaci.
Di seguito si riporta, infatti, una selezione degli articoli che la redazione ha ritenuto più interessanti,
per alcuni dei quali viene fornita solo una sintesi. Si è inoltre ritenuto utile integrare gli articoli tratti dal
BMJ con dei commenti che riportano alcuni punti di vista dell’editoria scientifica italiana.
◗ L’informazione proveniente dalle
aziende farmaceutiche e gli
opinion leaders.
Il doppio standard informativo diverso per le riviste biomediche e
per i medici - dovrebbe essere superato.
LIBERATI A, MAGRINI N. INFORMATION FROM DRUG COMPANIES AND
OPINION LEADERS.
BMJ 2003;
326:1156-7.
I
farmaci possono offrire enormi
vantaggi in termini di salute se le
scelte terapeutiche vengono fatte in
modo appropriato, e in questo senso
la disponibilità di un’informazione
valida è una condizione necessaria.
L’asimmetria dell’informazione disponibile per operatori e pazienticittadini è una barriera fondamentale per scelte razionali e
informate. L’informazione di buona
qualità è tuttavia un prodotto a disponibilità limitata anche per i professionisti sanitari, e l’uso di un
diverso standard qualitativo nella
sua diffusione rappresenta una delle
cause principali di fallimento della
catena terapeutica, intesa come:
sviluppo/registrazione ed eventuali
provvedimenti regolatori/commercializzazione/distribuzione/prescrizione/dispensazione/uso del
farmaco1.
Gli investimenti dei sistemi sanitari
nella produzione di informazione
indipendente sono modesti e di
conseguenza le aziende farmaceutiche – che finanziano gran parte
della ricerca – diventano gli attori
principali nella divulgazione dell’informazione ai professionisti sanitari e al pubblico. Le aziende farmaceutiche e i ricercatori che
agiscono come opinion leaders si
comportano in modo corretto e
coerente, oppure adottano un
doppio standard quando scrivono
su riviste scientifiche autorevoli
(peer reviewed) rispetto a quando si
rivolgono ai clinici? Questa forma di
asimmetria informativa è ben nota2.
Di seguito, discuteremo due recenti
esempi che illustrano in modo
evidente i pericoli di questo doppio
standard informativo: un documento della Federazione Europea
delle Aziende Farmaceutiche
(EFPIA)3 e il dibattito successivo alla
pubblicazione dello studio ALLHAT,
che rappresenta una pietra miliare
fra i trial sul trattamento per l’ipertensione arteriosa4-8.
Il documento EFPIA
I
l documento identifica 20 malattie e condizioni patologiche,
tra cui demenza, asma, epatite C,
artrite reumatoide, osteoporosi e
alcuni tumori, per le quali “non
vengono raggiunti benefici potenzialmente raggiungibili”3. Secondo
il documento ciò accade perché ai
pazienti viene negato l’accesso a
Ministero della Salute
importanti terapie, a causa di una
diagnosi imprecisa, di scarsa conoscenza da parte dei pazienti dei
farmaci efficaci e di un rigido contenimento della spesa da parte dei
sistemi sanitari.
Vale la pena leggere questo documento per il modo in cui è stato
scritto, trascurando principi fondamentali della sintesi dell’informazione scientifica. Nello spazio di
98 pagine e 184 voci bibliografiche
i lettori vengono messi in guardia
contro un presunto sotto-utilizzo
di farmaci efficaci. Nessuna delle
malattie presentate viene discussa in
riferimento ai risultati di revisioni sistematiche disponibili. Semplicemente consultando Clinical
Evidence e la Cochrane Library si
trovano da 5 a 15 revisioni sistematiche per ognuna delle patologie
esaminate9,10. Per ognuna di esse il
documento cita solo alcuni degli
studi positivi, mentre quelli con risultati negativi vengono ignorati.
Questa selettività non è limitata
agli studi di efficacia, ma viene applicata anche a quelli di appropriatezza. Non viene citato alcuno
studio sul sovra-utilizzo degli interventi sanitari – la dimensione
della qualità di cura maggiormente
affrontata in letteratura – mentre
sono menzionate solamente le ricerche sul sotto-utilizzo. Nella
sezione sulla malattia di Alzheimer,
ad esempio, il documento EFPIA
sostiene che i pazienti trattati con
farmaci anticolinesterasici di
146
seconda generazione godono di
una migliore qualità di vita, con
conseguenti ricadute positive sui
costi sociali della malattia. Solamente una referenza (in tedesco)
viene citata a supporto di questa
affermazione. Le revisioni sistematiche, al contrario, non supportano questa affermazione sulla
base degli studi disponibili, a
causa di follow-up inadeguati,
end-point di discutibile rilevanza
clinica e scarsità di dati sulla
qualità di vita, concludendo che
l’importanza pratica dei cambiamenti osservati sui pazienti e su
chi li assiste non è chiara10.
Lo studio ALLHAT
I
l secondo esempio riguarda il
diverso approccio seguito dalle
aziende farmaceutiche e da alcuni
opinion leaders nell’affrontare i risultati dello studio ALLHAT: discussi
scientificamente su riviste peer-reviewed5,6 e invece rifiutati su riviste
nazionali indirizzate a prescrittori e
cardiologi7,8. Questo doppio standard
fa parte di una strategia predefinita
mirata a mettere in dubbio i risultati
non graditi11. Lo studio ALLHAT ha
ricevuto risposte immediate sul
Journal of Hypertension, la cui direzione ha chiesto a specialisti ipertensivologi di discuterne punti di
forza e debolezze metodologiche5. I
commentatori invitati ne hanno sostanzialmente elogiato i punti di
forza, identificando punti deboli solamente marginali11-14. Al contrario,
sulla rivista della Società Italiana dell’Ipertensione (Ipertensione & Prevenzione Cardiovascolare)7 e su una
rivista medica mensile (Sole 24 Ore
Sanità)8, sono apparse nuove critiche
a tutto campo dirette al disegno, all’analisi e all’interpretazione dei risultati dell’ALLHAT. L’editoriale
italiano sostiene che gli inconvenienti dell’ALLHAT dipendono da
DALLA LETTERATURA
una scarsa esperienza nel campo
della ricerca da parte di molti dei
centri partecipanti, dalla breve durata
dello studio, dalla mancanza di un
periodo di washout prima della randomizzazione e dalle peculiari associazioni farmacologiche aggiunte ai
trattamenti sperimentali. L’editoriale
suggerisce inoltre che i ricercatori dell’ALLHAT abbiano conflitti di interesse, dal momento che le istituzioni pubbliche che hanno
finanziato lo studio (i National Institutes for Health americani) hanno
come obiettivo prioritario il contenimento dei costi dell’assistenza sanitaria7.
Nell’altro articolo vengono indicati
come difetti principali dell’ALLHAT
l’inefficacia della monoterapia
(quando da sola ha in realtà
permesso un buon controllo
pressorio nel 55% dei pazienti); la necessità di aggiungere un secondo
farmaco che potrebbe aver favorito il
clortalidone; il fatto che il 90% della
popolazione in studio veniva già
trattata con farmaci antipertensivi
(ma non succede forse questo in tutti
gli studi sull’ipertensione?); che lo
scompenso cardiaco non era un esito
pre-specificato (in realtà lo era, e
anche totalmente validato); infine
che il follow-up era stato troppo
breve per mostrare differenze importanti durante una terapia a lungo
termine (il follow-up dell’ALLHAT è
uno dei più lunghi stando nel campo
dell’ipertensione). L’articolo si
conclude dicendo che i risultati dell’ALLHAT non possono essere applicati alla pratica clinica italiana o
europea a causa della bassa percentuale di pazienti neri, coloro che
ricavano il massimo beneficio da un
trattamento con diuretico tiazidico8.
È interessante notare come nella
pubblicazione principale dello studio
ALLHAT un’analisi per i vari sottogruppi abbia mostrato che i risultati
non cambiavano in relazione alla
razza4. Nessuno di questi elementi di
discussione era comunque presente
Ministero della Salute
nelle lettere al Direttore pubblicate
dal JAMA alcuni mesi dopo i risultati
del rapporto ALLHAT6.
Questi due casi sottolineano come, se
le aziende farmaceutiche e gli opinion
leaders intendono conservare la
propria credibilità, si devono stabilire
regole comuni a tutti e definite. In
primo luogo le aziende farmaceutiche dovrebbero collaborare su
un programma di ricerca con priorità
esplicitate, in cui i problemi legati all’assistenza siano più rilevanti degli
aspetti relativi ai farmaci. In secondo
luogo si dovrebbe sviluppare un
codice di comportamento trasparente per evitare bias di pubblicazione o la censura preventiva dell’informazione. Dal momento che
viene pubblicata solo una parte degli
studi randomizzati controllati,
sarebbe auspicabile creare un registro
degli studi in corso sull’esempio della
banca dati dell’US National Cancer Institute, consultabile da parte dei clinici
(www.nci.gov/cancer_information/
pdq/), e inoltre esplicitare i propri
potenziali conflitti di interesse dei ricercatori e i loro ruoli nel disegno,
conduzione, analisi e interpretazione
dei risultati dello studio. Infine sia le
aziende farmaceutiche sia gli opinion
leaders dovrebbero riconoscere il
proprio obbligo etico a evitare di
parlare due linguaggi diversi: quello
scientifico sulle riviste peer reviewed e
quello infarcito di opinioni personali
quando parlano direttamente ai
clinici o ai decisori della sanità.
Bibliografia
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therapeutic chain as a cause of drug
ineffectiveness: promotion, misinformation, and economics work better
than needs. BMJ 2003;326:895-6.
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bollettino d’informazione sui farmaci
147
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www.gm.wiso.uni-erlangen.de/
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4. ALLHAT Officers and Coordinators for
the ALLHAT Collaborative Research
Group. Major outcomes in high risk
hypertensive patients randomised to
angiotensin-converting enzyme inhibitor or calcium channel blocker vs
diuretic: the antihypertensive and
lipid lowering treatment to prevent
heart attack trial (ALLHAT). JAMA
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J Hypertens 2003;21:223.
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ALLHAT Collaborative Research
Group. JAMA 2003;289:2069. (Reply
to correspondence on page 2066-8.)
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Ipertensione & Prevenzione
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pesando tutti gli effetti. Sole 24 Ore
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massive study with clear message.
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13. Fagard RH. The ALLHAT trial:
strengths and limitations.
J Hypertens 2003;21:229-32.
14. Kaplan NM. The meaning of ALLHAT.
J Hypertens 2003;21:233-4.
Dopo la pubblicazione di questo editoriale hanno fatto seguito alcune risposte che sono disponibili online sul
sito Internet:
http://bmj.bmjjournals.com/cgi/
content/full/326/7400/1156#
responses
Conflitti di interessi: AL e NM lavorano presso un centro sanitario nazionale la cui attività principale è
quella di fornire informazioni agli operatori della salute sugli effetti degli interventi sanitari. Il loro impegno quotidiano a favore di un’informazione
autenticamente indipendente e la sua
effettiva disseminazione sono all’origine del loro scetticismo.
◗ Sponsorizzazione da parte dell’industria farmaceutica ed esiti e
qualità della ricerca: una revisione
sistematica*
LEXCHIN J, BERO LA, DJULBEGOVIC
B, CLARK O. PHARMACEUTICAL INDUSTRY SPONSORSHIP AND RESEARCH
OUTCOME AND QUALITY: SYSTEMATIC
REVIEW.
BMJ 2003;326:1167-70.
Criteri della revisione sistematica
Obiettivo: stabilire se la sponsorizzazione degli studi sui farmaci da parte
dell’industria farmaceutica sia associata
ad esiti favorevoli per lo sponsor e se i
metodi delle sperimentazioni sponsorizzate dalle aziende farmaceutiche
siano diversi da quelli dei trial sostenuti
da altre fonti di finanziamento.
Metodi: ricerche su Medline (da gennaio
1966 a dicembre 2002) e Embase
(gennaio 1980 a dicembre 2002), integrate da materiale citato in bibliografia.
Risultati: sono stati inclusi 30 studi, da cui
risulta che le ricerche sponsorizzate dalle
aziende farmaceutiche hanno meno probabilità di essere pubblicate rispetto alle ricerche finanziate da altre fonti, mentre
hanno più probabilità di dar luogo ad esiti
a favore dello sponsor rispetto agli studi
che hanno altre fonti di finanziamento.
Conclusioni: le ricerche sponsorizzate
dall’industria riportano bias che favoriscono i prodotti dell’azienda finanziatrice della ricerca. Tra essi vi sono bias
di pubblicazione e la scelta non corretta
dei prodotti da mettere a confronto con
il farmaco oggetto dello studio.
U
n numero crescente di sperimentazioni cliniche, condotte
nelle varie fasi del ciclo vitale di un
prodotto, viene finanziata dall’industria farmaceutica. I risultati che
sono sfavorevoli allo sponsor, cioè
sperimentazioni da cui emerge che
un farmaco è clinicamente meno efficace, o ha un rapporto costo/efficacia meno conveniente, o è meno
* Di questo articolo viene presentata una sintesi.
Ministero della Salute
sicuro di altri farmaci utilizzati nel
trattamento di alcune patologie,
possono comportare considerevoli
rischi finanziari per le aziende. Il
dover dimostrare che il farmaco valutato è migliore di quelli esistenti
può pertanto dar luogo a bias nel
disegno, nell’esito e nella pubblicazione della ricerca finanziata dall’industria.
Negli studi presi in esame è stata valutata la relazione tra la fonte di finanziamento della ricerca e gli esiti
riportati e si è cercato di verificare se
la qualità metodologica degli studi
finanziati dall’industria farmaceutica
fosse diversa da quella di altri studi.
Per procedere alla selezione degli studi
in questione, sono state effettuate ricerche bibliografiche su Medline considerando il periodo da gennaio 1966
a dicembre 2002 e su Embase da
gennaio 1980 a dicembre 2002. Per reperire più studi, è stata controllata la
bibliografia di ogni articolo e si è proceduto ad una ricerca sul registro di
metodologia della Cochrane. Le ricerche combinate e le altre fonti di
dati hanno individuato 3.351 titoli
potenziali, da cui sono stati selezionati
30 articoli da analizzare.
Di ogni studio sono stati considerati
il tipo di ricerca valutata, il disegno,
la strategia utilizzata per individuare
la ricerca, il periodo di tempo considerato, il farmaco o la classe di
farmaci, la malattia, il numero di articoli analizzati, se la ricerca era finanziata dall’industria o non, come
veniva definito il finanziamento dell’industria, i criteri utilizzati per valutare la qualità metodologica della
ricerca, i risultati relativi alla qualità
metodologica, l’esito della ricerca e
lo scopo primario dello studio.
Dei 30 studi inclusi nell’analisi, sei
erano revisioni di relazioni farmacoeconomiche, due consideravano
meta-analisi e revisioni sistematiche
e i restanti 22 analizzavano gruppi di
sperimentazioni cliniche.
148
Principali risultati ottenuti
dalla revisione sistematica
• Ventisei dei trenta studi considerati riportavano gli effetti che
aveva la fonte di finanziamento
sull’esito della ricerca ed è stato riscontrato che la ricerca finanziata
dalle aziende farmaceutiche ha
meno probabilità di essere pubblicata rispetto alla ricerca diversamente sponsorizzata.
• Gli studi farmacoeconomici sponsorizzati dall’industria farmaceutica hanno mostrato una
maggiore probabilità di contenere
risultati a favore del prodotto dello
sponsor rispetto agli studi diversamente finanziati.
• Sedici studi hanno analizzato la relazione tra la fonte di finanziamento e gli esiti delle sperimentazioni cliniche e delle meta-analisi.
Di essi, tredici hanno riscontrato
che le sperimentazioni cliniche e le
meta-analisi sponsorizzate dalle
aziende farmaceutiche favorivano il
prodotto dello sponsor.
• Tredici studi hanno esaminato la
relazione tra la fonte di finanziamento e la qualità metodologica della ricerca e nessuno di
essi ha concluso che l’industria finanzia studi aventi qualità metodologica più scadente.
Ne consegue che la ricerca sponsorizzata dall’industria farmaceutica
produce, con maggiore probabilità,
risultati favorevoli al prodotto dell’azienda sponsor rispetto a studi finanziati da altre fonti. La totalità
delle evidenze riportate nella metaanalisi suggerisce l’esistenza di bias
sistematici nella ricerca sponsorizzata dall’industria farmaceutica.
Quattro possibili spiegazioni
per i risultati conseguiti
1. Le aziende farmaceutiche possono
finanziare in modo selettivo speri-
DALLA LETTERATURA
mentazioni su farmaci che vengono
considerati superiori ai prodotti
scelti come termini di confronto.
2. I risultati positivi potrebbero essere
la conseguenza di ricerca di qualità
scadente condotta dall’industria:
le sperimentazioni di qualità
scadente esagerano i benefici dei
trattamenti in media del 34%.
3. La scelta di un elemento di confronto
appropriato è una questione chiave
nella pianificazione di una sperimentazione clinica (nella maggior
parte dei casi in cui le dosi dei farmaci
studiati e di quelli di confronto non
erano equivalenti, il farmaco somministrato alla dose più alta era
quello dell’azienda sponsor, e le dosi
più alte possono aver prodotto errori
nei risultati a favore dell’efficacia del
prodotto dell’azienda).
4. I bias di pubblicazione sono risultati favorevoli alla ricerca sponsorizzata dall’industria, pertanto è
verosimile che le aziende farmaceutiche evitino che gli studi con
risultati non favorevoli ai propri
prodotti vengano pubblicati.
In conclusione questa revisione sistematica sembra dimostrare che la
ricerca finanziata dalle aziende farmaceutiche dà luogo, con maggiore probabilità, ad esiti favorevoli al prodotto
dello sponsor rispetto alla ricerca che
beneficia di finanziamenti diversi.
Ciò non risulta essere dovuto alla
qualità dei metodi della ricerca
sponsorizzata dall’industria, bensì
alla scelta di prodotti inappropriati
come termini di confronto e a bias
di pubblicazione.
La bibliografia integrale della revisione
pubblicata sul BMJ è disponibile al sito
Internet:
http://bmj.com/cgi/content/full/
326/7400/1167
Conflitti di interesse: BD ha ricevuto
finanziamenti da diverse industrie farmaceutiche per fare ricerca ed ha ricevuto compensi in qualità di relatore.
Finanziamento: nessuno.
Ministero della Salute
◗
Evidence b(i)ased medicine.
Informazione selettiva sugli studi
sponsorizzati dall’industria farmaceutica: revisione degli studi
allegati alle domande di autorizzazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci*
MELANDER H, ABLQVIST-RASTAD J,
MEIJER G, BEERMANN B. EVIDENCE
B(I)ASED MEDICINE – SELECTIVE REPORTING FROM STUDIES SPONSORED BY
PHARMACEUTICAL INDUSTRY: REVIEW
OF STUDIES IN NEW DRUG APPLICATIONS.
BMJ 2003;326:1171-3.
I
trattamenti farmacologici dovrebbero basarsi su solide prove di
efficacia, tanto che è oggi generalmente riconosciuto che le linee
guida terapeutiche sono costruite
sulla base delle revisioni sistematiche
della letteratura o su meta-analisi di
tutte le sperimentazioni cliniche
randomizzate e controllate. Tuttavia,
poiché le meta-analisi si limitano ai
dati disponibili pubblicamente,
diversi fattori possono dar luogo a
conclusioni distorte. Tra questi
elementi può esserci l’inclusione di
studi proposti e accettati per la pubblicazione, di pubblicazioni doppie
e la selezione preventiva delle informazioni (come quando non si pubblicano i risultati delle analisi intention to treat). Diversi attori
(direttori di riviste, ricercatori e
sponsor) condizionano il se e il come
i risultati scientifici diventino di
pubblico dominio. Nelle sperimentazioni cliniche sui farmaci, il ruolo
dello sponsor è particolarmente importante. Lo sponsor generalmente
ha accesso a tutti i dati su un
prodotto specifico e vive un ovvio
conflitto d’interesse. Diversi lavori
hanno fornito prove di duplicazione
delle pubblicazioni e pubblicazione
selettiva, ed hanno dimostrato la
tendenza a pubblicare studi con risultati significativi. L’obiettivo di
* Di questo articolo viene presentata una sintesi.
bollettino d’informazione sui farmaci
149
ANNO X N. 3-4 2003
questo studio è stato indagare
l’impatto dei bias di pubblicazione,
rappresentati dalla pubblicazione
multipla, pubblicazione selettiva e
selezione preventiva delle informazioni in studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica.
Tra il 1989 e il 1994, sono stati approvati in Svezia cinque farmaci inibitori selettivi della ricaptazione
della serotonina per il trattamento
della depressione maggiore. All’autorità regolatoria competente per i
farmaci sono state presentate quarantadue sperimentazioni cliniche
controllate verso placebo, costituendo la base per le autorizzazioni,
oltre che le relazioni complete di
qualsiasi studio eventuale.
Con il presente lavoro si è risaliti
alle versioni pubblicate degli studi
presentati attraverso una ricerca
sulle banche dati bibliografiche
quali Medline, Embase e PsycINFO,
rivolgendo particolare attenzione
alle revisioni e alle meta-analisi e
chiedendo informazioni alle
aziende sponsor. Verificate la situazione della pubblicazione per
ogni studio presentato e la presenza
di pubblicazioni multiple, un articolo che riportava risultati di un
solo studio è stato classificato come
pubblicazione autonoma, mentre
gli articoli che si basavano sui dati
di due o più studi sono stati definiti
“pubblicazione su studi aggregati”**. Come criterio per confrontare i risultati degli studi presentati all’autorità regolatoria con
quelli di articoli pubblicati è stata
scelta la percentuale di pazienti che
rispondevano al trattamento.
L’accesso alle relazioni integrali e dei
protocolli di tutti gli studi, pubblicati
e non, è esclusivo di questa ricerca e
ne rappresenta un punto di forza.
Anche se la ricerca è stata limitata ad
una sola classe di farmaci, ciò non
sembra invalidare la riproducibilità
dello studio per altri classi di farmaci.
Tramite la ricerca su banche dati,
sono state identificate 38 pubbli-
cazioni (che includevano pubblicazioni doppie e analisi combinate)
contenenti dati estrapolati da 38
dei 42 studi presentati all’autorità
regolatoria. I risultati mostrano
uno scenario delle pubblicazioni
variegato: si passa, infatti, da casi
in cui non vi sono duplicazioni
delle pubblicazioni a quelli in cui si
hanno pubblicazioni multiple, ad
esempio con pubblicazioni autonome che compaiono più volte o
sottogruppi di studi pubblicati
sotto forma di pubblicazioni su
studi aggregati. In termini di selettività delle pubblicazioni si è rilevato che la maggior parte dei risultati degli studi pubblicati
indicava la superiorità di efficacia
del farmaco testato rispetto al
placebo, mentre i risultati non significativi non sono mai diventati
di dominio pubblico.
Il confronto effettuato dei risultati
combinati degli studi presentati all’autorità regolatoria svedese e di
quelli pubblicati ha rivelato notevoli differenze nel tasso di risposta del farmaco: spesso, le analisi
basate sui dati pubblicati davano
l’impressione che il farmaco fosse
ampiamente più efficace degli altri
farmaci, ciò che non risultava
evidente per le analisi presentate all’autorità regolatoria.
Nel complesso, i risultati dello
studio hanno riscontrato evidenze
di duplicazioni di pubblicazioni,
pubblicazione selettiva e selezione
preventiva delle informazioni. La
frequenza della duplicazione delle
pubblicazioni era alta a causa dell’inclusione di diversi sottogruppi
di studi in diverse pubblicazioni su
studi aggregati. Gli studi che evidenziavano differenze significative
tra l’efficacia del farmaco e il
placebo avevano il triplo delle probabilità di apparire come pubblicazioni autonome rispetto agli
studi con risultati non significativi.
Sebbene sia le analisi intention to
treat sia le analisi per protocollo
Ministero della Salute
fossero disponibili nei testi presentati all’autorità regolatoria,
soltanto una bassa percentuale
delle pubblicazioni autonome riportava i risultati, generalmente
meno favorevoli, secondo intention
to treat. Tale selezione delle informazioni risultava la principale
causa di bias nei calcoli basati sui
dati pubblicati.
Tutti gli studi compresi nella ricerca
erano stati avviati dallo sponsor e i
ricercatori erano in genere clinici per
i quali la ricerca accademica non rappresentava l’interesse primario.
Pertanto, la decisione riguardo al
come e al se uno studio doveva
essere pubblicato probabilmente
spettava soltanto allo sponsor. Uno
sponsor che ha possibilità di controllo su tutti gli studi non sembra
migliorare, in definitiva, la situazione circa duplicazione delle
pubblicazioni, pubblicazione selettiva e selezione preventiva delle
informazioni.
I risultati dovrebbero far riflettere
coloro che si basano semplicemente sui dati pubblicati per scegliere uno specifico farmaco. Senza
l’accesso a tutti gli studi (sia positivi sia negativi, pubblicati e non)
e ad analisi alternative (secondo intention to treat e per protocollo),
qualsiasi sforzo fatto per raccomandare uno specifico farmaco
probabilmente sarà basato su
evidenze viziate.
Per la bibliografia si rimanda alla
versione integrale dell’articolo disponibile online:
http://bmj.com/cgi/reprint/326/7
400/1171.pdf
Finanziamento: nessuno.
Conflitti di interesse: nessuno.
**L’espressione “pooled publication”, utilizzata
dagli autori per identificare un documento in
cui vengono riportati e descritti metodi e risultati di più studi, è stata qui tradotta con la
locuzione “pubblicazione su studi aggregati”
(nota del traduttore).
150
◗ Come ballare con i porcospini:
regole e linee guida dei rapporti tra
medici ed aziende farmaceutiche
WAGER E. HOW TO DANCE WITH PORCUPINES: RULES AND GUIDELINES ON
DOCTORS’ RELATIONS WITH DRUG COMPANIES. BMJ 2003; 326: 1196-8.
DALLA LETTERATURA
C
ome gli aculei di un porcospino,
i rapporti tra le aziende farmaceutiche e i medici sono molteplici e
possono essere pericolosi se l’approccio è sbagliato (Lewis et al.
hanno scelto l’analogia del “ballare
con i porcospini” per descrivere i
rapporti tra università e industria; mi
è piaciuta così tanto che l’ho utilizzata anch’io1). Sebbene lontano
dall’essere un’indagine esaustiva,
questo articolo vuole mettere in luce
le principali regole e indicazioni
circa i rapporti tra medici ed aziende
farmaceutiche.
I codici di condotta delle
aziende farmaceutiche
I rapporti tra medici ed aziende farmaceutiche possono portare a dilemmi etici.
Questo articolo offre una visione generale sulle direttive e i codici di condotta
che regolano queste relazioni.
Punti chiave
• I codici di condotta per le aziende farmaceutiche diffusi dalle associazioni
industriali sono formulati su base volontaria anche se spesso vengono superati dalle procedure di reclamo.
• La maggior parte di questi codici
proibisce alle aziende di dare ai
medici incentivi per indurli a prescrivere i loro prodotti.
• La maggior parte delle organizzazioni
dei medici garantisce il controllo della
ricerca finanziata dalle aziende.
• Le direzioni delle riviste scientifiche
hanno stilato una dichiarazione per
evitare che gli studi con risultati poco
favorevoli dal punto di vista commerciale non vengano pubblicati.
• Fino a poco tempo fa, non esistevano direttive per l’industria farmaceutica riguardo la cosiddetta
“good publication practice”.
• È necessario il dialogo tra le parti interessate prima che vengano emanate
nuove direttive sui rapporti tra medici
e industria.
I codici di condotta delle aziende farmaceutiche diffusi dalle associazioni
industriali sono di solito accolti su
base volontaria anche se spesso
vengono respinti dalle aziende. Numerosi paesi in cui il mercato farmaceutico è ampiamente sviluppato
hanno dei codici nazionali, come
quelli della Association of the British
Pharmaceutical Industry (ABPI)2, la
Medicines Australia 3 e la Pharmaceutical Research and Manufactures of
America4. Tali codici riguardano di
solito le attività commerciali delle
aziende farmaceutiche – la maggior
parte proibisce alle aziende di incentivare le prescrizioni di prodotti da
parte del medico offrendo a quest’ultimo doni in denaro o in beni di
lusso o come rimborsi di lussuose o
ingiustificate note spese per viaggi o
ospitalità.
Il codice dell’ABPI stabilisce che i
doni da parte delle aziende devono
avere un valore inferiore alle 6
sterline (circa 8-9 euro) e devono
essere utili per la professione del
medico2. La guida che accompagna
il codice spiega che penne, agende,
guanti chirurgici “sono da ritenersi
accettabili”, mentre per esempio tovagliette, sementi, CD musicali non
Ministero della Salute
lo sono. Il livello di ospitalità dei
meeting deve essere appropriato e
“coerente con il tono della manifestazione cui si riferisce” e i costi “non
devono essere superiori a quanto i
beneficiari avrebbero speso se li
avessero sostenuti in prima
persona”. Le linee guida australiane
affermano che l’ospitalità deve
essere “semplice, modesta [e] secondaria rispetto alla rilevanza educazionale” di un meeting3. La sede di
questi incontri “non deve essere
scelta per i piaceri o le attività ricreative” e i viaggi di durata inferiore
alle quattro ore “dovrebbero essere
effettuati in classe economica”. Negli
Stati Uniti, le regole di condotta sugli
incentivi ai medici sono diventate
più restrittive nel 20024. Così come
avviene nel Regno Unito, penne e
calendari sono concessi, ma non lo
sono palline da golf e lettori DVD.
Nei paesi non regolamentati da codici
di condotta per i rapporti tra medico
e industria farmaceutica, si applicano
due diversi tipi di linee guida internazionali. Si tratta dei Criteria for Medicinal Drug Promotion dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
e il Code of Pharmaceutical Marketing
Practice dell’International Federation
of Pharmaceutical Manufacturers Associations5,6. Come le linee guida nazionali, questi codici prendono in
considerazione il materiale pubblicitario, che, secondo l’OMS, deve
essere “affidabile, corretto, veritiero,
imparziale, aggiornato, comprovato e
di buon gusto”. Le linee guida
dell’OMS valutano anche l’attività
degli informatori farmaceutici e la
fornitura dei campioni di medicinali.
In Francia, i rapporti tra medici ed
aziende sono controllati dal Code de
la Santé Publique (art. L. 4113-6)7. Il
Codice proibisce ai medici di ricevere omaggi che valgano più di 30
euro. La violazione dell’articolo 24
del “code de déontologie” del
Conseil National de l’Ordre des Médecins, che riguarda i pagamenti illegali ai medici, comporta in caso di
bollettino d’informazione sui farmaci
151
ANNO X N. 3-4 2003
trasgressione una multa fino a
75.000 euro e due anni di reclusione.
Nel Regno Unito, la politica del Code
of Practice della ABPI sembra funzionare piuttosto bene a giudicare
dalla quantità dei reclami presentati
da parte delle aziende concorrenti8. I
reclami vengono esaminati dalla Prescription Medicines Code of Practice
Authority, che lavora in maniera indipendente rispetto alla ABPI ed è costituita da 12 membri provenienti da
aziende farmaceutiche, 6 membri indipendenti e un presidente di formazione giuridica. I risultati
vengono pubblicati sulla Code of
Practice Review.
A differenza di molte altre associazioni industriali, la ABPI fornisce
direttive anche riguardo l’area della
ricerca. Ha diffuso un modello di
accordo per le sperimentazioni
cliniche, all’interno del Servizio Sanitario Nazionale (NHS, dall’inglese
National Health System), per la
ricerca sponsorizzata dall’industria, e
delle raccomandazioni sulla
condotta, per i dirigenti del Research
and Development9,10. Tuttavia, in
molti altri paesi i controlli sull’industria riguardano soltanto le attività
promozionali.
Il controllo da parte di
altre associazioni
M
olte associazioni di medici
propongono regole di
condotta per la ricerca finanziata
dalle aziende. La Association of
American Medical Colleges ha
redatto due documenti dal titolo
Protecting subjects, preserving trust,
promoting progress, uno rivolto alle
istituzioni universitarie e l’altro ai
singoli medici 11,12 . Questi documenti sono stati divulgati per
“approfondire le preoccupazioni
del pubblico nei confronti dei conflitti di interesse, chiaramente percepiti, dei ricercatori”, e mirano a
stabilire dei principi “per la supervisione degli interessi economici
della ricerca che coinvolge esseri
umani”.
L’American College of Physicians
(ACP) ha stipulato delle proprie linee
guida, pubblicate per la prima volta
nel 1990 ed ampliate poi nel 2002,
che riguardano sia il marketing sia le
collaborazioni di ricerca13-15. Come
l’Association of American Medical
Colleges, l’ACP indirizza sia i singoli
sia le istituzioni, incluse le società
mediche e le istituzioni coinvolte
nella didattica medica. Le linee
guida dell’American College of Physicians del 1990 affermano che “un
criterio utile per l’accettabilità di relazioni e di attvità è: accetteresti che
questi accordi fossero resi noti?”13.
L’International Committee of
Medical Journal Editors, nel 2001, ha
reso più stringenti le regole della dichiarazione dei conflitti di interesse16. A partire dal 1999 la Food
and Drug Administration chiede alle
aziende di fornire informazioni sugli
interessi economici dei ricercatori
ogni qualvolta viene presentata una
richiesta di concessione per una sperimentazione17.
Le istituzioni universitarie solo recentemente hanno fornito delle direttive utili relativamente al conflitto
di interesse dei ricercatori. Cho et al.
hanno condotto un’indagine su 100
istituzioni americane e hanno riscontrato che la maggior parte delle
policies “manca di specificità circa i
tipi di rapporti permessi o proibiti
con l’industria” e che queste direttive ambigue potrebbero causare
“inutile confusione”18. Le istituzioni
universitarie sono state criticate
anche per non riuscire ad impedire
ai loro dipendenti di firmare contratti penalizzanti con le aziende e
per non riuscire a sostenere la causa
dei dipendenti allorquando gli
sponsor dell’industria minacciano
azioni legali al fine di far rispettare
questo genere di accordi19,20.
I direttori delle riviste scientifiche,
Ministero della Salute
preoccupati da alcuni episodi, ben
pubblicizzati, riguardanti aziende
che hanno cercato di impedire pubblicazioni e occultare i risultati di trial
poco favorevoli, hanno tentato di
rendere più forte la posizione dei ricercatori incoraggiando una
maggiore trasparenza 16. Nel settembre 2001, alcuni membri dell’International Committee of Medical
Journal Editors hanno emesso una
dichiarazione intitolata Sponsorship,
Authorship and Accountability 16 .
Sebbene lo scopo di proteggere i
medici da contratti restrittivi e poco
etici sia lodevole, trovo che alcune
delle soluzione proposte siano eccessive (soluzioni criticate anche da
altri)21. In particolar modo, la richiesta di un’analisi “indipendente”
dei trial non tiene nella dovuta considerazione gli esperti in statistica
presenti all’interno delle aziende22.
Relativamente alla presentazione dei
protocolli, la dichiarazione sembra
poco chiara circa il ruolo delle organizzazioni che svolgono ricerca a
contratto. Non tutti i componenti
della commissione internazionale
hanno sottoscritto la dichiarazione,
e il BMJ ha pubblicato un proprio editoriale più misurato in merito23. A
parte le mie riserve, molte parti della
dichiarazione sono utili, e maggiore
trasparenza sul coinvolgimento delle
aziende può far capire meglio la complessità dei rapporti che spesso si stabiliscono nel corso di una sperimentazione e scoraggiare pratiche poco
accettabili.
Anche alcune associazioni di medici
che lavorano direttamente per le
aziende farmaceutiche (forse potremmo chiamarli i “professionisti del
ballo con i porcospini”) hanno
prodotto delle linee guida. L’American
Academy of Pharmaceutical Physicians ha un Code of Ethics, ma è
breve e piuttosto generico24. Tuttavia,
la sottocommissione etica del Royal
College of Physicians Faculty of Pharmaceutical Medicine ha redatto una
guida utile e dettagliata su “l’etica e la
152
medicina farmaceutica”, che contiene
anche un utile elenco di altre importanti linee guida25.
Molte delle linee guida e delle
norme finora passate in rassegna riguardano i rapporti che nascono a
seguito di operazioni di marketing o
sperimentazioni cliniche. Sebbene i
direttori di riviste abbiano pubblicato i loro pareri in merito al
coinvolgimento delle aziende negli
studi clinici, fino a poco tempo fa
non esistevano linee guida specifiche che incoraggiassero la pratica
responsabile per la pubblicazione di
trial sponsorizzati dalle aziende farmaceutiche. Tuttavia, sono state recentemente pubblicate delle linee
guida di Good Publication Practice for
Pharmaceutical Companies26. Esse incoraggiano le aziende a pubblicare i
risultati di tutte le sperimentazioni
cliniche dei prodotti in commercio,
stabiliscono delle regole appositamente messe a punto per impedire
bias di pubblicazione e, in particolare, stabiliscono il ruolo dei giornalisti scientifici professionisti impiegati dalle aziende per lavorare
con i medici alle pubblicazioni. La
Committee on Publication Ethics ha
pubblicato anche delle linee guida
di buona pratica di pubblicazione,
ma sono più generiche e finalizzate
ad orientare i direttori delle riviste e
gli autori27.
Siti web utili
• Association of the British Pharmaceutical Industry: www.abpi.org.uk
• American Academy of Pharmaceutical
Physicians: www.aapp.org
• American College of Physicians:
www.acponline.org
• American Medical Association:
www.ama-assn.org
• Association of American Medical
Colleges: www.aamc.org
• Australian Medical Association:
www.ama.com.au
• British Association of Pharmaceutical
Physicians: www.brapp.org.uk
• Conseil National de l’Ordre des Médecins:
DALLA LETTERATURA
www.conseil-national.medecin.fr
• Committee on Publication Ethics:
www.publicationethics.org.uk
• Good Publication Practice for Pharmaceutical Companies:
www.gpp-guidelines.org
• International Committee of Medical
Journal Editors: www.icmje.org
• International Federation of Pharmaceutical Manufacturers Associations:
www.ifpma.org
• International Federation of Associations of Pharmaceutical Physicians:
www.ifapp.org
• Medicines Australia:
www.medicinesaustralia.com.au
• Pharmaceutical Research and Manufacturers of America: www.phrma.org
• World Health Organization:
www.who.int
L’Office of the Inspector General of
the US Department of Health and
Human Services ha redatto una
guida per le aziende farmaceutiche
americane relativamente alla realizzazione di programmi che permettano di accertarsi se esse si attengono o meno alla legislazione in
vigore 28. I rapporti tra aziende e
medici possono essere regolati anche
da norme internazionali sulla ricerca
clinica e da disposizioni locali che
impediscano la cattiva condotta
della ricerca.
Conclusioni
Cosa possiamo concludere circa le
norme messe a punto per la coreografia della danza del porcospino? La
maggior parte di esse è stata diffusa recentemente e molte altre sono ancora
in fase di sviluppo. Provengono da
molte associazioni che hanno inoltre
obiettivi diversi, non sono perciò sistematiche e talvolta appaiono in
conflitto, sebbene sembri esistere un
consenso in merito ai principi generali. Grazie alla mia esperienza di
oltre dieci anni di lavoro a stretto
Ministero della Salute
contatto con l’industria e i medici,
posso affermare che da entrambe le
parti esistono apprensioni infondate
e fraintendimenti. Solleciterei
pertanto un dialogo opportuno tra le
parti coinvolte prima che qualsiasi
altra direttiva o norma venga redatta
o revisionata. Linee guida realizzate
congiuntamente da medici che lavorano sia fuori sia dentro l’industria
potrebbero essere meglio accettate di
quelle compilate da una sola delle
parti.
Le aziende farmaceutiche, come
porcospini, hanno diverse forme e
dimensioni; alcune sono più aggressive di altre, diversità che deve
essere riconosciuta. I rapporti tra
medici, università, aziende farmaceutiche e riviste medico-scientifiche saranno sempre complessi e
interdipendenti, ma non dobbiamo
dimenticare che questa danza ha
prodotto delle importanti collaborazioni che hanno permesso a loro
volta la scoperta e la diffusione di
farmaci di cui noi tutti beneficiamo.
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bollettino d’informazione sui farmaci
153
ANNO X N. 3-4 2003
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Conflitti di interessi: EW ha lavorato presso Janssen-Cilag e
GlaxoWellcome. Svolge adesso attività di consulenza privata ma
lavora principalmente per le aziende
farmaceutiche. Ha realizzato un
progetto per la ABPI e presta consulenza anche per la loro politica
editoriale. È componente del gruppo
di lavoro che ha prodotto Good Publication Practice for Pharmaceutical Companies ed è coinvolta
nella divulgazione di queste linee
guida.
Ministero della Salute
◗ Come possono i comitati etici proteggere al meglio i pazienti coinvolti
in sperimentazioni cliniche?
GARATTINI S, BERTELE’ V, LI BASSI
L. HOW CAN RESEARCH ETHICS COMMITTES PROTECT PATIENTS BETTER?
BMJ 2003; 326: 1199-1201.
Punti chiave
• Lo sviluppo e il mercato di un
farmaco rappresentano un affare
da miliardi di dollari e gli interessi
finanziari influenzano inevitabilmente il disegno e la progettazione degli studi clinici.
• I comitati etici costituiscono un
elemento essenziale che dovrebbe
salvaguardare i pazienti e la salute
pubblica, valutando con spirito
critico gli aspetti scientifici ed etici
delle sperimentazioni cliniche.
• I componenti dei comitati non
possono sempre possedere le competenze e i requisiti necessari per
svolgere queste funzioni, e i loro
compiti stanno diventando sempre
più difficili, soprattutto a causa dei
complessi disegni degli studi internazionali multicentrici.
• Dal momento che la maggior parte
degli studi è sponsorizzata dall’industria, i comitati etici dovrebbero
intervenire per minimizzare la
mancata pubblicazione di risultati
negativi – ad esempio, possono sostenere che sia inaccettabile che il
protocollo di uno studio permetta
allo sponsor di impedire una pubblicazione contro il parere dei ricercatori che hanno responsabilità
scientifiche.
• I compiti dei comitati etici stanno
diventando sempre più difficili; di
quali capacità e di quali competenze hanno bisogno i loro componenti per valutare i protocolli di
ricerca contenenti elementi che
non sono orientati all’interesse del
paziente?
154
L
o sviluppo e il mercato di un
farmaco sono diventati un grosso
business. Dati gli enormi profitti in
gioco, per attenersi ai loro doveri e
agire nell’interesse dei pazienti e
della salute pubblica, i comitati etici
devono valutare attentamente i protocolli clinici con la necessaria competenza scientifica e valutare i reali
obiettivi dei nuovi studi e i metodi
in essi usati.
Di seguito sono stati selezionati
quattro dei principali problemi che i
comitati devono esaminare con
spirito critico.
L’uso di placebo
L’
ultima revisione della Dichiarazione di Helsinki ha rafforzato
i dubbi sull’uso appropriato del
placebo 1 . Utilizzare un placebo
anziché un farmaco di confronto è
vantaggioso per lo sponsor dal
momento che il nuovo farmaco ha
maggiore possibilità di essere superiore al placebo, e questa superiorità la si può dimostrare con l’arruolamento di un numero inferiore
di pazienti e di conseguenza con
meno spese. Non si può mai giustificare l’uso di placebo quando un
farmaco di provata efficacia è già disponibile sul mercato per una determinata indicazione terapeutica.
Alcuni ricercatori giustificano l’uso
di placebo affermando che può
essere utilizzato in aggiunta al
farmaco di confronto (studio a tre
bracci) perché la differenza tra il
placebo e il farmaco di confronto costituisce la base necessaria per validare i risultati del nuovo
farmaco2,3. Si può discutere questo
punto sotto diversi aspetti. Innanzitutto, non è etico privare i pazienti
di un trattamento utile, anche se la
sperimentazione dura soltanto
alcune settimane. Inoltre, uno
studio a tre bracci non è utile per validare i risultati, poiché un trial di
DALLA LETTERATURA
confronto di sufficienti dimensioni
renderebbe poco probabili risultati
falsi negativi. Infine, se l’obiettivo è
davvero quello di stabilire l’utilità di
un nuovo farmaco per i pazienti, è
bene provarne l’efficacia in pazienti
che sono resistenti a trattamenti già
disponibili. In questo caso sì, sarebbe
utile randomizzare i pazienti a
placebo o al nuovo farmaco, il quale,
in tal modo, sarebbe sottoposto ad
un esame più severo rispetto agli
altri farmaci di quel gruppo terapeutico.
Le sperimentazioni cliniche sui pazienti resistenti sono rare, fatta eccezione per gli antitumorali, che
tuttavia sono spesso sperimentati
senza randomizzazione e senza controlli. Questi farmaci sono usati per
pazienti con cancro in fase avanzata,
in modo che, nonostante i motivi
etici surrettiziamente addotti dalle
ditte produttrici, sia possibile evitare
qualsiasi confronto, anche con il
placebo, e ottenere più facilmente
un’indicazione ristretta ai pazienti
che, appunto, non hanno alternative terapeutiche. Tanto, quell’indicazione può poi essere estesa promuovendo l’uso off-label del
prodotto.
L’uso del placebo deve essere giustificato in maniera appropriata; in sostanza deve essere ammesso solo
dall’assenza di modelli di sperimentazione alternativi.
Equivalenza e studi di non
inferiorità
I
n linea con l’impegno generale di
porre quesiti importanti e rispondere loro in maniera affidabile4,
una sperimentazione dovrebbe
essere disegnata per mostrare la superiorità di un nuovo trattamento rispetto al miglior trattamento disponibile sul mercato per la stessa
indicazione terapeutica, il cosiddetto
golden standard. La superiorità di un
Ministero della Salute
farmaco non dovrebbe essere necessariamente misurata in termini di efficacia; dovrebbero essere prese in
considerazione anche le reazioni
avverse e una migliore compliance
dovuta a una più facile somministrazione.
Negli ultimi anni gli studi di superiorità hanno lasciato il posto a studi
di equivalenza o di non inferiorità.
Ciò riflette un ri-orientamento dalla
ricerca di farmaci migliori all’accettazione di farmaci che sono simili, o
non peggiori, di quelli già presenti
sul mercato. Questa svolta non è
etica per diversi motivi.
Innanzitutto, è difficile stabilire i
limiti che definiscono se un farmaco
è equivalente o non inferiore. Che
cosa è accettabile nel caso di medicinali dagli effetti importanti, ad
esempio, sulla sopravvivenza? Una
differenza del 2%, 5% o 10% è tale
da poter considerare un farmaco
equivalente nell’interesse dei pazienti? Il caso è stato a suo tempo
sollevato per i trombolitici5, ma la
questione è rilevante anche per altre
classi di farmaci che riducono morbilità e mortalità, come le statine, gli
ACE inibitori, gli antidepressivi, gli
antiepilettici, ecc. Ciò che può
rendere accettabile il livello di non
inferiorità è il fatto che la ricerca si
ponga l’obiettivo di rispondere a un
bisogno reale dei pazienti4. Se è così,
gli studi indipendenti, possibilmente
finanziati con fondi pubblici,
possono rappresentare un’alternativa affidabile e accessibile sul
piano economico. Al contrario, non
vi è alcun limite accettabile per
ipotesi che servono soltanto per
scopi commerciali.
In secondo luogo, i disegni di equivalenza o non inferiorità degli studi
clinici riflettono anche delle considerazioni economiche. L’autorizzazione all’immissione in commercio è più facile da ottenere
quando i ricercatori abbiano sperimentato e dimostrato l’equivalenza,
piuttosto che sperimentato ma non
bollettino d’informazione sui farmaci
155
ANNO X N. 3-4 2003
dimostrato la superiorità di un
farmaco. Inoltre, le sperimentazioni
che non hanno come obiettivo
quello di dimostrare la superiorità richiedono dimensioni del campione
più ridotte dal momento che includono nel “range di equivalenza”
delle differenze terapeutiche che
possono risultare clinicamente rilevanti se misurate con precisione
statistica.
In terzo luogo, i pazienti che partecipano ad uno studio di equivalenza
o non inferiorità devono essere
informati chiaramente che il trial
non produrrà alcun miglioramento
reale del loro stato di salute o di
quello di pazienti futuri. Ai pazienti
dovrebbe esser detto che sono
esposti a un rischio senza speranza di
alcun vantaggio e che, se anche vi
fosse un beneficio, questo non
sarebbe rilevato dallo studio. Il paziente dovrebbe essere informato del
fatto che l’obiettivo dello studio è
puramente commerciale (vedi sotto
schema di consenso).
Infine, uno dei motivi per cui questi
trial non dovrebbero essere accettati
è chiaramente indicato dall’esempio
di alcuni studi di equivalenza tra
agenti antidepressivi triciclici e inibitori della ricaptazione della serotonina, i quali hanno rilevato differenze6 che variavano dal 12%7 al
43%8,9. Chiaramente, mirare all’equivalenza può apparire come una
scusa per non cercare la differenza. I
fautori degli studi di equivalenza sostengono che i medici devono disporre di farmaci diversi per selezionare il miglior farmaco per ogni
singolo paziente. Anche se si volesse
negare l’evidenza e, cioè, che in
realtà è impossibile scegliere razionalmente un farmaco piuttosto che
un altro dal gruppo degli ACE inibitori, degli inibitori della ricaptazione della serotonina, degli antiinfiammatori non-steroidei, o dei
glucocorticoidi, perché mai non si
studiano i nuovi farmaci nei pazienti
resistenti alla terapia standard, se l’obiettivo è davvero quello di fornire
un’alternativa ai pazienti che non rispondono a trattamenti già esistenti?
Un’altra frequente giustificazione è
che i medici hanno bisogno di
farmaci che hanno lo stesso effetto
ma reazioni avverse diverse. Anche
questa non è una giustificazione
valida perché la dimensione del
campione negli studi di equivalenza
è di solito troppo piccola per rilevare
qualsiasi riduzione di effetti avversi
poco frequenti.
Vi sono poi casi di studi di equivalenza o non inferiorità che sono
da considerare appropriati e che non
pongono problemi etici – ad
esempio, i trial che sperimentano un
farmaco con una via di somministrazione più conveniente (orale
anziché iniettabile) o con uno
schema di somministrazioni meno
frequenti. L’equivalenza può essere
accettata anche per motivi di salute
pubblica, come un prezzo inferiore o
un impatto ridotto sull’ambiente
(come nel caso di preparazioni senza
clorofluorocarburi). I comitati etici
devono essere costantemente messi
al corrente di questi problemi, se si
Possibile schema di consenso informato per uno “studio di equivalenza”
Consentici di trattarti con un farmaco che al massimo è lo stesso che avresti avuto
prima, e che in realtà potrebbe anche ridurre – sebbene sia poco probabile – molti
dei benefici in precedenza ottenuti nella tua condizione. Può anche darsi che questo
farmaco ti faccia meglio di qualsiasi altro trattamento attualmente disponibile, ma,
se ciò dovesse mai accadere, non saremmo in grado di dimostrarlo; né sapremo dirti
se la nuova terapia possa in qualche modo darti disturbo o persino nuocerti più del
trattamento standard, poiché i potenziali effetti collaterali potrebbero essere troppo
poco frequenti per permetterci di misurarli in questo studio.
Ministero della Salute
vuole evitare che i pazienti siano
sfruttati e le risorse sanitarie siano
sprecate per studi clinici il cui
obiettivo è unicamente quello di ottenere una fetta del mercato farmaceutico.
Far maci di confronto e
dosaggi
P
erché il nuovo farmaco non sia
indebitamente accreditato di
vantaggi inesistenti, i comitati etici
devono anche prestare attenzione al
farmaco di confronto, ai suoi
dosaggi e ai suoi metodi di somministrazione. Il farmaco di confronto
deve essere il migliore disponibile sul
mercato e deve essere dato assieme
alle migliori cure disponibili per
quella indicazione. Alcuni esempi illustrano quanto detto. Il clopidogrel
non è mai stato confrontato con il
farmaco da cui ha origine, la ticlopidina. Prima di confrontarlo con
l’aspirina per la profilassi della
trombosi10, si sarebbe dovuto dimostrare che il clopidogrel è più efficace
e/o sicuro della ticlopidina; altrimenti, non vi era alcun motivo
per confrontarlo con farmaci con
meccanismi d’azione differenti.
Inoltre, perché i servizi sanitari nazionali dovrebbero pagare per un
farmaco che è molto più caro del generico ticlopidina, se esso non è migliore della ticlopidina? Se invece il
clopidogrel è migliore, perché mai si
mantiene sul mercato la ticlopidina?
Uno dei primi studi di confronto
ha analizzato il trattamento con
quattro dosi di risperidone rispetto
ad un singolo dosaggio di aloperidolo11. È stato pertanto possibile
riconoscere una dose di risperidone come migliore in termini di
effetti extrapiramidali. Studi successivi hanno dimostrato che il risperidone è migliore rispetto all’aloperidolo soltanto se il paziente
richiede un dosaggio ≥12 mg di
156
aloperidolo, ma non sono state riscontrate differenze nel caso in cui
i pazienti rispondano ad una dose
<12 mg/die12. Il sirolimus è stato
considerato superiore alla ciclosporina per la prevenzione del
rigetto dopo trapianto di rene13.
Tuttavia, si è sostenuto che la dose
di ciclosporina sperimentata non
fosse ottimale, come è stato dimostrato dalle sue concentrazioni plasmatiche a distanza dalla somministrazione14. Una recente revisione
ha dimostrato che quando è stata
sperimentata come nuovo farmaco,
la fluoxetina ha avuto effetti favorevoli nel 70% dei pazienti, mentre
quando è stata usata come farmaco
di confronto ha avuto effetti favorevoli soltanto nel 58% dei casi15.
La fluoxetina è stata somministrata
a dosi medie-elevate (>30 mg/die)
nel 43% dei pazienti degli studi
originali, ma soltanto nel 13% dei
pazienti degli studi di confronto. Si
tratta chiaramente di errori sistematici che tendono a favorire i
nuovi farmaci negli studi clinici.
End-point terapeutici
È
sempre importante prestare
particolare attenzione alla variabile selezionata per valutare il
beneficio indotto da un farmaco in
studio. I comitati etici devono richiedere che questi end-point siano
significativi ai fini terapeutici. Endpoint surrogati, predittivi di risultati clinici, contribuirebbero ad
evitare la ridondanza degli studi
clinici e consentirebbero di generalizzare i risultati ottenuti con un
farmaco ad altri componenti della
stessa classe. Tuttavia, non possono
essere considerati soddisfacenti
end-point che non riflettano un
effetto su morbilità o mortalità,
quando sono già disponibili
farmaci efficaci.
Ad esempio, due agenti ipocoleste-
DALLA LETTERATURA
rolemizzanti, quali la simvastatina e
la pravastatina, riducono la mortalità in pazienti con patologia cardiovascolare16,17. È accettabile che
siano messi in commercio altri
farmaci come questi senza che vi
siano evidenze analoghe disponibili? Di solito per evitare di dimostrare queste evidenze, si sostiene che, se i nuovi farmaci
mostrano un meccanismo d’azione
o un effetto biologico simili, essi
possono condividere quello che
viene chiamato “effetto di classe”.
Tuttavia, il caso della cerivastatina
ha dimostrato che certi effetti
avversi – ad esempio, la rabdomiolisi – possono essere più frequenti con una particolare
statina 18 . In questo caso la
mancanza di dati relativi all’attività
terapeutica non ha permesso di valutare il rapporto rischio-beneficio.
Altri esempi sono rappresentati da
alcuni COX-2 inibitori, come il rofecoxib, che sono meno sicuri dal
punto di vista cardiovascolare19, e
dagli antipsicotici atipici, come l’olanzapina che, è vero, induce leucopenia meno frequentemente
della clozapina ma che è anche associata ad un maggiore rischio di
suicidio20, diabete21, aumento di
peso22 e mortalità23.
Un’altra tendenza è quella di usare
end-point combinati. Gli studi il
cui obiettivo è quello di ridurre la
morbilità cardiovascolare spesso
sommano le incidenze di infarto
cardiovascolare, eventi cerebrovascolari e occlusione vascolare periferica, perché la valutazione di un
solo end-point richiederebbe l’arruolamento di troppi pazienti.
Tuttavia, la decisione di usare un
end-point combinato può portare
ad indicazioni che non riflettono
il reale valore del farmaco. Ad
esempio, nello studio CAPRIE il
clopidogrel riduceva significativamente l’end-point combinato10,
ma un’attenta analisi dei risultati
ha mostrato che la maggior parte
Ministero della Salute
del vantaggio era riconducibile
alla riduzione degli eventi vascolari periferici 24 , più che dell’infarto del miocardio o dell’ictus
cerebrale. Ciò comporta il rischio
di accettare delle indicazioni per le
quali sono già disponibili farmaci
con un migliore meccanismo
d’azione.
Conclusioni
I
problemi qui affrontati sollevano
delle questioni importanti che
dovrebbero essere prese in considerazione dai comitati etici come
parte essenziale della loro valutazione etica. Noi riteniamo che la
maggior parte dei protocolli di
ricerca contenga elementi che non
corrispondono alle esigenze del paziente (o persino contrastano con
esse). Questi protocolli non dovrebbero essere approvati, poiché
in essi le considerazioni economiche sono diventate più importanti del reale obiettivo degli
studi clinici. Come afferma la Dichiarazione di Helsinki: “L’obiettivo primario della ricerca
medica che coinvolge soggetti
umani è quella di migliorare le procedure terapeutiche, diagnostiche e
profilattiche”.
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Gli autori ringraziano Alessandro Liberati, per la proficua discussione e gli
utili consigli, e Judy Baggot, per la competente assistenza editoriale.
Ciascun autore ha offerto il suo sostanziale contributo al concepimento e
alla discussione del problema sollevato;
ha contribuito in maniera uguale al
primo draft, ha revisionato con spirito
critico il documento con particolare riguardo al contenuto culturale ed ha approvato la versione finale. SG ne è il
garante.
Finanziamento: nessuno.
Conflitti di interesse: nessuno.
Ministero della Salute
◗ Riviste mediche e industrie
farmaceutiche: amanti a disagio
SMITH R. MEDICAL
JOURNALS AND
PHARMACEUTICAL COMPANIES:
UNEASY BEDFELLOWS.
BMJ 2003;
326: 1202-5.
Molte riviste mediche ricevono notevoli proventi dalle industrie farmaceutiche per l’acquisto di pubblicità, di
estratti di articoli e la sponsorizzazione di supplementi. Questo tipo di
finanziamento sta corrompendo le
riviste scientifiche?
Punti chiave
• I giornali gratuiti per medici sono
completamente finanziati dalla pubblicità farmaceutica, ma anche
molte riviste scientifiche dipendono
pesantemente dalla pubblicità.
• La pubblicità è spesso fuorviante.
• Rispetto alla pubblicazione di pagine
pubblicitarie, è molto più vantaggioso per le industrie farmaceutiche che i prodotti vengano
elogiati all’interno di articoli scientifici delle riviste. Gli studi scientifici
possono essere manipolati in molti
modi affinché i risultati appaiano
vantaggiosi per l’azienda.
• Molte riviste mediche ricavano profitti
considerevoli dalla pubblicazione di
supplementi ed estratti commissionata da industrie farmaceutiche.
158
U
na delle mie prime esperienze
circa il rapporto tra riviste di
medicina e industrie farmaceutiche
risale agli inizi degli anni ‘80, dopo
che il BMJ aveva pubblicato alcuni
contributi secondo i quali nuovi
farmaci anti-infiammatori non steroidei, a base di benoxaprofene, potevano avere gravi effetti collaterali.
Vennero a farci visita tre austeri
DALLA LETTERATURA
uomini della Eli Lilly, ditta farmaceutica produttrice dei farmaci. Tony
Smith, il vice direttore, mi chiese di
essere presente all’incontro. Gli
uomini, che mi ricordo (forse erroneamente) avevano denti d’oro, minacciarono di ricorrere ad azioni
legali, tanto che ad un certo punto
Tony disse: “in questo caso ci rivedremo in tribunale”. Fecero una
brusca marcia indietro e ci chiesero
semplicemente di prepararci a pubblicare una pronta risposta.
Quegli articoli alla fine portarono alla
messa al bando del benoxaprofene,
ma il rapido ritiro del farmaco potrebbe essere stato provocato anche
dalla sua troppo rapida ascesa.
L’estate prima dell’incontro con gli
uomini dai denti d’oro, avevo visitato
La stampa muore, viva la stampa
misura attuali. Insieme a molto ciarpame, rischiano
allora di essere messe a tacere anche (o sopratutto?) le
poche voci che oggi ancora si levano fuori dal coro.
Un coro che è in realtà molto più unanime e solidale di quanto appaia a prima vista e di quanto risulti
dalla pur approfondita analisi del BMJ. Un urologo, per
fare un esempio, non ha bisogno di ricevere prebende
dall’industria per convincersi a predicare l’uso a
tappeto del PSA, anche in chi non ha disturbi. Di fatto
lo fa spesso spontaneamente, anche al di fuori delle necessarie prove di efficacia e di innocuità; lo spingono
a ciò diversi fattori, che comprendono senz’altro l’intenzione di fare il bene dei pazienti, ma che si sovrappongono al desiderio, in sé legittimo, di allargare il
proprio campo di attività. In altre parole molti clinici,
soprattutto tra gli specialisti, vivono ormai, per lo più
inconsapevolmente, un conflitto che si potrebbe definire intrinseco – in quanto non dipendente da sollecitazioni di terzi – e che contrappone in diverse circostanze il dovere professionale con il tornaconto
personale, non necessariamente economico.
In generale, infatti, tutte le forme di interventismo
generano, oltre che profitti per l’industria della salute,
altre richieste di prestazioni e nuovi clienti per gli specialisti del settore, per effetto di quella cascata clinica
che è stata ben descritta già da tempo. Si crea così
un’alleanza spontanea tra tutti coloro che, nel mondo
industriale come in quello clinico, hanno interesse ad
ampliare la propria sfera d’azione. Il conflitto interiore
dei singoli medici si riflette nelle istituzioni che li rappresentano, società scientifiche o altro, dove anzi si
amplifica, per l’allentarsi e il diluirsi dell’obbligazione
morale verso i pazienti. Le associazioni dei quali, a
loro volta, rischiano di riverberare un conflitto simile,
talvolta ingenuamente per subalternità culturale, talaltra anche per convergenza d’interessi economici.
Finisce così per prevalere una logica auto referenziale,
I giornali per medici stanno attraversando in Italia
la più grave crisi degli ultimi decenni. Dall’inizio dell’anno, l’aumento delle tariffe postali per gli invii
gratuiti e il crollo degli investimenti pubblicitari da parte
delle aziende farmaceutiche stanno mettendo in ginocchio gli editori. Con l’eccezione di alcuni periodici
destinati a piccoli gruppi (nell’ordine delle centinaia di
abbonati), la quasi totalità della stampa medica in Italia
viene inviata gratuitamente ai medici di medicina generale e si finanzia con le inserzioni. Per fare fronte all’aumento dei costi e al prosciugamento delle entrate,
molte testate hanno tagliato il numero delle pagine e la
quantità di copie distribuite, diradando anche la frequenza delle uscite. Diverse riviste finiranno per
chiudere, poiché non si vede la fine delle difficoltà.
Poco male, si sente dire: la cassetta per la posta del
medico è troppo piena di carta stampata, spesso di
pessima qualità, con contenuti per lo più promozionali.
Attenzione a non buttare il bambino con l’acqua
sporca, in base a sommari pregiudizi. Paradossalmente
si potrebbe sostenere che la dipendenza di una rivista
medica dalla pubblicità farmaceutica sia come la democrazia: la peggiore soluzione, fatta eccezione per tutte
le altre. Come sostiene Richard Smith con pragmatismo
disarmante, l’advertising è una delle forme meno compromettenti di finanziamento: non solo dà agli inserzionisti (anche perché sono molteplici) poco potere di
influenzare i contenuti editoriali, purché la redazione
faccia il suo dovere, ma è anche visibile e trasparente.
Contrariamente ai congressi e alla visite dei rappresentanti, la pubblicità non consente di offrire al singolo
medico benefici individuali, commisurati alla sua disponibilità. Forse per questo, è la prima voce di promozione che molte aziende tagliano quando occorre.
Per lo stesso motivo, la crisi in corso potrebbe non
essere passeggera: le riviste gratuite per tutti forse non
hanno futuro, o almeno non nella forma e nella
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
159
ANNO X N. 3-4 2003
la sede della Eli Lilly ad Indianapolis.
Avevo vinto un premio messo in
palio dalla Medical Journalists Association e la cifra doveva essere spesa
per un’inchiesta giornalistica. Ero interessato ai risarcimenti per danno da
farmaco e decisi di visitare gli Stati
Uniti per dare un’occhiata al loro
sistema. I soldi del premio erano
messi a disposizione da Lilly e
siccome questa azienda era stata
coinvolta in uno dei più grossi casi di
danno provocato da farmaco – si
trattava del dietilstilbestrolo - mi era
sembrato sensato visitarla. Io e mia
moglie fummo alloggiati in un grand
hotel a spese dell’azienda farmaceutica e trattati con ogni riguardo.
Alla Lilly mi mostrarono gli spot pubblicitari che avevano realizzato per il
lancio del benoxaprofene. Li trovai
particolarmente esagerati: mostravano pazienti affetti da una grave
artrosi che, dopo aver assunto il
farmaco, ballavano. Il messaggio era
che il benoxaprofene non solo alleviava i sintomi della malattia, ma
addirittura faceva definitivamente
guarire. Ero scettico su quella pretesa
e, anche se fosse stata vera, pensavo
Per questa posizione privilegiata, la medicina generale può aspirare a svolgere, anziché il compito sgradevole di “guardiana della porta”, quello ben più promettente di “agente unico” dei cittadini e dei loro
interessi di salute, lasciando agli specialisti, con il loro
conflitto implicito, il ruolo di consulenti.
Per assumere la veste di “coscienza critica”, sarà
più che mai indispensabile per il medico di famiglia
accedere e partecipare attivamente a fonti di informazione prive di soggezione verso tutti gli attori in
gioco. A questo proposito la rinascita del BIF è un
impegno meritorio, che mette fine al monopolio
privato e dà finalmente alla parte pubblica una voce
autorevole, ma deve essere considerato correttamente
come espressione degli indirizzi del Servizio sanitario
nazionale, che è solo una delle parti in causa.
Allora, se anche gli ultimi baluardi di una stampa autonoma, finanziata in modo trasparente dalla pubblicità,
sono in pericolo, forse è giunto il momento di pensare
a una rivista che faccia a meno degli inserzionisti. È vero
purtroppo che i medici, nella loro grande maggioranza,
sono abituati a non spendere un soldo per informarsi. E
non solo in Italia, come ben sottolinea Smith. Però uno
strumento dedicato a controbilanciare il dominio della
comunicazione commerciale e della rete diffusa di
marketing si rivolgerebbe a un’avanguardia consapevole
e minoritaria, ma tutt’altro che inerte. In fondo, per cominciare, basterebbero poche migliaia di abbonati,
mentre presto la capacità di influenza e il peso reale di
un giornale siffatto supererebbero di gran lunga la
semplice contabilità della diffusione.
che privilegia la visibilità dei risultati sulla loro reale
utilità, quando la crescita dell’istituzione e il potere di
chi la gestisce prendono il sopravvento sui bisogni
originari in difesa dei quali si era costituita.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Altro che conflitto: si fa avanti una potente sintonia di interessi che
accomuna tutti gli attori in gioco, e li induce a
spingere come un sol uomo verso una sempre più invadente medicalizzazione della società.
In realtà l’azione promozionale esplicita che ogni
ditta mette in opera per il singolo prodotto è solo
l’ultimo miglio di una rete di marketing che risulta
molto articolata e che parte da lontano. Si manifesta
quotidianamente attraverso campagne, nelle quali
alcune società scientifiche dei medici e alcune associazioni di pazienti congiungono i loro sforzi, più o
meno spontaneamente: in realtà a ben scavare, nascosto dietro il paravento di una società di pubbliche
relazioni, si trova quasi sempre il finanziamento di
una o più aziende, soprattutto farmaceutiche. E lo
scopo è quasi sempre lo stesso: amplificare l’importanza (per gravità, diffusione, implicazioni economiche e sociali eccetera) di questa o quella malattia
per assoldare pazienti, ottenere finanziamenti, potenziare le strutture, sviluppare la ricerca.
Chi resta fuori il più delle volte da questo gioco è
la medicina generale; e non tanto perché coloro che
la esercitano siano meglio degli altri colleghi, ma per
un motivo ben più solido, legato a fattori strutturali
e non soggettivi: il medico di famiglia, in tutti i
sistemi sanitari, non ha alcuna buona ragione per incentivare il consumismo e l’invadenza della tecnologia attraverso il moltiplicarsi delle prestazioni.
Semmai, per il suo impegno continuato e prolungato,
è motivato a contenere le aspettative e le pretese fuori
luogo, proponendosi obiettivi realistici e sostenibili
nel tempo.
Commento a cura di Roberto Satolli,
editore Zadig
Roberto Satolli è presidente e socio della casa editrice Zadig, che
produce e pubblica riviste mediche, con e senza pubblicità di farmaci.
Ministero della Salute
160
che lo spot fosse comunque eccessivo.
Quando il prodotto venne ufficialmente lanciato in Gran Bretagna,
Eli Lilly utilizzò quello stesso stravagante messaggio promozionale. Sul
giornale Liverpool Echo uscì un
servizio che parlava di “farmaco miracoloso”. Un’intensa campagna di
marketing portò rapidamente ad
un’ampia prescrizione del farmaco.
Questo stava anche a significare – ironicamente – che venivano altrettanto
rapidamente stilati resoconti sugli
effetti collaterali, che poi culminarono nella pubblicazione sul BMJ.
Successivamente la ricerca dimostrò
che il benoxaprofene in realtà non
aveva effetti collaterali maggiori di
altri farmaci, ma sicuramente non
faceva guarire definitivamente dalla
malattia. In realtà il benoxaprofene
potrebbe essere uscito dal mercato per
essere stato pubblicizzato troppo e in
modo fuorviante.
Questa storia mi ha insegnato molto
e mi ha fatto riflettere sul rapporto
tra medici e industrie farmaceutiche. Prima di tutto, il conflitto
d’interesse: la tua opinione non può
essere comprata, ma è davvero difficile essere critici e imparziali verso
chi ti ha offerto squisita ospitalità.
In secondo luogo, c’è la tendenza a
vedere l’industria farmaceutica come
la colpevole e i medici come le
vittime innocenti, ma è una grossa
semplificazione. Per fare il loro
lavoro i medici hanno bisogno dei
farmaci prodotti dalle industrie, e
quindi è ragionevole che le aziende
farmaceutiche debbano essere in
grado di far conoscere i loro
prodotti. Naturalmente i medici dovrebbero attingere le informazioni
sui farmaci anche da fonti non sponsorizzate, ma come siamo arrivati al
punto in cui tanti medici non sono
disposti a partecipare a un incontro
formativo se non viene offerto un
pranzo o un rinfresco e una scorta di
“regali”? C’è qualcosa di sbagliato in
tutto ciò e le riviste mediche fanno
parte di questo sistema.
DALLA LETTERATURA
Pubblicità farmaceutica
sulle riviste
L
a pubblicità è il sistema più ovvio
e diretto attraverso il quale le industrie farmaceutiche si servono
delle riviste mediche. Nella maggior
parte dei paesi le aziende possono
fare informazione sui farmaci
venduti dietro prescrizione esclusivamente rivolgendosi ai medici. Ciò
determina un ricco mercato di pubblicazioni per medici: in molti paesi
sono numerose e distribuite gratuitamente e interamente sostenute dai
proventi della pubblicità. Per attirare
più pubblicità, le riviste devono
essere lette dai medici che gli inserzionisti vogliono raggiungere. Per
questo motivo le pubblicazioni
gratuite cercano di rendersi piacevoli, utili, interessanti e semplici
da leggere – contrariamente a
quanto avviene per le riviste tradizionali che veicolano spesso contenuti non semplici da utilizzare e di
non facile comprensione.
Le riviste “classiche” competono con
le pubblicazioni gratuite per aggiudicarsi la pubblicità. In Gran
Bretagna, i medici ricevono il BMJ
gratuitamente perché il giornale è
sostenuto dalle pubblicità di case farmaceutiche. Il BMJ USA, che ogni
mese raggiunge 90.000 medici americani, si finanzia esclusivamente
con la pubblicità. Sempre con i fondi
ricavati dalla pubblicità il New
England Journal of Medicine è spedito
gratuitamente a molti medici ospedalieri britannici e il JAMA a molti
medici statunitensi.
Le pubblicità farmaceutiche quasi sicuramente influenzano le prescrizioni1, sebbene non siano stati effettuati studi randomizzati al
proposito e molti medici sostengano
il contrario. Nonostante tutto, gli
editori hanno stimato un ritorno
economico sugli investimenti della
pubblicità farmaceutica di entità
maggiore rispetto al costo degli
informatori farmaceutici.
Ministero della Salute
La pubblicità è ingannevole?
A
bbiamo dati sufficienti per affermare che molta pubblicità
sui farmaci è fuorviante. Un’inchiesta del congresso degli Stati
Uniti ha riportato che dall’agosto
1997 all’agosto 2002 la Food and
Drug Administration (FDA) ha
emesso 88 lettere di richiamo nei
confronti di industrie farmaceutiche per violazione delle norme
che regolano la pubblicità. In molti
casi era posta eccessiva enfasi sull’efficacia del farmaco o erano minimizzati i rischi connessi alla sua
assunzione.
Comunque, queste violazioni perseguite dalla FDA non sono quasi sicuramente che la punta dell’iceberg.
Uno studio condotto nel 1992, che
prendeva in considerazione 109 inserzioni pubblicitarie a tutta pagina
dalle dieci più prestigiose riviste
mediche, aveva messo in luce diversi
problemi2. Solo i quattro quinti delle
voci bibliografiche citate negli
annunci pubblicitari era stato rintracciato dagli autori dello studio.
Questi spedirono, allora, le pubblicità e la bibliografia a consulenti
esperti, chiedendo loro di farne una
valutazione critica attenendosi ai
criteri proposti dalla FDA. In un
terzo dei casi, due o più revisori non
erano d’accordo con quanto sostenevano gli inserzionisti riguardo al
farmaco reclamizzato come di
“prima scelta”. Nel 40% dei casi le
informazioni sull’efficacia del
farmaco non erano bilanciate da
quelle sugli effetti collaterali e sulle
controindicazioni. Complessivamente, i revisori avrebbero sconsigliato la pubblicazione del 28% delle
pubblicità, mentre avrebbero richiesto correzioni di rilievo in un
terzo dei casi.
Da una recente ricerca spagnola, che
ha preso in esame circa 300 messaggi
pubblicitari, è emerso che quasi la
metà delle affermazioni non è
confortata dalla bibliografia citata3.
bollettino d’informazione sui farmaci
161
ANNO X N. 3-4 2003
Le riviste dovrebbero rifiutare la pubblicità sui
farmaci?
P
oiché le inserzioni pubblicitarie
influenzano le prescrizioni e
sono spesso fuor vianti, ci si
domanda se le riviste mediche
debbano pubblicarle e, in caso positivo, se debbano attivare controlli
su di esse. Pochi direttori (e ancor
meno editori) rifiutano la pubblicità. Molti controllano gli
annunci e rifiutano quelli che ritengono fuorvianti. La politica del
BMJ è schematizzata in fondo a
pag. 163.
Materiale editoriale favorevole alle aziende farmaceutiche
G
li inserzionisti pubblicitari
preferirebbero un testo redazionale a loro favorevole piuttosto
che un annuncio pubblicitario,
perché sanno che quest’ultimo non
è tenuto in grande considerazione
dai lettori. Così, molto grossolanamente, gli inserzionisti possono
offrirsi per acquistare la pubblicità
nel caso in cui i loro prodotti siano
commentati positivamente nelle
pagine redazionali. In pratica gli inserzionisti cercano di ottenere una
pubblicità camuffata da articolo redazionale, che viene chiamata in
inglese “advertorial”.
Più frequentemente, tuttavia, gli
inserzionisti avrebbero desiderio di
sapere che cosa sarà pubblicato su
una rivista in modo da posizionare
l’annuncio pubblicitario al lato
degli articoli favorevoli ai loro
prodotti. Sembra che molte riviste
vendano gli spazi per la pubblicità
seguendo questo criterio.
In definitiva, tuttavia, per le case
farmaceutiche le riviste mediche
sono probabilmente più utili per
pubblicare i trial piuttosto che per
diffondere la pubblicità dei propri
prodotti. Nonostante i periodici
gratuiti siano meglio leggibili rispetto alle riviste scientifiche, essi
non possono comunque fornire
quel riconoscimento che invece accompagna un importante trial pubblicato su una rivista internazionale.
Un importante trial randomizzato
favorevole ad un prodotto rappresenta la migliore condizione per
creare il farmaco leader di mercato
sognato da ogni azienda. Questo significa che gli addetti al marketing
di un’industria farmaceutica
saranno più interessati ai test
clinici di quanto non lo siano i ricercatori stessi, poiché molti studi
sono scientificamente irrilevanti.
Accade così che questa grande invenzione scientifica - il trial - venga
svilita per ragioni di marketing. In
tutto ciò le riviste giocano un ruolo
di grande responsabilità poiché
sono il veicolo di trasmissione dei
dati dei trial - e la risonanza di uno
studio è tanto maggiore quanto più
importante è la rivista su cui viene
pubblicato.
Una guida rapida per corrompere la scienza e indurla
a promuovere i farmaci
I
l miglior trial risponde ad una
domanda semplice e rilevante dal
punto di vista medico, è opportunamente randomizzato (onde
evitare errori sistematici) ed è
condotto su larga scala (per evitare
risposte errate dovute al caso). Sono
diversi i modi per svilire questo
strumento a scopo di markerting.
Trial di seminagione e deviazione. Qualche volta le aziende
farmaceutiche intraprendono studi
clinici solo per indurre i medici a
prescrivere i loro farmaci. Questi
“trial di seminagione” sono spesso
Ministero della Salute
di basso profilo scientifico. Non è
descritto un chiaro quesito clinico
e non ci sono controlli adeguati.
Ma sono condotti su larga scala e
gli osservatori (spesso medici inesperti, senza esperienza di ricerca)
sono ben pagati per reclutare pazienti.
Una variante è il “trial di deviazione”, quando un medico
riceve un compenso per indurre i
pazienti a passare dalla terapia
abituale alla nuova. Nonostante
questa tipologia di studi venga difficilmente accolta dalle riviste importanti, molti di questi potrebbero
essere comunque pubblicati su
qualche periodico ed essere poi utilizzati per promuovere il farmaco
presso medici scientificamente più
ingenui.
Vigilanza postmarketing. Un’altra
variante - che potrebbe essere più
giustificata da un punto di vista
scientifico - è la vigilanza dopo l’ingresso in commercio del farmaco.
Molti effetti collaterali non
emergono se non quando il farmaco
è sul mercato. Per questo i dati provenienti dai pazienti che assumono
nuovi farmaci rappresentano un importante strumento, sebbene però
possano anche assumere un significato di marketing rivelandosi utili
per indurre i medici a prescrivere il
farmaco. Anche in questo caso i
medici potrebbero ricevere consistenti somme di denaro in qualità di
“rimborso” .
Ho il sospetto che tutto ciò raramente sia spiegato ai pazienti.
Al contrario questi ultimi sono
portati a credere che stanno assumendo la più recente farmacoterapia (con l’implicito possibile
equivoco di una falsa associazione
tra “più recente = migliore”). Questi
trial sono spesso pubblicati, talvolta
anche su riviste prestigiose, poiché
danno importanti informazioni
sugli effetti collaterali.
162
Sperimentazioni controllate verso
placebo. Generalmente, per ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio di un nuovo
farmaco, le industrie devono
condurre i trial verso placebo.
Questo potrebbe essere in conflitto
con la Dichiarazione di Helsinki,
secondo la quale non è etico somministrare a un paziente il placebo
quando è disponibile una terapia.
Poiché molti presunti nuovi farmaci
non sono altro che copie di principi
attivi già disponibili, tali conflitti
emergono spesso. Quello che medici
e pazienti vorrebbero sapere è se il
nuovo farmaco sia migliore rispetto
ai trattamenti già esistenti. Ma le industrie farmaceutiche temono il
confronto “testa a testa”, dove le
terapie sono valutate in gruppi di
malati sufficientemente numerosi da
dare risposte univoche. Una risposta
chiara ma sfavorevole può essere disastrosa per un’azienda che ha investito centinaia di milioni di dollari
per mettere in commercio un
farmaco e decine di milioni di dollari
per realizzare lo studio clinico.
Trial di equivalenza. Per le ragioni
prime esposte le aziende farmaceutiche preferiscono un trial
contro placebo o un trial che dimostri che il loro farmaco è valido
almeno come un altro. Questi studi
di “equivalenza” o di “non inferiorità” tra farmaci sono particolarmente difficili da interpretare. In
sostanza, il campione non è sufficientemente grande per dimostrare
se un trattamento sia preferibile ad
un altro; ma non è così piccolo da
essere privo di significato.
Molti dei trial sponsorizzati dalle
aziende farmaceutiche appartengono a questa categoria: ecco
perché può essere possibile che in
nessuno dei 61 studi sui farmaci
anti-infiammatori non steroidei, finanziati da case farmaceutiche,
emergano risultati sfavorevoli al
produttore4. Non è tanto questione
DALLA LETTERATURA
di omettere dei dati negativi, quanto
(meno disonesto?) di assicurarsi di
non finanziare un test che potrebbe
dare risultati sfavorevoli.
Le dosi. Ci sono altri modi per aumentare le probabilità che i risultati
si rivelino favorevoli. Per il farmaco
di confronto si può usare una dose
inferiore all’ottimale oppure una
dose più alta, tale da indurre un
maggior numero di effetti collaterali.
Questo potrebbe essere quanto è accaduto per i trial su nuovi antidepressivi, dove il selling point per le
vendite non era il fatto che i farmaci
fossero più efficaci, quanto meno
tossici.
non pubblicare alcuni dati, magari
perché non sono a lei favorevoli.
L’International Committee of
Medical Journal Editors ha opposto
una debole resistenza contro queste
pratiche affermando che le riviste
dovrebbero pubblicare lavori solo se
gli autori hanno pieno controllo del
diritto di pubblicare 6. Questa richiesta, in realtà, è puramente simbolica: nel caso in cui gli sponsor
controllino la scelta di pubblicare e
non gradiscano i risultati, l’articolo
non verrebbe neppure spedito a
quelle riviste per essere pubblicato.
Il lucro sugli estratti e sui
supplementi
Distinguere
Q
uesta non è una lista esaustiva
e vi sono altrettanti metodi per
ottenere risultati favorevoli attraverso revisioni sistematiche e valutazioni economiche. In particolare, le valutazioni economiche,
che risultano poco familiari e molto
complesse per le direzioni scientifiche delle riviste e per i lettori,
possono essere particolarmente
semplici da manipolare. È difficile a
questo proposito distinguere tra la
disonestà, gli errori sistematici in
buona fede e l’uso astuto di metodi
legittimi, ma le riviste scientifiche
devono provare a farlo – se non
altro perché i tre quarti dei trial randomizzati pubblicati sulle più importanti riviste è finanziato dalle
case farmaceutiche 5. Per di più,
spesso gli studi non sono condotti
da ricercatori universitari (che
almeno, in teoria, non dovrebbero
essere legati all’industria), bensì
vengono dati in appalto a società
che sono pagate per svolgere esclusivamente questo lavoro. Queste
società non si oppongono – come
invece possono fare gli universitari
– se la ditta farmaceutica decide di
Ministero della Salute
L
e più importanti riviste
cercano di bilanciare il peso
delle case farmaceutiche, ma non
è una battaglia equa, anche perché
le riviste traggono a loro volta
profitto pubblicando le ricerche finanziate dalle industrie. I grandi
trial sono importanti per le riviste,
in quanto i medici di ogni parte
del mondo vogliono esserne a conoscenza e quindi sono più
propensi ad abbonarsi a quelle
riviste che li pubblicano.
Alcuni studi clinici portano anche
molta pubblicità e le riviste gradiscono che si parli di loro. Infine,
le aziende farmaceutiche acquistano un gran numero di estratti
dagli articoli che riferiscono le sperimentazioni cliniche. Talvolta arrivano a spendere più di un milione
di dollari per la ristampa di una
singola ricerca e il margine di
profitto per l’editore è enorme. Gli
estratti sono spesso usati per promuovere il farmaco presso i medici
e il nome della rivista sul fascicolo
è parte essenziale dell’affare.
Un altro modo attraverso cui le
riviste possono essere coinvolte è la
realizzazione e la pubblicazione di
supplementi. I grandi settimanali
bollettino d’informazione sui farmaci
163
ANNO X N. 3-4 2003
non pubblicano supplementi, ma
molte riviste specialistiche lo fanno
– e questo può essere per loro molto
proficuo. Alcune riviste abbinano un
supplemento ad ogni numero e in
genere quanto più bassa è la qualità
scientifica del supplemento e quanto
più favorevole esso risulta per la casa
farmaceutica che lo finanzia, tanto
maggiore è il profitto per l’editore.
Pubblicando tutti gli interventi di un
simposio sponsorizzato da una sola
azienda e centrato su un singolo
farmaco, una rivista può ricavare un
compenso sostanzioso. Spesso questi
articoli vengono rimaneggiati da
“pennivendoli pagati dall’industria”,
per dirla crudamente, e pubblicati
più volte. Se invece la rivista vuole
sottoporre gli articoli a revisione
critica, selezionandoli e pubblicando
solo quelli realmente originali, allora
il prezzo pagato dall’azienda sponsor
è più contenuto.
Alcune ricerche hanno dimostrato
che i lavori scientifici pubblicati nei
supplementi sono di qualità inferiore rispetto a quelli pubblicati
sui fascicoli ordinari della rivista7,8.
Conclusioni
I
n un certo senso, tutte le riviste
sono comprate – o per lo meno intelligentemente usate dalle industrie
farmaceutiche. Le industrie hanno il
dominio del settore della salute e la
maggior parte dei medici ha bevuto
e pasteggiato a loro spese. Non sorprende quindi che anche le riviste
mediche possano essere pesantemente influenzate dalle industrie.
Ma l’assistenza sanitaria, i medici, le
riviste e – a mio parere – l’industria
farmaceutica trarrebbero tutti beneficio da rapporti più limpidi,
meno ravvicinati e più simili alle
consuete relazioni di lavoro.
Questo articolo riprende – sintetizzandolo in maniera drastica – il capitolo di un libro dello stesso autore. Il
volume, provvisoriamente intitolato
“The trouble with Medical Journals”
sarà pubblicato nel corso del 2004
dalla Cambridge University Press.
Possibili fonti di conflitto di interessi: RS
è direttore del BMJ e direttore esecutivo
del BMJ Publishing Group Ltd. Sotto la
sua responsabilità sono edite riviste che
ospitano pubblicità, vendono estratti e
pubblicano supplementi. È remunerato
con uno stipendio predeterminato. Per
maggiori informazioni sui “competing
interests” dell’autore consultare:
http://bmj.com/aboutsite/comp_
editorials.html
editori, crediamo che questi introiti,
forse paradossalmente, assicurano la
nostra indipendenza. Gli inserzionisti hanno poche possibilità di
influenzare quanto viene pubblicato
- in parte perché sono numerosi. Ma
se i proprietari devono sostenere economicamente una rivista, allora vogliono che il giornale segua la loro
linea di pensiero. Sappiamo, inoltre,
che se i lettori possono scegliere tra
un giornale a pagamento che non ha
pubblicità e una rivista gratuita ma
contenente pubblicità, quasi tutti
optano per il giornale gratuito.
Bibliografia
La politica del BMJ
riguardo la pubblicità
A
l BMJ non controlliamo il contenuto degli annunci pubblicitari.
Ne valutiamo il buon gusto, ma raramente li respingiamo. La logica che
sta dietro questo approccio, che molti
ritengono estrema, è la seguente:
- rigide leggi europee e britanniche
regolano le affermazioni che
possono essere fatte nella pubblicità. L’industria britannica ha
un codice di autoregolazione della
pubblicità e le aziende si denunciano prontamente l’un l’altra
nel caso di non osservanza;
- sappiamo che il lettore tiene in
scarsa considerazione la pubblicità
(nonostante questo fatto sia in
conflitto con le prove che la pubblicità influenza la prescrizione);
- ci sembra ragionevole concentrare
le nostre forze sul miglioramento
delle pagine redazionali, non di
quelle pubblicitarie;
- incoraggiamo i lettori ad avere un
approccio critico verso la pubblicità così come verso gli articoli e
li incoraggiamo a reclamare presso
le autorità competenti nel caso in
cui ritengano grave la violazione.
Questa politica è coerente con il
nostro desiderio di ricevere proventi
dalla pubblicità. Come molti altri
Ministero della Salute
1. Gottlieb S. Congress criticises drugs
industry for misleading advertising.
BMJ 2002;325: 137.
2. Wilkes MS, Doblin BH, Shapiro MF.
Pharmaceutical advertisements in
leading medical journals: experts’
assessments. Ann Intern Med
1992;116: 912-9.
3. Villanueva P, Peiro S, Librero J, Pereiro
I. Accuracy of pharmaceutical advertisements in medical journals. Lancet
2003;361: 27-32.
4. Rochon PA, Gurwitz JH, Simms RW
et al. A study of manufacturer supported trials of non-steroidal antiinflammatory drugs in the treatment
of arthritis. Arch Intern Med
1994;154: 157-63.
5. Egger M, Bartlett C, Jüni P. Are randomised controlled trials in the BMJ different? BMJ 2001;323: 1253.
6. Davidoff F, DeAngelis CD, Drazen JM et
al. Sponsorship, authorship, and
accountability. Lancet 2001;358: 854-6.
7. Rochon PA, Gurwitz JH, Cheung M,
Hayes JA, Chalmers TC. Evaluating the
quality of articles published in journal
supplements compared with the quality of those published in the parent
journal. JAMA 1994;272: 108-13.
8. Cho MK, Bero LA. The quality of drug
studies published in symposium proceedings. Ann Intern Med 1996;124: 485-9.
Conflitti di interesse: RS è direttore del
BMJ e direttore esecutivo del BMJ Publishing Group Ltd. È responsabile di
riviste che ospitano pubblicità, vendono
estratti e pubblicano supplementi. È remunerato con uno stipendio predeterminato. Per maggiori informazioni:
http://bmj.com/aboutsite/comp_
editorial.shtml
164
DALLA LETTERATURA
Editoria condizionata sì, ma da cosa?
Una delle letture più intriganti – e convincenti
– della scorsa stagione è stata il numero del British
Medical Journal il cui dossier era dedicato all’informazione sanitaria disponibile su Internet
(BMJ 324; 9 marzo 2002). Poche storie, sembrava
concludere il settimanale britannico: il giudizio
di qualità su quanto reperibile sul Web resta, in
fondo, al lettore, e poco valgono bollini di qualità
più o meno rigorosi, codici d’autoregolamentazione più o meno disattesi, dichiarazioni
d’intenti più o meno sincere. Dopo un iniziale
disorientamento, in molti abbiamo pensato che,
in fondo, potrebbe davvero essere questo il punto
di vista non soltanto più realistico ma anche più
rispettoso dei diritti di chi cerca informazioni su
Internet, le trova e le utilizza. L’utente tornerà a
percorrere gli stessi sentieri solo se avrà avuto in
precedenza indicazioni affidabili.
In virtù anche di questo precedente, è dunque
con un atteggiamento di curiosità ed attesa che
ho letto il numero del BMJ dedicato ai rapporti
tra industria farmaceutica e produzione ed informazione biomedica. Certamente interessante, a
tratti divertente, alla fine però in certa misura deludente; non ho trovato conferma, infatti, a due
“regole” che ritenevo ormai assodate. La prima codificata dai migliori libri gialli - prevede che il
colpevole si scopra alla fine: in questo caso,
invece, che quasi tutti i problemi siano imputabili all’operato delle industrie farmaceutiche
viene esplicitato sin dall’inizio e quasi tutte le
pagine che seguono gli Editoriali sono finalizzate
a sostenere la tesi di partenza. La seconda
massima disattesa è quella che aveva informato
gli interventi sulle informazioni su Web pubblicati dalla stessa rivista e ai quali mi riferivo in
apertura: il giudizio del lettore è ciò che conta e
vale più di qualsiasi tentativo di regolamentazione, peraltro difficile da mettere in pratica1.
Su un punto non si può che concordare con il
BMJ: anche nel settore medico-scientifico, l’editoria è condizionata. Nell’affermarlo, del resto,
si ha la sensazione di scoprire l’acqua calda2. Cerchiamo piuttosto di capire i motivi di questo condizionamento.
L’editoria è condizionata dall’essere un mestiere povero, a metà tra l’industria e l’artigianato3. Il 40,2% delle case editrici ha tra 2 e 9
addetti4, che lavorano per soddisfare un pubblico
che non cresce di numero: tra il 1997 ed il 2000,
la spesa delle famiglie italiane per acquisto di libri
e di periodici è passata rispettivamente dal 17,6%
al 15,1% e dal 19,6% al 17,8% del totale della
spesa per l’acquisto di prodotti e servizi della comunicazione, laddove quella per la telefonia è
cresciuta dal 45,7% al 49,4%.
L’editoria è un mestiere povero anche perché
lungo il percorso scolastico raramente viene insegnato ad utilizzare con intelligenza libri e riviste.
Desiderando fare riferimento allo specifico caso
della laurea in medicina e chirurgia, in molte
facoltà è sufficiente l’acquisto e lo studio di una
singola, ponderosa opera per sostenere buona parte
degli esami clinici degli ultimi anni di corso,
sebbene la quasi totalità dei trattati di medicina sia
obsoleta già al momento della pubblicazione5.
Senza contare, inoltre, che le modalità dell’educazione continua post-laurea esigono la padronanza di metodologie e di tecniche che molto
spesso il giovane medico ignora.
L’editoria è un mestiere povero perché le biblioteche di pubblica lettura ed universitarie non
acquisiscono libri e periodici in misura sufficiente
per incoraggiare gli sforzi degli editori. Negli Stati
Uniti, le 63 principali biblioteche mediche
spendono ogni anno 9.435.780 dollari per l’acquisto di monografie e 63.096.397 dollari per abbonamenti a periodici6, al punto che per molte
university press nord-americane il mercato delle libraries è una fonte di ricavi sufficiente a giustificare gli investimenti. In Italia, la vendita alle biblioteche rappresenta l’1,7% del mercato librario,
già di per sé abbastanza esiguo.
EDITORI
VULNERABILI
Molti editori specializzati sono in costante sofferenza finanziaria. Il ritorno degli investimenti
quasi mai è a breve termine. Il punto di pareggio
per una rivista medica viene raggiunto non prima
di 5-6 anni dopo il lancio, salvo l’intervento di
sponsorizzazioni da parte di società scientifiche,
di enti o istituzioni7. Allo stesso modo, il break
even point di una monografia non si raggiunge
che dopo aver venduto il 60-70% della prima tiratura. Il processo editoriale nel settore medicoscientifico è di gran lunga più oneroso rispetto a
quello di altre discipline; di conseguenza, l’obiettivo di minimizzare il time to market [la di-
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
165
ANNO X N. 3-4 2003
Viene certamente da domandarsi se la diffusa
abitudine di offrire beni e servizi in dono non
abbia contribuito ad allontanare il medico dalle
librerie. È molto probabile che sia così. Del resto,
esistono riviste e monografie sulle quali la
pressione dell’industria farmaceutica è maggiore
e, molto spesso, si tratta proprio dei prodotti editoriali di più elevata qualità. La ragione è facilmente comprensibile: tanto più un periodico o
un libro è conosciuto ed apprezzato tanto più alto
potrà essere l’impatto di messaggi promozionali
veicolati attraverso quel mezzo. Ma probabilmente non è questo il problema.
stanza tra la formulazione del progetto e la
vendita del prodotto] è ancora più sentito.
L’editoria è un mestiere povero perché la casa
editrice è chiamata non più a competere solo con
le sue dirette concorrenti, ma pure “con altri e
nuovi soggetti imprenditoriali, anche in comparti
considerati fino ad ora molto distanti (se non
estranei) da quelli tradizionali del libro e della
lettura”8. Il mondo editoriale è quindi molto vulnerabile, soprattutto in una fase d’instabilità culturale ed economica come l’attuale. Questo contribuisce a spiegare l’ondata di acquisizioni che,
negli ultimi dieci anni, hanno modificato radicalmente lo scenario editoriale. Grandi gruppi
editoriali come Elsevier, Bertelsman, SwetsBlackwell hanno assunto una posizione di
primaria importanza, innescando processi di concentrazione proprietaria che hanno richiesto in
qualche caso l’intervento delle authorities antitrust. Gli effetti di questi cambiamenti si sono
sentiti anche in Italia.
L’editoria di cultura – di libri e di periodici – è
un settore che solo marginalmente si trova a beneficiare del sostegno statale; basti pensare alle recenti
disposizioni di legge che hanno sensibilmente aumentato i costi di spedizione delle riviste, portando
alla chiusura di numerose testate.
Sono questi – ed altri che non cito per brevità
– i motivi del condizionamento dell’editoria,
anche medico-scientifica. Sostenere invece che
quest’ultima sia condizionata dall’industria farmaceutica è confondere la causa con l’effetto. È
vero, al contrario, che un’editoria di cultura indebolita e costretta a rinunciare ad ogni progettualità a causa di preoccupazioni non soltanto di
ordine finanziario ma dovute anche ad una costante variabilità del quadro normativo, può
trovarsi più facilmente nelle condizioni di non
riuscire a resistere a tentazioni compromettenti,
come quella di “ballare con i porcospini”. Il fatto
è – come abbiamo detto – che quasi sempre i porcospini sono i soli ad essere disponili al ballo e
molto spesso prendono l’iniziativa. Molti editori
scientifici ed editors di riviste biomediche attendono da anni un invito analogo da istituzioni
pubbliche, amministrazioni locali, società scientifiche – escludendo beninteso ciò che prevede
comunque il coinvolgimento più o meno diretto
di sponsor farmaceutici.
L’INDIPENDENZA
IMPOSSIBILE
Come per l’informazione su Internet, la questione non è tanto nell’indipendenza dei contenuti. Del resto, un prodotto editoriale sarà
sempre “dipendente” da qualcosa: dagli orientamenti culturali o politici dell’editore; dalle sue
esigenze economiche contingenti; ovviamente,
dalle opinioni dell’autore; dalla policy dell’istituzione eventualmente patrocinante. È stato fatto
acutamente osservare che l’eventuale conflitto tra
i diversi “interessi in campo” sarà solo più evidente
se riguarderà aspetti economici: “Financial conflicts
have been the focus of much discourse involving
biomedical publication, perhaps because financial
associations and equity are easily defined and
measured when compared with nonfinancial interests”9. Il nodo è piuttosto nella qualità ed un
libro o una rivista potranno essere preferiti o meno
indipendentemente dai finanziamenti di cui avrà
beneficiato la loro produzione. Le librerie scientifiche sono piene di monografie tanto “indipendenti” quanto superflue. Allo stesso modo,
accanto a materiali effimeri e di modestissimo
livello - le borse degli informatori scientifici accolgono spesso libri preziosi – basti pensare al Merck
Manual – e riviste interessanti – Ricerca Roche, Sfera,
Noos, per indicarne solo alcune.
“C’è la tendenza a vedere l’industria farmaceutica come il colpevole ed i medici come le
vittime innocenti, ma è una grossa semplificazione”, ammette lo stesso direttore del BMJ,
Richard Smith 10 . Accettiamo, allora, la complessità del problema, e consideriamo piuttosto
i molti fattori che concorrono a determinare il
quadro di fronte al quale ci troviamo. “For some
segue→
Ministero della Salute
166
DALLA LETTERATURA
reason the pharmaceutical industry is seen as
the devil, while many others in health care are
seen as saintly. This prejudice against the industry is unfair”, scrivono Smith e Silvia Bonaccorso, vice-president di Merck & Co. in una
“Personal view” colpevolmente relegata in
fondo al numero del BMJ11.
Infine, una considerazione sulla vignetta che illustra l’articolo sugli “amanti a disagio” (vedi a pag.
157). Il volto dell’editor del BMJ denuncia sì un
certo imbarazzo (sembra quasi pensare tra sé il fatidico “non lo fo per piacer mio…”) ma – ammettiamolo – è probabile che Richard Smith trascorra
una gradevole serata, considerata la compagnia.
Viste le recenti polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione di un compromettente
articolo da parte del BMJ12, chissà che – dopo – non
si accenda anche una sigaretta…
Bibliografia
1. Purcell GP, Wilson P, Delamothe T. The quality of the
information on the Internet. BMJ 2002;324:557-8.
2. “Editoria condizionata” è anche il titolo del libro di J e G
Brémond, pubblicato all’inizio del 2003 anche in edizione italiana dalla casa editrice Sylvestre Bonnard.
3. Mistretta E. L’editoria. Un’industria dell’artigianato.
Bologna: Il Mulino, 2003.
4. Questo dato, come quelli forniti successivamente, sono
tratti da: Associazione Italiana Editori (AIE), Ufficio Studi.
L’editoria libraria in Italia. In: Quaderni di “Libri e riviste
d’Italia”, n. 49, 2002. Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato.
5. Diekelmann NL (ed). Teaching the practitioners of care.
New pedagogies for the health professions. Madison:
The University of Wisconsin Press, 2003.
6. Association of Research Libraries. ARL Academy Health
Sciences Library Statistics 2000-2001. Washington, DC,
2002.
7. Page G, Campbell R, Meadows J. Journal publishing.
Cambridge: Cambridge University Press, 1997.
8. AIE, op. cit.
9. Flanagin A. Conflict of interest. In: Hudson Jones A,
McLellan F (eds). Ethical issues in biomedical publication.
Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 2000.
10. Smith R. Medical journals and pharmaceutical companies: uneasy bedfellows. BMJ 2003;326:1202-5.
11. Bonaccorso S, Smith R. In praise of the “devil”. BMJ
2003; 326;1220.
12. Vedi a questo riguardo www.vapensiero.info ai numeri
126, 127 e 131.
Commento a cura di Luca De Fiore,
Il Pensiero Scientifico Editore
Luca De Fiore è direttore generale della casa editrice Il Pensiero Scientifico
Editore, azienda che collabora con enti, istituzioni e industrie farmaceutiche. Essendo azionista della casa editrice, il suo reddito può in parte
dipendere dal risultato economico dell’azienda.
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
167
ANNO X N. 3-4 2003
◗
Una malsana manipolazione*
dei fatti
gli standard di trasparenza sui contributi percepiti da parte delle organizzazioni non-profit.
• Manca il resoconto effettuato da
esperti sull’attività dell’industria delle
pubbliche relazioni; per questa
ragione vengono ideate strategie
sempre nuove con l’obiettivo di dar
forma ad importanti decisioni riguardanti l’assistenza sanitaria.
L
BURTON B, ROWELL A. UNHEALTHY
SPIN. BMJ 2003; 326: 1205-7.
Punti chiave
• Nella “tecnica della terza parte”,
invece di utilizzare come portavoce
un rappresentante dell’industria farmaceutica (che avrebbe poca credibilità), viene preferito un mittente
apparentemente indipendente e con
un alto grado di credibilità agli occhi
dei destinatari.
• La mancanza di trasparenza da
parte dei mittenti della terza parte è
spesso rafforzata dallo scarso interesse di medici, pazienti e giornalisti per la rivelazione di potenziali
conflitti di interesse.
• Le pubbliche relazioni nel campo dell’assistenza sanitaria mirano generalmente ad influenzare la prescrizione farmaceutica, anche se
recentemente sta aumentando l’attenzione alle iniziative dirette ai potenziali pazienti.
• Le associazioni di pazienti vengono
sempre più spesso sponsorizzate
dalle industrie farmaceutiche, cosa
che sta contribuendo ad alimentare
il dibattito su quali dovrebbero essere
e agenzie di pubbliche relazioni
sono esperte nella “tecnica della
terza parte”; aiutano, cioè, l’industria farmaceutica a non apparire
nella gestione di quelle campagne
di informazione che può sembrare
favoriscano gli interessi delle
aziende. Ma la maggior parte dei
giornalisti ha solo una vaga idea di
come funzioni l’industria delle
pubbliche relazioni, perciò rischia
di accogliere acriticamente i
messaggi occulti.
Sono pochi i medici che hanno
sentito parlare delle grandi
agenzie leader a livello internazionale delle attività di pubbliche
relazioni in campo sanitario, tra le
quali Edelman, Ruder Finn,
Noonan/Russo Presence, Shire
Health Group, Medical Action
Communications. I medici e i loro
pazienti sono quotidianamente
bersagliati da messaggi accuratamente pensati da queste agenzie
per far aumentare le vendite dei
farmaci dei loro clienti. Secondo
gli organi di stampa della stessa industria delle pubbliche relazioni,
le principali cinque società di “PR
sanitarie” hanno fatturato nello
scorso anno oltre 260 milioni di
euro; le loro attività spaziano dal
pianificare la copertura da parte
dei media della notizia del lancio
imminente di nuovi farmaci al
coltivare rapporti con gli ambienti
clinici finalizzati alla produzione
di letteratura biomedica fino al
“wooing” di gruppi di pazienti.
Tattiche di business
I
l fulcro della maggior parte delle
agenzie di pubbliche relazioni
consiste nella cosiddetta “tecnica
della terza parte”. Paul Keirnan, direttore associato della Edelman a
Londra, spiega che la tecnica
consiste nel separare il contenuto del
messaggio da quello che potrebbe
apparire un mittente interessato.
Un’azienda farmaceutica che
difende un prodotto controverso,
afferma Keirnan, “ha molta meno
credibilità rispetto ad un opinion
leader o a un medico prescrittore del
farmaco che affermino la stessa cosa.
Non si tratta di mettere le parole in
bocca ad un opinion leader, ma di utilizzare una terza parte per esporre i
fatti, senza che essi appaiano distorti
dall’industria farmaceutica”.
Peter Mansfield, medico di medicina
generale e direttore del Healthy
Scepticism, gruppo australiano di
salute pubblica, ritiene che la
maggior parte delle società di pubbliche relazioni che lavorano in
campo medico e che si occupano di
pubblicità si spacci come fonte di
informazione indipendente “tanto
da riuscire a passare inosservata sotto
il radar dell’interpretazione critica”.
Nel mondo delle pubbliche relazioni
in sanità, il reclutamento e l’addestramento degli opinion leader, che
parlano a nome dell’azienda farmaceutica sponsor, rappresentano un
elemento cruciale dell’“educazione
in medicina”. Durante le conferenze,
ad esempio, il loro ruolo può
spaziare dalla presentazione di lavori
alla risposta a domande durante le
sessioni aperte al dibattito.
Peter Hansen, direttore della Ethical
Strategies Limited, società di comunicazione medica del Surrey,
concorda nel ritenere che le relazioni
tra industrie farmaceutiche, medici e
associazioni di pazienti debbano
essere rese sempre esplicite, in ogni
*Si è scelta “manipolazione” per il termine “spin” che significa, alla lettera, ‘moto vorticoso, rotazione, avvitamento’ (nota del traduttore).
Ministero della Salute
168
comunicazione. Ciò nonostante, l’adesione di Hansen ad una politica di
trasparenza deriva da quello che lui
descrive come un grande avvertimento. Egli sostiene infatti che “tra
la gente esista l’erronea convinzione
che per qualche ragione la medicina
sia diversa dalle altre attività imprenditoriali, ma questo non è vero”. I
medici e le associazioni di pazienti
hanno bisogno di finanziamenti e
“alla fine è l’industria farmaceutica il
maggior finanziatore della comunicazione medica. L’opinione pubblica
deve rendersi conto che la medicina
è un business”.
Pubblicazioni scientifiche
S
ebbene la prescrizione farmaceutica sia influenzata prevalentemente dalle visite degli informatori scientifici, le pubblicazioni
mediche giocano un ruolo cruciale
nel sostenere l’attività dell’informatore al momento del colloquio
con il medico. “Persino quando uno
studio non contiene alcun messaggio chiave, l’introduzione e le
conclusioni offrono pur sempre
un’eccellente base per il lancio di un
messaggio”, scrive Harry Cook,
dell’ICC Europe, in una rivista commerciale1. Egli fa notare come “gli
estratti [di articoli tratti da riviste
scientifiche] possano rappresentare
uno strumento di vendita molto
utile, dal momento che esse
vengono recepiti come indipendenti
e autorevoli”.
In un’altra guida all’editoria medica,
gli autori sottolineano come può
essere sfruttato il numero di testate:
“L’editoria medica periodica si
compone di una vasta gamma di
testate diverse. Dai periodici di
elevato livello e conseguente costo
elevato – poco inclini a prostituire i
proprio standard editoriali – alle
testate di basso profilo e conseguente
basso costo che non hanno né voglia
DALLA LETTERATURA
né personale per esercitare un controllo editoriale sugli articoli”2.
Una delle funzioni meno note delle
società di pubbliche relazioni è quella
di assoldare giornalisti freelance per
la “copertura” di eventi, ad esempio
importanti congressi, per confezionare spunti o articoli da proporre
o inserire direttamente sulle riviste
mediche. Le presentazioni di studi
che hanno ottenuto risultati preliminari positivi possono sollevare, tra
i medici e i pazienti, aspettative poco
realistiche in merito a conquiste che
magari non avverranno mai.
Hansen concorda sul fatto che utilizzare giornalisti freelance a questo
scopo è comune. “Penso che ciò
accada abbastanza spesso… se un articolo deve essere scritto e pubblicato su una rivista sarebbe appropriato segnalare che il giornalista è
stato appoggiato nel corso del
lavoro di stesura da questa o quest’altra azienda”, afferma Hansen.
I consumatori ed i pazienti
L
e società di pubbliche relazioni si
stanno sempre più interessando al
mercato dei consumatori (DTC, dall’inglese “direct to consumer”) o dei
gruppi di pazienti. “In passato i consumatori di farmaci venduti dietro
prescrizione medica consideravano i
consigli del medico come una sorta
di vangelo, ma oggi, per i consumatori, sono disponibili molte più
fonti dove attingere informazioni”,
afferma Keirnan. “Le case farmaceutiche non possono fare affidamento soltanto sui mezzi pubblicitari provati e consolidati: la forza
vendita e le lettere inviate al medico”.
La società di comunicazione medica
Mednet Media rivela, sul sito Internet che – nel settore delle patologie croniche – indirizzare la
propria attività di marketing verso il
medico significa per un’azienda farmaceutica farsi sfuggire il target rap-
Ministero della Salute
presentato dal cosiddetto “empowered patient”, capace di influenzare realmente la prescrizione.
Nonostante medici e gruppi di pazienti non ammettano la pubblicità
diretta al consumatore, le case farmaceutiche usano Internet per influenzare pazienti potenziali aggirando le norme sulla pubblicità.
La Mednet Media chiama questo
nuovo tipo di pubblicità “E-DTC”.
Per le case farmaceutiche è molto importante instaurare rapporti –
compreso il finanziamento – con le
associazioni di pazienti. Ciò consente
di mobilitare delle forze capaci di influenzare i “policy makers”.
Il sostegno finanziario che le industrie
farmaceutiche forniscono alle associazioni sta scatenando la reazione
delle organizzazioni non-profit che rifiutano questo tipo di patrocinio.
Barbara Brenner, direttore generale
della Breast Cancer Action di San
Francisco, ritiene che la dichiarazione
delle fonti di finanziamento e dei
legami di ordine economico dovrebbe riguardare anche le organizzazioni senza finalità di lucro. “Le associazioni di pazienti optano
raramente per una scelta di trasparenza e – quando lo fanno – non
è per scelta spontanea”.
Gestione della crisi
L
e agenzie di pubbliche relazioni
giocano un ruolo cruciale anche
laddove si tratti di mantenere il
cliente – vale a dire l’azienda farmaceutica – lontano dal clamore dei
media. Molti medici di medicina generale vengono a conoscenza dell’effetto collaterale di un farmaco attraverso i principali mezzi di
comunicazione.
Quando scoppia un’emergenza, le
società tentano di usare la “terza
parte” per difendersi. “Un aspetto
chiave nella gestione di una crisi è
sfruttare la terza parte a proprio van-
bollettino d’informazione sui farmaci
169
ANNO X N. 3-4 2003
taggio” ha spiegato Maxine Taylor,
direttore della sezione Corporate
Affairs della Lilly UK. Le terze parti,
afferma, dovrebbero essere chiamate
in causa “per condividere la presenza
sotto i riflettori o per distogliere l’attenzione dei media”3. Keirnan della
Edelman è d’accordo: “Se fosse l’industria farmaceutica a rispondere direttamente ai giornalisti o ai media
avrebbe poca credibilità, perché il
pubblico poi direbbe ‘Beh, l’industria non può vedere le cose in
questo modo, non è vero?’”.
Per i medici di medicina generale
come Peter Mansfield, le sofisticate
campagne pubblicitarie dell’industria
farmaceutica creano una crisi di
fiducia: “Se non sai esattamente cosa
sta accadendo hai fiducia in tutto
quello che ti viene detto, a danno dei
pazienti ai quali vengono poi prescritti farmaci dagli effetti collaterali
pericolosi. Anche quando siamo consapevoli di quello che accade, non
sappiamo più a chi credere. Ciò può
portare i medici ad essere troppo
scettici e persino a non prescrivere eccellenti nuovi farmaci. In qualsiasi
modo vadano le cose, non si tratta di
una situazione positiva né per i pazienti né per i medici di medicina generale”, conclude.
Azione di equilibrio
S
e sono i legami invisibili tra le
aziende farmaceutiche e le agenzie
di pubbliche relazioni ciò che
alimenta la “tecnica della terza parte”,
cosa fare per permettere a medici e
cittadini di prendere decisioni
informate? Come bilanciare lo squilibrio attualmente esistente tra i crescenti investimenti in marketing e
pubbliche relazioni da parte delle
aziende farmaceutiche da un lato, e
medici, consumatori, cittadini e giornalisti dall’altro?
Gran parte del successo della “tecnica
della terza parte” è dovuto alla
mancanza di regole di comportamento in tema di trasparenza sui
finanziamenti percepiti alle quali dovrebbero attenersi gli opinion leader
medici, i gruppi non-profit o i giornalisti che hanno legami finanziari
con le aziende farmaceutiche.
Nel migliore dei casi, la maggior parte
dei giornalisti non ha un’idea chiara
di come funzioni il business delle
pubbliche relazioni e, non chiedendo
alle persone che intervistano di rivelare fonti di finanziamento o potenziali conflitti di interesse, non
fanno che rafforzare l’efficacia della
“tecnica della terza parte”.
Che sui principali mezzi di comunicazione non si parli di business di
pubbliche relazioni è addirittura più
dannoso. Al di fuori della stampa
commerciale specializzata in relazioni pubbliche, non siamo a conoscenza di alcun giornalista di
rilievo di lingua inglese che si
occupi dell’argomento.
I codici etici di autoregolamentazione dell’industria delle pubbliche relazioni non offrono
maggiori speranze. Al massimo, si richiede che venga rivelato chi sono i
clienti: ad essi viene chiesto preliminarmente se vogliono rivelare questa
informazione. Persino in questo
caso, ci sono pochi motivi per essere
ottimisti. La più recente riedizione
del codice etico della Public Relations Society of America – e in
America viene venduta la metà dei
farmaci prodotti su scala mondiale –
ha abbandonato qualsiasi obbligo.
Di fronte all’esiguo numero di giornalisti ed ai budget ristretti, fare affidamento unicamente sul “buon
giornalismo” come antidoto all’informazione condizionata non è
sufficiente. Un’approfondita conoscenza delle strategie utilizzate dal
business delle pubbliche relazioni è
essenziale, ma si tratta, al massimo,
di una delle possibili difese di una
strategia che non può che essere più
articolata.
Peter Mansfield sostiene che il tallone
Ministero della Salute
di Achille del settore delle pubbliche
relazioni in medicina sia il percorso
del denaro segnato dai contribuenti e
dalle compagnie assicurative: “Li ricompensiamo con l’aumento delle
vendite dei farmaci più costosi noncuranti dell’impatto che questi
realmente hanno sull’assistenza sanitaria. Pertanto non dobbiamo poi
stupirci se essi fanno ciò che vogliono
per perseguire gli obiettivi per cui li
stiamo pagando”.
Conflitti di interesse: nessuno.
Bibliografia
1. Cook H. Practical guide to medical
education. Pharmaceutical Marketing
2001; 6:15.
2. Grey H, ed. Practical guide to medical
publishing. Pharmaceutical Marketing
2000: 4.
3. Taylor M. A look at what to do in a crisis apart from panic. Pharmaceutical
Marketing 2002.
www.pmlive.com/on_the_job/prac_gu
ides.cfm?showArticle=1&ArticleID=884
(ultimo accesso 29 aprile 2003).
◗ Rapporti tra industria farmaceutica e associazioni di malati
HERXHEIMER A. RELATIONSHIPS
BETWEEN THE PHARMACEUTICAL INDUSTRY AND PATIENTS’ ORGANISATIONS.
BMJ 2003; 326: 1208-10.
Tra aziende farmaceutiche ed associazioni di malati si è sviluppato nel
corso degli ultimi anni un crescente
rapporto di collaborazione, ma si tratta
di una relazione asimmetrica – e questo
pone seri interrogativi.
Punti chiave
• Le aziende farmaceutiche ritengono
che se i malati fossero consapevoli dei
benefici che potrebbero trarre dai loro
farmaci, le vendite aumenterebbero.
• Pubblicizzare i farmaci venduti dietro
prescrizione medica ai pazienti non
è consentito, per cui le aziende
cercano di informarli in altro modo.
170
• Le organizzazioni dei malati possono
vedere con favore il sostegno finanziario
e di altro tipo proveniente dalle aziende.
• I rapporti non devono essere eccessivamente ravvicinati e devono essere
trasparenti, senza influenzare i programmi e le priorità delle organizzazioni dei malati.
DALLA LETTERATURA
Le organizzazioni dei malati chiedono
cure adeguate per le persone di cui si
fanno portavoce, solitamente affette
da specifiche patologie o con
problemi di salute – sebbene spesso
non ne abbiano di fatto il mandato.
Le associazioni e gli individui che
queste cercano di rappresentare vogliono essere ascoltati e, per quanto
possibile, trattati come partner alla
pari dalle professioni sanitarie e dalle
istituzioni del servizio sanitario.
Tabella I – Alcune delle più importanti associazioni di malati nel Regno Unito.
G
eneralmente si considera augurabile che differenti gruppi di
soggetti interessati ad una data attività lavorino insieme in modo costruttivo. Questa è la ragione che ha
avvicinato le aziende farmaceutiche
e le organizzazioni dei malati con la
finalità di valutare possibili collaborazioni in aree di interessi condivisi.
Nel corso del tempo, tra questi due
partner molto diversi tra loro (di
norma uno è ricco, l’altro povero) si
sono sviluppate varie forme di collaborazione, che hanno sollevato seri
interrogativi1,2.
Questo articolo considera la posizione, soprattutto nel Regno Unito,
di centinaia di gruppi di self-help e di
organizzazioni di supporto3. La tabella
I ne elenca alcuni tra i più noti.
Problemi analoghi esistono in altri
paesi dove le organizzazioni dei malati
hanno assunto notevole rilevanza, in
modo particolare negli Stati Uniti.
Bisogni e aspettative
C
ome per le altre imprese commerciali, il principale obiettivo
delle aziende farmaceutiche è di
produrre profitto, e questo orienta le
loro priorità. Le industrie vogliono
vendere i loro prodotti in grande
quantità ed espandere il mercato, in
una prospettiva a lungo termine.
Con i nuovi farmaci questo processo
deve realizzarsi rapidamente, perché
la ricerca è onerosa e gli investimenti
devono essere recuperati in fretta,
prima della commercializzazione di
prodotti concorrenti.
Associazione
Membro
di LMCA*
Age Concern
Alzheimer’s Society
Arthritis Care
Blood Pressure Association
Breast Cancer Care
British Colostomy Association
British Heart Foundation
British Lung Foundation
Cancer BACUP
Cancerlink
Changing Faces
Coeliac Society
Cystic Fibrosis Trust
Diabetes UK
Different Strokes
Down’s Syndrome Association
Haemophilia Society
Incontact
Insulin Dependent Diabetes Trust
Macmillan Cancer Relief
Lymphoedema Support Network
Migraine Trust
MIND
Motor Neurone Disease Association
MS Society
National Asthma Campaign
National Childbirth Trust
National Eczema Society
National Kidney Federation
National Osteoporosis Society
National Endometriosis Society
National Schizophrenia Fellowship
National Society for Epilepsy
Neuropathy Trust
Ovacome
Parkinson’s Disease Society
Patients Association
Psoriasis Association
Scope
Sickle Cell Society
Sjogren’s Syndrome Association
Stroke Association
*LMCA = Long Term medical Conditions Alliance.
Ministero della Salute
SI
SI
Possibile interesse
per prodotti farmaceutici
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
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SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
SI
bollettino d’informazione sui farmaci
171
ANNO X N. 3-4 2003
Il box 1 elenca le principali necessità
delle organizzazioni dei malati e
delle aziende farmaceutiche. La discussione e le trattative tra le due
parti devono ovviamente considerare sia i costi, i potenziali
svantaggi e i danni, sia i potenziali
benefici che qualunque accordo potrebbe procurare a ciascuna di esse.
Linee guida
L
a Long Term Medical Condition Alliance, un organismo che raccoglie più di 100 componenti rappresentative di numerose e differenti
patologie mediche, propone alle organizzazioni di volontariato nel
campo della salute delle linee guida
sulle relazioni con l’industria farmaceutica (sintetizzate nel box 2)4. Esse
evidenziano come “sia importante
mantenere rapporti di cooperazione
con le aziende che sviluppano, producono e commercializzano farmaci
ed altri trattamenti, così come incoraggiare la comunicazione tra i pa-
zienti, di cui si rappresentano gli interessi, e le aziende, le cui decisioni
si ripercuoteranno sul trattamento
delle loro malattie”.
Queste linee guida, che dovranno
essere ulteriormente sviluppate e migliorate, chiariscono la posizione dell’Alliance rispetto alle organizzazioni
che ne fanno parte, all’industria ed al
pubblico. Le singole organizzazioni
dei malati possono adottarle ed
adattarle alle proprie necessità.
Per rendere efficaci queste linee guida,
tuttavia, sarebbe necessario esercitare
i dovuti controlli e applicare sanzioni,
ponendo il rispetto delle stesse come
condizione per far parte dell’Alliance,
ma questa è un’utopia.
Per esempio, un’importante
esponente dell’Alliance afferma: “i
prodotti che appaiono nel sito Internet del Diabetes UK non significa
che siano necessariamente validati
dal Diabetes UK”, aggiungendo che
“sarebbe giusto far pagare un’azienda con finalità commerciali che
desiderasse utilizzare il logo o il
marchio dell’Alliance o linkare il
proprio sito all’associazione”.
Box 1. I bisogni di breve (B), medio (M) e lungo termine (L)
Un’associazione di malati
necessita di aiuto attraverso:
(B) Piani di finanziamento:
esame delle persone e dei servizi resi disponibili.
(B) (M) Informazioni su trattamenti e diagnosi; produzione di materiali informativi.
(M) Pressioni politiche per
ottenere risorse finalizzate
all’aiuto di pazienti con specifici problemi e patologie.
(M) (L) Formazione e addestramento per raccolta fondi,
pubblicità, crescita/espansione.
(L) Finanziamenti.
Un’industria farmaceutica
vorrebbe che i pazienti la
sostenessero attraverso:
(B) (M) espansione del mercato:
• uso dei farmaci da parte di
tutti coloro che possono
beneficiarne;
• diagnosi più accurate e precoci della patologia per cui
il farmaco è indicato.
(B) (M) Utilizzo dei suoi prodotti piuttosto che di quelli
concorrenti.
(M) Pressioni contro politiche
governative restrittive e normative in campo sanitario.
(L) Immagine di impresa
dedita alla cura e socialmente
responsabile.
Ministero della Salute
Credibilità
U
n’associazione di self-help o di
malati rischia la propria credibilità se la sua immagine viene associata ad una o più aziende. La sua
indipendenza e il buon nome sono
meglio tutelati se sono note le fonti di
finanziamento, gli scopi per cui le
sovvenzioni sono utilizzate e qualsiasi
conflitto di interesse. Al momento
molte organizzazioni di volontariato
in campo sanitario forniscono assai
poche informazioni in merito alla loro
struttura e alle fonti di finanziamento,
ed alcune sono riluttanti ad affrontare
l’argomento. Le istituzioni di beneficenza che chiedono fondi alle
singole persone possono temere che
la conoscenza di ingenti contributi da
parte dell’industria possa ridurre le donazioni da parte dei singoli.
Le linee guida della Long Term
Medical Conditions Alliance “sono favorevoli all’utilizzo di consorzi di finanziamento formati da due o più
aziende dello stesso comparto industriale”, ma non prendono in considerazione se il finanziamento debba
essere limitato ad una piccola quota
del budget totale di un’associazione.
Se l’industria, direttamente o indirettamente, finanzia una larga parte
del budget, diciamo più del 20%, le
organizzazioni corrono il rischio di
diventarne dipendenti e ciò quantomeno influenzerà le loro politiche.
Un caso emblematico è rappresentato dalla Lymphoma Association,
una “charity” in qualche modo
legata alla Roche. Il portale
www.lymphoma.org.uk conduce
a due siti: /healthcare.htm per i
professionisti e /support per il
pubblico. Il primo, protetto da
password, “è stato realizzato grazie
ad un grant educazionale di Roche
Products” e contiene un link ad un
sito della Roche. Il secondo, liberamente accessibile, non menziona
mai la Roche. Un’unica agenzia gestisce entrambi i siti.
Ci sono stati esempi di aziende o di
172
DALLA LETTERATURA
Box 2. Linee guida di comportamento con l’industria farmaceutica
• La stessa LMCA accoglie finanziamenti da parte di
industrie o aziende farmaceutiche quando:
Rapporti con l’industria farmaceutica
• Le relazioni tra le organizzazioni di volontariato
in campo sanitario (VHO, dall’inglese “Voluntary
Health Organisation”) e le aziende farmaceutiche
possono e devono essere basate su rapporti di
parità. Entrambe le parti devono superare il concetto secondo cui le VHO sono meri ricettori passivi di denaro ed avviarsi verso una collaborazione finalizzata alla creazione di politiche di sviluppo ed attività condivise, nell’interesse dei
pazienti che le VHO rappresentano e nella salvaguardia della loro indipendenza.
- ritiene che ciò costituisca un beneficio per
la LMCA e per alcune delle organizzazioni
che ad essa fanno capo;
- nella persona del direttore, vi sia la certezza
che tali finanziamenti non si risolvono in
pubblicità negativa per la stessa LMCA; in
caso di dubbio, viene chiesto preliminarmente il parere alla Commissione di esperti
interna all’alleanza;
- il promotore del finanziamento non manifesti alcuna intenzione, implicita od esplicita, di influenzare le politiche o le attività
della LMCA.
• Ciascuna parte dovrebbe ricordare che le collaborazioni risultano proficue e di successo quando vi
sia un rendiconto positivo per entrambe; ed inoltre ognuna dovrebbe attuare ogni sforzo teso a
comprendere cultura interna ed eventuali pressioni esterne dell’altra.
• Il buon nome di una “charity” è il suo bene più
prezioso. Sia la normativa ad essa relativa sia le
migliori consuetudini vietano lo sfruttamento del
nome di una “charity” per scopi di altra natura. Il
nome della LMCA non può né deve essere utilizzato per fornire consenso o sostegno alle attività o
ai prodotti dei finanziatori senza che prima vi sia
stata l’approvazione scritta del direttore.
• Le VHO dovrebbero tenere in considerazione il
fatto che le industrie farmaceutiche necessitano
di profitti, così come hanno proprie strategie di
marketing, alle quali, comunque, nessuna VHO
dovrebbe mai sentirsi obbligata a conformarsi. I
finanziamenti dovrebbero venire rifiutati nel
caso in cui rischino di compromettere l’indipendenza della VHO.
Sostegno ai prodotti
• La LMCA non appoggia singole e specifiche terapie
in quanto le persone affette da patologie di lunga
durata hanno bisogno della più ampia gamma di
opzioni terapeutiche, per integrarle a seconda delle
loro necessità. Queste possono comprendere trattamenti farmacologici, terapie complementari, modifiche allo stile di vita e prodotti non-terapeutici.
Finanziamenti
• The Long Term Medical Conditions Alliance
(LMCA) incoraggia il sostegno tramite finanziamenti disponibili, nella misura in cui l’indipendenza della VHO non risulti compromessa in alcun
modo e purché i rapporti siano completamente trasparenti. Il ricorso a contratti per gli accordi tra le
parti favorisce il rispetto e la trasparenza.
• Sono incoraggiati i rapporti tra pazienti ed operatori
della salute e vengono stimolate discussioni in merito a tutte le opzioni terapeutiche disponibili, per promuovere scelte informate da parte del paziente.
• La LMCA disapprova quegli accordi che risultano
favorire, dal punto di vista competitivo, un’azienda
rispetto ad un’altra e, dove possibile, favorisce il
ricorso a consorzi finanziari composti da due o
più aziende della stessa industria.
• Se esistono più versioni di uno stesso farmaco, nelle
comunicazioni delle VHO ai pazienti, si fa riferimento sia al principio attivo sia ai nomi commerciali. Le pubblicazioni devono essere imparziali.
• Le iniziative di ricerca congiunte devono assicurare che l’indipendenza delle parti non venga
involontariamente meno e che le direttive
dell’Association of Medical Research Charity
siano rispettate.
• La LMCA appoggia la corretta concessione delle
licenze per i farmaci e ritiene che la vendita al
pubblico di prodotti terapeutici non farmacologici richieda analoghe regole e standard.
Ministero della Salute
bollettino d’informazione sui farmaci
173
ANNO X N. 3-4 2003
loro uffici relazioni con il pubblico
che hanno creato nuovi “gruppi di
pazienti”. Nel 1999 la Biogen ha
fondato Action for Access nel tentativo di indurre il Servizio Sanitario
Nazionale (NHS) a garantire la rimborsabilità dell’interferone beta per
la sclerosi multipla5. La Medicine
Control Agency ha bloccato questa
iniziativa considerandola una promozione illegale. Negli Stati Uniti
hanno avuto successo iniziative più
velate. La National Alliance for the
Mentally Ill, un’associazione di
malati con disagi mentali e relative
famiglie, tra il 1996 e il 1999 ha ricevuto quasi 12 milioni di dollari da
18 aziende farmaceutiche in primo
luogo da Eli Lilly6. L’organizzazione
promuove l’espansione sul territorio
nazionale del PACT (Program of assertive community treatment) che, in
base a una sentenza del tribunale,
prevede la consegna a domicilio di
farmaci psichiatrici.
Pressioni politiche
D
ue importanti federazioni internazionali, IAPO (International
Alliance of Patients’ Organisations) e
GAMIAN Europe (Global Alliance of
Mental Illness Advocacy), sono legate
all’industria farmaceutica in modo
assai palese. IAPO, registrata come
fondazione nei Paesi Bassi, è stata
fondata ed è finanziata da Pharmaceutical Partners for Better Healthcare,
un consorzio di circa 30 tra le più
importanti aziende; GAMIAN è stata
fondata dalla Bristol-Myers Squibb
(Gamian Europe se ne è poi separata). La Commissione Europea
preferisce avere come interlocutori
queste federazioni piuttosto che
gruppi di malati e consumatori, ovviamente perché, a differenza della
maggior parte delle organizzazioni di
volontariato in campo sanitario,
queste rivendicano di rappresentare
pazienti di molti paesi.
Nessuno dei due organismi rende
pubbliche le proprie fonti di finanziamento.
Con altre organizzazioni legate all’industria, queste federazioni hanno
premuto con successo sulla Commissione affinché proponesse al Parlamento Europeo di concedere all’industria la possibilità di fornire
direttamente ai consumatori “informazioni” sui medicinali che necessitano di prescrizione.
All’inizio del 2000 il direttore dell’Association of the British Pharmaceutical Industry (ABPI) aveva, in
privato, definito la campagna dell’associazione “accuratamente ben
congegnata”.
Il piano di battaglia della ABPI è
quello di “impiegare gruppi di
supporto ai pazienti, professionisti
sanitari ed opinion leader sensibili al
tema […], in grado di spostare il dibattito sul problema del paziente
informato. Questo avrà l’effetto di
indebolire le difese politiche, ideologiche e professionali […] Quindi
l’ABPI continuerà a battersi con determinazione su specifici problemi
regolatori sia a Whitehall sia a
Bruxelles”.
La battaglia è ancora in corso.
Conclusioni
L
a maggior parte delle organizzazioni dei malati è povera ed ha
pochi finanziamenti indipendenti.
Sovvenzioni da parte dell’industria
farmaceutica e progetti congiunti
con la stessa possono aiutarle a
crescere e a diventare più influenti,
ma anche a distorcere e snaturare i
loro programmi. Le relazioni con
l’industria devono quindi essere totalmente dichiarate e trasparenti,
senza falsi obiettivi.
La società nel complesso dovrebbe
fare di più affinché si dia ascolto alle
voci dei malati. Molte recenti iniziative nel NHS mostrano che questo
Ministero della Salute
avviene già, anche se dovrebbe essere
previsto qualche modesto finanziamento pubblico per le associazioni
dei malati. Tutto ciò sembra almeno
importante quanto il finanziamento
pubblico dei partiti politici e dovrebbe costare molto meno.
Nel frattempo le agenzie regolatorie
devono distinguere tra i gruppi di
malati indipendenti e quelli lautamente finanziati, tenendo ben
presente che molti gruppi sono ben
poca cosa e non possono essere rappresentativi.
Bibliografia
1. Hogan B. Pulling strings from afar: drug
industry finances non-profit groups that
claim to speak for older Americans.
AARP Bulletin 2003 February.
www.aarp.org/bulletin/departments/
2003/consumer/0205_consumer_1.htm
l (accesso verificato in maggio 2003).
2. Consumers’ Association. Who’s injecting the cash? Money from drugs
companies could do patient groups—
and patients—more harm than good.
Which? 2003 April: 24-5.
3. Help Guide to national self help groups. 9th ed. Blackpool: G-text, 2002.
4. LMCA Board of Trustees. Working with
the pharmaceutical industry. Guidelines
for voluntary health organisations on
developing a policy. June 2000.
www.lmca.org.uk/docs/pharmgds.htm
(accesso verificato in maggio 2003).
5. Boseley S. Drug firm asks public to
insist NHS buys its product. Guardian
1999 Sept 29.
6. Silverstein K. Prozac.org. Mother
Jones 1999 Nov-Dec.
www.motherjones.com/mother_jones/
ND99/outfront.html#name (accesso
verificato in maggio 2003).
7. Jeffries M. The mark of Zorro.
Pharmaceutical Marketing 2000
May: 4-5.
Conflitti di interesse: per più di 40
anni, AH si è sforzato di aiutare l’industria farmaceutica, con un singolare
modesto successo; ha lavorato per la
Consumers’ Association, Consumers
International, Health Action International e International Society of Drug
Bulletins. AH è co-fondatore di DIPEx
(www.dipex.org) e membro del
Cochrane Consumer Network.
174
SCHEDA
Scheda di segnalazione di sospetta
reazione avversa
(da compilarsi a cura del medico o farmacista)
N.B. È obbligatoria soltanto la compilazione dei seguenti campi: 2, 4, 7, 8, 12, 22, 24, 25
1
INIZIALI DEL PAZIENTE
2
3
7
DESCRIZIONE DELLE REAZIONI ED EVENTUALE DIAGNOSI*
ETÀ
4
SESSO
DATA D’INSORGENZA DELLA REAZIONE
5
6
ORIGINE ETNICA
8
CODICE MINISTERO
SALUTE:
GRAVITÀ DELLA REAZIONE
MORTE
HA PROVOCATO O HA PROLUNGATO
L'OSPEDALIZZAZIONE
HA PROVOCATO INVALIDITÀ GRAVE O
PERMANENTE
HA MESSO IN PERICOLO LA VITA DEL
PAZIENTE
10
ESITO:
RISOLTA
* NOTA: SE IL SEGNALATORE È UN FARMACISTA, RIPORTI SOLTANTO LA DESCRIZIONE DELLA REAZIONE AVVERSA, SE È UN MEDICO ANCHE
L’EVENTUALE DIAGNOSI
RISOLTA CON POSTUMI
9
ESAMI STRUMENTALI E/O DI LABORATORIO RILEVANTI
PERSISTENTE
MORTE:
11
DOVUTA ALLA REAZIONE AVVERSA
SPECIFICARE SE LA REAZIONE È PREVISTA NEL FOGLIO ILLUSTRATIVO
SI
NO
IL FARMACO POTREBBE AVER
CONTRIBUITO
NON DOVUTA AL FARMACO
COMMENTI SULLA RELAZIONE TRA FARMACO E REAZIONE
SCONOSCIUTO
INFORMAZIONI SUL FARMACO
12
13
FARMACO (I) SOSPETTO (I)
LA REAZIONE È MIGLIORATA DOPO LA
SOSPENSIONE DEL FARMACO?
NOME SPECIALITÀ MEDICINALE (*)
A)
SI
NO
B)
C)
* NEL CASO DI PRODOTTI BIOLOGICI INDICARE IL NUMERO DEL LOTTO
14
15
DOSAGGIO
IN VIA DI SOMMINISTRAZIONE
GIORNALIERO (I)
16
DURATA DELLA TERAPIA
DAL
A)
A)
A)
B)
B)
B)
C)
C)
C)
17
AL
SI
INDICAZIONI PER CUI IL FARMACO È STATO USATO
19
FARMACO (I) CONCOMITANTE (I) E DATA (E) DI SOMMINISTRAZIONE
20
CONDIZIONI CONCOMITANTI E PREDISPONENTI
NO
21
NO
DIR SANITARIA
MINISTERO DELLA SALUTE
INFORMAZIONI SUL SEGNALATORE
FONTE:
✂
MEDICO DI BASE
SPECIALISTA
OSPEDALIERO
FARMACISTA
ALTRO
23
NORME ED INDIRIZZO DEL MEDICO O FARMACISTA - NUMERO ISCRIZIONE
ORDINE PROFESSIONALE - PROVINCIA
24
DATA DI COMPILAZIONE
25
26
CODICE USL
27
Ministero della Salute
LA SCHEDA È STATA INVIATA ALLA:
AZIENDA PROD.
22
RICOMPARSA DEI SINTOMI
SI
18
RIPRESA DEL FARMACO
FIRMA
FIRMA
RESPONSABILE
USL
bollettino d’informazione sui farmaci
175
ANNO X N. 3-4 2003
INFORMAZIONI SULLA DITTA FARMACEUTICA
NOME E INDIRIZZO
FONTE DELLA SEGNALAZIONE
STUDIO CLINICO
LETTERATURA
PERSONALE SANITARIO
NUMERO DI REGISTRO
TIPO DI RAPPORTO
INIZIALE
SEGUITO DI ALTRO RAPPORTO
DATA IN CUI LA SEGNALAZIONE
E' PERVENUTA ALL'IMPRESA
DATA DI QUESTO RAPPORTO
Note sulla complilazione della
scheda di segnalazione
• Il campo N. 6 (codice Ministero della Salute)
non va compilato dal sanitario che segnala, ma
dall’Ufficio competente del Ministero della
Salute.
• Per ciò che attiene il campo N. 7, la descrizione
della reazione deve essere il più ampia possibile
e non limitarsi a pochi termini, cioè la descrizione dell’evento avverso dovrebbe, per
quanto possibile, non coincidere con la
diagnosi.
• Il campo N. 8 è stato inserito come obbligatorio
in quanto, dato che da alcune segnalazioni originano poi interventi incisivi per la salute
pubblica, è di fondamentale importanza conoscere il livello di gravità della reazione stessa.
Ovviamente, se la segnalazione si riferisce a
reazioni non gravi il segnalatore può scegliere
se scrivere non grave o non applicabile, sbarrare
l’intero campo, o semplicemente lasciarlo in
bianco.
• Il campo N. 11 è anch’esso importantissimo, in
quanto la menzione o meno della reazione
avversa nel foglio illustrativo, e di conseguenza
nella scheda tecnica permette al Ministero della
Salute di classificare tale reazione come inaspettata o meno. Ciò è particolarmente utile nel
caso vada avviata una procedura d’urgenza di
variazione degli stampati. Sempre in questo
stesso campo è riportata la richiesta di
commenti sulla possibile relazione tra l’assunzione del farmaco e l’insorgenza della
reazione avversa. In questo caso è opportuno rispondere dopo aver compiuto opportune verifiche (consultazione degli stampati e di testi
scientifici, follow-up, esami di laboratorio).
• il campo N. 21 serve soprattutto ad evitare le
duplicazioni in caso la scheda sia stata spedita
a più destinatari (Az. Usl, industria farmaceutica, ecc.).
• Il campo N. 27 va firmato dal responsabile del
servizio farmacovigilanza della Usl dopo che
questi ha controllato la congruità della segnalazione stessa. In caso la segnalazione risultasse
mancante di elementi importanti, è auspicabile che il responsabile suddetto si adoperi
per acquisirne il più possibile.
• Per quanto riguarda il retro della scheda si fa
presente che esso va compilato dall’Azienda titolare dell’Autorizzazione all’Immissione in
Commercio, e non da chi riporta né dalla Usl.
Informiamo i lettori che è stata già approvata la nuova
scheda di segnalazione di reazione avversa unificata
per farmaci e vaccini e che sarà pubblicata sul BIF non
appena entrerà in vigore.
Ministero della Salute
176
GLOSSARIO
Glossario
EER (Experimental Event Rate)
Numero percentuale di eventi osservato nel
gruppo randomizzato al trattamento in sperimentazione.
rischio di base nei controlli è basso (<10%); se il
rischio di base è alto, OR tende a valori costantemente più lontani dall'unità rispetto a RRR.
Per varie ragioni, compresa la scarsa comprensione dei clinici, l'uso di OR dovrebbe essere
abbandonato, e difatti OR non è più riportata
nel glossario di Best Evidence (BMJ) e di ACP
Journal Club (Ann Intern Med).
CER (Control Event Rate)
Numero percentuale di eventi osservato nel
gruppo di controllo.
IC 95% (Intervallo di confidenza 95%)
Il concetto di base è che gli studi (RCTs, metaanalisi) informano su un risultato valido per il
campione di pazienti preso in esame, e non per
l'intera popolazione; l'intervallo di confidenza al
95% può essere definito (con qualche imprecisione) come il range di valori entro cui è contenuto, con una probabilità del 95%, il valore
reale, valido per l'intera popolazione di pazienti.
➤ INDICATORI DI AUMENTO DELLA
PROBABILITÀ DI EVENTI FAVOREVOLI
ABI (Absolute Benefit Increase)
Aumento assoluto del beneficio terapeutico nei
pazienti randomizzati al trattamento sperimentale rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [EER - CER].
NNT (Number Needed to Treat)
Numero di pazienti da trattare per ottenere un
beneficio terapeutico in un paziente.
Corrisponde alla formula: [100/ABI].
➤ INDICATORI DI RIDUZIONE DEL RISCHIO
DI EVENTI SFAVOREVOLI
ARR (Absolute Risk Reduction)
Riduzione assoluta del rischio di un evento sfavorevole nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto a quelli di controllo. Corrisponde alla formula: [CER - EER].
RBI (Relative Benefit Increase)
Aumento relativo del beneficio terapeutico nei
pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. RBI corrisponde
alla formula: [EER – CER]/CER.
NNT (Number Needed to Treat)
Numero di pazienti che devono essere trattati
per prevenire un evento. Corrisponde alla formula: [1/ARR], arrotondando per eccesso al
numero intero.
➤ INDICATORI DI AUMENTO DEL RISCHIO DI
EVENTI SFAVOREVOLI
ARI (Absolute Risk Increase)
Aumento assoluto del rischio di una reazione
avversa nei pazienti che ricevono il trattamento
sperimentale rispetto ai controlli. ARI corrisponde alla formula: [EER – CER].
RRR (Relative Risk Reduction)
Riduzione relativa del rischio di un evento sfavorevole nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli.
Corrisponde al rapporto: [CER – EER]/CER.
NNH (Number Needed to Harm)
Numero di pazienti che devono sottoporsi al
trattamento perché si manifesti una reazione
avversa. Corrisponde alla formula: [100/ARI]
arrotondando per eccesso al numero intero.
OR (Odds Ratio)
Rapporto fra la probabilità di un evento nei
pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione e la probabilità nei pazienti di controllo. È un altro indice di riduzione relativa del
rischio di un evento nei pazienti randomizzati al
trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli, e corrisponde alla formula:
[EER / 1 - EER] / [CER / 1 - CER]
OR è approssimativamente uguale a RRR se il
RRI (Relative Risk Increase)
Aumento relativo del rischio di una reazione
avversa nei pazienti che ricevono il trattamento
in sperimentazione rispetto ai controlli.
Corrisponde alla formula: [EER – CER ]/CER.
Ministero della Salute
FARMACOVIGILANZA news,
UN NUOVO STRUMENTO NATO NELL’AMBITO DELL’INFORMAZIONE SUI FARMACI,
UTILE PER GLI OPERATORI DELLA FARMACOVIGILANZA
E SPECIFICO PER GLI AGGIORNAMENTI RELATIVI AI RISCHI LEGATI
ALL’UTILIZZO DEI MEDICINALI.
3