La scoperta improvvisa della seduzione

La scoperta improvvisa della seduzione
- Cristina Piccino, 10.03.2016
In sala. «Educazione sentimentale» di Julio Bressane, duetto lunare col cinema. Una donna, un
ragazzo, un incontro malizioso, poesie, leggende, miti. Il film del regista brasiliano inventa uno
spazio e un tempo tra la parola e l’immagine
Segui la stella, verrebbe da dire parlando di Educazione sentimentale, un film «luminoso» e non per
la sua fotografia morbidamente barocca ma per quel suo essere «inattuale» del cinema e la scelta
del 35 millimetri non c’entra se non per acuirne l’imprevedibilità. Il regista è Julio Bressane,
brasiliano, tra i protagonisti indocili di quel Cinema Novo che dagli anni Sessanta ha iniettato
nell’immaginario inedite miscele di generi, culture, riferimenti sincretici rivendicando una prima
persona collettiva contro dittature e colonialismi. Bressane che in Italia ha circolato nei festival
(Taormina all’epoca Ghezzi, il festival di Torino) è noto ai cinefili divoratori delle ore notturne di
Fuori orario che ha spesso trasmesso i suoi film e ai «trafficanti» in rete di titoli invisibili nei circuiti
(pigri) ufficiali.
A portare in sala questo suo magnifico film è una piccola distribuzione indipendente, Zomia
(Donatello Fumarola, Alberto Momo, per info: www.zomia.it e pagina facebook), in omaggio alle
terre del mondo non ancora incorporate in uno stato-nazione tra Vietnam e Birmania, che punta a
quel cinema fuoribordo (fuori dai bordi) come le immagini di Bressane e nei prossimi giorni farà
uscire in Italia anche Cavalo Dinheiro di Pedro Costa. Niente di altezzoso, visto che Bressane nei
suoi film, e sin dai primi lavori, rompe la linea verticale cultura bassa/alta per un orizzontalità che
scompiglia con leggerezza geometrica le regole.
Cosa racconta dunque Educazione sentimentale? Titolo dall’eco flaubertiano, del resto è un romanzo
di formazione questo lungo incontro tra i due personaggi protagonisti, un giovane e una donna. «Ho
visto che mi guardavi» le dice il ragazzo con tono compiaciuto. E lei risponde maliziosamente ironica
con il mito di Endimione e della luna ammaliata dalla bellezza straordinaria del giovane pastore
nonostante il suo essere dea le proibisca di unirsi ai mortali. La luna, «l’altra terra celeste» di cui lei
narra l’incanto, la natura androgina (un po’ come se fosse Carmelo Bene) maschile con la terra e
femminile col sole.
«Il cinema per me era uno strumento radicale di trasformazione, ma trasformare le cose è
impossibile. Così ho lavorato su questa utopia, questa aporia, con la consapevolezza dello sforzo di
attraversare tutte le arti. Ma al cinema si è perso il senso dello sforzo e della fatica, forse per il
capitale o forse per la tirannia monetaria e bancaria che ci lascia un senso di disperazione. Il cinema
è una patologia che dà lo stile, il cinema è un disturbo psichico e fantasmagorico, di cui le immagini
sono fantasmi e sintomi, come in questo film» dice Bressane. E nel mito di Endimione prova a
ritrovare il mito del cinema, la sua sostanza, la sua luce (modulata dalla bravura di Walter de
Carvalho). L’aura diafana e brillante della luna, abat jour del crimine nellamore di una dea per un
mortale. La parola poetica che il ragazzo ascolta; la poesia dei poeti morti troppo giovani, Murnau e
Maya Deren, il dada e il surrealismo brasiliano. È una dea la scrittrice, nel suo manoscritto segreto
si cela qualcosa di potente. La sua danza è un tabù e una fascinazione.
La macchina da presa segue la coppia nel camminare, negli interni preziosi di una casa, ogni
inquadratura è una composizione, sconfina nella pittura e rivela lo scorrere del tempo.
Cinematografico, durata e spazio e invenzione di mondi che parlano «naturalmente» al cuore.
Qui la parola diviene immagine, si trasforma in erotismo e sensualità. Porzioni di labbra, il dettaglio
delle ginocchia, l’attrazione sospesa nel flusso del discorso, un’epifania che è come la danza
disegnata dal corpo ondeggiante di Josie Antello, superba interprete. E se la seduzione è qualcosa di
ineffabile, carnale e immateriale, nel «museo delle sensibilità perdute» che la donna rivela al
ragazzo ci sono i cineclub e la pellicola: «Ai miei tempi». .
Vero/apparenza, dentro e fuori, il piacere è leggerezza, libertà, gusto o giocoso di unutopia politica e
poetica : un colpo di natica alla porta un ondeggiare della gonna, l’ amorosa passione dell’occhio che
spalanca nuovi orizzonti.
Principesse e amori che si pagano o che «appagano?». Da una quinta teatrale il duetto tra la donna
e il ragazzo si trasforma in una danza, nel sorriso di una incendiaria lezione sulla Storia e sul
contemporaneo. Passato e presente scivolano nel mito, quel giardino è quasi un bosco, la donna una
dea che rivela al ragazzo qualcosa di prezioso. Lungo la strada, la stessa su cui Bressane ha girato
molti dei suoi film, i due sembrano quasi ondeggiare in un fotogramma destinato alla scomparsa.
Nostalgia? O piuttosto amore per il cinema? Per quel gesto di filmare come un piacere prolungato,
educazione al corpo: educazione sentimentale.
© 2017 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE