SIDEREUS COSMOLOGIA NUNCIUS LA MATERIA OSCURA Storia di un enigma L a maggior parte dell’informazione diretta su ciò che osserviamo nell’Universo ci arriva attraverso la radiazione elettromagnetica. Vediamo stelle, galassie e ammassi di galassie in quanto emettono luce. In altri casi, come avviene in alcune nebulose, osserviamo regioni più scure che si stagliano in contrasto a regioni più luminose retrostanti: in questo caso, è l’assorbimento della luce da parte del materiale interposto che ce ne mostra la presenza. Sia l’emissione sia l’assorbimento di luce ci permettono quindi di tracciare la presenza di materia nell’Universo. Questo lo possiamo fare non soltanto con la luce visibile, ma con radiazione che copre tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio fino alle energie estreme rappresentate dai raggi gamma. Lo stesso intero Universo è osservato e studiato con estrema precisione utilizzando la radiazione elettromagnetica emessa quasi 14 miliardi di anni fa, quando il plasma primordiale, caldo e denso, composto quasi esclusivamente di nuclei di idrogeno, nuclei di elio e di elettroni, è diventato neutro rilasciando questo segnale cosmico che oggi misuriamo nella banda delle microonde: si tratta della ben nota radiazione cosmica di fondo a microonde (CMB). Studiando l’emissione elettromagnetica di una galassia è possibile stimare la massa della galassia stessa, in quanto ogni componente della struttura (stelle o gas diffuso) ha una sua luminosità legata, in base ai processi fisici che producono la radiazione osservata, alla sua massa. In questo modo, sommando la luminosità di tutte le componenti di una galassia, si può stimare la massa dell’intera galassia e, in modo ana- logo, se si somma la luminosità di tutte le numerose galassie di un ammasso, si può stimare la massa totale dell’ammasso. Tuttavia la massa degli oggetti astronomici può essere determinata anche studiando i moti dei corpi che li compongono o che si muovono nelle loro vicinanze. Così come il moto orbitale dei pianeti del sistema solare è dovuto al Sole e la velocità di rotazione dei pianeti dipende dalla loro distanza dal Sole e dalla massa di questa stella (terza legge di Keplero), anche i moti delle stelle che formano una galassia, o delle galassie che formano un ammasso, sono in grado di fornirci un’indicazione della massa totale del corpo in cui avvengono, o attorno a cui ruotano. Nella maggior parte dei casi queste misure gravitazionali forniscono un valore della massa delle galassie e degli ammassi di galassie largamente superiore alla stima della massa ottenuta considerando soltanto l’emissione elettromagnetica. L’interpretazione più ovvia di questa discrepanza (che può essere anche molto grande, come vedremo) è che esista un’enorme quantità di materia che non emette radiazione elettromagnetica e che viene, quindi, chiamata materia oscura (MO). La comprensione che la presenza di MO sia un problema importante, con implicazioni complesse sia per l’astrofisica sia per la fisica fondamentale, si è formata ed è via via cresciuta nel corso di un secolo di osservazioni e sviluppo di modelli teorici. La MO è oggi un pilastro fondamentale della cosmologia moderna, e il tentativo di comprenderne la sua natura rappresenta uno dei campi di studio più attivi. Cerchiamo quindi di ripercorrere i momenti fondamentali di questa avventura scientifica e vedere quali sono i problemi Individuata per la prima volta in modo non equivoco da Fritz Zwicky, è uno dei più importanti problemi dell’astrofisica di oggi. Ma grazie alla fisica delle particelle ora il suo identikit incomincia a delinearsi Nicolao Fornengo Professore di Fisica Teorica all’Università di Torino, ha fatto ricerca presso la Johns Hopkins University di Baltimore (Usa), l’Instituto de Fisica Cospuscular/Universidad de Valencia (Spagna), il Laboratoire de Physique Theorique di Annecy (Francia). È autore di numerose pubblicazioni sulla materia oscura particellare. Le Stelle n. 118 s Maggio 2013 s 61 COSMOLOGIA no essere immerse in un alone di materia oscura. Utilizzando invece tecniche nuove nello studio delle masse di sistemi di galassie, Kahn e Woltjer, nel 1959, trovarono che la Via Lattea e la vicina galassia di Andromeda (M31) formavano un sistema la cui massa totale eccedeva di molto (circa 10 volte) la massa visibile delle due singole galassie. Anche qui appare necessario invocare la presenza di MO. Il problema della stabilità degli ammassi di galassie fu molto dibattuto negli anni ’60: con la velocità delle galassie grandi come quelle osservate, gli ammassi avrebbero dovuto espandersi e impoverirsi soprattutto delle galassie più vecchie; van den Bergh nel 1961 però fece notare come questa instabilità era incompatibile con l’età delle galassie presenti negli ammassi. La presenza di MO negli ammassi era proprio l’elemento mancante, in grado di trattenere le galassie nell’ammasso. Curve di rotazione Curva rotazionale della galassia NGC 2403. Si vede come la velocità di rotazione rimanga pressoché piatta all’aumentare della distanza dal centro della galassia, indicazione della presenza di un alone di materia oscura. aperti che si pongono all’indagine scientifica attuale. Gli albori È consuetudine far risalire la prima osservazione dell’esistenza di una massa mancante (o materia oscura) al 1933 e alle osservazioni che Fritz Zwicky fece sull’ammasso di Coma. Con sorpresa, Zwicky scoprì che le velocità delle galassie in questo ammasso erano di gran lunga superiori ai valori attesi sulla base della stima della massa dell’ammasso ottenuta sommando le masse delle singole galassie. Ipotizzando che le singole galassie siano legate tra loro gravitazionalmente in modo stabile all’ammasso, un semplice utilizzo del teorema del viriale (che lega il potenziale gravitazionale all’energia cinetica media, quindi alle velocità medie) permise a Zwicky di determinare che per poter trattenere le galassie all’interno dell’ammasso, quest’ultimo dovesse contenere una grande quantità di MO. Benché le misure attuali portino per Coma a valori del rapporto M/L (massa su luminosità) inferiori alle stime originali di Zwicky, la quantità di materia presente ma 62 s Le Stelle n. 118 s Maggio 2013 non visibile nell’ammasso supera di parecchie volte la semplice somma delle masse delle singole galassie. Già nel 1922 però, una prima discrepanza tra la stima della massa locale nella nostra Galassia, ottenuta studiando i moti verticali delle stelle sopra e sotto il piano galattico, aveva portato Jeans ad ipotizzare una moderata presenza di materia non visibile, ma i suoi risultati erano in disaccordo con studi analoghi di Oort e Kapteyn che invece conclusero che non c’era necessità di ipotizzare la presenza di MO nelle vicinanze del Sole. Sulle scale degli ammassi di galassie, però, le indicazioni della presenza di grandi quantità di MO cominciarono ad accumularsi. Smith, nel 1936, misurando le velocità radiali di 30 galassie nell’ammasso della Vergine, confermò l’osservazione di Zwicky secondo la quale la massa dinamica negli ammassi superava notevolmente la stima della massa luminosa. Discrepanze furono trovate anche nello studio delle masse di coppie o gruppi di galassie, sempre usando il teorema del viriale (Holmberg, nel 1937, e Page, negli anni 1950-1960): queste galassie doveva- Nel frattempo un altro problema era sorto, questa volta non riferito agli ammassi ma alle singole galassie, in particolare quelle a spirale. Le galassie a spirale sono composte da un disco, dove sono presenti gas, polveri e stelle (tutta materia che possiamo osservare nelle diverse bande dello spettro elettromagnetico). Oltre al disco può essere presente un alone, in cui le stelle hanno una distribuzione più sferoidale, spesso con un rigonfiamento verso le parti interne, anch’esso luminoso. Il materiale contenuto nel disco ha un moto di rotazione attorno al centro della galassia la cui velocità di rotazione può facilmente essere calcolata per ogni distanza da questo. Si tratta infatti di una semplice applicazione della meccanica di Newton che dipende solo dalla quantità di materia in esso contenuta; il risultato è che a una massa maggiore corrisponde una maggiore velocità di rotazione. Babock nel 1939 riuscì a misurare la velocità di rotazione delle parti esterne di M31 e scoprì che queste ruotano molto più velocemente di quello che ci si sarebbe aspettato. Le parti più esterne delle galassie sono proprio quelle più importanti, perché quella è la zona dove ci si aspetta che la velocità di rotazione cominci a diminuire, in quanto si osserva sempre COSMOLOGIA meno materia “luminosa” man mano che ci si allontana dal centro della galassia. Da una certa distanza in poi, corrispondente a circa la distanza che contiene quasi tutta la materia che emette la luce della galassia, la velocità di rotazione dovrebbe seguire un andamento simile a quello che esibiscono i pianeti attorno al Sole. Le osservazioni di Babock così come quelle, nell’anno successivo, di Oort su un’altra galassia (NGC 3115), mostravano invece che la rotazione non diminuiva come atteso e che quindi, anche dentro le singole galassie, doveva essere presente una grande quantità di materia non luminosa. Finita la seconda guerra mondiale, esisteva un gran numero di antenne radar usate fino a poco tempo prima per scopi militari. Oort e i suoi colleghi ebbero l’idea di utilizzare queste antenne come radiotelescopi per misurare le onde radio emesse alla lunghezza d’onda di 21 cm da una transizione dell’idrogeno delle parti esterne delle galassie al fine di stimare, con questa tecnica, le curve di rotazione a distanze maggiori dal centro galattico rispetto alle osservazioni ottiche, limitate dal fatto che poche stelle sono presenti a grandi distanze dal centro. Con questo sistema, nel 1957, van de Hulst, un allievo di Oort, vide che l’emissione radio si prolungava molto oltre l’emissione ottica e riuscì ad estendere la misura delle curve rotazionali della galassia di Andromeda fino a 30 kpc dal centro, confermando il risultato secondo il quale le curve di rotazione continuavano a indicare la presenza di una massa superiore a quella luminosa. Interessante notare che, negli stessi anni, Schwartzschild (1954) trovava le misure ottiche nelle parti interne delle galassie essere invece in accordo con la massa luminosa. Questo portava all’indicazione che le galassie fossero circondate da un alone di materia oscura, che diventava la componente dominante della massa della galassia mano a mano che ci si allontanava dal centro di essa. L’evidenza crebbe costantemente: Morton nel 1966 confermò con misure radio che le curve rotazionali delle galassie restavano costanti anche a grandi distanze dal centro, ben oltre la presenza della parte luminosa. Misure ottiche dei coniugi Burbridge furono realizzate nel 1959 e infine la conferma definitiva del fatto che la velo- Immagine dell’ammasso di galassie MACS J1206.2-0847 ottenuta dal telescopio spaziale Hubble, in cui è molto evidente la forma distorta di galassie distanti, causata dall’effetto di lente gravitazionale forte dovuto alla massa dell’ammasso. cità rotazionale di M31 restava pressoché costante anche a grandi distanze arrivò con i lavori di Rubin e Ford (1970) e Roberts e Rots (1973). Anche per le galassie a spirale, la dinamica (almeno nelle parti esterne) è dominata da una componente di massa non luminosa. Questo fatto (curve rotazionali piatte delle galassie a spirale) è al giorno d’oggi confermato da numerose misure e osservazioni. Dobbiamo quindi accettare che non solo all’interno degli ammassi, ma anche all’interno delle singole galassie, ci sia una gran quantità di MO che non emette radiazione e quindi non vediamo direttamente, ma di cui constatiamo la presenza attraverso i suoi effetti gravitazionali. Molto interessanti sono anche le osservazioni dei moti delle stelle presenti nelle galassie nane vicine alla Via Lattea: molte di esse, scoperte negli ultimi anni dallo Sloan Digital Sky Survey, sono decisamente poco luminose e presentano dinamiche stellari tali da far presumere la presenza di un alone di MO con una massa molto superiore a quella delle stelle contenute. Nuove finestre Con il progredire delle capacità osservative, nuove opportunità di misura si sono aggiunte alle più classiche misure dinamiche discusse sopra. Una di queste opportunità è offerta dalle osservazioni nella banda X. Il gas diffuso tra gli ammassi di galassie emette raggi X: questo segnale è stato osservato praticamente in tutti gli ammassi vicini e in molti gruppi di galassie dal telescopio orbitante per raggi X “Einstein”. Le osservazioni mostrano che il gas è in equilibrio idrodinamico, ossia che le molecole del gas si muovono nel campo gravitazionale dell’ammasso con velocità che corrisponde alla massa dell’ammasso stesso. Con questa tecnica è possibile misurare la massa in funzione del raggio dell’ammasso, cosa non possibile con la tecnica del viriale che permette di misurare sostanzialmente la massa totale. Le Stelle n. 118 s Maggio 2013 s 63 COSMOLOGIA Immagine composita del “Bullet cluster” 1E0657-558. La parte in rosso mostra l’emissione nella banda X del gas. La parte in blu mostra la distribuzione di materia oscura, come ricostruita con l’effetto di lente gravitazionale debole. Con il telescopio “Einstein” si sono effettuate misure della materia contenuta negli ammassi Coma, Perseus e Virgo (Bahcall & Sarzin, 1977; Mathews, 1978), confermando la presenza di materia oscura già identificata con il metodo del viriale. Più recentemente ammassi di galassie sono stati misurati nella banda X con il satellite ROSAT negli anni ’90 e con XMMNewton e Chandra, lanciati nel 1999. Si sono così potute ottenere immagini dettagliate di ammassi di galassie nella banda X, permettendo non solo di determinare la massa delle strutture, ma anche di cominciare a studiarne l’evoluzione in funzione della distanza (ovvero del tempo, dato che oggetti distanti ci danno l‘informazione del loro stato in tempi antichi). Un’altra tecnica diventata accessibile in tempi più recenti si basa sul fenomeno della lente gravitazionale. Secondo la Relatività Generale di Einstein, che è la teoria che descrive il comportamento dei sistemi fisici in presenza di gravità, la luce viene deflessa dal campo gravitazionale generato dalla presenza di massa tra la sorgente e l’osservatore. Se tra noi e galassie, stelle o quasar distanti si interpone una grande quantità di materia (come può essere la MO presente in un ammasso di 64 s Le Stelle n. 118 s Maggio 2013 galassie), la luce della sorgente distante viene deflessa e focalizzata come avviene con una lente ottica. Gli effetti di lente gravitazionale si suddividono in due categorie principali: lente forte e lente debole. Nel caso di lente forte, viene prodotta una distorsione molto visibile delle sorgenti distanti che si manifesta con immagini distorte (anelli di Einstein, archetti) o immagini multiple della stessa sorgente. Questo effetto si può osservare molto bene in straordinarie immagini ottenute con il telescopio spaziale Hubble. Dall’entità della distorsione delle immagini si può risalire alla massa dell’oggetto (l’ammasso, in questo caso) che ha prodotto l’effetto di lente: queste misure confermano i risultati ottenuti con il metodo del viriale e con le osservazioni X. Nel caso di lente debole, l’effetto di distorsione è molto meno evidente. Questa tecnica però è molto potente perché dalle piccole, ma inevitabili, deviazioni della traiettoria della luce si può realizzare sia la misura della massa degli ammassi, sia tentare di creare una vera mappa tridimensionale della distribuzione della materia oscura su scale cosmologiche. Le misure che utilizzano l’effetto di lente debole mostrano che anche sulle scale più grandi dell’Univer- so, la MO è largamente dominante nelle strutture cosmiche. Un’osservazione recente è particolarmente interessante: combinando le osservazioni X (che tracciano il gas) e le misure di lente debole (che tracciano la componente di massa dominante) di un sistema che è stato denominato “bullet cluster”, si vede chiaramente come il gas non sia posizionato in corrispondenza della materia oscura. Questo sistema è interpretato come due ammassi in collisione: durante la collisione, la MO che interagisce pochissimo passa quasi indisturbata, mentre il gas dei due ammassi interagisce e si forma un’evidente onda d’urto. Il gas viene così a trovarsi in posizione decentrata rispetto al centro di massa rappresentato dalla MO dei due aloni degli ammassi. C’è poi un ulteriore metodo per determinare la quantità di materia presente nell’Universo. Questa volta non andando a misurare quanta materia è contenuta nelle strutture (ammassi, galassie), ma direttamente in tutto l’universo osservabile. Qui ci viene in aiuto la radiazione cosmica di fondo, di cui parlavamo all’inizio. Il meccanismo di formazione del CMB è molto semplice: l’Universo, inizialmente molto caldo e denso, si raffredda a causa dell’espansione e quando la sua temperatura diventa inferiore a circa 3000°K le condizioni energetiche e termodinamiche sono tali che gli elettroni e i protoni del plasma si uniscono a formare atomi di idrogeno neutro. Con l’Universo che diventa neutro, i fotoni che prima interagivano rapidamente con il plasma viaggiano indisturbati fino a noi, portandoci informazioni cruciali sull’Universo al momento della ricombinazione (il fenomeno appunto di neutralizzazione del plasma, che avviene dopo circa 300.000 anni da quello che chiamiamo il Big Bang). Queste informazioni sono: il valore della temperatura media del plasma (che oggi corrisponde ad una emissione di corpo nero con picco nella banda delle microonde); il valore delle fluttuazioni della temperatura attorno al valore medio (dovute a piccole variazioni nella densità del plasma); la dinamica dell’espansione dell’Universo dall’istante della ricombinazione ad oggi (che dipende da quanto è l’intero ammontare di materia ed energia dell’Universo). Dall’insieme di queste informazioni, negli ultimi 20 anni, si è COSMOLOGIA potuto determinare che l’Universo ha una densità totale di massa e energia uguale alla densità critica (ossia che l’Universo è geometricamente piatto), che la materia di cui noi siamo fatti (protoni e nuclei, con un termine collettivo: barioni) rappresenta solo il 4% dell’intero ammontare di massa + energia e che circa il 30% dell’Universo è costituito da una forma di materia che è in grado di formare galassie e ammassi di galassie. Questo allora significa che anche le osservazioni cosmologiche ci indicano che nelle galassie e negli ammassi c’è molta più materia di quella che ci saremmo aspettati: i barioni, infatti, sono i costituenti principali del gas e delle stelle e di conseguenza sono associati alla componente luminosa delle strutture cosmiche. Sono i barioni ad essere responsabili dell’emissione della radiazione visibile: nelle stelle, ad esempio, sono le reazioni termonucleari tra protoni e/o tra nuclei atomici che permettono alla stella di brillare. Non tutti i barioni presenti nelle galassie e negli ammassi emettono radiazione luminosa (e in effetti la maggior parte dei barioni sono anch’essi oscuri: un esempio ovvio sono i pianeti). Però anche le misure cosmologiche, che ci permettono di “pesare” l’intero Universo, ci dicono che il 26% dell’intero contenuto in massa + energia dell’Universo esiste in una forma che può formare strutture come le galassie e gli ammassi, ma non emette radiazione ed ha natura diversa dai barioni. Questo risultato è fondamentale: ci conferma la necessità della materia oscura e allo stesso tempo ci dice che la MO non è formata da materia ordinaria. Questo ha implicazioni profonde sul tentativo di comprendere la natura della MO, come vedremo tra poco. È decisamente straordinario, inoltre, che l’informazione secondo la quale i barioni costituiscono solo il 4% del contenuto dell’Universo sia confermata in modo totalmente indipendente da un altro elemento teorico e osservativo della cosmologia moderna: la nucleosintesi primordiale. Prima della formazione della radiazione di fondo, la CMB, l’Universo è stato ancora più caldo e denso di quanto non lo fosse al tempo della ricombinazione. Si è quindi trovato nelle condizioni adatte per poter indurre processi di fusione nucleare tra protoni e neutroni, con la conseguente for- Mappa 3D della distribuzione di galassie su grande scala, ottenuta dallo Sloand Digital Sky Survey. Sono visibili la struttura filamentare e i vuoti della distribuzione di galassie. mazione di nuclei leggeri, principalmente 4 He, con tracce di D, 3He e ancor meno 7 Li. Durante la nucleosintesi primordiale, che avviene in un arco di tempo che inizia nei primi millesimi di secondo di vita dell’Universo e termina dopo circa 3 minuti dal Big Bang, vengono prodotte ben definite abbondanze dei vari nuclei leggeri, le quali dipendono da quanti barioni sono presenti nell’Universo. Dal confronto delle previsioni teoriche con le misure di abbondanze primordiali di He, D e Li si determina quanti barioni sono presenti nell’Universo. Il risultato, già noto seppur con maggiori incertezze fin dagli anni ’70, è in perfetto accordo con quel 4% indicato dalle misure sulla CMB. Un grandissimo successo della nostra visione dell’Universo e del suo modello teorico. A nessuno sarà sfuggito che al budget totale di massa + energia dell’Universo manca ancora circa il 70%: questa componente dominante che, in base alle misure sul CMB, dobbiamo introdurre, se non altro per far tornare i conti, è confermata da un altro tipo di osservazione cosmologica: dalla misura della radiazione che ci proviene dalle supernove distanti si è potuto stabilire che l’Universo è attualmente (da circa metà della sua età) in una fase di espansione accelerata. Se nell’Universo ci fossero soltanto materia ordinaria (barioni), MO e radiazione, la gravità (attrattiva) agirebbe in modo tale da determinare un’espansione decelerata (come in effetti sappiamo essere avvenuto per buona parte dell’evoluzione primordiale dell’Universo). Un’espansione accelerata richiede necessariamente che l’Universo sia attualmente dominato da una forma di energia esotica (l’energia oscura), diffusa in modo omogeneo nell’Universo. Questo fenomeno che sembra contraddire la nostra esperienza quotidiana di gravità attrattiva è permesso dalla Relatività Generale di Einstein, ma richiede che la grandezza fisica che genera Le Stelle n. 118 s Maggio 2013 s 65 COSMOLOGIA Distribuzione della materia oscura ottenuta dalla simulazione numerica Millennium Simulation, con dettagli a varie scale. l’accelerazione abbia proprietà peculiari, molto diverse da quelle della radiazione e della materia (ordinaria o oscura). Un esempio è fornito dalla costante cosmologica, ma non possiamo ora addentrarci in questo ancor più misterioso fenomeno. Meglio tornare al filo conduttore del nostro discorso: le osservazioni delle supernove distanti che hanno portato proprio a questo risultato, ossia che l’Universo è attualmente in espansione accelerata. Supernove distanti e CMB assieme formano il quadro (decisamente sorprendente, ma per questo ancor più eccitante) che l’Universo è oggi dominato al 70% dall’energia oscura, 66 s Le Stelle n. 118 s Maggio 2013 e contiene il 26% di materia oscura e solo il 4% di barioni. Materia oscura fredda Un altro aspetto importante della nostra comprensione sulla MO è rappresentato dallo studio di come le strutture cosmologiche (galassie e ammassi di galassie) si formano. Un lungo percorso, iniziato nei primi anni ’70 con Zeldovich e che prosegue tuttora, ha portato alla comprensione che galassie e ammassi si formano in seguito all’accrescimento gravitazionale di piccole zone più dense rispetto alla media. L’idea originale di Zeldovich che la MO potesse essere formata da neutrini (particelle relativistiche, quindi “calde”) non ha retto alle evidenze osservative. La struttura a grande scala dell’Universo predetta dal modello di Zeldovich si è dimostrata in contraddizione con le osservazioni: l’Universo su scale molto grandi appare costituito da grandi vuoti, con le galassie che formano lunghi filamenti, come in una rete cosmica. Una delle prime e chiare osservazioni di questo fatto fu realizzata nel 1986 da Geller e Huchra con il “CfA second redshift survey”. Il modello di Zeldovich non era in grado di spiegare questa distribuzione, in quanto la MO calda tende a inibire la formazione dei filamenti. Al contrario, gli studi di simulazione numerica realizzati da vari gruppi, in cui si studiava la formazione delle strutture con materia oscura “fredda” invece che “calda”, si dimostrarono in grado di spiegare teoricamente la distribuzione di vuoti e filamenti osservata. Simulazioni numeriche molto sofisticate, come la “Millennium Simulation” di Springel e collaboratori, sono in grado di riprodurre in modo molto efficace le osservazioni. Il paradigma della materia oscura fredda è quello che si è infine imposto (pur con qualche potenziale problema, che non ho qui la possibilità di discutere perchè richiederebbe molto più spazio): in questo modello, l’instabilità gravitazionale porta prima alla formazione delle strutture più piccole che poi si uniscono a formare le strutture più grandi. Elemento fondamentale è che la materia oscura sia una particella “fredda” che si è formata nell’Universo antico (molto prima della ricombinazione) e dal momento in cui si è staccata dal plasma abbia cominciato ad accrescere le sue perturbazioni di densità, nelle quali (successivamente alla ricombinazione) sono “caduti” i barioni per formare tutto quello che oggi osserviamo nell’Universo. Fisica delle particelle Abbiamo visto come la MO richieda l’esistenza di una particella diversa dalla materia ordinaria e come l’insieme delle osservazioni cosmologiche e astrofisiche, unite alla teoria della formazione delle strutture, ponga alcune richieste specifiche su quali proprietà questa nuova particella debba avere. La strada verso la comprensione della natura intima della MO conduce quindi COSMOLOGIA ad un affascinante e proficuo connubio tra lo studio dell’infinitamente grande (il cosmo) e l’infinitamente piccolo (le particelle elementari). La formazione delle strutture richiede che la MO sia, con buona approssimazione, fredda e interagisca molto poco (sia “non collisionale”), proprietà che ben si accordano con il fatto che la materia oscura non emetta radiazione. Abbiamo quindi bisogno di una particella dotata di massa (così da poter essere fredda) e di sola interazione debole. Questo ci guida nella scelta e nella costruzione di modelli di nuova fisica che estendono il modello standard delle particelle elementari (dove, infatti, non esistono possibilità per ospitare la materia oscura). Il fatto che che la MO si sia formata nell’universo primordiale ci permette di determinare la forza delle sue interazioni. Lo studio del comportamento delle particelle elementari nel plasma dell’Universo in espansione ci permette, infatti, di comprenderne i meccanismi di formazione. Il principale consiste nell’eccitazione della particella di MO nel plasma caldo e denso, a causa delle sue interazioni con il resto del plasma che continuamente la creano e la distruggono. Con il diminuire della temperatura del plasma, le interazioni diventano inefficaci a mantenere la particella in interazione. Il numero di particelle di MO formatesi non cambia più e permane fino a noi (se la particella è stabile: ecco un altro requisito che dobbiamo imporre). Per fare in modo che il numero di particelle presenti nell’universo odierno corrisponda a quel 26% della densità di materia + energia totale di cui parlavamo prima, è necessario che la particella di materia oscura abbia l’intensità delle interazioni nucleari deboli (come dicevamo, può quindi essere fredda) e valori della sua massa tipicamente (ma non necessariamente) in un intervallo che va da alcune volte fino ad alcune migliaia di volte la massa del protone. Particelle elementari con queste proprietà sono predette in diverse estensioni del modello standard, come la supersimmetria o le teorie con dimensioni spaziali aggiuntive rispetto alle 3 ordinarie. Queste teorie sono attualmente sotto attento studio al grande acceleratore di particelle del CERN (LHC, Large Hadron Collider). La ricerca di MO è quindi strettamente colle- gata alla fisica fondamentale e ha ricadute importanti sullo studio della fisica delle particelle (oltre ad acquisire da essa input fondamentali). Plasma primordiale Per buona parte della nostra discussione abbiamo detto che la MO non produce radiazione. Però abbiamo anche visto che ci aspettiamo che essa sia una nuova particella elementare soggetta solo alle interazioni deboli. Queste interazioni, seppur molto flebili, sono necessarie per far sì che il plasma primordiale la produca. Allora non è che qualche segnale, seppur debole, lo possa emettere? Infatti è proprio quello che ci si aspetta, e su cui si fonda la nostra speranza di poter mettere in evidenza la sua presenza non solo per via gravitazionale. La ricerca di particelle di materia oscura nella nostra galassia, o nel mezzo extragalattico, attraverso segnali astrofisici (uno degli aspetti principali della fisica astroparticellare) è un settore di ricerca molto attivo. I tipi di segnale attesi sono suddivisi in due categorie: segnale diretto e (vari) segnali indiretti. Il segnale diretto si basa sulla possibilità di osservare l’interazione delle particelle di MO presenti localmente (anche attorno a chi scrive e a chi legge!) direttamente con un opportuno rivelatore, producendo un rinculo nucleare. Dato che ci attendiamo segnali debolissimi, dobbiamo utilizzare rivelatori purissimi in termini di radioattività e compiere le misure in un ambiente il più possibile schermato dai raggi cosmici. Per questo motivo si opera in laboratori sotterranei, come i Laboratori Nazionali dell’INFN al Gran Sasso presso L’Aquila. I segnali indiretti sono invece dovuti ai rari processi di annichilazione che possono avvenire sia nell’alone della nostra galassia sia negli ammassi. In questi processi due particelle di MO interagiscono tra di loro, sparendo e producendo una gran varietà di possibili segnali: raggi gamma, neutrini, antimateria (antiprotoni e antideuterio, principalmente), elettroni e positroni. Questi ultimi, interagendo con la CMB e con la radiazione stellare, possono a loro volta produrre ulteriori raggi gamma; ovvero, interagendo con il campo magnetico galattico o extragalattico, possono emettere segnali elettromagnetici di bassa fre- quenza, tipicamente nelle onde radio. C’è quindi un ampio spettro di possibilità che viene sfruttato, con una intensa attività sia di tipo teorico che sperimentale ormai da molti anni. Le predizioni teoriche di questi segnali sono progressivamente estese con l’inclusione di nuovi effetti e con la ricerca di nuove finestre osservative. Le attività sperimentali racchiudono uno spettro amplissimo di tecniche molto differenti tra loro, che vanno dai radiotelescopi a terra, ai rivelatori X e gamma nello spazio (o in atmosfera, per le energie più alte), ai telescopi neutrinici, ai rivelatori di raggi cosmici, anche questi posizionati nello spazio o, per le energie più alte, a terra. È un campo molto complesso e difficile da studiare, in quanto ognuno di questi segnali ha dei fondi di tipo astrofisico che mascherano il debole segnale dovuto alla materia oscura. Per questo si cercano di identificare quelle caratteristiche del segnale prodotto dalla MO che lo rendono speciale rispetto ai fondi attesi. Un esempio in questo senso è rappresentato dalla variazione temporale del segnale diretto, correlato con il fatto che la Terra, su cui è posizionato il rivelatore, ruota attorno al Sole con un periodo di un anno. La rotazione terrestre induce una variazione temporale peculiare al segnale di MO (una modulazione annuale), mentre il fondo è sostanzialmente dovuto a processi casuali, non periodici. Un esperimento posizionato nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (DAMA) ha effettivamente osservato una modulazione annuale con le giuste proprietà richieste dal segnale di MO e senza interpretazione alternativa in termini di fondo (vedi Le Stelle n. 65, pag. 40, AgostoSettembre 2008). La prima evidenza risale al 1998, e da allora è stata confermata dalla collaborazione sperimentale in tutte le fasi successive dell’esperimento (che attualmente continua le sue misurazioni). Questa osservazione potrebbe rappresentare la prima misura di un segnale dovuto alla materia oscura presente nella nostra galassia. Gli studi, naturalmente, proseguono. In conclusione questa avvincente avventura, che ci accompagna da quasi un secolo, non ha ancora raggiunto la sua conclusione. E, come abbiamo visto, promette di riservarci ancora molte affascinanti sorprese. Le Stelle n. 118 s Maggio 2013 s 67