la partecipazione della fauna alla costituzione e al dinamismo degli

LUIGI MASUTTI (*)
LA PARTECIPAZIONE DELLA FAUNA ALLA COSTITUZIONE
E AL DINAMISMO DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
FDC 151 : 181
L’ecologia forestale, intesa nel senso più ampio e perciò più vicino alla realtà naturale, attinge i fondamenti più solidi dei processi indagati solo se considera adeguatamente il
diuturno, reciproco adattarsi della vegetazione arborea e della fauna, tenuto conto del
modo in cui il fattore tempo influisce sulle vicende degli individui e delle popolazioni di
alberi e di animali.
Nell’insieme si tratta del continuo comporsi di due tendenze: quella volta a mantenere
nella biogeocenosi una sorta di inerzia, propria dei grandi vegetali legnosi, e quella evocante un
incessante dinamismo nel funzionamento dell’ecosistema, propria della componente animale.
Nel quadro generale delle relazioni tra i due complessi di organismi è possibile riconoscere i lineamenti dei fenomeni di successione da cui risultano sia l’origine e lo sviluppo, sia il declino e la scomparsa del bosco naturale.
Nell’avvio della storia di vari tipi di foreste la zoocoria è molto meno accidentale di
quanto comunemente ritenuto; essa influisce diffusamente anche sulla costituzione del
complesso di specie legnose «minori», soprattutto per intervento degli uccelli.
Disparati animali concorrono a modificare la composizione e la struttura dei boschi
dall’aspetto apparentemente stabilizzato. Oltre alle conseguenze della moltiplicata presenza di ungulati, sono spesso decisivi, e inattesi, gli effetti secondari delle pullulazioni di
certi insetti fitofagi. Nell’insieme di questi ultimi da tempo si sono rese drammaticamente
importanti nel nostro territorio le specie che stanno distruggendo il pinastro o che hanno
eliminato da vari litorali il pino domestico o che hanno agevolato il devastante diffondersi della grafiosi degli olmi. Ma anche l’azione dei mammiferi selvatici e perfino di quelli
allevati può incidere in modo determinante sulla sorte dei popolamenti forestali.
Vi è inoltre un problema non nuovo, ma certo aggravato e destinato ad assumere
una crescente importanza per l’intensificarsi e l’accelerarsi dei trasporti a largo raggio.
Elementi faunistici allogeni, per lo più insetti, forzano le barriere della resistenza ambientale e avviano situazioni mai verificatesi in precedenza negli ecosistemi forestali.
La necessità di mantenere integro il gioco delle forze da cui dipende la conservazione dinamica del patrimonio boschivo potrà esser affrontata solo da tecnici forestali di solida preparazione biologica di base.
(*) Dipartimento di Agronomia ambientale e produzioni vegetali/Entomologia - Università di
Padova - via Romea, 16/Agripolis. I - 35020 Legnaro (PD).
– I.F.M. n. 5
anno 2002
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L’ITALIA FORESTALE E MONTANA
PROLOGO
L’entusiasmo con cui Edmund Schulman nel 1958 riferì d’aver trovato,
sulle White Mountains della California, ultraquadrimillenarie piante del
«bristlecone pine», che Bailey a buona ragione distinse poi (1970) come
Pinus longaeva dalla specie simile P. aristata Engelmann, era più che giustificato: non solo la scoperta dell’ «oldest known living thing» in sé, ma
anche il prevedibile profilarsi di un nuovo vastissimo orizzonte di indagini
meritarono l’esultanza dell’annuncio. Qui, cogliendo un minimo bagliore
della luce accesa da quel reperto nel campo delle possibili considerazioni in
chiave ecologica, si prospetta l’opportunità di riflettere brevemente sullo
strenuo resistere del «Great basin bristecone pine» alle imposizioni fisiche
e biotiche di un lunghissimo tratto del postglaciale. Con lo stesso patrimonio genetico, che da quasi cinquanta secoli «Methuselah» e alquanti esemplari coevi tramandano alla discendenza, sono state superate molte delle
variazioni climatiche avvicendatesi dopo la fine della glaciazione Wisconsin,
sopportate difficili condizioni di substrato edafico, contrastate le insidie
degli agenti patogeni e affrontate migliaia e migliaia di generazioni di animali fitofagi. Un impegno su due fronti: quello del cimento con l’inesorabile mutare dei fattori ambientali fisici in un lunghissimo periodo e quello
dell’ inevitabile coesistenza con organismi dipendenti dalla produttività dei
pini stessi e atti a rinnovare con straordinaria frequenza la base ereditaria
delle risorse di adattamento.
L’esempio proposto è certamente estremo. Su un piano più accessibile
alla comune esperienza si possono tuttavia svolgere le stesse considerazioni
esaminando un caso analogo, benché collocato in una scala temporale
molto ridotta. I non pochi esemplari di pino cembro che toccano i quattro
secoli, senza contare gli eccezionali individui sopravvissuti fino a 700-800
anni (SUSMEL, 1954), hanno sopportato un lungo tratto della «piccola era
glaciale», subiscono da molti anni gli effetti di uno scarso innevamento e
continuano a ricevere in gran parte del territorio alpino i contraccolpi delle
periodiche infestazioni di Zeiraphera griseana (HÜBNER), la «tortrice grigia
del larice». E tuttavia, come Pinus longaeva fruisce in alta montagna dell’intervento della «nocciolaia» americana, Nucifraga columbiana Wilson, per la
dispersione del seme, così P. cembra dipende dalla nocciolaia paleartica,
N. caryocatactes (Linnaeus), per la conquista e il possesso degli habitat colonizzabili.
Su questo particolare aspetto del problema della rinnovazione si avrà
modo di discutere più avanti. Qui intanto i riferimenti ai due pini, di cui
sopra, interessano piuttosto per sottolineare in via preliminare l’importanza
dell’integrarsi delle funzioni ecologiche svolte dalla componente arborea
FAUNA E DINAMISMO DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
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della fitocenosi e dalla zoocenosi nella costituzione e nella conservazione
dei sistemi forestali. Si prospetta al riguardo una disamina che, pur ridotta
ai termini generali, interessa un àmbito tipicamente interdisciplinare, come
dovrebbe essere quello della selvicoltura nel senso più ampio e nel quadro
più vicino alla realtà naturale, ma come in verità non viene adeguatamente
esplorato né dalla botanica, né dalla zoologia, né dalla stessa ecologia forestale: impegnata, la prima, soprattutto a chiarire le relazioni entro il complesso dei vegetali e, non sempre, quelle intercorrenti tra le piante e l’ambiente fisico; la seconda, a svolgere analoghe indagini sugli animali, connettendosi alla botanica per lo più in riferimento alla vegetazione quale base di
approvvigionamento energetico per la fauna fitofaga; la terza, ad approfondire principalmente le considerazioni sui rapporti tra la componente arborea delle fitocenosi boschive e i fattori edafici e climatici, così riversando
decisamente l’interesse di ricerca nel campo botanico e relegando i collegamenti con la zoocenosi in posizione marginale, tanto che la partecipazione
della fauna alle vicende degli ecosistemi forestali ne risulta accessoria,
quando non anche irrisoria.
È intendimento della seguente esposizione delineare non più che i tratti essenziali di un imponente insieme di relazioni vegetali e animali, che
nella sua architettura e nella sua funzione generale travalica e travolge i termini imposti dal limitato respiro delle analisi, pur raffinate, di singoli, contingenti fenomeni.
È premessa necessaria ricordare che le foreste sono gli unici ecosistemi
in cui coesistano organismi, quali gli alberi, immobili, notevoli se non anche
stupefacenti per massa ed età, dotati di costituzione e proprietà fisiologiche
tipiche ma tutt’altro che sostanzialmente varie, e organismi, quali disparati
animali terrestri, più o meno atti a esplorare lo spazio (spesso anche quello
aereo) caratterizzati da una mole contenuta o perfino ridottissima, destinati
a una non troppo lunga, anzi comunemente breve o brevissima vita, privilegiati di struttura e funzioni diversissime (MASUTTI, 1991). È altrettanto
importante considerare che gli ecosistemi in questione, proprio perché fondati prevalentemente o totalmente sulla produttività di individui destinati
ad accrescersi di continuo in un ampio arco di esistenza, si reggono secondo l’ordine imposto da un fattore cronologico non configurabile come un
lineare succedersi di stagioni e di anni, indistintamente valido per tutti gli
organismi coinvolti, ma come un articolato combinarsi di tempi e di ritmi
ecologici (MASUTTI, 1992).
Ne consegue che l’ecosistema foresta, esaminato da questo punto di
vista, dimostra di venir costituito e mantenuto attivo dal costante contrapporsi di due tendenze: l’una conservatrice, peculiare dei principali o esclusivi produttori primari, configurabili come fattori d’inerzia in quanto
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L’ITALIA FORESTALE E MONTANA
immutabili despoti del tempo e dello spazio; l’altra stimolativa, manifestantesi con l’intervento più o meno vivace e vario degli animali nei processi di
rinnovazione, di flusso energetico, di riciclo dei residui (e connesso ricupero di fertilità), di successione ecologica.
GLI ANIMALI E LA COSTITUZIONE DEL BOSCO
Nell’illustrare i processi di costituzione dei boschi, che la scienza
inquadra tra i fenomeni di successione, la selvicoltura attribuisce ovviamente l’apparire di ciascuna specie a eventi di disseminazione, che hanno per
protagonisti, secondo i casi, fattori inanimati, tipicamente meteorici e
soprattutto il vento, e fattori biotici, nella quasi totalità animali vertebrati.
A quest’ultimo riguardo però le considerazioni in generale non vengono
svolte con adeguato approfondimento di analisi. Sono tradizionalmente
addotti come esempi quelli relativi ai binomi pino cembro-nocciolaia o
querce-ghiandaia, assegnando loro il significato di «diszoocoria», o «zoocoria accidentale», quando da essi dipenda il manifestarsi di giovani esemplari
lontano dalle piante portaseme (PIUSSI, 1994).
La questione merita di essere esaminata un po’ più da vicino, anticipando che la zoocoria, proprio per varie specie botaniche forestali, non
sempre è accidentale.
Tra i casi più noti di strettissime connessioni tra vicende di organismi vegetali arborei e organismi animali vi è certamente quello sopra
ricordato che vede coinvolti il pino cembro e il piccolo corvide Nucifraga
caryocatactes, la volgare «nocciolaia» della conifereta montana e soprattutto subalpina. Sarebbe qui ozioso sottolineare ancora l’importanza di
quel prudente quanto intraprendente volatile nell’offrire continue possibilità di diffusione al cirmolo, se non fosse per l’insistenza con cui la
realtà naturale esorta a riflettere meglio sui processi di popolamento e
ripopolamento forestale avviati e sostenuti da colonizzazioni parallele e
reciprocamente vantaggiose di piante dal seme s.l. pesante e di animali
sfruttatori del seme stesso. Nello specifico caso appena evocato, due illuminanti aspetti del fenomeno meritano di essere considerati, anche perché comunemente trascurati o ignorati perfino nelle trattazioni riguardanti la sinecologia della cembreta. Non si coglie, di solito, l’evidenza dell’avanzata o del ritorno del cirmolo nei territori ad esso idonei per il sommarsi dell’azione della nocciolaia a quella di vari piccoli mammiferi, decisiva l’una per la ‘disseminazione longinqua’, l’altra per la distribuzione
diffusa dei pinoli nelle aree di raccolta mirata (da parte dello scoiattolo) e
di casuale rinvenimento (da parte di roditori terragni, tra cui verosimil-
FAUNA E DINAMISMO DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
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mente in ambiente alpino Clethrionomys glareolus (Schreber), l’arvicola
rossastra (COSLOP e MASUTTI, 1978)).
Abbondano, anche sulle nostre Alpi, dimostrazioni lampanti dell’instancabile attività estiva e autunnale delle nocciolaie impegnate a staccare
strobili di P. cembra e a ‘lavorarli’ su ceppaie, in zone erbose o in macereti e
lungo sentieri o cenge d’alto versante. Non mancano, a riscontro, i ciuffi di
plantule sorte dai punti in cui la nucifraga ha estratto i semi per cibarsene
subito o per accumularli temporaneamente nella tasca sottolinguale, perdendone alquanti tra i ciottoli o tra le fenditure dei supporti lignei nel suo
energico beccare, o infine, e soprattutto, dai sotterranei nascondigli di
pinoli assiduamente predisposti a fine estate, periodicamente sfruttati, ma
pure soggetti a forzati abbandoni per varie intuibili cause. È ben vero che le
condizioni edafiche sotto le piante di cembro produttrici spesso si dimostrano particolarmente favorevoli alla germinazione del seme di pino caduto (REISIGL e KELLER, 1989), e questo rende ragione del sistematico espandersi dei popolamenti su versanti non interrotti da brusche discontinuità,
quali precipizi o pareti erte; tuttavia è innegabile che l’attraversamento di
valli, la conquista di elevati terrazzi e il superamento di creste sia reso possibile solo dall’intervento del volatile principalmente interessato al trasporto
del seme. Ma anche nella progressiva occupazione delle aree adiacenti a
quelle di affermata colonizzazione, l’attività della nocciolaia svolge una funzione rilevante, attuando una diffusione del seme tutt’altro che accidentale,
anzi regolarmente distribuita oltre i limiti a mano a mano raggiunti dai
popolamenti, che così si espandono più celermente: è consueto assistere
all’estivo-autunnale andirivieni di nucifraghe da cembrete agli adiacenti
spazi aperti di curvuleto o di seslerio-sempervireto esonerati dallo sfruttamento pastorale ed è facile notare, anno dopo anno, il graduale apparire e
svilupparsi di selvaggioni sempre più al largo nelle attigue praterie.
È dunque indiscutibile l’interesse da entrambe le parti che il pesante
seme sia tanto appetito da N. caryocatactes; ci si può chiedere tuttavia se il
vantaggio sia equamente ripartito, se cioè si possa parlare di «a strong
mutualistic relationship» sensu MATTES (1992).
La disseminazione è un servizio che P. cembra paga caro al suo principale diffusore, in quanto tra luglio inoltrato e i primi d’ottobre sparisce
dalle chiome praticamente ogni traccia dei pinoli prodotti, anche perché il
contingente che di essi sfugge alla nocciolaia viene prelevato da altri uccelli
(picidi, sittidi) o dallo scoiattolo, senza tener conto di quanto ricuperato al
suolo dai micromammiferi sopra ricordati. Ma la nocciolaia non dipende
strettamente dal cirmolo, pur stabilendo privilegiate relazioni ecologiche
con le cembrete, come dimostrato in modo paradigmatico dalla sottospecie
N. c. macrorhynchus (Brehm), diffusa nel vastissimo areale asiatico di Pinus
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L’ITALIA FORESTALE E MONTANA
sibirica Ledebour e in quelli estremo-orientali di P. pumila Regel e di P.
koraiensis Sieboldt e Zuccarini1. È noto infatti che il corvide in questione
vive anche in regioni mancanti di pino cembro, qual era la Svezia nel 1758,
anno in cui Linneo descrisse Corvus caryocatactes, specificando soltanto che
esso «edit nuces», e qual è, nel nostro territorio, il Friuli montuoso. Lo stesso vale, per altri motivi, nel caso della nocciolaia neartica, che, quantunque
associata ordinariamente ad altri pini2, dimostra di essere il più importante
fattore di presenza di P. longaeva in alta montagna. Tale conifera infatti si
riproduce normalmente per semi alati a quote inferiori, in clima più mite,
mentre la sua distribuzione sui versanti più elevati è concessa dall’adattabilità della specie stessa a condizioni ambientali severe e dovuta alle diffuse
tesaurizzazioni di semi eseguite dalla nocciolaia nordamericana, soprattutto
in carenza di pinoli delle specie usualmente sfruttate (LANNER, 1988).
Quanto alla ghiandaia, non pare proprio esagerata la sentenza di YAPP
(1962), secondo cui i querceti non potrebbero espandersi e rinnovarsi senza
il suo concorso, tenuto presente che le ghiande non interrate nei nascondigli da parte di tale corvide non sopravvivono né a disidratazioni spinte né al
gelo prolungato. Ma Garrulus glandarius (Linnaeus) con ciò non esaurisce
la sua funzione di zoocoria, perché nella versatilità del suo comportamento,
e della sua dieta, esso seppellisce nocciole, faggiole, arilli di tasso, pomi di
biancospino e di sorbo degli uccellatori ecc. Se, poi, si ammette – e non è
difficile – che perfino le faggete debbano almeno in parte la loro estensione
alla vivace attività della ghiandaia e se si considera che ad essa si deve l’incessante introduzione di querce e altre latifoglie nelle coniferete, non sorprende che in altri paesi il corvide in questione sia stato riconosciuto degno
di tutela, dato l’alto interesse della sua funzione per la conservazione degli
ambienti forestali (BRIZZI e SCAPINI, 1983).
Perfino la picea, che pure affida ai venti invernali la dispersione dei
suoi semi alati, fruisce anche dell’intervento di un volatile, il picchio rosso
maggiore, per la sua diffusione. Accade infatti di imbattersi prima o poi,
attraversando vecchi boschi, in quelle che il mondo germanico, inesauribile
coniatore di fantasiosa terminologia naturalistica, definisce «Spechtschmieden», le «fucine del picchio», resti della percussione di strobili incastrati in
cortecce di tronchi. Così la spermatofagia, risorsa di sopravvivenza inverna-
1
Nei boschi siberiani la produzione di seme di P. sibirica, abbondantissima durante la pasciona,
è talmente importante per l’approvvigionamento alimentare delle popolazioni umane locali, che nelle
annate di ingente disponibilità di pinoli si autorizza l’indiscriminato abbattimento delle nocciolaie
(com. verb. del Dott. A. Gourov /Krasnojarsk).
2
P. albicaulis, che, tra l’altro, non disseminerebbe spontaneamente se non per marcescenza della
struttura dello strobilo, P. flexilis e P. monophylla, tutti tre dai semi senz’ala.
FAUNA E DINAMISMO DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
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le preziosa ovunque e decisiva nelle regioni nordiche per Picoides major
(Linnaeus), contribuisce a diffondere l’abete rosso e anche il pino silvestre.
Pini, querce, faggi, picea: specie atte a formare popolamenti forestali
di aspetto imponente. Ma l’attività degli uccelli e dei vertebrati omeotermi
ha a che fare spesso – e in modo ben poco appariscente – con la distribuzione spaziale di varie componenti minori delle fitocenosi forestali. Il quadro forse più ricco di rapporti tra piante e animali disseminatori riguarda
ecosistemi forestali mediterranei (HERRERA, 1995). Da esso risulta che, per
esempio, l’asparago selvatico, il lentisco e lo smilace dipendono in modo
assoluto dagli uccelli per la dispersione dei loro frutti e che il lillatro, la
ginestrella, la dafne gnidio, il mirto, l’oleastro, l’alaterno e il rovo comune
affidano all’avifauna la quasi totalità dei loro frutti.
Ricorre da gran tempo nei trattati e nelle opere divulgative la descrizione della sorte del vischio, il cui polline è trasportato dagli insetti e i cui
semi passano indenni attraverso il canale digerente di grossi turdidi e possono venir depositati con gli escrementi sulle scorze di eventuali idonee
piante ospiti: Nel 1857 Darwin ne fece addirittura oggetto di un tipico
esempio di adattamento, scrivendone al botanico nordamericano Asa Gray,
per trasferirla poco dopo, a titolo paradigmatico, nell’introduzione al suo
opus summum.
GLI ANIMALI E I CAMBIAMENTI DI COMPOSIZIONE DEI POPOLAMENTI ARBOREI
Pericolosa per le conseguenze in un avvenire lontano è la graduale eliminazione dell’abete bianco in atto da decenni per azione del capriolo nei
boschi misti in cui la rinnovazione di Picea, non perseguitata dal piccolo
cervide, sostituisce a poco a poco quella di Abies, così che il subentrante
abete rosso finisce per attenuare alquanto l’immagine preoccupante dell’alterata composizione del novellame.
Stiamo pagando da qualche decennio il privilegio di contare su un’abbondanza di Capreolus capreolus (Linnaeus) mai sperimentata finora nel
territorio italico. Ci si può chiedere per ora quali prospettive si profilino
per la futura gestione selvicolturale delle coniferete interessate da tale processo, tenuto pur conto che l’industria della lavorazione del legno per lunga
tradizione non gradisce molto il materiale di abete bianco. Ma, a parte il
rischio di aggravare la situazione delle provate abetine appenniniche con le
introduzioni o reintroduzioni di capriolo a scopo di ripopolamento, in varie
zone alpine l’attuale costituirsi di cospicui nuclei di cervo minaccia seriamente anche la rinnovazione della picea. In terra d’Austria non sembra si
sia dato gran peso al fenomeno, forse perché si conta su un vigoroso, natu-
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L’ITALIA FORESTALE E MONTANA
rale rigenerarsi dell’abete rosso, certo perché i proventi ricavabili dallo
sfruttamento venatorio d’alto livello superano in misura allettante quelli del
macchiatico; sono risorse che nei nostri boschi non sembrano offrirsi con
fascino altrettanto rassicurante.
L’azione degli animali nei boschi può talvolta manifestare singolari
effetti positivi sulla composizione dei popolamenti arborei. Le ormai leggendarie pullulazioni della «processionaria del pino», che nella storia delle
amministrazioni forestali hanno richiesto un colossale impegno finanziario
per l’esecuzione di provvedimenti di controllo, hanno causato danni non
lievi a diverse pinete, oltre ad aver costituito, e a costituire, un pericolo per
l’incolumità delle persone. Occorre, per altro, tener conto anche di qualche
conseguenza delle infestazioni sulla quale non si è riflettuto abbastanza.
Tralasciata ogni considerazione circa il periodico, drastico ripercuotersi
delle devastazioni provocate da Traumatocampa pityocampa sul complesso
degli organismi insediati sugli aghi, il frequente manifestarsi di alleggerimenti delle chiome può avviare interessanti processi di modificazione nella
fitocenosi. Nel caso particolare di dense formazioni artificiali di pino nero
costituite in ambiente meso-termofilo prealpino e continuamente flagellate
durante lo sviluppo dal pullulare della processionaria, la diffusa luminosità
ripetutamente provocata dalle defoliazioni nell’addensamento di piante mai
diradate favorisce a volte l’introdursi e l’ampio distribuirsi del frassino
minore tra le conifere. Così una piantagione pura si avvia, per l’intervento
di forze naturali, a trasformarsi in un Orno-Pinetum nigrae, secondo quanto
spontaneamente si origina nell’evolversi dei boschi di pino nero in area di
indigenato (POLDINI, 1969).
GLI ANIMALI E LA SCOMPARSA DEL BOSCO
La copertura forestale del nostro territorio, in quanto mosaico di situazioni particolari evocate da fattori geomorfologici o fitoclimatici o antropici, è esente da devastazioni causate da insetti su estese superfici. Le foreste
nordamericane invece sono continuamente sotto la minaccia delle pullulazioni del lepidottero fillofago Choristoneura fumiferana (Clemens) (MATTSON et al., 1988), che nel solo decennio 1910-1920 costrinse il Canada ad
abbattere conifere per una xilomassa stimata superiore al 50% del totale
della produzione legnosa nazionale (ANDERSON, 1960); quanto alle latifoglie, sta ancora espandendosi negli Stati Uniti e nello stesso Canada la disastrosa infestazione di Lymantria dispar (Linnaeus), insetto incautamente
importato dall’Europa nel 1869. Immense regioni asiatiche vengono di
quando in quando interessate dal pullulare di macrolepidotteri del genere
FAUNA E DINAMISMO DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
445
Dendrolimus Germar, che privano completamente degli aghi varie conifere
siberiane (KAZANSKIĬ, 1927), condannandole a morire poco dopo per inevitabili attacchi secondari di coleotteri xilofagi del genere Monochamus
Dejean (ROZHKOV, 1970).
Noi assistiamo, per ora impotenti e sgomenti, all’inesauribile annientamento delle formazioni costiere di pinastro in Toscana, dopo aver subìto la
distruzione di quelle liguri, in seguito all’introduzione e alla progressiva diffusione della cocciniglia Matsucoccus feytaudi Ducasse (COVASSI et al.,
2002). Non sappiamo quale copertura vegetale possa prima o poi costituirsi
a protezione dei suoli improvvisamente esposti alle bizzarrie degli agenti
meteorici e soggetti al rischio di erosioni dall’imprevedibile esito.
In altri ambienti litoranei, soprattutto lungo le spiagge adriatiche, la
tenace insistenza con cui in passato si son voluti formare popolamenti di
pino domestico è stata frustrata dalle infestazioni di Tomicus destruens
(Wollaston), coleottero scolitide mediterraneo, che sembra quasi essersi
assunto il compito di punire l’errore ecologico d’aver imposto al nostro territorio la presenza di una specie arborea da gran tempo isolatasi in altre
sedi di spontanea vegetazione.
Gli olmi, tutti gli indigeni e molti degli ibridi con i così detti «siberiani», da circa un ventennio sono ovunque perseguitati dall’imperversare
della «grafiosi», tristemente nota epidemia causata dal fungo Ophiostoma
ulmi (Schwarz) Nannfeld e aggravata dal sopraggiungere, nella fase erompente, di O. novo-ulmi Brasier (BRASIER, 1991). Il dilagare del patogeno è
dovuto, in parte preponderante e decisiva, ai coleotteri scolitidi del genere
Scolytus (Geoffroy), soprattutto a S. multistriatus Marsham, e, in minor
misura, del genere Pteleobius Bedel, secondo un processo di trasporto-inoculo-sfruttamento che mantiene in funzione un ciclo perverso fino alla
scomparsa delle possibili piante ospiti in un’area definita dal raggio di volo
dei vettori. Anche in questo caso ignoriamo come nella vegetazione verrà
sostituita la presenza degli olmi, fino a che, com’è pure auspicabile, agli
olmi sarà concesso di riprendere il loro posto nelle fitocenosi planiziali e
montane.
Non uccidono, o non uccidono subito, le piante attaccate i roditori
arboricoli che a volte in gran numero si accaniscono a decorticare i cimali di
latifoglie o conifere. È in ogni caso innegabile l’importanza selvicolturale dell’infierire dell’una o dell’altra specie a carico dei parenchimi liberiani. In primavera non pare scontato attendersi che nel giro di alcune notti il topo quercino uscito dal letargo annulli il risultato di una trentennale piantagione di
larice prelevando, a morsi, quadrangolari tasselli di scorza succosa. Non è
facilmente prevedibile che un abnorme contingente di ghiri sopravvissuti a
sette mesi d’inverno si scateni a danneggiare senza rimedio conifere e latifo-
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L’ITALIA FORESTALE E MONTANA
glie, come sta accadendo in questo giugno 2002 sull’altopiano dei Sette
Comuni, in ennesima ripetizione di quanto saltuariamente ivi si verifica. È
per lo più estivo e capriccioso l’infierire dello scoiattolo contro parti alte di
varie piante, spesso conifere, che vengono decorticate a cercine o a spirale.
Càpita a volte che perfino piccoli roditori terragni, come certe arvicole
di norma erbivore, spinti dalla fame per trovarsi in un numero di svernanti
eccessivo rispetto alle risorse dell’usuale cibo, rodano al colletto giovani
esemplari di conifere. Accadde, per esempio, nella Foresta di Tarvisio, dove
una piantagione sperimentale venne distrutta al disgelo da un’orda di
Microtus agrestis (Linnaeus).
Ma che dire delle «bertucce» (Macaca sylvanus (Linnaeus)), che nel
Medio Atlante concorrono, con le decorticazioni causate dai loro morsi, a
configurare il preoccupante quadro del deperimento dei cedri, mettendo a
severa prova la professionalità dei tecnici forestali, cui si chiede da un lato
di abbattere le scimmie e dall’altro di assicurarne la sopravvivenza, nel
rispetto delle direttive internazionali a tutela della fauna selvatica?
Anche gli animali introdotti dall’uomo in ambienti forestali e altomontani hanno imposto qualche tributo alla vegetazione dei biotopi soggetti alla loro frequentazione, solo che in parte non s’è attribuita grande
importanza agli effetti dell’azione svolta dagli erbivori (qualifica troppo
ottimistica nella sua precisione semantica), in parte non ci si è veramente
accorti delle modificazioni ad essa imputabili, insensibilmente verificatesi in
fitocenosi di prato arborato e perfino di vera e propria foresta. È chiaro e
noto e sopportato, per esempio, che pecore e soprattutto capre, liberate
dall’alba al tramonto su ampi versanti tutt’al più sotto la sorveglianza dei
cani, bruchino e scorteccino quanto possibile; non altrettanto sembra evidente e riconosciuto e lamentato l’effetto per quanto riguarda la selezione
alla rovescia dei selvaggioni nei territori di pascolo3 e la più frequente causa
del formarsi di fusti policormici nelle coniferete.
Vi è inoltre un riflesso negativo del diuturno esercizio del pascolo ovino
nei lariceti: è stato accertato che, verosimilmente per il costipamento degli
orizzonti superficiali del suolo, le condizioni vegetative del larice si degradano e a lungo rimangono alterate dopo l’eventuale cessazione dello sfruttamento pastorale, rendendo le piante particolarmente esposte ai danni causati
dal microlepidottero Coleophora laricella (Hübner) (SCHIMITSCHEK, 1969).
Vi sono infine le incertezze sul futuro di determinate specie arboree o
perfino di interi complessi forestali per l’incombente pericolo di introdu-
3
Già nel 1954 la solida esperienza forestale suggerì a SUSMEL (l.c.) di sottolineare l’importanza
della vegetazione arbustiva quale difesa delle piantine di pino cembro dal morso del bestiame.
FAUNA E DINAMISMO DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
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zioni di temibili specie animali, soprattutto di artropodi, com’è intuibile
(COVASSI e MASUTTI, 1999), in quanto quella che si può ben definire «globalizzazione naturale» è in atto da tempo, al sicuro da ogni possibile contestazione. È giunto e si è ormai stabilito in Portogallo, su pinastro, il nematode Bursaphelenchus xylophilus (STEINER e BUHRER) agente del deperimento noto come «pine wilt disease», dopo aver compiuto stragi di pini in
Estremo Oriente, soprattutto in Giappone (10 milioni di alberi perduti fino
al 1981), ed essersi rivelato dannoso, più tardi, anche nel Nordamerica. Il
timore di un suo arrivo in Europa determinò in un recente passato l’embargo nei riguardi delle importazioni di legno di conifere dagli Stati Uniti e dal
Canada: fu naturalmente una precauzione inutile. Ora si teme il peggio,
avendo constatato che anche il coleottero cerambicide Monochamus galloprovincialis (Olivier), come i congeneri dell’Asia e del Nordamerica, può
fungere da insidioso vettore del nematode (FRANCARDI e PENNACCHIO,
1996); si noti che il caso del pinastro, vittima finora accertata nel nostro
continente, è un’aggiunta inattesa alla trepidazione per il pino silvestre, ben
più diffuso e certo più importante per la selvicoltura europea.
Gli enormi interessi legati alla coltivazione di Pinus radiata D. Don in
Sudamerica, Sudafrica e Oceania stanno subendo fieri colpi per gli implacabili attacchi dell’imenottero siricide Sirex noctilio Fabricius (MADDEN, 1988),
paleartica specie forestale che nel 1935 apparve in Nuova Zelanda, aprendosi
così una nuova storia, alla conquista di coniferete nel mondo intero.
Molto vi sarebbe da discutere sul contributo della pedofauna al rimaneggiamento dei residui nei suoli forestali, substrati in cui gli animali concedono, se non altro in termini di accelerazione dei processi bioriduttivi,
più di quanto utilizzino, in termini di energia. Qui è appena il caso di osservare come all’intero svolgersi del riciclo non partecipino soltanto lombrichi
e artropodi ipogei, ma concorrano anche gli insetti fitofagi, i quali possono
causare l’estemporaneo formarsi di depositi di detriti vegetali dalla composizione più o meno modificata.
Merita inoltre che in questa sede almeno si accenni a un notevole progresso realizzato nelle conoscenze sulla complessa trama delle relazioni che coinvolgono funghi e organismi animali nel rimaneggiamento delle difficili lettiere di
faggio. I risultati in proposito ottenuti da TOUTAIN (1981) non solo hanno
dimostrato la validità di antiche ipotesi sull’importanza dei fenoli nell’iniziale
rallentamento dei processi di bioriduzione (H ANDLEY , 1961; E DWARDS e
HEATH, 1963), ma hanno anche messo in luce sia l’opportunità che ciò accada
per il più favorevole riciclo dell’azoto ricuperabile, sia la necessità che funghi
della «carie bianca» del legno intervengano nello sbloccare la disponibilità dell’azoto stesso e nello stabilire intricati rapporti trofici con gli artropodi più
impegnati nell’elaborazione dei detriti dell’ecosistema di faggeta.
448
L’ITALIA FORESTALE E MONTANA
EPILOGO
Dall’inizio alla fine di ogni evento di successione forestale si assiste a
un fervere della vita animale, che suscita o accompagna il susseguirsi di
cambiamenti di ciascuna biocenosi: con azioni lente, spesso discontinue,
quasi sempre inavvertite nel fluire degli eventi durante la colonizzazione o
la ricolonizzazione dei biotopi, insistenti invece, o incalzanti, nel caso di
modificazioni d’assetto della compagine di fattori biotici.
Lo spazio concesso agli interventi umani nel quadro delle interrelazioni biocenotiche in ambienti di bosco è notoriamente limitato; le iniziative
lecite e fruttuose presuppongono una profonda conoscenza della realtà
forestale. La soluzione dei problemi pratici nel tempestivo sorreggere pericolanti situazioni di rapporti tra fauna e vegetazione o nel guidare il rinnovato avvio di equilibrati meccanismi di retroazione alla rinascita di un silvoecosistema richiede indubbiamente il contributo di specialisti. Il disegno
generale e il controllo in corso d’opera sono tuttavia compiti da affidare al
tecnico forestale, come insegna l’esperienza di riunioni scientifiche intese
ad escogitare provvedimenti per la tutela di delicate situazioni ambientali in
territori boscosi. Vi sarà molto da svolgere in futuro per salvare patrimoni
naturali, reti idriche e superstiti risorse di biodiversità, mantenendo, ove
possibile la produttività. Laureati in corsi di studi forestali sono da tempo
impegnati in attività pertinenti a tali esigenze e stanno onorando il titolo e
la professione. Ai prossimi loro colleghi non basterà la preparazione universitaria di primo livello per affrontare problemi come quelli sopraelencati e
occorrerà una visione sempre più ampia delle relazioni intercorrenti tra le
zoocenosi e le fitocenosi dei sistemi di foresta.
SUMMARY
The role of animals in formation and dynamics of forest ecosystems
Forest ecology, in its widest sense, is able to discover the fundamentals of the
investigated natural processes as long as it considers the continuous, mutual adaptation
between woody plants and fauna adequately, and taking account of the different way
in which time, as an essential factor, exerts its influence on the vicissitudes of trees and
animals either as individuals or populations.
As a whole, it is a matter of an unceasing concurrence of two tendencies: one,
typical of the big woody plants, turned to keep a sort of inertia in the biogeocoenose,
the other, typical of the animal component, evoking a lasting dynamism in the
functions of the ecosystem.
In the general picture of the relations between the two complexes of organisms, it
is possible to recognise the steps of succession from which the origin, development,
decline and disappearance of the natural woods arise.
FAUNA E DINAMISMO DEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
449
In the history of various sorts of forests’ beginning, the zoochory is much less
casual than what is usually believed; it widely influences even the constitution of the
«minor» woody species complex, especially because of birds’ intervention.
Many animals contribute to modify the composition and structure of woods
whose condition seems to be steady.
Besides the consequences of the increasing presence of ungulates, the secondary
effects of certain phytophagans’ outbreaks are often crucial and unexpected.
On their whole, the species which are destroying the seaside pine or had
eliminated the Italian stone pine from various coasts or facilitated the endangering
spread of the Dutch elm disease have become dramatically important throughout the
Italian territory since long time. But also the action of wild and even domestic
mammals can affect the forest stands’ sort in a decisive way.
Moreover there is a problem not new, but surely aggravated and destined to
assume an increasing importance owing to the intensification and acceleration of the
wide range transports. Introduced alien animal species, insects most of all, force the
enviromental resistance and start up situations never occurred before in the forest
ecosystems.
In the future, only the foresters having had a sound grounding in biology can
face the necessity of keeping intact the processes giving rise to the dynamic
conservation of the wealth of woods.
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