DOMENICA DELLE PALME A
Dalla lettera di S. Paolo apostolo ai Filippesi (2,6-11):
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come
Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e
a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di
Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù
Cristo è il Signore!”, a gloria di Dio Padre.
Le più antiche memorie del mistero pasquale rivelano un ritmo binario: Cristo voi lo avete crocifisso, ma Dio
lo ha fatto risorgere (At 2,36), oppure: Cristo è morto per i nostri peccati, ma è risorto per la nostra
giustificazione (Rm 4,25). Questa struttura binaria la si avverte pure in questo inno cristologico. E' un testo
straordinariamente adatto per entrare nella settimana di passione, una sorta di portico d'ingresso.
In questo inno è descritta la parabola dell’esistenza di Cristo, che si sviluppa sostanzialmente in due movimenti:
uno di abbassamento e di svuotamento, e uno di esaltazione e di riconoscimento.
1. Il movimento discendente parte dalla condizione divina di Gesù, passa attraverso lo svuotamento
dell’incarnazione (si fa bambino; trent’anni di vita nascosta a Nazaret) e culmina nell’umiliazione
dell’obbedienza fino alla morte di croce. In primo luogo dunque Gesù è considerato nella sua condizione di
partenza come uguale a Dio; egli fa il contrario di Adamo: il primo uomo era stato creato a immagine di Dio,
posto nel giardino di Dio come ospite e custode e ne aveva voluto diventare furtivamente il padrone, facendosi
uguale a Dio. Il suo peccato fu dunque quello di non voler vivere la sua esistenza come dono di un altro e nel
tentare di rapire la condizione divina. Cristo Gesù segue, invece, la via contraria: pur possedendo la condizione
divina che Adamo non aveva, non la tiene come tesoro gelosamente custodito, ma accetta di viverla nella
condizione dell’abbassamento, facendosi uomo e obbedendo fino alla morte. In tal modo otterrà alla fine da Dio
come dono il titolo di ‘Signore’. Diventato uomo, Gesù umiliò se stesso; questa umiltà era di molti oranti dei
salmi, i quali riconoscevano la loro totale dipendenza da Dio; era quella di Maria che nel Magnificat cantava a
Dio perché guarda la pochezza umana. In Gesù è tutto questo, ma è soprattutto l'atto con cui si fa obbediente fino
alla morte. Qui l'identificazione con la condizione umana si fa completa; ma mentre nell'uomo senza Cristo la
morte (e la sofferenza) sopraggiunge come un 'incidente', qualcosa che non è oggetto di volontà, Cristo invece
assume volontariamente l'abbassamento e la morte, in atteggiamento di obbedienza: svuotò se stesso, umiliò se
stesso, facendosi obbediente (Offrendosi liberamente alla sua Passione). In tal modo, nell'obbedienza di Gesù,
finalmente l'uomo diventa capace di obbedire a Dio, di fare ciò che Adamo non aveva fatto. Lui che sta al di
sopra della legge e della natura umana, si è inserito nella vicenda degli uomini, percorrendo un itinerario simile a
quello di tutti gli altri. Non si è limitato ad essere solidale con gli uomini. Ha voluto essere solidale con gli
ultimi, diventando l'ultimo degli ultimi. Ha scelto l'ultimo posto. Ha scelto la croce, ignobile supplizio riservato
agli schiavi. "L'Eucaristia è il sacramento dell'Amore Divino che si abbassa all'estremo per innalzarci fino a Lui"
(S. Teresa di Lisieux). Mangiatoia, Croce ed Eucaristia: i tre segni dell'abbassamento di Gesù (b. Antonio
Chevrier).
2. Il movimento dell’esaltazione: mentre finora era Gesù il soggetto di tutte le azioni, di tutti i verbi, ora diventa
Dio il nuovo soggetto. Il Padre riabilita il Figlio umiliato e fa sì che tutti riconoscano che in lui si è compiuto il
piano di Dio. La risposta del Padre consiste in un intervento sorprendente, tale da ribaltare letteralmente la
situazione. La massima umiliazione è diventata, però, la massima glorificazione. Gesù viene proclamato
‘Signore’, è quell'uomo che occupa il posto stesso di Dio e che tutti devono riconoscere. A Gesù viene tributato
il riconoscimento dell'intero universo, ma questa acclamazione ‘Gesù è il Signore’ veniva subito riconosciuta dai
cristiani come la confessione di fede che saliva incessantemente dalle loro assemblee. E' soprattutto nella Chiesa
che la signoria di Cristo deve essere riconosciuta e proclamata, perché davvero ogni lingua lo possa proclamare,
ma non solo a parole, bensì con tutta la vita: una vita nella signoria di Cristo. Chi lo riconosce Signore,
testimonia anche che la sua via è l'unica che porta alla vita.
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Mentre il dono di sé per amore dei fratelli lo vede agire in prima persona, la gloria la riceve dal Padre. La
salvezza è nello stesso tempo dono e impegno; essa deve essere attesa e accolta come frutto di un intervento
onnipotente di Dio nella nostra vita; ma pure sperata e ‘meritata’ attraverso la nostra docile e gioiosa
corrispondenza al dono di Dio.
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini…
Cristo preesisteva in una condizione sua, che gli apparteneva di diritto, in pienezza: condivideva l’esistenza
eterna di Dio. Non ritenne un privilegio tale condizione. Gesù non ha considerato una preda l’essere alla pari con
Dio, cioè non ha voluto conservare per sé in maniera gelosa, egoistica e possessiva, uno status che già gli era
proprio, ma ha accettato di svuotarsi. Gesù, in questa condizione, avrebbe potuto esercitare il potere, ma non lo
ha fatto, anzi ‘svuotò se stesso’. E’ uno spogliamento radicale (kènosi), un fare vuoto di sé. Gesù spogliò se
stesso 'assumendo una condizione di schiavo'. E' il contrasto più totale tra la forma/condizione divina e quella
dello schiavo! Colui che è nel più basso gradino sociale, privo di ogni diritto. L'amore di Dio si manifesta in
Cristo, raggiungendo l'uomo nella sua condizione di fragilità 'diventando simile agli uomini'.
“Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2Cor 8,9).
“Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore” (2Cor 5,21). Qui il paradosso è
ancora più evidente!
Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di
croce.
L’abbassamento non è ancora terminato, perché ‘umiliò se stesso’ (=si fece piccolo). E' un entrare nella bassezza
della condizione umana, il suo essere prossimo al suolo (humus); e lo fa 'facendosi obbediente', ponendosi cioè
'sotto la voce', in ascolto della parola divina. Gesù vive tutta la sua vita in obbedienza al Padre, in una
disponibilità totale al suo volere. E' come una caduta a precipizio, che giunge 'fino alla morte'. E' questo l'esito di
ogni esistenza umana, a cui non si è sottratto neppure colui che era di condizione divina. E come se non bastasse,
ecco l'aggiunta in cui c'è la firma di Paolo: ‘e a una morte di croce’. L’abisso è toccato; lo svuotamento è
assoluto, perché non è la morte dei giusti, di coloro che sono sazi di anni, ma la morte scandalosa della croce, di
quello che, secondo la Scrittura, è il maledetto. Per Paolo la croce è veramente il vertice rovesciato della carriera
di colui che era di condizione divina, ma il vertice dell’obbedienza, di fiducia nella Parola, nell’abbandono al
Padre.
A questo punto inizia allora il secondo movimento dell’inno, con la glorificazione dell’umiliato. Se la croce è
l’ultima parola della vita terrena di Gesù, non è stata però l’ultima parola del Padre su Gesù. L’esaltazione di
Cristo è a motivo del suo abbassamento estremo.
Poiché la croce non è stata il frutto di un caso sfortunato, ma l’esito di una storia di abbassamento in favore degli
uomini, allora Dio interviene esaltando.
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è il Signore!”, a
gloria di Dio Padre.
Letteralmente il testo parla di una super-esaltazione, dell’innalzamento al di sopra di ogni altra realtà. Anche se
non appare esplicitamente il linguaggio della risurrezione, il pensiero soggiacente è evidente. E’ il Padre che
dona a Gesù ‘il nome che è al di sopra di ogni altro nome’.
Il ‘nome’ è la realtà stessa di Dio che si manifesta, perciò qui la persona di Gesù viene costituita in una realtà e
in una dignità che si collocano sul piano di Dio. E la Chiesa non può che confessare questa dignità divina di
Gesù.
Per la tua riflessione:
Io sono ben aggrappato ai miei privilegi e li difendo a denti stretti.
Io non accetto l’ultimo posto, lo lascio volentieri agli altri.
Se sono obbediente alla volontà di Dio, lo sono più per forza
che per amore.
Nei momenti di prova sono convinto dell'intervento
sorprendente di Dio, che sa ribaltare ogni situazione?
Posso dire che Gesù Cristo è l'unico 'Signore' della mia vita?