TTIP, DIRITTI SOCIALI E DIRITTI DEL LAVORO: LO SPAZIO INCOMPRESO DEL PARTENARIATO
TRANSATLANTICO
1.1 Il TTIP tra crisi democratica e del lavoro
“garantire, al fine di proteggere il modello sociale europeo dalla concorrenza del capitalismo
anglosassone americano, che i servizi pubblici e i sistemi di sicurezza sociale a finanziamento
collettivo non vengano sacrificati; il TTIP non deve aumentare la pressione esercitata sugli Stati
membri per ridurre la spesa pubblica utilizzandola come facile espediente per diventare più
competitivi sotto il profilo economico e offrire agli investitori un clima imprenditoriale allettante”1
Si potrebbe partire da qui, da uno dei Suggerimenti proposti dalla Commissione per l'occupazione
e gli affari sociali dell’Ue, contenuto nel c.d. Rapporto Lange, che appare paradigmatico della
relazione esistente tra il TTIP e i diritti sociali e del lavoro.
E, in particolare, partiamo dalla seconda affermazione contenuta nel Suggerimento dove è scritto
che “il TTIP non deve aumentare la pressione esercitata sugli Stati membri…”, quasi che il
Partenariato Transatlantico su Commercio e Investimenti abbia vita propria, sia un Organo
istituzionalmente riconosciuto e, tuttavia, contrapposto e slegato dagli “Stati membri”, ossia da
quei luoghi della sovranità democratica in cui vivono alcuni milioni di cittadini europei, che
dovrebbero poi recepirlo.
Ma il punto è proprio questo: il TTIP rappresenta l’emblema dei nostri giorni, soprattutto se lo si
analizza in correlazione con i diritti sociali che, come si illustrerà più avanti, l’applicazione del
Partenariato inevitabilmente intaccherà: un siffatto accordo commerciale non poteva che
manifestarsi, in tutta la sua forza prevaricante, se non nel periodo di massima crisi degli Statinazione; periodo, inoltre, in cui la lex mercatoria mostra tutta la sua forza travolgente anche nei
confronti dei diritti sociali che da decenni sono in continua destrutturazione per assecondare le
esigenze della globalizzazione dei mercati.
Insomma, una sorta di “se non ora quando” derivante da una volontà di matrice neoliberista che
incalzata dalle improcrastinabili esigenze del Mercato (con i suoi potenziali profitti in giro per il
mondo) e sfruttando i pezzi di sovranità strappata agli Stati - e l’asfissia democratica che in essi si
1
Parere della Commissione per l'occupazione e gli affari sociali nella Relazione recante le raccomandazioni del
Parlamento europeo alla Commissione sui negoziati riguardanti il partenariato transatlantico su commercio e
investimenti (TTIP).
consuma, accentuata dalla crisi economico-sociale - intende definire un accordo che riguarda
cittadini europei e americani nell’assoluta segretezza dei suoi contenuti.
1.2 Modello europeo vs. modello americano.
Analizzando invece la prima parte del Suggerimento sopra riportato, in cui si legge che occorre
garantire il “modello sociale europeo dalla concorrenza del capitalismo anglosassone americano”,
è utile fare alcune osservazioni.
Se è vero che l’Europa è la patria dello stato sociale che, sorto sin dall’Ottocento, si sviluppa fino
agli anni ’80 del secolo successivo 2; sebbene i diritti sociali “con il loro portato di trasformazione ed
emancipazione nella vita delle persone” hanno rivestito per oltre mezzo secolo una “funzione
guida delle democrazie avanzate”3; e che il diritto del lavoro è stato una delle “più significative
acquisizioni del progresso civile dell’Europa moderna a vantaggio delle moltitudini di individui”4; è
altresì vero che le politiche economiche adottate dall’Europa hanno determinato un cambio di
rotta che ha prodotto “con buona pace della Carta di Nizza e persino delle dichiarazioni dei diritti
universali dell’uomo” una legislazione degli Stati membri dell’Ue volta a “ri-mercificare il lavoro”5.
Già a partire dalla fine degli anni ’70 matura progressivamente una svolta nei rapporti tra stato e
mercato, che dal puro dibattito teorico, passa a influenzare scelte di politica economica e sociale,
sino a giungere, negli ultimi decenni, al trionfo dell’empirismo neoliberista e del suo “darwinismo
sociale” che interpreta “l’azione compensativa” assegnata allo stato sociale come “eticamente non
opportuna poiché ridurrebbe la capacità degli individui di badare a sé stessi”6.
Ed è in questo mutato clima che avviene la costruzione dell’Unione Europea, inspirata alla
stabilizzazione economica e alla normalizzazione degli equilibri sociali più che al ripensamento del
proprio modello economico e sociale (anche in termini di innovazione e sostenibilità).
Contestualmente vi è un’accelerazione della dinamica della globalizzazione che tende a svincolare
i mercati dai rapporti interattivi con le istituzioni pubbliche cresciuti ininterrottamente nei decenni
precedenti: “il dato reale della finanziarizzazione dell’economia, un aspetto caratterizzante della
globalizzazione, fa sì che anche l’analisi e le indicazioni di politica previlegino la dimensione
finanziaria rispetto a quella economica”.
2
Rapporto sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo globale, AA.VV., dove è disponibile un’interessante analisi
storica, politica ed economica sul welfare state.
3
A. Perulli, Diritti sociali fondamentali e regolazione del mercato nell’azione esterna dell’Unione Europea, in Rivista
giuridica del lavoro e della previdenza sociale vol. 2, pp. 321-345, 2013.
4
U. Romagnoli, Il diritto del lavoro nell’era del mercato delle regole, Eguaglianza&Libertà, rivista di critica sociale, 2015
5
U. Romagnoli, La paralisi del giuslavorismo progressista, Eguaglianza&Libertà, 2015.
6
Rapporto sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo globale, cit.
Il risultato finale è il verificarsi di un’inversione di tendenza della spesa sociale in Europa a partire
dagli anni ‘90. In Italia, in particolare, il dato è diminuito per l’intero decennio: la spesa sociale
complessiva procapite dal 1991 al 2000 si è abbassata di oltre 10 punti percentuali 7.
Oltre al welfare, l’orientamento neoliberista ha intaccato anche l’ambito più strettamente
giuslavoristico. Basti pensare, solo per citare gli ultimi provvedimenti in ordine di tempo, al “jobs
act “di Renzi che ora il Presidente Francois Hollande vorrebbe copiare per una versione francese
(ribattezzata “legge Khomri” dal nome della Ministra del Lavoro che ha presentato il progetto di
legge) tesa ad alleggerire le norme sui licenziamenti, introdurre novità in materia di orario di
lavoro, etc. Pensiamo anche alle tre riforme strutturali spagnole, che hanno introdotto elementi di
flessibilità nel rapporto di lavoro e il decentramento della contrattazione sindacale: ci si riferisce a
quelle partorite tra il 2010 e il 2011 dal Governo di José Luis Rodríguez Zapatero (in particolare la
legge n. 35/2010, considerata troppo “timida” da parte delle aziende; osteggiata, per motivi
opposti, dai sindacati dei lavoratori); quella del Governo di Mariano Rajoy del 2012 (legge n. 3).
Sebbene, dunque, storicamente i modelli capitalistici di USA e Ue sono stati identificati come
“opposti” - quello statunitense più liberista, quello europeo orientato all’economia sociale di
mercato - le legislazioni lavoristiche europee degli ultimi decenni hanno vissuto una tendenza
destrutturante dei diritti dei lavoratori. D’altro canto, è anche vero che l’America di Obama ha
affrontato la crisi economica attraverso politiche di sostegno alla domanda e all’occupazione, ha
esteso alcuni diritti sociali (pensiamo in campo sanitario), molti Stati hanno innalzato il livello
minimo di salario, nello stesso tempo in cui l’Europa puntava all’equilibrio di bilancio più che alla
crescita, anche a costo di sacrificare il modello di welfare8.
Anche per tali motivi, parte della dottrina ritiene che il TTIP rappresenti una novità rispetto ad
altre esperienze di partenariato internazionale in ragione del fatto che esso “non regola il
commercio tra economie «dis-pari» – paese emergente e paese sviluppato – con sistemi giuridici e
giurisdizionali non comparabili” evidenziando situazioni di “quasi-coincidenza” in molti ambiti quali
il sistema di contrattazione decentrata, il regime rimediale dei licenziamenti, gli schemi protettivi
del lavoro atipico9.
7
ibidem
T. Treu, TTIP: raccomandazioni europee per un labor chapter, Economia e Lavoro, 2015, n. 2.
9
M. Faioli, Libero scambio, tutele e sostenibilità. Su cosa il Ttip interroga il (nuovo) diritto del lavoro, Rivista giuridica
del lavoro e della previdenza sociale, 2016.
8
1.3 … ma le differenze permangono
Quanto si qui detto non è tuttavia sufficiente a creare un livellamento dei sistemi giuslavoristici dei
due continenti considerando che i Paesi europei godono, nonostante tutto, di un sistema
protettivo più forte rispetto a quello americano e che la stessa agibilità e il potere riconosciuto ai
sindacati del Vecchio Continente, fa una bella differenza.
Né va trascurata la tradizionale “ritrosia” degli USA a ratificare le convenzioni internazionali
(anche) del lavoro10.
Tanto che entrambe i sindacati, quello europeo e quello americano, hanno paventato un pericolo
di “americanizzazione del lavoro” che il TTIP potrebbe provocare.
Anche la materia delle relazioni industriali e l’agibilità dei sindacati in azienda, come l’azionabilità
di taluni diritti collettivi, sono ulteriori elementi di differenziazione e squilibrio tra i contraenti
atlantici.
Difatti tanto la libertà di associazione, quanto la contrattazione collettiva, sono riconosciute e
protette dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo e la Carta dell'UE; contrariamente alla
filosofia “Union-free” statunitense che ha portato l’America a non ratificare le convenzioni OIL n.
87 e n. 98 sulla libertà di associazione, il diritto di organizzazione e di contrattazione collettiva.
Ciò è tanto vero che il Comitato OIL sulla Libertà di Associazione ha riscontrato violazioni del
sistema di diritto del lavoro degli Stati Uniti a causa dello squilibrio dei rapporti di forza tra
lavoratori e datori di lavoro.
Ecco perché taluna dottrina ha ammonito quanti intendono avallare la falsa premessa alla stipula
del TTIP, basata su una “conventional wisdom“, che vuole che tanto nell'Unione europea, quanto
negli Stati Uniti siano già presenti alti standard di protezione sociale, sicché il Patto può
concentrarsi sul commercio e gli investimenti senza la valorizzazione mirata degli standard
sociali11.
La sfida è quella di evitare che su insistenza degli Stati Uniti, si arrivi a deregolamentare il mercato
del lavoro travolgendo la tradizione socialdemocratica europea tesa a proteggere le persone più
vulnerabili, che finirebbe per favorire una competizione “race to the bottom” invece di una
“upward trending social dynamic”12.
10
A. Perulli, Sostenibilità, diritti sociali e commercio internazionale: la prospettiva del Trans‐Atlantic Trade and
Investment Partnership, WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".INT – 115/2015.
11
L. Compa, Labor Rights and Labor Standard in Transatlantic Trade and Investment Negotiations: An American
Perspective, John Hopkins University, Working Papier Series, 2014.
12
ibidem. L’autore riporta la descrizione prodotta da “un prominente studio legale statunitense” relativamente alle
differenze tra modello USA – in cui ancora permane l'approccio “Employment-at-will” che storicamente i tribunali
hanno utilizzato nell'interpretazione dei rapporti di lavoro, in base al quale i datori di lavoro hanno la libertà di
2. Perché il TTIP coinvolge i diritti sociali.
Se è vero che il Partenariato Transatlantico riguarda la materia del Commercio e degli
Investimenti, il lavoro e i diritti sociali, come si è già detto, rientreranno a pieno titolo nelle
materie da trattare e questo essenzialmente per due motivi, come è utile qui approfondire.
Il primo motivo dipende dal fatto che un partenariato tra due paesi mette naturalmente in
contatto non solo le economie, ma anche, ed inevitabilmente, i modelli regolatori e sociali13, tanto
che la liberalizzazione degli scambi e i diritti sociali costituiscono un elemento fondativo del diritto
internazionale del lavoro e della politica normativa dell’OIL: “è apparso chiaro fin dalle origini che
la funzione del diritto internazionale del lavoro consistesse nel contrastare l’opportunismo degli
Stati che avrebbero condotto – o di fatto conducevano – a posporre la protezione dei diritti dei
lavoratori rispetto all’interesse economico e concorrenziale delle loro imprese”14.
La stessa Europa si affanna ad accentuare la correlazione TTIP-lavoro sotto l’assunto che “trade
means jobs” dato che l’export genera 31 milioni di posti di lavoro: 1 posto di lavoro su 7 nell'UE
dipende da esportazioni. Trattasi, peraltro, unicamente di “buoni posti di lavoro!” poiché sono
“pagati in media meglio di altri posti di lavoro nel resto dell'economia”.
Le esportazioni creano opportunità per i lavoratori siano essi qualificati o meno qualificati (skilled
and less skilled) dunque, occorre “unire le forze a vantaggio di tutti noi!” e, in uno slancio di
transatlantico altruismo, anche per i nostri partner, visto che “le nostre esportazioni supportano 19
milioni di posti di lavoro al di fuori dell'UE. So, what's good for Europe is also good for our
partners”15.
2.2 Ne siamo sicuri?
Ad avanzare seri dubbi circa il presunto impatto positivo che il TTIP avrebbe sull’occupazione è
Jeronim Capaldo, economista e ricercatore presso il Global Development and Environment
Institute.
licenziare il personale in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione - compreso "una buona ragione, una cattiva
ragione o nessuna ragione" - e il modello di maggior protezione dei paesi dell’UE: “Employment-at-will offers
American employers broad freedom to cut their staff’s terms and conditions of employment, work hours, employee
benefits—even compensation . . . Indeed, American bosses exercise this freedom regularly. . . These cuts are perfectly
legal . . . because . . . US law imposes no doctrine of vested employment rights. Outside the United States, by contrast,
laws impose vested (sometimes called implied or “acquired”) rights that constrain employers from unilaterally cutting
employment terms, conditions, work hours, benefits and pay.”
13
T. Treu, cit.
14
A. Perulli Diritti sociali fondamentali e regolazione del mercato nell’azione esterna dell’Unione Europea, cit.
15
Fonte: sito della Commissione Europea dedicato al TTIP:http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/index_it.htm
Il ricercatore della Tufts University, ha utilizzato basi teoriche differenti da quelle “proposte a
supporto del TTIP” (qui l’autore si riferisce, evidentemente, allo studio CEPR 16, si veda oltre) le
quali “indicano prospettive fosche per i responsabili politici dell'Unione Europea” e dimostrano,
grafici alla mano, che il Partenariato porterebbe a perdite tanto in campo economico (minori
esportazioni nette dopo un decennio; perdite nette del PIL; minori entrate pubbliche; maggiore
instabilità finanziaria; etc.) quanto, per ciò che riguarda l’ambito qui esaminato, in termini
occupazionali e sociali: perdita di reddito per i lavoratori (la Francia sarebbe il paese più colpito
con una perdita di 5.500 euro per lavoratore, seguita da Paesi del Nord Europa -4,800 euro per
lavoratore, Stati Uniti -4,200 euro per lavoratore e Germania -3,400 euro per lavoratore); perdite
di posti di lavoro per circa 600.000 unità solo nell’UE (circa 90.000 nel Sud Europa); riduzione della
quota lavoro nella formazione del PIL “rafforzando una tendenza che ha contribuito alla
stagnazione attuale” con un conseguente aumento della quota dei profitti e delle rendite ed un
trasferimento di reddito dal lavoro al capitale.
La conclusione a cui l’autore della ricerca giunge è la seguente: “nell’attuale contesto di austerità,
l'elevata disoccupazione e bassa crescita, aumentando la pressione sui redditi da lavoro,
danneggerebbe ulteriormente l'attività economica. I nostri risultati suggeriscono che qualsiasi
strategia praticabile per riaccendere la crescita economica in Europa si sarebbe dovuta costruire
sulla base di un forte impegno politico a sostenere i redditi da lavoro. Ciò include il rafforzamento
dei sistemi di protezione sociale e la loro capacità di stabilizzare la domanda aggregata”17.
2.3 che razza di Accordo è il TTIP?
In secondo luogo, la piena implicazione dei diritti sociali nell’ambito del Partenariato dipende dalla
natura stessa del TTIP.
Esso può infatti essere definito un “partenariato di ultima generazione” che supera gli obiettivi del
GATT18 che si occupava soltanto di dazi e quote d’importazione, e integra ed estende quelli del
WTO19.
16
Reducing Transatlantic Barriers to Trade and Investment. An Economic Assessment, marzo 2013
J. Capaldo, The Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership: european disintegration, unemployment and
instability, Economia & Lavoro, 2015, n. 3. Da un punto di vista più generale sul rapporto tra globalizzazione e
aumento delle disuguaglianze, si veda Rapporto sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo globale, cit.: “molti di
quanti sono orientati a concludere che sinora la globalizzazione abbia inciso solo modestamente sulla struttura
salariale dei vari paesi ritengono, tuttavia, che in futuro, con l’intensificarsi del processo di integrazione internazionale,
essa è destinata a pesare sempre di più”, pag. 96
18
il GATT, Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio, è un accordo internazionale, firmato il 30 ottobre 1947 a
Ginevra da 23 paesi, per stabilire le basi per un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire
la liberalizzazione del commercio mondiale.
19
il WTO, l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) è un'organizzazione internazionale creata allo scopo di
supervisionare numerosi accordi commerciali tra gli Stati membri. Vi aderiscono, al 26 aprile 2015, 161 Paesi a cui se
17
Quest’ultima organizzazione, in particolare, discute anche di condizioni di lavoro, ambiente, sanità,
rapporti con la società civile e Ong (la cosiddetta “trasparenza esterna”). La normativa del WTO si
ispira ad alcuni principi fondamentali: riduzione dei dazi doganali; estensione automatica a tutti i
membri dei risultati negoziali; commercio senza discriminazioni sull’origine nazionale (norma che
impedisce di favorire i produttori nazionali rispetto a quelli esteri, ad esempio attraverso la
concessione di incentivi); crescita costante nelle possibilità di accesso ai mercati; impegno a
promuovere lo sviluppo e le riforme economiche necessarie in quei paesi che si avviano verso
l’economia di mercato; etc.20
Pertanto, il TTIP sembrerebbe un’evoluzione normativa e politica del WTO poiché, accanto
all’eliminazione tra USA e UE delle barriere tariffarie (peraltro già contenute, come ammette lo
stesso CEPR), punta non solo all’abbattimento delle barriere “non tariffarie” (non-tariff barriersNTBs) che “costituiscono importanti impedimenti ai flussi commerciali e di investimento
transatlantici” (sempre il CEPR), ma tende all’ulteriore obiettivo della “normalizzazione” degli
standard regolativi, senza farne troppo mistero: “negotiation on NTBs provides the opportunity to
pursue a mix of cross-recognition and regulatory convergence to reduce these barriers”21.
La vastità del Partenariato si evince anche da quanto riportato nel Rapporto Lang dove si afferma
che i negoziati vertono su tre settori principali: miglioramento ambizioso del reciproco accesso al
mercato (di beni, servizi, investimenti e appalti pubblici a tutti i livelli di governo), riduzione degli
ostacoli non tariffari e maggiore compatibilità dei regimi normativi, nonché sviluppo di regole
condivise per affrontare sfide e opportunità comuni del commercio globale.
Ma il Rapporto va oltre e “raccomanda” il Parlamento Europeo affinché il Partenariato: realizzi un
“pacchetto globale” ambizioso e vincolante per tutti i livelli di governo su entrambe le sponde
dell'Atlantico; raggiunga una vera apertura durevole del mercato su base reciproca; garantire che
un accordo con gli Stati Uniti funga da trampolino per negoziati commerciali di maggiore portata e
non vanifichi o contrasti il processo dell'Organizzazione mondiale del commercio; combinare i
negoziati sull'accesso al mercato per i servizi finanziari con la convergenza della normativa
finanziaria ai massimi livelli; e molto altro ancora.
ne aggiungono 25 con ruolo di osservatori, i quali rappresentano circa il 97% del commercio mondiale di beni e servizi.
Il WTO, a differenza del GATT, si occupa anche di barriere non doganali di qualunque tipo e qualsiasi altra legge di un
paese che possa influenzare il commercio internazionale.
20
Rapporto sulla povertà e le disuguaglianze nel mondo globale, cit.
21
Centre for Economic Policy Research, London, “Reducing Transatlantic Barriers to Trade and Investment. An
Economic Assessment”, marzo 2013.
Il TTIP sarebbe dunque assimilabile agli accordi internazionali in fase di negoziazione tra diverse
aree economiche che posso essere definiti dei veri e propri “megatrattati”.
In tal senso la convergenza normativa avrebbe una conseguenza diretta sul mondo del lavoro
portando d “una potenziale influenza politico-giuridica delle imprese multinazionali sulle tutele
giuslavoristiche esistenti a livello nazionale, in Europa e negli Stati Uniti, e non (più) coincidenti con
l’assetto di investimenti connessi al TTIP”22.
Pertanto, appare quantomeno poco credibile lo specifico Suggerimento della Commissione per
l'occupazione e gli affari sociali in cui si evidenzia la necessità “che gli standard in materia di lavoro
e sociali non siano trattati come ostacoli non tariffari od ostacoli tecnici al commercio”.
Guardando le implicazioni del TTIP dal lato dei diritti sociali, emerge quindi con forza la
preoccupazione che si possa andare verso una definizione al ribasso dei livelli di tutela lavoristicosociale.
3. Le conseguenze del TTIP sui territori tra riscontri concreti e pericoli futuri
Si è già detto dell’incertezza relativa alle concrete ricadute che l’applicazione dell’Accordo potrà
avere sulle economie interessate.
Prima di illustrare alcune ipotesi sulle conseguenze del Partenariato a livello territoriale, è bene
soffermarsi su alcuni dati generali, prendendo le mosse dal lavoro di analisi per la quantificazione
degli effetti economici del TTIP che la Commissione Europea ha commissionato al già citato Centre
for Economic Policy Research.
Ai fini che qui interessano, l’analisi del Centro giunge alle seguenti conclusioni:

un accordo transatlantico “ambizioso e globale” potrebbe portare notevoli vantaggi
economici sia per l'UE (119 miliardi € all'anno) che per gli Stati Uniti (€ 95 miliardi l'anno).
Questo si tradurrebbe (il condizionale è mio) in un aumento annuo del reddito per una
famiglia di 4 persone, pari in media a 545€ nella UE (€ 655 a famiglia negli Stati Uniti);

l'aumento del livello di attività e della produttività andrà a beneficio dei mercati del lavoro
dell'UE e degli Stati Uniti, sia in termini di salariali, sia per la creazione di opportunità
occupazionali per lavoratori molto e poco qualificati. Il TTIP, tuttavia, provocherà “labour
displacement”, ossia degli aggiustamenti intersettoriali che richiederanno la ricollocazione
nel mercato di quanti perderanno il lavoro a causa del fallimento di aziende (meno
competitive) e che dunque dovranno ricevere assistenza. Nessun problema però: il CEPR
rassicura che ciò avverrà entro i normali movimenti del mercato del lavoro e dei trend
22
M. Faioli, cit.
economici. Questo significa che solo un numero relativamente basso di persone dovranno
cambiare lavoro e passare da una settore all'altro (0,2-0,5 per cento della forza lavoro
nell'UE). Sul punto, si rifletta sulle criticità che potranno affrontare i lavoratori italiani i
quali, ad oggi, nonostante i proclami del Governo, non possono contare su solide e proficue
politiche attive del lavoro.

a livello salariale, l’aumento dipenderà dalla “ambiziosità” dell’accordo, come dimostra la
tabella qui riportata, in cui si quantificano, appunto, i cambiamenti a livello salariale sia per
i lavori poco qualificati, sia per quelli più qualificati come conseguenza della liberalizzazione
del mercato tra le due economie:
Less skilled
More skilled
Less Ambitious Experiment
European Union
United States
0.30
0.22
0.29
0.21
Ambitious Experiment
European Union
United States
0.51
0.38
0.50
0.36
Le variazioni di salario per lavori meno qualificati e più qualificati. CEPR
A smentire la certezza che ci possa essere un effetto positivo sui salari (oltre a quanto riportato nel
paragrafo 2.2) è una delle voci più autorevoli che si è espressa contro la firma del TTIP, quella di
Joseph Stiglitz, il quale ha dichiarato che l’obiettivo del libero commercio tra USA e UE altro non
significa che eliminare gli ostacoli al libero scambio, ossia le regole per la tutela dell’ambiente,
della salute, dei consumatori, dei lavoratori.
Nel suo ultimo libro23, il premio Nobel parte dal presupposto che tanto la globalizzazione degli
scambi (di beni e servizi) quanto la globalizzazione finanziaria, sebbene in maniera differente,
hanno entrambe contribuito alla crescita delle disuguaglianze a livello globale. Tuttavia, gli effetti
della globalizzazione commerciale, benché non siano stati così “drammatici” come quelli causati
dalla recente crisi del 2007, hanno, secondo Stiglitz, “operato lentamente e con costanza” con un
ben definito obiettivo: sostituire il movimento delle persone con il movimento delle merci.
Le conseguenze sono tremende, e vengono spiegate così: “se gli USA importano beni che
richiedono l’impiego di lavoratori non qualificati, riducono la domanda di lavoratori non qualificati
che producono quegli stessi beni negli USA, abbassando così i loro salari”. Ed è a questo punto che
il dumping si trasforma in guerra tra poveri inducendo i lavoratori americani ad una “race to the
23
J. Stiglitz, Il prezzo della disuguaglianza, 2013
bottom” sui diritti, accettando livelli di salario più bassi. Tanto più intensi saranno gli scambi
commerciali, tanto inevitabili e diffuse saranno questi meccanismi e le loro conseguenze, spiega
l’autore.
Questa posizione è stata recentemente esposta dal candidato alle primarie del Partito
Democratico per le elezioni presidenziali del 2016, Bernie Sanders24. Il senatore del Vermont ha
sostenuto di aver votato contro gli accordi di libero scambio (NAFTA, CAFTA e PNTR con la Cina)
che si sono rivelati un disastro per i lavoratori americani, poiché molte aziende hanno
delocalizzato la produzione all'estero. Dopo NAFTA, CAFTA, PNTR, sostiene Sanders, l’America ha
perso milioni di “decent paying jobs”, dal 2001, 60.000 fabbriche in America sono state chiuse:
“siamo coinvolti in una corsa verso il basso, dove i nostri salari stanno andando verso il basso”, a
causa di accordi scritti dalle corporate americane, dall'industria farmaceutica e Wall Street.
Sanders ritiene disastrosa una situazione in cui i lavoratori americani debbano competere contro
lavoratori in Vietnam che sono pagati 56 centesimi l'ora.
Della stesa opinione è Scott Slawson, presidente del United Electrical Workers, il quale afferma
che a causa degli accordi di libero scambio, molti dei prodotti costruiti a Erie (Pennsylvania) sono
ora in costruzione fuori dal paese: ogni accordo di libero scambio, sostiene il sindacalista
americano, ha contribuito al continuo calo di posti di lavoro ben retribuiti del settore
manifatturiero, nonché la distruzione di molte comunità"25.
Le conseguenze di una globalizzazione commerciale “spinta”, con sistemi economici “pienamente
integrati” (proprio l’obiettivo che intende raggiungere il Partenariato) avrebbero, dunque, un
riverbero globale: il salario previsto per specifiche skill sarebbe uguale in ogni parte del mondo (o
nel caso specifico del TTIP, tra USA e UE) sicché i lavoratori in America riceverebbero lo stesso
salario dei loro colleghi omologhi in Cina, con la conseguenza che il livello dei salari americani
crollerebbe poiché “il salario prevalente equivarrebbe alla media tra i salari americani e quelli del
resto del mondo e sarebbe sfortunatamente molto più vicino al salario inferiore prevalente
altrove”26.
3.2 …e per l’Italia?
Nell’analizzare le ricadute sull’economia italiana, l’UE utilizza argomentazioni generali che non
sono in grado di dimostrare, neanche approssimatamene, le conseguenze per il Bel Paese.
24
si veda: Ian Fletcher, Unlike Clinton, Sanders Really Does Oppose Free Trade, su Huffington Post, edizione americana
del 5 febbraio 2016
25
Si veda: Nicole Gaudiano, Bernie Sanders pledges rewrite disastrous trade deals, su USA TODAY del 31 marzo 2016
26
J. Stiglitz, cit.
L’assunto dal quale si parte è che “le esportazioni favoriscono il lavoro” e pertanto in un paese
come il nostro che esporta per un valore di 219 miliardi di euro l’anno verso paesi extra UE,
“questo tiene gli italiani occupati…” (sic!).
L’export italiano (sempre verso i paesi extra UE, dunque tutti i paesi, compresi gli USA) sostiene
2.700.000 posti di lavoro in Italia; mentre altri 402.000 italiani lavorano in settori connessi alle
esportazioni di altri paesi UE verso paesi extra UE. In definitiva, 1 lavoro su 8 in Italia dipende dalle
esportazioni europee.
Ma visto che, come si è in precedenza detto “what's good for Europe is also good for our
partners”, anche l’Italia fa la sua parte: le nostre esportazioni creano opportunità per tutti
sostenendo oltre 367.000 posti di lavoro nel resto dell’UE27.
In assenza di stime ufficiali, sono altri a incaricarsi di fornire un apprezzamento numerico delle
ricadute economiche per l’Italia, traslando a livello nazionale i valori emersi dall’analisi del CEPR,
innanzi analizzati, con particolare riferimento all’aumento dello 0,5 per cento dei salari 28.
Quindi, prendendo come benchmark un salario medio in Italia da 1300 euro, l’aumento dello 0,5
per cento comporterebbe un aumento mensile di ben 6,5 euro: una svolta epocale per il potere
d’acquisto delle nostre famiglie.
3.3 Alcuni esempi concreti
Per delineare le possibili ricadute del TTIP sul mondo del lavoro, è utile far riferimento
all’esperienza empirica e catalogare ciò che è già accaduto.
Per fare questo si riportano episodi concreti contenuti nel lavoro del professor Lance Compa 29 che
rappresenta
non
solo
una
fotografia
dell’esistente,
ma
mette
in
rilievo
l’habitus
mentale/manageriale seguito dalle multinazionali e che il TTIP potrebbe addirittura legittimare.
Vale qui fare una premessa: la rimozione degli ostacoli normativi al libero mercato potrebbero
essere raggiunti sia in sede di definizione del Partenariato, sia utilizzando, da parte delle imprese,
l’ISDS30, ossia lo strumento per la “Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato”.
27
fonte: sito della Commissione Europea dedicato al TTIP, cit. In particolare si veda la scheda Italia dove è inoltre
fornita la composizione del mercato del lavoro connesso alle esportazioni: “in Italia, la maggior parte dei lavori
connessi alle esportazioni sono per lavoratori dalle competenze medie (47%) e basse (40%); 49 % dei lavori connessi
con le esportazioni in Italia sono nel settore dei servizi e il 47 % in quello manifatturiero”28
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/economia/il-ttip-ovvero-la-marginalizzazione-del-lavoro/
29
L. Compa, cit.
30
A. Perulli, Sostenibilità, diritti sociali e commercio internazionale: la prospettiva del Trans‐Atlantic Trade and
Investment Partnership: l’Investor-To-State Dispute Settlement (ISDS) è un meccanismo posto a tutela degli
investimenti i quali potrebbero ricorrervi al fine di contrastare le politiche sociali adottate dagli USA o dell’UE, in
quanto contrarie ai propri interessi economici e finanziari. L’esperienza di altri accordi commerciali (come il NAFTA)
insegna, che questo strumento consente alle imprese multinazionali di azionare la procedura di risoluzione delle
controversie per ottenere sanzioni commerciali e/o risarcimenti a carico dei paesi trasgressori, “rei di avere
Come
l’autore
sottolinea,
nell’esperienza
dell’accordo
commerciale
NAFTA
(Accordo
nordamericano per il libero scambio stipulato tra USA, Canada e Messico) si contano diciassette
“dispute” portate contro gli Stati Uniti da parte di investitori, principalmente messicani e canadesi.
Nell’ambito dell’ISDS previsto dal TTIP tanto le imprese statunitensi potrebbero azionare lo
strumento per “sfidare” gli standard europei (intesi questi come standard dell’UE o singole
normative degli Stati Membri), quanto quelle europee avverso alla legislazione statunitense.
Da quest’ultimo punto di vista si consideri che uno dei terreni di “attrito” tra esigenze delle
aziende e regolamentazioni locali, è quello legato ai livelli salariali.
Potrebbe essere il caso, secondo Compa, delle tante imprese europee entrate nel mercato al
dettaglio degli Stati Uniti negli ultimi anni e che da un iniziale salario minimo federale di $ 7,25
hanno visto accrescere la soglia minima tra $ 8 l'ora e $ 15 l'ora. L’aumento è stato determinato
dalle vittorie riportate dal movimento per il "salario di sussistenza" (Living Wage Movement) che si
è diffuso in tutti gli Stati Uniti. In tal senso, afferma il ricercatore della Cornell University’s,
ricorrendo all’ISDS, le imprese europee - ma non le aziende americane - potrebbero contrastare
queste politiche adottate a livello statale o federale in quanto esse minerebbero il livello di profitti
previsti.
Né più né meno quello che è accaduto nel famoso caso Veolia vs Egitto.
Nel 2012 Veolia Propreté intraprende un’azione di arbitraggio presso l’ICSID (Centro
internazionale per il regolamento delle controversie relative a investimenti31) contro l’Egitto reo di
aver introdotto il salario minimo. Nel 2000 la società francese aveva stipulato un contratto per la
fornitura di servizi di gestione dei rifiuti nella città portuale di Alessandria. Pochi anni dopo la
società ha cercato di modificare il contratto per compensare i crescenti costi dovuti anche
all’introduzione del salario minimo deciso dal Governo. In seguito al rifiuto da parte del Governo di
adeguare il contratto con Veolia, la società ha intrapreso un’azione davanti a un tribunale ICSID32.
Di diverso tenore, ma non meno preoccupante, è il caso Amazon in Germania assurto alle
cronache perché la società di distribuzione americana è stata accusata di utilizzare un “US-style
mantenuto legislazioni contrarie al libero mercato; in questa prospettiva si paventa la possibilità di ricorsi contro
legislazioni giuslavoristiche o ambientali eccessivamente rigide, incompatibili con le nuove leggi del liberismo”.
31
istituzione del Gruppo della Banca mondiale, l’ICSID un'organizzazione internazionale che fornisce servizi per la
conciliazione e l'arbitrato per risolvere le controversie relative agli investimenti tra gli Stati contraenti e cittadini di
altri Stati contraenti.
32
T. Fritz, Accordi internazionali sugli investimenti al vaglio. Trattati bilaterali in materia di investimenti, politica dell’UE
sugli investimenti e sviluppo internazionale, rapporto prodotto da Traidcraft Exchange (UK). Si veda anche:
http://www.jeuneafrique.com/27151/economie/veolia-assigne-l-gypte-en-justice/
management” fin troppo marcato, testimoniato tra gli altri da un reportage realizzato dalla BBC 33,
che considerava i dipendenti come “ingranaggi”: turni massacranti in cui i dipendenti devono
percorre 11 miglia in lungo e in largo nel grande magazzino, con mansioni a ritmi serrati (tipo
raccogliere ordini ogni 33 secondi) e segnali acustici emessi dallo “scanner” ogni volta che un
errore viene evidenziato, in quella che possiamo definire una vera e propria “catena di montaggio
4.0”. Il tutto con rischi per la salute mentale e fisica, nonché per la dignità stessa dei “moderni
Chaplin”. La risposta del manager tedesco di Amazon alle accuse rivolte da lavoratori e sindacati in
protesta è stata cristallina: trattasi, a suo dire, di lavoratori poco qualificati, a lungo disoccupati, e
che ora sono fortunati ad avere un lavoro.34
Mentre in quell’occasione, Amazon minacciò di chiudere gli stabilimenti tedeschi per traslocare
all’Est35, in un contesto di Partenariato commerciale e di azionabilità dell’ISDS, ben potrebbe
ricorrere a quest’ultimo strumento per salvare gli investimenti già effettuati e domare i sindacati.
Ma il vantaggio competitivo si gioca anche eliminando alla fonte la propria controparte sindacale.
È il caso della Boeing Corp. Factory avvenuto in Spartanburg, South Carolina: l’Azienda avanzando
la prospettiva dell’inserimento di nuove linea di produzione aveva subordinato l’investimento alla
“desindacalizzazione” dell’azienda. Al fianco della Boeing si schierarono alcuni funzionari statali,
sostenuti dai media locali, lanciando un esplicito messaggio, che aveva tutta l’aria di essere un
avvertimento: se i lavoratori avessero deciso per l’ingresso del sindacato in azienda, la
conseguenza certa è che la Boeing avrebbe spostato la produzione a Seattle.
Più allarmante, e a tratti inverosimile, pare essere l’atteggiamento e le pratiche messe in atto in
America dal gigante tedesco delle telecomunicazioni Deutsche Telekom che, tra le altre forme di
coercizione, costringe i lavoratori ad ascoltare i discorsi anti-sindacali e guardare film antisindacali.
Ma anche quando le aziende tedesche sarebbero disposte ad “esportare” il proprio modello di
relazioni sindacali, non è detto che non incontrino oppositori.
È il caso della multinazionale Volkswagen - dove il sistema dei consigli di fabbrica, quale modello di
partecipazione dei lavoratori, è stato creato già nel 1992 - che aveva manifestato la propria
33
si veda: http://www.bbc.com/news/business-25034598
la stessa Amazon che è stata accusata di altri comportamenti “pericolosi” come per il caso dei cinquemila immigrati
assunti temporaneamente per fare fronte alla crescita degli ordini nel periodo natalizio che venivano sorvegliati e
intimiditi da una milizia sospettata di avere legami con il mondo dell'estremismo di destra e degli hooligans. Fonte:
Corriere della Sera del 16 febbraio 2013; si veda anche “Amazon come Foxconn in Germania. Stanze iperaffollate,
lavoratori stranieri sfruttati”, Biagio Simonetta, Il Sole 24 Ore, 16 febbraio 2013
35
fonte: “Sindacati troppo esigenti, Amazon lascia la Germania e punta all'Est Europa”, Biagio Simonetta, Il Sole 24
Ore, 2 ottobre 2013. È questo un esempio di “globalizzazione asimmetrica” come la definisce Stiglitz (cit.) che
costringe i lavoratori al “prendere o lasciare”
34
volontà di applicare ai suoi 2.000 dipendenti della fabbrica di Chattanooga, Tennessee, una
versione americana del “company’s European Works Council system”36. Senonché la società
automobilistica incontra la forte opposizione di alcuni esponenti politici del Tennessee. Tra questi,
il governatore William Haslam, il quale aveva avvertito che se Volkswagen avesse riconosciuto
l’agibilità sindacale al UAW (United Auto Workers union) avrebbe creato un pericoloso precedente
(una worst practice se si vuole) che avrebbe dissuaso altre aziende ad investire nello Stato. La
preoccupazione è stata poi condita con la minaccia del taglio al sostegno finanziario per una nuova
linea di produzione se i lavoratori avessero votato a favore della Union. Il risultato, neanche a
dirlo, è che i dipendenti si sono espressi per il 53 per cento contro l’ingresso in azienda di UAW.
Da questi cenni appare evidente che il terreno sul quale si muove la negoziazione dell’Accordo è
lastricato di esempi pericolosi che troverebbero nel TTIP la propria fonte di legittimazione peraltro
valida in un contesto assai più ampio e significativo poiché coinvolge le due maggiori economie
mondiali, che insieme rappresentano oltre il 40 per cento del commercio globale.
3.4 Un TTIP di prossimità.
Una frase attribuita a Sant’Ambrogio dice: “quando sei a Roma, fai come fanno i romani”. La
celebre affermazione del Vescovo di Milano, datata 381 D.C. (non era stata pronunciata
esattamente così!) potrebbe essere invocata dalle imprese americane che intendano investire in
Italia.
Sarebbero indotte, in altri termini, a emulare i loro colleghi italiani, ad esempio, in tema di
contrattazione sindacale e sperimentare il nuovo sistema di contrattazione di prossimità. Ben
potrebbero in ossequio, non a Sant’Ambrogio, quanto al principio della territorialità (lex loci
laboris).
Vediamo brevemente di cosa si tratta.
Il decreto legge n. 13837 al fine di definire “misure a sostegno dell'occupazione”, prevede,
all’articolo 8, il “sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità”.
In tal senso, stabilisce che i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale
sia da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o
territoriale, sia dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, possono raggiungere
specifiche intese con efficacia erga omnes purché sottoscritte sulla base di un criterio
maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali.
36
Direttiva 2009/38/Ce Del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 maggio 2009 riguardante l’istituzione di un
comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei
gruppi di imprese di dimensioni comunitarie
37
articolo 8 (sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità) del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138.
Le intese potranno essere finalizzate: alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di
lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare,
agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli
investimenti e all'avvio di nuove attività.
In dettaglio, le “specifiche intese” possono riguardare la regolazione delle materie inerenti
l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della
solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell'orario di lavoro;
e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni
coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei
contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro (ossia i licenziamenti).
Come si evince, il potere contrattuale di prossimità è ampio e omnicomprensivo. A chiarirlo è
sempre il testo della legge specificando che le intese “operano anche in deroga alle disposizioni di
legge … ed alle … regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.
La cornice giuridica invalicabile è il “rispetto della Costituzione” nonché, in generale, dei “vincoli
derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro” 38 così come
previsto da una norma che, più che una clausola di chiusura, sembra essere un limite, all’altrimenti
strabordante, autonomia delle parti.
Insomma, possono tutto, tranne modificare i livelli salariali 39 o sfruttare il lavoro dei bambini, tipo!
Tuttavia, come è stato osservato, le poche esperienze di “prossimità” che è dato conoscere - data
la difficoltà a reperire gli accordi siglati40 - raccontano di intese spesso praeter o addirittura contra
legem, abusive41.
38
sebbene tale limite “esterno” risulti ampiamente superato come emerge dall’analisi delle intese di prossimità
raggiunte, che evidenziano la collisione con norme di carattere sovranazionale ed internazionale, si veda: A. Perulli, La
contrattazione collettiva “di prossimità”: teoria, comparazione e prassi, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 4, 2013,
919-960; A. Mattei, Il grado di evoluzione della cd. contrattazione di prossimità a partire dall’osservatorio trentino sui
diritti sociali del lavoro, in www.dirittisocialitrentino.it, dove è possibile rinvenire un’aggiornata rassegna sul
decentramento regolativo e la contrattazione d prossimità.
39
o forse anche quest’ultimi come lascia intendere il Ministero del Lavoro (interpello n. 8 del 12 febbraio 2016) pena
unicamente l’impossibilità di usufruire degli sgravi contributivi e normativi per determinate tipologie contrattuali
40
A. Mattei, cit., l’autore mette in rilievo il fatto che le intese di prossimità siano svincolate da forme di monitoraggio e
di controllo pubblico tanto da conferire una caratteristica di “clandestinità” (citando Lassandari). Questo per espressa
volontà del legislatore che non ha previsto ab origine l’obbligo di deposito delle intese presso la DTL e lo ha negato
3.5 La contrattazione glocale.
La contrattazione di prossimità ha l’effetto di “ricollocare” la contrattazione collettiva presso il
territorio, fornendo il rango di fonte del diritto alle specifiche intese raggiunte anche con
RSA/RSU42.
Ma il costrutto teorico dal quale parte il modello di contrattazione di prossimità potrebbe essere
rinvenuto in una forma di “individualismo metodologico” di stampo neoclassico che vede nelle
intese di prossimità un diritto del lavoro “reso cedevole” alle esigenze aziendali e “al mercato
come unico principio regolatore in funzione dell’efficienza economica”43.
L’azienda diventa “attore principale della regolazione postmoderna e globale” non concorrendo,
tuttavia, nell’arena pubblica, quanto nel “governo privato” delle mura aziendali (un “ordine
giuridico aziendalmente localizzato”)44 dettando discipline ad hoc, non utilizzabili neanche
nell’ambito del medesimo settore merceologico, dai propri concorrenti più “prossimi”.
Una evoluzione del diritto sindacale verso fenomeni di “localizzazione e aziendalizzazione” che
manifesta la tendenza legislativa ad assecondare l’obiettivo manageriale dell’impresa
transazionale a “neutralizzare” i vincoli derivanti dalla legge e dal contratto collettivo e il dissenso
di gruppi organizzati e di singoli lavoratori45.
Con l’articolo 8, il legislatore sembra inoltre abdicare al proprio ruolo di decisore politico nella
definizione di politiche industriali (anche tese alla collocazione dei propri settori produttivi
all’interno della nuova divisione globale del lavoro) e al contempo depotenzia la contrattazione
collettiva, rendendola un minus, sia nel senso della sua marginalizzazione nel panorama delle
relazioni industriali, sia nel senso del riconoscimento della capacità regolativa che “in basso” si può
produrre in deroga all’ambito nazionale46.
La legge conferisce l’autonomia regolativa su tutte le materie siano esse devolute dai CCNL alla
contrattazione di secondo livello, oppure siano materie già regolate dalla contrattazione nazionale
o addirittura dalla legge. Al ricorre delle condizioni soggettive (stipula da parte delle RSU) di quelle
successivamente cancellando, in sede di conversione in legge del decreto n. 76 del 2013, la norma di cui all’articolo 9,
comma 4, la quale prevedeva appunto il deposito
41
A. Perulli, cit.
42
F. Carinci, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, WP C.S.D.L.E. “Massimo
D’Antona”.IT – 133/2011, il quale afferma che con l’articolo 8 “la legge cede alla contrattazione collettiva una quota
sostanziale della sua primogenitura; ma perché la contrattazione coinvolta non è caratterizzata da astrattezza e
generalità, come tipicamente quella categoriale; ma è costruita ed adattata a misura di una congiuntura particolare,
come peculiarmente quella aziendale introdotta ex novo proprio dall’art.8”.
43
A. Perulli, cit.
44
ibidem
45
V. Leccese, Il diritto sindacale al tempo della crisi, su www.aidlass.it
46
A. Perulli, cit., secondo il quale il pericolo è quello di una regressione “dello statuto epistemologico del diritto ad
epoche premoderne, caratterizzate dalla frammentazione dei diritti e degli statuti disciplinari”.
oggettive (le materie elencate dalla norma) e di scopo (salvaguardi/maggiore occupazione, etc.) la
legge dispone una “licenza di derogare” tutte le materie non desiderate dall’azienda.
Tanto che la “prossimità” può essere rilevata non tanto in negativo (il fatto di non essere
nazionale), quanto in positivo, in quanto avente potere derogatorio ad assecondare “l’istanza di
specializzazione organizzativo-produttiva”47.
3.5 Conclusioni
Ciò che emerge è che il legislatore, perché convinto della bontà delle sue ricette, spesso indotto da
pressioni esterne48, abbia impresso al nostro ordinamento giuslavoristico un andamento
schizofrenico: ora flessibilizzando il mercato del lavoro e abbattendo l’articolo 18 (da tempo
declassato a rango di “tabù” ideologico) per aprirci al mercato e attrarre investimenti stranieri; ora
rinchiudendo la produzione normativa nel particolare, anche allo scopo di evitare la
delocalizzazione delle imprese italiane, dando investitura legale a micro accordi tanto particolari
da poter disciplinare, financo, singole mansioni, singoli “job” direbbe Sennet.
Ed in questa angolazione normativa che il TTIP si incuneerà fornendo alle imprese americane un
mercato già prono alle esigenze aziendali e ancor più appetibile alle regole del Partenariato; e
tanto flessibile da fornire strumenti il più possibile “prossimi” al particolarismo aziendalista,
facilmente azionabili in un contesto di crisi sindacale, basso tasso di occupazione e un enorme
esercito di NEET e inattivi.
Si noti, da ultimo, che la tendenza “verso il basso” (da tutti i punti di vista) della contrattazione, è
un fenomeno ascrivibile, seppur con le dovute differenze, a molti sistemi europei di relazioni
industriali.49
Le riflessioni sin qui esposte in merito alla contrattazione di prossimità e al suo potenziale utilizzo
da investitori stranieri nel quadro di applicazione del Partenariato, non trova, sin ora, e a quanto
consta, riscontri in dottrina.
L’intenzione, dunque, è quella di introdurre nel dibattito attorno al TTIP e alle ricadute sul mondo
del lavoro e dei diritti sociali, un ulteriore elemento di riflessione nella speranza che il confronto,
anche su questa tematica, possa continuare e approfondirsi.
47
V. Bavaro, Azienda, contratto e sindacato, citazione in A. Mattei, cit.
si pensi alle “indicazioni” di riforma del mercato del lavoro e della contrattazione collettiva contenute nella lettera
della BCE a firma Mario Draghi e Jean-Claude Trichet del 5 agosto 2011 (resa pubblica solo dopo l’estate 2011).
49
A. Perulli, cit. Si veda anche: T. Treu, Le riforme del lavoro: Spagna e Italia, in Diritto delle relazioni industriali n.
3/XXV, 2015, dove l’autore mette in evidenza che il real decreto-ley n. 3/2015 voluto dal Governo Rajoy, simile per
molti aspetti al nostro articolo 8 del decreto legge n. 138/2011, determina direttamente ex lege la possibilità e gli
ambiti del decentramento contrattuale; Conseil d’orientation pour l’emploi, Rapporto sulle riforme del lavoro in
Europa, monografia sulla Spagna
48
Perché potrebbe accadere che da un siffatto modello di contrattazione pensato per creare
“microcosmi” normativi in grado (anche) di rispondere agli effetti dei processi economici globali 50,
si passi ad un modello di contrattazione in grado di livellare le “barriere non tariffarie” tra i paesi
coinvolti e assecondare, sin nello specifico, le esigenze dell’investitore statunitense.
Ciò e ancor più importante se si considera che la contrattazione di prossimità, essendo una
contrattazione derogatoria in quanto “di scopo” – per la salvaguardia dell’occupazione o della
produzione - crea un inevitabile “effetto disciplina” in ambito contrattuale, con sindacati propensi
a sottoscrivere intese perché pressati dalle esigenze occupazionali e di reddito dei lavoratori
iscritti.
Il rischio, in definitiva, è la realizzazione di una derogabilità del diritto del lavoro oltre una soglia di
“tolleranza”51, in cui il “limite” deve essere valutato ricordando che nel rapporto di lavoro, e nella
sua regolamentazione, emerge l’esigenza di tutela di valori non prettamente economici che
importano la libertà, la dignità, l’uguaglianza, il rispetto di diritti costituzionali insopprimibili e
internazionalmente riconosciuti.
L’atomizzazione delle relazioni sindacali derivante dalla contrattazione di prossimità è tale da
rappresentare una “forzata americanizzazione delle relazioni collettive”52, il grimaldello che
consentirà la salvaguardia degli investimenti dei partner d’oltre Atlantico, utile a “piegare” i
contesti lavorativi e i diritti dei lavoratori, e sentirsi “a casa propria”.
In questo contesto, la mobilitazione dei cittadini, della società civile e delle organizzazioni contro il
TTIP assume un duplice e fondamentale ruolo: di contrasto alle politiche nazionali funzionali al
disegno neoliberista e, in un ambito globale, di opposizione a Partenariati pensati unicamente per
le multinazionali e i loro profitti.
“Ognuno ha le sue inquietudini, …, specialmente
nel nostro strano e inquieto secolo, sissignore, …”
F. Dostoevskij, L’Idiota
50
V. Leccese, cit.
F. Carinci, cit.
52
A. Perulli e V. Speziale, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del Diritto del
lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona” IT - 132/2011
51