SI SCRIVE YOUTUBERS, SI LEGGE MILIONARI

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L’ESPRESSO
SI SCRIVE YOUTUBERS, SI LEGGE MILIONARI
Ragazzi che si riprendono con una videocamera. Poi caricano i loro video su Internet. E
guadagnano (tanto) con la pubblicità. Ecco chi sono e come fanno
Di Marco Consoli 20 agosto 2014
Felix Kjellberg, noto come PewDiePieSe Andy Warhol avesse immaginato l’avvento di YouTube,
avrebbe rivisto la sua profezia sui 15 minuti di celebrità alla portata di tutti. La stima è errata per
difetto, a giudicare dai risultati di Felix Kjellberg, il volto più famoso sul portale web comprato da
Google nel 2006 per 1,65 miliardi di dollari: conosciuto col nome di PewDiePie , ha 29 milioni di
iscritti al suo canale video. Tanti quanti gli spettatori della finale dei mondiali del 2006, l’evento
tivù più visto negli ultimi dieci anni in Italia. Un successo tale da far apparire il 24enne svedese
sulle pagine del quotidiano americano “Wall Street Journal”, che stima i suoi guadagni in 4 milioni
di dollari all’anno
Kjellberg, che nei suoi video sperimenta e racconta ai suoi seguaci come funzionano i nuovi
videogiochi, è la punta dell’iceberg del fenomeno degli YouTubers, come vengono chiamati in
gergo i giovani e giovanissimi che si riprendono con una telecamera, montano un filmato e lo
caricano online per catturare l’attenzione degli spettatori. Questi ragazzi a caccia di audience
nascono col sito, nel 2005, ma è da maggio 2007 che tutto cambia, con l’introduzione del
programma di partnership: dopo avere accolto le pubblicità nei video professionali, YouTube
allarga la possibilità ai creatori indipendenti più seguiti, aprendo l’era delle star di Internet.
L’idea di base è semplice: chi carica video originali può stipulare un contratto per consentire di
inserire spot pubblicitari e iniziare a guadagnare. Google trattiene il 45 per cento dei ricavi, mentre
il 55 va all’autore della clip. È difficile stabilire con precisione i guadagni, che dipendono dal tipo
di pubblicità (banner o video) e di posizione della stessa sulla pagina, dal Paese di appartenenza, dal
prezzo di vendita per una campagna. Inoltre dato che il 75 per cento degli spot possono essere
evitati, cliccando la scritta “salta” entro 5 secondi, e considerato che gli investitori pagano solo
quando vengono visti per 30 secondi, è possibile stabilire soltanto una stima di guadagno lordo
minimo e massimo, che va da uno a 15 dollari ogni mille visualizzazioni della pubblicità collegata
al video originale. Per gli utenti con più audience il mercato è ghiotto: nel 2013 la raccolta globale
di YouTube ha generato secondo eMarketer.com 5,6 miliardi di dollari, il 51 per cento in più
rispetto al 2012. E gli YouTubers in grado di fare guadagni a sei cifre sono ormai migliaia.
WillwooshStati Uniti ed Europa, dove il fenomeno è esploso
prima, dominano il mercato, ma anche l’Italia ormai ha le sue star. Non c’è solo Marzia Bisognin,
22 anni di Vicenza, che seguendo Kjellberg in Svezia per amore ha aperto un canale in lingua
inglese sui propri hobby e oggi, col nome CutiePieMarziavanta 4 milioni di iscritti. Tra le celebrità
c’è anche Francesco “Frank” Matano , 24 anni di Santa Maria Capua Vetere, che nel 2007 ha
iniziato a pubblicare video di scherzi telefonici, fingendo di essere un bambino o una badante russa,
ha sfondato con la sua comicità, e ora conta 932 mila iscritti. O ancora il romano Gugliemo Scilla,
26 anni, in arteWillwoosh , che dal 2008 si è costruito un pubblico di 602mila persone con show
comici sempre più sofisticati in cui recita tutti i ruoli.
Clio ZammatteoCol passare del tempo si sono differenziati
anche i generi: oltre all’intrattenimento e alle video-parodie, che ad esempio rendono celebri il
duoiPantellas (622mila iscritti),Francesco Sole (252mila) e altri, ecco la categoria del “fai da te”,
con le ricette culinarie di GialloZafferano (139 mila), canale della 37enne Sonia Peronaci, o il
make-up di Clio Zammatteo, 31enne di Belluno che su ClioMakeUp spiega come applicare fard e
mascara ai suoi 698mila spettatori.
Un argomento molto cliccato di recente è quello deivideogame, come dimostra l’ascesa di Lorenzo
Ostuni, 19 anni di Borgaro Torinese. Col suo nome d’arte FaviJ e i suoi 981mila iscritti, nel mese
di giugno è stato inserito dal sito specializzato Tubefilter.com al 36esimo posto nella classifica dei
100 YouTuber più influenti al mondo, con 32 milioni di visualizzazioni al mese e un tasso di
crescita del 47 per cento (la graduatoria è dominata da PewDiePie con 351 milioni). «Non mi sento
famoso, ma solo uno che ha tanti amici», si schermisce Ostuni. «Ho cominciato per gioco nel 2011
a caricare video con i miei compagni di classe. Poi dal 2013 ho aperto un canale perché a molti
piaceva il mio racconto dei videogame horror: la maggior parte dei miei fan ha dai 13 ai 17 anni e
gli piace vedermi terrorizzato. I guadagni sono importanti, ma commisurati all’impegno: per
realizzare un video impiego sei ore».
Frank MatanoLa celebrità acquisita può essere spesa fuori dai
confini di Internet: Frank Matano è finito nel cast de “Le Iene” in tivù e poi a girare commedie per
il cinema, come Willwoosh, che ha lavorato anche in radio e pubblicato un libro, mentre Sonia
Peronaci ha avuto il suo programma e i suoi spot in televisione, e Clio Zammatteo si è divisa tra
schermo ed editoria.
Per gestire questi talenti sono nate le prime agenzie e i cosiddetti “multi channel network”,
come vengono chiamati i produttori di più canali, destinati sempre alla piattaforma video. A dare
un’idea del business può bastare la recente acquisizione da parte di Disney del network Maker
Studios (380 milioni di iscritti, 5,5 miliardi di visualizzazioni al mese), per una cifra di 500 milioni
di dollari più bonus di 450 ad obiettivi raggiunti.
«Cerchiamo talenti sul web, come utenti Facebook con un vasto seguito, e tentiamo di trasferire il
loro successo su YouTube», spiega Giovanna Avino, responsabile italiana diDivimove, uno dei
maggiori network europei, «oppure mettiamo a disposizione dei nostri YouTubers studi televisivi
con attrezzature professionali». È quanto fa la stessa YouTube, che ha già aperto studi di
produzione a Los Angeles, New York, Londra e Tokyo, perché video dalla confezione più
professionale attirano più spettatori. «Infatti quando le clip diventano virali, vengono spinte da
Google in cima ai risultati di ricerca, generando sempre più clic e ricavi pubblicitari», spiega Avino.
«Cerchiamo tutto il giorno i talenti di domani», racconta Luca Casadei, che con l’agenzia Web
Stars Channel gestisce tra gli altri Fancazzisti ANOnimi (347 mila utenti) e Leonardo Decarli (271
mila). «Poi iniziamo a farli emergere, ad esempio con comparsate insieme a colleghi già noti. Oggi
puntiamo su 13 artisti, ma ne stiamo coltivando più 100 in attesa che esplodano», dice Casadei. «È
impossibile costruire un artista da zero», avverte il conduttore televisivo e rapper Francesco
Facchinetti, che con NewCo Management gestisce Matano e Sole, «perché è la rete a decidere se
funziona o meno. Però una volta individuato un talento possiamo aiutarlo a consolidare il numero di
visualizzazioni, anche se non si possono scrivere i testi di uno YouTuber, perché il segreto è la
spontaneità». «Nessuno potrebbe montare i miei video, conoscere i miei tempi comici», gli fa eco
FaviJ, «e se i fan si accorgono che non sei genuino il rischio è perderli tutti».
Ma quanti ragazzi ne hanno fatto davvero un lavoro? «L’Italia è il terzo mercato dopo Inghilterra e
Francia», spiega Facchinetti, «e quelli che guadagnano da 2-3mila euro a 20-30mila euro al mese
non sono più di cinque o sei». «Per trasformare un hobby in lavoro passano anni e bisogna
raggiungere almeno 450mila iscritti», conferma Avino. Quello che però non si dice è che oltre alla
pubblicità di YouTube, ce ne può essere una più o meno occulta, quando lo YouTuber accetta di
mostrare un prodotto in video, farne una recensione o girare una telepromozione. «Il confine è
molto labile», commenta Facchinetti, «ma le aziende hanno capito che si vende di più se un
videogame appare in un video di PewDiePie che in uno spot durante la finale del Super Bowl. Il
mercato italiano però è ancora immaturo e molte offerte vengono respinte al mittente per paura che
il pubblico si disaffezioni». «Mi hanno proposto di parlare di alcuni giochi», conferma FaviJ, «ma
ho rifiutato perché i miei fan non capirebbero un cambio di stile e contenuti». «Le aziende iniziano
a capire che lo scambio di opinioni è molto intenso e ci propongono di provare in anteprima i loro
videogame. Ma io dico che un gioco non mi piace anche se magari non fa piacere all’azienda»,
spiega Francesco Gentile, in arte Johnny Creek, 27 anni di Torino, inventore del canale in ascesa
Melagoodo (310mila iscritti), che nel nome spiega la sua filosofia di vita. «Ci possono entrare tutti e
l’ho lanciato per passione e non per soldi: al massimo tiro su 400 dollari al mese».
Mentre l’industria dei media inizia ad accorgersi del fenomeno, come dimostra l’accordo firmato da
Divimove con Fremantlemedia, che produce show come “X-Factor” e “American Idol”, bisognerà
vedere se gli YouTubers resisteranno in rete oppure no. Da una parte c’è la promessa di accedere al
grande pubblico nazionalpopolare della tivù, dall’altra c’è l’incognita dei guadagni promessi dal
web, messi a rischio dall’aumento esponenziale del numero degli YouTubers. E poi, man mano che
diventano adulti, i ragazzi di maggior successo potrebbero stufarsi del loro hobby: «Il mio sogno è
fare il montatore cinematografico, anche se mi piacerebbe continuare a caricare i miei video su
YouTube», dice FaviJ. «Non ho mai pensato di diventare uno YouTuber a tempo pieno», ammette
Creek, «ma mi piacerebbe organizzare eventi che ruotano attorno ai videogame».
Ma il pubblico, oggi per lo più composto da giovanissimi, da adulto vorrà ancora vedere show
spesso molto improvvisati? «Penso di sì, perché gli adolescenti che ricevono il primo cellulare, una
volta acceso YouTube, dimenticano per sempre l’esistenza della tivù», spiega Casadei. Facchinetti è
fiducioso: «La nostra scommessa è allargare il pubblico a fasce di età più alte e fare diventare questi
ragazzi le star di domani, portando tivù, cinema e musica sulla rete. Penso che ce la faremo».
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