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II unità – Modelli di disciplina del biodiritto
Biodiritto: il ritardo fisiologico
La disciplina giuridica dell’oggetto del biodiritto è caratterizzata da un ritardo, che può essere
ritenuto fisiologico.
Detto ritardo evidenzia le velocità differenti con cui si muovono
- l’innovazione scientifica e tecnologica
- l’approfondimento culturale, politico e giuridico, che è chiamato a valutazioni, caratterizzate da
stabilità e condivisione, sulle possibilità di scelta che si aprono grazie alle nuove scoperte in
ambito scientifico.
È bene osservare che la distonia non può essere giustificata da pretesa “novità” delle scoperte in
ambito biotecnologico: in realtà gli ambiti di ricerca e le frontiere della stessa sono ben delineati
(clonazione, ingegneria genetica animale e vegetale, neuroscienze, biologia sintetica).
Ciò premesso, il ritardo del biodiritto nella regolamentazione del suo oggetto nasce per almeno tre
ordini di ragioni
a) il primo è legato alla natura stessa del diritto: perché si abbia una normazione dotata di
efficacia e certezza è necessario che si registri una certa condivisione, poiché non appare
appropriato utilizzare il mero principio maggioritario
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si registra una lentezza nel “formarsi” del diritto: lentezza dovuta anche alla complessità dei
processi del dibattito politico e conseguente produzione giuridica, che non può dare
strutturalmente risposte immediate, ma richiede il “tempo” della mediazione utile per la
formazione appunto di un consenso diffuso che garantisca in termini di legittimazione delle
decisioni adottate
b) il secondo ordine può essere rintracciato in una differenza essenziale tra diritto e
scienze/ricerca biomedica: se queste sono ripetibili in ogni parte del globo (la riproducibilità
sperimentale è una caratteristica propria della scienza) non altrettanto può dirsi del diritto. Una
disciplina giuridica che risulta essere efficace e buona in alcuni contesti, non potrebbe esserlo in
altri → il trapianto di istituti e regolamentazioni giuridiche da un ordinamento ad una altro non
dà necessariamente gli stessi risultati (cfr. questione dei criteri giuridici di accertamento della
morte)
c) il terzo ordine di motivi rimanda all’oggetto della disciplina biogiuridica: esso attiene a
tematiche su cui innestano strutture morali e di coscienza individuali → sulla disciplina di tali
tematiche finiscono per scontrarsi strutture di pensiero consolidate e spesso contrapposte, che
impediscono il raggiungimento agevole di una disciplina condivisa
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Approccio astensionista vs approccio interventista
Modello astensionista
Il modello astensionista nasce dalla preoccupazione per una limitazione della libertà di ricerca,
sostenendo la sufficienza e l’efficacia della capacità di autoregolamentazione, affidate a
- componente deontologica
- controllo della comunità scientifica internazionale
Premesso che si tratta di approccio per lo più proprio di ordinamenti di civil law, i quali optano per
tale orientamento ordinariamente adducendo motivi pro flessibilità e contra pretesa rigidità di una
regolamentazione in materia, in realtà l’assenza di disciplina giuridica non implica affatto flessibilità ed
apertura, semmai si individuano possibili rischi per la tenuta dei principi democratici.
Una mancanza di disciplina potrebbe indurre ad accentuare la tendenza già presente ad orientare le
scelte terapeutiche non nella prospettiva del miglior interesse del paziente, ma nella prospettiva della
minor probabilità di incorrere in responsabilità di carattere civile o penale (→ medicina difensiva); così
come possono emergere tendenze terapeutiche verso modelli market-oriented o modelli che assumano
una moral regulation.
Modello interventista
Il modello interventista si fonda sull’assunto che pratiche che incidono fortemente su diritti/doveri
dei soggetti non possono essere lasciate al laissez-faire, ma necessitano di una disciplina giuridica.
Si tratta di approccio per lo più proprio degli ordinamenti di common law, il cui intervento
disciplinare non si caratterizza tuttavia in senso di rigidità regolamentare: sovente tali ordinamenti
pongono limiti di principio anche ampi, lasciando spazi di decisione a componenti normative non
strettamente giuridiche e/o legislative.
È modello/approccio che offre garanzie di maggiore stabilità e certezza per i soggetti coinvolti.
Premesso ciò, il modello interventista presenta una molteplicità di possibilità per forme, obiettivi e
tipologie adottabili, potendosi individuare distinzioni su quanto, quanto, come e con quale contenuto
intervenire.
a) Quando intervenire: seguire o guidare il consenso?
L’alternativa si pone fra un intervento normativo che segua l’orientamento già formato a livello
sociale o un intervento che tenda ad orientare, invece, il consenso sociale.
La prima opzione, a prima vista, può sembrare la più opportuna: la giuridicità richiede
ordinariamente una condivisione dei principi fondanti la coesistenza, a maggior ragione quando si tratta di
disciplinare questi particolari ambiti.
Avverso tale opzione può essere mossa un’obiezione fondamentale: il diritto può limitarsi a
svolgere una mera funzione notarile, protocollando scelte già compiute a livello sociale?
Di certo il riconoscimento a livello giuridico non può essere mai automatico: è sempre necessaria
un’opera di aggiustamento e razionalizzazione, tesa a mantenere una coerenza ordinamentale.
In una parola, il diritto non può avallare acriticamente, ma deve valutarne la legittimità
costituzionale, assicurando che la decisione sia compatibile con le istanze di pluralismo.
Esempio: approccio scelto da UK per quanto concerne la terapia genica (commissione Clothier)
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b) Quanto intervenire: leggerezza ed apertura vs rigidità ed esclusione?
Il primo approccio è un modello che si costruisce su principi di leggerezza ed apertura, fondandosi
su logiche di inclusione e dialogo, mentre la seconda opzione è un modello chiuso, prediligendo l’esclusività
dell’intervento giuridico.
Prima opzione tipica degli ordinamenti di common law. Esemplare è l’orientamento UK in materia
di scelte riproduttive. La commissione Warnock che ha studiato la questione ed ha concluso invitando a
legiferare in maniera leggera e flessibile → Human Embryology Act (1990, rivisto nel 2008) con il quale sono
posti alcuni limiti piuttosto ampi quali
. divieto di clonazione
. protezione dell’embrione a partire dal 14° giorno
. diritto di informazione e consenso per i donatori
È stata creata quindi un’Authority cui è stato demandato il compito di vigilare e regolare gran parte
della materia
Il resto è lasciato al combinato disposto da
. Code of Practice
. decisioni dell’Authority
. sentenze delle Corti
La seconda opzione è tipica propriamente degli ordinamenti di civil law. Emblematica in tal senso è
l’esperienza italiana per la disciplina della fecondazione assistita e/o artificiale ex legge 40/2004, con la
quale
. si statuisce un principio di protezione del concepito fortissimo
. si disciplinano puntualmente le pratiche
. si prevedono sanzioni penali
c) Come intervenire: procedura vs contenuto
Avendo riguardo delle modalità di intervento, si possono avere due possibili approcci, potendosi
procedere
- dando indicazioni di carattere procedurale, lasciando aperte le soluzioni dei singoli casi
- dando indicazioni di principi e regole per disciplina dei singoli casi
Emblematico del modello procedurale è ancora l’approccio dell’UK per quanto concerne la
procreazione assistita e/ artificiale, ove stabiliti i principi indicati nello Human Embryology Act, si lascia che
il resto sia regolato da un’Agenzia indipendente, le cui decisioni sono prese comunque nel best interest f
child, decisioni soggette al controllo della giurisdizione ordinaria.
In UK l’Authority si costituisce, pertanto, come un regulatory body, cui compete la discplina della
materia , svolgendo così un ruolo normativo complementare, ma essenziale.
Un approccio di tipo procedurale è tipico anche di ordinamenti di civil law, specie quando si
disciplina la sperimentazione con gli esseri umani. In Italia, per esempio, si applicano diversi testi normativi
internazionali e regolamentazioni ministeriali, quali
- il Codice di Norimberga
- la Dichiarazione di Helsinki
- il Code of Medical Ethics della World Wide Medical Association
- la Convenzione di Oviedo
- le Linee guida della buona preatica medica (UE)
- il DM 12 maggio 2006
non solo, ogni ricerca deve essere comunque sottoposta alla valutazione di un comitato bioetico.
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d) Contenuto: modello permissivo vs modello impositiivo
Avendo riguardo del contenuto, si possono avere due modelli contrapposti, quali quello a tendenza
impositiva e quello a tendenza permissiva. È bene sottolineare che si parla di modelli a tendenza permissiva
(individualisti e/o liberali) o a tendenza impositivi (organicisti e/o comunitari), e non permissivi o impositivi
tout court.
Modello a tendenza permissiva
Si tratta di un modello che si fonda sul riconoscimento del singolo come agente morale
assolutamente libero → rispetto della sua autonomia e conseguente centralità del principio di
autodeterminazione individuale.
La persona, centro di volizione ed azione morale, è il cardine delle scelte relative alla propria vita: in
tale modello si presuppone l’esistenza di soggetti liberi ed eguali, riconosciuti titolari del diritto di orientare
la propria vita e morte secondo i propri interessi e valori.
Tale modello si fonda così su una concezione del soggetto che ne riconosce e valorizza le
caratteristiche di consapevolezza, uguaglianza e libertà d’agire → l’individuo può determinarsi in forma
autentica e condizionata.
Quaestio. Si tratta di un modello che sicuramente rispetta il soggetto nella sua capacità di
autodeterminazione, ma presuppone una capacità ed una piena consapevolezza: quando non si
concretizzano tali condizioni, quando l’individuo si trova in condizioni esistenziali di debolezza ed
indipendenza, quanto può essere libera la determinazione espressa in tali circostanze?
Il riconoscimento pieno del diritto di autodeterminazione non esclude la possibilità comunque di
imporre determinati trattamenti al fine di tutelare la salute pubblica.
In tale prospettiva, il concetto di dignità, di vita degna è lasciato alla disponibilità dell’individuo, cui
è riconosciuta la facoltà di assumere determinazioni che ne possano provocare anche la morte. È bene
osservare, tuttavia, che anche in tale modello non è disposto un “diritto alla morte”: negli ordinamenti che
si inscrivono in tale prospettiva è disposta, ordinariamente, la non punibilità dei medici che praticano
assistenza al suicidio, accompagnando tali disposizioni con la verifica dell’0esistenza di requisiti posti al fine
di evitare una slippery slope verso pratiche eugenetiche e/o discriminatorie, quali
. accertamento della sussistenza di un quadro clinico gravissimo
. accertamento rigoroso dell’autenticità della volontà
. disposizione di profili di carattere procedurale e contenutistico molto stringenti
Stati che si inscrivono in tale orientamento, per quanto riguarda le decisioni di fine vita, sono Paesi
Bassi, Belgio, Colombia, Confederazione Elvetica, Oregon, Montana e Washington (negliUSA).
In particolare, nei Paesi Bassi l’iter è iniziato nel 1997 con il caso Postma ed ha trovato una
finalizzazione con l’approvazione del Suicide Act nel 2001, con il quale sono individuati alcuni criteri
(accertamento della volontà del paziente, condizione di sofferenza senza possibilità di miglioramento,
accertamento di una corretta informazione, consulto medico indipendente), che, se soddisfatti,
determinano la non punibilità del medico. La richiesta del paziente è comunque sottoposta a valutazione di
una commissione regionale di controllo.
Nei Paesi Bassi è ammessa la richiesta da parte di minori, con una differenziazione delle modalità
secondo il grado di maturità, così come è ammessa la richiesta nei confronti di neonati, la cui pratica
tuttavia sottoposta alla valutazione di una commissione di esperti dedicata.
Nel Belgio è disposta la non punibilità del medico che pratichi eutanasia attiva o passiva, purché
siano soddisfatti criteri determinati dall’Act on Euthanasia del 28 maggio 2002. Un Act che dispone in
maniera pressoché analoga ai Paesi Bassi, anche se è esclusa la possibilità di accesso ai minori e le
condizioni di sofferenza sono dettagliate in maniera più rigorosa e puntuale.
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In Colombia la non punibilità del medico non discende da una normativa, ma da una sentenza della
Corte Costituzionale, la sentenza C239/97 del 20 maggio 1997
Nella Confederazione Elvetica sono puniti tanto l’istigazione quanto l’aiuto al suicidio, se dettati da
motivi egoistici (art. 115 cp); è punito anche l’omicidio del consenziente. Sono state elaborate, tuttavia,
linee guida da Accademia svizzera delle scienze mediche.
Nel Montana la non punibilità del medico, analogamente alla Colombia, discende da una sentenza
della Corte suprema.
Nell’Oregon la materia è disciplinata dal Death with Dignity Act del 1997, con il quale si esclude la
possibilità di accesso alla pratica eutanasica per motivazioni legate all’età e/o disabilità
Nello stato di Wahington, la materia è disciplinata dal Washington Death with Dignity Act del 2009,
con il quale si consente l’accesso a malati terminali, con una prognosi di sei mesi di vita, che esprimano due
volte oralmente la richiesta e la ripetano ancora due volte per scritto.
Modello a tendenza impositiva
In tal caso l’ordinamento tende ad imporre modelli di comportamento tesi al rispetto ed alla
promozione di valori e principi, di quello che si ritiene il bene del singolo, anche contro la sua volontà.
Esemplari in tal senso sono i modelli “impositivi di morte” (infanticidio a Sparta,
Eutanasieprogramm nel Terzo Reich), ossia ordinamenti che adottano normative che impongono la morte
secondo criteri di “utilità sociale”.
Altrettanto emblematici sono i modelli “Impositivi della vita”, che tendono ad imporre l’esistenza in
vita fin dove possibile, prevaricando eventualmente la volontà individuale. In tali ordinamenti la vita non è
nella disponibilità del singolo, ma costituisce un concetto delineato a priori.
In tale modello il soggetto non è considerato centro di imputazione e responsabilità davvero
autonomo: la concezione della dignità non è lasciata all’autodeterminazione dei soggetti. Si tratta di un
modello che all’apparenza sembra non riconoscere una piena autonomia al soggetto, ma forse appare più
attento alla dimensione concreta degli individui, particolarmente quelli che vivono in condizioni di
debolezza e vulnerabilità, che preludono spesso a influenzabilità: in tal caso, il modello a tendenza
impositiva potrebbe anche costituire un baluardo avverso possibili soprusi nei confronti di chi vive nella
fragilità, costituendo una garanzia contro eventuali soprusi.
Tale modello non è incompatibile con un diritto generale di autodeterminazione, il quale recede in
presenza di alcune situazioni nelle quali si ritiene che alcune dimensioni, considerate fondamentali della
persona, possano essere violate.
Ordinamenti a tendenza impositiva sono gli USA, UK e Italia.
Gli USA si collocano in tale orientamento, in quanto
- riconoscono, anzi, è consolidato un diritto a rifiutare terapie mediche (leading case il caso
Cruzan) → affermazione del c.d. living will
- non riconoscono un diritto a morire, sostanzialmente per il timore di avviarsi verso una slippery
slope in senso eugenetico e/o discriminatorio (caso Vacco v. Quill e Washington vs. Glucksberg)
Anche la Gran Bretagna si colloca all’interno di tale orientamento, in quanto
- è riconosciuto un diritto generalizzato al rifiuto d cure, anche se di sostegno vitale (caso Ms B e
caso Bland)
- non è riconosciuto un diritto a morire, anche se è viva una prassi tesa a non procedere nei
confronti di persone che, per motivi pietosi, accompagnassero i propri cari malati e sofferenti in
Svizzera, per ottenere il suicidio.
L’Italia si iscrive in tale orientamento, in quanto
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riconosce un diritto all’autodeterminazione, che ha un rango costituzionale ex art. 32 cost. e
che può essere compresso solo in presenza di circostanze e motivi specifici
- se non esiste un dovere di curarsi, non è dato comunque un diritto a morire, prevedendo la
punibilità dell’omicidio del consenziente (art. 579 cp) e dell’aiuto al suicidio (art. 580 cp).
Quaestio: se appare consolidato il principio per cui il medico è tenuto a rispettare la volontà del
paziente, non si ha ancora giurisprudenza che consideri, in automatico, reato l’effettuazione di un
trattamento non voluto.
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