bollettino d’informazione sui farmaci ANNO X - N. 3-4 - 2003 ANNO X N.3-4 MAGGIO-AGOSTO 2003 Bimestrale - Sped. in abb. postale art.2 Comma 20/C - Legge 662/96 - Filiale di Roma EDITORIALE 113 Etica dell’informazione indipendente sui farmaci BIMESTRALE DEL MINISTERO DELLA SALUTE DALLA LETTERATURA 145 L’informazione proveniente dalle aziende farmaceutiche e gli opinion leaders PANORAMI E PERCORSI 119 Come utilizzare i farmaci analgesici oppiacei 147 Sponsorizzazione da parte dell’industria farmaceutica ed esiti e qualità della ricerca: una revisione sistematica FARMACOVIGILANZA 125 Dear Doctor Letter 148 Evidence b(i)ased medicine. Informazione selettiva sugli studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica: revisione degli studi allegati alle domande di autorizzazione all’ammissione in commercio di nuovi farmaci • Repaglinide (Novonorm®-Prandin®) e gemfibrozil • Ketek® AGGIORNAMENTI 127 La medicina basata sull’evidenza (evidence-based medicine, EBM). L’uso della letteratura scientifica nella medicina clinica ATTIVITÁ EDITORIALI DALLA DIREZIONE GENERALE 138 Clinical Evidence: un utile supporto informativo per i medici? I risultati di uno studio realizzato in dieci regioni italiane 143 Guida all’uso dei farmaci per i bambini 150 Come ballare con i porcospini: regole e linee guida dei rapporti tra medici e aziende farmaceutiche 153 Come possono i comitati etici proteggere al meglio i pazienti coinvolti in sperimentazioni cliniche? 157 Riviste mediche e industrie farmaceutiche: amanti a disagio 158 La stampa muore, viva la stampa 164 Editoria condizionata sì, ma da cosa? 167 Una malsana manipolazione dei fatti 169 Rapporti tra industria farmaceutica e associazioni di malati LE CON INSERTO STACCABI IMENTAZIONE DEL BOLLETTINO DI SPER I IN ITALIA CLINICA DEI MEDICINAL MINISTERO DELLA SALUTE DIREZIONE GENERALE DEI FARMACI E DEI DISPOSITIVI MEDICI bollettino d’informazione sui farmaci BIMESTRALE DEL MINISTERO DELLA SALUTE Direttore responsabile Nello Martini Redazione editoriale Il Pensiero Scientifico Editore Via Bradano 3/c, 00199 Roma Direttore scientifico Antonio Addis Tel. (06) 862821 Fax (06) 86282250 [email protected] Comitato scientifico Francantonio Bertè Marco Bobbio Fausto Bodini Franca De Lazzari Albano Del Favero Nicola Montanaro Luigi Pagliaro Paolo Preziosi Alessandro Rosselli Alessandro Tagliamonte Gianni Tognoni Francesca Tosolini Massimo Valsecchi Redazione Gabriella R.A. Adamo Elisabetta Neri Linda Pierattini Francesca Rocchi Carmela Santuccio Valeria Severi Segreteria di Redazione Monica Pirri Comunicazioni e osservazioni al Bollettino dovranno essere inoltrate presso: www.pensiero.it Responsabile: Manuela Baroncini Progetto grafico ed impaginazione Doppiosegno snc Stampa Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Eventuali incongruenze cronologiche tra il materiale citato e la data di pubblicazione del BIF sono dovute alla numerazione in arretrato del Bollettino. Fa testo la data di chiusura in tipografia. © Ministero della Salute La riproduzione e la divulgazione dei contenuti del BIF sono consentite fatta salvo la citazione della fonte ed il rispetto dell’integrità dei dati utilizzati. Questo numero è stato chiuso in settembre 2003. Redazione Bollettino d’Informazione sui Farmaci Direzione Generale dei Farmaci e dei Dispositivi Medici Ministero della Salute Viale della Civiltà Romana, 7 00144 Roma Fax 06 59943117 [email protected] Le comunicazioni relative a variazioni di indirizzo dovranno riportare nome, cognome e nuovo indirizzo del destinatario, ed essere preferibilmente accompagnate dall’etichetta allegata ad una delle copie ricevute, in cui figurano codice, nome, cognome e vecchio indirizzo del destinatario stesso. A questo numero, oltre ai componenti del comitato scientifico e della redazione, hanno contribuito: L. Covino, L. De Fiore, P. Dri, G. Formoso, A. Liberati, A.R. Marra, L. Moja, F. Nonino, R. Satolli. bollettino d’informazione sui farmaci 113 EDITORIALE Etica dell’informazione indipendente sui farmaci Una corretta informazione sui farmaci è un fattore essenziale per una pratica clinica efficiente. Affermazioni simili fanno da cappello a così tanti testi dedicati al tema dell’informazione sui farmaci che risulta difficile pensare che non si tratti di un dettato ormai assodato e generalmente condiviso. Eppure, per quanto tutto ciò appaia scontato, non è semplice affrontare questo tema mettendo pienamente a fuoco bisogni e limiti che impediscono l’accessibilità ad un’informazione indipendente. Purtroppo, la recente cronaca insegna che il rischio della distorsione dei messaggi sul corretto utilizzo dei farmaci diventa evidente solamente nei casi di maggiore emergenza. Tutto ciò alimenta nel settore un clima di forte diffidenza che costringe alla ricerca di soluzioni in provvedimenti estremi1. In questo ambito diventa importante riprendere il tema dell’informazione trasparente e scientificamente valida, che deve essere nettamente differenziata dalla promozione dell’industria e dalle strategie di mercato e riproporre la necessità di fare il punto sulla normativa che riguarda l’informazione scientifica, disciplinata dal decreto legislativo 541 del 30.12.1992. Il D.lgs. 541 aveva recepito la direttiva 92/28/CEE, concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano e aveva avuto il merito di regolamentare i rapporti tra industrie farmaceutiche, informatori scientifici, farmacisti, medici e pubblico, modificando un certo malcostume, allora vigente; col tempo però sono sorte alcune difficoltà di applicazione e si è assistito a sempre più frequenti tentativi di allargarne le maglie interpretative; a distanza di 10 anni, è necessario uno sforzo comune per adeguare la legge alle mutate esigenze, per impedire che si riproduca una nuova condizione di malcostume, che umilia la professione medica, penalizza le industrie che non si adeguano a comportamenti eticamente dubbi ed espone il Ministero alla critica di non saper vigilare. Sinteticamente la legge regolamenta: • la pubblicità presso il pubblico (articoli 3,4,5,6); • la pubblicità verso operatori sanitari (articoli 7,8); • i requisiti che devono avere gli informatori scientifici (articolo 9); • le modalità per la concessione di premi o vantaggi pecuniari (articolo 11); • l’organizzazione di congressi riguardanti i medicinali (articolo 12); • la dispensazione di campioni gratuiti (articolo 13). Il tema dell’informazione corretta sui farmaci, e di tutti i problemi ad esso connessi (conflitto di interesse, autorevolezza delle fonti, utilità ed efficacia dell’informazione, ecc.), può essere sintetizzato a seconda della prospettiva, in molte maniere, ma per quanto ci riguarda si tratta soprattutto di trovare una precisa definizione dell’informazione indipendente sui farmaci. Questi termini però non bastano più a descrivere i limiti, i problemi e le eventuali proposte che riguardano il settore. A riprova di quanto detto basti pensare quante volte la stessa definizione viene associata alla conseguente domanda: indipendente da chi? da quali interessi? di mercato, di risparmio, di prestigio accademico, di difesa dei ruoli professionali…? La lista dei punti di domanda potrebbe evidentemente continuare. Tenendo conto del suo mandato di informazione sul farmaco e soprattutto di documentazione, il BIF vuole dare il suo contributo per stimolare riflessioni e dibattiti, a fronte anche di quanto recentemente apparso in letteratura sul tema: a tale proposito si vedano all’interno di questo numero (pag. 145) alcuni estratti da un recente numero del British Medical Journal, quasi interamente dedicato al tema dell’informazione scientifica e dei problemi ad essa connessi. Ciò innanzitutto per chiarire che il tema del conflitto di interessi nell’informazione scientifica – ed in particolar modo quella dedicata al farmaco – non è confinato ad una realtà nazionale ma coinvolge in maniera globale l’intera società scientifica. In generale, i Servizi Sanitari Nazionali, pur in- Ministero della Salute 114 EDITORIALE dividuando l’informazione sui farmaci come una parte importante della crescita professionale degli operatori sanitari, contano sulla formazione universitaria. Nella realtà pratica l’aggiornamento è stato svolto prevalentemente dal settore privato e dall’industria farmaceutica. Solo recentemente l’informazione è stata individuata come un elemento strategico e di governo per la razionalizzazione dell’utilizzo dei farmaci. Da ciò è nata la possibilità di finanziare progetti di informazione e formazione specifici utili a osservare, comunicare e quindi in-formare gli operatori della salute riguardo il pianeta farmaco. Si è passati quindi da un’informazione di tipo prettamente burocratico/regolatorio ad una di tipo più scientifico/divulgativo, dando spazio ad attività che hanno avuto come primo obiettivo quello di elevare gli standard di riferimento. Per fare questo bisognava necessariamente allontanarsi dal linguaggio della gazzetta ufficiale e rifarsi piuttosto a quello dei Drug Therapeutic Bulletins più autorevoli. Quanto detto ha evidentemente a che vedere con gli strumenti di informazione, quale è questo stesso bollettino, ma non solo. Infatti l’etica dell’informazione passa immancabilmente anche attraverso codici e regolamentazioni condivise. A questo proposito (vedi box p. 115) il Ministero della Salute ha fatto una proposta concreta che poi è stata condivisa da tutti gli attori principali e rappresenta il primo passo per un aggiornamento della legge che regolamenta tutto il settore dell’informazione medico-scientifica (Legge 541/92). Per quanto si tratti di principi generali, già da questi primi passi si individua la volontà di fare maggiore chiarezza tra tutto ciò che è promozione e quanto invece possiamo reputare informazione. Tutto ciò vale quindi come premessa ad una informazione indipendente sui farmaci che sia in realtà strettamente legata (dipendente!) da un’etica dell’osservazione della comunicazione e della in-formazione. Occorre quindi verificare per ognuno di questi punti lo stato dell’arte e i limiti delle risorse messe in campo fino ad ora dallo stesso Ministero della Salute. minare alla fonte il dato su cui si basa l’eventuale intervento terapeutico. In questo senso occorre che venga riconosciuta all’osservazione un suo valore, indipendentemente da come lo sponsor ne valuta l’impatto sull’utente finale2. La preferenza dell’informazione per i dati positivi rispetto a quelli negativi è solo uno degli aspetti delle possibili distorsioni dell’osservazione. Infatti a ciò si aggiungono la duplicazione delle pubblicazioni, la selezione dei risultati all’interno dei protocolli o la scelta di controlli artificiosi e poco legati con veri standard di riferimento. Il presente numero riporta nella sezione dalla Letteratura degli esempi di studi al riguardo (pag. 145). Per quanto riguarda l’analisi di quanto è già stato fatto è utile ricordare l’impegno del Ministero della Salute nella costituzione degli Osservatori Nazionali sulle sperimentazioni (OsSC)3 e sull’uso dei medicinali (OsMed). Questi ultimi si pongono come obiettivo proprio quello di rendere espliciti e trasparenti i principali dati che definiscono questa area (utilizzo e sperimentazione dei farmaci). La disponibilità di una fonte autorevole ed ufficiale dei dati è un punto essenziale e irrinunciabile non solo nell’ottica del controllo ma più utilmente per il monitoraggio dell’appropriatezza prescrittiva e di sperimentazione in risposta ai reali bisogni terapeutici del paziente. In pratica la corretta osservazione dell’utilizzo dei medicinali ci permette di verificare quanto le recenti acquisizioni della farmacoterapia si stiano trasferendo nel mondo reale4,5. • Comunicare. È noto che vi sono diverse maniere per influenzare il medico prescrittore e l’operatore sanitario nella scelta di un farmaco piuttosto di un altro. Tempo fa uno studio identificò almeno 16 maniere con cui i medici possono subire la pressione del mercato nell’ambito delle loro scelte6. La letteratura scientifica è ricca di esempi che documentano quanto i messaggi informativi vengono comunicati in maniera differente a seconda dell’audience a cui ci si rivolge (specialista, medico, paziente)7,8. È difficile trovare una società scientifica che non si sia posta il problema di autoregolamentarsi nell’ambito della comunicazione e la maggior parte dei codici risponde a criteri condivisibili e simili a quanto di recente lo stesso Ministero ha reso pubblico (vedi box pag. 145). Tuttavia non vi • Osservare. Negli ultimi anni non mancano certo ricerche e referenze che sottolineino quanto una corretta informazione è vincolata ad una osservazione che abbia un fondamento etico. Altrimenti si perde il presupposto oggettivo e le distorsioni non possono che Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 115 ANNO X N. 3-4 2003 MANIFESTO SUI PRINCIPI ETICI DELL’INFORMAZIONE SCIENTIFICA SUI FARMACI SU PROPOSTA DEL MINISTRO DELLA SALUTE ■ Gli attori, che sottoscrivono il presente Manifesto etico, concordano sui seguenti punti: ai pazienti affinché essi comprendano medici dipende in larga misura la cor- bene vantaggi e svantaggi che possono rettezza dell’informazione e della pre- derivare dal suo uso ed essere pronti nel scrizione che ne deriva e rifiutano qua- 1. il farmaco rappresenta uno strumento segnalare eventuali reazioni avverse al lunque condizionamento che possa indispensabile a preservare o ripristinare medico non appena queste insorgano. È esercitare sulla prescrizione effetti di- la salute (gran parte dei brillanti risultati necessario che al paziente venga storsivi. Rifiutano altresì, conte- della moderna medicina è riferibile ai spiegato dal medico curante e dalle Isti- stualmente alle Aziende, di utilizzare farmaci che continuamente vengono tuzioni che l’eccessivo uso dei farmaci è risorse per fini non connessi alla corretta messi in commercio). La ricerca nel- dannoso alla salute e che l’impropria eli- illustrazione delle caratteristiche tecnico- l’ambito farmaceutico, atta ad esaltarne minazione dei farmaci, oltre ad un danno scientifiche del farmaco, al suo uso più gli effetti positivi e a ridurne quelli ne- economico, può comportare inqui- appropriato, nonché all’educazione gativi, è fondamentale per il benessere namento dell’ambiente con ulteriori continua del medico, ed in particolare rischi per la salute. per strumenti volti a condizionarne im- dell’umanità. Il farmaco è quindi un valore riconosciuto da tutta la comunità 4. Il medico utilizzerà i farmaci solo sulla propriamente la prescrizione. base di una documentazione e di un’e- 7. I distributori farmaceutici e le loro asso- 2. Il buon uso del farmaco è fondamentale videnza scientifica e non subirà pressioni ciazioni devono garantire il servizio di per garantire il valore di cui al punto 1 di nessun altro genere che non siano buona conservazione e distribuzione dei e ogni distorsione o inappropriatezza quelle legate agli interessi del paziente. medicinali, essenziale per la tutela della clinica comunque generata circa il suo 5. Il farmacista si impegnerà a: informare salute pubblica. In particolare, essi uso va contrastata con decisione, sia essa correttamente i prescrittori e i pazienti devono assicurare in maniera capillare e originata da scarsa informazione o da al momento della consegna del tempestiva il pieno assortimento ed il comportamenti non trasparenti. Oltre farmaco, anche rispondendo a flusso costante dalla produzione alle che provocare danni alla salute, il cattivo eventuali quesiti, in merito alle modalità farmacie, secondo il sistema di qualità uso del farmaco può comportare costi di utilizzo e di conservazione del me- previsto dalle norme di legge. impropri al SSN e dirottare risorse che desimo, segnalando possibili effetti col- 8. Tutti i firmatari del presente Manifesto potrebbero essere altrimenti impiegate a laterali, interazioni e controindicazioni sono consci che ogni comportamento beneficio dei malati. Il marketing, pur rilevanti; promuovere, in generale, che si discosti dai punti qui sopra rappresentando un valore per il settore un’educazione al corretto uso, conser- elencati costituisce una grave violazione farmaceutico, è subordinato al principio vazione e smaltimento dei medicinali; degli interessi di tutti gli attori che lo che il farmaco è un bene etico e quindi favorire l’uso dei farmaci meno costosi sottoscrivono, un danno per i pazienti l’interesse del paziente è assolutamente a parità di principio attivo, che de- ed un’azione contraria alle finalità del prioritario rispetto ad altri interessi. termina un risparmio per la collettività Servizio Sanitario e si impegnano quindi senza ridurre il livello di assistenza. ad operare, in base alla loro com- scientifica e laica. 3. I medici e i farmacisti hanno la necessità di ricevere una puntuale informazione sui 6. I produttori di medicinali e le loro asso- petenza e alle loro possibilità, per creare farmaci in commercio e sui farmaci ciazioni, pur nel legittimo perse- le condizioni idonee alla applicazione di nuovi, così da curare al meglio i propri guimento di obiettivi di sviluppo indu- questi principi e, altresì a contrastare pazienti ed evitare possibili effetti avversi. striale, condividono la necessità di qualsiasi comportamento non consono Per questo motivo essi si impegnano ad un’informazione trasparente e scientifi- ai principi stessi. Le parti firmatarie si im- esercitare la farmacovigilanza intra ed camente valida che aiuti il medico nel- pegnano ad evitare di porre in atto extra-ospedaliera secondo le modalità l’esercizio della sua professione con la fi- rapporti che possano costituire conflitti previste dalla legge, mantenendo anche nalità unica e condivisa di giovare al di interesse. uno stretto rapporto con le Istituzioni paziente, in base ad un proprio codice (Regione, Ministero della Salute), così deontologico, del quale riconfermano la che l’informazione raggiunga rapi- validità e si impegnano a non utilizzare damente tutti i nodi strategici del paese nessuno strumento che possa influire ed internazionali onde prevenire possibili sulla prescrizione dei medici, che non sia danni ai pazienti. La prescrizione e la di- basata sull’appropriatezza scientifica. Gli spensazione del farmaco devono essere informatori scientifici sono consci che corredate da un’adeguata informazione dal loro quotidiano rapporto con i Ministero della Salute Letto, firmato e sottoscritto. ADF; ANAAO Assomed; ANPO; ASSOFARM; ASSOGENERICI; CIMO-ASMD; FARMINDUSTRIA; FEDERFARMA; FEDERFARMA SERVIZI; FIMMG; FOFI; SIFO; SIMMG. Roma, 30 aprile 2003 116 EDITORIALE sono adeguati strumenti di verifica e valutazione della reale applicazione di queste regole. In Italia si sconta, in questo senso, soprattutto l’asimmetria di una comunicazione che conta diverse migliaia di professionisti, portatori di messaggi promozionali e di una quota di mercato dedicata alla promozione che non è paragonabile agli investimenti pubblici. In questo contesto il Ministero della Salute ha cercato di rendere disponibili gli strumenti di informazione di provata autorevolezza e capaci di garantire le fonti: la Guida all’uso dei farmaci, Clinical Evidence, Farmacovigilanza news, la Guida all’uso dei farmaci per i bambini sono alcuni degli esempi concreti di tale sforzo. A ciò si aggiunge la crescita di un numero verde in termini di gestione delle emergenze informative (per esempio, cerivastatina, sibutramina) e della disponibilità di risorse via Internet (www.bif-online.it). Per ora queste esperienze hanno risposto ad una logica di riorganizzazione interna della Direzione Generale dei Farmaci e dei Dispositivi Medici, ma dovranno in futuro svilupparsi in una rete di centri di informazione collegati fra loro ma indipendenti nella capacità di sviluppare progetti autonomi di informazione. dei modelli che aiutino a definire i requisiti minimi necessari per ottenere una (in)formazione con contenuti autorevoli, facilmente aggiornabili e che permettano un legame stretto con la pratica clinica. Nonostante i limiti dell’informazione fornita dalle aziende bisogna riconoscere che l’industria farmaceutica ha contribuito in questi anni in modo pressoché assoluto all’aggiornamento medico, vicariando una macroscopica carenza di iniziative da parte delle regioni, delle aziende sanitarie e ospedaliere, che non hanno fondi adeguati e non sanno gestire proficuamente quelli disponibili. Le industrie non hanno finanziato soltanto l’organizzazione e la partecipazione a congressi propri, ma anche a congressi delle società scientifiche nazionali e internazionali, e non hanno fornito ai medici soltanto materiale propagandistico di propria produzione, ma anche materiale scientifico (testi, trattati, rassegne, articoli, CD-Rom) di origine non sospetta. Però lo squilibrio tra la povertà delle iniziative pubbliche e la ricca e variegata offerta di allettanti proposte delle industrie farmaceutiche espone i medici a una formazione parziale, interessata e talvolta non utile al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). In effetti il doppio mandato di rispettare le aspettative degli azionisti (mercato) con gli impegni di operare per il bene comune (salute pubblica) è un presupposto su cui è difficile trovare un corretto equilibrio9. Bisogna pertanto ripartire su un nuovo livello, assicurando all’industria il diritto alla propaganda dei propri prodotti, ma soprattutto garantendo al personale del SSN un aggiornamento e una formazione indipendente che risponda alle esigenze delle aziende sanitarie e ospedaliere. Il fulcro intorno al quale dovrà ruotare la nuova normativa è pertanto quello di separare l’informazione dalla propaganda, in modo che si possano distinguere le iniziative culturali da quelle commerciali. Nessuno può mettere in discussione il fatto che il personale sanitario merita e ha bisogno di un aggiornamento autonomo e indipendente. Le diverse iniziative del Ministero non risolvono di per sé il problema di un’informazione indipendente sui farmaci. Negli ultimi anni si è però cercato di trovare una migliore definizione dei percorsi che abbiano come orizzonte una informazione sui farmaci indipendente. Molte delle problematiche sopraesposte avranno una • Informare. L’informazione sul farmaco deve necessariamente avere come obiettivo quello di una crescita culturale negli operatori sanitari e nel paziente ma come tale necessità di un impegno continuo per l’aggiornamento. In Italia stiamo solo recentemente acquisendo un approccio che vede la professionalità dell’operatore sanitario vincolata alla formazione continua. In questo senso la (in)formazione necessita di professionalità specifiche e che abbiano la missione di fornire continuamente dati ed aggiornamenti utili alla pratica clinica. L’efficienza di queste figure non può ovviamente essere misurata sulla base del numero di farmaci che vengono venduti ma dovrebbe misurarsi sul grado di aggiornamento e informazioni utili trasmessi al prescrittore e/o operatore sanitario. In questo ambito alcune delle iniziative editoriali della Direzione Generale dei Farmaci e dei Dispositivi Medici sono sotto esame per l’eventuale trasformazione in contenuti utili alla educazione medica continua. Anche in questo caso potrebbe essere utile sviluppare Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 117 ANNO X N. 3-4 2003 maggiore probabilità di risoluzione quando si avrà chiaro che l’etica di un’informazione sul farmaco è vincolata alla crescita di professionalità specifiche. In questo senso occorre uno sforzo nel pubblico e nel privato che coinvolga tutti gli operatori del settore, tenendo conto che questo tipo di servizio va inteso come una parte di un investimento più complessivo e che risponde al diritto di cura del paziente. Bibliografia 1. D. lgs. del 3 marzo 2003 n°32. Disposizioni urgenti per contrastare gli illeciti nel settore sanitario (GU, Serie Generale, 4 marzo 2003 n°52). 2. Antes G, Chalmers I. Under-reporting of clinical trial is unethical. Lancet 2003; 361: 978. 3. Martini N, Tomino C, Liberati A. Role of a research ethics committee in follow-up and publication of results. Lancet 2003; 361: 2246. 4. Ministero della Salute. Osservatorio sulle Sperimentazioni Cliniche. La sperimentazione clinica dei medicinali. 2° Rapporto Nazionale 2002. Poligrafico dello Stato. Roma 2002. 5. Ministero della Salute. Osservatorio sull’uso dei medicinali. L’uso dei Medicinali in Italia. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2003. 6. Melander H, Ahlqvist-Rastad J, Meijer G, Beermann B. Evidence b(i)ased medicine – selective reporting from studies sponsored by pharmaceutical industry: review of studies in new drug applications. BMJ 2003; 326:1171-3. 7. Moynihan R. Who pays for the pizza? Redefining the relationship between doctors and drug companies. 1: Entanglement. BMJ 2003; 326:1189-92. 8. Liberati A, Magrini N. Information from drug companies and opinion leaders. BMJ 2003; 326:1156-7. 9. Dukes MNG. Accountability of the pharmaceutical industry. Lancet 2002; 360:1682-4. a proposito di… Nimesulide Il rischio di epatopatie associate all’uso di nimesulide e di altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) sembra essere tutto sommato basso. Questo è quanto emerge da uno studio di coorte realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità e recentemente pubblicato sul British Medical Journal (BMJ 2003;327:18-22). Si tratta del più grosso studio osservazionale sul rischio di epatotossicità legato all’uso di nimesulide finora realizzato e che ha monitorato per 5 anni (1997-2001) le prescrizioni di farmaci antinfiammatori non steroidei in Umbria. Le preoccupazioni legate all’uso di questo FANS avevano portato alcuni paesi europei (Finlandia e Spagna) a ritirare il farmaco dal commercio a causa di danni provocati al fegato rilevati dall’esame delle segnalazioni spontanee. Il nuovo studio ha evidenziato che l’incidenza di epatotossicità associata a questo farmaco è di poco più elevata rispetto agli altri antinfiammatori non steroidei, e che comunque il più importante fattore di rischio di epatopatie rimane l’età. Ministero della Salute Un’informazione pubblica, indipendente e aggiornata Direzione e redazione scientifica Direzione Generale dei Farmaci e dei Dispositivi Medici Ministero della Salute viale della Civiltà Romana 7 • 00144 Roma Tel 0659943085 • Fax 0659943117 www.ministerosalute.it [email protected] bollettino d’informazione sui farmaci 119 PANORAMI E PERCORSI Come utilizzare i farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore Al fine di facilitare la prescrizione e l’impiego dei farmaci oppiacei e di supportare gli operatori sanitari, negli ultimi anni è stata effettuata una serie di interventi normativi. La modifica sostanziale è avvenuta in seguito all’emanazione della Legge 8 febbraio 2001 n.12, che ha previsto semplificazioni delle modalità prescrittive per dieci farmaci ritenuti essenziali per il trattamento del dolore (vedi box) ed ha abolito le sanzioni precedentemente previste a carico del medico, nel caso incorresse in errori di compilazione della ricetta. Successivamente, è stato approvato il nuovo modello di ricetta4 con il quale il medico ha avuto la possibilità di prescrivere anche due farmaci analgesici oppiacei diversi tra loro per coprire cicli di terapia fino a trenta giorni. Nonostante l’introduzione di queste sostanziali modifiche, nel nostro paese l’impiego degli oppiacei è rimasto inadeguato al reale bisogno. Pertanto, il Ministero della Salute ha ritenuto di emanare un nuovo decreto5 per apportare ulteriori semplificazioni che si sono focalizzate sulla modalità di prescrizione farmaceutica degli oppiacei, in modo da renderla uniforme a quella di un comune farmaco non sottoposto alla normativa sugli stupefacenti. I principali cambiamenti introdotti con il D.M. 4 aprile 2003 sono di seguito elencati: Il trattamento del dolore oncologico rappresenta un grave problema di salute pubblica in tutto il mondo e si calcola che ogni anno siano 10 milioni i nuovi casi di cancro e 6 milioni i decessi per questa malattia1. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha evidenziato che la maggior parte dei casi di dolore oncologico potrebbe essere trattata applicando le opportune terapie che derivano dall’evoluzione delle conoscenze mediche2. Purtroppo, nonostante le indicazioni fornite dall’OMS, i pazienti affetti da grave dolore non sempre sono curati con le opportune terapie farmacologiche e ciò costituisce una negazione del diritto degli individui di alleviare la propria sofferenza. In diverse sedi è stato ribadito come i governi dei singoli paesi abbiano il dovere morale di garantire agli operatori gli strumenti per poter mettere in atto le indicazioni dell’OMS. Questo vale soprattutto nei paesi industrializzati dove le lacune dei trattamenti possono essere colmate con l’educazione del personale sanitario e agevolando l’accesso ai farmaci analgesici oppiacei. Alla luce di recenti analisi sul consumo dei farmaci oppiacei, l’Italia risulta essere un paese che non risponde ai reali bisogni dei pazienti affetti da dolore severo in corso di patologie neoplastiche o degenerative, negando loro il giusto sollievo, in particolare nella fase terminale. Lo scarso utilizzo di farmaci oppiacei è dovuto a diversi fattori ed in particolare alle norme legislative molto restrittive che hanno reso difficile il giusto accesso a tali farmaci, riducendo nel contempo la possibilità, da parte dei medici, di svilupparne le conoscenze e gli usi in terapia. Infatti, fino ad oggi, i farmaci oppiacei potevano essere prescritti esclusivamente con la speciale ricetta ministeriale, da compilarsi con inchiostro indelebile ed indicando sia il medicinale sia la posologia. Inoltre, gli stessi medicinali non potevano coprire un periodo superiore ad otto giorni di terapia; in caso di mancata osservanza di tali norme, il medico rischiava di incorrere in gravi sanzioni penali3. • nuovo ricettario in triplice copia autocopiante disponibile anche nelle versioni italianotedesco ed italiano-francese per la prescrizione dei farmaci compresi nell’allegato III-bis impiegati nella terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa; • prescrizione senza obbligo di dover utilizzare “tutte lettere” per scrivere la dose, il modo e il tempo di somministrazione e la quantità di confezioni. Per descrivere il medicinale prescritto, la posologia ed il numero di confezioni si possono utilizzare caratteri numerici e le normali contrazioni; • eliminazione dell’obbligo di indicare l’indirizzo di residenza del paziente; Ministero della Salute 120 PANORAMI E PERCORSI singole ASLL a recarsi presso il sito di riferimento regionale per acquisire il quantitativo di ricettari loro assegnato. Essendo le ricette stampate su carta valori, il loro trasporto deve avvenire in presenza di personale di Pubblica Sicurezza o Guardia di Finanza. Anche i Vigili Sanitari, con qualifica di Ufficiale di Polizia Giudiziaria, possono assolvere a tale compito. • eliminazione dell’obbligo, da parte del prescrittore, di conservare per sei mesi la copia della ricetta a sé destinata; • prescrizione di medicinali contenenti buprenorfina in tutte le forme farmaceutiche. La delicatezza della materia a cui si riferiscono tali modifiche espone al rischio di creare molti quesiti e dubbi riguardo alla corretta applicazione della normativa. Per favorire una corretta interpretazione e al fine di fugare eventuali dubbi nella prescrizione e nella dispensazione dei farmaci analgesici oppiacei, si è ritenuto utile fornire agli operatori sanitari una serie di domande-risposte da utilizzare come guida nella pratica professionale quotidiana. 2) I medici specialisti non convenzionati possono ritirare ed utilizzare il ricettario? Sì. Tutti i medici, di base e specialisti, convenzionati e non, e i veterinari devono ritirare ed utilizzare il ricettario per la prescrizione dei farmaci compresi nell’allegato III-bis per la terapia del dolore. Il ricettario del medico o del veterinario è sempre personale, anche quando essi dipendono da strutture sanitarie dislocate sul territorio. Bibliografia 1. World Health Organization Programme on Cancer Control. Developing a global strategy for cancer. Editor: Karol Sikora. March 1998. 2. Organizzazione Mondiale della Sanità, Istituto Europeo di Oncologia. Sostanze stupefacenti e psicotrope – Realizzare un equilibrio nelle normative nazionali sul controllo degli oppioidi. Ginevra, 2000. 3. Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309. 4. Decreto Ministeriale 24 maggio 2001. 5. Decreto Ministeriale 4 aprile 2003. 3) Cosa fare dei ricettari già stampati e distribuiti dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato alle regioni e quindi alle ASLL? I ricettari stampati ai sensi del D.M. 24 maggio 2001 e distribuiti dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato alle regioni, alle ASLL e agli operatori sanitari possono essere ancora utilizzati fino a completo esaurimento delle scorte. Per la loro compilazione si rispetteranno le norme d’uso del D.M. 4 aprile 2003. Box. I 10 farmaci che godono delle agevolazioni prescrittive ▼ COME COMPILARE I RICETTARI AUTOCOPIANTI Buprenorfina Codeina Didrocodeina Fentanyl Idrocodone Idromorfone Metadone Morfina Ossicodone Ossimorfone 1) Quali medicinali si devono prescrivere? Tutti i medicinali contenenti principi attivi compresi nell’allegato III-bis (Legge n. 12 dell’8 febbraio 2001), quando impiegati nella terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa, devono essere prescritti con la ricetta autocopiante. Frequently Asked Questions (FAQ) 2) Quanti medicinali possono essere prescritti? Si possono prescrivere due medicinali diversi tra loro oppure uno stesso medicinale con due differenti dosaggi o forme farmaceutiche. ▼ DOVE TROVARE I RICETTARI AUTOCOPIANTI 1) Dove possono ritirare i ricettari i medici e/o i veterinari? I medici e/o i veterinari ritirano i ricettari presso le singole ASLL. L’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato fornisce al sito di riferimento regionale il numero di ricettari necessari. In linea generale, saranno le 3) Quante confezioni possono essere prescritte? Il numero di confezioni prescritte con ogni ricetta autocopiante può coprire un ciclo di terapia non superiore a trenta giorni. Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 121 ANNO X N. 3-4 2003 4) È possibile prescrivere un numero di confezioni di medicinale per terapie superiori a trenta giorni? No. L’ultima confezione prescritta deve essere esaurita entro il trentesimo giorno di terapia; successivamente la prescrizione deve essere rinnovata. Nel caso di prescrizione di cerotti transdermici, che devono essere sostituiti ogni tre giorni, il limite di trenta giorni è rappresentato dal giorno dell’applicazione dell’ultimo cerotto. legato III-bis, e comunque compresi nella tabella V delle sostanze stupefacenti e psicotrope (ai sensi dell’art.14 del DPR 309/90), devono essere prescritti: • con ricetta autocopiante nel caso di terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa; • con ricetta da rinnovarsi volta per volta nel caso di impiego per il trattamento del dolore acuto (mal di denti, fratture, contusioni, ecc.). 5) Il medico può adeguare la terapia? In caso di variazione del dosaggio inizialmente prescritto, il medico può compilare una nuova ricetta autocopiante con la nuova prescrizione, anche se il paziente non ha completato il ciclo di terapia iniziale. 9) E se i medicinali sono compresi nella tabella V (DPR 309/90) e nella tabella n. 4 F.U.? I medicinali compresi nella tabella V e contestualmente nella tabella n. 4 della Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana sono prescritti: 6) Come prescrivere la buprenorfina nell’ambito della terapia del dolore? La buprenorfina, quando utilizzata, in tutte le forme farmaceutiche (fiale, cerotti, compresse, ecc.), nell’ambito della terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa (ai sensi della Legge n. 12/01), deve essere prescritta utilizzando la ricetta autocopiante. La buprenorfina, quando utilizzata per trattare forme di dolore acuto (colica renale, frattura, ecc.) deve essere prescritta, nelle quantità previste dalla specifica modalità di ricettazione, come specificato di seguito: • con ricetta ripetibile, qualora utilizzati per il trattamento sintomatico delle affezioni dolorose acute e croniche (dolore odontostomatologico, osteo-articolare, postoperatorio, ginecologico, ecc.). Si ricorda che l’indicazione da parte del medico di un numero di confezioni superiori all’unità esclude la ripetibilità della vendita (D. lgs. 30/12/92, n. 539, art. 4, comma 3); • con ricetta autocopiante se utilizzati nella terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa. • buprenorfina fiale: ricetta speciale ministeriale (ricetta gialla), per una cura non superiore ad otto giorni, ridotti a tre in caso di prescrizione veterinaria; • buprenorfina in altre forme farmaceutiche (compresse, cerotti, ecc.): ricetta da rinnovarsi volta per volta, per una cura non superiore a trenta giorni. 10) Cosa fare della ricetta gialla? La ricetta speciale ministeriale a madre-figlia (ricetta gialla), distribuita dagli Ordini Professionali, continua ad essere valida per le prescrizioni che non rispondono ai criteri di applicazione della Legge n. 12/01. 11) Cosa deve fare il sostituto del medico titolare? Un medico che sostituisce un titolare di ambulatorio non può utilizzare il ricettario del titolare. Anche il medico sostituto deve dotarsi del ricettario personale ed utilizzarlo qualora se ne presenti la necessità. Il medico sostituto deve segnare l’indirizzo dell’ambulatorio del titolare nell’apposito spazio della ricetta destinato all’indicazione dell’indirizzo professionale. Ai fini del rimborso da parte del SSN, la ricetta emessa dal medico sostituto non necessita dell’apposizione del codice regionale personale del medico. 7) Come prescrivere un medicinale con principi attivi in associazione? I medicinali stupefacenti composti da associazioni di più principi attivi, quando utilizzati nella terapia del dolore in corso di patologia neoplastica o degenerativa, devono essere prescritti secondo quanto previsto dalla Legge n. 12/01 e con la ricetta autocopiante se almeno uno dei farmaci è compreso nell’allegato III-bis. 8) Come prescrivere i medicinali compresi nella tabella V? I medicinali che contengono farmaci dell’al- Ministero della Salute 122 PANORAMI E PERCORSI ▼ COME DISPENSARE LA TERAPIA DEL DOLORE 5) E se lo specialista esercita la professione nel proprio studio? Il paziente che riceve una ricetta autocopiante da un medico specialista non convenzionato con il SSN, che svolge la propria attività nello studio privato, può prendere i medicinali in farmacia pagandoli; per poter ottenere i medicinali in regime di convenzione con il SSN, deve presentare la ricetta autocopiante rilasciata dal proprio medico di base. 1) Tutte le confezioni prescritte sono coperte dal SSN? Sono coperte dal SSN tutte le confezioni di medicinali compresi nella fascia A del Prontuario Farmaceutico Nazionale (PFN). Le confezioni necessarie per completare un ciclo di terapia che, in ogni caso, non può superare i trenta giorni, sono prescritte e dispensate con una sola ricetta autocopiante (Legge 16 novembre 2001, n. 405, art. 9, comma 4). 6) Se il farmacista riceve una ricetta che prescrive un numero di confezioni eccedente i trenta giorni, cosa fa? La prescrizione di farmaci in quantità tale da superare i trenta giorni di terapia non rispetta il comma 3-bis dell’art.43 del DPR 309/90, introdotto dalla legge n. 12/01. Pertanto la ricetta è da ritenersi non spedibile. 2) Cosa fare se lo spazio della ricetta destinato ai bollini non basta? Se l’apposito spazio della ricetta (copia SSN) non è sufficiente ad apporre i bollini autoadesivi, il farmacista li può applicare anche sul retro della ricetta; se lo spazio non dovesse essere ancora sufficiente, anche su un foglio allegato alla stessa. 7) Cosa deve fare il farmacista con la copia originale della ricetta? La copia originale della ricetta autocopiante deve essere trattenuta dal farmacista come giustificativo dello scarico dei medicinali sul registro di entrata e uscita, qualora i medicinali consegnati siano compresi nelle tabelle I, III e IV di cui all’art. 14 del DPR 309/90 e sono pertanto soggetti all’obbligo di registrazione. Il farmacista deve conservare la ricetta per cinque anni a partire dal giorno di spedizione della stessa. 3) Le ricette autocopianti, ai fini della rimborsabilità, hanno valenza su tutto il territorio nazionale? Le ricette autocopianti valgono su tutto il territorio nazionale, anche ai fini del rimborso da parte del SSN, indipendentemente dalla residenza del paziente, dalla regione di appartenenza del medico prescrittore e dall’ubicazione della farmacia. Anche le ricette stampate in duplice lingua, e destinate alla Regione autonoma Valle d’Aosta e alla Provincia Autonoma di Bolzano, hanno lo stesso ambito di validità. 8) Qualora si tratti di medicinali compresi nella tabella V? Il medicinale incluso nella tabella V non è mai soggetto all’obbligo di carico e scarico sul registro di entrata e uscita in uso alle farmacie e pertanto il farmacista non è tenuto a conservare copia della ricetta autocopiante per cinque anni. La ricetta autocopiante deve essere ritirata dal farmacista, che è tenuto a conservarla per sei mesi, qualora non la consegni all’autorità competente per il rimborso del prezzo a carico del SSN (D.lgs. 30/12/92, n. 539, art. 5, comma 3). In considerazione del fatto che la ricetta autocopiante può arrivare in farmacia in copia originale unita con la copia per il SSN, il farmacista, non dovendo mantenere il documento giustificativo dello scarico e per quanto sopra riferito, può eliminare la copia originale della ricetta autocopiante. 4) Cosa succede in farmacia nel caso di un paziente che riceve una ricetta autocopiante da uno specialista che lavora in una struttura sanitaria convenzionata? Tale paziente può andare direttamente in farmacia per prendere i medicinali in regime di convenzione. Infatti la prescrizione farmaceutica in caso di urgenza terapeutica o di necessità e di dimissione ospedaliera, in orari coperti dalla continuità assistenziale, è compilata anche dai medici dipendenti e dagli specialisti convenzionati interni, secondo le disposizioni di cui all’art.15-decis del decreto legislativo n.502/92 e successive modificazioni (DPR 28/7/2000, n. 270, art. 36, comma 7). Nel caso sopra descritto, nello spazio della ricetta destinato all’indicazione dell’indirizzo professionale del medico, deve essere riportata la denominazione e l’indirizzo della struttura sanitaria convenzionata con il SSN dove svolge attività il medico prescrittore. 9) Il farmacista quando deve accertarsi dell’identità dell’acquirente? Il farmacista ha l’obbligo di accertarsi dell’identità dell’acquirente quando dispensa farmaci compresi Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 123 ANNO X N. 3-4 2003 nelle tabelle I, II e III del DPR 309/90. Nel caso in cui il farmacista spedisce ricette autocopianti di medicinali a base di buprenorfina (compresse, cerotti, ecc.) compresi in tabella IV e di medicinali compresi in tabella V, non è tenuto ad accertarsi dell’identità dell’acquirente e lo spazio “acquirente” predisposto sulla ricetta autocopiante non deve essere compilato. di servizio di farmacia interna e titolari di gabinetto per l’esercizio delle professioni sanitarie, possono acquistare dalle farmacie i medicinali compresi nelle tabelle I, II, III e IV delle sostanze stupefacenti e psicotrope, con richiesta in triplice copia. 5) Le strutture sanitarie devono allestire un registro? I medicinali acquistati ai sensi dell’art. 42 del DPR 309/90 devono essere riportati sul registro di carico e scarico, intestato alla struttura sanitaria, sotto la responsabilità del direttore sanitario o del titolare di gabinetto, previsto dall’art. 64 del DPR 309/90, che deve essere vidimato annualmente dall’autorità sanitaria locale. Infatti i medicinali acquistati con richiesta in triplice copia, ai sensi dell’art. 42 del DPR 309/90, servono per il fabbisogno della struttura sanitaria e non, come previsto dalla Legge n. 12/01, per uso professionale urgente del medico o del veterinario. ▼ AUTOPRESCRIZIONE 1) I medici ed i veterinari possono approvvigionarsi dei farmaci compresi nell’allegato III-bis? Sì. Medici e veterinari possono approvvigionarsi dei farmaci compresi nell’allegato III-bis, per uso professionale urgente, mediante autoricettazione compilata sulla ricetta autocopiante. Non sono tenuti a rispettare i limiti quali-quantitativi previsti per le prescrizioni rilasciate ai pazienti. I medicinali così prescritti non possono essere dispensati dalla farmacia in regime di fornitura a carico del SSN. ▼ ASSISTENZA OSPEDALIERA 1) Un paziente in dimissione ospedaliera può ricevere i medicinali? Il paziente in dimissione dal ricovero ospedaliero può ricevere la quantità di medicinale necessaria per continuare la terapia, avendo in questo modo il tempo per procurarsi i medicinali, prescritti con la ricetta autocopiante, in farmacia. La quantità di medicinale fornita al paziente sarà registrata sul registro di carico e scarico delle unità operative (D.M. 3 agosto 2001). 2) Il medico o il veterinario deve conservare copia dell’autoprescrizione? Sì. Il medico o il veterinario deve conservare copia dell’autoprescrizione per due anni. 3) Il medico o il veterinario deve avere un registro? Sì. Il medico o il veterinario deve avere il registro delle prestazioni effettuate, dove devono essere annotate le movimentazioni relative ai farmaci compresi nell’allegato III-bis di cui si approvvigiona per uso professionale urgente. Tale registro non è di modello ministeriale e non deve essere vidimato dalle autorità competenti. Deve essere conservato per due anni a far data dall’ultima registrazione effettuata (Legge n. 12/01). Il registro delle prestazioni non deve essere assimilato alle altre tipologie di registri previsti dal DPR 309/90 e successive modifiche ed integrazioni. 2) Quali strutture sanitarie possono realizzare procedure di assistenza domiciliare? Tutte le strutture che possiedono i requisiti per poter garantire la continuità assistenziale. I requisiti necessari per poter svolgere tali attività sono definiti a livello di amministrazioni locali. La Legge 16 novembre 2001 n. 405, art. 8 (Particolari modalità di erogazione di medicinali agli assistiti), detta che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anche con provvedimenti amministrativi, hanno facoltà di assicurare l’erogazione diretta da parte delle aziende sanitarie dei medicinali necessari al trattamento dei pazienti in assistenza domiciliare, residenziale e semiresidenziale e di disporre, al fine di garantire la continuità assistenziale, che la 4) È ancora consentito, da parte del medico e del veterinario, l’acquisto dei farmaci stupefacenti con richiesta in triplice copia? L’art. 42 del DPR 309/90 è ancora in vigore e pertanto i direttori sanitari di ospedali, ambulatori, istituti e case di cura in genere, sprovvisti Ministero della Salute 124 PANORAMI E PERCORSI struttura pubblica fornisca direttamente i farmaci, limitatamente al primo ciclo terapeutico completo, sulla base di direttive regionali, per il periodo immediatamente successivo alla dimissione dal ricovero ospedaliero o alla visita specialistica ambulatoriale. La certificazione deve essere prodotta su carta intestata. Non si deve utilizzare la ricetta autocopiante in quanto i medicinali descritti nella certificazione non saranno dispensati dalla farmacia aperta al pubblico. 4) Cosa si intende per assistenza domiciliare integrata (ADI)? L’ADI è la formula assistenziale che, attraverso l’intervento di più figure professionali sanitarie e sociali, realizza a domicilio del paziente un progetto assistenziale unitario, limitato o continuativo nel tempo. L’obiettivo è il miglioramento della qualità della vita del paziente e l’umanizzazione del trattamento, in un contesto familiare certamente più idoneo, in particolare per il paziente anziano. L’ADI si inserisce nella rete dei servizi territoriali delle ASLL, da cui dipendono gli operatori sanitari che offrono le loro prestazioni. Gli analgesici oppiacei prescritti dal medico di famiglia, di sua iniziativa o in accordo con gli specialisti coinvolti nelle cure al malato, al paziente in ADI devono essere forniti dalla farmacia ospedaliera della ASL. 3) La consegna dei farmaci compresi nell’allegato III-bis al domicilio dei pazienti, come deve avvenire? I farmaci compresi nell’allegato III-bis possono essere trasportati e consegnati al domicilio del paziente da: • personale sanitario che opera nei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali o negli ospedali pubblici o accreditati; • infermieri professionali che effettuano servizi di assistenza domiciliare nell’ambito dei distretti sanitari di base o nei servizi territoriali delle ASLL; • familiari del paziente, opportunamente identificati dal medico o dal farmacista ospedaliero. Coloro i quali trasportano i medicinali, nella quantità da consegnare, devono avere una certificazione medica che ne prescriva la posologia e l’utilizzazione al domicilio del paziente. a proposito di… A cura della Commissione Terapia del Dolore del Ministero della Salute Immunoglobuline antitetaniche A seguito della comunicazione della ditta titolare dell’unica immunoglobulina specifica esistente per uso endovenoso di voler interrompere la produzione di questo medicinale, la CUF ha incaricato una commissione esterna di esperti per valutare l’opportunità di trattare il tetano conclamato con immuno-terapia passiva. Questa terapia si basa sull’uso delle immunoglobuline specifiche antitetaniche intramuscolari o delle immunoglobuline umane normali aspecifiche (dato l’elevato titolo in esse della componente antitetanica, circa 15 U.l. per ml.) o di entrambi i tipi di immunoglobuline in associazione. Ministero della Salute 125 DEAR DOCTOR LETTER Si pubblicano di seguito due Dear Doctor Letter (DDL) recentemente inviate ai medici per diffondere tempestivamente nuove evidenze sulla sicurezza di alcuni medicinali. Le DDL sono concordate con il Ministero che quindi ne condivide i contenuti; con la loro pubblicazione sul Bollettino d’Informazione sui Farmaci si intende sottolinearne l’importanza e facilitarne l’archiviazione. Si ricorda inoltre che per ulteriori informazioni ci si può rivolgere all’Ufficio VI della Direzione Generale dei Farmaci e dei Dispositivi Medici via fax, al numero: 06/59943554. Nota informativa importante concordata con le autorità sanitarie ■ Controindicazioni sull’uso concomitante di repaglinide (Novonorm®-Prandin®) e gemfibrozil Egregio Dottore, Gentile Dottoressa, desideriamo informarLa che i risultati di uno studio recentemente pubblicato da Niemi et al.1 hanno evidenziato un’interazione tra la re- paglinide (Novonorm®-Prandin®), un segretagogo insulinico ad azione breve, e gemfibrozil, un agente che riduce i lipidi usato nel trattamento della dislipidemia. L’effetto ipoglicemizzante della repaglinide può essere fortemente amplificato e prolungato dalla concomitante somministrazione di gemfibrozil. Inoltre la Novo Nordisk ha ricevuto cinque segnalazioni spontanee di episodi di ipoglicemia grave in pazienti trattati contemporaneamente con repaglinide e gemfibrozil. Novonorm®: consumi farmaceutici in Italia (pubblico + privato). Anno 2001 N. confezioni DDD 1000 ab/die % sul totale DDD ipolipemizzanti orali* Spesa € % sul totale spesa ipolipemizzanti orali* Anno 2002 ∆% 2002 vs 2001 438.297 0,13 570.979 0,45 +30 +247 1,3 3.155.956 1,2 10.085.833 -8 +220 0,9 2,8 +211 *Gruppo ATC: A10 Elaborazioni OsMed su fonte dati IMS Health Gemfibrozil: consumi farmaceutici in Italia (pubblico + privato). N. confezioni DDD 1000 ab/die % sul totale DDD fibrati* Spesa € % sul totale spesa fibrati* Anno 2001 Anno 2002 ∆% 2002 vs 2001 1.072.284 0,76 24,3 11.275.927 41,0 820.890 0,58 29,1 7.573.716 35,7 -23 -24 +20 -33 -13 *Gruppo ATC: C10AB Elaborazioni OsMed su fonte dati IMS Health Ministero della Salute Gli effetti riportati da Niemi et al.1 consistevano in una significativa alterazione delle proprietà farmacocinetiche della repaglinide dopo somministrazione concomitante di gemfibrozil in volontari sani. L’area sotto la curva (AUC) è risultata aumentata di 8,1 volte e l’emivita di eliminazione (T1/2) prolungata da 1,3 ore a 3,7 ore. Questa somministrazione contemporanea ha anche influenzato i livelli di glicemia. Queste variazioni sono causate dall’inibizione del CYP2C8 da parte del gemfibrozil. Questo sistema enzimatico gioca un ruolo importante nel metabolismo della repaglinide. Sulla base delle suddette informazioni: l’uso concomitante del gemfibrozil e della repaglinide è controindicato. In accordo alle recenti conoscenze, il metabolismo degli altri agenti che riducono i lipidi non coinvolge il CYP2C8, pertanto questi farmaci possono essere utilizzati in alternativa al gemfibrozil. 1. Niemi M, Backman JT, Neuvonen M, Neuvonen PJ. Effects of gemfibrozil, itraconazole, and their combination on the pharmacokinetics and pharmacodynamics of repaglinide: potentially hazardous interaction between gemfibrozil and repaglinide. Diabetologia 2003; 46: 347-51. 126 DEAR DOCTOR LETTER Nota informativa importante concordata con le autorità sanitarie ■ Precauzioni sull’uso di telitromicina (Ketek®) in pazienti con miastenia grave Egregio Dottore, Gentile Dottoressa, lo scopo di questa comunicazione è di informarLa sulle nuove precauzioni che dovrà prendere prima di somministrare telitromicina a pazienti affetti da miastenia grave, una rara malattia autoimmune. Telitromicina (Ketek®) è il capostipite dei ketolidi, una nuova classe di agenti antibatterici. In Europa è stato approvato nel luglio 2001 per il trattamento delle infezioni del tratto respiratorio: polmoniti acquisite in comunità, riacutizzazione di bronchite cronica, sinusite acuta e tonsillite/faringite. Recentemente sono stati segnalati casi di riacutizzazione di miastenia grave, incluso un caso di decesso, in pazienti con miastenia grave accertata che avevano preso telitromicina per il trattamento delle infezioni del tratto respiratorio. La riacutizzazione della debolezza muscolare, dispnea o grave insufficienza respiratoria acuta si sono manifestate entro poche ore dalla prima somministrazione del farmaco. Il meccanismo di tali riacutizzazioni non è noto. L’insufficienza respiratoria acuta in pazienti con miastenia grave può metterne in pericolo la vita. In caso di riacutizzazione di tali sintomi, Ketek® deve essere interrotto e deve essere istituito un adeguato trattamento di supporto come indicato dalla situazione clinica. La riacutizzazione della miastenia grave è stata segnalata con diversi altri antibiotici inclusi gli aminoglicosidici, i macrolidi ed alcuni fluorochinolonici. • • • In breve, i prescrittori devono sapere che: • casi di esacerbazione di miastenia grave con potenziale pericolo di Ketek®: consumi farmaceutici in Italia (pubblico + privato). N. confezioni DDD 1000 ab/die % sul totale DDD macrolidi* Spesa € % sul totale spesa macrolidi* • vita sono stati segnalati in pazienti affetti da miastenia grave trattati con telitromicina; si raccomanda pertanto di non somministrare telitromicina a pazienti affetti da miastenia grave a meno che non siano disponibili terapie alternative; quando si inizia un trattamento con telitromicina, i pazienti affetti da miastenia grave dovranno essere attentamente controllati; i pazienti con miastenia grave dovranno essere informati di contattare immediatamente un medico se si accorgono di qualsiasi peggioramento della loro sintomatologia dopo aver preso telitromicina; qualora si manifestasse una esacerbazione della sintomatologia, il trattamento con telitromicina deve essere interrotto e devono essere intraprese adeguate misure di supporto. Anno 2001‡ Anno 2002 - 295.577 0,07 1,4 10.199.427 2,9 *Gruppo ATC: J01FA ‡ Non in commercio nel 2001. Elaborazioni OsMed su fonte dati IMS Health Ministero della Salute Il Ministero della Salute coglie l’occasione per ricordare a tutti i medici l’importanza della segnalazione delle reazioni avverse da farmaci, quale strumento indispensabile per confermare un rapporto beneficio/rischio favorevole nelle loro reali condizioni di impiego. Le segnalazioni di sospetta reazione avversa da farmaci devono essere inviate al Responsabile di Farmacovigilanza della Struttura di appartenenza. bollettino d’informazione sui farmaci 127 AGGIORNAMENTI La medicina basata sull’evidenza (evidence-based medicine, EBM). L’uso della letteratura scientifica nella medicina clinica Punti chiave ■ L’EBM ebbe origine nel 1992, da una serie di studi iniziati oltre 10 anni prima presso il Dipartimento di Epidemiologia Clinica e Biostatistica dell’Università canadese McMaster e aventi come oggetto il miglior uso della letteratura scientifica per l’aggiornamento medico. Da queste radici, l’EBM ha sviluppato il concetto che le “evidenze” devono avere un ruolo preminente nelle decisioni terapeutiche, intendendo con il termine “evidenze” le informazioni aggiornate e metodologicamente valide dalla letteratura medica. ■ L’EBM ha avuto sviluppo in due aree di applicazione: le macrodecisioni di sanità pubblica o riguardanti gruppi omogenei di popolazione e la pratica medica sul paziente individuale. È questa l’area di maggior interesse per l’EBM, che si è data una missione essenzialmente didattica: insegnare ai medici come tradurre in domande chiare e definite (“answerable”) il bisogno d’informazione emergente durante l’incontro con un paziente, e come ricercare nella letteratura, selezionare e applicare le “evidenze”. ■ Originariamente definita come “un nuovo paradigma emergente per la MEDICINA BASATA SULL’EVIDENZA (EBM): UN RIESAME NEL SUO DECIMO COMPLEANNO LA pratica medica”, l’EBM ricevette, quattro anni dopo, una definizione più cauta: “EBM è l’uso coscienzioso esplicito e giudizioso delle migliori evidenze aggiornate [dalla letteratura] per prendere decisioni riguardo alla cura dei pazienti individuali”, riconoscendo poi la necessità di integrare le “evidenze” con la competenza clinica individuale (“expertise”). ■ L’EBM ha prodotto un enorme numero di iniziative editoriali, classificabili in due categorie principali: iniziative che espongono e commentano i criteri metodologici di valutazione critica e di applicazione delle “evidenze” e pubblicazioni “secondarie” che presentano sintesi di articoli originali, selezionati per interesse clinico (soprattutto terapeutico) e valutati criticamente per validità metodologica (“prefiltered”). ■ Sono soprattutto queste ultime (delle quali quella clinicamente più importante è Clinical Evidence, ora tradotta in italiano e inviata dal Ministero della Salute a tutti i medici iscritti all’ordine) che l’EBM raccomanda come “evidenze” utilizzabili nella pratica, riconoscendo che la ricerca sistematica e la valutazione critica degli articoli originali sarebbero un compito inverosimile per i medici che esercitano la pratica corrente. ■ Nella più realistica versione attuale (uso delle “evidenze” riassunte e commentate nelle pubblicazioni secondarie; riconoscimento del ruolo primario della competenza clinica per praticare la medicina) l’EBM potrebbe assumere un ruolo strategico nell’implementare il passaggio delle innovazioni terapeutiche dalla ricerca clinica alla pratica. ■ Tuttavia, a dieci anni dalla sua nascita, l’impatto dell’EBM sulla pratica medica continua a essere limitato da numerosi ostacoli. Gli ostacoli potrebbero essere rimossi o attenuati se (com’è probabile) l’accesso alle evidenze sarà reso più facile dall’informatica e se migliorerà la preparazione pre-laurea e post-laurea di metodologia clinica. In ogni caso, l’EBM rappresenta un approccio incompleto alla medicina, che va integrato con conoscenze diagnostiche, di fisiopatologia e di farmacologia che nell’EBM attuale non hanno diritto d’asilo. usare la letteratura scientifica per la pratica medica – la prima sul Canadian Medical Association Journal (CMAJ) dal 1981 al 1984, la seconda su Annals of Internal Medicine nel 1986. Il termine EBM fu coniato da Guyatt1 nel 1990 per definire un programma interno della McMaster; fu “esportato” con un articolo sul JAMA nel 1992 da un Working Group della stessa università che definì l’EBM: “un nuovo pa- “Evidence does not make decisions, people do” (Haynes RB et al., 2002) ▲INTRODUZIONE L’evidence-based medicine (EBM) ebbe origine nell’università canadese McMaster, che aveva in precedenza pubblicato due serie di articoli su come Ministero della Salute 128 AGGIORNAMENTI radigma emergente per la pratica medica”2. In coerenza con questa definizione, l’esperienza e le discipline di base erano sommariamente citate come “necessarie ma non sufficienti” per le decisioni cliniche; queste dovevano essere essenzialmente basate su “evidenze” dalla letteratura medica, intendendo con il termine “evidenze” informazioni aggiornate da ricerche metodologicamente valide – soprattutto da trial randomizzati (RCTs) e review sistematiche. La capacità di ricercare e valutare criticamente le “evidenze” per poi applicarle a ogni nuovo paziente diventava la caratteristica distintiva della qualità del nuovo medico. Negli ultimi anni, questa posizione piuttosto estrema si è attenuata, e il Working Group di EBM ha restituito un maggior peso alla competenza clinica e alle preferenze dei pazienti come determinanti delle decisioni cliniche. Il cambiamento è evidente da alcuni editoriali3,4 (v. oltre), e più organicamente dal volume edito da Guyatt e Rennie1, che raccoglie e amplia le 25 Users’ Guides originariamente pubblicate sul JAMA e rielabora la “filosofia” dell’EBM. Esprime questa posizione clinicamente più realistica il titolo del primo paragrafo del primo capitolo del volume: “Clinical Decision Making: Evidence is never enough”1. Durante i dieci anni dalla sua origine, l’EBM ha avuto una diffusione straordinaria (oltre 11.000 citazioni in MEDLINE) e ha prodotto o stimolato un gran numero di iniziative editoriali, che rientrano in due tipologie principali: • pubblicazioni che illustrano e commentano i criteri metodologici per ricercare, valutare e applicare le “evidenze”. Rientrano in questa tipologia le 25 Users’ Guides to the Medical Literature apparse sul JAMA dal 1992 al 2000 e ora ripresentate, ampliate e largamente modificate nel volume citato1, numerosi importanti editoriali, e il manuale di Sackett et al. “per praticare e insegnare l’EBM” ora giunto alla seconda edizione5; • pubblicazioni “secondarie” che presentano sintesi di RCTs e review sistematiche selezionate per rilevanza clinica e valutate per validità metodologica (“prefiltered”), di cui le più notevoli sono Clinical Evidence, ACP Journal Club ed Evidence-Based Medicine, e le meta-analisi della Cochrane Library. Esistono anche numerosi trattati (per es.: Evidence-Based Cardiology) e numerose riviste settoriali (per es.: Evidence-Based Mental Health). L’EBM ha due aree di applicazione: le macrodecisioni di sanità pubblica o riguardanti gruppi di popolazione omogenei per malattie o fattori di rischio (Evidence-Based Health Care, EBHC6), e la pratica medica del singolo paziente (EBM propriamente detta, Evidence-Based Clinical Practice5). È quest’ultima l’area maggiormente focalizzata dal Working Group, secondo cui l’EBM “comincia e finisce con i pazienti”5. La missione che l’EBM si è autoattribuita è essenzialmente didattica: insegnare ai medici come tradurre in domande chiare e definite (“answerable”) il bisogno d’informazione emergente durante l’incontro con un paziente, e come ricercare nella letteratura, selezionare e applicare al paziente le informazioni pertinenti e metodologicamente più valide (tabella I). EBM e il bisogno d’informazione dei medici Il medico ha bisogno di nuove informazioni per risolvere un problema clinico con una frequenza media di tre informazioni ogni due pazienti7, particolarmente per patologie che non gli sono familiari6. Le informazioni richieste sono Tabella I – I precetti di EBM. 1. Convertire il bisogno d’informazione (sulla diagnosi, la prognosi, la terapia, la causa, ecc.) in una domanda che consenta una risposta utile (“answerable”). 2. Ricercare le migliori evidenze (#) con cui rispondere alla domanda. 3. Valutare criticamente quelle evidenze dal punto di vista della validità (cioè approssimazione alla verità), impatto (entità dell’effetto, “effect size”) e applicabilità (utilità nella pratica clinica). 4. Integrare la valutazione critica con la competenza clinica e con le caratteristiche biologiche dei pazienti e le circostanze. (#) Informazioni aggiornate dalla letteratura cartacea e online. Da: Sackett DL, Straus SE, Richardson WS, Rosenberg W, Haynes RB. Evidence-based Medicine. How to practice and teach EBM. 2nd edition. London: Churchill Livingstone, 2000, modif. Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 129 ANNO X N. 3-4 2003 molto varie 8-11, ma riguardano soprattutto la terapia e la diagnosi. Se si prendono in considerazione i medici di medicina generale (MMG), che sono la categoria medica più numerosa e con il maggior numero di pazienti, le prime 3 fra le 10 domande più frequenti sono (tabella II): Tabella II – Quali sono i bisogni dei medici per la soluzione di problemi clinici? Le 10 domande più spesso poste dai medici (ten top questions) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 1. Qual è il farmaco di scelta per la condizione X? 2. Qual è la causa del sintomo X? (e anche, domanda n. 7: qual è la causa del segno X?) 3. Quale test è indicato nella situazione X? Il presente articolo riesamina se e come queste domande possano ricevere risposte utili dalle pubblicazioni e dalla filosofia dell’EBM, qual è l’impatto reale dell’EBM sulla pratica medica, e come si può migliorare la capacità dei medici di usare i risultati della ricerca scientifica nella loro pratica. Le tre domande sono esaminate nell’ordine, seguendo per ognuna la sequenza dei precetti dell’EBM riportati nella tabella I. Qual è il farmaco di scelta per la condizione X? Qual è la causa del sintomo X? Quale test è indicato nella condizione X? Qual è la dose del farmaco X? Come dovrei trattare la condizione X? Come dovrei gestire il problema X? Qual è la causa del segno X? Qual è la causa del risultato X del test Y? Può il farmaco X causare la reazione avversa Y? Potrebbe questo paziente avere la malattia X? Da: Ely JW, Osheroff JA, Gorman PN et al. A taxonomy of generic clinical questions: classification study. BMJ 2000; 321: 429-32. medicinale sperimentale per il convergente interesse della ditta produttrice e di sperimentatori che da un trial positivo ricavano vantaggi economici o di carriera17-19. Errori e bias degli RCTs si ripetono nelle revisioni sistematiche, che sugli RCTs sono costruite e che possono a loro volta subire le influenze promozionali dell’industria. Negli RCTs pubblicati sulle riviste maggiori, i criteri classici di validità sono rispettati praticamente sempre (randomizzazione “concealed”, cioè non prevedibile dagli sperimentatori; completezza del follow-up; analisi “intention to treat”, ecc.5,20). Questi criteri sono ovviamente basilari, ma insufficienti. Gli RCTs sono soggetti a più sottili meccanismi di distorsione promozionale: per esempio, la decisione del trial per un farmaco “metoo”, copia di tanti altri già in uso (v. i trial di equivalenza21); la scelta di un trattamento di controllo “debole”22 o inattivo (placebo); gli end-point combinati, in cui il risultato positivo di quelli minori si espande discutibilmente ai maggiori (per es. dagli eventi non fatali alla mortalità)23; la significatività solo statistica di risultati clinicamente irrilevanti24. Infine, per le stesse ragioni promozionali, i trial con risultati positivi hanno maggiori probabilità di essere pubblicati e di apparire su riviste più diffuse rispetto ai trial negativi (publication bias25). Ogni RCT andrebbe dunque valutato per i propri meriti e non perché rispetta i criteri formali di appartenenza a una categoria generale di studi. È questo un compito che non si può chiedere ai medici perché la valutazione degli RCTs è difficile anche per gli esperti26,27, ed è anche più difficile scoprire le eventuali distorsioni promozionali. 1. Qual è il farmaco di scelta per la condizione X? 1.1. Convertire il bisogno d’informazione in una domanda che consenta una risposta utile (“answerable”). Secondo l’EBM, il bisogno d’informazione terapeutica è traducibile in tre parti: il paziente a cui si riferisce la domanda; l’intervento terapeutico; l’esito desiderato dell’intervento (outcome); per esempio: “in questo paziente con fibrillazione atriale è preferibile usare il warfarin o l’aspirina per prevenire uno stroke embolico?”12; “in questo cirrotico con grosse varici esofagee c’è indicazione a un beta-bloccante per prevenire un’emorragia?”13. Queste domande sono chiare e definite (“answerable”) ed è possibile ricercare la risposta in “evidenze” della letteratura. 1.2. Ricercare le migliori evidenze con cui rispondere alla domanda e 1.3 valutarle dal punto di vista della validità, impatto e applicabilità. È giudizio generale, pienamente condiviso dall’EBM, che il golden standard degli studi terapeutici14-16 sia rappresentato dagli RCTs e dalle review sistematiche che ne cumulano i risultati. Tuttavia, la ricerca degli articoli originali che riportano RCTs e review sistematiche richiede tempo, motivazione e competenza che il medico raramente possiede. Inoltre, anche gli RCTs sono soggetti a errori e sono esposti a un bias generale a favore del Ministero della Salute 130 AGGIORNAMENTI L’esperienza di 10 anni ha dimostrato al Working Team che, a causa di queste difficoltà, il 70-80% dei medici che praticano l’EBM ricerca le “evidenze” in pubblicazioni secondarie che selezionano, valutano e sintetizzano RCTs e review sistematiche1. Il suggerimento attuale del Working Team è, dunque, che i medici che non sono in grado di valutare autonomamente gli RCTs usino la “prefiltered information” delle pubblicazioni secondarie1,3, di cui le principali sono le seguenti: Clinical Evidence28; ACP Journal Club29 ed Evidence-Based Medicine30; la Cochrane Database of Systematic Reviews (CSDR)31, che contiene meta-analisi di RCTs. Clinical Evidence è un compendio semestrale di review terapeutiche “evidence-based” ad accrescimento progressivo ma ancora limitato (per es., nell’edizione più recente, dicembre 2002, manca la terapia di malattie clinicamente importanti come le epatiti virali croniche). Seguendo il primo precetto della tabella I, l’esposizione inizia con domande “answerable” sugli effetti dei trattamenti in una malattia, per esempio “quali sono gli effetti dei trattamenti per la gastroenterite acuta?”, “quali sono gli effetti dei trattamenti farmacologici nell’insufficienza cardiaca?”. Nelle risposte i trattamenti sono distinti in sei classi di efficacia, da “beneficial” a “probabilmente inefficaci o dannosi”. Questa struttura, che riproduce le domande dei medici, e la concisione del testo consentono una consultazione rapida e facile (Clinical Evidence è stata definita “the friendly end front” della CSDR5). L’esclusione dei trattamenti non “evidence-based” determina qualche omissione talora paradossale (per es., nella terapia dell’insufficienza cardiaca non sono citati i diuretici). ACP Journal Club (edito dall’American College of Physicians) ed Evidence-Based Medicine (edito dal BMJ Publishing Group) hanno contenuti largamente sovrapposti e presentano in una o due pagine il riassunto strutturato e commentato di articoli già pubblicati in altre riviste. Hanno i vantaggi essenziali della brevità che ne consente un uso particolarmente rapido e della selezione di articoli, prevalentemente di terapia, clinicamente rilevanti e metodologicamente validi. La CDSR contiene un numero continuamente crescente di meta-analisi (1.596 al 31 marzo 2003), costruite secondo un disegno metodologico unico e rigoroso. Nell’uso di CDSR, il medico deve risolvere un’alternativa: limitarsi alle “implications for practice”, assai brevi e sommarie, oppure affrontare una consultazione più estensiva, che richiede tempo e competenza statistica. Quando la ricerca di evidenze in queste pubblicazioni fallisce, gli articoli originali di RCTs e le review sistematiche possono essere ricercati in banche-dati informatiche (la più grande è MEDLINE, con oltre 11.000.000 di citazioni). Per molte riviste però è disponibile in MEDLINE solo l’abstract, il cui contenuto d’informazione è limitato e spesso inadeguato ad applicazioni cliniche; inoltre, anche quando il full text è disponibile (per es., nel BMJ o nel CMAJ), l’informazione è “unfiltered”1, lasciando al medico la valutazione della qualità metodologica e clinica dell’articolo trovato. È stato ripetutamente osservato che spesso le innovazioni terapeutiche vengono trasferite alla pratica in ritardo e applicate solo a una parte dei pazienti per i quali potrebbero essere utili. Gli esempi citati sono numerosi, e vanno dall’impiego di antibiotici inappropriati nell’otite dei bambini32 al frequente non uso di beta-bloccanti o di aspirina postinfarto33. Il segmento in cui si concentra il deficit del trasferimento dalla ricerca alla pratica è quello post-sperimentazioni cliniche33, osservazione che spiega l’importanza attualmente attribuita all’EBM. E tuttavia, le domande di terapia non trovano risposte “evidence-based” nelle “grey zones” della medicina34, dove gli RCTs non ci sono o hanno risultati incerti o discordanti. Nelle “grey zones” le scelte terapeutiche si devono ricavare da conoscenze fisiopatologiche (per es.: come associare i diuretici in un paziente con cirrosi ascitica parzialmente refrattaria35), o da studi non controllati in piccole serie di pazienti (per es.: come trattare un paziente con ipercalcemia da immobilizzazione36), o su case report, e più di altre scelte terapeutiche devono tener conto delle preferenze dei pazienti37. Le pubblicazioni EBM-correlate non sono di nessun aiuto in queste condizioni perché non contengono conoscenze di fisiopatologia, farmacologia e altre discipline da cui estrapolare la terapia. 1.4. Integrare la valutazione critica con la competenza clinica e con le caratteristiche biologiche proprie dei pazienti e delle circostanze. I trial randomizzati vengono eseguiti in condizioni ideali per la valutazione dei trattamenti: i pazienti sono selezionati per patologie “pure”, cioè senza comorbilità importanti e senza trattamenti associati; i medici sono particolarmente esperti; il monitoraggio è più assiduo e completo di quello routinario; la compliance è mantenuta alta in tutti i modi. L’efficacia di un trattamento dimostrata dal trial in queste condizioni (“efficacy”) può non trovare riscontro in una pari efficacia nella pratica Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 131 ANNO X N. 3-4 2003 corrente (“effectiveness”) 38; oppure, un trattamento di provata efficacia può non essere applicabile perché la presenza di comorbilità ne altera il profilo rischio/beneficio. Per esempio, in un paziente con fibrillazione atriale e cirrosi con grosse varici esofagee, il warfarin può essere controindicato perché il rischio di emorragia variceale infrenabile supererebbe la riduzione del rischio di stroke embolico3. Inoltre, gli RCTs sono strumenti poco sensibili per la rilevazione di eventi avversi, che vengono identificati e caratterizzati da case report e studi osservazionali post-marketing39,40, che la metodologia dell’EBM ignora5 o relega in posizioni di retroguardia1. Alcuni criteri proposti dall’EBM per giudicare l’applicabilità dei risultati dei trial ai pazienti della pratica corrente sono riportati nella tabella III, riconoscendo peraltro che – se sperimentati su esempi pratici – sono di incerta utilità. razione in questa sezione (2. qual è la causa del sintomo X? Qual è la causa del segno X?) rispecchia il bisogno d’informazione durante la fase induttiva; la domanda successiva (3. quale test è indicato nella situazione X?) rispecchia il bisogno d’informazione emergente nella fase ipotetico-deduttiva di verifica. In questa domanda, il termine test ha un significato generale e include sintomi, segni, test di laboratorio, imaging, ecc. 2.1. Convertire il bisogno d’informazione in una domanda che consenta una risposta utile (“answerable”). La generazione di un’ipotesi diagnostica deriva dal confronto (“matching”) fra i dati osservati in un paziente e i modelli mentali di malattie (“scripts”42) in precedenza memorizzati, fino a trovare un modello che si adatti ai dati del paziente. I dati dei modelli di malattia possono essere rappresentati come nodi di una rete collegati da connessioni reciproche e con concetti astratti (“semantic network”43). Il riconoscimento di un dato clinico attiva un network che attraverso le sue connessioni ne espande l’interpretazione ed elabora un’ipotesi di malattia e la selezione dei dati di conferma. Per la generazione di ipotesi diagnostiche è dunque necessaria la precedente memorizzazione di dati clinici, acquisiti dall’esperienza o dalla lettura di studi osservazionali. Se questa manca, difficilmente può dare risultati utili la ricerca di “evidenze” diagnostiche emergente dal bisogno d’informazione durante l’incontro con un paziente. Sintomi e segni infatti assumono significato clinico diverso in funzione del contesto clinico, dei loro caratteri, della cronologia di comparsa e sviluppo, della loro frequenza nelle malattie ipotizzabili. Per esempio: l’epatomegalia associata a splenomegalia e nevi racemosi fa pensare anzitutto alla cirrosi; associata a giugulari turgide e fibrillazione atriale, all’insufficienza cardiaca con- 2. Qual è la causa del sintomo X? Qual è la causa del segno X? 3. Quale test è indicato nella situazione X? Premessa Il ragionamento diagnostico ha due fasi41: • la prima è induttiva: il medico rileva sintomi e segni di un paziente, li aggrega in cluster o problemi e genera una o più ipotesi diagnostiche; • la seconda è ipotetico-deduttiva, o di verifica: il medico deduce che se la sua ipotesi (o una di esse) è vera (o falsa), devono esser presenti altri sintomi, segni e test di laboratorio che la confermano (o la escludono). Le due fasi, concettualmente distinte, sono largamente sovrapposte nel tempo, con un processo circolare di continui ritorni dall’una all’altra. La prima delle due domande prese in conside- Tabella III – Domande a cui rispondere per giudicare l’applicabilità dei risultati di un trial a un paziente individuale. 1. È il mio paziente così differente da quelli del trial da renderne inapplicabili irisultati? (risultato applicabile se la risposta è NO) 2. Nel contesto in cui mi trovo, è fattibile il trattamento positivamente sperimentato nel trial? (risultato applicabile se la risposta è SI) 3. Quali sono, verosimilmente, i benefici e i rischi di eventi avversi del trattamento? [nota: il trial consente solo in parte il giudizio sul rischio di eventi avversi] 4. In che modo i valori [le preferenze] del mio paziente influenzano la decisione terapeutica? Da: Glasziou P, Guyatt GH, Dans AL et al. Applying the results of trials and systematic reviews to individual patients. ACP J Club 1998; 129: A17-18. Ministero della Salute 132 AGGIORNAMENTI gestizia; in un soggetto con storia di ulcere genitali, ambliopia e afte, a sindrome di Budd-Chiari da m. di Behçet; in una donna con artrite reumatoide di lunga durata e sindrome nefrosica, all’amiloidosi. L’interpretazione del sintomo dolore dipende dall’intensità, dal ritmo di comparsa, dai fattori che lo alleviano o lo accentuano; l’interpretazione del segno epatomegalia dalle dimensioni del fegato, dalla consistenza, dai caratteri del margine e della superficie, dall’eventuale dolenzia palpatoria. “ascendente” deriva dall’esperienza, ed è esemplificato nei case report, che in questo modo forniscono modelli didattici di ragionamento diagnostico, e che seguitano a essere pubblicati regolarmente da grandi riviste (per es., in ogni numero del N Engl J Med). Particolarmente efficaci sono i case report di Clinical Problem Solving, nei quali il ragionamento diagnostico è reso esplicito e commentato. Eccellenti esempi sono i case report di Clinical Problem Solving del testo di Kassirer e Kopelman41 e quelli di una serie pubblicata sul N Engl J Med dal 199251,52 a oggi53. In conclusione, l’interpretazione diagnostica dei sintomi e segni e la generazione di ipotesi diagnostiche richiedono: a. la presenza in memoria di modelli mentali di malattie; b. la capacità cognitiva di risalire ad essi dalle presentazioni cliniche. Riferimenti bibliografici sono, rispettivamente, gli studi osservazionali descrittivi delle malattie e i case report di Clinical Problem Solving. 2.2. Ricercare le migliori evidenze con cui rispondere alla domanda. Le “evidenze” dalla letteratura necessarie alla generazione di ipotesi diagnostiche derivano da studi osservazionali descrittivi di serie di casi (“case series reports”44) e da review che vengono pubblicati da tutte le grandi riviste, con particolare frequenza e con maggiori dettagli da Medicine (Baltimora: Williams & Wilkins). Nella letteratura EBM-correlata possono avere qualche utilità per l’apprendimento del significato clinico di sintomi e segni le review pubblicate sul JAMA nella serie dal titolo generale “The Rational Clinical Examination”45,46. Molte di esse però riguardano l’accuratezza delle modalità di rilievo dei sintomi e segni e hanno uno scarso contenuto descrittivo. Dei testi sulla diagnosi “evidence-based”47-49 il solo che può essere di aiuto in questa fase diagnostica è il primo, che fornisce informazioni quantitative su un gran numero di segni fisici. Nelle riviste e nei trattati le malattie vengono presentate con un percorso “discendente” – dalla tassonomia alle manifestazioni cliniche (per es.: “Adult Still’s disease” “arthritis; fever > 39 °C; rash”; ecc.50). La generazione delle ipotesi diagnostiche ha direzione inversa, “ascendente”: dalle manifestazioni cliniche all’ipotesi (cioè: “arthritis; fever > 39 °C; rash”; ecc. “Adult Still’s disease”). La capacità di invertire il percorso “discendente” in 2.3. Valutare criticamente le evidenze dal punto di vista della validità, dell’impatto e dell’applicabilità. La metodologia degli studi osservazionali descrittivi e dei case report è assai meno standardizzata di quella degli studi sperimentali (per es., degli RCTs), e non è neppure citata nel manuale di EBM5. Riportano una sequenza di criteri per la valutazione metodologica degli studi osservazionali dei quadri clinici di malattie il testo di Guyatt e Rennie1 (p. 111) e la precedente Users’ Guide54 da cui è tratta la tabella IV. Non c’è invece nella letteratura EBM-correlata alcun riferimento a case report caratterizzabili come di Clinical Problem Solving; i case report “evidence-based” che per qualche tempo furono pubblicati sul BMJ quasi sempre assumevano la diagnosi come acquisita e riguardavano solo le “evidenze” terapeutiche55-57. Tabella IV – Criteri per la valutazione metodologica di articoli che riportano le manifestazioni cliniche di una malattia. • • • • • • Erano affidabili i criteri di diagnosi della malattia? Il campione di pazienti studiato era sufficientemente rappresentativo dello spettro clinico della malattia? La ricerca delle manifestazioni cliniche era sufficientemente accurata? È riportata la frequenza delle manifestazioni cliniche della malattia? Qual è la precisione della frequenza delle manifestazioni cliniche della malattia (= qual è l’intervallo di confidenza)? È riportato il tempo di comparsa e di evoluzione delle manifestazioni cliniche nel corso della malattia? Da: Richardson WS, Wilson MC, Williams, et al. for the EBM Working Group. Users’ Guides to the medical literature. XXIV. How to use an article on the clinical manifestations of disease. JAMA 2000; 284: 869-75 (modificata). Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 133 ANNO X N. 3-4 2003 della probabilità pre-test della malattia, espongono la strategia diagnostica e le misure di accuratezza dei test, e concludono con la revisione della probabilità diagnostica alla luce del risultato dei test (probabilità post-test). 2.4. Integrare la valutazione critica con la competenza clinica e con le caratteristiche biologiche proprie dei pazienti e delle circostanze. L’integrazione delle nuove informazioni con le conoscenze in precedenza memorizzate e con le caratteristiche del paziente ha un significato particolare per la diagnosi. La diagnosi richiede infatti un doppio processo di integrazione: anzitutto, l’integrazione in modelli mentali di malattie (“scripts”42) delle conoscenze cliniche e dell’esperienza con pazienti reali. In secondo luogo, la capacità cognitiva di integrare i dati osservati in un nuovo paziente con i modelli mentali di malattia con essi compatibili (“matching”41), processo da cui dipende la generazione di ipotesi diagnostiche. Senza una continua opera di integrazione le informazioni rimangono isolate, inerti e labilmente memorizzate43, e non c’è sviluppo di competenza diagnostica. 3.3. Valutare criticamente le evidenze dal punto di vista della validità, dell’impatto e dell’applicabilità. Il trattato di Black61 è la migliore fonte di informazioni “evidence-based” che possono orientare la scelta e l’interpretazione dei test. Fra i test di laboratorio sono più facilmente interpretabili quelli con risultati binari, positivo/negativo, o presente/assente. L’interpretazione dei molti test con risultati scalari (per es.: glicemia, colesterolemia, transaminasi) richiede metodi statistici di non immediata comprensione (per es.: curve ROC), che risultano ostici ai medici63. Le pubblicazioni di EBM1,5 suggeriscono di usare il rapporto veri positivi/falsi positivi (“likelihood ratio”) per ognuno dei valori numerici del test positivo (e il rapporto falsi negativi/veri negativi per i test negativi), ricorrendo al grafico di Fagan per trovare la probabilità post-test. Neppure questo metodo sembra però molto usato nella pratica. Un’interpretazione molto semplice ma anche molto grossolana è basata sulla distanza dei risultati rispetto al range della norma: all’aumentare della distanza aumenta la specificità e si riduce la sensibilità del risultato5. Infine, rimane largamente soggettiva l’interpretazione degli esami di imaging (per es.: TAC, scintigrafie, ecografie, arteriografie), che danno informazioni multiple oltre a quella specificamente ricercata, e hanno livelli di probabilità e riproducibilità dipendenti da fattori almeno in parte non generalizzabili (per es.: qualità della tecnologia, esperienza dell’osservatore63,64). 3. Quale test è indicato nella situazione X? 3.1. Convertire il bisogno d’informazione in una domanda che consenta una risposta utile (“answerable”). I test servono prevalentemente nella fase di verifica di un’ipotesi diagnostica, o per discriminare fra più ipotesi. Come per la terapia, le domande d’informazione sui test diagnostici possono essere divise in tre parti: il paziente a cui si riferisce la domanda; il test diagnostico; l’esito desiderato, cioè la probabilità post-test della diagnosi. Per esempio: “in un paziente con dissenteria e sospetto di amebiasi, quale test posso usare, e come si modifica la probabilità di amebiasi in base al risultato del test?”58; o anche: “in un paziente con dolore toracico anteriore, quale test (o sintomo, o segno, o loro carattere) può discriminare tra infarto del miocardio e dissezione aortica, e con quale probabilità posso escludere la diagnosi di dissezione aortica in base al risultato del test?46,49. 3.4. Integrare la valutazione critica con la competenza clinica e con le caratteristiche biologiche proprie dei pazienti e delle circostanze. Questo precetto di EBM è clinicamente importante. Infatti, sensibilità e specificità dei test non sono valori costanti e si modificano in funzione del contesto clinico. La sensibilità generalmente si eleva con l’aumento della severità o dello stadio di malattia; la specificità è diversa a seconda dell’alternativa diagnostica posta dalla presentazione clinica del paziente. Inoltre, l’interpretazione di un test positivo o negativo varia con il variare della probabilità pre-test della malattia sospettata1,41, che dipende da un giudizio clinico 3.2. Ricercare le migliori evidenze con cui rispondere alla domanda. Testi di riferimento che espongono i criteri EBM per la valutazione metodologica dei test sono una Users’ Guide60, il trattato di Guyatt e Rennie1 e la serie di saggi del volume edito da Knottnerus49. Il trattato di Black et al.61, disponibile anche in CDROM62, è il riferimento più completo. Ha una prima parte metodologica. La seconda parte, che riguarda il significato clinico dei singoli test, è particolarmente efficace: i capitoli partono dalla stima Ministero della Salute 134 AGGIORNAMENTI largamente soggettivo, e la cui importanza per l’interpretazione dei test è costantemente esemplificata nei capitoli del trattato di Black et al.61. fine del 2001, e potrebbe essere ulteriormente perseguito attraverso l’inclusione obbligatoria di brevi eventi formativi72 nel programma di educazione medica continua. Qual è l’impatto attuale dell’EBM sulla pratica medica e in particolare il suo peso nel determinare le prescrizioni? EBM, il curriculum universitario e i trattati di medicina Il deficit di tempestività e di generalizzazione del trasferimento delle innovazioni terapeutiche dalla ricerca clinica alla pratica rende strategico e importante il ruolo dell’EBM. Tuttavia, convertire il bisogno d’informazione in domande “answerable” e trovare risposte utili pone problemi particolarmente frequenti in medicina generale 11,65-67. Sono 59 gli ostacoli alla pratica dell’EBM identificati dagli stessi MMG11, fra i quali sei giudicati particolarmente importanti (“salient”): difficoltà di trasformare in termini chiari e precisi le domande spesso vaghe e generiche della pratica (per es.: dalla tabella II: “Come dovrei gestire il problema X?”); difficoltà ad identificare una strategia di ricerca appropriata; tempo eccessivo richiesto dalla ricerca dell’informazione; fallimento della ricerca; difficoltà di sintetizzare in una conclusione clinica utile frammenti molteplici di evidenza. Altri problemi sorgono quando i disturbi non sono inquadrabili in una diagnosi definita (per es.: nel 50% dei pazienti con dolore toracico anteriore e nell’80% di quelli con dolore addominale66); quando l’intervento del medico è richiesto per problemi al limite fra patologico e sociale; quando la prescrizione di una terapia “evidence-based” rischia di essere inappropriata per la presenza di comorbilità o non è accettata dal paziente. Questi ostacoli possono spiegare lo scarso impatto dell’EBM sulle prescrizioni, che sono prevalentemente determinate da informazioni dirette o indirette dell’industria, dall’influenza di opinion leaders, dall’esempio di prescrizioni ospedaliere, e dalle richieste dei pazienti68-70. È possibile che per implementare l’uso delle “evidenze” nella pratica medica siano necessarie due condizioni. La prima è quella di rendere facile e gratuito l’accesso alle pubblicazioni secondarie dell’EBM o simili (per es.: Clinical Evidence, Medical Letter, Uptodate), un processo nel quale è impegnato il Ministero della Salute. La seconda è quella di migliorare le conoscenze dei medici sulla metodologia clinica. Quest’obiettivo ha motivato una serie di articoli dal titolo generale di “ABC delle sperimentazioni cliniche” pubblicata sul BIF dal 1998 alla Il miglioramento della conoscenza dei medici sulla metodologia degli RCTs, delle review sistematiche e dei test diagnostici potrebbe essere avviato negli anni pre-laurea ampliandone lo spazio nel curriculum universitario, e coordinandola con discipline correlate come la farmacologia, la statistica e la medicina generale. È stato dimostrato, infatti, che lo studio della metodologia ha risultati migliori se avviene negli anni pre-laurea73, che sono istituzionalmente finalizzati all’apprendimento di nuove conoscenze. Per il coordinamento con la medicina interna, la metodologia dovrebbe avere uno spazio nei trattati di medicina generale. In realtà questo avviene assai parzialmente. Se si prendono in esame i trattati di maggior prestigio internazionale, un capitolo dedicato alle sperimentazioni cliniche si trova infatti solo nell’Oxford Textbook of Medicine74, ma non nell’Harrison’s Principles of Internal Medicine75; in nessuno dei due sono stati esposti i principi che governano la scelta e l’interpretazione dei test diagnostici. Altri limiti dei trattati di medicina sono: l’obsolescenza dei contenuti, specie se gli intervalli fra le riedizioni sono lunghi (per es.: 7 anni fra la 3a e la 4a edizione dell’Oxford); la frequente mancanza di dati quantitativi sulla frequenza e la cronologia delle manifestazioni cliniche delle malattie76; la povertà dei riferimenti bibliografici. Nonostante questi limiti, i trattati di medicina generale di buona qualità sono didatticamente necessari perché trasmettono un grande volume di conoscenze e perché rispettano un ordine e una sistematicità che facilitano l’apprendimento. Sembra perciò un paradosso polemico la raccomandazione dell’EBM di “bruciare i trattati tradizionali”5, motivata soprattutto con l’obsolescenza delle indicazioni terapeutiche77, che però è meno rapida per altri contenuti e in particolare per la descrizione clinica delle malattie78. Alcuni dei limiti dei trattati cartacei tradizionali sono corretti da quelli in versione informatica, con aggiornamento continuo, con una bibliografia assai più ricca e aggiornata, e con la possibilità di Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 135 ANNO X N. 3-4 2003 leggere in ipertesto gli abstract dei lavori citati79. La loro diffusione in Italia è ostacolata dalla lingua inglese, dalla minore familiarità con la presentazione informatica rispetto a quella cartacea e dai costi più elevati. È verosimile però che con il continuo progresso dell’informatica, una maggiore diffusione della conoscenza dell’inglese e la riduzione dei costi saranno i trattati del futuro. posto (su sette) nella graduatoria di validità delle evidenze giudicate1 e pertanto di fatto ignorate dalla letteratura di EBM. L’EBM non offre risposte a domande relative all’interpretazione dei sintomi e segni e alla generazione di ipotesi diagnostiche perché ignora gli studi osservazionali descrittivi e gli esempi di ragionamento diagnostico dei case report, particolarmente di quelli con la struttura del Clinical Problem Solving, in cui lo sviluppo del ragionamento è reso esplicito e seguito fase per fase. La letteratura EBM-correlata può dare informazioni “evidence-based” per la scelta e l’interpretazione degli indici e dei test diagnostici finalizzati alla verifica di ipotesi diagnostiche o alla loro discriminazione (esemplare il testo di Black et al.61). L’EBM ha avuto un grande successo nel riportare in molteplici pubblicazioni la metodologia di valutazione degli studi terapeutici e le “evidenze” ottenute dai soli studi giudicati credibili - RCTs e review sistematiche. Il gigantismo di questa letteratura non sembra aver avuto un proporzionale impatto sulla pratica medica. A ciò contribuiscono i molti ostacoli identificati dagli stessi medici, teorici destinatari del messaggio di EBM11,82, e il fatto sostanziale che le decisioni mediche hanno genesi multidimensionale e non possono essere ridotte all’applicazione di “evidenze” dalla letteratura85-87. In conclusione, a dieci anni dalla sua nascita l’EBM appare come un contributo necessario alle scelte terapeutiche, anche se incompleto per la mancanza dei riferimenti di fisiopatologia e di farmacologia, non raramente necessari per adeguare i trattamenti alla variabilità clinica della patologia. È certamente auspicabile che il suo impatto sulla pratica medica sia implementato, anche come antidoto parziale alle influenze promozionali dell’industria sulla letteratura medica. Questo sarà possibile se si renderà più facile e rapido l’accesso alle “evidenze” (e a questo potrebbe contribuire il continuo progresso dell’informatica); se l’apprendimento della metodologia delle sperimentazioni terapeutiche potrà avere inizio nei più recettivi anni pre-laurea73 ed essere mantenuto attivo da programmi di educazione continua post-laurea72; se prevarrà nell’EBM la tendenza a integrarsi come una delle componenti della expertise del medico85-87, e non a proporsi come un improbabile “nuovo paradigma” della medicina2. EBM a dieci anni dalla nascita: considerazioni finali Come altre ideologie, le esternazioni iniziali dell’EBM erano estremistiche, attribuendo alle “evidenze” della letteratura e in particolare alle sperimentazioni cliniche un’importanza preminente per la pratica della medicina, mentre “expertise” del medico e valori del paziente erano di fatto ridotti al rango di fattori complementari. Come è stato notato da altri80, negli ultimi anni questa posizione si è attenuata. Il Working Team dell’EBM riconosce oggi che è più pratico ricorrere a “evidenze” “prefiltered” che ricercare e tentare di valutare in proprio gli articoli originali1, e che le “evidenze” sono solo una componente delle decisioni cliniche3; (“evidence does not make decisions, people do”81). A questa versione rivisitata e più realistica di EBM si riferiscono le seguenti considerazioni. Nonostante il numero enorme di pubblicazioni attorno ai concetti e alla pratica dell’EBM, non c’è a tutt’oggi nessuna evidenza che l’uso dei precetti di EBM migliori la qualità della pratica medica82, un’osservazione che – applicata a una ideologia basata sulle “evidenze” – appare come un paradosso83. È forse possibile che per una valutazione globale degli effetti dell’EBM sia necessaria una maggiore diffusione di essa nella pratica rispetto a quella pressoché virtuale oggi raggiunta. L’EBM può dare risposta alle domande d’informazione dei medici sull’efficacia dei trattamenti, soprattutto con le sintesi “prefiltered” di articoli originali come Clinical Evidence, ACP Journal Club ed Evidence-based Medicine e come le meta-analisi della Cochrane Collaboration. Un grande vantaggio della diffusione di queste pubblicazioni è che esse applicano una valutazione critica delle “evidenze” che può contrastare l’influenza promozionale dell’industria. Nelle “grey zones” dove non ci sono RCTs o dove essi sono inapplicabili alle caratteristiche individuali dei pazienti, sono necessarie evidenze estrapolate dalla fisiopatologia, dalla farmacologia, ecc., collocate al sesto A cura del prof. Luigi Pagliaro Azienda Ospedaliera “V. Cervello”, Palermo. Ministero della Salute 136 AGGIORNAMENTI 23. Freemantle N, Calvert M, Wood J et al. Composite outcomes in randomized trials. Greater precision but with greater uncertainty? JAMA 2003; 289: 2554-9. 24. 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Negli ultimi anni si è infatti assistito ad una notevole crescita nel numero delle fonti informative - soprattutto in seguito all’avvento di Internet - fino a configurare una situazione paradossale di eccesso di informazioni disponibili. In questa situazione i professionisti spesso non hanno gli strumenti per valutare la validità delle informazioni proposte e per selezionare quelle maggiormente affidabili 5 . Laddove esistano informazioni basate su una metodologia rigorosa (per es. revisioni sistematiche o linee guida “evidence-based”) queste sono in genere limitate a singoli problemi clinici. La Cochrane Library (una biblioteca elettronica [database] di revisioni sistematiche nelle principali aree cliniche) rappresenta una lodevole eccezione, ma presenta alcune importanti differenze rispetto a Clinical Evidence: parte spesso da argomenti per i quali è maggiore il numero di studi disponibili, e comunque dalle prove più che dai problemi clinici2; non considera le prove derivanti dai singoli studi (quando non è possibile realizzare revisioni sistematiche); ha un formato editoriale più orientato al ricercatore che al medico pratico; infine, è consultabile solo attraverso computer. La Cochrane Library è peraltro una delle principali fonti da cui Clinical Evidence trae spunti e contenuti e Clinical Evidence è, per certi versi, una versione “portatile” della Cochrane Library. Dopo una prima distribuzione di 50.000 copie di Clinical Evidence ad un campione di medici, docenti di facoltà di medicina e infermieri in 10 regioni italiane, avvenuta nei primi mesi del 2002, il Ministero della Salute ha deciso di distribuire quest’anno una versione aggiornata e concisa del volume con allegato il CD-rom della versione integrale a tutti i medici italiani. Al Centro Cochrane Italiano (Milano) e al CeVEAS di Modena è stata affidata una prima valutazione sulla rilevanza e sull’utilità pratica di Clinical Evidence secondo le opinioni dei riceventi. Di seguito presentiamo i risultati della valutazione relativa ai medici. Clinical Evidence è un volume di 1.112 pagine, edito in Italia alla fine del 2001 dal Ministero della Salute. Si tratta della traduzione e dell’adattamento italiano dell’omonimo volume inglese, pubblicato dal BMJ Publishing Group1 e curato dal Centro Cochrane Italiano e dall’editore Zadig. Il testo contiene riassunti, continuamente aggiornati, delle informazioni disponibili riguardo all’efficacia e agli effetti negativi di diversi interventi clinici. Clinical Evidence rappresenta una novità rilevante nel campo dell’informazione biomedica2,3. Rispetto ai bisogni informativi crescenti legati alla valutazione di efficacia degli interventi sanitari (in particolare delle novità terapeutiche), alla pressione di pazienti sempre più “informati” e, in generale, alle continue necessità di aggiornamento dei professionisti, si è cercato di realizzare uno strumento che potesse essere affidabile e al tempo stesso disponibile a una facile e veloce consultazione: in una parola, che fosse “fruibile” nella pratica quotidiana4. In un unico testo (Clinical Evidence, appunto) sono state sintetizzate, per ciascuno dei principali problemi clinici, le prove disponibili sull’efficacia degli interventi sanitari disponibili, cercando di coniugare il rigore metodologico, la trasparenza e indipendenza nell’analisi delle fonti con una valutazione concisa di utilità pratica e impatto degli interventi stessi. Il merito indiscutibile di Clinical Evidence è di portare sul tavolo dei suoi lettori una sintesi valida, credibile e aggiornata di informazioni altrimenti disperse in innumerevoli riviste, testi e Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 139 ANNO X N. 3-4 2003 Materiali e metodi dell’indagine domande, è stata sottoposta ad un processo di face validity in un gruppo di 8 medici, non successivamente coinvolti nell’indagine nazionale. Nell’analisi dei dati, differenze tra alcuni sottogruppi (per tipologia professionale, sesso e anzianità di laurea) sono state valutate - rispetto ad alcuni item di interesse - con test del chi-quadro. All’inizio del 2002, 43.000 copie di Clinical Evidence sono state distribuite ad altrettanti medici di 10 regioni italiane. Successivamente, è stato distribuito un questionario da auto-compilare a un campione di 6.619 di questi medici (scelti da liste fornite dalle Direzioni Sanitarie delle aziende coinvolte), prevalentemente per via postale, nonché durante incontri dedicati alla presentazione del volume oppure durante altri incontri aziendali (incontri di formazione, riunioni generali di dipartimento, ecc.). Obiettivi specifici dell’indagine erano quelli di valutare: a) la frequenza di consultazione del volume (in generale e rispetto a capitoli specifici); b) la comprensibilità delle informazioni e della struttura editoriale; c) la percezione sulla validità dei contenuti; d) la percezione sull’utilità del volume rispetto alla propria pratica professionale e al positivo confronto con altri colleghi (specialisti e non); e) la percezione sulla tipologia di supporto informativo fornito da Clinical Evidence rispetto ad altre fonti (linee-guida in particolare). Abbiamo predisposto un questionario composto di due sezioni: una prima parte per la raccolta dei dati personali, una seconda per la valutazione specifica di Clinical Evidence. Una prima versione del questionario è stata inviata ai membri del comitato scientifico italiano di Clinical Evidence (30 rappresentanti), sottolineando gli scopi dell’indagine e la prerogativa di mantenere una estrema semplicità del questionario. La versione finale, comprendente 17 Risultati Caratteristiche del campione Il 20% dei medici intervistati ha risposto al questionario (tabella I, con i dettagli sulle singole regioni). Il 63% del campione è costituito da medici di famiglia, mentre il 23% da specialisti ospedalieri. Il 75% dei rispondenti è maschio e la maggior parte ha un’anzianità di laurea dai 15 ai 30 anni (tabella II). Motivi di consultazione La maggior parte dei rispondenti (84%) ha consultato il volume almeno una volta e molti lo hanno consultato più di una volta nell’ultimo mese (il 49% un paio di volte, il 28% quattrocinque volte e il 12% almeno due volte alla settimana). Aggiornamento personale e informazione su specifici quesiti sembrano essere i motivi principali di consultazione (tabella III). Il capitolo sulle malattie cardiovascolari risulta il più letto o consultato; circa un terzo dei rispondenti ha inoltre letto i capitoli su gastroenterologia, malattie infettive, pneumologia e malattie muscolo-scheletriche (tabella IV). Tabella I – Indagine nazionale: n° schede e tassi di risposta per regione. Questionari compilati Basilicata Calabria Campania Emilia-Romagna Friuli VG Lombardia Toscana Umbria Valle d’Aosta Veneto Totale 51 72 40 737 57 99 71 151 20 52 1350 % rispetto al totale Tassi di risposta 3,8 5,3 3,0 54,6 4,2 7,3 5,3 11,2 1,5 3,9 100,0 13% 15% 8% 31% 19% 9% 16% 30% 20% 15% 20% Tabella II – Anzianità di laurea dei rispondenti. Anni dalla laurea N° % Non specificato 49 3,6 0-5 20 1,5 6-10 55 4,1 11-15 158 11,7 16-20 285 21,1 21-30 643 47,6 31-40 90 6,7 41-50 28 2,1 51-60 22 1,6 Totale 1350 100,0 Ministero della Salute 140 ATTIVITÀ EDITORIALI DELLA DIREZIONE GENERALE Tabella III – Motivi di consultazione di Clinical Evidence e utilità percepita (% dei rispondenti). Motivi di consultazione Utilità percepita Molto utile Abbast. utile Aggiornamento personale 38,9 54,7 4,6 1,3 0,4 Informazione su quesiti clinici 34,8 57,4 6,2 1,3 0,4 Preparazione conferenze o pubblicazioni 18,7 34,3 24,2 7,7 15,1 Non saprei (“molto utili” per il 20%, “abbastanza utili” per il 68%). Il 29% dichiara inoltre di aver modificato almeno una volta la propria pratica clinica in seguito a quanto letto su Clinical Evidence. Il 28% dei rispondenti ha “scoperto”, dopo la lettura del volume, che interventi largamente usati non hanno una solida base scientifica, mentre il 10% ha rilevato - al contrario - che interventi poco usati sono efficaci. La maggior parte dei rispondenti (87%) ritiene che Clinical Evidence possa favorire un dialogo costruttivo tra colleghi, in particolare (per il 54%) tra medici di medicina generale (MMG) e specialisti. Le opinioni sull’utilità del volume non variano in base all’anzianità di laurea e al sesso e all’aver assistito o meno a incontri di presentazione del volume. È invece da sottolineare come Clinical Evidence sia considerato più utile dai MMG che dai medici ospedalieri (“molto utile” dal 23% vs 14%, p<0,01); inoltre i MMG riferiscono più frequentemente dei loro colleghi ospedalieri di aver cambiato la loro pratica dopo aver letto Clinical Evidence (33% vs 23%, p<0,01). Tabella IV – Capitoli letti (% dei rispondenti). Malattie cardiovascolari Gastroenterologia Malattie infettive Pneumologia Malattie muscolo-scheletriche Endocrinologia Neurologia Dermatologia Salute mentale Pediatria Malattie renali Otorinolaringoiatria Lesioni trofiche gambe Ginecologia Gravidanza e parto Tossicologia Andrologia Oculistica Salute sessuale Odontoiatria Non molto utile Del tutto inutile 59,2 32,3 31,0 30,1 29,4 22,4 21,3 18,6 18,4 15,4 14,9 14,8 14,0 12,0 9,6 8,6 8,3 7,1 5,8 3,4 Comprensibilità e validità dei contenuti La struttura editoriale e i contenuti di Clinical Evidence sono giudicati chiari dalla gran parte dei rispondenti (“molto chiari” per il 26%, “abbastanza chiari” per il 66%) e il livello delle informazioni fornite è “giusto” per il 90% di essi. Per quanto riguarda la validità scientifica dei contenuti, questi sono percepiti come “molto validi” dal 28% dei rispondenti e “abbastanza validi” dal 68%. Le opinioni su comprensibilità e validità dei contenuti non variano in base all’anzianità di laurea, al sesso e alla tipologia professionale dei rispondenti e all’aver partecipato o meno a incontri di presentazione del volume. Percezione sulla tipologia di informazioni fornite da Clinical Evidence (informazioni vs linee guida) Il 45% dei rispondenti considera Clinical Evidence un libro per l’aggiornamento, il 6% un libro di testo e l’11% un “Bignami” della medicina. Il 38% ritiene invece che Clinical Evidence sia un libro di linee guida; questi ultimi non differiscono dagli altri per anzianità di laurea, sesso, tipologia professionale, per l’aver assistito a incontri di presentazione del volume e opinioni su comprensibilità, validità e utilità del volume. Il 64% dei rispondenti dichiara infine che non avrebbe preferito ricevere un testo di linee guida, confermando la scarsa simpatia che questo strumento informativo generalmente evoca nei clinici. Utilità delle informazioni La gran parte dei rispondenti dichiara che le informazioni trovate in Clinical Evidence sono utili Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 141 ANNO X N. 3-4 2003 Discussione tivati e favorevoli a Clinical Evidence potrebbero aver partecipato più volentieri all’indagine). Inoltre, il campione è rappresentato per più del 50% da medici provenienti da un’unica regione, l’Emilia-Romagna. La percentuale di risposte è stata, a livello nazionale, relativamente bassa (un quinto dei partecipanti). Bisogna tuttavia sottolineare come i medici emiliano-romagnoli, caratterizzati da un tasso di risposta abbastanza superiore al resto del campione (tabella I), abbiano opinioni del tutto simili a quelle degli altri partecipanti. Questa circostanza potrebbe indicare come, in questo caso, il bias di selezione non abbia modificato in modo rilevante i risultati dell’indagine. Questo sondaggio può fornire preziosi spunti di riflessione sull’utilità di Clinical Evidence e, più in generale, sull’utilità di un’informazione trasparente, “evidence-based” e indipendente, oltre che sulle modalità di presentazione (struttura editoriale) di questa informazione. I risultati di questa indagine suggeriscono come Clinical Evidence sia considerato, dai medici che hanno partecipato all’indagine, una fonte scientificamente valida, di facile consultazione e fondamentalmente utile nella pratica professionale. Di particolare rilievo è la possibilità che le informazioni “evidence-based” contenute in Clinical Evidence modifichino le conoscenze dei medici sull’efficacia di alcuni interventi (“ingiustamente” sottoutilizzati per es. aspirina nell’IMA - o sovrautilizzati - per es. calcio antagonisti nell’ipertensione e riposo a letto nella lombalgia) e, soprattutto, che inducano modifiche nella pratica clinica (quasi un terzo dei rispondenti dichiara di essere stato in tal senso influenzato almeno in una specifica decisione clinica dopo la lettura del volume). Altrettanto importante è la possibilità che Clinical Evidence migliori la comunicazione tra medicina di primo e secondo livello e che quindi possa fungere da stimolo al miglioramento della continuità assistenziale. Ciò potrebbe avvenire soprattutto attraverso la definizione di una base conoscitiva comune - fondata su prove scientifiche nel rispetto di ciò che è certo e ciò che è meno certo. Una delle caratteristiche principali del volume è infatti quella di esplicitare, dato un problema clinico, sia le conoscenze sia i dubbi sull’efficacia degli interventi, sottolineando come l’incertezza nelle scelte cliniche possa dipendere non solo da lacune nel bagaglio culturale del medico ma anche dalle lacune delle conoscenze scientifiche. Questa “operazione trasparenza” dovrebbe comunque aiutare a limitare il ruolo delle “opinioni” e la variabilità nei comportamenti clinici, senza naturalmente incidere sulle valutazioni “di merito” che ciascun medico deve effettuare sulla trasferibilità delle prove scientifiche in ciascuna situazione clinica e rispetto a pazienti specifici. In questo senso, gli autori di Clinical Evidence hanno manifestamente scelto di fornire “sintesi di conoscenze” piuttosto che “raccomandazioni di comportamento”, riconoscendo l’autonomia del clinico nelle decisioni e considerando la maggiore trasferibilità nella pratica di un approccio “informationbased” rispetto a un approccio “guideline-based”2. I rispondenti a questa indagine sembrano essere d’accordo con questa scelta editoriale (due terzi di loro non avrebbero gradito un testo di linee guida). Indagini di questo tipo possono essere caratterizzate da problemi di rappresentatività del campione e da bias di selezione (i medici più mo- Sviluppi futuri Dopo aver valutato (prevalentemente in modo quantitativo) le opinioni dei medici su Clinical Evidence come strumento informativo, l’obiettivo sarà ora quello di identificare le opportune iniziative locali per facilitare la conoscenza del volume, l’apprezzamento dei medici e degli altri professionisti sanitari (tra questi, sono senz’altro da considerare gli infermieri, anche loro destinatari della prima distribuzione del volume) e, conseguentemente, il suo utilizzo nella pratica quotidiana come supporto informativo. La valutazione (positiva o meno) dei medici potrebbe anche dipendere dalle modalità di presentazione del volume a livello locale. Anche se non è stata riscontrata nei dati la semplice associazione “quantitativa” tra le opinioni dei rispondenti e l’aver assistito a incontri di presentazione di Clinical Evidence, la riflessione che particolare importanza debba essere attribuita all’implementazione locale riflette le migliori conoscenze disponibili sull’efficacia degli interventi informativi6-9. L’utilizzo di Clinical Evidence in corsi di formazione accreditati potrebbe inoltre costituire un’utile iniziativa per promuovere la conoscenza e l’utilizzo del volume, oltre che per avere a disposizione materiale didattico affidabile e approfondito. A livello centrale, il Ministero della Salute sta già predisponendo un corso online che sarà disponibile nel 2004. Ministero della Salute 142 ATTIVITÀ EDITORIALI DELLA DIREZIONE GENERALE A cura di Giulio Formoso1, Lorenzo Moja2, Francesco Nonino1, Pietro Dri3 e Alessandro Liberati1,2,4. Bibliografia 1. Clinical Evidence. Issues 1-8. BMJ Publishing Group, London. 2. Godlee F, Smith R, Goldman D. Clinical Evidence. BMJ 1999;318:1570-1. 3. Smith R, Chalmers I. Britain’s gift: a “Medline” of synthesised evidence. BMJ 2001;323:1437-8. 4. Smith R. What clinical information do doctors need? BMJ 1996;313:1062-8. 5. Muir Gray JA. Where’s the chief knowledge officer? BMJ 1998;317:832-40. 6. Thomson O’Brien MA, Oxman AD, Davis DA, Haynes RB, Freemantle N, Harvey EL. Educational outreach visits: effects on professional practice and health care outcomes Cochrane Review. In: The Cochrane Library. 7. Thomson O’Brien MA, Oxman AD, Haynes RB, Davis DA, Freemantle N, Harvey EL. Local opinion leaders: effects on professional practice and health care outcomes (Cochrane Review). In: The Cochrane Library. 8. Beney J, Bero LA, Bond C. Expanding the roles of outpatient pharmacists: effects on health services utilisation, costs, and patient outcomes (Cochrane Review). In: The Cochrane Library. 9. Davis D, Evans M, Jadad A et al. The case for knowledge translation: shortening the journey from evidence to effect. BMJ 2003;327:33-5. Si desidera ringraziare, per il supporto fornito per la realizzazione dell’indagine nelle singole regioni: S. Baldissera, G. Baraldo, G. Beghi, M. Biocca, M. Callà, M. Font, F. Mammì, G. Miglio, L. Monari, A. Montedori, R. Pizzuti, M.G. Zullo. 1. Centro per la Valutazione dell’Efficacia dell’Assistenza Sanitaria (CeVEAS), Azienda USL e Azienda Policlinico di Modena 2. Centro Cochrane Italiano, Milano 3. Casa Editrice Zadig, Milano 4. Università di Modena e Reggio Emilia a proposito di… PFN 2003 A seguito di alcune segnalazioni di mancato recapito del Prontuario Farmaceutico Nazionale 2003 , questa Direzione Generale ha provveduto a trasmettere ad ogni ASL n. 150 copie del PFN perché vengano distribuite a medici, farmacisti ed infermieri che ne fanno richiesta. Pertanto, gli operatori sanitari che intendono ricevere una copia del PFN 2003 possono direttamente rivolgersi alla ASL di appartenenza. Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 143 ANNO X N. 3-4 2003 Guida all’uso dei farmaci per i bambini La Direzione Generale dei Farmaci e dei Dispositivi Medici ha recentemente avviato la distribuzione del primo prontuario terapeutico nazionale pediatrico, la Guida all’uso dei farmaci per i bambini, tratto da Medicines for Children, il prestigioso formulario pediatrico nazionale inglese. Si tratta di una nuova iniziativa editoriale, realizzata in 600.000 copie, distribuite gratuitamente e in modo capillare a tutti i medici, pediatri, farmacisti ed infermieri. Lo scopo principale di una guida terapeutica non è solo quello di riportare la lista dei farmaci correntemente in uso, ma di rappresentare uno strumento essenziale per l’uso razionale dei farmaci; fonte di informazione, ma anche guida terapeutica per problemi reali, a partire dai più frequenti. Per quanto riguarda la popolazione pediatrica, e in particolare l’uso dei farmaci nei bambini, la necessità di un apposito prontuario rappresenta da tempo un bisogno non solo italiano. Molti nuovi farmaci e la maggior parte delle molecole in commercio non sono registrati per l’uso in età pediatrica. Ciò significa che non sono stati condotti adeguati studi clinici controllati nei bambini e che le evidenze disponibili sono spesso insufficienti. L’attuale legislazione italiana ed europea consente, tuttavia, di prescrivere ai bambini farmaci senza licenza d’uso per l’età pediatrica o per indicazioni diverse da quelle riportate nelle schede tecniche (uso offlabel). Di conseguenza molti farmaci vengono prescritti ai bambini senza specifiche conoscenze circa il profilo rischio/beneficio, ovvero circa il dosaggio ottimale, le caratteristiche farmaco-cinetiche e farmacodinamiche e le potenziali reazioni avverse. L’uso off-label è un aspetto molto complesso. A questo è associato un aumento del rischio di reazioni avverse, soprattutto nei bambini più piccoli, anche gravi, che possono richiedere un ricovero ospedaliero o il protrarsi della degenza. Alcune gravi reazioni avverse risultano anche fatali. Molti possono essere i motivi che determinano questo tipo di utilizzo. I medici hanno il dovere di prescrivere un farmaco in modo appropriato e devono quindi essere ben informati sulle malattie per le quali il farmaco è indicato, sulle caratteristiche particolari di ogni paziente e sulle proprietà del farmaco in questione. Il fatto che l’autorità responsabile per l’immissione in commercio dei farmaci abbia dato l’autorizzazione per un particolare uso può essere rassicurante, ma non sufficiente poiché alla prescrizione di un farmaco sono associati diversi aspetti (indicazioni, dosaggio, forma farmaceutica, ecc.). Un prontuario specifico per i bambini rappresenta, quindi, uno strumento essenziale nell’indicare per quali farmaci sono disponibili documentate evidenze terapeutiche, quali farmaci necessitano di ulteriori studi e per quali sarebbe opportuno intraprendere specifici ed appropriati programmi di sorveglianza nazionale. La Guida all’uso dei farmaci per i bambini è strutturata in tre sezioni: patologie/sintomi funzionali, monografie sui farmaci e appendici. In particolare, la prima parte è costituita da una guida alla prescrizione dei farmaci nei bambini, in cui vengono forniti i principi generali di terapia per singole patologie. Segue la sezione più specifica delle monografie di ciascun principio attivo, elencate in ordine alfabetico, in cui vengono forniti i nomi generici dei farmaci e vengono riportati i dosaggi specifici per fasce di età. Infine, la terza parte è costituita da due appendici, nelle quali sono rispettivamente riportati l’elenco dei farmaci ordinati per principio attivo con relative specialità medicinali, classe terapeutica e prezzi in vigore in Italia (laddove ci sia sovrapposizione tra sostanze presenti in commercio nel Regno Unito e nel nostro paese), e l’elenco dei principi attivi contemplati in Medicines for Children non disponibili in Italia come specialità medicinali. La Guida all’uso dei farmaci nei bambini si pone quindi come strumento unico nel suo genere, accurato, efficace e maneggevole, da utilizzare nella Ministero della Salute 144 ATTIVITÀ EDITORIALI DELLA DIREZIONE GENERALE pratica clinica quotidiana degli operatori sanitari. La pubblicazione è, peraltro, testimonianza diretta dell’impegno di questa Direzione nel settore dell’informazione scientifica indipendente di alto livello, e si inquadra all’interno di un disegno organico che si articola in specifiche attività volte a fornire strumenti concreti per la formazione continua degli operatori sanitari. indipendente rivolta agli operatori sanitari ed ai cittadini (www.marionegri.it). Le traduzioni, a seconda del tema trattato, sono state affidate e revisionate da clinici o da ricercatori esperti. Bibliografia essenziale - Franzosi MG, Pisacane A, Tognoni G, eds. Bambini e farmaci. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1979. - Impagliazzo N, Longobardi G, Scarpellino B, Pisacane A. Malattie e farmaci in pediatria ambulatoriale. Napoli: L’Isola dei ragazzi edizioni, 1999. - Addis A, Assael BM, Raimo F. Farmaci essenziali in pediatria ambulatoriale. Milano: UTET, 2002. - Pandolfini C, Impicciatore P, Provasi D, Rocchi F, Campi R, Bonati M. Italian Paediatric Off-label Collaborative Group. The off-label use of drugs in Italy: a prospective, observational, multicentre study. Acta Paediatric 2002;91:339-47. L’edizione italiana della Guida all’uso dei farmaci per i bambini, traduzione del testo inglese adattato alla realtà italiana, è stata curata dal Laboratorio per la Salute Materno-Infantile dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, che da anni si occupa di informazione a proposito di… Schering e TOS La Schering utilizza l’associazione dei medici tedeschi per promuovere la terapia ormonale sostitutiva Koch K. Schering uses German medical association to promote HRT. BMJ 2003;326:1161. Diverse migliaia di ginecologi tedeschi sono stati destinatari di una campagna promozionale sulla terapia ormonale sostitutiva (TOS) in postmenopausa, nella quale si sosteneva “la scarsa rilevanza” per la popolazione tedesca dei risultati negativi emersi da uno dei maggiori studi americani sull’argomento. Il messaggio era, in parte, mascherato come rapporto ufficiale proveniente da un’importante associazione di ginecologi, la Berufsverband der Frauenärzte. La campagna si è messa in moto dopo l’improvvisa interruzione di parte dello studio Women Health Initiative sulla TOS, condotto negli Stati Uniti e pubblicato nel Luglio 2002 (BMJ 2002; 325:61). Lo studio, che coinvolgeva 16.000 donne, dimostrava un lieve incremento di rischio di tumore alla mammella, di malattie cardiovascolari, di trombosi e di ictus tra le donne sottoposte a TOS in postmenopausa. Appena tre giorni dopo la notizia relativa allo studio americano, molti ginecologi tedeschi hanno ricevuto un fax dal prof. Alexander Aschaffenburg, presidente della commissione sugli ormoni della Berufsverband, nel quale si affermava che “i dati presentati risultavano di scarsa importanza per la realtà tedesca”. I medici hanno cominciato a nutrire dei sospetti quando hanno associato il numero di fax da cui provenivano le dichiarazioni a due aziende tedesche produttrici di terapie ormonali: la Schering tedesca e la Jenapharm, una filiale della Schering AG a Berlino. I fax contenevano anche un “foglietto informativo” che i medici potevano copiare e consegnare a mano alle pazienti. Questo foglietto portava la firma del prof. Teichmann e dei membri della Berufsverband. Tuttavia il prof. Teichmann, dopo essere stato criticato per il suo comportamento dalle pagine del Deutsches Arzteblätt, organo di stampa ufficiale dell’associazione dei medici tedeschi, ha declinato ogni responsabilità per l’accaduto: “Non avevo mai visto il foglio informativo per i pazienti prima che venisse distribuito”, ha dichiarato. In effetti la Schering ha ammesso di aver redatto il foglio informativo internamente all’azienda, senza il coinvolgimento del prof. Teichmann o della Berufsverband. L’azienda “si è scusata per il fraintendimento”. Il contenuto del foglio informativo per i pazienti è stato oggetto di critiche perché non faceva cenno all’interruzione di parte del trial americano per motivi di sicurezza. Comunque, secondo il portavoce dell’azienda, la Schering aveva fornito solo supporto logistico, senza influenzare la stesura del foglio. • Fino all’aprile del 2001 Jenapharm era registrata come proprietaria del dominio Internet della commissione. Dopo una inchiesta della stampa sul dominio, lo scorso novembre, in poche ore, l’azienda ha rimosso la pagina web. Ministero della Salute MINISTERO DELLA SALUTE Direzione generale della valutazione dei medicinali e della farmacovigilanza BOLLETTINO SPERIMENTAZIONE CLINICA DEI MEDICINALI IN ITALIA n. 2 - Giugno 2003 Osservatorio Nazionale Sperimentazione Clinica Osservatorio Nazionale sulla Sperimentazione Clinica dei medicinali Responsabile: Carlo Tomino° Bollettino n. 2 - giugno 2003 Autori Coordinamento tecnico-scientifico: Carlo Tomino° Coordinamento gestione e analisi dei dati: Marisa De Rosa# Paola Aita° Roberta Coppari° Simona de Gregori° Adele Misticoni Consorti° Maria Elena Russo° Francesco Campana# Elisa Rinieri# Federica Ronchetti# Contributo tecnico-scientifico Maria Alario° Giuseppe Cammisa° Elisabetta Caponi° Salvatore Caruso° Fernanda D’Alfonso° Gabriella Dezi° Antonio Galluccio° Fulvia Guglielmi° Editing, grafica e segreteria Roberta Coppari° Simona de Gregori° Valentina Colussi# ° Sperimentazione Clinica – Ministero della salute - Roma Consorzio Interuniversitario (CINECA) – Casalecchio di Reno, Bologna # Questo Bollettino raccoglie i dati dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2002 IL PRESENTE BOLLETTINO E’ DISPONIBILE SUL SITO WEB http://oss-sper-clin.sanita.it/dati_pubblicazioni.htm Direzione generale della valutazione dei medicinali e della farmacovigilanza Ministero della salute Direttore: Nello Martini Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Comitati Etici L’istituzione e il funzionamento dei Comitati Etici sono regolamentati dal decreto ministeriale 18 marzo 1998. I Comitati Etici accreditati presso il Ministero della salute al 31 dicembre 2002 sono 289, di cui oltre il 19% concentrato in Lombardia; altre Regioni con un’alta rappresentatività di Comitati Etici sono Lazio (11.1%), Sicilia (9.3%), Campania e Veneto (8.3%). A fronte di una media nazionale di un Comitato Etico ogni 197 217 abitanti, alcune Regioni si discostano notevolmente da questa media, come il Molise, la Toscana e il Friuli-Venezia Giulia (a parte la Valle d’Aosta per la bassa densità abitativa). Le Regioni che hanno invece un elevato numero di residenti per Comitato Etico sono il Piemonte, l’Umbria, il Trentino-Alto Adige e la Calabria. Va ricordato inoltre che, mentre in Umbria è attivo un unico Comitato Etico regionale, in Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta i Comitati Etici locali affiancano l’operato di quello regionale. L’elevato numero di Comitati Etici è fonte inevitabile di disomogeneità delle procedure e delle disposizioni autorizzative locali, nonché per le richieste inoltrate agli Sponsor. La Direttiva europea 2001/20/CE, di prossimo recepimento in Italia, tra i tanti obiettivi avrà anche quello di armonizzare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative locali di tutti gli Stati membri. Tabella 1 Comitati Etici per Regione di appartenenza CE totali: 289 Regione di appartenenza Lombardia Lazio Sicilia Campania Veneto Emilia-Romagna Puglia Toscana Calabria Marche Liguria Friuli-Venezia Giulia Sardegna Abruzzo Basilicata Molise Piemonte Trentino-Alto Adige Valle d'Aosta Umbria Totale Nr. CE % 56 32 27 24 24 18 17 13 12 12 11 10 10 5 4 4 4 3 2 1 289 19.4 11.1 9.3 8.3 8.3 6.2 5.9 4.5 4.2 4.2 3.8 3.5 3.5 1.7 1.4 1.4 1.4 1.0 0.7 0.3 100.0 % cum. 19.4 30.4 39.8 48.1 56.4 62.6 68.5 73.0 77.2 81.3 85.1 88.6 92.0 93.8 95.2 96.5 97.9 99.0 99.7 100.0 Nr. abitanti * 9 032 554 5 112 413 4 968 991 5 701 931 4 527 694 3 983 346 4 020 707 3 497 806 2 011 466 1 470 581 1 571 783 1 183 764 1 631 880 1 262 392 597 768 320 601 4 214 677 940 016 119 548 825 826 56 995 744 Nr. abitanti / Nr. CE 161 296 159 763 184 037 237 580 188 654 223 373 234 314 113 122 291 484 167 622 142 889 118 376 163 188 252 478 149 442 80 150 1 053 669 313 339 59 774 825 826 * fonte Istat (popolazione residente censita al 21 ottobre 2001, dichiarata popolazione legale fino al prossimo censimento con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2 aprile 2003 – tabella pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 2003, supplemento ordinario n. 54) 2 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Figura 1 Comitati Etici per Regione di appartenenza 3 (1.0%) 2 (0.7%) 56 (19.4%) 24 (8.3%) 4 (1.4%) 11 (3.8%) 10 (3.5%) 18 (6.2%) 13 (4.5%) 1 (0.3%) 12 (4.2%) 5 (1.7%) 32 (11.1%) 4 (1.4%) 24 (8.3%) 4 (1.4%) 10 (3.5%) 17 (5.9%) 12 (4.2%) 27 (9.3%) 3 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Centri Privati La sperimentazione clinica dei medicinali nei Centri Privati è regolamentata dal decreto ministeriale 19 marzo 1998, il quale stabilisce, tra l’altro, che tale tipologia di strutture - al fine di poter prendere parte a studi clinici - deve essere preventivamente autorizzata dal Ministero della salute. Il numero dei Centri Privati presenti nell’OsSC al 31 dicembre 2002 e a cui fanno riferimento i dati di questo Bollettino è salito a 30. La Lombardia, con 14 Centri Privati autorizzati, è seguita da Lazio (4), Emilia Romagna (3), Veneto (3), Abruzzo (2) e Campania (2). In Puglia e Sicilia è presente 1 solo centro accreditato. Per quanto concerne i rami specialistici in cui è possibile condurre sperimentazioni cliniche nei Centri Privati, c’è una netta prevalenza delle unità operative di Ortopedia e Traumatologia (50%) e di Urologia (46.7%), seguite da Cardiologia (36.7%), Medicina Generale (36.7%), Neurologia (36.7%), Chirurgia Generale (33.3%) e Ostetricia e Ginecologia (33.3%). Tabella 2 Centri Privati per Regione di appartenenza CP totali: 30 Regione di appartenenza Lombardia Lazio Emilia-Romagna Veneto Abruzzo Campania Puglia Sicilia Totale Nr. CP % 14 4 3 3 2 2 1 1 30 46.7 13.3 10.0 10.0 6.7 6.7 3.3 3.3 100.0 Tabella 3 Centri Privati per ramo specialistico CP totali: 30 Ramo specialistico Ortopedia e traumatologia Urologia Cardiologia Medicina generale Neurologia Chirurgia generale Ostetricia e ginecologia Oncologia Riabilitazione e recupero funzionale Cardiochirurgia Oculistica Anestesia, rianimazione, terapia intensiva Chirurgia vascolare Otorinolaringoiatria Nr. CP 15 14 11 11 11 10 10 9 8 7 7 6 6 6 % 50.0 46.7 36.7 36.7 36.7 33.3 33.3 30.0 26.7 23.3 23.3 20.0 20.0 20.0 (segue) 4 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 (segue) Ramo specialistico Chirurgia plastica Gastroenterologia Medicina interna Radiologia Dermatologia Ematologia Geriatria Neurochirurgia Neuropsichiatria Pneumologia Reumatologia Broncopneumologia Chirurgia toracica Endocrinologia Endoscopia digestiva Fisiatria Medicina nucleare Nefrologia Neonatologia Pediatria Allergologia Anatomia patologica Andrologia Chirurgia oncologica Chirurgia toraco-vascolare Elettrofisiologia Emodinamica Epatologia Medicina di laboratorio Microchirurgia oculare Psichiatria Radioterapia Totale Nr. CP 5 5 4 4 3 3 3 3 3 3 3 2 2 2 2 2 2 2 2 2 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 200 * % 16.7 16.7 13.3 13.3 10.0 10.0 10.0 10.0 10.0 10.0 10.0 6.7 6.7 6.7 6.7 6.7 6.7 6.7 6.7 6.7 3.3 3.3 3.3 3.3 3.3 3.3 3.3 3.3 3.3 3.3 3.3 3.3 * questo totale risulta superiore al nr. di CP poiché ciascun centro può essere abilitato alla sperimentazione in più rami specialistici. La percentuale in seconda colonna è stata calcolata rispetto al nr. totale di CP (30) 5 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Sperimentazioni Cliniche dei medicinali I dati presentati in questo Bollettino, relativi al periodo 1° gennaio 2000 – 31 dicembre 2002, comprendono 1 659 sperimentazioni cliniche (incluse le Fasi I): Anno 2000 2001 2002 Totale Nr. sperim. 562 590 507 1 659 In base ai dati inseriti nell’OsSC, a fronte di un cospicuo numero di valutazioni (12 057), circa il 70% di queste si concretizzano nell’avvio della sperimentazione (8 705), circa 1/3 giungono a conclusione (4 454) ed una minima percentuale produce risultati che diventano disponibili all’intera comunità scientifica tramite pubblicazione su riviste nazionali e/o internazionali. La presenza dell’Italia negli studi internazionali è aumentata sensibilmente, raggiungendo il 63.2% nel 2002 (vedere Grafico 1). Si evidenzia come in Italia sia percentualmente molto alta la sperimentazione clinica di Fase III (55.6%); bisogna tuttavia sottolineare la crescita degli studi di Fase II, la cui percentuale è passata dal 27.8% nel 2000 al 36.5% nel 2002 (vedere Grafico 2). Gli studi di Fase I, grazie anche alla modifica della normativa, hanno avuto un incremento nel corso del tempo, fino ad arrivare, con 11 approvazioni nel 2002, a rappresentare il 2.2% del totale. Grafico 1 65 60 60 55 55 Studi Internazionali Studi Nazionali 45 50 % 50 % Grafico 2 65 45 40 40 35 35 30 30 25 Studi di Fase III Studi di Fase II 25 2000 2001 2002 2000 2001 2002 Le categorie terapeutiche nelle quali si eseguono maggiormente sperimentazioni cliniche sono quelle dei farmaci antineoplastici ed immunomodulatori (30.7%), seguite dai farmaci per il sistema nervoso (11.2%) e dagli antimicrobici generali per uso sistemico (11.2%). Il 77% della sperimentazione clinica italiana viene condotta avendo come Sponsor le Aziende farmaceutiche, mentre il restante 23% è coordinato da enti no profit (Aziende Ospedaliere, ASL, Associazioni scientifiche, IRCCS, Università, ecc.). Analizzando in dettaglio, si può notare come le Aziende farmaceutiche concentrino la loro ricerca nei gruppi terapeutici degli antineoplastici ed immunomodulatori (20.9%), dei farmaci per il sistema nervoso (12.8%) e degli antimicrobici generali per uso sistemico (12.1%), mentre gli enti no profit mirino le ricerche prevalentemente nella categoria degli antineoplastici (62.6%). Per quanto riguarda le Società farmaceutiche, le prime 21 Aziende sponsorizzano il 59.1% degli studi clinici, le prime 50 il 81.1%, le prime 100 il 93.3%. Ponendo l’attenzione alle sperimentazioni con Sponsor no profit, i primi 21 enti concentrano il 61.8% degli studi, mentre i primi 50 l’82.8% del totale. I Comitati Etici dei centri coordinatori, le cui competenze sono particolarmente importanti alla luce dei decreti del 18 marzo 1998, conducono un’intensa e concentrata attività; i primi 25 sono coordinatori del 68.5% delle sperimentazioni, mentre i primi 50 dell’85.5%. Gli Ospedali a gestione diretta (31.9%) e le Aziende Ospedaliere (30%) rappresentano oltre metà di tutti i centri clinici partecipanti alle sperimentazioni. Nell’analisi regionale spiccano, nelle prime cinque posizioni, la Lombardia (22%), l’Emilia-Romagna (10.6%), la Toscana (8.6%), il Lazio (8.5%), il Veneto (7.8%); le altre Regioni, tutte insieme, rappresentano il 42.5% del totale. 6 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Tabella 4 Sperimentazioni per tipologia: monocentrica / multicentrica Sperimentazioni totali: 1 659 di cui 1 605 (96.7%) con tipologia specificata 2000 Tipologia 2001 2002 Totale Nr. sperim. % Nr. sperim. % Nr. sperim. % Nr. sperim. % 81 460 541 15.0 85.0 100.0 109 470 579 18.8 81.2 100.0 106 379 485 21.9 78.1 100.0 296 1 309 1 605 18.4 81.6 100.0 Monocentrica Multicentrica Totale Tabella 5 Sperimentazioni multicentriche nazionali e internazionali Sperimentazioni multicentriche: 1 309 di cui 1 129 (86.2%) con tipologia specificata 2000 Tipologia 2001 2002 Totale Nr. sperim. % Nr. sperim. % Nr. sperim. % Nr. sperim. % 186 206 392 47.4 52.6 100.0 153 250 403 38.0 62.0 100.0 123 211 334 36.8 63.2 100.0 462 667 1 129 40.9 59.1 100.0 Nazionale Internazionale Totale Tabella 6 Sperimentazioni monocentriche / multicentriche per fase Sperimentazioni totali: 1 659 di cui 1 605 (96.7%) con tipologia e fase specificate Fase di sperimentazione Fase III Fase II Fase IV Bioeq / Biod Fase I * Totale Monocentriche Nr. sperim. 94 115 34 41 12 296 Multicentriche Nr. sperim. 806 392 101 3 7 1 309 % 10.4 22.7 25.2 93.2 63.2 18.4 Totale Nr. sperim. 900 507 135 44 19 1 605 % 89.6 77.3 74.8 6.8 36.8 81.6 % 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 100.0 * inserite dal Ministero della salute Tabella 7 Sperimentazioni per fase e anno Sperimentazioni totali: 1 659 Fase di sperimentazione Fase III Fase II Fase IV Bioeq / Biod Fase I * Totale 2000 2002 Totale Nr. sperim. % Nr. sperim. % Nr. sperim. % Nr. sperim. % 347 156 44 10 5 562 61.7 27.8 7.8 1.8 0.9 100.0 314 193 59 19 5 590 53.3 32.7 10.0 3.2 0.8 100.0 261 185 34 16 11 507 51.4 36.5 6.7 3.2 2.2 100.0 922 534 137 45 21 1 659 55.6 32.2 8.3 2.7 1.3 100.0 * inserite dal Ministero della salute 7 2001 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Tabella 8 Sperimentazioni per ATC - Gruppo Anatomico Principale (GAP) - e per anno Sperimentazioni totali: 1 638 di cui 1 578 (96.3%) con ATC del farmaco in studio specificato * 2000 2001 2002 Gruppo Anatomico Principale (GAP) Nr. Nr. Nr. % % % sperim. sperim. sperim. 160 33.8 L Antineoplastici ed immunomodulatori 157 29.3 167 29.3 49 N Sistema nervoso 60 68 11.2 12.0 10.3 38 J Antimicrobici generali per uso sistemico 67 71 12.5 12.5 8.0 59 30 A App. gastrointestinale e metabolismo 47 8.8 10.4 6.3 38 39 C Sistema cardiovascolare 38 7.1 6.7 8.2 33 35 B Sangue ed organi emopoietici 36 6.7 5.8 7.4 29 32 M Sistema muscolo-scheletrico 29 5.4 5.1 6.8 30 11 G Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali 37 6.9 5.3 2.3 26 25 V Vari 12 2.2 4.6 5.3 17 18 R Sistema respiratorio 24 4.5 3.0 3.8 10 14 H Prep. ormonali sistemici, esclusi gli ormoni sessuali 12 2.2 1.8 3.0 10 13 S Organi di senso 11 2.1 1.8 2.7 7 10 D Dermatologici 6 1.1 1.2 2.1 3 0 P Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti 0 0.0 0.5 0.0 Totale 536 100.0 568 100.0 474 100.0 * esclusa Fase I Tabella 9 Sperimentazioni per ATC - Sottogruppo terapeutico (SGT) Sperimentazioni totali: 1 638 di cui 1 578 (96.3%) con ATC del farmaco in studio specificato ** Sottogruppo Terapeutico (SGT) L L01 L03 L04 L02 L N N06 N05 N03 N04 N07 N02 N01 N J J05 J01 J07 J02 J06 J Antineoplastici ed immunomodulatori antineoplastici agenti ad azione immunostimolante agenti ad azione immunosoppressiva terapia endocrina Antineoplastici ed immunomodulatori * Sistema nervoso psicoanalettici psicolettici antiepilettici antiparkinsoniani altri farmaci attivi sul sistema nervoso centrale analgesici anestetici Sistema nervoso * Antimicrobici generali per uso sistemico antivirali per uso sistemico antibatterici ad uso sistemico vaccini antimicotici per uso sistemico sieri immuni ed immunoglobuline Antimicrobici generali per uso sistemico * Nr. sperim. 484 313 78 68 23 2 177 51 37 31 17 16 13 10 2 176 76 55 40 2 2 1 % su gruppo 100.0 64.7 16.1 14.0 4.8 0.4 100.0 28.8 20.9 17.5 9.6 9.1 7.3 5.7 1.1 100.0 43.2 31.3 22.7 1.1 1.1 0.6 % su totale 30.7 19.8 4.9 4.3 1.5 0.1 11.2 3.2 2.3 2.0 1.1 1.0 0.8 0.6 0.1 11.2 4.8 3.5 2.5 0.1 0.1 0.1 (segue) 8 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 (segue) Sottogruppo Terapeutico (SGT) A A10 A02 A16 A07 A05 A03 A04 A06 A08 A A12 A09 A01 C C09 C01 C10 C08 C02 C05 C07 C04 C C03 B B01 B03 B02 B05 B06 M M01 M05 M03 M02 M G G04 G03 G01 G G02 9 App. gastrointestinale e metabolismo antidiabetici antiacidi, antimeteorici ed antiulcera peptica altri farmaci app. gastrointestinale e metabolismo antidiarroici, antinfiammatori ed antimicrobici intest. terapia biliare ed epatica antispastici procinetici ed anticolinergici antiemetici ed antinausea lassativi farmaci contro l’obesità, esclusi i prodotti dietetici App. gastrointestinale e metabolismo * integratori minerali digestivi, inclusi gli enzimi stomatologici Sistema cardiovascolare sostanze ad azione sul sistema renina-angiotensina terapia cardiaca sostanze ipolipemizzanti calcioantagonisti antiipertensivi vasoprotettori betabloccanti vasodilatatori periferici Sistema cardiovascolare * diuretici Sangue ed organi emopoietici antitrombotici farmaci antianemici antiemorragici succedanei del plasma e soluzioni perfusionali altri agenti ematologici Sistema muscolo-scheletrico farmaci antinfiammatori ed antireumatici altri farmaci per affez. sistema muscolo-scheletrico miorilassanti farmaci uso topico per dolori articolari e muscolari Sistema muscolo-scheletrico * Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali urologici ormoni sessuali e stimolanti del sistema genitale antimicrobici ed antisettici ginecologici Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali * altri ginecologici Nr. sperim. 136 50 24 20 16 11 3 3 3 2 1 1 1 1 115 31 26 24 9 6 6 5 4 2 2 104 56 25 17 5 1 90 48 22 9 7 4 78 41 25 6 3 3 % su gruppo 100.0 36.8 17.7 14.7 11.8 8.1 2.2 2.2 2.2 1.5 0.7 0.7 0.7 0.7 100.0 27.0 22.6 20.9 7.8 5.2 5.2 4.4 3.5 1.7 1.7 100.0 53.9 24.0 16.3 4.8 1.0 100.0 53.3 24.5 10.0 7.8 4.4 100.0 52.6 32.1 7.7 3.8 3.8 % su totale 8.6 3.2 1.5 1.3 1.0 0.7 0.2 0.2 0.2 0.1 0.1 0.1 0.1 0.1 7.3 2.0 1.6 1.5 0.6 0.4 0.4 0.3 0.3 0.1 0.1 6.6 3.5 1.6 1.1 0.3 0.1 5.7 3.0 1.4 0.6 0.4 0.3 4.9 2.6 1.6 0.4 0.2 0.2 (segue) Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 (segue) Sottogruppo Terapeutico (SGT) V V08 V03 V06 V09 V01 V04 V20 R R03 R05 R06 R07 R01 H H01 H02 H05 H03 S S01 S S03 D D07 D01 D06 D11 D03 D05 D D08 D10 D02 P P01 P03 Vari mezzi di contrasto tutti gli altri prodotti terapeutici agenti nutrizionali radiofarmaceutici diagnostici allergeni diagnostici medicazioni chirurgiche Sistema respiratorio antiasmatici preparati per la tosse e malattie da raffreddamento antistaminici per uso sistemico altri preparati per il sistema respiratorio preparati rinologici Prep. ormonali sistemici, escl. ormoni sessuali ormoni ipofisari, ipotalamici ed analoghi corticosteroidi sistemici calcio-omeostatici terapia tiroidea Organi di senso oftalmologici Organi di senso * preparati oftalmologici ed otologici Dermatologici corticosteroidi, preparati dermatologici antimicotici per uso dermatologico antibiotici e chemioterapici per uso dermatologico altri preparati dermatologici preparati per il trattamento di ferite ed ulcerazioni antipsoriasici Dermatologici * antisettici e disinfettanti preparati antiacne emollienti e protettivi Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti antiprotozoari ectoparassiticidi, compresi antiscabbia e altri Totale Nr. sperim. 63 29 24 4 3 1 1 1 59 40 7 5 5 2 36 26 5 3 2 34 32 1 1 23 5 4 3 3 2 2 1 1 1 1 3 2 1 1 578 % su gruppo 100.0 46.0 38.1 6.3 4.8 1.6 1.6 1.6 100.0 67.8 11.8 8.5 8.5 3.4 100.0 72.2 13.9 8.3 5.6 100.0 94.2 2.9 2.9 100.0 21.7 17.3 13.0 13.0 8.7 8.7 4.4 4.4 4.4 4.4 100.0 66.7 33.3 100.0 % su totale 4.0 1.8 1.5 0.3 0.2 0.1 0.1 0.1 3.7 2.5 0.4 0.3 0.3 0.1 2.3 1.6 0.3 0.2 0.1 2.2 2.0 0.1 0.1 1.5 0.3 0.3 0.2 0.2 0.1 0.1 0.1 0.1 0.1 0.1 0.2 0.1 0.1 100.0 * non ulteriormente specificato ** esclusa Fase I 10 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Tabella 10 Sperimentazioni per tipo di Sponsor Sperimentazioni totali: 1 638 * Tipo di Sponsor Azienda farmaceutica ASL o Azienda ospedaliera IRCCS pubblico o privato Associazione scientifica Università Ente di ricerca Fondazione Ente governativo Totale Nr. sperim. % 1 260 146 125 64 28 10 3 2 1 638 77.0 8.9 7.6 3.9 1.7 0.6 0.2 0.1 100.0 * esclusa Fase I Tabella 11 Sperimentazioni per ATC - Gruppo Anatomico Principale (GAP) Confronto Azienda farmaceutica / Sponsor no profit Sperimentazioni totali: 1 638 di cui 1 578 (96.3%) con ATC del farmaco in studio specificato * Gruppo Anatomico Principale (GAP) L N J A C B M G V R H S D P Antineoplastici ed immunomodulatori Sistema nervoso Antimicrobici generali per uso sistemico App. gastrointestinale e metabolismo Sistema cardiovascolare Sangue ed organi emopoietici Sistema muscolo-scheletrico Sistema genito-urinario ed ormoni sessuali Vari Sistema respiratorio Prep. ormonali sistemici esclusi gli ormoni sessuali Organi di senso Dermatologici Farmaci antiparassitari, insetticidi e repellenti Totale * esclusa Fase I 11 Azienda farmaceutica Nr. sperim. 253 155 146 126 99 87 78 74 50 58 26 33 21 3 1 209 % 20.9 12.8 12.1 10.4 8.2 7.2 6.5 6.1 4.1 4.8 2.2 2.7 1.7 0.3 100.0 No profit Nr. sperim. % 231 62.6 22 6.0 30 8.1 10 2.7 16 4.3 17 4.6 12 3.3 4 1.1 13 3.5 1 0.3 10 2.7 1 0.3 2 0.5 0 0.0 369 100.0 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Figura 2 Sperimentazioni per Sponsor Azienda farmaceutica I primi 21 su 175 rappresentano il 59.1% del totale delle sperimentazioni (esclusa Fase I) GlaxoSmithKline 64 62 Novartis Farma Bristol-Myers Squibb 54 Wyeth Lederle 47 AstraZeneca 46 Roche 45 Merck Sharp & Dohme 44 Sigma-Tau 42 Pharmacia & Upjohn 42 Pfizer 37 Schering-Plough 34 Lilly 34 Janssen-Cilag 25 Bayer 24 Boehringer Ingelheim 22 Sanofi-Synthelabo 21 Schering 20 Abbott 20 Takeda 19 Novo Nordisk 19 Bracco 19 0 10 20 30 40 50 60 70 Nr. SC 12 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Figura 3 Sperimentazioni per Sponsor no profit I primi 21 su 110 rappresentano il 61.8% del totale delle sperimentazioni (esclusa Fase I) Policlinico S. Matteo (PV) 30 Osp. S. Raffaele (MI) 27 Policlinico Univ. Gemelli (RM) 19 Ist.Naz. Tumori – Fond. Pascale (NA) 18 Ist. Europeo Oncologia (MI) 15 European Org. Research Treatment Cancer 13 AO Pol. S. Orsola Malpighi (BO) 13 12 DIMI AO S. Martino e Cliniche Univ. (GE) 11 AO di Padova (PD) 10 AO Ist. Ospitalieri di Verona (VR) Università degli studi Udine (UD) 8 Università degli studi Siena (SI) 7 Casa Sollievo della Sofferenza (FG) 6 AO Osp. Riuniti (BG) 6 Ist. Naz. Tumori (MI) 6 Ist. Ortopedici Rizzoli (BO) 6 AO Careggi (FI) 6 Ist. Fisioterapici Ospedalieri (RM) 5 Istituto Superiore Sanità (RM) 5 New Drugs Development Office 5 Osp. Maggiore (MI) 5 0 5 10 15 20 Nr. SC 13 25 30 35 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 – giugno 2003 Figura 4 Sperimentazioni per Comitato Etico del centro coordinatore I primi 25 su 141 rappresentano il 68.5% del totale delle sperimentazioni (esclusa Fase I) CE Fond. S. Raffaele Monte Tabor (MI) 114 CE Pol. S. Matteo (PV) 110 CE AO Pisana (PI) 91 CE Pol. S. Orsola - Malpighi (BO) 83 CE Univ. Catt. S. Cuore – Pol. Gemelli (RM) 69 CE Az. Sanitarie Umbria (PG) 58 CE AO Senese (SI) 55 CE Osp. Maggiore (MI) 45 CE AO Padova (PD) 45 CE Ist. Naz. Tumori Fond. Pascale (NA) 40 CE Regione Piemonte (TO) 38 CE AO Careggi (FI) 34 CE DIMI Univ. Genova – Osp. S. Martino (GE) 33 CE Ist. Europeo di Oncologia (MI) 30 CE AO S. Martino Clin. Universitarie (GE) 30 CE Pol. Umberto I (RM) 30 CE AO Pol. Consorziale (BA) 30 CE AO Istituti Ospitalieri (VR) 29 CE Ist. Naz. Ricerca sul Cancro (GE) 26 CE Provinciale Modena (MO) 25 CE Ist. Europeo Oncologia (MI) 23 CE Univ. G. D'Annunzio (CH) 22 CE Osp. L. Sacco (MI) 22 CE Univ. Federico II (NA) 19 CE Policlinico Univ. Udine (UD) 19 0 20 40 60 80 100 120 140 Nr. SC 14 Bollettino Sperimentazione Clinica dei medicinali in Italia n. 2 - giugno 2003 Inserto del Bollettino d’Informazione sui Farmaci (BIF) bollettino d’informazione sui farmaci 145 DALLA LETTERATURA Questa rubrica è di solito dedicata al riassunto di recenti articoli riguardanti i temi principalmente discussi nello stesso numero del BIF. In questo caso si è voluta cogliere l’occasione di un numero del British Medical Journal (BMJ 2003; 326), quasi interamente dedicato al problema dell’informazione medico-scientifica, soprattutto in relazione ai farmaci. Di seguito si riporta, infatti, una selezione degli articoli che la redazione ha ritenuto più interessanti, per alcuni dei quali viene fornita solo una sintesi. Si è inoltre ritenuto utile integrare gli articoli tratti dal BMJ con dei commenti che riportano alcuni punti di vista dell’editoria scientifica italiana. ◗ L’informazione proveniente dalle aziende farmaceutiche e gli opinion leaders. Il doppio standard informativo diverso per le riviste biomediche e per i medici - dovrebbe essere superato. LIBERATI A, MAGRINI N. INFORMATION FROM DRUG COMPANIES AND OPINION LEADERS. BMJ 2003; 326:1156-7. I farmaci possono offrire enormi vantaggi in termini di salute se le scelte terapeutiche vengono fatte in modo appropriato, e in questo senso la disponibilità di un’informazione valida è una condizione necessaria. L’asimmetria dell’informazione disponibile per operatori e pazienticittadini è una barriera fondamentale per scelte razionali e informate. L’informazione di buona qualità è tuttavia un prodotto a disponibilità limitata anche per i professionisti sanitari, e l’uso di un diverso standard qualitativo nella sua diffusione rappresenta una delle cause principali di fallimento della catena terapeutica, intesa come: sviluppo/registrazione ed eventuali provvedimenti regolatori/commercializzazione/distribuzione/prescrizione/dispensazione/uso del farmaco1. Gli investimenti dei sistemi sanitari nella produzione di informazione indipendente sono modesti e di conseguenza le aziende farmaceutiche – che finanziano gran parte della ricerca – diventano gli attori principali nella divulgazione dell’informazione ai professionisti sanitari e al pubblico. Le aziende farmaceutiche e i ricercatori che agiscono come opinion leaders si comportano in modo corretto e coerente, oppure adottano un doppio standard quando scrivono su riviste scientifiche autorevoli (peer reviewed) rispetto a quando si rivolgono ai clinici? Questa forma di asimmetria informativa è ben nota2. Di seguito, discuteremo due recenti esempi che illustrano in modo evidente i pericoli di questo doppio standard informativo: un documento della Federazione Europea delle Aziende Farmaceutiche (EFPIA)3 e il dibattito successivo alla pubblicazione dello studio ALLHAT, che rappresenta una pietra miliare fra i trial sul trattamento per l’ipertensione arteriosa4-8. Il documento EFPIA I l documento identifica 20 malattie e condizioni patologiche, tra cui demenza, asma, epatite C, artrite reumatoide, osteoporosi e alcuni tumori, per le quali “non vengono raggiunti benefici potenzialmente raggiungibili”3. Secondo il documento ciò accade perché ai pazienti viene negato l’accesso a Ministero della Salute importanti terapie, a causa di una diagnosi imprecisa, di scarsa conoscenza da parte dei pazienti dei farmaci efficaci e di un rigido contenimento della spesa da parte dei sistemi sanitari. Vale la pena leggere questo documento per il modo in cui è stato scritto, trascurando principi fondamentali della sintesi dell’informazione scientifica. Nello spazio di 98 pagine e 184 voci bibliografiche i lettori vengono messi in guardia contro un presunto sotto-utilizzo di farmaci efficaci. Nessuna delle malattie presentate viene discussa in riferimento ai risultati di revisioni sistematiche disponibili. Semplicemente consultando Clinical Evidence e la Cochrane Library si trovano da 5 a 15 revisioni sistematiche per ognuna delle patologie esaminate9,10. Per ognuna di esse il documento cita solo alcuni degli studi positivi, mentre quelli con risultati negativi vengono ignorati. Questa selettività non è limitata agli studi di efficacia, ma viene applicata anche a quelli di appropriatezza. Non viene citato alcuno studio sul sovra-utilizzo degli interventi sanitari – la dimensione della qualità di cura maggiormente affrontata in letteratura – mentre sono menzionate solamente le ricerche sul sotto-utilizzo. Nella sezione sulla malattia di Alzheimer, ad esempio, il documento EFPIA sostiene che i pazienti trattati con farmaci anticolinesterasici di 146 seconda generazione godono di una migliore qualità di vita, con conseguenti ricadute positive sui costi sociali della malattia. Solamente una referenza (in tedesco) viene citata a supporto di questa affermazione. Le revisioni sistematiche, al contrario, non supportano questa affermazione sulla base degli studi disponibili, a causa di follow-up inadeguati, end-point di discutibile rilevanza clinica e scarsità di dati sulla qualità di vita, concludendo che l’importanza pratica dei cambiamenti osservati sui pazienti e su chi li assiste non è chiara10. Lo studio ALLHAT I l secondo esempio riguarda il diverso approccio seguito dalle aziende farmaceutiche e da alcuni opinion leaders nell’affrontare i risultati dello studio ALLHAT: discussi scientificamente su riviste peer-reviewed5,6 e invece rifiutati su riviste nazionali indirizzate a prescrittori e cardiologi7,8. Questo doppio standard fa parte di una strategia predefinita mirata a mettere in dubbio i risultati non graditi11. Lo studio ALLHAT ha ricevuto risposte immediate sul Journal of Hypertension, la cui direzione ha chiesto a specialisti ipertensivologi di discuterne punti di forza e debolezze metodologiche5. I commentatori invitati ne hanno sostanzialmente elogiato i punti di forza, identificando punti deboli solamente marginali11-14. Al contrario, sulla rivista della Società Italiana dell’Ipertensione (Ipertensione & Prevenzione Cardiovascolare)7 e su una rivista medica mensile (Sole 24 Ore Sanità)8, sono apparse nuove critiche a tutto campo dirette al disegno, all’analisi e all’interpretazione dei risultati dell’ALLHAT. L’editoriale italiano sostiene che gli inconvenienti dell’ALLHAT dipendono da DALLA LETTERATURA una scarsa esperienza nel campo della ricerca da parte di molti dei centri partecipanti, dalla breve durata dello studio, dalla mancanza di un periodo di washout prima della randomizzazione e dalle peculiari associazioni farmacologiche aggiunte ai trattamenti sperimentali. L’editoriale suggerisce inoltre che i ricercatori dell’ALLHAT abbiano conflitti di interesse, dal momento che le istituzioni pubbliche che hanno finanziato lo studio (i National Institutes for Health americani) hanno come obiettivo prioritario il contenimento dei costi dell’assistenza sanitaria7. Nell’altro articolo vengono indicati come difetti principali dell’ALLHAT l’inefficacia della monoterapia (quando da sola ha in realtà permesso un buon controllo pressorio nel 55% dei pazienti); la necessità di aggiungere un secondo farmaco che potrebbe aver favorito il clortalidone; il fatto che il 90% della popolazione in studio veniva già trattata con farmaci antipertensivi (ma non succede forse questo in tutti gli studi sull’ipertensione?); che lo scompenso cardiaco non era un esito pre-specificato (in realtà lo era, e anche totalmente validato); infine che il follow-up era stato troppo breve per mostrare differenze importanti durante una terapia a lungo termine (il follow-up dell’ALLHAT è uno dei più lunghi stando nel campo dell’ipertensione). L’articolo si conclude dicendo che i risultati dell’ALLHAT non possono essere applicati alla pratica clinica italiana o europea a causa della bassa percentuale di pazienti neri, coloro che ricavano il massimo beneficio da un trattamento con diuretico tiazidico8. È interessante notare come nella pubblicazione principale dello studio ALLHAT un’analisi per i vari sottogruppi abbia mostrato che i risultati non cambiavano in relazione alla razza4. Nessuno di questi elementi di discussione era comunque presente Ministero della Salute nelle lettere al Direttore pubblicate dal JAMA alcuni mesi dopo i risultati del rapporto ALLHAT6. Questi due casi sottolineano come, se le aziende farmaceutiche e gli opinion leaders intendono conservare la propria credibilità, si devono stabilire regole comuni a tutti e definite. In primo luogo le aziende farmaceutiche dovrebbero collaborare su un programma di ricerca con priorità esplicitate, in cui i problemi legati all’assistenza siano più rilevanti degli aspetti relativi ai farmaci. In secondo luogo si dovrebbe sviluppare un codice di comportamento trasparente per evitare bias di pubblicazione o la censura preventiva dell’informazione. Dal momento che viene pubblicata solo una parte degli studi randomizzati controllati, sarebbe auspicabile creare un registro degli studi in corso sull’esempio della banca dati dell’US National Cancer Institute, consultabile da parte dei clinici (www.nci.gov/cancer_information/ pdq/), e inoltre esplicitare i propri potenziali conflitti di interesse dei ricercatori e i loro ruoli nel disegno, conduzione, analisi e interpretazione dei risultati dello studio. Infine sia le aziende farmaceutiche sia gli opinion leaders dovrebbero riconoscere il proprio obbligo etico a evitare di parlare due linguaggi diversi: quello scientifico sulle riviste peer reviewed e quello infarcito di opinioni personali quando parlano direttamente ai clinici o ai decisori della sanità. Bibliografia 1. Figueras A, Laporte JR. Failures of the therapeutic chain as a cause of drug ineffectiveness: promotion, misinformation, and economics work better than needs. BMJ 2003;326:895-6. 2. Collier J, Iheanacho I. The pharmaceutical industry as an informant. Lancet 2002:360:1405-9. 3. Schöffski O, on behalf of the European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations. Diffusion of medicines in Europe. EFPIA, September 2002. bollettino d’informazione sui farmaci 147 ANNO X N. 3-4 2003 www.gm.wiso.uni-erlangen.de/ (ultimo accesso 27 maggio 2003). 4. ALLHAT Officers and Coordinators for the ALLHAT Collaborative Research Group. Major outcomes in high risk hypertensive patients randomised to angiotensin-converting enzyme inhibitor or calcium channel blocker vs diuretic: the antihypertensive and lipid lowering treatment to prevent heart attack trial (ALLHAT). JAMA 2002;288:2981-97. 5. Zanchetti A, Mancia G. The ALLHAT trial: a verdict or a challenge? J Hypertens 2003;21:223. 6. Wright JT, Davis BR, Cutler JA for the ALLHAT Collaborative Research Group. JAMA 2003;289:2069. (Reply to correspondence on page 2066-8.) 7. Agabiti Rosei P. Quali nuovi insegnamenti dallo studio ALLHAT per il trattamento dell’ipertensione arteriosa. Ipertensione & Prevenzione Cardiovascolare 2002; Dicembre:133-5. 8. Ambrosioni E. Valutare l’effectiveness pesando tutti gli effetti. Sole 24 Ore Sanità 2003, Marzo 4-10:21. 9. Clinical Evidence. London: BMJ Publishing, 2002. (Issue 8). 10. Cochrane Library. Oxford: Update software, 2002. (Issue 4). 11. Lenzer J. Spin doctors soft pedal data on antihypertensives. BMJ 2003;326:170. 12. Chalmers J. All hats off to ALLHAT: a massive study with clear message. J Hypertens 2003;21:225-8. 13. Fagard RH. The ALLHAT trial: strengths and limitations. J Hypertens 2003;21:229-32. 14. Kaplan NM. The meaning of ALLHAT. J Hypertens 2003;21:233-4. Dopo la pubblicazione di questo editoriale hanno fatto seguito alcune risposte che sono disponibili online sul sito Internet: http://bmj.bmjjournals.com/cgi/ content/full/326/7400/1156# responses Conflitti di interessi: AL e NM lavorano presso un centro sanitario nazionale la cui attività principale è quella di fornire informazioni agli operatori della salute sugli effetti degli interventi sanitari. Il loro impegno quotidiano a favore di un’informazione autenticamente indipendente e la sua effettiva disseminazione sono all’origine del loro scetticismo. ◗ Sponsorizzazione da parte dell’industria farmaceutica ed esiti e qualità della ricerca: una revisione sistematica* LEXCHIN J, BERO LA, DJULBEGOVIC B, CLARK O. PHARMACEUTICAL INDUSTRY SPONSORSHIP AND RESEARCH OUTCOME AND QUALITY: SYSTEMATIC REVIEW. BMJ 2003;326:1167-70. Criteri della revisione sistematica Obiettivo: stabilire se la sponsorizzazione degli studi sui farmaci da parte dell’industria farmaceutica sia associata ad esiti favorevoli per lo sponsor e se i metodi delle sperimentazioni sponsorizzate dalle aziende farmaceutiche siano diversi da quelli dei trial sostenuti da altre fonti di finanziamento. Metodi: ricerche su Medline (da gennaio 1966 a dicembre 2002) e Embase (gennaio 1980 a dicembre 2002), integrate da materiale citato in bibliografia. Risultati: sono stati inclusi 30 studi, da cui risulta che le ricerche sponsorizzate dalle aziende farmaceutiche hanno meno probabilità di essere pubblicate rispetto alle ricerche finanziate da altre fonti, mentre hanno più probabilità di dar luogo ad esiti a favore dello sponsor rispetto agli studi che hanno altre fonti di finanziamento. Conclusioni: le ricerche sponsorizzate dall’industria riportano bias che favoriscono i prodotti dell’azienda finanziatrice della ricerca. Tra essi vi sono bias di pubblicazione e la scelta non corretta dei prodotti da mettere a confronto con il farmaco oggetto dello studio. U n numero crescente di sperimentazioni cliniche, condotte nelle varie fasi del ciclo vitale di un prodotto, viene finanziata dall’industria farmaceutica. I risultati che sono sfavorevoli allo sponsor, cioè sperimentazioni da cui emerge che un farmaco è clinicamente meno efficace, o ha un rapporto costo/efficacia meno conveniente, o è meno * Di questo articolo viene presentata una sintesi. Ministero della Salute sicuro di altri farmaci utilizzati nel trattamento di alcune patologie, possono comportare considerevoli rischi finanziari per le aziende. Il dover dimostrare che il farmaco valutato è migliore di quelli esistenti può pertanto dar luogo a bias nel disegno, nell’esito e nella pubblicazione della ricerca finanziata dall’industria. Negli studi presi in esame è stata valutata la relazione tra la fonte di finanziamento della ricerca e gli esiti riportati e si è cercato di verificare se la qualità metodologica degli studi finanziati dall’industria farmaceutica fosse diversa da quella di altri studi. Per procedere alla selezione degli studi in questione, sono state effettuate ricerche bibliografiche su Medline considerando il periodo da gennaio 1966 a dicembre 2002 e su Embase da gennaio 1980 a dicembre 2002. Per reperire più studi, è stata controllata la bibliografia di ogni articolo e si è proceduto ad una ricerca sul registro di metodologia della Cochrane. Le ricerche combinate e le altre fonti di dati hanno individuato 3.351 titoli potenziali, da cui sono stati selezionati 30 articoli da analizzare. Di ogni studio sono stati considerati il tipo di ricerca valutata, il disegno, la strategia utilizzata per individuare la ricerca, il periodo di tempo considerato, il farmaco o la classe di farmaci, la malattia, il numero di articoli analizzati, se la ricerca era finanziata dall’industria o non, come veniva definito il finanziamento dell’industria, i criteri utilizzati per valutare la qualità metodologica della ricerca, i risultati relativi alla qualità metodologica, l’esito della ricerca e lo scopo primario dello studio. Dei 30 studi inclusi nell’analisi, sei erano revisioni di relazioni farmacoeconomiche, due consideravano meta-analisi e revisioni sistematiche e i restanti 22 analizzavano gruppi di sperimentazioni cliniche. 148 Principali risultati ottenuti dalla revisione sistematica • Ventisei dei trenta studi considerati riportavano gli effetti che aveva la fonte di finanziamento sull’esito della ricerca ed è stato riscontrato che la ricerca finanziata dalle aziende farmaceutiche ha meno probabilità di essere pubblicata rispetto alla ricerca diversamente sponsorizzata. • Gli studi farmacoeconomici sponsorizzati dall’industria farmaceutica hanno mostrato una maggiore probabilità di contenere risultati a favore del prodotto dello sponsor rispetto agli studi diversamente finanziati. • Sedici studi hanno analizzato la relazione tra la fonte di finanziamento e gli esiti delle sperimentazioni cliniche e delle meta-analisi. Di essi, tredici hanno riscontrato che le sperimentazioni cliniche e le meta-analisi sponsorizzate dalle aziende farmaceutiche favorivano il prodotto dello sponsor. • Tredici studi hanno esaminato la relazione tra la fonte di finanziamento e la qualità metodologica della ricerca e nessuno di essi ha concluso che l’industria finanzia studi aventi qualità metodologica più scadente. Ne consegue che la ricerca sponsorizzata dall’industria farmaceutica produce, con maggiore probabilità, risultati favorevoli al prodotto dell’azienda sponsor rispetto a studi finanziati da altre fonti. La totalità delle evidenze riportate nella metaanalisi suggerisce l’esistenza di bias sistematici nella ricerca sponsorizzata dall’industria farmaceutica. Quattro possibili spiegazioni per i risultati conseguiti 1. Le aziende farmaceutiche possono finanziare in modo selettivo speri- DALLA LETTERATURA mentazioni su farmaci che vengono considerati superiori ai prodotti scelti come termini di confronto. 2. I risultati positivi potrebbero essere la conseguenza di ricerca di qualità scadente condotta dall’industria: le sperimentazioni di qualità scadente esagerano i benefici dei trattamenti in media del 34%. 3. La scelta di un elemento di confronto appropriato è una questione chiave nella pianificazione di una sperimentazione clinica (nella maggior parte dei casi in cui le dosi dei farmaci studiati e di quelli di confronto non erano equivalenti, il farmaco somministrato alla dose più alta era quello dell’azienda sponsor, e le dosi più alte possono aver prodotto errori nei risultati a favore dell’efficacia del prodotto dell’azienda). 4. I bias di pubblicazione sono risultati favorevoli alla ricerca sponsorizzata dall’industria, pertanto è verosimile che le aziende farmaceutiche evitino che gli studi con risultati non favorevoli ai propri prodotti vengano pubblicati. In conclusione questa revisione sistematica sembra dimostrare che la ricerca finanziata dalle aziende farmaceutiche dà luogo, con maggiore probabilità, ad esiti favorevoli al prodotto dello sponsor rispetto alla ricerca che beneficia di finanziamenti diversi. Ciò non risulta essere dovuto alla qualità dei metodi della ricerca sponsorizzata dall’industria, bensì alla scelta di prodotti inappropriati come termini di confronto e a bias di pubblicazione. La bibliografia integrale della revisione pubblicata sul BMJ è disponibile al sito Internet: http://bmj.com/cgi/content/full/ 326/7400/1167 Conflitti di interesse: BD ha ricevuto finanziamenti da diverse industrie farmaceutiche per fare ricerca ed ha ricevuto compensi in qualità di relatore. Finanziamento: nessuno. Ministero della Salute ◗ Evidence b(i)ased medicine. Informazione selettiva sugli studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica: revisione degli studi allegati alle domande di autorizzazione all’immissione in commercio di nuovi farmaci* MELANDER H, ABLQVIST-RASTAD J, MEIJER G, BEERMANN B. EVIDENCE B(I)ASED MEDICINE – SELECTIVE REPORTING FROM STUDIES SPONSORED BY PHARMACEUTICAL INDUSTRY: REVIEW OF STUDIES IN NEW DRUG APPLICATIONS. BMJ 2003;326:1171-3. I trattamenti farmacologici dovrebbero basarsi su solide prove di efficacia, tanto che è oggi generalmente riconosciuto che le linee guida terapeutiche sono costruite sulla base delle revisioni sistematiche della letteratura o su meta-analisi di tutte le sperimentazioni cliniche randomizzate e controllate. Tuttavia, poiché le meta-analisi si limitano ai dati disponibili pubblicamente, diversi fattori possono dar luogo a conclusioni distorte. Tra questi elementi può esserci l’inclusione di studi proposti e accettati per la pubblicazione, di pubblicazioni doppie e la selezione preventiva delle informazioni (come quando non si pubblicano i risultati delle analisi intention to treat). Diversi attori (direttori di riviste, ricercatori e sponsor) condizionano il se e il come i risultati scientifici diventino di pubblico dominio. Nelle sperimentazioni cliniche sui farmaci, il ruolo dello sponsor è particolarmente importante. Lo sponsor generalmente ha accesso a tutti i dati su un prodotto specifico e vive un ovvio conflitto d’interesse. Diversi lavori hanno fornito prove di duplicazione delle pubblicazioni e pubblicazione selettiva, ed hanno dimostrato la tendenza a pubblicare studi con risultati significativi. L’obiettivo di * Di questo articolo viene presentata una sintesi. bollettino d’informazione sui farmaci 149 ANNO X N. 3-4 2003 questo studio è stato indagare l’impatto dei bias di pubblicazione, rappresentati dalla pubblicazione multipla, pubblicazione selettiva e selezione preventiva delle informazioni in studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica. Tra il 1989 e il 1994, sono stati approvati in Svezia cinque farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina per il trattamento della depressione maggiore. All’autorità regolatoria competente per i farmaci sono state presentate quarantadue sperimentazioni cliniche controllate verso placebo, costituendo la base per le autorizzazioni, oltre che le relazioni complete di qualsiasi studio eventuale. Con il presente lavoro si è risaliti alle versioni pubblicate degli studi presentati attraverso una ricerca sulle banche dati bibliografiche quali Medline, Embase e PsycINFO, rivolgendo particolare attenzione alle revisioni e alle meta-analisi e chiedendo informazioni alle aziende sponsor. Verificate la situazione della pubblicazione per ogni studio presentato e la presenza di pubblicazioni multiple, un articolo che riportava risultati di un solo studio è stato classificato come pubblicazione autonoma, mentre gli articoli che si basavano sui dati di due o più studi sono stati definiti “pubblicazione su studi aggregati”**. Come criterio per confrontare i risultati degli studi presentati all’autorità regolatoria con quelli di articoli pubblicati è stata scelta la percentuale di pazienti che rispondevano al trattamento. L’accesso alle relazioni integrali e dei protocolli di tutti gli studi, pubblicati e non, è esclusivo di questa ricerca e ne rappresenta un punto di forza. Anche se la ricerca è stata limitata ad una sola classe di farmaci, ciò non sembra invalidare la riproducibilità dello studio per altri classi di farmaci. Tramite la ricerca su banche dati, sono state identificate 38 pubbli- cazioni (che includevano pubblicazioni doppie e analisi combinate) contenenti dati estrapolati da 38 dei 42 studi presentati all’autorità regolatoria. I risultati mostrano uno scenario delle pubblicazioni variegato: si passa, infatti, da casi in cui non vi sono duplicazioni delle pubblicazioni a quelli in cui si hanno pubblicazioni multiple, ad esempio con pubblicazioni autonome che compaiono più volte o sottogruppi di studi pubblicati sotto forma di pubblicazioni su studi aggregati. In termini di selettività delle pubblicazioni si è rilevato che la maggior parte dei risultati degli studi pubblicati indicava la superiorità di efficacia del farmaco testato rispetto al placebo, mentre i risultati non significativi non sono mai diventati di dominio pubblico. Il confronto effettuato dei risultati combinati degli studi presentati all’autorità regolatoria svedese e di quelli pubblicati ha rivelato notevoli differenze nel tasso di risposta del farmaco: spesso, le analisi basate sui dati pubblicati davano l’impressione che il farmaco fosse ampiamente più efficace degli altri farmaci, ciò che non risultava evidente per le analisi presentate all’autorità regolatoria. Nel complesso, i risultati dello studio hanno riscontrato evidenze di duplicazioni di pubblicazioni, pubblicazione selettiva e selezione preventiva delle informazioni. La frequenza della duplicazione delle pubblicazioni era alta a causa dell’inclusione di diversi sottogruppi di studi in diverse pubblicazioni su studi aggregati. Gli studi che evidenziavano differenze significative tra l’efficacia del farmaco e il placebo avevano il triplo delle probabilità di apparire come pubblicazioni autonome rispetto agli studi con risultati non significativi. Sebbene sia le analisi intention to treat sia le analisi per protocollo Ministero della Salute fossero disponibili nei testi presentati all’autorità regolatoria, soltanto una bassa percentuale delle pubblicazioni autonome riportava i risultati, generalmente meno favorevoli, secondo intention to treat. Tale selezione delle informazioni risultava la principale causa di bias nei calcoli basati sui dati pubblicati. Tutti gli studi compresi nella ricerca erano stati avviati dallo sponsor e i ricercatori erano in genere clinici per i quali la ricerca accademica non rappresentava l’interesse primario. Pertanto, la decisione riguardo al come e al se uno studio doveva essere pubblicato probabilmente spettava soltanto allo sponsor. Uno sponsor che ha possibilità di controllo su tutti gli studi non sembra migliorare, in definitiva, la situazione circa duplicazione delle pubblicazioni, pubblicazione selettiva e selezione preventiva delle informazioni. I risultati dovrebbero far riflettere coloro che si basano semplicemente sui dati pubblicati per scegliere uno specifico farmaco. Senza l’accesso a tutti gli studi (sia positivi sia negativi, pubblicati e non) e ad analisi alternative (secondo intention to treat e per protocollo), qualsiasi sforzo fatto per raccomandare uno specifico farmaco probabilmente sarà basato su evidenze viziate. Per la bibliografia si rimanda alla versione integrale dell’articolo disponibile online: http://bmj.com/cgi/reprint/326/7 400/1171.pdf Finanziamento: nessuno. Conflitti di interesse: nessuno. **L’espressione “pooled publication”, utilizzata dagli autori per identificare un documento in cui vengono riportati e descritti metodi e risultati di più studi, è stata qui tradotta con la locuzione “pubblicazione su studi aggregati” (nota del traduttore). 150 ◗ Come ballare con i porcospini: regole e linee guida dei rapporti tra medici ed aziende farmaceutiche WAGER E. HOW TO DANCE WITH PORCUPINES: RULES AND GUIDELINES ON DOCTORS’ RELATIONS WITH DRUG COMPANIES. BMJ 2003; 326: 1196-8. DALLA LETTERATURA C ome gli aculei di un porcospino, i rapporti tra le aziende farmaceutiche e i medici sono molteplici e possono essere pericolosi se l’approccio è sbagliato (Lewis et al. hanno scelto l’analogia del “ballare con i porcospini” per descrivere i rapporti tra università e industria; mi è piaciuta così tanto che l’ho utilizzata anch’io1). Sebbene lontano dall’essere un’indagine esaustiva, questo articolo vuole mettere in luce le principali regole e indicazioni circa i rapporti tra medici ed aziende farmaceutiche. I codici di condotta delle aziende farmaceutiche I rapporti tra medici ed aziende farmaceutiche possono portare a dilemmi etici. Questo articolo offre una visione generale sulle direttive e i codici di condotta che regolano queste relazioni. Punti chiave • I codici di condotta per le aziende farmaceutiche diffusi dalle associazioni industriali sono formulati su base volontaria anche se spesso vengono superati dalle procedure di reclamo. • La maggior parte di questi codici proibisce alle aziende di dare ai medici incentivi per indurli a prescrivere i loro prodotti. • La maggior parte delle organizzazioni dei medici garantisce il controllo della ricerca finanziata dalle aziende. • Le direzioni delle riviste scientifiche hanno stilato una dichiarazione per evitare che gli studi con risultati poco favorevoli dal punto di vista commerciale non vengano pubblicati. • Fino a poco tempo fa, non esistevano direttive per l’industria farmaceutica riguardo la cosiddetta “good publication practice”. • È necessario il dialogo tra le parti interessate prima che vengano emanate nuove direttive sui rapporti tra medici e industria. I codici di condotta delle aziende farmaceutiche diffusi dalle associazioni industriali sono di solito accolti su base volontaria anche se spesso vengono respinti dalle aziende. Numerosi paesi in cui il mercato farmaceutico è ampiamente sviluppato hanno dei codici nazionali, come quelli della Association of the British Pharmaceutical Industry (ABPI)2, la Medicines Australia 3 e la Pharmaceutical Research and Manufactures of America4. Tali codici riguardano di solito le attività commerciali delle aziende farmaceutiche – la maggior parte proibisce alle aziende di incentivare le prescrizioni di prodotti da parte del medico offrendo a quest’ultimo doni in denaro o in beni di lusso o come rimborsi di lussuose o ingiustificate note spese per viaggi o ospitalità. Il codice dell’ABPI stabilisce che i doni da parte delle aziende devono avere un valore inferiore alle 6 sterline (circa 8-9 euro) e devono essere utili per la professione del medico2. La guida che accompagna il codice spiega che penne, agende, guanti chirurgici “sono da ritenersi accettabili”, mentre per esempio tovagliette, sementi, CD musicali non Ministero della Salute lo sono. Il livello di ospitalità dei meeting deve essere appropriato e “coerente con il tono della manifestazione cui si riferisce” e i costi “non devono essere superiori a quanto i beneficiari avrebbero speso se li avessero sostenuti in prima persona”. Le linee guida australiane affermano che l’ospitalità deve essere “semplice, modesta [e] secondaria rispetto alla rilevanza educazionale” di un meeting3. La sede di questi incontri “non deve essere scelta per i piaceri o le attività ricreative” e i viaggi di durata inferiore alle quattro ore “dovrebbero essere effettuati in classe economica”. Negli Stati Uniti, le regole di condotta sugli incentivi ai medici sono diventate più restrittive nel 20024. Così come avviene nel Regno Unito, penne e calendari sono concessi, ma non lo sono palline da golf e lettori DVD. Nei paesi non regolamentati da codici di condotta per i rapporti tra medico e industria farmaceutica, si applicano due diversi tipi di linee guida internazionali. Si tratta dei Criteria for Medicinal Drug Promotion dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e il Code of Pharmaceutical Marketing Practice dell’International Federation of Pharmaceutical Manufacturers Associations5,6. Come le linee guida nazionali, questi codici prendono in considerazione il materiale pubblicitario, che, secondo l’OMS, deve essere “affidabile, corretto, veritiero, imparziale, aggiornato, comprovato e di buon gusto”. Le linee guida dell’OMS valutano anche l’attività degli informatori farmaceutici e la fornitura dei campioni di medicinali. In Francia, i rapporti tra medici ed aziende sono controllati dal Code de la Santé Publique (art. L. 4113-6)7. Il Codice proibisce ai medici di ricevere omaggi che valgano più di 30 euro. La violazione dell’articolo 24 del “code de déontologie” del Conseil National de l’Ordre des Médecins, che riguarda i pagamenti illegali ai medici, comporta in caso di bollettino d’informazione sui farmaci 151 ANNO X N. 3-4 2003 trasgressione una multa fino a 75.000 euro e due anni di reclusione. Nel Regno Unito, la politica del Code of Practice della ABPI sembra funzionare piuttosto bene a giudicare dalla quantità dei reclami presentati da parte delle aziende concorrenti8. I reclami vengono esaminati dalla Prescription Medicines Code of Practice Authority, che lavora in maniera indipendente rispetto alla ABPI ed è costituita da 12 membri provenienti da aziende farmaceutiche, 6 membri indipendenti e un presidente di formazione giuridica. I risultati vengono pubblicati sulla Code of Practice Review. A differenza di molte altre associazioni industriali, la ABPI fornisce direttive anche riguardo l’area della ricerca. Ha diffuso un modello di accordo per le sperimentazioni cliniche, all’interno del Servizio Sanitario Nazionale (NHS, dall’inglese National Health System), per la ricerca sponsorizzata dall’industria, e delle raccomandazioni sulla condotta, per i dirigenti del Research and Development9,10. Tuttavia, in molti altri paesi i controlli sull’industria riguardano soltanto le attività promozionali. Il controllo da parte di altre associazioni M olte associazioni di medici propongono regole di condotta per la ricerca finanziata dalle aziende. La Association of American Medical Colleges ha redatto due documenti dal titolo Protecting subjects, preserving trust, promoting progress, uno rivolto alle istituzioni universitarie e l’altro ai singoli medici 11,12 . Questi documenti sono stati divulgati per “approfondire le preoccupazioni del pubblico nei confronti dei conflitti di interesse, chiaramente percepiti, dei ricercatori”, e mirano a stabilire dei principi “per la supervisione degli interessi economici della ricerca che coinvolge esseri umani”. L’American College of Physicians (ACP) ha stipulato delle proprie linee guida, pubblicate per la prima volta nel 1990 ed ampliate poi nel 2002, che riguardano sia il marketing sia le collaborazioni di ricerca13-15. Come l’Association of American Medical Colleges, l’ACP indirizza sia i singoli sia le istituzioni, incluse le società mediche e le istituzioni coinvolte nella didattica medica. Le linee guida dell’American College of Physicians del 1990 affermano che “un criterio utile per l’accettabilità di relazioni e di attvità è: accetteresti che questi accordi fossero resi noti?”13. L’International Committee of Medical Journal Editors, nel 2001, ha reso più stringenti le regole della dichiarazione dei conflitti di interesse16. A partire dal 1999 la Food and Drug Administration chiede alle aziende di fornire informazioni sugli interessi economici dei ricercatori ogni qualvolta viene presentata una richiesta di concessione per una sperimentazione17. Le istituzioni universitarie solo recentemente hanno fornito delle direttive utili relativamente al conflitto di interesse dei ricercatori. Cho et al. hanno condotto un’indagine su 100 istituzioni americane e hanno riscontrato che la maggior parte delle policies “manca di specificità circa i tipi di rapporti permessi o proibiti con l’industria” e che queste direttive ambigue potrebbero causare “inutile confusione”18. Le istituzioni universitarie sono state criticate anche per non riuscire ad impedire ai loro dipendenti di firmare contratti penalizzanti con le aziende e per non riuscire a sostenere la causa dei dipendenti allorquando gli sponsor dell’industria minacciano azioni legali al fine di far rispettare questo genere di accordi19,20. I direttori delle riviste scientifiche, Ministero della Salute preoccupati da alcuni episodi, ben pubblicizzati, riguardanti aziende che hanno cercato di impedire pubblicazioni e occultare i risultati di trial poco favorevoli, hanno tentato di rendere più forte la posizione dei ricercatori incoraggiando una maggiore trasparenza 16. Nel settembre 2001, alcuni membri dell’International Committee of Medical Journal Editors hanno emesso una dichiarazione intitolata Sponsorship, Authorship and Accountability 16 . Sebbene lo scopo di proteggere i medici da contratti restrittivi e poco etici sia lodevole, trovo che alcune delle soluzione proposte siano eccessive (soluzioni criticate anche da altri)21. In particolar modo, la richiesta di un’analisi “indipendente” dei trial non tiene nella dovuta considerazione gli esperti in statistica presenti all’interno delle aziende22. Relativamente alla presentazione dei protocolli, la dichiarazione sembra poco chiara circa il ruolo delle organizzazioni che svolgono ricerca a contratto. Non tutti i componenti della commissione internazionale hanno sottoscritto la dichiarazione, e il BMJ ha pubblicato un proprio editoriale più misurato in merito23. A parte le mie riserve, molte parti della dichiarazione sono utili, e maggiore trasparenza sul coinvolgimento delle aziende può far capire meglio la complessità dei rapporti che spesso si stabiliscono nel corso di una sperimentazione e scoraggiare pratiche poco accettabili. Anche alcune associazioni di medici che lavorano direttamente per le aziende farmaceutiche (forse potremmo chiamarli i “professionisti del ballo con i porcospini”) hanno prodotto delle linee guida. L’American Academy of Pharmaceutical Physicians ha un Code of Ethics, ma è breve e piuttosto generico24. Tuttavia, la sottocommissione etica del Royal College of Physicians Faculty of Pharmaceutical Medicine ha redatto una guida utile e dettagliata su “l’etica e la 152 medicina farmaceutica”, che contiene anche un utile elenco di altre importanti linee guida25. Molte delle linee guida e delle norme finora passate in rassegna riguardano i rapporti che nascono a seguito di operazioni di marketing o sperimentazioni cliniche. Sebbene i direttori di riviste abbiano pubblicato i loro pareri in merito al coinvolgimento delle aziende negli studi clinici, fino a poco tempo fa non esistevano linee guida specifiche che incoraggiassero la pratica responsabile per la pubblicazione di trial sponsorizzati dalle aziende farmaceutiche. Tuttavia, sono state recentemente pubblicate delle linee guida di Good Publication Practice for Pharmaceutical Companies26. Esse incoraggiano le aziende a pubblicare i risultati di tutte le sperimentazioni cliniche dei prodotti in commercio, stabiliscono delle regole appositamente messe a punto per impedire bias di pubblicazione e, in particolare, stabiliscono il ruolo dei giornalisti scientifici professionisti impiegati dalle aziende per lavorare con i medici alle pubblicazioni. La Committee on Publication Ethics ha pubblicato anche delle linee guida di buona pratica di pubblicazione, ma sono più generiche e finalizzate ad orientare i direttori delle riviste e gli autori27. Siti web utili • Association of the British Pharmaceutical Industry: www.abpi.org.uk • American Academy of Pharmaceutical Physicians: www.aapp.org • American College of Physicians: www.acponline.org • American Medical Association: www.ama-assn.org • Association of American Medical Colleges: www.aamc.org • Australian Medical Association: www.ama.com.au • British Association of Pharmaceutical Physicians: www.brapp.org.uk • Conseil National de l’Ordre des Médecins: DALLA LETTERATURA www.conseil-national.medecin.fr • Committee on Publication Ethics: www.publicationethics.org.uk • Good Publication Practice for Pharmaceutical Companies: www.gpp-guidelines.org • International Committee of Medical Journal Editors: www.icmje.org • International Federation of Pharmaceutical Manufacturers Associations: www.ifpma.org • International Federation of Associations of Pharmaceutical Physicians: www.ifapp.org • Medicines Australia: www.medicinesaustralia.com.au • Pharmaceutical Research and Manufacturers of America: www.phrma.org • World Health Organization: www.who.int L’Office of the Inspector General of the US Department of Health and Human Services ha redatto una guida per le aziende farmaceutiche americane relativamente alla realizzazione di programmi che permettano di accertarsi se esse si attengono o meno alla legislazione in vigore 28. I rapporti tra aziende e medici possono essere regolati anche da norme internazionali sulla ricerca clinica e da disposizioni locali che impediscano la cattiva condotta della ricerca. Conclusioni Cosa possiamo concludere circa le norme messe a punto per la coreografia della danza del porcospino? La maggior parte di esse è stata diffusa recentemente e molte altre sono ancora in fase di sviluppo. Provengono da molte associazioni che hanno inoltre obiettivi diversi, non sono perciò sistematiche e talvolta appaiono in conflitto, sebbene sembri esistere un consenso in merito ai principi generali. Grazie alla mia esperienza di oltre dieci anni di lavoro a stretto Ministero della Salute contatto con l’industria e i medici, posso affermare che da entrambe le parti esistono apprensioni infondate e fraintendimenti. Solleciterei pertanto un dialogo opportuno tra le parti coinvolte prima che qualsiasi altra direttiva o norma venga redatta o revisionata. Linee guida realizzate congiuntamente da medici che lavorano sia fuori sia dentro l’industria potrebbero essere meglio accettate di quelle compilate da una sola delle parti. Le aziende farmaceutiche, come porcospini, hanno diverse forme e dimensioni; alcune sono più aggressive di altre, diversità che deve essere riconosciuta. I rapporti tra medici, università, aziende farmaceutiche e riviste medico-scientifiche saranno sempre complessi e interdipendenti, ma non dobbiamo dimenticare che questa danza ha prodotto delle importanti collaborazioni che hanno permesso a loro volta la scoperta e la diffusione di farmaci di cui noi tutti beneficiamo. Bibliografia 1. Lewis S, Baird P, Evans RG et al. Dancing with the porcupine: rules for governing the university-industry relationship. CMAJ 2001;165: 783-S. 2. Association of the British Pharmaceutical Industry. 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È componente del gruppo di lavoro che ha prodotto Good Publication Practice for Pharmaceutical Companies ed è coinvolta nella divulgazione di queste linee guida. Ministero della Salute ◗ Come possono i comitati etici proteggere al meglio i pazienti coinvolti in sperimentazioni cliniche? GARATTINI S, BERTELE’ V, LI BASSI L. HOW CAN RESEARCH ETHICS COMMITTES PROTECT PATIENTS BETTER? BMJ 2003; 326: 1199-1201. Punti chiave • Lo sviluppo e il mercato di un farmaco rappresentano un affare da miliardi di dollari e gli interessi finanziari influenzano inevitabilmente il disegno e la progettazione degli studi clinici. • I comitati etici costituiscono un elemento essenziale che dovrebbe salvaguardare i pazienti e la salute pubblica, valutando con spirito critico gli aspetti scientifici ed etici delle sperimentazioni cliniche. • I componenti dei comitati non possono sempre possedere le competenze e i requisiti necessari per svolgere queste funzioni, e i loro compiti stanno diventando sempre più difficili, soprattutto a causa dei complessi disegni degli studi internazionali multicentrici. • Dal momento che la maggior parte degli studi è sponsorizzata dall’industria, i comitati etici dovrebbero intervenire per minimizzare la mancata pubblicazione di risultati negativi – ad esempio, possono sostenere che sia inaccettabile che il protocollo di uno studio permetta allo sponsor di impedire una pubblicazione contro il parere dei ricercatori che hanno responsabilità scientifiche. • I compiti dei comitati etici stanno diventando sempre più difficili; di quali capacità e di quali competenze hanno bisogno i loro componenti per valutare i protocolli di ricerca contenenti elementi che non sono orientati all’interesse del paziente? 154 L o sviluppo e il mercato di un farmaco sono diventati un grosso business. Dati gli enormi profitti in gioco, per attenersi ai loro doveri e agire nell’interesse dei pazienti e della salute pubblica, i comitati etici devono valutare attentamente i protocolli clinici con la necessaria competenza scientifica e valutare i reali obiettivi dei nuovi studi e i metodi in essi usati. Di seguito sono stati selezionati quattro dei principali problemi che i comitati devono esaminare con spirito critico. L’uso di placebo L’ ultima revisione della Dichiarazione di Helsinki ha rafforzato i dubbi sull’uso appropriato del placebo 1 . Utilizzare un placebo anziché un farmaco di confronto è vantaggioso per lo sponsor dal momento che il nuovo farmaco ha maggiore possibilità di essere superiore al placebo, e questa superiorità la si può dimostrare con l’arruolamento di un numero inferiore di pazienti e di conseguenza con meno spese. Non si può mai giustificare l’uso di placebo quando un farmaco di provata efficacia è già disponibile sul mercato per una determinata indicazione terapeutica. Alcuni ricercatori giustificano l’uso di placebo affermando che può essere utilizzato in aggiunta al farmaco di confronto (studio a tre bracci) perché la differenza tra il placebo e il farmaco di confronto costituisce la base necessaria per validare i risultati del nuovo farmaco2,3. Si può discutere questo punto sotto diversi aspetti. Innanzitutto, non è etico privare i pazienti di un trattamento utile, anche se la sperimentazione dura soltanto alcune settimane. Inoltre, uno studio a tre bracci non è utile per validare i risultati, poiché un trial di DALLA LETTERATURA confronto di sufficienti dimensioni renderebbe poco probabili risultati falsi negativi. Infine, se l’obiettivo è davvero quello di stabilire l’utilità di un nuovo farmaco per i pazienti, è bene provarne l’efficacia in pazienti che sono resistenti a trattamenti già disponibili. In questo caso sì, sarebbe utile randomizzare i pazienti a placebo o al nuovo farmaco, il quale, in tal modo, sarebbe sottoposto ad un esame più severo rispetto agli altri farmaci di quel gruppo terapeutico. Le sperimentazioni cliniche sui pazienti resistenti sono rare, fatta eccezione per gli antitumorali, che tuttavia sono spesso sperimentati senza randomizzazione e senza controlli. Questi farmaci sono usati per pazienti con cancro in fase avanzata, in modo che, nonostante i motivi etici surrettiziamente addotti dalle ditte produttrici, sia possibile evitare qualsiasi confronto, anche con il placebo, e ottenere più facilmente un’indicazione ristretta ai pazienti che, appunto, non hanno alternative terapeutiche. Tanto, quell’indicazione può poi essere estesa promuovendo l’uso off-label del prodotto. L’uso del placebo deve essere giustificato in maniera appropriata; in sostanza deve essere ammesso solo dall’assenza di modelli di sperimentazione alternativi. Equivalenza e studi di non inferiorità I n linea con l’impegno generale di porre quesiti importanti e rispondere loro in maniera affidabile4, una sperimentazione dovrebbe essere disegnata per mostrare la superiorità di un nuovo trattamento rispetto al miglior trattamento disponibile sul mercato per la stessa indicazione terapeutica, il cosiddetto golden standard. La superiorità di un Ministero della Salute farmaco non dovrebbe essere necessariamente misurata in termini di efficacia; dovrebbero essere prese in considerazione anche le reazioni avverse e una migliore compliance dovuta a una più facile somministrazione. Negli ultimi anni gli studi di superiorità hanno lasciato il posto a studi di equivalenza o di non inferiorità. Ciò riflette un ri-orientamento dalla ricerca di farmaci migliori all’accettazione di farmaci che sono simili, o non peggiori, di quelli già presenti sul mercato. Questa svolta non è etica per diversi motivi. Innanzitutto, è difficile stabilire i limiti che definiscono se un farmaco è equivalente o non inferiore. Che cosa è accettabile nel caso di medicinali dagli effetti importanti, ad esempio, sulla sopravvivenza? Una differenza del 2%, 5% o 10% è tale da poter considerare un farmaco equivalente nell’interesse dei pazienti? Il caso è stato a suo tempo sollevato per i trombolitici5, ma la questione è rilevante anche per altre classi di farmaci che riducono morbilità e mortalità, come le statine, gli ACE inibitori, gli antidepressivi, gli antiepilettici, ecc. Ciò che può rendere accettabile il livello di non inferiorità è il fatto che la ricerca si ponga l’obiettivo di rispondere a un bisogno reale dei pazienti4. Se è così, gli studi indipendenti, possibilmente finanziati con fondi pubblici, possono rappresentare un’alternativa affidabile e accessibile sul piano economico. Al contrario, non vi è alcun limite accettabile per ipotesi che servono soltanto per scopi commerciali. In secondo luogo, i disegni di equivalenza o non inferiorità degli studi clinici riflettono anche delle considerazioni economiche. L’autorizzazione all’immissione in commercio è più facile da ottenere quando i ricercatori abbiano sperimentato e dimostrato l’equivalenza, piuttosto che sperimentato ma non bollettino d’informazione sui farmaci 155 ANNO X N. 3-4 2003 dimostrato la superiorità di un farmaco. Inoltre, le sperimentazioni che non hanno come obiettivo quello di dimostrare la superiorità richiedono dimensioni del campione più ridotte dal momento che includono nel “range di equivalenza” delle differenze terapeutiche che possono risultare clinicamente rilevanti se misurate con precisione statistica. In terzo luogo, i pazienti che partecipano ad uno studio di equivalenza o non inferiorità devono essere informati chiaramente che il trial non produrrà alcun miglioramento reale del loro stato di salute o di quello di pazienti futuri. Ai pazienti dovrebbe esser detto che sono esposti a un rischio senza speranza di alcun vantaggio e che, se anche vi fosse un beneficio, questo non sarebbe rilevato dallo studio. Il paziente dovrebbe essere informato del fatto che l’obiettivo dello studio è puramente commerciale (vedi sotto schema di consenso). Infine, uno dei motivi per cui questi trial non dovrebbero essere accettati è chiaramente indicato dall’esempio di alcuni studi di equivalenza tra agenti antidepressivi triciclici e inibitori della ricaptazione della serotonina, i quali hanno rilevato differenze6 che variavano dal 12%7 al 43%8,9. Chiaramente, mirare all’equivalenza può apparire come una scusa per non cercare la differenza. I fautori degli studi di equivalenza sostengono che i medici devono disporre di farmaci diversi per selezionare il miglior farmaco per ogni singolo paziente. Anche se si volesse negare l’evidenza e, cioè, che in realtà è impossibile scegliere razionalmente un farmaco piuttosto che un altro dal gruppo degli ACE inibitori, degli inibitori della ricaptazione della serotonina, degli antiinfiammatori non-steroidei, o dei glucocorticoidi, perché mai non si studiano i nuovi farmaci nei pazienti resistenti alla terapia standard, se l’obiettivo è davvero quello di fornire un’alternativa ai pazienti che non rispondono a trattamenti già esistenti? Un’altra frequente giustificazione è che i medici hanno bisogno di farmaci che hanno lo stesso effetto ma reazioni avverse diverse. Anche questa non è una giustificazione valida perché la dimensione del campione negli studi di equivalenza è di solito troppo piccola per rilevare qualsiasi riduzione di effetti avversi poco frequenti. Vi sono poi casi di studi di equivalenza o non inferiorità che sono da considerare appropriati e che non pongono problemi etici – ad esempio, i trial che sperimentano un farmaco con una via di somministrazione più conveniente (orale anziché iniettabile) o con uno schema di somministrazioni meno frequenti. L’equivalenza può essere accettata anche per motivi di salute pubblica, come un prezzo inferiore o un impatto ridotto sull’ambiente (come nel caso di preparazioni senza clorofluorocarburi). I comitati etici devono essere costantemente messi al corrente di questi problemi, se si Possibile schema di consenso informato per uno “studio di equivalenza” Consentici di trattarti con un farmaco che al massimo è lo stesso che avresti avuto prima, e che in realtà potrebbe anche ridurre – sebbene sia poco probabile – molti dei benefici in precedenza ottenuti nella tua condizione. Può anche darsi che questo farmaco ti faccia meglio di qualsiasi altro trattamento attualmente disponibile, ma, se ciò dovesse mai accadere, non saremmo in grado di dimostrarlo; né sapremo dirti se la nuova terapia possa in qualche modo darti disturbo o persino nuocerti più del trattamento standard, poiché i potenziali effetti collaterali potrebbero essere troppo poco frequenti per permetterci di misurarli in questo studio. Ministero della Salute vuole evitare che i pazienti siano sfruttati e le risorse sanitarie siano sprecate per studi clinici il cui obiettivo è unicamente quello di ottenere una fetta del mercato farmaceutico. Far maci di confronto e dosaggi P erché il nuovo farmaco non sia indebitamente accreditato di vantaggi inesistenti, i comitati etici devono anche prestare attenzione al farmaco di confronto, ai suoi dosaggi e ai suoi metodi di somministrazione. Il farmaco di confronto deve essere il migliore disponibile sul mercato e deve essere dato assieme alle migliori cure disponibili per quella indicazione. Alcuni esempi illustrano quanto detto. Il clopidogrel non è mai stato confrontato con il farmaco da cui ha origine, la ticlopidina. Prima di confrontarlo con l’aspirina per la profilassi della trombosi10, si sarebbe dovuto dimostrare che il clopidogrel è più efficace e/o sicuro della ticlopidina; altrimenti, non vi era alcun motivo per confrontarlo con farmaci con meccanismi d’azione differenti. Inoltre, perché i servizi sanitari nazionali dovrebbero pagare per un farmaco che è molto più caro del generico ticlopidina, se esso non è migliore della ticlopidina? Se invece il clopidogrel è migliore, perché mai si mantiene sul mercato la ticlopidina? Uno dei primi studi di confronto ha analizzato il trattamento con quattro dosi di risperidone rispetto ad un singolo dosaggio di aloperidolo11. È stato pertanto possibile riconoscere una dose di risperidone come migliore in termini di effetti extrapiramidali. Studi successivi hanno dimostrato che il risperidone è migliore rispetto all’aloperidolo soltanto se il paziente richiede un dosaggio ≥12 mg di 156 aloperidolo, ma non sono state riscontrate differenze nel caso in cui i pazienti rispondano ad una dose <12 mg/die12. Il sirolimus è stato considerato superiore alla ciclosporina per la prevenzione del rigetto dopo trapianto di rene13. Tuttavia, si è sostenuto che la dose di ciclosporina sperimentata non fosse ottimale, come è stato dimostrato dalle sue concentrazioni plasmatiche a distanza dalla somministrazione14. Una recente revisione ha dimostrato che quando è stata sperimentata come nuovo farmaco, la fluoxetina ha avuto effetti favorevoli nel 70% dei pazienti, mentre quando è stata usata come farmaco di confronto ha avuto effetti favorevoli soltanto nel 58% dei casi15. La fluoxetina è stata somministrata a dosi medie-elevate (>30 mg/die) nel 43% dei pazienti degli studi originali, ma soltanto nel 13% dei pazienti degli studi di confronto. Si tratta chiaramente di errori sistematici che tendono a favorire i nuovi farmaci negli studi clinici. End-point terapeutici È sempre importante prestare particolare attenzione alla variabile selezionata per valutare il beneficio indotto da un farmaco in studio. I comitati etici devono richiedere che questi end-point siano significativi ai fini terapeutici. Endpoint surrogati, predittivi di risultati clinici, contribuirebbero ad evitare la ridondanza degli studi clinici e consentirebbero di generalizzare i risultati ottenuti con un farmaco ad altri componenti della stessa classe. Tuttavia, non possono essere considerati soddisfacenti end-point che non riflettano un effetto su morbilità o mortalità, quando sono già disponibili farmaci efficaci. Ad esempio, due agenti ipocoleste- DALLA LETTERATURA rolemizzanti, quali la simvastatina e la pravastatina, riducono la mortalità in pazienti con patologia cardiovascolare16,17. È accettabile che siano messi in commercio altri farmaci come questi senza che vi siano evidenze analoghe disponibili? Di solito per evitare di dimostrare queste evidenze, si sostiene che, se i nuovi farmaci mostrano un meccanismo d’azione o un effetto biologico simili, essi possono condividere quello che viene chiamato “effetto di classe”. Tuttavia, il caso della cerivastatina ha dimostrato che certi effetti avversi – ad esempio, la rabdomiolisi – possono essere più frequenti con una particolare statina 18 . In questo caso la mancanza di dati relativi all’attività terapeutica non ha permesso di valutare il rapporto rischio-beneficio. Altri esempi sono rappresentati da alcuni COX-2 inibitori, come il rofecoxib, che sono meno sicuri dal punto di vista cardiovascolare19, e dagli antipsicotici atipici, come l’olanzapina che, è vero, induce leucopenia meno frequentemente della clozapina ma che è anche associata ad un maggiore rischio di suicidio20, diabete21, aumento di peso22 e mortalità23. Un’altra tendenza è quella di usare end-point combinati. Gli studi il cui obiettivo è quello di ridurre la morbilità cardiovascolare spesso sommano le incidenze di infarto cardiovascolare, eventi cerebrovascolari e occlusione vascolare periferica, perché la valutazione di un solo end-point richiederebbe l’arruolamento di troppi pazienti. Tuttavia, la decisione di usare un end-point combinato può portare ad indicazioni che non riflettono il reale valore del farmaco. Ad esempio, nello studio CAPRIE il clopidogrel riduceva significativamente l’end-point combinato10, ma un’attenta analisi dei risultati ha mostrato che la maggior parte Ministero della Salute del vantaggio era riconducibile alla riduzione degli eventi vascolari periferici 24 , più che dell’infarto del miocardio o dell’ictus cerebrale. Ciò comporta il rischio di accettare delle indicazioni per le quali sono già disponibili farmaci con un migliore meccanismo d’azione. Conclusioni I problemi qui affrontati sollevano delle questioni importanti che dovrebbero essere prese in considerazione dai comitati etici come parte essenziale della loro valutazione etica. Noi riteniamo che la maggior parte dei protocolli di ricerca contenga elementi che non corrispondono alle esigenze del paziente (o persino contrastano con esse). Questi protocolli non dovrebbero essere approvati, poiché in essi le considerazioni economiche sono diventate più importanti del reale obiettivo degli studi clinici. Come afferma la Dichiarazione di Helsinki: “L’obiettivo primario della ricerca medica che coinvolge soggetti umani è quella di migliorare le procedure terapeutiche, diagnostiche e profilattiche”. Bibliografia 1. World Medical Association. The Declaration of Helsinki (2000). (Accesso verificato in maggio 2003). 2. Temple R, Ellenberg SS. Placebo-controlled trials and active-control trials in the evaluation of new treatments. Part 1: ethical and scientific issues. Ann Intern Med 2000;133:455-63. 3. Lewis JA, Jonsson B, Kreutz G, Sampaio C, van Zwieten-Boot B. Placebo-controlled trials and the Declaration of Helsinki. Lancet 2002;359:1337-40. 4. Yusuf S, Collins R, Peto R. Why do we need some large, simple randomized trials? Stat Med 1984;3:409-22. 157 bollettino d’informazione sui farmaci ANNO X N. 3-4 2003 5. Bertele’ V, Torri V, Garattini S. Inconclusive messages from equivalence trials in thrombolysis. Heart 1999;81:675-6. 6. Barbui C, Violante A, Garattini S. 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Aspirin versus clopidogrel: the wrong question? Lancet 1997;349:806-7. Gli autori ringraziano Alessandro Liberati, per la proficua discussione e gli utili consigli, e Judy Baggot, per la competente assistenza editoriale. Ciascun autore ha offerto il suo sostanziale contributo al concepimento e alla discussione del problema sollevato; ha contribuito in maniera uguale al primo draft, ha revisionato con spirito critico il documento con particolare riguardo al contenuto culturale ed ha approvato la versione finale. SG ne è il garante. Finanziamento: nessuno. Conflitti di interesse: nessuno. Ministero della Salute ◗ Riviste mediche e industrie farmaceutiche: amanti a disagio SMITH R. MEDICAL JOURNALS AND PHARMACEUTICAL COMPANIES: UNEASY BEDFELLOWS. BMJ 2003; 326: 1202-5. Molte riviste mediche ricevono notevoli proventi dalle industrie farmaceutiche per l’acquisto di pubblicità, di estratti di articoli e la sponsorizzazione di supplementi. Questo tipo di finanziamento sta corrompendo le riviste scientifiche? Punti chiave • I giornali gratuiti per medici sono completamente finanziati dalla pubblicità farmaceutica, ma anche molte riviste scientifiche dipendono pesantemente dalla pubblicità. • La pubblicità è spesso fuorviante. • Rispetto alla pubblicazione di pagine pubblicitarie, è molto più vantaggioso per le industrie farmaceutiche che i prodotti vengano elogiati all’interno di articoli scientifici delle riviste. Gli studi scientifici possono essere manipolati in molti modi affinché i risultati appaiano vantaggiosi per l’azienda. • Molte riviste mediche ricavano profitti considerevoli dalla pubblicazione di supplementi ed estratti commissionata da industrie farmaceutiche. 158 U na delle mie prime esperienze circa il rapporto tra riviste di medicina e industrie farmaceutiche risale agli inizi degli anni ‘80, dopo che il BMJ aveva pubblicato alcuni contributi secondo i quali nuovi farmaci anti-infiammatori non steroidei, a base di benoxaprofene, potevano avere gravi effetti collaterali. Vennero a farci visita tre austeri DALLA LETTERATURA uomini della Eli Lilly, ditta farmaceutica produttrice dei farmaci. Tony Smith, il vice direttore, mi chiese di essere presente all’incontro. Gli uomini, che mi ricordo (forse erroneamente) avevano denti d’oro, minacciarono di ricorrere ad azioni legali, tanto che ad un certo punto Tony disse: “in questo caso ci rivedremo in tribunale”. Fecero una brusca marcia indietro e ci chiesero semplicemente di prepararci a pubblicare una pronta risposta. Quegli articoli alla fine portarono alla messa al bando del benoxaprofene, ma il rapido ritiro del farmaco potrebbe essere stato provocato anche dalla sua troppo rapida ascesa. L’estate prima dell’incontro con gli uomini dai denti d’oro, avevo visitato La stampa muore, viva la stampa misura attuali. Insieme a molto ciarpame, rischiano allora di essere messe a tacere anche (o sopratutto?) le poche voci che oggi ancora si levano fuori dal coro. Un coro che è in realtà molto più unanime e solidale di quanto appaia a prima vista e di quanto risulti dalla pur approfondita analisi del BMJ. Un urologo, per fare un esempio, non ha bisogno di ricevere prebende dall’industria per convincersi a predicare l’uso a tappeto del PSA, anche in chi non ha disturbi. Di fatto lo fa spesso spontaneamente, anche al di fuori delle necessarie prove di efficacia e di innocuità; lo spingono a ciò diversi fattori, che comprendono senz’altro l’intenzione di fare il bene dei pazienti, ma che si sovrappongono al desiderio, in sé legittimo, di allargare il proprio campo di attività. In altre parole molti clinici, soprattutto tra gli specialisti, vivono ormai, per lo più inconsapevolmente, un conflitto che si potrebbe definire intrinseco – in quanto non dipendente da sollecitazioni di terzi – e che contrappone in diverse circostanze il dovere professionale con il tornaconto personale, non necessariamente economico. In generale, infatti, tutte le forme di interventismo generano, oltre che profitti per l’industria della salute, altre richieste di prestazioni e nuovi clienti per gli specialisti del settore, per effetto di quella cascata clinica che è stata ben descritta già da tempo. Si crea così un’alleanza spontanea tra tutti coloro che, nel mondo industriale come in quello clinico, hanno interesse ad ampliare la propria sfera d’azione. Il conflitto interiore dei singoli medici si riflette nelle istituzioni che li rappresentano, società scientifiche o altro, dove anzi si amplifica, per l’allentarsi e il diluirsi dell’obbligazione morale verso i pazienti. Le associazioni dei quali, a loro volta, rischiano di riverberare un conflitto simile, talvolta ingenuamente per subalternità culturale, talaltra anche per convergenza d’interessi economici. Finisce così per prevalere una logica auto referenziale, I giornali per medici stanno attraversando in Italia la più grave crisi degli ultimi decenni. Dall’inizio dell’anno, l’aumento delle tariffe postali per gli invii gratuiti e il crollo degli investimenti pubblicitari da parte delle aziende farmaceutiche stanno mettendo in ginocchio gli editori. Con l’eccezione di alcuni periodici destinati a piccoli gruppi (nell’ordine delle centinaia di abbonati), la quasi totalità della stampa medica in Italia viene inviata gratuitamente ai medici di medicina generale e si finanzia con le inserzioni. Per fare fronte all’aumento dei costi e al prosciugamento delle entrate, molte testate hanno tagliato il numero delle pagine e la quantità di copie distribuite, diradando anche la frequenza delle uscite. Diverse riviste finiranno per chiudere, poiché non si vede la fine delle difficoltà. Poco male, si sente dire: la cassetta per la posta del medico è troppo piena di carta stampata, spesso di pessima qualità, con contenuti per lo più promozionali. Attenzione a non buttare il bambino con l’acqua sporca, in base a sommari pregiudizi. Paradossalmente si potrebbe sostenere che la dipendenza di una rivista medica dalla pubblicità farmaceutica sia come la democrazia: la peggiore soluzione, fatta eccezione per tutte le altre. Come sostiene Richard Smith con pragmatismo disarmante, l’advertising è una delle forme meno compromettenti di finanziamento: non solo dà agli inserzionisti (anche perché sono molteplici) poco potere di influenzare i contenuti editoriali, purché la redazione faccia il suo dovere, ma è anche visibile e trasparente. Contrariamente ai congressi e alla visite dei rappresentanti, la pubblicità non consente di offrire al singolo medico benefici individuali, commisurati alla sua disponibilità. Forse per questo, è la prima voce di promozione che molte aziende tagliano quando occorre. Per lo stesso motivo, la crisi in corso potrebbe non essere passeggera: le riviste gratuite per tutti forse non hanno futuro, o almeno non nella forma e nella Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 159 ANNO X N. 3-4 2003 la sede della Eli Lilly ad Indianapolis. Avevo vinto un premio messo in palio dalla Medical Journalists Association e la cifra doveva essere spesa per un’inchiesta giornalistica. Ero interessato ai risarcimenti per danno da farmaco e decisi di visitare gli Stati Uniti per dare un’occhiata al loro sistema. I soldi del premio erano messi a disposizione da Lilly e siccome questa azienda era stata coinvolta in uno dei più grossi casi di danno provocato da farmaco – si trattava del dietilstilbestrolo - mi era sembrato sensato visitarla. Io e mia moglie fummo alloggiati in un grand hotel a spese dell’azienda farmaceutica e trattati con ogni riguardo. Alla Lilly mi mostrarono gli spot pubblicitari che avevano realizzato per il lancio del benoxaprofene. Li trovai particolarmente esagerati: mostravano pazienti affetti da una grave artrosi che, dopo aver assunto il farmaco, ballavano. Il messaggio era che il benoxaprofene non solo alleviava i sintomi della malattia, ma addirittura faceva definitivamente guarire. Ero scettico su quella pretesa e, anche se fosse stata vera, pensavo Per questa posizione privilegiata, la medicina generale può aspirare a svolgere, anziché il compito sgradevole di “guardiana della porta”, quello ben più promettente di “agente unico” dei cittadini e dei loro interessi di salute, lasciando agli specialisti, con il loro conflitto implicito, il ruolo di consulenti. Per assumere la veste di “coscienza critica”, sarà più che mai indispensabile per il medico di famiglia accedere e partecipare attivamente a fonti di informazione prive di soggezione verso tutti gli attori in gioco. A questo proposito la rinascita del BIF è un impegno meritorio, che mette fine al monopolio privato e dà finalmente alla parte pubblica una voce autorevole, ma deve essere considerato correttamente come espressione degli indirizzi del Servizio sanitario nazionale, che è solo una delle parti in causa. Allora, se anche gli ultimi baluardi di una stampa autonoma, finanziata in modo trasparente dalla pubblicità, sono in pericolo, forse è giunto il momento di pensare a una rivista che faccia a meno degli inserzionisti. È vero purtroppo che i medici, nella loro grande maggioranza, sono abituati a non spendere un soldo per informarsi. E non solo in Italia, come ben sottolinea Smith. Però uno strumento dedicato a controbilanciare il dominio della comunicazione commerciale e della rete diffusa di marketing si rivolgerebbe a un’avanguardia consapevole e minoritaria, ma tutt’altro che inerte. In fondo, per cominciare, basterebbero poche migliaia di abbonati, mentre presto la capacità di influenza e il peso reale di un giornale siffatto supererebbero di gran lunga la semplice contabilità della diffusione. che privilegia la visibilità dei risultati sulla loro reale utilità, quando la crescita dell’istituzione e il potere di chi la gestisce prendono il sopravvento sui bisogni originari in difesa dei quali si era costituita. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Altro che conflitto: si fa avanti una potente sintonia di interessi che accomuna tutti gli attori in gioco, e li induce a spingere come un sol uomo verso una sempre più invadente medicalizzazione della società. In realtà l’azione promozionale esplicita che ogni ditta mette in opera per il singolo prodotto è solo l’ultimo miglio di una rete di marketing che risulta molto articolata e che parte da lontano. Si manifesta quotidianamente attraverso campagne, nelle quali alcune società scientifiche dei medici e alcune associazioni di pazienti congiungono i loro sforzi, più o meno spontaneamente: in realtà a ben scavare, nascosto dietro il paravento di una società di pubbliche relazioni, si trova quasi sempre il finanziamento di una o più aziende, soprattutto farmaceutiche. E lo scopo è quasi sempre lo stesso: amplificare l’importanza (per gravità, diffusione, implicazioni economiche e sociali eccetera) di questa o quella malattia per assoldare pazienti, ottenere finanziamenti, potenziare le strutture, sviluppare la ricerca. Chi resta fuori il più delle volte da questo gioco è la medicina generale; e non tanto perché coloro che la esercitano siano meglio degli altri colleghi, ma per un motivo ben più solido, legato a fattori strutturali e non soggettivi: il medico di famiglia, in tutti i sistemi sanitari, non ha alcuna buona ragione per incentivare il consumismo e l’invadenza della tecnologia attraverso il moltiplicarsi delle prestazioni. Semmai, per il suo impegno continuato e prolungato, è motivato a contenere le aspettative e le pretese fuori luogo, proponendosi obiettivi realistici e sostenibili nel tempo. Commento a cura di Roberto Satolli, editore Zadig Roberto Satolli è presidente e socio della casa editrice Zadig, che produce e pubblica riviste mediche, con e senza pubblicità di farmaci. Ministero della Salute 160 che lo spot fosse comunque eccessivo. Quando il prodotto venne ufficialmente lanciato in Gran Bretagna, Eli Lilly utilizzò quello stesso stravagante messaggio promozionale. Sul giornale Liverpool Echo uscì un servizio che parlava di “farmaco miracoloso”. Un’intensa campagna di marketing portò rapidamente ad un’ampia prescrizione del farmaco. Questo stava anche a significare – ironicamente – che venivano altrettanto rapidamente stilati resoconti sugli effetti collaterali, che poi culminarono nella pubblicazione sul BMJ. Successivamente la ricerca dimostrò che il benoxaprofene in realtà non aveva effetti collaterali maggiori di altri farmaci, ma sicuramente non faceva guarire definitivamente dalla malattia. In realtà il benoxaprofene potrebbe essere uscito dal mercato per essere stato pubblicizzato troppo e in modo fuorviante. Questa storia mi ha insegnato molto e mi ha fatto riflettere sul rapporto tra medici e industrie farmaceutiche. Prima di tutto, il conflitto d’interesse: la tua opinione non può essere comprata, ma è davvero difficile essere critici e imparziali verso chi ti ha offerto squisita ospitalità. In secondo luogo, c’è la tendenza a vedere l’industria farmaceutica come la colpevole e i medici come le vittime innocenti, ma è una grossa semplificazione. Per fare il loro lavoro i medici hanno bisogno dei farmaci prodotti dalle industrie, e quindi è ragionevole che le aziende farmaceutiche debbano essere in grado di far conoscere i loro prodotti. Naturalmente i medici dovrebbero attingere le informazioni sui farmaci anche da fonti non sponsorizzate, ma come siamo arrivati al punto in cui tanti medici non sono disposti a partecipare a un incontro formativo se non viene offerto un pranzo o un rinfresco e una scorta di “regali”? C’è qualcosa di sbagliato in tutto ciò e le riviste mediche fanno parte di questo sistema. DALLA LETTERATURA Pubblicità farmaceutica sulle riviste L a pubblicità è il sistema più ovvio e diretto attraverso il quale le industrie farmaceutiche si servono delle riviste mediche. Nella maggior parte dei paesi le aziende possono fare informazione sui farmaci venduti dietro prescrizione esclusivamente rivolgendosi ai medici. Ciò determina un ricco mercato di pubblicazioni per medici: in molti paesi sono numerose e distribuite gratuitamente e interamente sostenute dai proventi della pubblicità. Per attirare più pubblicità, le riviste devono essere lette dai medici che gli inserzionisti vogliono raggiungere. Per questo motivo le pubblicazioni gratuite cercano di rendersi piacevoli, utili, interessanti e semplici da leggere – contrariamente a quanto avviene per le riviste tradizionali che veicolano spesso contenuti non semplici da utilizzare e di non facile comprensione. Le riviste “classiche” competono con le pubblicazioni gratuite per aggiudicarsi la pubblicità. In Gran Bretagna, i medici ricevono il BMJ gratuitamente perché il giornale è sostenuto dalle pubblicità di case farmaceutiche. Il BMJ USA, che ogni mese raggiunge 90.000 medici americani, si finanzia esclusivamente con la pubblicità. Sempre con i fondi ricavati dalla pubblicità il New England Journal of Medicine è spedito gratuitamente a molti medici ospedalieri britannici e il JAMA a molti medici statunitensi. Le pubblicità farmaceutiche quasi sicuramente influenzano le prescrizioni1, sebbene non siano stati effettuati studi randomizzati al proposito e molti medici sostengano il contrario. Nonostante tutto, gli editori hanno stimato un ritorno economico sugli investimenti della pubblicità farmaceutica di entità maggiore rispetto al costo degli informatori farmaceutici. Ministero della Salute La pubblicità è ingannevole? A bbiamo dati sufficienti per affermare che molta pubblicità sui farmaci è fuorviante. Un’inchiesta del congresso degli Stati Uniti ha riportato che dall’agosto 1997 all’agosto 2002 la Food and Drug Administration (FDA) ha emesso 88 lettere di richiamo nei confronti di industrie farmaceutiche per violazione delle norme che regolano la pubblicità. In molti casi era posta eccessiva enfasi sull’efficacia del farmaco o erano minimizzati i rischi connessi alla sua assunzione. Comunque, queste violazioni perseguite dalla FDA non sono quasi sicuramente che la punta dell’iceberg. Uno studio condotto nel 1992, che prendeva in considerazione 109 inserzioni pubblicitarie a tutta pagina dalle dieci più prestigiose riviste mediche, aveva messo in luce diversi problemi2. Solo i quattro quinti delle voci bibliografiche citate negli annunci pubblicitari era stato rintracciato dagli autori dello studio. Questi spedirono, allora, le pubblicità e la bibliografia a consulenti esperti, chiedendo loro di farne una valutazione critica attenendosi ai criteri proposti dalla FDA. In un terzo dei casi, due o più revisori non erano d’accordo con quanto sostenevano gli inserzionisti riguardo al farmaco reclamizzato come di “prima scelta”. Nel 40% dei casi le informazioni sull’efficacia del farmaco non erano bilanciate da quelle sugli effetti collaterali e sulle controindicazioni. Complessivamente, i revisori avrebbero sconsigliato la pubblicazione del 28% delle pubblicità, mentre avrebbero richiesto correzioni di rilievo in un terzo dei casi. Da una recente ricerca spagnola, che ha preso in esame circa 300 messaggi pubblicitari, è emerso che quasi la metà delle affermazioni non è confortata dalla bibliografia citata3. bollettino d’informazione sui farmaci 161 ANNO X N. 3-4 2003 Le riviste dovrebbero rifiutare la pubblicità sui farmaci? P oiché le inserzioni pubblicitarie influenzano le prescrizioni e sono spesso fuor vianti, ci si domanda se le riviste mediche debbano pubblicarle e, in caso positivo, se debbano attivare controlli su di esse. Pochi direttori (e ancor meno editori) rifiutano la pubblicità. Molti controllano gli annunci e rifiutano quelli che ritengono fuorvianti. La politica del BMJ è schematizzata in fondo a pag. 163. Materiale editoriale favorevole alle aziende farmaceutiche G li inserzionisti pubblicitari preferirebbero un testo redazionale a loro favorevole piuttosto che un annuncio pubblicitario, perché sanno che quest’ultimo non è tenuto in grande considerazione dai lettori. Così, molto grossolanamente, gli inserzionisti possono offrirsi per acquistare la pubblicità nel caso in cui i loro prodotti siano commentati positivamente nelle pagine redazionali. In pratica gli inserzionisti cercano di ottenere una pubblicità camuffata da articolo redazionale, che viene chiamata in inglese “advertorial”. Più frequentemente, tuttavia, gli inserzionisti avrebbero desiderio di sapere che cosa sarà pubblicato su una rivista in modo da posizionare l’annuncio pubblicitario al lato degli articoli favorevoli ai loro prodotti. Sembra che molte riviste vendano gli spazi per la pubblicità seguendo questo criterio. In definitiva, tuttavia, per le case farmaceutiche le riviste mediche sono probabilmente più utili per pubblicare i trial piuttosto che per diffondere la pubblicità dei propri prodotti. Nonostante i periodici gratuiti siano meglio leggibili rispetto alle riviste scientifiche, essi non possono comunque fornire quel riconoscimento che invece accompagna un importante trial pubblicato su una rivista internazionale. Un importante trial randomizzato favorevole ad un prodotto rappresenta la migliore condizione per creare il farmaco leader di mercato sognato da ogni azienda. Questo significa che gli addetti al marketing di un’industria farmaceutica saranno più interessati ai test clinici di quanto non lo siano i ricercatori stessi, poiché molti studi sono scientificamente irrilevanti. Accade così che questa grande invenzione scientifica - il trial - venga svilita per ragioni di marketing. In tutto ciò le riviste giocano un ruolo di grande responsabilità poiché sono il veicolo di trasmissione dei dati dei trial - e la risonanza di uno studio è tanto maggiore quanto più importante è la rivista su cui viene pubblicato. Una guida rapida per corrompere la scienza e indurla a promuovere i farmaci I l miglior trial risponde ad una domanda semplice e rilevante dal punto di vista medico, è opportunamente randomizzato (onde evitare errori sistematici) ed è condotto su larga scala (per evitare risposte errate dovute al caso). Sono diversi i modi per svilire questo strumento a scopo di markerting. Trial di seminagione e deviazione. Qualche volta le aziende farmaceutiche intraprendono studi clinici solo per indurre i medici a prescrivere i loro farmaci. Questi “trial di seminagione” sono spesso Ministero della Salute di basso profilo scientifico. Non è descritto un chiaro quesito clinico e non ci sono controlli adeguati. Ma sono condotti su larga scala e gli osservatori (spesso medici inesperti, senza esperienza di ricerca) sono ben pagati per reclutare pazienti. Una variante è il “trial di deviazione”, quando un medico riceve un compenso per indurre i pazienti a passare dalla terapia abituale alla nuova. Nonostante questa tipologia di studi venga difficilmente accolta dalle riviste importanti, molti di questi potrebbero essere comunque pubblicati su qualche periodico ed essere poi utilizzati per promuovere il farmaco presso medici scientificamente più ingenui. Vigilanza postmarketing. Un’altra variante - che potrebbe essere più giustificata da un punto di vista scientifico - è la vigilanza dopo l’ingresso in commercio del farmaco. Molti effetti collaterali non emergono se non quando il farmaco è sul mercato. Per questo i dati provenienti dai pazienti che assumono nuovi farmaci rappresentano un importante strumento, sebbene però possano anche assumere un significato di marketing rivelandosi utili per indurre i medici a prescrivere il farmaco. Anche in questo caso i medici potrebbero ricevere consistenti somme di denaro in qualità di “rimborso” . Ho il sospetto che tutto ciò raramente sia spiegato ai pazienti. Al contrario questi ultimi sono portati a credere che stanno assumendo la più recente farmacoterapia (con l’implicito possibile equivoco di una falsa associazione tra “più recente = migliore”). Questi trial sono spesso pubblicati, talvolta anche su riviste prestigiose, poiché danno importanti informazioni sugli effetti collaterali. 162 Sperimentazioni controllate verso placebo. Generalmente, per ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio di un nuovo farmaco, le industrie devono condurre i trial verso placebo. Questo potrebbe essere in conflitto con la Dichiarazione di Helsinki, secondo la quale non è etico somministrare a un paziente il placebo quando è disponibile una terapia. Poiché molti presunti nuovi farmaci non sono altro che copie di principi attivi già disponibili, tali conflitti emergono spesso. Quello che medici e pazienti vorrebbero sapere è se il nuovo farmaco sia migliore rispetto ai trattamenti già esistenti. Ma le industrie farmaceutiche temono il confronto “testa a testa”, dove le terapie sono valutate in gruppi di malati sufficientemente numerosi da dare risposte univoche. Una risposta chiara ma sfavorevole può essere disastrosa per un’azienda che ha investito centinaia di milioni di dollari per mettere in commercio un farmaco e decine di milioni di dollari per realizzare lo studio clinico. Trial di equivalenza. Per le ragioni prime esposte le aziende farmaceutiche preferiscono un trial contro placebo o un trial che dimostri che il loro farmaco è valido almeno come un altro. Questi studi di “equivalenza” o di “non inferiorità” tra farmaci sono particolarmente difficili da interpretare. In sostanza, il campione non è sufficientemente grande per dimostrare se un trattamento sia preferibile ad un altro; ma non è così piccolo da essere privo di significato. Molti dei trial sponsorizzati dalle aziende farmaceutiche appartengono a questa categoria: ecco perché può essere possibile che in nessuno dei 61 studi sui farmaci anti-infiammatori non steroidei, finanziati da case farmaceutiche, emergano risultati sfavorevoli al produttore4. Non è tanto questione DALLA LETTERATURA di omettere dei dati negativi, quanto (meno disonesto?) di assicurarsi di non finanziare un test che potrebbe dare risultati sfavorevoli. Le dosi. Ci sono altri modi per aumentare le probabilità che i risultati si rivelino favorevoli. Per il farmaco di confronto si può usare una dose inferiore all’ottimale oppure una dose più alta, tale da indurre un maggior numero di effetti collaterali. Questo potrebbe essere quanto è accaduto per i trial su nuovi antidepressivi, dove il selling point per le vendite non era il fatto che i farmaci fossero più efficaci, quanto meno tossici. non pubblicare alcuni dati, magari perché non sono a lei favorevoli. L’International Committee of Medical Journal Editors ha opposto una debole resistenza contro queste pratiche affermando che le riviste dovrebbero pubblicare lavori solo se gli autori hanno pieno controllo del diritto di pubblicare 6. Questa richiesta, in realtà, è puramente simbolica: nel caso in cui gli sponsor controllino la scelta di pubblicare e non gradiscano i risultati, l’articolo non verrebbe neppure spedito a quelle riviste per essere pubblicato. Il lucro sugli estratti e sui supplementi Distinguere Q uesta non è una lista esaustiva e vi sono altrettanti metodi per ottenere risultati favorevoli attraverso revisioni sistematiche e valutazioni economiche. In particolare, le valutazioni economiche, che risultano poco familiari e molto complesse per le direzioni scientifiche delle riviste e per i lettori, possono essere particolarmente semplici da manipolare. È difficile a questo proposito distinguere tra la disonestà, gli errori sistematici in buona fede e l’uso astuto di metodi legittimi, ma le riviste scientifiche devono provare a farlo – se non altro perché i tre quarti dei trial randomizzati pubblicati sulle più importanti riviste è finanziato dalle case farmaceutiche 5. Per di più, spesso gli studi non sono condotti da ricercatori universitari (che almeno, in teoria, non dovrebbero essere legati all’industria), bensì vengono dati in appalto a società che sono pagate per svolgere esclusivamente questo lavoro. Queste società non si oppongono – come invece possono fare gli universitari – se la ditta farmaceutica decide di Ministero della Salute L e più importanti riviste cercano di bilanciare il peso delle case farmaceutiche, ma non è una battaglia equa, anche perché le riviste traggono a loro volta profitto pubblicando le ricerche finanziate dalle industrie. I grandi trial sono importanti per le riviste, in quanto i medici di ogni parte del mondo vogliono esserne a conoscenza e quindi sono più propensi ad abbonarsi a quelle riviste che li pubblicano. Alcuni studi clinici portano anche molta pubblicità e le riviste gradiscono che si parli di loro. Infine, le aziende farmaceutiche acquistano un gran numero di estratti dagli articoli che riferiscono le sperimentazioni cliniche. Talvolta arrivano a spendere più di un milione di dollari per la ristampa di una singola ricerca e il margine di profitto per l’editore è enorme. Gli estratti sono spesso usati per promuovere il farmaco presso i medici e il nome della rivista sul fascicolo è parte essenziale dell’affare. Un altro modo attraverso cui le riviste possono essere coinvolte è la realizzazione e la pubblicazione di supplementi. I grandi settimanali bollettino d’informazione sui farmaci 163 ANNO X N. 3-4 2003 non pubblicano supplementi, ma molte riviste specialistiche lo fanno – e questo può essere per loro molto proficuo. Alcune riviste abbinano un supplemento ad ogni numero e in genere quanto più bassa è la qualità scientifica del supplemento e quanto più favorevole esso risulta per la casa farmaceutica che lo finanzia, tanto maggiore è il profitto per l’editore. Pubblicando tutti gli interventi di un simposio sponsorizzato da una sola azienda e centrato su un singolo farmaco, una rivista può ricavare un compenso sostanzioso. Spesso questi articoli vengono rimaneggiati da “pennivendoli pagati dall’industria”, per dirla crudamente, e pubblicati più volte. Se invece la rivista vuole sottoporre gli articoli a revisione critica, selezionandoli e pubblicando solo quelli realmente originali, allora il prezzo pagato dall’azienda sponsor è più contenuto. Alcune ricerche hanno dimostrato che i lavori scientifici pubblicati nei supplementi sono di qualità inferiore rispetto a quelli pubblicati sui fascicoli ordinari della rivista7,8. Conclusioni I n un certo senso, tutte le riviste sono comprate – o per lo meno intelligentemente usate dalle industrie farmaceutiche. Le industrie hanno il dominio del settore della salute e la maggior parte dei medici ha bevuto e pasteggiato a loro spese. Non sorprende quindi che anche le riviste mediche possano essere pesantemente influenzate dalle industrie. Ma l’assistenza sanitaria, i medici, le riviste e – a mio parere – l’industria farmaceutica trarrebbero tutti beneficio da rapporti più limpidi, meno ravvicinati e più simili alle consuete relazioni di lavoro. Questo articolo riprende – sintetizzandolo in maniera drastica – il capitolo di un libro dello stesso autore. Il volume, provvisoriamente intitolato “The trouble with Medical Journals” sarà pubblicato nel corso del 2004 dalla Cambridge University Press. Possibili fonti di conflitto di interessi: RS è direttore del BMJ e direttore esecutivo del BMJ Publishing Group Ltd. Sotto la sua responsabilità sono edite riviste che ospitano pubblicità, vendono estratti e pubblicano supplementi. È remunerato con uno stipendio predeterminato. Per maggiori informazioni sui “competing interests” dell’autore consultare: http://bmj.com/aboutsite/comp_ editorials.html editori, crediamo che questi introiti, forse paradossalmente, assicurano la nostra indipendenza. Gli inserzionisti hanno poche possibilità di influenzare quanto viene pubblicato - in parte perché sono numerosi. Ma se i proprietari devono sostenere economicamente una rivista, allora vogliono che il giornale segua la loro linea di pensiero. Sappiamo, inoltre, che se i lettori possono scegliere tra un giornale a pagamento che non ha pubblicità e una rivista gratuita ma contenente pubblicità, quasi tutti optano per il giornale gratuito. Bibliografia La politica del BMJ riguardo la pubblicità A l BMJ non controlliamo il contenuto degli annunci pubblicitari. Ne valutiamo il buon gusto, ma raramente li respingiamo. La logica che sta dietro questo approccio, che molti ritengono estrema, è la seguente: - rigide leggi europee e britanniche regolano le affermazioni che possono essere fatte nella pubblicità. L’industria britannica ha un codice di autoregolazione della pubblicità e le aziende si denunciano prontamente l’un l’altra nel caso di non osservanza; - sappiamo che il lettore tiene in scarsa considerazione la pubblicità (nonostante questo fatto sia in conflitto con le prove che la pubblicità influenza la prescrizione); - ci sembra ragionevole concentrare le nostre forze sul miglioramento delle pagine redazionali, non di quelle pubblicitarie; - incoraggiamo i lettori ad avere un approccio critico verso la pubblicità così come verso gli articoli e li incoraggiamo a reclamare presso le autorità competenti nel caso in cui ritengano grave la violazione. Questa politica è coerente con il nostro desiderio di ricevere proventi dalla pubblicità. Come molti altri Ministero della Salute 1. Gottlieb S. Congress criticises drugs industry for misleading advertising. BMJ 2002;325: 137. 2. Wilkes MS, Doblin BH, Shapiro MF. Pharmaceutical advertisements in leading medical journals: experts’ assessments. Ann Intern Med 1992;116: 912-9. 3. Villanueva P, Peiro S, Librero J, Pereiro I. Accuracy of pharmaceutical advertisements in medical journals. Lancet 2003;361: 27-32. 4. Rochon PA, Gurwitz JH, Simms RW et al. A study of manufacturer supported trials of non-steroidal antiinflammatory drugs in the treatment of arthritis. Arch Intern Med 1994;154: 157-63. 5. Egger M, Bartlett C, Jüni P. Are randomised controlled trials in the BMJ different? BMJ 2001;323: 1253. 6. Davidoff F, DeAngelis CD, Drazen JM et al. Sponsorship, authorship, and accountability. Lancet 2001;358: 854-6. 7. Rochon PA, Gurwitz JH, Cheung M, Hayes JA, Chalmers TC. Evaluating the quality of articles published in journal supplements compared with the quality of those published in the parent journal. JAMA 1994;272: 108-13. 8. Cho MK, Bero LA. The quality of drug studies published in symposium proceedings. Ann Intern Med 1996;124: 485-9. Conflitti di interesse: RS è direttore del BMJ e direttore esecutivo del BMJ Publishing Group Ltd. È responsabile di riviste che ospitano pubblicità, vendono estratti e pubblicano supplementi. È remunerato con uno stipendio predeterminato. Per maggiori informazioni: http://bmj.com/aboutsite/comp_ editorial.shtml 164 DALLA LETTERATURA Editoria condizionata sì, ma da cosa? Una delle letture più intriganti – e convincenti – della scorsa stagione è stata il numero del British Medical Journal il cui dossier era dedicato all’informazione sanitaria disponibile su Internet (BMJ 324; 9 marzo 2002). Poche storie, sembrava concludere il settimanale britannico: il giudizio di qualità su quanto reperibile sul Web resta, in fondo, al lettore, e poco valgono bollini di qualità più o meno rigorosi, codici d’autoregolamentazione più o meno disattesi, dichiarazioni d’intenti più o meno sincere. Dopo un iniziale disorientamento, in molti abbiamo pensato che, in fondo, potrebbe davvero essere questo il punto di vista non soltanto più realistico ma anche più rispettoso dei diritti di chi cerca informazioni su Internet, le trova e le utilizza. L’utente tornerà a percorrere gli stessi sentieri solo se avrà avuto in precedenza indicazioni affidabili. In virtù anche di questo precedente, è dunque con un atteggiamento di curiosità ed attesa che ho letto il numero del BMJ dedicato ai rapporti tra industria farmaceutica e produzione ed informazione biomedica. Certamente interessante, a tratti divertente, alla fine però in certa misura deludente; non ho trovato conferma, infatti, a due “regole” che ritenevo ormai assodate. La prima codificata dai migliori libri gialli - prevede che il colpevole si scopra alla fine: in questo caso, invece, che quasi tutti i problemi siano imputabili all’operato delle industrie farmaceutiche viene esplicitato sin dall’inizio e quasi tutte le pagine che seguono gli Editoriali sono finalizzate a sostenere la tesi di partenza. La seconda massima disattesa è quella che aveva informato gli interventi sulle informazioni su Web pubblicati dalla stessa rivista e ai quali mi riferivo in apertura: il giudizio del lettore è ciò che conta e vale più di qualsiasi tentativo di regolamentazione, peraltro difficile da mettere in pratica1. Su un punto non si può che concordare con il BMJ: anche nel settore medico-scientifico, l’editoria è condizionata. Nell’affermarlo, del resto, si ha la sensazione di scoprire l’acqua calda2. Cerchiamo piuttosto di capire i motivi di questo condizionamento. L’editoria è condizionata dall’essere un mestiere povero, a metà tra l’industria e l’artigianato3. Il 40,2% delle case editrici ha tra 2 e 9 addetti4, che lavorano per soddisfare un pubblico che non cresce di numero: tra il 1997 ed il 2000, la spesa delle famiglie italiane per acquisto di libri e di periodici è passata rispettivamente dal 17,6% al 15,1% e dal 19,6% al 17,8% del totale della spesa per l’acquisto di prodotti e servizi della comunicazione, laddove quella per la telefonia è cresciuta dal 45,7% al 49,4%. L’editoria è un mestiere povero anche perché lungo il percorso scolastico raramente viene insegnato ad utilizzare con intelligenza libri e riviste. Desiderando fare riferimento allo specifico caso della laurea in medicina e chirurgia, in molte facoltà è sufficiente l’acquisto e lo studio di una singola, ponderosa opera per sostenere buona parte degli esami clinici degli ultimi anni di corso, sebbene la quasi totalità dei trattati di medicina sia obsoleta già al momento della pubblicazione5. Senza contare, inoltre, che le modalità dell’educazione continua post-laurea esigono la padronanza di metodologie e di tecniche che molto spesso il giovane medico ignora. L’editoria è un mestiere povero perché le biblioteche di pubblica lettura ed universitarie non acquisiscono libri e periodici in misura sufficiente per incoraggiare gli sforzi degli editori. Negli Stati Uniti, le 63 principali biblioteche mediche spendono ogni anno 9.435.780 dollari per l’acquisto di monografie e 63.096.397 dollari per abbonamenti a periodici6, al punto che per molte university press nord-americane il mercato delle libraries è una fonte di ricavi sufficiente a giustificare gli investimenti. In Italia, la vendita alle biblioteche rappresenta l’1,7% del mercato librario, già di per sé abbastanza esiguo. EDITORI VULNERABILI Molti editori specializzati sono in costante sofferenza finanziaria. Il ritorno degli investimenti quasi mai è a breve termine. Il punto di pareggio per una rivista medica viene raggiunto non prima di 5-6 anni dopo il lancio, salvo l’intervento di sponsorizzazioni da parte di società scientifiche, di enti o istituzioni7. Allo stesso modo, il break even point di una monografia non si raggiunge che dopo aver venduto il 60-70% della prima tiratura. Il processo editoriale nel settore medicoscientifico è di gran lunga più oneroso rispetto a quello di altre discipline; di conseguenza, l’obiettivo di minimizzare il time to market [la di- Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 165 ANNO X N. 3-4 2003 Viene certamente da domandarsi se la diffusa abitudine di offrire beni e servizi in dono non abbia contribuito ad allontanare il medico dalle librerie. È molto probabile che sia così. Del resto, esistono riviste e monografie sulle quali la pressione dell’industria farmaceutica è maggiore e, molto spesso, si tratta proprio dei prodotti editoriali di più elevata qualità. La ragione è facilmente comprensibile: tanto più un periodico o un libro è conosciuto ed apprezzato tanto più alto potrà essere l’impatto di messaggi promozionali veicolati attraverso quel mezzo. Ma probabilmente non è questo il problema. stanza tra la formulazione del progetto e la vendita del prodotto] è ancora più sentito. L’editoria è un mestiere povero perché la casa editrice è chiamata non più a competere solo con le sue dirette concorrenti, ma pure “con altri e nuovi soggetti imprenditoriali, anche in comparti considerati fino ad ora molto distanti (se non estranei) da quelli tradizionali del libro e della lettura”8. Il mondo editoriale è quindi molto vulnerabile, soprattutto in una fase d’instabilità culturale ed economica come l’attuale. Questo contribuisce a spiegare l’ondata di acquisizioni che, negli ultimi dieci anni, hanno modificato radicalmente lo scenario editoriale. Grandi gruppi editoriali come Elsevier, Bertelsman, SwetsBlackwell hanno assunto una posizione di primaria importanza, innescando processi di concentrazione proprietaria che hanno richiesto in qualche caso l’intervento delle authorities antitrust. Gli effetti di questi cambiamenti si sono sentiti anche in Italia. L’editoria di cultura – di libri e di periodici – è un settore che solo marginalmente si trova a beneficiare del sostegno statale; basti pensare alle recenti disposizioni di legge che hanno sensibilmente aumentato i costi di spedizione delle riviste, portando alla chiusura di numerose testate. Sono questi – ed altri che non cito per brevità – i motivi del condizionamento dell’editoria, anche medico-scientifica. Sostenere invece che quest’ultima sia condizionata dall’industria farmaceutica è confondere la causa con l’effetto. È vero, al contrario, che un’editoria di cultura indebolita e costretta a rinunciare ad ogni progettualità a causa di preoccupazioni non soltanto di ordine finanziario ma dovute anche ad una costante variabilità del quadro normativo, può trovarsi più facilmente nelle condizioni di non riuscire a resistere a tentazioni compromettenti, come quella di “ballare con i porcospini”. Il fatto è – come abbiamo detto – che quasi sempre i porcospini sono i soli ad essere disponili al ballo e molto spesso prendono l’iniziativa. Molti editori scientifici ed editors di riviste biomediche attendono da anni un invito analogo da istituzioni pubbliche, amministrazioni locali, società scientifiche – escludendo beninteso ciò che prevede comunque il coinvolgimento più o meno diretto di sponsor farmaceutici. L’INDIPENDENZA IMPOSSIBILE Come per l’informazione su Internet, la questione non è tanto nell’indipendenza dei contenuti. Del resto, un prodotto editoriale sarà sempre “dipendente” da qualcosa: dagli orientamenti culturali o politici dell’editore; dalle sue esigenze economiche contingenti; ovviamente, dalle opinioni dell’autore; dalla policy dell’istituzione eventualmente patrocinante. È stato fatto acutamente osservare che l’eventuale conflitto tra i diversi “interessi in campo” sarà solo più evidente se riguarderà aspetti economici: “Financial conflicts have been the focus of much discourse involving biomedical publication, perhaps because financial associations and equity are easily defined and measured when compared with nonfinancial interests”9. Il nodo è piuttosto nella qualità ed un libro o una rivista potranno essere preferiti o meno indipendentemente dai finanziamenti di cui avrà beneficiato la loro produzione. Le librerie scientifiche sono piene di monografie tanto “indipendenti” quanto superflue. Allo stesso modo, accanto a materiali effimeri e di modestissimo livello - le borse degli informatori scientifici accolgono spesso libri preziosi – basti pensare al Merck Manual – e riviste interessanti – Ricerca Roche, Sfera, Noos, per indicarne solo alcune. “C’è la tendenza a vedere l’industria farmaceutica come il colpevole ed i medici come le vittime innocenti, ma è una grossa semplificazione”, ammette lo stesso direttore del BMJ, Richard Smith 10 . Accettiamo, allora, la complessità del problema, e consideriamo piuttosto i molti fattori che concorrono a determinare il quadro di fronte al quale ci troviamo. “For some segue→ Ministero della Salute 166 DALLA LETTERATURA reason the pharmaceutical industry is seen as the devil, while many others in health care are seen as saintly. This prejudice against the industry is unfair”, scrivono Smith e Silvia Bonaccorso, vice-president di Merck & Co. in una “Personal view” colpevolmente relegata in fondo al numero del BMJ11. Infine, una considerazione sulla vignetta che illustra l’articolo sugli “amanti a disagio” (vedi a pag. 157). Il volto dell’editor del BMJ denuncia sì un certo imbarazzo (sembra quasi pensare tra sé il fatidico “non lo fo per piacer mio…”) ma – ammettiamolo – è probabile che Richard Smith trascorra una gradevole serata, considerata la compagnia. Viste le recenti polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione di un compromettente articolo da parte del BMJ12, chissà che – dopo – non si accenda anche una sigaretta… Bibliografia 1. Purcell GP, Wilson P, Delamothe T. The quality of the information on the Internet. BMJ 2002;324:557-8. 2. “Editoria condizionata” è anche il titolo del libro di J e G Brémond, pubblicato all’inizio del 2003 anche in edizione italiana dalla casa editrice Sylvestre Bonnard. 3. Mistretta E. L’editoria. Un’industria dell’artigianato. Bologna: Il Mulino, 2003. 4. Questo dato, come quelli forniti successivamente, sono tratti da: Associazione Italiana Editori (AIE), Ufficio Studi. L’editoria libraria in Italia. In: Quaderni di “Libri e riviste d’Italia”, n. 49, 2002. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. 5. Diekelmann NL (ed). Teaching the practitioners of care. New pedagogies for the health professions. Madison: The University of Wisconsin Press, 2003. 6. Association of Research Libraries. ARL Academy Health Sciences Library Statistics 2000-2001. Washington, DC, 2002. 7. Page G, Campbell R, Meadows J. Journal publishing. Cambridge: Cambridge University Press, 1997. 8. AIE, op. cit. 9. Flanagin A. Conflict of interest. In: Hudson Jones A, McLellan F (eds). Ethical issues in biomedical publication. Baltimore: The Johns Hopkins University Press, 2000. 10. Smith R. Medical journals and pharmaceutical companies: uneasy bedfellows. BMJ 2003;326:1202-5. 11. Bonaccorso S, Smith R. In praise of the “devil”. BMJ 2003; 326;1220. 12. Vedi a questo riguardo www.vapensiero.info ai numeri 126, 127 e 131. Commento a cura di Luca De Fiore, Il Pensiero Scientifico Editore Luca De Fiore è direttore generale della casa editrice Il Pensiero Scientifico Editore, azienda che collabora con enti, istituzioni e industrie farmaceutiche. Essendo azionista della casa editrice, il suo reddito può in parte dipendere dal risultato economico dell’azienda. Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 167 ANNO X N. 3-4 2003 ◗ Una malsana manipolazione* dei fatti gli standard di trasparenza sui contributi percepiti da parte delle organizzazioni non-profit. • Manca il resoconto effettuato da esperti sull’attività dell’industria delle pubbliche relazioni; per questa ragione vengono ideate strategie sempre nuove con l’obiettivo di dar forma ad importanti decisioni riguardanti l’assistenza sanitaria. L BURTON B, ROWELL A. UNHEALTHY SPIN. BMJ 2003; 326: 1205-7. Punti chiave • Nella “tecnica della terza parte”, invece di utilizzare come portavoce un rappresentante dell’industria farmaceutica (che avrebbe poca credibilità), viene preferito un mittente apparentemente indipendente e con un alto grado di credibilità agli occhi dei destinatari. • La mancanza di trasparenza da parte dei mittenti della terza parte è spesso rafforzata dallo scarso interesse di medici, pazienti e giornalisti per la rivelazione di potenziali conflitti di interesse. • Le pubbliche relazioni nel campo dell’assistenza sanitaria mirano generalmente ad influenzare la prescrizione farmaceutica, anche se recentemente sta aumentando l’attenzione alle iniziative dirette ai potenziali pazienti. • Le associazioni di pazienti vengono sempre più spesso sponsorizzate dalle industrie farmaceutiche, cosa che sta contribuendo ad alimentare il dibattito su quali dovrebbero essere e agenzie di pubbliche relazioni sono esperte nella “tecnica della terza parte”; aiutano, cioè, l’industria farmaceutica a non apparire nella gestione di quelle campagne di informazione che può sembrare favoriscano gli interessi delle aziende. Ma la maggior parte dei giornalisti ha solo una vaga idea di come funzioni l’industria delle pubbliche relazioni, perciò rischia di accogliere acriticamente i messaggi occulti. Sono pochi i medici che hanno sentito parlare delle grandi agenzie leader a livello internazionale delle attività di pubbliche relazioni in campo sanitario, tra le quali Edelman, Ruder Finn, Noonan/Russo Presence, Shire Health Group, Medical Action Communications. I medici e i loro pazienti sono quotidianamente bersagliati da messaggi accuratamente pensati da queste agenzie per far aumentare le vendite dei farmaci dei loro clienti. Secondo gli organi di stampa della stessa industria delle pubbliche relazioni, le principali cinque società di “PR sanitarie” hanno fatturato nello scorso anno oltre 260 milioni di euro; le loro attività spaziano dal pianificare la copertura da parte dei media della notizia del lancio imminente di nuovi farmaci al coltivare rapporti con gli ambienti clinici finalizzati alla produzione di letteratura biomedica fino al “wooing” di gruppi di pazienti. Tattiche di business I l fulcro della maggior parte delle agenzie di pubbliche relazioni consiste nella cosiddetta “tecnica della terza parte”. Paul Keirnan, direttore associato della Edelman a Londra, spiega che la tecnica consiste nel separare il contenuto del messaggio da quello che potrebbe apparire un mittente interessato. Un’azienda farmaceutica che difende un prodotto controverso, afferma Keirnan, “ha molta meno credibilità rispetto ad un opinion leader o a un medico prescrittore del farmaco che affermino la stessa cosa. Non si tratta di mettere le parole in bocca ad un opinion leader, ma di utilizzare una terza parte per esporre i fatti, senza che essi appaiano distorti dall’industria farmaceutica”. Peter Mansfield, medico di medicina generale e direttore del Healthy Scepticism, gruppo australiano di salute pubblica, ritiene che la maggior parte delle società di pubbliche relazioni che lavorano in campo medico e che si occupano di pubblicità si spacci come fonte di informazione indipendente “tanto da riuscire a passare inosservata sotto il radar dell’interpretazione critica”. Nel mondo delle pubbliche relazioni in sanità, il reclutamento e l’addestramento degli opinion leader, che parlano a nome dell’azienda farmaceutica sponsor, rappresentano un elemento cruciale dell’“educazione in medicina”. Durante le conferenze, ad esempio, il loro ruolo può spaziare dalla presentazione di lavori alla risposta a domande durante le sessioni aperte al dibattito. Peter Hansen, direttore della Ethical Strategies Limited, società di comunicazione medica del Surrey, concorda nel ritenere che le relazioni tra industrie farmaceutiche, medici e associazioni di pazienti debbano essere rese sempre esplicite, in ogni *Si è scelta “manipolazione” per il termine “spin” che significa, alla lettera, ‘moto vorticoso, rotazione, avvitamento’ (nota del traduttore). Ministero della Salute 168 comunicazione. Ciò nonostante, l’adesione di Hansen ad una politica di trasparenza deriva da quello che lui descrive come un grande avvertimento. Egli sostiene infatti che “tra la gente esista l’erronea convinzione che per qualche ragione la medicina sia diversa dalle altre attività imprenditoriali, ma questo non è vero”. I medici e le associazioni di pazienti hanno bisogno di finanziamenti e “alla fine è l’industria farmaceutica il maggior finanziatore della comunicazione medica. L’opinione pubblica deve rendersi conto che la medicina è un business”. Pubblicazioni scientifiche S ebbene la prescrizione farmaceutica sia influenzata prevalentemente dalle visite degli informatori scientifici, le pubblicazioni mediche giocano un ruolo cruciale nel sostenere l’attività dell’informatore al momento del colloquio con il medico. “Persino quando uno studio non contiene alcun messaggio chiave, l’introduzione e le conclusioni offrono pur sempre un’eccellente base per il lancio di un messaggio”, scrive Harry Cook, dell’ICC Europe, in una rivista commerciale1. Egli fa notare come “gli estratti [di articoli tratti da riviste scientifiche] possano rappresentare uno strumento di vendita molto utile, dal momento che esse vengono recepiti come indipendenti e autorevoli”. In un’altra guida all’editoria medica, gli autori sottolineano come può essere sfruttato il numero di testate: “L’editoria medica periodica si compone di una vasta gamma di testate diverse. Dai periodici di elevato livello e conseguente costo elevato – poco inclini a prostituire i proprio standard editoriali – alle testate di basso profilo e conseguente basso costo che non hanno né voglia DALLA LETTERATURA né personale per esercitare un controllo editoriale sugli articoli”2. Una delle funzioni meno note delle società di pubbliche relazioni è quella di assoldare giornalisti freelance per la “copertura” di eventi, ad esempio importanti congressi, per confezionare spunti o articoli da proporre o inserire direttamente sulle riviste mediche. Le presentazioni di studi che hanno ottenuto risultati preliminari positivi possono sollevare, tra i medici e i pazienti, aspettative poco realistiche in merito a conquiste che magari non avverranno mai. Hansen concorda sul fatto che utilizzare giornalisti freelance a questo scopo è comune. “Penso che ciò accada abbastanza spesso… se un articolo deve essere scritto e pubblicato su una rivista sarebbe appropriato segnalare che il giornalista è stato appoggiato nel corso del lavoro di stesura da questa o quest’altra azienda”, afferma Hansen. I consumatori ed i pazienti L e società di pubbliche relazioni si stanno sempre più interessando al mercato dei consumatori (DTC, dall’inglese “direct to consumer”) o dei gruppi di pazienti. “In passato i consumatori di farmaci venduti dietro prescrizione medica consideravano i consigli del medico come una sorta di vangelo, ma oggi, per i consumatori, sono disponibili molte più fonti dove attingere informazioni”, afferma Keirnan. “Le case farmaceutiche non possono fare affidamento soltanto sui mezzi pubblicitari provati e consolidati: la forza vendita e le lettere inviate al medico”. La società di comunicazione medica Mednet Media rivela, sul sito Internet che – nel settore delle patologie croniche – indirizzare la propria attività di marketing verso il medico significa per un’azienda farmaceutica farsi sfuggire il target rap- Ministero della Salute presentato dal cosiddetto “empowered patient”, capace di influenzare realmente la prescrizione. Nonostante medici e gruppi di pazienti non ammettano la pubblicità diretta al consumatore, le case farmaceutiche usano Internet per influenzare pazienti potenziali aggirando le norme sulla pubblicità. La Mednet Media chiama questo nuovo tipo di pubblicità “E-DTC”. Per le case farmaceutiche è molto importante instaurare rapporti – compreso il finanziamento – con le associazioni di pazienti. Ciò consente di mobilitare delle forze capaci di influenzare i “policy makers”. Il sostegno finanziario che le industrie farmaceutiche forniscono alle associazioni sta scatenando la reazione delle organizzazioni non-profit che rifiutano questo tipo di patrocinio. Barbara Brenner, direttore generale della Breast Cancer Action di San Francisco, ritiene che la dichiarazione delle fonti di finanziamento e dei legami di ordine economico dovrebbe riguardare anche le organizzazioni senza finalità di lucro. “Le associazioni di pazienti optano raramente per una scelta di trasparenza e – quando lo fanno – non è per scelta spontanea”. Gestione della crisi L e agenzie di pubbliche relazioni giocano un ruolo cruciale anche laddove si tratti di mantenere il cliente – vale a dire l’azienda farmaceutica – lontano dal clamore dei media. Molti medici di medicina generale vengono a conoscenza dell’effetto collaterale di un farmaco attraverso i principali mezzi di comunicazione. Quando scoppia un’emergenza, le società tentano di usare la “terza parte” per difendersi. “Un aspetto chiave nella gestione di una crisi è sfruttare la terza parte a proprio van- bollettino d’informazione sui farmaci 169 ANNO X N. 3-4 2003 taggio” ha spiegato Maxine Taylor, direttore della sezione Corporate Affairs della Lilly UK. Le terze parti, afferma, dovrebbero essere chiamate in causa “per condividere la presenza sotto i riflettori o per distogliere l’attenzione dei media”3. Keirnan della Edelman è d’accordo: “Se fosse l’industria farmaceutica a rispondere direttamente ai giornalisti o ai media avrebbe poca credibilità, perché il pubblico poi direbbe ‘Beh, l’industria non può vedere le cose in questo modo, non è vero?’”. Per i medici di medicina generale come Peter Mansfield, le sofisticate campagne pubblicitarie dell’industria farmaceutica creano una crisi di fiducia: “Se non sai esattamente cosa sta accadendo hai fiducia in tutto quello che ti viene detto, a danno dei pazienti ai quali vengono poi prescritti farmaci dagli effetti collaterali pericolosi. Anche quando siamo consapevoli di quello che accade, non sappiamo più a chi credere. Ciò può portare i medici ad essere troppo scettici e persino a non prescrivere eccellenti nuovi farmaci. In qualsiasi modo vadano le cose, non si tratta di una situazione positiva né per i pazienti né per i medici di medicina generale”, conclude. Azione di equilibrio S e sono i legami invisibili tra le aziende farmaceutiche e le agenzie di pubbliche relazioni ciò che alimenta la “tecnica della terza parte”, cosa fare per permettere a medici e cittadini di prendere decisioni informate? Come bilanciare lo squilibrio attualmente esistente tra i crescenti investimenti in marketing e pubbliche relazioni da parte delle aziende farmaceutiche da un lato, e medici, consumatori, cittadini e giornalisti dall’altro? Gran parte del successo della “tecnica della terza parte” è dovuto alla mancanza di regole di comportamento in tema di trasparenza sui finanziamenti percepiti alle quali dovrebbero attenersi gli opinion leader medici, i gruppi non-profit o i giornalisti che hanno legami finanziari con le aziende farmaceutiche. Nel migliore dei casi, la maggior parte dei giornalisti non ha un’idea chiara di come funzioni il business delle pubbliche relazioni e, non chiedendo alle persone che intervistano di rivelare fonti di finanziamento o potenziali conflitti di interesse, non fanno che rafforzare l’efficacia della “tecnica della terza parte”. Che sui principali mezzi di comunicazione non si parli di business di pubbliche relazioni è addirittura più dannoso. Al di fuori della stampa commerciale specializzata in relazioni pubbliche, non siamo a conoscenza di alcun giornalista di rilievo di lingua inglese che si occupi dell’argomento. I codici etici di autoregolamentazione dell’industria delle pubbliche relazioni non offrono maggiori speranze. Al massimo, si richiede che venga rivelato chi sono i clienti: ad essi viene chiesto preliminarmente se vogliono rivelare questa informazione. Persino in questo caso, ci sono pochi motivi per essere ottimisti. La più recente riedizione del codice etico della Public Relations Society of America – e in America viene venduta la metà dei farmaci prodotti su scala mondiale – ha abbandonato qualsiasi obbligo. Di fronte all’esiguo numero di giornalisti ed ai budget ristretti, fare affidamento unicamente sul “buon giornalismo” come antidoto all’informazione condizionata non è sufficiente. Un’approfondita conoscenza delle strategie utilizzate dal business delle pubbliche relazioni è essenziale, ma si tratta, al massimo, di una delle possibili difese di una strategia che non può che essere più articolata. Peter Mansfield sostiene che il tallone Ministero della Salute di Achille del settore delle pubbliche relazioni in medicina sia il percorso del denaro segnato dai contribuenti e dalle compagnie assicurative: “Li ricompensiamo con l’aumento delle vendite dei farmaci più costosi noncuranti dell’impatto che questi realmente hanno sull’assistenza sanitaria. Pertanto non dobbiamo poi stupirci se essi fanno ciò che vogliono per perseguire gli obiettivi per cui li stiamo pagando”. Conflitti di interesse: nessuno. Bibliografia 1. Cook H. Practical guide to medical education. Pharmaceutical Marketing 2001; 6:15. 2. Grey H, ed. Practical guide to medical publishing. Pharmaceutical Marketing 2000: 4. 3. Taylor M. A look at what to do in a crisis apart from panic. Pharmaceutical Marketing 2002. www.pmlive.com/on_the_job/prac_gu ides.cfm?showArticle=1&ArticleID=884 (ultimo accesso 29 aprile 2003). ◗ Rapporti tra industria farmaceutica e associazioni di malati HERXHEIMER A. RELATIONSHIPS BETWEEN THE PHARMACEUTICAL INDUSTRY AND PATIENTS’ ORGANISATIONS. BMJ 2003; 326: 1208-10. Tra aziende farmaceutiche ed associazioni di malati si è sviluppato nel corso degli ultimi anni un crescente rapporto di collaborazione, ma si tratta di una relazione asimmetrica – e questo pone seri interrogativi. Punti chiave • Le aziende farmaceutiche ritengono che se i malati fossero consapevoli dei benefici che potrebbero trarre dai loro farmaci, le vendite aumenterebbero. • Pubblicizzare i farmaci venduti dietro prescrizione medica ai pazienti non è consentito, per cui le aziende cercano di informarli in altro modo. 170 • Le organizzazioni dei malati possono vedere con favore il sostegno finanziario e di altro tipo proveniente dalle aziende. • I rapporti non devono essere eccessivamente ravvicinati e devono essere trasparenti, senza influenzare i programmi e le priorità delle organizzazioni dei malati. DALLA LETTERATURA Le organizzazioni dei malati chiedono cure adeguate per le persone di cui si fanno portavoce, solitamente affette da specifiche patologie o con problemi di salute – sebbene spesso non ne abbiano di fatto il mandato. Le associazioni e gli individui che queste cercano di rappresentare vogliono essere ascoltati e, per quanto possibile, trattati come partner alla pari dalle professioni sanitarie e dalle istituzioni del servizio sanitario. Tabella I – Alcune delle più importanti associazioni di malati nel Regno Unito. G eneralmente si considera augurabile che differenti gruppi di soggetti interessati ad una data attività lavorino insieme in modo costruttivo. Questa è la ragione che ha avvicinato le aziende farmaceutiche e le organizzazioni dei malati con la finalità di valutare possibili collaborazioni in aree di interessi condivisi. Nel corso del tempo, tra questi due partner molto diversi tra loro (di norma uno è ricco, l’altro povero) si sono sviluppate varie forme di collaborazione, che hanno sollevato seri interrogativi1,2. Questo articolo considera la posizione, soprattutto nel Regno Unito, di centinaia di gruppi di self-help e di organizzazioni di supporto3. La tabella I ne elenca alcuni tra i più noti. Problemi analoghi esistono in altri paesi dove le organizzazioni dei malati hanno assunto notevole rilevanza, in modo particolare negli Stati Uniti. Bisogni e aspettative C ome per le altre imprese commerciali, il principale obiettivo delle aziende farmaceutiche è di produrre profitto, e questo orienta le loro priorità. Le industrie vogliono vendere i loro prodotti in grande quantità ed espandere il mercato, in una prospettiva a lungo termine. Con i nuovi farmaci questo processo deve realizzarsi rapidamente, perché la ricerca è onerosa e gli investimenti devono essere recuperati in fretta, prima della commercializzazione di prodotti concorrenti. Associazione Membro di LMCA* Age Concern Alzheimer’s Society Arthritis Care Blood Pressure Association Breast Cancer Care British Colostomy Association British Heart Foundation British Lung Foundation Cancer BACUP Cancerlink Changing Faces Coeliac Society Cystic Fibrosis Trust Diabetes UK Different Strokes Down’s Syndrome Association Haemophilia Society Incontact Insulin Dependent Diabetes Trust Macmillan Cancer Relief Lymphoedema Support Network Migraine Trust MIND Motor Neurone Disease Association MS Society National Asthma Campaign National Childbirth Trust National Eczema Society National Kidney Federation National Osteoporosis Society National Endometriosis Society National Schizophrenia Fellowship National Society for Epilepsy Neuropathy Trust Ovacome Parkinson’s Disease Society Patients Association Psoriasis Association Scope Sickle Cell Society Sjogren’s Syndrome Association Stroke Association *LMCA = Long Term medical Conditions Alliance. Ministero della Salute SI SI Possibile interesse per prodotti farmaceutici SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI SI bollettino d’informazione sui farmaci 171 ANNO X N. 3-4 2003 Il box 1 elenca le principali necessità delle organizzazioni dei malati e delle aziende farmaceutiche. La discussione e le trattative tra le due parti devono ovviamente considerare sia i costi, i potenziali svantaggi e i danni, sia i potenziali benefici che qualunque accordo potrebbe procurare a ciascuna di esse. Linee guida L a Long Term Medical Condition Alliance, un organismo che raccoglie più di 100 componenti rappresentative di numerose e differenti patologie mediche, propone alle organizzazioni di volontariato nel campo della salute delle linee guida sulle relazioni con l’industria farmaceutica (sintetizzate nel box 2)4. Esse evidenziano come “sia importante mantenere rapporti di cooperazione con le aziende che sviluppano, producono e commercializzano farmaci ed altri trattamenti, così come incoraggiare la comunicazione tra i pa- zienti, di cui si rappresentano gli interessi, e le aziende, le cui decisioni si ripercuoteranno sul trattamento delle loro malattie”. Queste linee guida, che dovranno essere ulteriormente sviluppate e migliorate, chiariscono la posizione dell’Alliance rispetto alle organizzazioni che ne fanno parte, all’industria ed al pubblico. Le singole organizzazioni dei malati possono adottarle ed adattarle alle proprie necessità. Per rendere efficaci queste linee guida, tuttavia, sarebbe necessario esercitare i dovuti controlli e applicare sanzioni, ponendo il rispetto delle stesse come condizione per far parte dell’Alliance, ma questa è un’utopia. Per esempio, un’importante esponente dell’Alliance afferma: “i prodotti che appaiono nel sito Internet del Diabetes UK non significa che siano necessariamente validati dal Diabetes UK”, aggiungendo che “sarebbe giusto far pagare un’azienda con finalità commerciali che desiderasse utilizzare il logo o il marchio dell’Alliance o linkare il proprio sito all’associazione”. Box 1. I bisogni di breve (B), medio (M) e lungo termine (L) Un’associazione di malati necessita di aiuto attraverso: (B) Piani di finanziamento: esame delle persone e dei servizi resi disponibili. (B) (M) Informazioni su trattamenti e diagnosi; produzione di materiali informativi. (M) Pressioni politiche per ottenere risorse finalizzate all’aiuto di pazienti con specifici problemi e patologie. (M) (L) Formazione e addestramento per raccolta fondi, pubblicità, crescita/espansione. (L) Finanziamenti. Un’industria farmaceutica vorrebbe che i pazienti la sostenessero attraverso: (B) (M) espansione del mercato: • uso dei farmaci da parte di tutti coloro che possono beneficiarne; • diagnosi più accurate e precoci della patologia per cui il farmaco è indicato. (B) (M) Utilizzo dei suoi prodotti piuttosto che di quelli concorrenti. (M) Pressioni contro politiche governative restrittive e normative in campo sanitario. (L) Immagine di impresa dedita alla cura e socialmente responsabile. Ministero della Salute Credibilità U n’associazione di self-help o di malati rischia la propria credibilità se la sua immagine viene associata ad una o più aziende. La sua indipendenza e il buon nome sono meglio tutelati se sono note le fonti di finanziamento, gli scopi per cui le sovvenzioni sono utilizzate e qualsiasi conflitto di interesse. Al momento molte organizzazioni di volontariato in campo sanitario forniscono assai poche informazioni in merito alla loro struttura e alle fonti di finanziamento, ed alcune sono riluttanti ad affrontare l’argomento. Le istituzioni di beneficenza che chiedono fondi alle singole persone possono temere che la conoscenza di ingenti contributi da parte dell’industria possa ridurre le donazioni da parte dei singoli. Le linee guida della Long Term Medical Conditions Alliance “sono favorevoli all’utilizzo di consorzi di finanziamento formati da due o più aziende dello stesso comparto industriale”, ma non prendono in considerazione se il finanziamento debba essere limitato ad una piccola quota del budget totale di un’associazione. Se l’industria, direttamente o indirettamente, finanzia una larga parte del budget, diciamo più del 20%, le organizzazioni corrono il rischio di diventarne dipendenti e ciò quantomeno influenzerà le loro politiche. Un caso emblematico è rappresentato dalla Lymphoma Association, una “charity” in qualche modo legata alla Roche. Il portale www.lymphoma.org.uk conduce a due siti: /healthcare.htm per i professionisti e /support per il pubblico. Il primo, protetto da password, “è stato realizzato grazie ad un grant educazionale di Roche Products” e contiene un link ad un sito della Roche. Il secondo, liberamente accessibile, non menziona mai la Roche. Un’unica agenzia gestisce entrambi i siti. Ci sono stati esempi di aziende o di 172 DALLA LETTERATURA Box 2. Linee guida di comportamento con l’industria farmaceutica • La stessa LMCA accoglie finanziamenti da parte di industrie o aziende farmaceutiche quando: Rapporti con l’industria farmaceutica • Le relazioni tra le organizzazioni di volontariato in campo sanitario (VHO, dall’inglese “Voluntary Health Organisation”) e le aziende farmaceutiche possono e devono essere basate su rapporti di parità. Entrambe le parti devono superare il concetto secondo cui le VHO sono meri ricettori passivi di denaro ed avviarsi verso una collaborazione finalizzata alla creazione di politiche di sviluppo ed attività condivise, nell’interesse dei pazienti che le VHO rappresentano e nella salvaguardia della loro indipendenza. - ritiene che ciò costituisca un beneficio per la LMCA e per alcune delle organizzazioni che ad essa fanno capo; - nella persona del direttore, vi sia la certezza che tali finanziamenti non si risolvono in pubblicità negativa per la stessa LMCA; in caso di dubbio, viene chiesto preliminarmente il parere alla Commissione di esperti interna all’alleanza; - il promotore del finanziamento non manifesti alcuna intenzione, implicita od esplicita, di influenzare le politiche o le attività della LMCA. • Ciascuna parte dovrebbe ricordare che le collaborazioni risultano proficue e di successo quando vi sia un rendiconto positivo per entrambe; ed inoltre ognuna dovrebbe attuare ogni sforzo teso a comprendere cultura interna ed eventuali pressioni esterne dell’altra. • Il buon nome di una “charity” è il suo bene più prezioso. Sia la normativa ad essa relativa sia le migliori consuetudini vietano lo sfruttamento del nome di una “charity” per scopi di altra natura. Il nome della LMCA non può né deve essere utilizzato per fornire consenso o sostegno alle attività o ai prodotti dei finanziatori senza che prima vi sia stata l’approvazione scritta del direttore. • Le VHO dovrebbero tenere in considerazione il fatto che le industrie farmaceutiche necessitano di profitti, così come hanno proprie strategie di marketing, alle quali, comunque, nessuna VHO dovrebbe mai sentirsi obbligata a conformarsi. I finanziamenti dovrebbero venire rifiutati nel caso in cui rischino di compromettere l’indipendenza della VHO. Sostegno ai prodotti • La LMCA non appoggia singole e specifiche terapie in quanto le persone affette da patologie di lunga durata hanno bisogno della più ampia gamma di opzioni terapeutiche, per integrarle a seconda delle loro necessità. Queste possono comprendere trattamenti farmacologici, terapie complementari, modifiche allo stile di vita e prodotti non-terapeutici. Finanziamenti • The Long Term Medical Conditions Alliance (LMCA) incoraggia il sostegno tramite finanziamenti disponibili, nella misura in cui l’indipendenza della VHO non risulti compromessa in alcun modo e purché i rapporti siano completamente trasparenti. Il ricorso a contratti per gli accordi tra le parti favorisce il rispetto e la trasparenza. • Sono incoraggiati i rapporti tra pazienti ed operatori della salute e vengono stimolate discussioni in merito a tutte le opzioni terapeutiche disponibili, per promuovere scelte informate da parte del paziente. • La LMCA disapprova quegli accordi che risultano favorire, dal punto di vista competitivo, un’azienda rispetto ad un’altra e, dove possibile, favorisce il ricorso a consorzi finanziari composti da due o più aziende della stessa industria. • Se esistono più versioni di uno stesso farmaco, nelle comunicazioni delle VHO ai pazienti, si fa riferimento sia al principio attivo sia ai nomi commerciali. Le pubblicazioni devono essere imparziali. • Le iniziative di ricerca congiunte devono assicurare che l’indipendenza delle parti non venga involontariamente meno e che le direttive dell’Association of Medical Research Charity siano rispettate. • La LMCA appoggia la corretta concessione delle licenze per i farmaci e ritiene che la vendita al pubblico di prodotti terapeutici non farmacologici richieda analoghe regole e standard. Ministero della Salute bollettino d’informazione sui farmaci 173 ANNO X N. 3-4 2003 loro uffici relazioni con il pubblico che hanno creato nuovi “gruppi di pazienti”. Nel 1999 la Biogen ha fondato Action for Access nel tentativo di indurre il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) a garantire la rimborsabilità dell’interferone beta per la sclerosi multipla5. La Medicine Control Agency ha bloccato questa iniziativa considerandola una promozione illegale. Negli Stati Uniti hanno avuto successo iniziative più velate. La National Alliance for the Mentally Ill, un’associazione di malati con disagi mentali e relative famiglie, tra il 1996 e il 1999 ha ricevuto quasi 12 milioni di dollari da 18 aziende farmaceutiche in primo luogo da Eli Lilly6. L’organizzazione promuove l’espansione sul territorio nazionale del PACT (Program of assertive community treatment) che, in base a una sentenza del tribunale, prevede la consegna a domicilio di farmaci psichiatrici. Pressioni politiche D ue importanti federazioni internazionali, IAPO (International Alliance of Patients’ Organisations) e GAMIAN Europe (Global Alliance of Mental Illness Advocacy), sono legate all’industria farmaceutica in modo assai palese. IAPO, registrata come fondazione nei Paesi Bassi, è stata fondata ed è finanziata da Pharmaceutical Partners for Better Healthcare, un consorzio di circa 30 tra le più importanti aziende; GAMIAN è stata fondata dalla Bristol-Myers Squibb (Gamian Europe se ne è poi separata). La Commissione Europea preferisce avere come interlocutori queste federazioni piuttosto che gruppi di malati e consumatori, ovviamente perché, a differenza della maggior parte delle organizzazioni di volontariato in campo sanitario, queste rivendicano di rappresentare pazienti di molti paesi. Nessuno dei due organismi rende pubbliche le proprie fonti di finanziamento. Con altre organizzazioni legate all’industria, queste federazioni hanno premuto con successo sulla Commissione affinché proponesse al Parlamento Europeo di concedere all’industria la possibilità di fornire direttamente ai consumatori “informazioni” sui medicinali che necessitano di prescrizione. All’inizio del 2000 il direttore dell’Association of the British Pharmaceutical Industry (ABPI) aveva, in privato, definito la campagna dell’associazione “accuratamente ben congegnata”. Il piano di battaglia della ABPI è quello di “impiegare gruppi di supporto ai pazienti, professionisti sanitari ed opinion leader sensibili al tema […], in grado di spostare il dibattito sul problema del paziente informato. Questo avrà l’effetto di indebolire le difese politiche, ideologiche e professionali […] Quindi l’ABPI continuerà a battersi con determinazione su specifici problemi regolatori sia a Whitehall sia a Bruxelles”. La battaglia è ancora in corso. Conclusioni L a maggior parte delle organizzazioni dei malati è povera ed ha pochi finanziamenti indipendenti. Sovvenzioni da parte dell’industria farmaceutica e progetti congiunti con la stessa possono aiutarle a crescere e a diventare più influenti, ma anche a distorcere e snaturare i loro programmi. Le relazioni con l’industria devono quindi essere totalmente dichiarate e trasparenti, senza falsi obiettivi. La società nel complesso dovrebbe fare di più affinché si dia ascolto alle voci dei malati. Molte recenti iniziative nel NHS mostrano che questo Ministero della Salute avviene già, anche se dovrebbe essere previsto qualche modesto finanziamento pubblico per le associazioni dei malati. Tutto ciò sembra almeno importante quanto il finanziamento pubblico dei partiti politici e dovrebbe costare molto meno. Nel frattempo le agenzie regolatorie devono distinguere tra i gruppi di malati indipendenti e quelli lautamente finanziati, tenendo ben presente che molti gruppi sono ben poca cosa e non possono essere rappresentativi. Bibliografia 1. Hogan B. Pulling strings from afar: drug industry finances non-profit groups that claim to speak for older Americans. AARP Bulletin 2003 February. www.aarp.org/bulletin/departments/ 2003/consumer/0205_consumer_1.htm l (accesso verificato in maggio 2003). 2. Consumers’ Association. Who’s injecting the cash? Money from drugs companies could do patient groups— and patients—more harm than good. Which? 2003 April: 24-5. 3. Help Guide to national self help groups. 9th ed. Blackpool: G-text, 2002. 4. LMCA Board of Trustees. Working with the pharmaceutical industry. Guidelines for voluntary health organisations on developing a policy. June 2000. www.lmca.org.uk/docs/pharmgds.htm (accesso verificato in maggio 2003). 5. Boseley S. Drug firm asks public to insist NHS buys its product. Guardian 1999 Sept 29. 6. Silverstein K. Prozac.org. Mother Jones 1999 Nov-Dec. www.motherjones.com/mother_jones/ ND99/outfront.html#name (accesso verificato in maggio 2003). 7. Jeffries M. The mark of Zorro. Pharmaceutical Marketing 2000 May: 4-5. Conflitti di interesse: per più di 40 anni, AH si è sforzato di aiutare l’industria farmaceutica, con un singolare modesto successo; ha lavorato per la Consumers’ Association, Consumers International, Health Action International e International Society of Drug Bulletins. AH è co-fondatore di DIPEx (www.dipex.org) e membro del Cochrane Consumer Network. 174 SCHEDA Scheda di segnalazione di sospetta reazione avversa (da compilarsi a cura del medico o farmacista) N.B. È obbligatoria soltanto la compilazione dei seguenti campi: 2, 4, 7, 8, 12, 22, 24, 25 1 INIZIALI DEL PAZIENTE 2 3 7 DESCRIZIONE DELLE REAZIONI ED EVENTUALE DIAGNOSI* ETÀ 4 SESSO DATA D’INSORGENZA DELLA REAZIONE 5 6 ORIGINE ETNICA 8 CODICE MINISTERO SALUTE: GRAVITÀ DELLA REAZIONE MORTE HA PROVOCATO O HA PROLUNGATO L'OSPEDALIZZAZIONE HA PROVOCATO INVALIDITÀ GRAVE O PERMANENTE HA MESSO IN PERICOLO LA VITA DEL PAZIENTE 10 ESITO: RISOLTA * NOTA: SE IL SEGNALATORE È UN FARMACISTA, RIPORTI SOLTANTO LA DESCRIZIONE DELLA REAZIONE AVVERSA, SE È UN MEDICO ANCHE L’EVENTUALE DIAGNOSI RISOLTA CON POSTUMI 9 ESAMI STRUMENTALI E/O DI LABORATORIO RILEVANTI PERSISTENTE MORTE: 11 DOVUTA ALLA REAZIONE AVVERSA SPECIFICARE SE LA REAZIONE È PREVISTA NEL FOGLIO ILLUSTRATIVO SI NO IL FARMACO POTREBBE AVER CONTRIBUITO NON DOVUTA AL FARMACO COMMENTI SULLA RELAZIONE TRA FARMACO E REAZIONE SCONOSCIUTO INFORMAZIONI SUL FARMACO 12 13 FARMACO (I) SOSPETTO (I) LA REAZIONE È MIGLIORATA DOPO LA SOSPENSIONE DEL FARMACO? NOME SPECIALITÀ MEDICINALE (*) A) SI NO B) C) * NEL CASO DI PRODOTTI BIOLOGICI INDICARE IL NUMERO DEL LOTTO 14 15 DOSAGGIO IN VIA DI SOMMINISTRAZIONE GIORNALIERO (I) 16 DURATA DELLA TERAPIA DAL A) A) A) B) B) B) C) C) C) 17 AL SI INDICAZIONI PER CUI IL FARMACO È STATO USATO 19 FARMACO (I) CONCOMITANTE (I) E DATA (E) DI SOMMINISTRAZIONE 20 CONDIZIONI CONCOMITANTI E PREDISPONENTI NO 21 NO DIR SANITARIA MINISTERO DELLA SALUTE INFORMAZIONI SUL SEGNALATORE FONTE: ✂ MEDICO DI BASE SPECIALISTA OSPEDALIERO FARMACISTA ALTRO 23 NORME ED INDIRIZZO DEL MEDICO O FARMACISTA - NUMERO ISCRIZIONE ORDINE PROFESSIONALE - PROVINCIA 24 DATA DI COMPILAZIONE 25 26 CODICE USL 27 Ministero della Salute LA SCHEDA È STATA INVIATA ALLA: AZIENDA PROD. 22 RICOMPARSA DEI SINTOMI SI 18 RIPRESA DEL FARMACO FIRMA FIRMA RESPONSABILE USL bollettino d’informazione sui farmaci 175 ANNO X N. 3-4 2003 INFORMAZIONI SULLA DITTA FARMACEUTICA NOME E INDIRIZZO FONTE DELLA SEGNALAZIONE STUDIO CLINICO LETTERATURA PERSONALE SANITARIO NUMERO DI REGISTRO TIPO DI RAPPORTO INIZIALE SEGUITO DI ALTRO RAPPORTO DATA IN CUI LA SEGNALAZIONE E' PERVENUTA ALL'IMPRESA DATA DI QUESTO RAPPORTO Note sulla complilazione della scheda di segnalazione • Il campo N. 6 (codice Ministero della Salute) non va compilato dal sanitario che segnala, ma dall’Ufficio competente del Ministero della Salute. • Per ciò che attiene il campo N. 7, la descrizione della reazione deve essere il più ampia possibile e non limitarsi a pochi termini, cioè la descrizione dell’evento avverso dovrebbe, per quanto possibile, non coincidere con la diagnosi. • Il campo N. 8 è stato inserito come obbligatorio in quanto, dato che da alcune segnalazioni originano poi interventi incisivi per la salute pubblica, è di fondamentale importanza conoscere il livello di gravità della reazione stessa. Ovviamente, se la segnalazione si riferisce a reazioni non gravi il segnalatore può scegliere se scrivere non grave o non applicabile, sbarrare l’intero campo, o semplicemente lasciarlo in bianco. • Il campo N. 11 è anch’esso importantissimo, in quanto la menzione o meno della reazione avversa nel foglio illustrativo, e di conseguenza nella scheda tecnica permette al Ministero della Salute di classificare tale reazione come inaspettata o meno. Ciò è particolarmente utile nel caso vada avviata una procedura d’urgenza di variazione degli stampati. Sempre in questo stesso campo è riportata la richiesta di commenti sulla possibile relazione tra l’assunzione del farmaco e l’insorgenza della reazione avversa. In questo caso è opportuno rispondere dopo aver compiuto opportune verifiche (consultazione degli stampati e di testi scientifici, follow-up, esami di laboratorio). • il campo N. 21 serve soprattutto ad evitare le duplicazioni in caso la scheda sia stata spedita a più destinatari (Az. Usl, industria farmaceutica, ecc.). • Il campo N. 27 va firmato dal responsabile del servizio farmacovigilanza della Usl dopo che questi ha controllato la congruità della segnalazione stessa. In caso la segnalazione risultasse mancante di elementi importanti, è auspicabile che il responsabile suddetto si adoperi per acquisirne il più possibile. • Per quanto riguarda il retro della scheda si fa presente che esso va compilato dall’Azienda titolare dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio, e non da chi riporta né dalla Usl. Informiamo i lettori che è stata già approvata la nuova scheda di segnalazione di reazione avversa unificata per farmaci e vaccini e che sarà pubblicata sul BIF non appena entrerà in vigore. Ministero della Salute 176 GLOSSARIO Glossario EER (Experimental Event Rate) Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo randomizzato al trattamento in sperimentazione. rischio di base nei controlli è basso (<10%); se il rischio di base è alto, OR tende a valori costantemente più lontani dall'unità rispetto a RRR. Per varie ragioni, compresa la scarsa comprensione dei clinici, l'uso di OR dovrebbe essere abbandonato, e difatti OR non è più riportata nel glossario di Best Evidence (BMJ) e di ACP Journal Club (Ann Intern Med). CER (Control Event Rate) Numero percentuale di eventi osservato nel gruppo di controllo. IC 95% (Intervallo di confidenza 95%) Il concetto di base è che gli studi (RCTs, metaanalisi) informano su un risultato valido per il campione di pazienti preso in esame, e non per l'intera popolazione; l'intervallo di confidenza al 95% può essere definito (con qualche imprecisione) come il range di valori entro cui è contenuto, con una probabilità del 95%, il valore reale, valido per l'intera popolazione di pazienti. ➤ INDICATORI DI AUMENTO DELLA PROBABILITÀ DI EVENTI FAVOREVOLI ABI (Absolute Benefit Increase) Aumento assoluto del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento sperimentale rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [EER - CER]. NNT (Number Needed to Treat) Numero di pazienti da trattare per ottenere un beneficio terapeutico in un paziente. Corrisponde alla formula: [100/ABI]. ➤ INDICATORI DI RIDUZIONE DEL RISCHIO DI EVENTI SFAVOREVOLI ARR (Absolute Risk Reduction) Riduzione assoluta del rischio di un evento sfavorevole nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto a quelli di controllo. Corrisponde alla formula: [CER - EER]. RBI (Relative Benefit Increase) Aumento relativo del beneficio terapeutico nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. RBI corrisponde alla formula: [EER – CER]/CER. NNT (Number Needed to Treat) Numero di pazienti che devono essere trattati per prevenire un evento. Corrisponde alla formula: [1/ARR], arrotondando per eccesso al numero intero. ➤ INDICATORI DI AUMENTO DEL RISCHIO DI EVENTI SFAVOREVOLI ARI (Absolute Risk Increase) Aumento assoluto del rischio di una reazione avversa nei pazienti che ricevono il trattamento sperimentale rispetto ai controlli. ARI corrisponde alla formula: [EER – CER]. RRR (Relative Risk Reduction) Riduzione relativa del rischio di un evento sfavorevole nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde al rapporto: [CER – EER]/CER. NNH (Number Needed to Harm) Numero di pazienti che devono sottoporsi al trattamento perché si manifesti una reazione avversa. Corrisponde alla formula: [100/ARI] arrotondando per eccesso al numero intero. OR (Odds Ratio) Rapporto fra la probabilità di un evento nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione e la probabilità nei pazienti di controllo. È un altro indice di riduzione relativa del rischio di un evento nei pazienti randomizzati al trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli, e corrisponde alla formula: [EER / 1 - EER] / [CER / 1 - CER] OR è approssimativamente uguale a RRR se il RRI (Relative Risk Increase) Aumento relativo del rischio di una reazione avversa nei pazienti che ricevono il trattamento in sperimentazione rispetto ai controlli. Corrisponde alla formula: [EER – CER ]/CER. Ministero della Salute FARMACOVIGILANZA news, UN NUOVO STRUMENTO NATO NELL’AMBITO DELL’INFORMAZIONE SUI FARMACI, UTILE PER GLI OPERATORI DELLA FARMACOVIGILANZA E SPECIFICO PER GLI AGGIORNAMENTI RELATIVI AI RISCHI LEGATI ALL’UTILIZZO DEI MEDICINALI. 3