L`insediamento nel territorio di Muravera e nelle curadorìas di

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SARRABUS: TORRI,
MARE E TERRITORIO
La difesa costiera
dalle incursioni barbaresche
A cura di
Maria Grazia Mele e Giovanni Serreli
4
La presente pubblicazione è stata realizzata con un contributo
della Regione Autonoma della Sardegna
(L.R. n. 26 del 15/10/1997, art. 13)
Le fotografie alle pp. 110, 115-119 sono di Marco Marci,
quelle alle pp. 111-113 di Luciano Saiu
In copertina
Muravera, Torre dei Dieci Cavalli
Foto di Luciano Saiu
Retro copertina
Muravera, Torre delle Saline
Foto di Marco Marci
© 2007 - Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Storia dell’Europa mediterranea
Tutti i diritti sono riservati
ISBN: 978-88-89978-56-6
Impaginazione e stampa
Grafica del Parteolla
Via dei Pisani, 5 - 09041 Dolianova (CA)
Tel. 070.741234 - Fax 070.745387
e-mail: [email protected]
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INDICE
Prefazione
7
Premessa
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SEBASTIANA NOCCO
11
Il territorio del Sarrabus nella cartografia medioevale e moderna
GIOVANNI SERRELI
47
L’insediamento nel territorio di Muravera e nelle curadorìas
di Colostrai, Sarrabus e Quirra fra Medioevo e prima Età Moderna
MARIA GIUSEPPINA MELONI
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Incursioni barbaresche e riscatto dei captivi
nella Sardegna del Quattrocento
MARIA GRAZIA MELE
89
Mare, uomini e terre di frontiera
JUAN JESÚS BRAVO CARO
Las galeras de Cerdeña a mediados del siglo XVII
121
47
GIOVANNI SERRELI
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Storia dell’Europa mediterranea
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
E NELLE CURADORÌAS DI COLOSTRAI,
SARRABUS E QUIRRA FRA IL MEDIOEVO
E LA PRIMA ETÀ MODERNA
La tematica riguardante le dinamiche del popolamento e della distribuzione
degli insediamenti in Sardegna tra la tarda antichità e la prima età moderna
è stata variamente studiata e discussa, soprattutto negli ultimi trent’anni1. In
ultima analisi emerge una sostanziale difficoltà a tracciare percorsi definiti e
“modelli” di sviluppo nel popolamento delle varie realtà territoriali sarde e
ad individuare quelli che sono stati i momenti decisivi per l’organizzazione
insediativa e la morte o la sopravvivenza di alcuni villaggi.
Da questo punto di vista i territori di Quirra, del Sarrabus e di Colostrai
-in sostanza, la costa sud orientale della Sardegna- offrono notevoli spunti
di riflessione e, seppur nella sporadicità della documentazione, interessanti notizie storiche che ci consentono di tracciare un quadro che, a grandi linee, lascia intravedere l’evoluzione delle realtà insediative tra l’XI e il
XV secolo, nonché i quadri sociali ed economici che le animavano.
Intensamente popolata in età romana, la costa sud orientale della Sardegna era attraversata dall’importante arteria che, dal porto di Tibula,
conduceva a Caralis2; questi territori erano animati da un’intensa attività economica che trovava sbocco nell’importante centro portuale di
Sarcapos, alla foce del Flumendosa. Il nucleo demico di Sarcapos, da
ubicare presso Santa Maria di Villaputzu, era il più importante in que1
2
Fra le ultime pubblicazioni sull’argomento si veda M. MILANESE (a cura di), Vita e
morte dei villaggi rurali tra medioevo ed età moderna, “Quaderni del centro di documentazione dei villaggi abbandonati della Sardegna” n. 2, Firenze, 2006.
Si veda A. MASTINO, P. RUGGERI, La romanizzazione dell’Ogliastra, in Ogliastra.
Identità storica di una provincia, a cura di M.G. Meloni e S. Nocco, Lanusei, 2000,
pp. 151-189; A. MASTINO, Storia della Sardegna antica, Nuoro, 2005, pp. 340-352.
48
GIOVANNI SERRELI
st’area e sopravvisse -almeno nella memoria colletiva delle popolazioni
che abitavano questi luoghi- anche dopo la fine del controllo romano in
Sardegna e fino all’Alto Medioevo, tanto da dare il suo nome non solo
alla subregione geografica ma alla stessa curadorìa di Sarrabus, nel Regno
giudicale di Càlari3.
Poco o nulla sappiamo, comunque, di questi territori e delle genti che
li popolavano fra tarda antichità ed alto medioevo, anche se siamo portati a pensare ad una sostanziale continuità nei modi di insediamento e
nell’utilizzo del territorio conosciuti durante il dominio romano: una
popolazione sparsa in piccolissimi insediamenti prossimi alle attività
produttive con i prodotti dell’agricoltura, dell’allevamento e della pesca
che confluivano nel porto di Sarcapos e, forse, in quello di Quirra, per
entrare nei circuiti commerciali del Mediterraneo, nonostante le sempre
più forti difficoltà per i commerci e la navigazione.
Quando, nella seconda metà dell’XI secolo, la documentazione storica inizia a fare luce sull’Età Medioevale in Sardegna, i territori della
costa sud orientale dell’isola ci appaiono già pienamente inseriti nell’organizzazione del Regno giudicale di Càlari, uno dei quattro stati medioevali nati intorno al X secolo4. Nella sua piena maturità istituzionale,
questo Stato, con capitale Santa Igia, era diviso in sedici circoscrizioni
elettorali e amministrative, dette curadorìas5, anche se dobbiamo ritenere che questo assetto organizzativo si sia realizzato pienamente solo
intorno al XII/XIII secolo. Per semplicità di esposizione e riservandoci
3
4
5
F.C. CASULA, Dizionario Storico Sardo, Sassari, 2002, p. 1603. Il coronimo Sarrabus
deriva con tutta evidenza da Sarcapos, da una radice Sar- (ghiaia di fiume), cfr. A.
MASTINO, Storia della Sardegna cit., p. 351.
Sulla nascita di queste entità statuali del Medioevo sardo si veda F.C. CASULA, La
storia di Sardegna, Sassari-Pisa, 1994, pp. 166 e segg., e fra gli ultimi contributi, C.
ZEDDA - R. PINNA, La nascita dei giudicati. Proposte per lo scioglimento di un enigma storiografico, in “Archivio storico e giuridico sardo di Sassari”, Nuova serie – n.
12 (2007), pp. 27-118, i quali spostano al X-XI la nascita dei Giudicati, come già
propose E. Besta agli inizi del XX secolo.
F.C. CASULA, La storia di Sardegna, cit., pp. 185 e segg. Un quadro generale dell’insediamento umano nei quattro regni medievali sardi si ha in A. TERROSU ASOLE, L’insediamento umano medievale ed i centri abbandonati tra il secolo XIV ed il secolo XVII, Supplemento al fascicolo II dell’Atlante della Sardegna, Roma, 1974; ID., La nascita di abitati
in Sardegna dall’Alto Medioevo ai giorni nostri, Supplemento al fascicolo II dell’Atlante
della Sardegna, Cagliari-Roma, 1979; F.C. CASULA, Giudicati e Curatorìe, in Atlante
della Sardegna, a cura di R. Pracchi e A. Terrosu Asole, Roma, 1980, pp. 96-98.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
49
di analizzare sotto la probabile evoluzione dell’insediamento in questi territori, possiamo comunque affermare che le curadorìas della costa sudorientale, tralasciando quella di Ogliastra6, erano quelle di Quirra, con il
suo omonimo castello, che comprendeva sei paesi, allora detti ville (o
biddas in sardo campidanese), mentre oggi solo tre sono ancora esistenti
(Tertenìa, Perdasdefogu e la frazione di Quirra); quella di Sarrabus, con il
castello di Malvicino, che forse comprendeva dodici ville, quando oggi si
contano solo tre centri (Muravera, Villaputzu e San Vito); quella di Tolostrai
o Colostrai, che comprendeva otto ville; invece oggi si annoverano la frazione di San Priamo e i centri facenti capo al Comune di Castiadas (Castiadas, Annunziata, Camisa, Olia Speciosa, Masone Pardu, San Pietro).
Ma chissà quali erano gli insediamenti in questi territori nei primi
decenni dopo il Mille? Qualche notizia la ricaviamo da due documenti
risalenti alla seconda metà dell’XI secolo. In una donazione del re di
Càlari Orzocco-Torchitorio I (1058-1081) nel 1066/1074, vengono concesse all’Arcivescovado alcune ville -tra le quali Santa Ilia, Quartu Iossu,
Sancta Maria de Paradisu- dove risiedono sus liberus de paniliu; fra
queste vi era la Villa de Archiepiscopo de Tolostrai7. Questa attestazione
ci permette di sapere che esisteva un villaggio detto de Archiepiscopo
nella curadorìa di Tolostrai o Colostrai e che questo era abitato da liberus
de paniliu, uomini semiliberi che erano tenuti ad alcune prestazioni o
corvées a favore del Rennu (dello Stato) o, in questo caso, dell’arcivescovo al quale erano stati concessi; pare evidente che il toponimo richiama un non meglio precisato legame con l’arcivescovo che forse la fondò
o, comunque, vi deteneva già qualche diritto. Nello stesso documento
viene citato anche il villaggio di Barau de Murakessus, dai più ubicato
nella curadorìa di Sulcis, ma che potrebbe pure essere avvicinato a
Muravera, centro attestata con certezza solo a partire dal 1316.
6
7
Sulla curadorìa di Ogliastra, nella documentazione tardo medievale spesso detta
anche Judicatus, sarebbe necessaria qualche ulteriore riflessione che potrebbe aiutarci a comprendere le dinamiche della nascita degli stati medievali sardi; questo
territorio è stata studiato negli Atti del Convegno “Ogliastra. Identità storica di una
Provincia”, pubblicati nel 2001 a cura di M.G. MELONI e S. NOCCO.
Il documento è stato pubblicato da E. BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi
secoli, Nuoro, 2003, vol. I, pp. 43-50. Sulla cronologia dei primi sovrani calaritani,
oltre a F.C. CASULA, La storia di Sardegna cit., p. 198, si veda anche C. ZEDDA – R.
PINNA, La nascita dei giudicati cit., pp. 76-77.
50
GIOVANNI SERRELI
Comunque sia, nel 1066 era già esistente una curadorìa, quella di
Colostrai, con il villaggio de Archiepiscopo, ubicato verosimilmente dietro lo stagno di Colostrai, attualmente in agro di Muravera. Non doveva
essere l’unico insediamento perché nella famosa carta calaritana in caratteri greci del 10898, con la quale il re di Càlari Costantino-Salusio II
(1081-1098) confermava le ampie donazioni fatte alla chiesa di San
Saturno dal padre Orzocco-Torchitorio, veniva donata, fra gli altri possedimenti, «partzones mias ki partzo cun Tzergis de Gunale in Platages
e in Curbas»; riteniamo che Platages sia da identificare con la villa Platais
de Castiadas, altrimenti attestata solo nel XIV secolo e ubicata da Angela Terrosu Asole in località Giba Cresia poco sotto Capo Ferrato9. Se vi
erano possedimenti del re o dello Stato, vi doveva pur essere chi lavorava queste terre, forse dei semiliberi obbligati ad alcune giornate di lavoro, e quindi un qualche piccolo insediamento.
Da una prima analisi di queste due attestazioni risalenti all’XI secolo, possiamo già dedurre che nella costa sud orientale del Regno di
Càlari, esistevano sicuramente almeno due villaggi, legati alla corte e
ubicati in prossimità della costa: Villa Archiepiscobu, presso lo Stagno
di Colostrai, e Platages (Platais), vicino alle Saline dell’attuale Piscina Rei; erano, cioè, villaggi prossimi ad aree che si prestavano allo
sfruttamento produttivo costiero. Perciò dobbiamo pensare che, al contrario di quanto va ormai stancamente ripetendo troppa letteratura a
proposito degli abbandoni delle zone costiere, le coste erano ancora
popolate e disseminate di piccoli insediamenti con abitanti liberi, che
vivevano di agricoltura, pastorizia o pesca, semiliberi, come i liberus
de paniliu che dovevano riservare parte delle loro giornate lavorative
al re o ai proprietari terrieri, e allo stato servile.
Nella costa sud-orientale del Regno di Càlari erano vasti i possedimenti appartenenti al Rennu, allo Stato, tant’è vero che nel 1104 il reggente Torbeno de Lacon-Gunale donò all’Opera di Santa Maria di Pisa
quattro donnicalìas «quarum una est in Ogliastro, altera est in Tolostra,
et tertia in Treche, et quarta in Tamari», con tutte le loro pertinenze di
8
9
Il documento, conservato negli Archivi Dipartimentali delle Bocche del Rodano a Marsiglia, è stato pubblicato da E. BLASCO F ERRER, Crestomazia sarda cit.,
vol. I, pp. 51-62.
Cfr. A. TERROSU ASOLE, L’insediamento umano medievale cit., p. 22.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
51
servi, serve, animali e vigne10. Allo stato attuale delle conoscenze, è
impossibile precisare l’ubicazione di questi quattro benefici; certamente
due donnicalìas erano collocate nelle curadorìas di Ogliastra e Colostrai,
mentre gli altri due toponimi sono altrimenti ignoti11.
Un altro documento del 1114-1120 è probabilmente riferito ai nostri
territori: si tratta di un’ampia donazione del re Mariano-Torchitorio II
alla chiesa di San Saturno di Civita (Càlari); i confini dei possedimenti
donati passavano per «su pizzariu de Murabera» e per «jenna de
Listincu»12. Se fossero riferiti alla nostra Muravera e alla Villa Lustincho,
ubicata presso i ruderi della chiesa di Sant’Elena sotto il Castello di
Quirra, sarebbero le prime attestazioni di questi due villaggi, altrimenti
documentati solo dal 1316 nelle curadorìas di Sarrabus e Quirra.
Un documento del 1120 cita, invece, per la prima volta Villaputzu: si
tratta della permuta con cui il re di Càlari Mariano-Torchitorio II -in
cambio di alcune domus donate precedentemente al Capitolo della Chiesa
di San Lorenzo di Genova- donava altri possedimenti, tra cui la domus
di «Sancta Victoria de Villa Pupia cum servos et ancillas et cum
mansiones et saltus et semitas et omnia cantu bi pertinet»13.
Un’altra villa doveva probabilmente sorgere nei pressi del santuario
di San Priamo martire, edificio costruito verosimilmente intorno al XIII
secolo, sopra un santuario preistorico e punico dedicato al culto delle
acque e tuttora inglobato nell’edificio14. Si trattava, con tutta probabili-
10
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12
13
14
Per questa donazione, pubblicata da P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, voll. X XII della coll. Historiae Patriae Monumenta, Torino, 1861-1868, t. I, sec. XII, doc. II
p. 178, si veda F. ARTIZZU, La Sardegna pisana e genovese, Sassari, 1985, pp. 41-43 e
B. FADDA, Le pergamene relative alla Sardegna nel Diplomatico della Primaziale
dell’Archivio di Stato di Pisa, in “Archivio Storico Sardo” XLI (2001), pp. 25-26.
In realtà un Monte Tamara esiste nel territorio di Nuxis, ma si tratta del fitonimo
tamari = uva nera rampicante, forse un tempo diffuso in tutta l’isola.
Si tratta di una delle cosiddette Carte Volgari Cagliaritane, conservate nell’Archivio
Arcivescovile di Cagliari; venne pubblicata da A. SOLMI, Le carte volgari dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari. Testi campidanesi dei secc. XI-XIII, Firenze, 1905,
doc. II, p. 15.
P. TOLA, Codex cit., t. I, sec. XII, doc. XXIX, p. 201.
Sul santuario di San Priamo si vedano R. CORONEO, Architettura romanica dalla
metà del mille al primo ‘300, Nuoro, 1993, p. 221; M. DADEA ET ALII, Santuario
diocesano di San Priamo Martire, Cagliari, 2000; O. UTZERI, Santu Pilimu de is
dolus, Cagliari, 2003.
52
GIOVANNI SERRELI
tà, di Villa Major, attestata dal 1316 e ubicata tra il santuario e lo stagno di
Colostrai15. Sempre dal registro fiscale pisano del 1316 apprendiamo dell’esistenza di Plassas Dabis «quod olim fuit ville et nunc est orrina vocatum
Plassas Dabis», una terra aratoria che in passato era stata un villaggio;
evidentemente questo insediamento, ubicato lungo il rio Piccocca a sudovest di San Priamo, era stato vitale in epoca giudicale e risulta deserto nel
131616. Il suo toponimo è chiaramente riferito all’allevamento delle api,
ulteriore fonte di alimentazione per questi villaggi, a testimonianza della
varietà delle attività produttive nel medioevo giudicale.
Ma vi erano di certo anche altri insediamenti che alcuni documenti
del principio del XIII secolo ci fanno indirettamente conoscere: fra i
testimoni di una donazione al vescovo di Suelli (autorizzata dal re
Barisone-Torchitorio IV (1214-1218) e da sua moglie Benedetta di LaconMassa), datata venerdì 6 novembre 1215, vengono citati «Comida
Anastasi, preidi de Sancta Aleni de Tolostrai et Jorgi de Calagonis, preidi
de Santu Arcangelu»17 (da identificare con la Villa Archiepiscobu): si
trattava del prete della villa di Sancta Aleni nella curadorìa di Tolostrai
-successivamente detta anche Villa Maioris e ubicata in località Su Reu,
attualmente in agro di Maracalagonis, dove ancora sono attestati i ruderi
della chiesa intitolata a Sant’Elena- e del prete della chiesa di Sant’Arcangelo, nella già ricordata Villa Archiepiscopi18; evidentemente questi
personaggi si trovavano congregati nella chiesa di San Saturno per la
festa del Santo che ancor oggi si celebra il 30 ottobre.
In un documento dello stesso tenore del giorno successivo, sabato 7
novembre 1215, vengono citati ancora altri importanti personaggi che,
15
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17
18
Sull’ubicazione della villa, oltre alla documentazione contenuta nelle buste relative
al feudo di Quirra nell’Archivio di Stato di Cagliari (A.S.C.), ci soccorre anche il
toponimo riportato nel “Foglio d’Unione del Comune di Muravera”, del Catasto De
Candia, datato 1850.
Cfr. F. ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari agli inizi del XIV secolo, in
“Archivio Storico Sardo” XXV (1958), fasc. 3-4, p. 34. Il riferimento per l’ubicazione
di questo insediamento è il toponimo Pranu is Abis nella tavoletta dell’IGM San
Priamo, F.° 227 III S.O. e quello riportato nel “Foglio d’Unione del Comune di
Muravera” del Catasto De Candia (1850), sa Conca de is Abis.
Ancora una pergamena conservata nell’Archivio Arcivescovile di Cagliari, pubblicata da A. SOLMI, Le carte volgari cit., doc. XIII, p. 30.
Vedi A. TERROSU ASOLE, L’insediamento umano medievale cit., p. 22.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
53
indirettamente, ci attestano o confermano l’esistenza di altri villaggi:
«donnu Mariani de Quartu, preidi de billa de Pubuççi … donnu Turbini
de Lacon, curadori de Colostrai … Bera Orrunkina, filia de Mariani
Orrunkina, serbu suu de sa billa de Kirra»19. Da questo documento del
1215, abbiamo la conferma dell’esistenza di un villaggio detto billa de
Pubuççi, che potrebbe essere identificato con l’attuale Villaputzu nella
curadorìa di Sarrabus; viene ricordata nuovamente anche la curadorìa
di Colostrai con la menzione del suo curadore, Turbini de Lacon, importante personaggio della corte calaritana. Inoltre viene menzionato per
la prima volta il villaggio di Kirra o Quirra, nella curadorìa omonima di
cui era, verosimilmente, il capoluogo; ubicato sulle sponde del
Flumendosa, nei pressi della chiesa di San Nicola -edificio romanico
risalente all’ultimo quarto del XII secolo20 -, il suo territorio, si estendeva fino alle chiese di Santa Maria su Claru e di Santa Barbara, attestata
nel 1342. Il villaggio era dominato dall’impervia collina (monte Cudinas,
296 m) sulla quale sorgeva il castello di Quirra, rocca fortificata verosimilmente costruita per difendere il confine orientale del Regno di Càlari
e vigilare sull’importante strada che percorreva la costa orientale; il castello, menzionato la prima volta nel 1218, vigilava inoltre sul fertile
territorio di Quirra e sui suoi sbocchi al mare21. Nel 1217 viene menzionato, fra i testimoni di una transazione di servi «in Sarrabus» compiuta
dal vescovo di Suelli, anche un certo «Arççocu Loki, preidi de Kirra»22,
a conferma dell’importanza di questo villaggio.
Un altro castello, quello di Malvicino, doveva controllare le pianure del Sarrabus e la strada lungo la costa orientale; è attestato solo nel
1316 come già distrutto23. Era ubicato nel territorio della medievale
Villa Pupussi, a sud-ovest dell’attuale paese, nella località ancora chia19
20
21
22
23
Si tratta, ancora, di una delle Carte Volgari dell’Archivio Arcivescovile di Cagliari,
pubblicata da A. SOLMI, Le carte volgari cit., doc. XIV, p. 35.
Cfr. R. C ORONEO , Architettura romanica in Sardegna: l’area orientale, in
Ogliastra. Identità storica cit., p. 67; ID., Architettura romanica dalla metà del
mille cit., pp. 162-164.
Sul castello di Quirra si vedano F. FOIS, Il castello di Quirra, rocca dei Carroz, in
“Studi Sardi” XXIII (1973-1974), pp. 217-228 e M. RASSU, Rocche turrite, Dolianova,
2007, pp. 201-202.
A. SOLMI, Le carte volgari cit., doc. XVI, p. 38.
Cfr. F. ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari cit., p. 34.
54
GIOVANNI SERRELI
mata Su Casteddu; il sito meriterebbe senza dubbio un’attenta indagine archeologica.
Ancora a un documento del 1215 risale l’attestazione -fra i testimoni
di una donazione della regina Benedetta alla Diocesi di Suelli- di un
certo «Comida de Serrabura portus»24; potrebbe trattarsi di un ufficiale
regio preposto alla gestione del porto di Sarrabus, l’antica Sarcapos,
ancora in funzione a testimonianza dei traffici commerciali che continuavano a legare il Regno di Càlari con la penisola italiana.
Nelle curadorìas di Quirra, Sarrabus e Colostrai esistevano, di certo,
anche altri villaggi, probabilmente gli stessi ricordati dalle fonti del XIV
e XV secolo. Fra questi vi poteva essere l’oppidum Tronae citato dal
Fara e di cui null’altro sappiamo; se esistito, era ubicata in agro di San
Vito presso il nuraghe Trona, quasi al confine con la curadorìa di Quirra25;
forse dovette subire direttamente le drammatiche conseguenze degli assedi al castello di Quirra durante le guerre tra la Repubblica di Pisa e il
Regno di ‘Sardegna e Corsica’ e fra quest’ultimo e il Regno di Arborèa.
Comunque sia, questo vastissimo territorio, che oggi agli occhi di
visitatori e turisti appare povero di centri abitati e per certi tratti quasi
abbandonato, nel Medioevo giudicale era costellato da numerosi piccoli
o piccolissimi insediamenti, popolati da poche decine di abitanti, che
basavano la propria economia sulla coltivazione della terra, sull’allevamento e sulla pesca.
Questo era il tipo di insediamento che meglio si adattava al territorio
e all’economia della società giudicale calaritana: piccoli villaggi che
vivevano in perfetta simbiosi con le risose del territorio -agricole, pastorali ma anche della pesca vista la posizione strategica della costa sudorientale- in un regime di autosufficienza. Ma non bisogna dare a questo
termine un significato negativo: gli abitanti di queste ville o biddas, producevano lo stretto necessario per la loro alimentazione, integrando i
prodotti della terra e dell’allevamento con quanto si poteva ricavare dal24
25
A. SOLMI, Le carte volgari cit., doc. XI, p. 26.
Vedi A. TERROSU ASOLE, L’insediamento umano medievale cit., p. 31. Nel Parlamento del 1355 è presente un certo Leonardo Quartana della villa di Turne; se fosse la
stessa Tronae del Fara, sarebbe l’unica villa dell’ex curadorìa di Sarrabus rappresentata in quest’assemblea; cfr. G. MELONI, Il Parlamento di Pietro IV d’Aragona
(1355), nella collana Acta Curiarum Regni Sardiniae, Cagliari, 1993, p. 106.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
55
le risorse del saltus, dei boschi (legna, frutti, selvaggina); quanto veniva
prodotto in eccedenza, veniva impiegato per la costruzione di edifici
pubblici, soprattutto chiese, quelle splendide chiese romaniche, alcune
delle quali i nostri paesi ancora conservano e che troviamo sparse nel
territorio: non erano altro che le parrocchie dei numerosi villaggi medievali oggi abbandonati.
Pur considerando le ricorrenti catastrofi naturali, le siccità, le alluvioni, le crisi epidemiche e le carestie che hanno da sempre funestato
tutti gli stati d’Europa fino al secolo scorso, si può affermare, comunque, che il territorio di queste ville offriva ai suoi abitatori il necessario
per vivere, pur a prezzo del durissimo lavoro in rapporto agli arcaici
mezzi di produzione, ancora prevalentemente in legno, che in agricoltura permettevano rese bassissime.
Un quadro più definito dell’insediamento nelle curadorìas di Quirra,
Sarrabus e Colostrai si può ricavare dai documenti, più numerosi e dettagliati, risalenti al XIV secolo, quando ormai il Regno giudicale di Càlari
non era più esistente. Infatti, nel 1258, una coalizione filopisana distrusse la capitale Santa Ilia e pose fine al Regno calaritano, il cui territorio
venne smembrato: le curadorìas di Quirra, Sarrabus e Colostrai vennero occupate dai Visconti, alla guida del Regno di Gallura26. Nel 1288 la
Repubblica comunale di Pisa fece occupare militarmente il Regno di
Gallura e, quindi, il nostro territorio venne incamerato dai pisani che dai
loro possedimenti sardi traevano gran parte delle ricchezze27.
Le fonti degli inizi del Trecento confermavano, infatti, che gran parte
della ricchezza della Repubblica di Pisa derivava dai suoi possedimenti
in Sardegna, cioè dai territori del calaritano e della Gallura; ciò significa
che le campagne sarde, se regolarmente coltivate, erano in grado di offrire un prodotto sufficiente per gli abitanti dei villaggi e, al tempo stesso, anche per l’esportazione verso i mercati mediterranei dai porti isolani, come quelli che esistevano anche nelle coste orientali: quello di
26
27
S. PETRUCCI, Re in Sardegna, a Pisa cittadini. Ricerche sui “domini Sardinee” pisani,
Bologna, 1988, pp. 57 e ss.
M. TANGHERONI, Aspetti del commercio dei cereali nei Paesi della Corona d’Aragona.
La Sardegna, Pisa, 1981; sui rivolgimenti istituzionali della seconda metà del XIII
secolo si veda la sintesi di F.C. CASULA, La storia di Sardegna cit., pp. 210-212, 273,
297-304 e il volume AA.VV., S. Igia capitale giudicale, Pisa, 1986.
56
GIOVANNI SERRELI
Ogliastra attivo fino al Quattrocento inoltrato, forse corrispondente all’odierna Arbatax, quello di Quirra28, quello di Sarcapos e altre calette
accessibili ai legni mercantili del Medioevo. Ovviamente questi commerci, nei territori del calaritano e della Gallura, erano gestiti, direttamente o indirettamente, dalla Repubblica di Pisa a totale proprio vantaggio, anche se non bisogna sottovalutare i notevoli benefici, come l’incremento della produzione, lo sviluppo demografico e la conseguente
mobilità geografica e sociale, dovuta all’inserimento delle campagne
sarde nel grande flusso dei commerci mediterranei.
Una chiave di lettura dei fenomeni demografici e insediativi nel Medioevo giudicale potrebbe essere quella secondo la quale il Regno giudicale di Càlari subì una sorta di trauma, di sconquasso politico, economico e soprattutto sociale, causato dall’intervento e dalle ingerenze delle
maggiori potenze mercantili del Medioevo mediterraneo, vale a dire le
Repubbliche comunali di Pisa e di Genova, tra l’XI e il XIII secolo, poi
dal dominio diretto pisano fino al 1324 e, infine, a causa dell’introduzione del regime feudale nel Regno catalano-aragonese di ‘Sardegna e
Corsica’; l’imposizione del regime feudale in una realtà sociale e territoriale del tutto impreparata ad accoglierlo, provocò sconvolgimenti e
drammatiche conseguenze per le popolazioni rurali. A conferma di questa lettura, nel 1355 i delegati dei villaggi del Regno sardo che partecipavano alle assise del parlamento convocato dal re Pietro il Cerimonioso, «auspicavano un ritorno alle consuetudini risalenti ad un periodo che
veniva considerato più positivo per le condizioni di vita dell’elemento
locale, “com era acostumat en temps de Pisans”»29.
Comunque sia, con l’inserimento dei prodotti delle campagne sarde
nei grandi mercati mediterranei -con i sempre più stretti contatti fra Pisa
e il calaritano- veniva compiuto ogni sforzo per aumentare la produzio28
29
Non lontano dall’omonimo castello esisteva un porto dove, come affermano le fonti
della metà del Trecento, facevano scalo le navi che, dai porti della penisola, erano
dirette a Castel di Castro; si veda ad esempio la testimonianza, resa l’8 luglio 1353
al Proceso contra los Arborea, di un fabbro di Cagliari, tale Domenico Ribes, il
quale affermava che di ritorno da Roma, nel mese di agosto dell’anno giubilare
1350, passò per la villa castri de Quirra; cfr. S. CHIRRA (a cura di), Proceso contra
los Arborea, voll. II-III, Pisa, 2003, pp. 77-78.
G. MURGIA, La storia, in Il parco regionale Sette Fratelli – Monte Genis, a cura di A.
Brigaglia, Quartu Sant’Elena, 1995, vol. 2, p. 191.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
57
ne e quindi i guadagni dei mercanti; con questo sistema Pisa non fece
altro che rompere quel delicato equilibrio tra popolazione e territorio
che vigeva ormai da secoli nei villaggi giudicali. Successivamente il
retrogrado e soffocante regime feudale imposto dai catalano-aragonesi
diede il ‘colpo di grazia’ definitivo al sistema socio-economico giudicale e al tipo di sistema insediativo ad esso intimamente legato, causando
l’abbandono di oltre la metà delle ville attestate nel Regno di Càlari. Fra
le cause degli abbandoni, comunque, non bisogna dimenticare le distruzioni e le politiche di ripopolamento durante le guerre fra i catalanoaragonesi e i pisani e, successivamente, fra il Regno di Arborea e quello
di ‘Sardegna e Corsica’30. Le successive incursioni e razzie di pirati e
corsari, iberici, italici ma soprattutto barbareschi, non fece altro che accentuare le difficoltà dei centri abitati sopravvissuti.
Per quanto riguarda il dominio pisano, dal 1288 al 1324, abbiamo a
disposizione una fonte importantissima che ci permette di ricostruire la
situazione insediativa nelle ex curadorìas di Quirra, Colostrai e Sarrabus,
alla quale apparteneva la villa di Muravera con le altre ville (biddas)
che, nel Medioevo, si trovavano nel territorio della costa sud orientale.
Si tratta del famoso censimento fiscale pisano del 1316 riferito alle ex
curadorìas di Sarrabus, Colostrai, Quirra e Ogliastra31. Una considerazione preliminare che si può fare dalla lettura di questo fondamentale
documento è che l’economia dei villaggi della costa sud orientale del
calaritano era basata naturalmente sui prodotti dell’allevamento e della
produzione cerealicola (grano e orzo), ma anche, e direi soprattutto, sullo sfruttamento delle risorse degli stagni di Colostrai e Ogliastra, sulla
coltivazione della vite e sulla produzione e commercializzazione del vino.
Numerosi erano gli orti -soprattutto nel fundamentu o territorio, di
Villaputzu- e le vigne citate in questi documenti, in molte delle quali
sono annoverati anche alberi da frutto (fichi, soprattutto, ma anche peri
ad esempio); inoltre numerosi sono i riferimenti alle tasse ricadenti sulla
produzione e commercializzazione del vino che ci dimostrano come nelle
curadorìas di Sarrabus, Colostrai e Quirra fosse diffusa la viticoltura
30
31
Vedi G. SERRELI, I villaggi abbandonati nel Regno di Càlari: tre casi emblematici, in
Vita e morte dei villaggi rurali cit., pp. 155-156.
Il documento, conservato nell’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona, è stato
pubblicato da F. ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari cit., pp. 1-98.
58
GIOVANNI SERRELI
assai più che in quella di Ogliastra, mentre paradossalmente oggi soprattutto in Ogliastra si producono vini conosciuti e commercializzati in
tutto il mondo. Nulla ci vieta di pensare che questa produzione sia stata
importante anche nei secoli precedenti, durante i circa tre secoli di vita
del Regno giudicale di Càlari. Un’altra attività sottoposta a tassazione
era quella delle peschiere, che, durante il dominio diretto di Pisa, erano
appaltate a imprenditori abitanti in genere a Castel di Cagliari o nelle
sue appendici; se questa attività, come è verosimile, era esercitata anche
nei secoli precedenti, gli abitanti delle ville delle curadorìas di Sarrabus
e Colostrai prossime alla costa avevano avuto la possibilità di sfruttare
anche i prodotti della pesca, in mare aperto o negli stagni lungo le coste.
La curia Sarabi, cioè l’ex curadorìa di Sarrabus, ormai inglobata nei
possedimenti oltremarini della Repubblica comunale di Pisa, era grossomodo formata dai territori, a nord di rio Picocca, degli attuali Comuni
di Muravera, San Vito e Villaputzu. I villaggi che la componevano erano: i quattro villaggi di Cortinia, Ygali, Orrea, Ulmus, uniti nella scolca
di Orrea, e poi Muravera, Petrera, Carruti, Sorrui e Villapùtzu, il centro
più importante della circoscrizione32.
La villa di Muravera33 si estendeva tra le chiese di Sant’Anna e San
Nicola34, sua parrocchia. Se non vogliamo considerare gli incerti riferimenti del 1089 e del 1114-1120, ricordati sopra, essa è attestata con
certezza per la prima volta nel 1316, nella forma Murahera, quando
questo villaggio venne unito, nel pagamento delle tasse dovute a Pisa,
a quello di Petrera, ubicato poca distanza a est. Il documento ci da
anche l’elenco unico degli abitanti dei due villaggi -purtroppo senza la
specificazione della loro provenienza-, l’importo delle tasse dovute e,
indirettamente, anche le attività svolte35. Si trattava di un piccolo villaggio con non più di quaranta abitanti. I due villaggi di Muravera e
Perdera erano assai vicini, collegati da una strada, ma non ancora uniti
32
33
34
35
Nel Medioevo appartenevano tutti all’Archidiocesi di Càlari, a parte Villaputzu facente parte della diocesi di Suelli.
Il toponimo è composto dal sardo mura = ‘albero e frutto del moro gelso’, e vera =
‘coltivata, commestibile’.
S. MURGIA, Muravera e le sue chiese nei documenti d’archivio, Dolianova, 2005,
pp. 13-16.
F. ARTIZZU, Rendite pisane, cit., pp. 41-42.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
59
fra loro, tant’è vero che nell’inventario delle rendite della Mensa Arcivescovile di Cagliari, risalente al 1365, risultano ancora separati36. Si
unirono sicuramente intorno al XV secolo, quando si fecero sentire gli
effetti devastanti delle ricorrenti epidemie di peste, dello stato di continua guerra fra il Regno di Arborèa e quello catalano-aragonese di
‘Sardegna e Corsica’, ma soprattutto gli effetti della pressione fiscale
nel feudo di Quirra, appartenente ai Carròs, a cui i paesi del Sarrabus
furono infeudati nel XIV secolo. Quando poi si dovettero affrontare i
sempre più pressanti problemi legati alle incursioni barbaresche, Petrera
era già stata inglobata da Muravera.
Anche la villa di Petrera -il cui toponimo dovrebbe essere riferito
all’abbondanza di pietre, naturale in un sito prossimo alle rive del
Flumendosa- è attestata per la prima volta nel censimento del 1316, quando fu associata nel pagamento delle tasse a quella di Murahera, con la
quale era quasi unita. Si estendeva intorno alla periferia sud-est dell’attuale cittadina di Muravera, tra le chiese di Santa Lucia e della Vergine
d’Itria37; un’altra chiesa della villa, forse più antica, era intitolata a Santa
Cecilia. In particolare, la chiesa di Santa Lucia venne eretta nel XIII
secolo nell’area di una necropoli, forse della tarda età repubblicana, nella quale vi era anche un piccolo mausoleo absidato38; ciò potrebbe far
ipotizzare una sostanziale continuità nell’utilizzo di quest’area, fino al
pieno Medioevo, quando le fonti ci attestano l’esistenza di Petrera.
Come già detto, nel registro delle rendite del 1316, gli abitanti di
Muravera e Petrera sono elencati assieme. Il loro territorio non doveva
essere molto esteso, soffocato da quelli di Villaputzu e della scolca di
Orrea a nord e da quello di Sorrui a sud-est; infatti nel componimento
pisano del 1316 non sono ricordati molti orti, vigne o seminativi, come
invece negli altri villaggi.
Tra le altre ville di questa circoscrizione vi erano Cortinia, Ygali,
Orrea e Ulmus, unite nella scolca di Orrea39. L’istituto della scolca -qui
36
37
38
39
Cfr. A. BOSCOLO, Rendite ecclesiastiche cagliaritane nel primo periodo della dominazione aragonese, in “Archivio Storico Sardo”, XXVII (1961), pp. 26-30.
S. MURGIA, Muravera e le sue chiese cit., pp. 14-15.
D. SALVI, Testimonianze di età punica fra Ogliastra e Sarrabus, in Ogliastra. Identità storica cit., pp. 250-251.
F. ARTIZZU, Rendite pisane cit., pp. 43-47.
60
GIOVANNI SERRELI
tramandato anche dal toponimo Nuraghe Scrocca, poco a nord di San
Vito- era un probabile relitto della scolca giudicale, nato a causa della
comune necessità di difendere i campi e i prodotti della terra: le terre di
ogni villaggio medievale calaritano, infatti, erano protette da una guardia
armata di uomini provenienti da piccoli gruppi di ville aggregate, in genere in numero di quattro, comandata da un maiore de scolca con compiti di
polizia e di controllo sui funzionari minori40. Annualmente gli abitanti
maggiorenni di ogni villaggio dovevano prestare iura de scolca (giuramento) di non recar danni a nessun componente della comunità e neppure
alle sue proprietà fondiarie o di animali41. Questi quattro villaggi erano
ubicati intorno all’odierna San Vito, che sicuramente si sviluppò dal loro
abbandono nei secoli successivi. Tra le loro chiese sono citate San Lussorio
e Santa Maria, ancora esistenti. Fra queste ville, quella più importante non foss’altro perché diede il nome alla scolca, ma anche perché ebbe vita
più lunga perpetuandosi nel nome di un rione di San Vito- era Orrea che
verosimilmente deve il suo nome al latino horreum, cioè deposito di grano: in essa, forse, veniva ammassato il grano raccolto nel territorio.
Invero, la copia settecentesca della concessione feudale a donna Violante Carròs, del 1505, elencando le ville del Sarrabus, identifica Villa
Putzu con l’antica Orrea e San Vitto con l’antica Perdedo42. Invece, un
documento del 1606, redatto durante la visita pastorale voluta dall’Arcivescovo Desquivel, elenca le ville di Muravera e Santo Vitto y Horri43,
appartenenti all’Archidiocesi cagliaritana.
40
41
42
43
Secondo A. SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, Cagliari, 1919, p. 126 e nota 4, la Sculca, nata con lo scopo di polizia interna, ha
particolari somiglianze con la guardia prevista dalla legislazione longobarda (Ed. di
Rotari, cap. 21; Ed. di Rachis, cap. 13). Il termine Scolca ha origini dal tardo latino
exculca = posto di guardia, da ricollegarsi al verbi exculco-are = calcare con forza.
Sulla scolca si vedano anche E. BESTA, Postille storiche al Condaghe di San Michele di Salvenor, in “Archivio Storico Sardo”, vol. XII, 1916-17, p. 234 e segg., e F.
CHERCHI PABA, Evoluzione storica dell’attività industriale, agricola, caccia e pesca
in Sardegna, vol. II, Cagliari, 1974, pp. 169-73.
Gli “Statuti Sassaresi” testualmente recitano: «...iurantant de non facher dannu
alcunu con persone over bestias in arvos, vignas over cosas azzenas, et de accusare cussos qui arun facher contra...», cfr. P. TOLA, Codex cit., t. I, p. 526;
vedi F.C. CASULA, La Storia cit., pp. 176-77.
La copia risale al 1764; cfr. A.S.C., Regio Demanio, Feudi, Busta 56.
Cfr. O. UTZERI, Santu Pilimu cit., p. 17.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
61
Comunque sia, questi quattro villaggi erano abitati, in totale da circa
settanta abitanti; il territorio, invece, era assai esteso e, dal Nuraghe
Scrocca e dalla località Gennadorria, a nord, giungeva fino alla località
Sant’Antioco, vicinissima a Muravera.
La villa di Carruti, era invece ubicata tra Muravera e Villaputzu, forse più vicina alla seconda; era assai popolata, rispetto agli altri villaggi
fin qui citati; infatti nel censimento del 1316 sono attestati non meno di
settanta abitanti. Essendo prossimo alle rive del Flumendosa, il suo territorio era adatto anche alla coltivazione della vite, spesso associata ad
alberi di frutta (soprattutto fichi e mele cotogne)44.
Il villaggio di Sorrui era invece ubicato nella località omonima, presso la Torre della Porta o dei Dieci Cavalli, recentemente restaurata, e
presso la chiesa di San Giovanni -di cui oggi sono appena visibili i ruderi-, e nelle vicinanze di quelle di Santa Maria e Santa Marta45. Non deve
sorprendere l’alto numero delle chiese, perché nel 1316 Sorrui risulta
essere un abitato assai popolato: tra i cento e i centocinquanta abitanti46.
Questo dato ci deve portare ancora a un’ulteriore riflessione: una delle
ville più vicine al mare, fra quelle della circoscrizione, era anche fra
quelle più popolate ed economicamente vitali, dunque in netto contrasto
con le ricostruzioni di chi sostiene che i sardi, dopo la caduta dell’Impero Romano, abbandonarono le coste.
Anche il territorio di Sorrui era assai vasto e, oltre ad avere numerose
terre aratorie e vigne con alberi da frutto, doveva essere adatto alle attività legate alla pesca, in mare aperto o negli stagni presso la Torre dei
Dieci Cavalli; non a caso nel registro del 1316 è censita una terra «in
loco dicto Muro inter Aquas»: probabilmente è un riferimento alle costruzioni murarie che partivano dalla porta carraia, sopra la quale, nel
XVI secolo, venne costruita la Torre dei Dieci Cavalli47, e che forse servivano a irreggimentare le acque dello stagno ma anche a proteggere le
attività che in esso si svolgevano. Nel villaggio risiedevano anche
Meuccius de Vico e Gomita Spanus, burgenses di Castel di Castro, i
44
45
46
47
F. ARTIZZU, Rendite pisane cit., pp. 47-50.
S. MURGIA, Muravera e le sue chiese cit., pp. 14-15.
F. ARTIZZU, Rendite pisane cit., pp. 36-41.
Cfr. M. CANNAS-R. MONAGHEDDU, Museo delle torri e dei castelli di Sardegna, Sassari,
2003, pp. 62-64.
62
GIOVANNI SERRELI
quali avevano ottenuto l’appalto per la riscossione delle gabelle relative a
qualsiasi commercio o attività in tutta l’ex curadorìa: sulle compravendite
di animali, di grano, di orzo, di vino o di legname, di cui i boschi
dell’entroterra dovevano essere assai ricchi. Tra i tributi vi era anche quello da pagare per le barche caricate nei porti della circoscrizione48.
Da una veloce analisi, quindi, pare emergere che, soprattutto a partire
dal Mille -quando ormai le incursioni musulmane lungo le coste del Mediterraneo stavano diminuendo- con la frequentazione commerciale nelle coste sarde di Pisa e Genova, i villaggi sopravvissuti o sorti nelle
vicinanze del mare fossero numerosi e vitali. Il fenomeno degli abbandoni degli abitati, soprattutto quelli costieri, invece, è piuttosto da attribuire ad altre cause, accumulatesi fra la fine del XIV e il XV secolo, che
portarono all’abbandono anche della villa di Sorrui, a vantaggio, probabilmente, di Muravera; le guerre per la conquista del territorio e il regime feudale imposto nel Regno catalano-aragonese di ‘Sardegna e Corsica’
dal 1324, e infine le incursioni barbaresche del XV e XVI secolo, favorirono l’abbandono di oltre la metà dei piccoli villaggi di quello che era
stato il Regno giudicale di Càlari -con il conseguente ingrandimento dei
villaggi sopravvissuti- con un’incidenza altissima soprattutto nelle zone
costiere, e quindi nelle ex curadorìas di Sarrabus, Colostrai e Quirra.
Nell’importante registro del 1316 è attestato anche il paese di
Villaputzu, detto Villa Pupussi49; in epoca giudicale questo villaggio dovette ereditare dall’antica Sarcapos la funzione di capoluogo di curadorìa
e sede di curadore. Infatti nel censimento del 1316 la villa Pupussi, ivi
detta anche Pupputhi, risulta essere quella più popolata nella curia con
oltre cinquanta nuclei familiari, dunque con non meno di duecento abitanti, fra i quali vi erano anche alcuni provenienti da Castiadasa. L’importanza e il ruolo assunti dalla villa erano dovuti, oltre che alla sua
posizione strategica, anche alle proficue e variegate attività produttive dall’agricoltura specializzata con parecchi orti e frutteti, all’allevamento, al commercio e alla pesca fluviale- che davano notevoli rendite; vigne, campi di grano e orzo, nonché orti con alberi da frutto, anche aranceti,
erano presenti nel suo esteso territorio. E la produzione di vino doveva
48
49
F. ARTIZZU, Rendite pisane cit., p. 33.
F. ARTIZZU, Rendite pisane cit., pp. 29-36.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
63
essere copiosa e oggetto di commercio, sia nelle tabernae, sia nelle singole abitazioni.
Anticamente protetto dal Castrum Malvicini («…montis in quo erat
castrum Malvicini…»50), le sue chiese erano intitolate a Santa Vittoria,
ricordata già nel 1120 e di cui ancora oggi si celebra il culto, San Giorgio («…ecclesia Sancti Georgii de villa Pupussi…»51), Santa Caterina e
Santa Mariedda che ha lasciato il nome a un rione del paese.
Il registro delle entrate del Comune di Pisa, del 1316, con la stessa
dovizia di particolari, censisce anche le ville delle curie di Tholostra
(Colostrai) e Quirra: come per quelle del Sarrabus, emerge un quadro
che testimonia una straordinaria vitalità produttiva e un consistente flusso commerciale: si parla delle peschiere nello Stagno di Colostrai, della
produzione e dei commerci del vino, oltre che delle tradizionali produzioni agricole e dell’allevamento52.
Ma questa felice congiuntura, già dalla seconda metà del XIV secolo,
venne meno a causa del difficile momento politico, delle epidemie di
peste, delle guerre, ma soprattutto dell’imposizione del regime feudale
voluto dai sovrani del neonato Regno di ‘Sardegna e Corsica’.
Infatti nel 1324, con la nascita del Regno di ‘Sardegna e Corsica’ ad
opera dei catalano-aragonesi che conquistarono i territori pisani nell’isola,
tutti i villaggi e i territori entrati a far parte della nuova realtà istituzionale, vennero concessi in feudo agli iberici che aiutarono la Corona nella
conquista53. Per quanto riguarda i nostri territori, nel 1324 le ville di
Carruti e Sorrùi vennero concesse in feudo secondo il sistema more Italiae
a Bernardo Dalmau; i vassalli erano tenuti al pagamento del feu (la tassa
51
52
53
F. ARTIZZU, Rendite pisane cit., p. 35. Sulla chiesa vedi D. SALVI, Testimonianze di
età punica cit., p. 253.
F. ARTIZZU, Rendite pisane cit., pp. 50-75.
Sulla conquista e sull’introduzione del regime feudale si vedano: F.C. CASULA, La
Storia cit., pp. 385-433; M.E. CADEDDU, Giacomo II d’Aragona e la conquista del
regno di Sardegna e Corsica, in “Medioevo. Saggi e Rassegne” 20 (1995), pp. 251316; M. TANGHERONI, La Sardegna prearagonese: una società senza feudalesimo?, in
Sardegna mediterranea, Roma, 1983, pp. 55-84; ID, Una lezione di diritto di Castruccio
Castracani all’Infante Alfonso d’Aragona e il feudalesimo secondo il mos Italiae nella Sardegna aragonese, in Società, istituzioni, spiritualità. Studi in onore di Cinzio
Violante, t. II, Spoleto, 1994, pp. 931-940. Per gli effetti della conquista nel sud-est
della Sardegna, vedi M.G. MELONI, L’Ogliastra in epoca catalano-aragonese (secoli
XIV-XV), in Ogliastra. Identità storica cit., pp. 191-197.
64
GIOVANNI SERRELI
dovuta da ciascuna famiglia al feudatario) sia in denaro che in grano e
orzo. Morto nel 1362 Maureliano, l’ultimo erede dei Dalmau, i due villaggi passarono sotto il controllo dei Carròs che, nel 1332, nella persona
di Berengario Carròs senior, avevano ricevuto, sempre secondo il sistema more Italiae, anche le ville di Muravèra, Petrera, Orrea, Cortinia,
Ulmus e Ygali, oltre che i territori delle ex curadorìas di Quirra e
Colostrai. La concessione prevedeva che i vassalli dovessero pagare il
feu in denaro, grano e orzo, la decima per ogni capo allevato, il diritto
sul vino e uno speciale diritto sul carriaggio delle merci54. Il 29 novembre 1336, a Valenza, Francesco Mir, procuratore di Francesco Carròs,
tutore di Berengario Carròs junior, prestò giuramento di fedeltà e omaggio vassallatico al nuovo re di ‘Sardegna e Corsica’ Pietro il Cerimonioso per i feudi di Francesco e Berengario che, però, non sono specificati55. Del resto, l’ammiraglio Francesco Carròs con la sua flotta, era stato
colui che aveva condotto le operazioni militari per la conquista dei territori ogliastrini e del resto della costa del sud-est56.
Invece Villaputzu, nel 1324, fu concesso a Guglielmo ça Costa con l’obbligo di rifornire di frumento il castello di Quirra. Dal 1332 costui entrò in
contrasto con Berengario Carròs, feudatario ormai di gran parte della ex
curadorìa di Sarrabus, il quale riteneva che il feudo a lui concesso includesse anche Villaputzu. Come loro solito, con sistemi più o meno leciti, i Carròs
stavano costruendo un grande feudo territoriale; poco dopo Berengario riuscì a entrare in possesso anche di Villaputzu. Nel 1359 Berengario junior
ottenne anche l’infeudazione del castello di Quirra e dei villaggi pertinenti
e, finalmente, nel 1363, la costituzione del feudo in contea, con il diritto di
successione per la sua unica figlia legittima Violante57.
L’introduzione del regime feudale e, soprattutto, la lunga e sanguinosa guerra che, dal 1353 al 1420, contrappose il Regno indigeno di Arborèa
54
55
56
57
F. FLORIS, Feudi e Feudatari in Sardegna, Cagliari, 1996, I vol. pp. 313-315.
Il documento è conservato nell’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona,
Cancelleria, Varia, reg. 378, f. 24; è stato pubblicato da G. SPIGA, Feudi e
feudatari nel regnum Sardiniae et Corsicae dal 1336 al 1338, in “Atti del XIV
Convegno della Corona d’Aragona, Sassari-Alghero (19-24 maggio 1990)”, vol.
II, t. II, p. 874.
M.G. MELONI, L’Ogliastra in epoca catalano-aragonese cit., p. 191.
M.G. MELONI, L’Ogliastra in epoca catalano-aragonese cit., p. 194 e F. FLORIS,
Feudi e Feudatari cit., I vol. p. 314.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
65
al Regno di ‘Sardegna e Corsica’, provocarono un drastico calo demografico che si manifestò nella ristrutturazione del quadro insediativo in questi
territori58. Gli effetti della crisi sono ben leggibili nel dettaglio delle vendite del sale al minuto dalle saline di Cagliari a Sorrui, Sarrabus, Chirra
e Ogliastra fra il 1347 e il 141459: gli acquisti di sale nelle nostre contrade
sono assenti fino al 1389, mantengono una standard medio (con punte
nel Sarrabus per il periodo 1390-92) fino al 1393 per poi cessare nuovamente. Potremmo ipotizzare che, fino alla guerra del 1353, gli stagni di
Colostrai e Ogliastra garantissero le quantità di sale necessarie a questi
villaggi; la guerra interruppe i collegamenti con Cagliari per via della
conquista arborense. Gli approvvigionamenti ripresero consistenti dopo
la pace del 1388 per poi cessare nuovamente, in un contesto di distruzioni e abbandoni.
Del resto, come detto sopra, i rappresentanti dei villaggi del Regno
sardo che parteciparono alle assise del Parlamento del 1355, e fra questi
i delegati di Quirra, chiesero insistentemente il ritorno alle “consuetudini dei Pisani”.
Ma ormai lo spopolamento dei villaggi più piccoli della curadorìa
era avviato e venne ulteriormente accentuato dai drammatici effetti della seconda guerra fra il Regno di Arborèa e il Regno di ‘Sardegna e
Corsica’, fra il 1365 e il 1409. Solo nel 1485 abbiamo la prima attestazione di un nuovo villaggio, San Vito, che aveva forse coperto i vuoti
lasciati dai numerosi villaggi abbandonati.
Intanto, nel 1365, la Mensa arcivescovile di Cagliari fece un inventario dei propri possedimenti: per il Sarrabus erano concentrati nelle ville
di Perdedo, Pupus (Villaputzu), Archiepiscopi e Villa Mayor, quasi a
testimoniare una continuità di controllo della Chiesa in certe aree del
sud-est della Sardegna, almeno a partire dall’XI secolo. Tra l’altro, nei
verbali dell’inventario compaiono, oltre che una serie di toponimi per lo
più ormai scomparsi, i nomi di vari personaggi che abitavano nei nostri
villaggi: «Pauli de Figo, habitator de la vila de Sorrui … Prete Arzoco,
58
59
F.C. CASULA, La Sardegna aragonese, Sassari, 1990. Per il sud-est della Sardegna,
M.G. MELONI, L’Ogliastra in epoca catalano-aragonese cit., p. 194.
C. LIVI, Popolazione, villaggi e guerre nella Sardegna meridionale alla luce delle
vendite di sale al minuto negli anni 1347-1414, in “Quaderni Bolotanesi” 31 (2005),
pp. 91-181; per il sud-est della Sardegna vedi in particolare la tabella a p. 179.
66
GIOVANNI SERRELI
rector de Tarruci …Perdo Datzeny habitator de la vila de Pupus …Jorgia
Cay habitadora de la vila Perdedo e es mare de Maria Marrocho e de
Jordi Marrocho … Joan Palla habitador de la vila de Muravera …Stefano Datzeny habitator de la vila de Pupus …Nicola Datzeny e Dominico
Castanya habitators de la vila de Perdedo …Joan Maduro habitator de
la vila de Archiepiscopi … Angieloto Pisti habitator de la vila de
Archiepiscopi … Saltaro Melone e Leoni Sao habitators de la vila de
Archiepiscopi … Juliano Capilo habitator de la vila de Archiepiscopi …
Gulpiu Musia e Molentino Lenonis habitators de la vila de Mayor …
Juliano Caria e Gantini Squirro habitators de la vila de Mayor … Gonar
de Sori e Juliano Caria habitators del dit lloch … Andria Pisti habitator
de la vila de Mayor …»60.
Che questo territorio fosse stato, nel passato, assai popolato e ricco,
lo sottolineava nel 1572 il capitano Marco Antonio Camos che, nella
relazione seguita di un periplo dell’isola per pianificare la difesa statica
del Regno, annotava: «… el castillo de Quirra de donde toma el titulo el
Conde de Quirra, en lo más alto de una montaña, de baxo de la qual hay
muy lindas dehesas y muy buenas tierras para sembrar, y segun las ruinas
y edificios antigos se colige haver sido en otro tiempo bien poblado»61.
60
61
Cfr. A. BOSCOLO, Rendite ecclesiastiche, cit., pp. 26-33.
E. PILLOSU, Un inedito rapporto cinquecentesco sulla difesa costiera della Sardegna di Marco Antonio Camos, in “Nuovo Bollettivo Bibliografico Sardo” 23
(1959), p. 6.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
67
1- Gli stati giudicali (tratta da F.C. Casula, La Storia di Sardegna, Pisa-Sassari, 1994, p. 161).
68
GIOVANNI SERRELI
2- (a - b) Il lavoro nei campi nel Medioevo.
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
69
3- Le curadorìas del Regno di Calari (tratta da F.C. Casula, La Storia di Sardegna,
Pisa-Sassari, 1994, p. 189).
70
GIOVANNI SERRELI
4- Le curadorìas di Colostrai, Sarrabus e Quirra nei possedimenti della Repubblica di
Pisa tra il 1288 e il 1324 (tratta da F.C. Casula, La Storia di Sardegna, Pisa-Sassari,
1994, p. 301).
L’INSEDIAMENTO NEL TERRITORIO DI MURAVERA
71
5- Le ex curadorìas di Colostrai, Sarrabus e Quirra nel Regno di Sardegna dal 1324
(tratta da F.C. Casula, La Storia di Sardegna, Pisa-Sassari, 1994, p. 344).
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