I Carabinieri a Mantova

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I Carabinieri a Mantova
Scritto da Pietro Liberati
1848
Quasi tutti gli eventi del Risorgimento, videro il territorio mantovano al centro di scontri e di
sanguinose battaglie in cui i Carabinieri, primo Corpo dell’esercito piemontese, presero parte. I
Carabinieri parteciparono alle battaglie di Valeggio, Monzambano, Pozzolo e alla conquista di
Goito ( il 9 aprile), in cui ebbe il battesimo del fuoco il nuovo corpo dei Bersaglieri e si distinsero
i Granadieri di Sardegna comandati dal futuro re Vittorio Emanuele II. In questa fase i
piemontesi, stabilito il quartier generale a villa Cavriani di Volta Mantovana, avevano circondato
Peschiera e per tre quarti Verona, mentre Mantova veniva sorvegliata lungo il Mincio ed il
torrente Osone fino al Po, da Goito a Borgoforte.
Dopo le prime scaramucce vittoriose sorsero reazioni contrastanti fra i diversi sovrani italiani,
sospettosi nei confronti del re di Savoia tanto che dopo il discorso papale del 29 aprile,
ritirarono le truppe regolari, per cui l'esercito sabaudo rimase da solo con i volontari ad
affrontare l'armata austriaca comandata dal maresciallo Radetzky, un abile militare che dal
1831 era governatore della Lombardia.
A Pastrengo (VR) il 30 aprile 1848, tre squadroni di Carabinieri, scorta del Re Carlo Alberto,
che da Volta Mantovana si era spinto verso la prima linea, con un'epica carica seminarono il
panico nelle linee austriache che si ritirarono, meritando alla bandiera la prima medaglia
d'argento al valor militare. Carlo Alberto, non prosegue l'intenzione iniziale di disgregare il
Quadrilatero delle fortezze entrando nel cuore del Veneto. Probabilmente si aspettava una
insurrezione come a Milano delle città di Mantova e Verona ed in quel contesto sarebbe stato
molto più semplice occuparle, ma i rivoluzionari veronesi erano a Governolo, insieme alla
Colonna mantovana ed ai volontari modenesi, impegnati nel tentativo di interrompere i
rifornimenti provenienti da Legnago (24 aprile).
Questa sosta nelle operazioni belliche permise agli austriaci di riorganizzare le proprie file e
forti di oltre 35.000 uomini si mossero il 29 maggio da Mantova con tre distinte colonne. Una in
direzione di Cremona a ridosso del lago, l'altra verso Montanara, mentre la terza si dirige verso
Buscoldo con lo scopo di prendere alle spalle le forze dislocate a Levata e Montanara. Sull'esile
linea difensiva predisposta lungo 30 km, erano dislocati alcuni reparti regolari ed i 6.000
volontari composti dagli universitari toscani e da un battaglione di Napoletani con sei cannoni, al
comando del generale De Auger. Le intenzioni di Radetzky sono quelle di travolgere le esili
difese per proseguire verso Goito così da stringere i piemontesi in una morsa verso Peschiera.
Contro un nemico quattro volte superiore la resistenza dei Volontari Toscani fu encomiabile, per
sei ore tennero testa agli austriaci da Curtatone a Montanara fino a che non vennero sopraffatti
dalla superiorità nemica. Tra i caduti, Leopoldo Pilla in combattimento e per le ferite,
Ferdinando Landucci che comandavano i volontari. A Landucci docente toscano venne intitolata
nel 1866 la caserma ricavata nell’ex convento di San Domenico.
Tra i superstiti, lo scrittore Carlo Lorenzini più noto con il nome di Collodi. Stranamente
Radetzky non proseguì verso Peschiera e il giorno successivo negli scontri tra Goito e
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I Carabinieri a Mantova
Scritto da Pietro Liberati
Guidizzolo, gli austriaci furono sconfitti. Dopo la vittoria, giunse la notizia della conquista di
Peschiera dove i Carabinieri meritarono altre due medaglie di bronzo. Ancora una volta Carlo
Alberto non seppe approfittare della vittoria e inseguire gli austriaci e saldarsi con i volontari che
avevano occupato Padova, Vicenza e il Cadore così da chiudere il cerchio intorno al
quadrilatero impedendo i collegamenti con l’Austria. Dopo la sconfitta, l'esercito asburgico in
rotta, compie razzie e saccheggi nei comuni di Casaloldo, Guidizzolo, Castellucchio, Ospitaletto
e Rivalta. Anche a Mantova avvengono saccheggi il più importante dei quali è la trafugazione e
dispersione dei Sacri Vasi, due contenitori d'oro risorgimentali attribuiti al Cellini in cui era
conservato il Sangue di Gesù.
A giugno Radetzky rinsaldate le truppe riconquista Padova e Vicenza ritornando padrone del
Veneto riposizionandosi a Verona. Garibaldi, appena rientrato dal sudamerica, si recò il 5 luglio
nel quartier generale, spostato ora a Roverbella, al cospetto del re per: "offrire, senza rancore
il mio braccio e quello dei compagni a colui che mi condannava a morte nel '34
". Il suo aiuto viene declinato tanto che il "Generale" nelle sue memorie scrive: "
Io avrei servito l'Italia agli ordini di quel re come avrei servito la repubblica...io correvo
da Genova a Roverbella, da Roverbella a Torino, da Torino a Milano senza poter ottenere
di servire il mio paese a nessun titolo
." Un'altro scontro favorevole ai piemontesi avvenne a Governolo il 18-19 luglio in cui si distinse
il
luogotenente Trotti
, a cui è intitolata l’attuale caserma dei Carabinieri in via Chiassi, che ricevette una medaglia
d’argento al valor militare.
Nel proseguo delle operazioni i Carabinieri presero parte anche agli scontri che si
susseguirono dal 22 al 27 luglio a Verona, Santa Lucia, Custoza, Volta Mantovana, Goito, che
determinarono la ritirata dell’esercito piemontese e che sono ricordati come la battaglia di
Custoza. Le conseguenze peggiori della sconfitta e del successivo ritiro dei piemontesi, nel
mantovano, le sopporto la città di Sermide che dopo una strenua resistenza il 29 e 30 luglio fu
messa a ferro e fuoco e bruciata dagli austriaci. Portata ad esempio dal Generale Von Welden
che in un suo proclama scriveva "Guai a coloro che restano sordi alla mia voce, e
s'arrischiano di fare resistenza! Gettate lo sguardo sulle ancora fumanti rovine di
Sermide i suoi abitanti hanno osato far fuoco sui miei soldati ed il paese venne tosto
distrutto
". Per questo, la città, fu insignita di medaglia d’oro,
... dopo 51 anni!
Dopo un tentativo di riscossa dei piemontesi intorno a Milano fallito il 9 agosto, il generale
Salasco firmò l'armistizio con gli Austriaci rientrando all'interno dei confini segnati dal Ticino.
Alla guerra contro l'Austria avevano partecipato, come volontari, migliaia di democratici e
mazziniani, i quali, pur affiancando l'esercito sabaudo, lottavano perché l'Italia, una volta
liberata dagli Austriaci, diventasse una repubblica. Dopo la sconfitta di Carlo Alberto, rimasero
da soli a combattere per l'indipendenza italiana: a Venezia con la Repubblica di San Marco; a
Firenze con un governo democratico. A Roma dopo la fuga a Gaeta del papa fu proclamata la
Repubblica Romana (9 febbraio 1849), guidata da Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Le
intenzioni erano di organizzare una Costituente nazionale allo scopo di costruire un'Italia unita e
repubblicana.
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Scritto da Pietro Liberati
1849
Carlo Alberto, allarmato per tali affermazioni, tentò di recuperare credibilità ripudiando il trattato
e riaprendo le ostilità con l'Austria, il disastro fu immediato. L'esercito piemontese subì una
tremenda sconfitta a Novara, il 23 marzo 1849, nello stesso giorno insorse Brescia. Dopo la
sconfitta piemontese, gli austriaci si rifiutarono di firmare la pace con Carlo Alberto che abdicò
in favore di suo figlio Vittorio Emanuele II° e si ritirò in esilio in Portogallo, dove morì pochi mesi
dopo. La rivolta di Brescia, grazie all'arrivo di truppe da Milano e Mantova fu vinta dopo dieci
giorni di scontri che le meritarono il titolo di "Leonessa d'Italia ". In giugno Roma fu presa
d'assalto dai Francesi e, dopo un mese di eroica resistenza in cui morì, tra gli altri Goffredo
Mameli, fu costretta ad arrendersi. Più lunga fu l'agonia della Repubblica di Venezia: assediata
dall'esercito austriaco dal 2 aprile, colpita dalla fame e dal colera, resistette fino al 23 agosto.
1850-1858
Dopo la sconfitta, il Piemonte era notevolmente cambiato, grazie alle capacità politiche di
Camillo Benso conte di Cavour. Primo ministro dal 1852, Cavour, aveva in pochi anni, fatto del
Regno di Sardegna uno Stato economicamente prospero anche se non poteva reggere il
confronto con l'Inghilterra e la Francia, era comunque all'avanguardia nella nostra Penisola.
Cavour, di convinzioni liberali, aveva saputo creare in Piemonte un clima di tolleranza e di
apertura, limitando le interferenze della Chiesa in campo politico. Questo clima aveva attirato in
Piemonte molti esuli, perseguitati negli altri Stati italiani, più di 20.000 persone, tra i quali alcuni
dei più noti intellettuali dell'epoca. Ricca di fermenti ideali Torino stava diventando la capitale
morale dell'Italia, prima ancora di diventarne, la capitale politica. Queste condizioni favorevoli si
trasformarono in una realtà politica grazie all'abile e spregiudicata azione diplomatica promossa
da Cavour. Egli comprese infatti che l'unificazione dell'Italia poteva essere raggiunta soltanto
con l'aiuto delle grandi nazioni europee che avevano interesse a limitare il potere dell'Austria.
Mirò dunque a suscitare l'interesse di quei Paesi per la causa italiana cercando di favorirne la
politica per guadagnarne l'alleanza. L'occasione si presentò nel 1854, quando scoppiò la
cosiddetta guerra di Crimea, condotta da Inghilterra e Francia contro la Russia, che aveva
voluto approfittare della crisi dell'impero turco per allargare i propri domini. Anche se la
questione non toccava l'Italia, nel 1855 Cavour inviò in Crimea 18.000 soldati, tra cui Carabinieri
al comando del Capitano Trotti , già distintosi a Governolo nel ’48, per combattere a fianco
della Francia e dell'Inghilterra. Queste due potenze, dopo la vittoria, nel Congresso di Parigi
(1856) tacitamente autorizzarono il Piemonte a farsi promotore dell'unità italiana. Il primo
ministro piemontese e l'imperatore francese si incontrarono segretamente a Plombieres (in
Francia) il 20 luglio 1858, e Napoleone III, promise un appoggio militare in caso di attacco da
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parte dell'Austria. Ora non restava a Cavour che provocare l'attacco dell'Austria. Mentre
diventavano sempre più evidenti i preparativi per la guerra, il re Vittorio Emanuele II dichiarava
pubblicamente di non essere insensibile al "grido di dolore" (cioè al desiderio di indipendenza)
che si levava dall'Italia
1859
L'Austria chiese al Regno di Sardegna che cessassero le manifestazioni di ostilità e venissero
sciolti i corpi volontari che si erano ammassati in Piemonte, ma il re respinse l'ultimatum. Il 26
aprile 1859, l'Austria dichiarò aperte le ostilità dando inizio alla seconda guerra d'indipendenza.
Il comando delle operazioni fu assunto da Napoleone III, che vinse gli Austriaci a Palestro,
Montebello e Magenta, ed entrò a Milano insieme a Vittorio Emanuele II, mentre Garibaldi, che
per l'occasione aveva formato il corpo dei "Cacciatori delle Alpi", batté gli Austriaci a Varese,
San Fermo e Brescia. Il 24 giugno Francesi e Piemontesi riportarono una seconda vittoria a
Solferino e San Martino. Fu una battaglia terribile e sanguinosa morirono 40.000 soldati, 1566
ufficiali, 9 generali e tre feldmarescialli. I feriti a migliaia, solo a Castiglione delle Stiviere ne
furono curati 25.000, riempirono case, chiese, conventi e le stesse piazze e strade. Una babele
di lamenti e urla, francesi, austriaci, croati, slavi, rumeni ed italiani uniti nella comune sventura.
La popolazione civile spronata e guidata da Monsignor Barzizza si prodigò senza sosta per
assistere e curare la moltitudine di feriti. Napoleone III, l’anno successivo gli conferì la Croce
della Legion d’Onore per l’opera instancabile di soccorso, insieme alla popolazione, verso i
soldati di ogni nazionalità nei giorni successivi la battaglia. Lo spettacolo del campo di battaglia,
la generosità, volontaria e disinteressata delle popolazioni servi da spunto allo svizzero Henry
Dunant per impostare le basi della Croce Rossa da lui fondata a Ginevra nel 1863.
I Carabinieri per volere del re non furono impiegati come forza combattente, ma furono utilizzati
come informatori, inviati travestiti nelle contrade e paesi per segnalare gli spostamenti delle
truppe nemiche. A questo punto, però, le cose non andarono come Napoleone III aveva
sperato. Nei Ducati di Modena e Parma, in Toscana e nello Stato Pontificio scoppiarono moti di
rivolta che chiedevano l'annessione al Piemonte. I cattolici francesi ancora una volta si
schierarono dalla parte del Papa, premendo perché Napoleone abbandonasse la guerra. Costui
temeva inoltre che il Piemonte diventasse troppo forte. In queste condizioni l'imperatore
abbandonò la guerra, firmando un armistizio separato con l'Austria, a Villafranca, nel luglio
1859. La Lombardia, ad eccezione di Mantova e circa metà della sua attuale provincia, veniva
ceduta alla Francia che l'avrebbe poi ceduta al Piemonte in cambio di Nizza e della Savoia.
Vittorio Emanuele II non volle proseguire i combattimenti senza l'alleato francese, nonostante le
esortazioni di Cavour, il quale per protesta dopo un'accesa discussione tenutasi a villa
Melchiorri di Monzambano si dimise.
1860
In Toscana, in Emilia, a Modena e a Parma l'11 e il 12 marzo 1860 si svolsero dei plebisciti che
decretarono l'annessione al Regno di Sardegna. Dopo il fallimento di una rivolta a Palermo
(aprile 1860), Garibaldi mise insieme un esercito di volontari che avrebbe dovuto "liberare" dal
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Scritto da Pietro Liberati
dominio dei Borbone l'Italia meridionale “La spedizione dei Mille”. Il piccolo esercito delle
"camicie rosse", ebbe una serie di successi militari e dopo avere conquistato la Sicilia, Garibaldi
sbarcò in Calabria. Pochi giorni dopo entrò trionfalmente a Napoli, mentre Francesco II fuggiva
a Gaeta. A questo punto Cavour convinse Napoleone III° che i Piemontesi avrebbero dovuto
occupare lo Stato pontificio per impedire a Garibaldi di giungere a Roma. Le truppe piemontesi
occuparono le Marche e l'Umbria, sconfiggendo l'esercito papale a Castelfidardo (AN) il 18
settembre 1860. Quando Garibaldi, nella battaglia del Volturno, sconfisse definitivamente i
borbonici, lo stesso Vittorio Emanuele II si mise alla testa delle truppe sabaude per impedirgli di
marciare su Roma. Il 26 ottobre 1860 nei dintorni di Teano avvenne lo storico incontro in cui
Garibaldi, salutò Vittorio Emanuele II "re d'Italia", e gli consegnò i territori da lui conquistati.
Nello stesso mese di ottobre del 1860 nell'ex Regno Borbonico si tennero i plebisciti che
decisero l'annessione del Regno delle Due Sicilie, al Piemonte. Anche le Marche e l’Umbria
dichiararono la volontà di far parte del Regno di Sardegna con il plebiscito tenutosi il 4
novembre.
1861
Il 24 gennaio 1861 con una serie di decreti si provvide a riorganizzare l’esercito, anche il Corpo
dei Carabinieri già primo corpo dell’esercito fu elevato al rango di Arma, incrementato l’organico
con l’assunzione dai vari corpi di gendarmi degli stati incorporati nel Regno di Sardegna. Nei
mesi successivi vennero istituite 14 Legioni di cui una Allievi, l’organico ammontava a 503
ufficiali e 17958 tra sottufficiali e carabinieri. Vennero istituite nei territori conquistati nuove
Stazioni, compresa la metà della provincia mantovana che fu ripartita tra Brescia e Cremona.
Ulteriori incrementi si ebbero negli anni seguenti. Il 17 marzo 1861 con la legge n° 4671 il
parlamento del regno di Sardegna assume la denominazione di Regno d’Italia, con Roma
capitale di diritto (27 marzo), anche se ancora del Papato. Il tentativo di Garibaldi di forzare gli
eventi con una spedizione verso Roma costrinse il governo del neo Regno a mandargli contro
l’esercito, che lo fermò in Aspromonte dove venne ferito il 29 agosto 1862. In seguito venne
arrestato dai Carabinieri. Successivamente liberato si “ritirò momentaneamente” a Caprera. Con
una Convenzione” stipulata con i francesi nel settembre 1864 il Regno d’Italia rinunciava (per il
momento a Roma capitale) impegnandosi a difendere gli attuali confini dello Stato Pontificio e
optò per il trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze . 1866
Nella terza guerra d'indipendenza, i Carabinieri impiegati furono 51 ufficiali e 940 sottufficiali e
truppa, perché di più non si poteva distogliere dalla lotta al brigantaggio. Infatti in quel periodo,
nell’Italia centro-meridionale, sobillati dai vecchi regnanti e per la scarsa accortezza della
politica governativa, imperversavano bande di briganti. Mentre gli italiani si preparavano alla
guerra arrivò l’offerta dell’Austria, attraverso Napoleone, di non belligeranza in cambio di tutto il
Veneto. Il 12 giugno, era stato firmato un accordo segreto tra Austria e Francia per la cessione
del Veneto in caso di non intervento italiano. Il re, come del resto i suoi ministri volevano oltre al
Veneto anche il Trentino, Trieste e l’Istria e con la scusa di non poter trattare una pace separata
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dall’alleato prussiano, iniziò le ostilità. Dopo la sconfitta nella battaglia di Custoza, il 24 giugno, i
Carabinieri, difesero eroicamente a Monzambano, il ponte sul fiume Mincio con il Luogotenente
Alberto Persiani, permettendo al grosso dell’esercito di ritirarsi indenne. Il 3 luglio la Prussia,
alleata del Regno d’Italia contro l’Austria, ottenne una schiacciante vittoria a Sadowa. Dal 6 al
18 luglio il capitano Luigi Bottone e i suoi Carabinieri parteciparono all'assedio dei forti di
Motteggiana, Bocca di Ganda, Rocchetta e il Forte Centrale di Mantova. Anche in questa
seconda fase i Carabinieri Reali non mancano di segnalarsi. Il tenente Domenico Montanari,
decorato con medaglia d'argento, muore il 5 luglio nella munita piazzaforte di Borgoforte. Aveva
cercato di circoscrivere un incendio, sebbene le granate austriache piovessero dovunque, ed
era rimasto schiacciato dal crollo di un tetto bombardato. L'armistizio tra Austria e Prussia, del
27 luglio, pose termine alle operazioni belliche.
Arriva la pace ed i Carabinieri Reali impiantano rapidamente il loro servizio nelle province
liberate del Veneto e del Mantovano. Già a metà luglio si era formato il nucleo di una legione
provvisoria, ma solo in ottobre è possibile stabilire la sede del comando a Verona per il controllo
dei nuovi territori. La forza assegnata è di 1.925 uomini e 48 ufficiali, suddivisi in 4 Divisioni, 10
compagnie e 21 tenenze. Nel mantovano vengono create nuove stazioni dei Carabinieri Reali,
sono poste gerarchicamente sotto la Compagnia di Mantova che a sua volta dipende dalla
Legione di Verona. Il 12 ottobre 1866 verso le tre e mezza vi fu l'ingresso a Mantova delle prime
truppe Italiane. Due compagnie, una del genio l’altra dell’artiglieria entrarono provenendo da
Porto Mantovano attraverso Cittadella a Porta di Porto. In seguito arrivarono anche i
Carabinieri.
Si insediarono nella caserma, in precedenza occupata dalla "Regia Imperial Gendarmeria
Austriaca", in via Frattini, in palazzo Soardi che oggi ospita vari uffici comunali. I Carabinieri
sono chiamati da subito ai loro compiti istituzionali ed a vigilare durante le operazioni di voto in
cui si chiedeva l’annessione al Regno d’Italia (plebiscito). La città contava 29.000 abitanti, 6099
avevano diritto al voto. I risultati furono 6088 favorevoli, nessun contrario e 11 voti nulli. Nei due
distretti, in cui era stata divisa la parte della Provincia appena acquisita i risultati furono: distretto
di Mantova, abitanti 40.000, votanti 10.592, favorevoli 10590 e 2 voti nulli; nel distretto di
Ostiglia 12.321 abitanti, votanti 2816 tutti favorevoli.
I Carabinieri erano presenti alla significativa cerimonia della presentazione al re dei risultati del
plebiscito il 4 novembre 1866. La deputazione veneta, di cui faceva parte Mantova, consegnò
le cifre dei voti, e successivamente, il generale Menabrea porse al re la Corona Ferrea,
restituita dagli austriaci alla firma della pace, quale simbolo secolare del regno d'Italia. Era il
tangibile riconoscimento da parte dell'impero asburgico che era legittimamente il re d’Italia.
Vittorio Emanuele II° fu acclamato dai mantovani la sera del 16 novembre nell’attuale Piazza
Cavallotti, come ci ricorda una lapide murata davanti al Teatro Sociale. Vennero convocati i
collegi elettorali per inviare nel Parlamento Nazionale, a Firenze, i rappresentanti dei nuovi
territori acquisiti. Dopo l’annessione, come nel resto d’Italia si cercò di adeguare le strutture
pubbliche al nuovo corso. Tra l’altro, oltre a leggi che unificavano le disposizioni sulle
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amministrazioni locali, ci fu una commissione governativa che rivisitò tutti i nomi dei paesi e dei
Comuni effettuando variazioni sia nei nomi che nei territori. In seguito a questo, tra il 1867 e il
1883, i Comuni mantovani che dal 1859 erano integrati nelle province di Brescia e Cremona
rientrarono a far parte della Provincia di Mantova istituita nel gennaio 1868.
Fu cambiato il nome del Comune di Castellaro, in Castel d’Ario, Borgoforte in destra Po
divenne Motteggiana, vennero creati i Comuni di Moglia e Pegognaga sottraendo territorio a
quello di Gonzaga. Al comune di Pieve venne aggiunto di Coriano, il Comune di Mulo divenne
Villa Poma, il Comune di Quattro Ville divenne l’attuale Virgilio. Dopo esser stato a Mantova per
alcuni giorni in marzo, il 3 novembre 1867, Garibaldi tenta ancora la presa di Roma ma viene
sconfitto per l’intervento francese a Mentana. In questo contesto viene arrestato il patriota
mantovano Giovanni Marangoni che rinchiuso a Castel Sant’Angelo vi morirà nel 1869.
1870
La caduta dell’impero di Napoleone III°, nel 1870, ad opera della Prussia, permise al Governo
italiano di ritenersi libero dalla “Convenzione” stipulata con i francesi nel settembre 1864 in
seguito alla quale la capitale del Regno si era trasferita da Torino a Firenze. L’occupazione
Italiana di Roma avvenne il 20 settembre 1870 attraverso lo sfondamento dei muri di Porta Pia.
Non ci furono grandi resistenze e insieme ai bersaglieri entrarono anche i Carabinieri. Il
Municipio di Mantova, in seguito, inviò a Roma, come gran parte delle città italiane, il proprio
stemma finemente ricamato, da inserire nel Pantheon quale segno di sudditanza alla neo
Capitale del Regno.
In quegli anni il comando dei Carabinieri cittadino era affidato ad un Capitano ed aveva
giurisdizione sul territorio dell'attuale provincia. Come già detto la caserma principale era
ubicata in via Frattini ai n° 2395 e 2396. Nell’Archivio Storico del Comune di Mantova sono
conservate le planimetrie e il contratto del 1868 stipulato tra l’Amministrazione Provinciale e il
Comune per il pagamento del canone di affitto dei locali adibiti a caserma. Dalla
documentazione non risulta quando effettivamente i Carabinieri lasciarono tale stabile. Ci sono
riferimenti ad un progetto, nell’anno 1881, per la costruzione di un alloggio per il Tenente che
comandava la Sezione di Mantova, ma dato il costo elevato, il progetto venne accantonato. Altri
progetti dello stesso stabile, trattano la trasformazione della caserma in scuola già dal 1885,
progetti che continuano fino al 1909, anno in cui fu bandito un concorso nazionale per i progetti
attuativi dei lavori delle scuole che già vi si erano insediate. Nelle guide della città, stampate tra
il 1870 e il 1900 e da cui sono tratti i dati riportati sotto, i Carabinieri vengono indicati come
ubicazione della caserma, in via Frattini. Solo nella guida del 1900 l’indicazione riporta la sede
di via Giovanni Chiassi, questo lascia supporre che il trasferimento della sede sia avvenuto nel
1899. Non è stato possibile approfondire questo aspetto per l’impossibilità di consultare gli
archivi dell’Amministrazione Provinciale ancora in fase di riordino. Negli anni ’70 dopo
l’unificazione con Roma capitale, fu messa in atto una dura repressione del brigantaggio.
Grande merito fu dei Carabinieri che restituirono ordine e sicurezza nelle popolazioni, anche se
l’insoddisfazione “per aver fatto la rivoluzione e non aver cambiato nulla” restava nella gente,
specialmente al sud. In questi anni iniziarono numerose opere pubbliche che dovevano
materialmente unificare il Regno (nel 1873 venne aperta la ferrovia Mantova Modena, nel 1886
il tram collegava Mantova ad Asola, Viadana, Brescia e Ostiglia)
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I Carabinieri a Mantova
Scritto da Pietro Liberati
Per meglio controllare il territorio, nella provincia furono istituite nuove Stazioni dei Carabinieri
Reali: Borgoforte, Castel d’Ario, Castelgoffredo, San Benedetto Po e Suzzara tra il 1875 e
1876; Moglia nel 1884, Bagnolo san Vito, Felonica Po, Sustinente nel 1885, Campitello nel
1890, San Giacomo delle Segnate nel 1899). Già dal 1882 era iniziata la conquista coloniale
italiana in Africa cui parteciparono anche i Carabinieri, e che tra alterne vicende si giunse alla
pace stipulata nel 1896. Nel contempo proseguono nel nord Italia scioperi con manifestazioni e
disordini che furono duramente repressi anche se a Mantova non si raggiunse la drammaticità
di Milano (1898) dove l’esercito disperse i dimostranti a cannonate causando moltissimi morti.
Nel 1878 l’Italia conta circa 27 milioni di abitanti; dopo la morte di Vittorio Emanuele II, sale al
trono Umberto I che visiterà le maggiori città del Regno, Mantova compresa (14-16
settembre1878); Leone XIII succede a Pio IX. L’Arma è presente nelle 69 Province, con 113
Circondari, 116 Sezioni e 2726 Stazioni, una forza organica di 20.165 unità. Gli anni ‘80 furono
caratterizzati nel mantovano da una notevole emigrazione verso le americhe, un vero e proprio
esodo iniziato già negli anni precedenti. Intere zone rurali, specialmente nel basso mantovano si
svuotarono. Le condizioni di vita di estrema povertà, alluvioni, scarsità nei raccolti, lotte
sindacali furono le ragioni che spinsero moltissimi a tentare fortuna in Brasile o in altri paesi del
sud america. I Carabinieri ebbero in questi anni il non facile compito di mantenere l’ordine,
anche con metodi duri e repressivi.
Aiutarono le popolazioni in occasione delle ricorrenti alluvioni (1868, 1872, 1879 e 1882 le più
gravi), in cui gran parte della città fu invasa dalle acque del Mincio e nella provincia da quelle
del Po. Una lapide murata in una abitazione dell’odierna via Giulio Romano, ricorda l’altezza
raggiunta nel 1882 dalle acque del Mincio, circa 60 cm. sul livello attuale della strada. In quegli
anni era scoppiata un’epidemia di colera che si stava diffondendo in tutta Italia (1884-86) e i
Carabinieri sono impegnati nel controllo degli scioperi e delle lotte dei braccianti agricoli.
Ebbero risalto nazionale gli arresti, di oltre 250 persone, legati agli scioperi e alle società di
mutuo soccorso dei contadini, che vanno sotto il nome di “La Boje” (espressione dialettale di
"Sta bollendo! " nel senso che la misura era colma... e veniva detta in modo minaccioso dai
contadini apostrofando i possidenti), culminati poi in un famoso processo tenuto a Venezia nel
1886 in cui gli imputati furono tutti assolti.
Nel 1876 il Distretto Militare era nella Caserma Sant'Agnese piazza Virgiliana 8 ( oggi Museo
Diocesano), l'Ospedale Militare era Piazza San Leonardo 1. Il Presidio era composto dal 59°
Reggimento Fanteria, 13° Reggimento Artiglieria di Fortezza, una compagnia di Carabinieri
Reali e due Compagnie Sanità. Dipendente dalla Legione di Verona dal 1867,
successivamente da quella di Brescia dal 1953, oggi il Comando Provinciale, dipende
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Scritto da Pietro Liberati
direttamente dal Comando Carabinieri Regione Lombardia di Milano. Dal 1947 la caserma di
via Chiassi è intitolata al colonnello TROTTI Emanuele
anno
Sede
1872
via Frattini 2062
1876 -77 via Frattini 10
1878-82 via Frattini 40
1883-87 via Frattini 40
1988-91 via Frattini 40
1892- 94 via Frattini 40
1894-95 via Frattini 40
1895-98 via Frattini 40
1900
via Giovanni Chiassi
Comandante Carabinieri
Capitano Petrino Oreste
Capitano Verdun Domenico
Capitano Basso Augusto
Capitano Moxedano Ferdinando
Capitano Gotti Francesco
Capitano Sponzilli Luigi
Capitano De Stefano Ferdinando
Capitano Di Nicola Giuseppe
Capitano Zelli Jacobuzzi Giuseppe
Nel 1900 erano presenti nel territorio 36 Stazioni Carabinieri
( in rosso quelle oggi soppresse, in verde quelle istituite successivamente al 1900)
Una Compagnia (oggi Comando Provinciale) composta da:
Tenenze:
Mantova (comandata da un tenente) oggi Compagnia
Revere
(comandata da un tenente) Castiglione
(comandata da un tenente)
Viadana (comandata da un maresciallo) oggi Compagnia
Bozzolo
(comandata da un marescia
Ostiglia
(comandata da un maresci
Gonzaga oggi Stazioni:
Acquanegra sul Chiese
, Asola, Bagnolo San V
Notevole fu anche in questo periodo l’emigrazione che da ogni parte d’Italia si riversava verso le
americhe, tanto che nel 1888 il governo emanò una legge che dava un po’ d’ordine e maggiori
garanzie agli emigrati. Dalla sola provincia di Mantova partirono in un decennio (1887-1897)
oltre 28.000 persone, senza contare coloro che emigrarono clandestinamente. Anche nel nuovo
secolo proseguono scioperi e disordini in cui i Carabinieri sono impegnati a riportare l’ordine, vi
sono alcuni scontri nel mantovano per impedire ai lavoratori delle regioni limitrofe di prendere il
posto dei locali ed iniziano le opere di bonifica del territorio con la costruzione di canali, stazioni
di pompaggio, chiuse e argini.
Prosegue la politica di espansione coloniale iniziata alla fine dell’800. Allo scoppio della guerra
nell’agosto del 1914 la gran parte degli italiani era favorevole a rimanere neutrale, ma in seguito
prevalsero gli interventisti e il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra. Dalla caserma Landucci di
Mantova partirono verso la prima linea i fanti del 113° e 114° reggimento “Brigata Mantova”
che si distinsero nei combattimenti. I Carabinieri furono impiegati, oltre nel controllo del territorio
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I Carabinieri a Mantova
Scritto da Pietro Liberati
e come polizia militare, anche come forza combattente. Ricorderemo solamente l’attacco
all’arma bianca contro le ben protette mitragliatrici austriache, del III° Battaglione Carabinieri sul
Podgora nel 1915, altro evento dei molteplici che videro i Carabinieri protagonisti, fu la
liberazione di Gorizia l’8 agosto 1916.
1917
Nel 1917, a Mantova, città delle retrovie, dove transitavano sulla linea ferroviaria verso Verona
e il fronte, i convogli colmi di uomini mezzi, si incendiò la polveriera nel forte di Pietole.
Solamente l'azione congiunta dei Corpi dei Pompieri di Mantova, Verona, Legnago e Vicenza
contribuì ad evitare l'esplosione dell'intera polveriera. In quell’anno ancora un’inondazione in
città tanto che si girava in barca in molte vie del centro. Sempre in quell’anno il massiccio
attacco nemico unitamente all’inadeguatezza dei vertici militari, sommati agli errori strategici
causarono quella che ancora oggi indica un disfatta: Caporetto! La ritirata generale, 2 milioni di
persone tra soldati e civili che disordinatamente scappavano. In questo contesto furono
impiegate tutte le forze territoriali dell’Arma, il personale della Legione di Verona di cui faceva
parte Mantova fu schierato lungo il Tagliamento per contrapporre uno sbarramento all’avanzata
nemica ma anche per mantenere l’ordine e fermare fuggiaschi e disertori.
Ripiegarono poi lungo la linea difensiva sul Piave, dove si cercava di bloccare l’avanzata
nemica e una riorganizzazione dei reparti. Fu sostituito il capo dell’esercito, Gen. Cadorna che
scaricò la colpa della disfatta sui soldati della 2° Armata, con il Gen. Diaz che, dopo la
resistenza sul Piave dove venne impiegata anche la “classe del 1899”, i diciottenni che si
coprirono d’onore e gloria da meritarsi l’appellativo ed il titolo di Cavalieri di Vittorio Veneto,
condusse alla vittoria e alla pace decretata con l’armistizio del 4 novembre 1918. In quegli anni
vennero istituiti i Carabinieri Ausiliari.
Nel paese come nel resto del mondo imperversava già la “spagnola” una malattia contagiosa
simile all’odierna influenza che causò più vittime della guerra. Una serie di mutazioni politiche
iniziate dopo la rivoluzione Russa (ottobre 1917), la crisi economica, i continui scioperi,
decretarono la caduta del Governo che nel 1921, aveva indetto le prime elezioni con il sistema
proporzionale e che aveva visto l’affermazione dei socialisti e dei popolari. A Mantova, il 4
dicembre 1919, in uno dei molteplici scioperi e scontri, fu ucciso il sindacalista socialista
Giuseppe Bertani. Il clima d’incertezza accresce le file dei fascisti che, guidati da Mussolini
concretizzano il 31-10-1922 con la “Marcia su Roma” l’ascesa al potere. Nel 1925, l’assassinio
di Giacomo Matteotti, segnò la svolta agli eventi che portarono alla dittatura.
Con una trasformazione dell’ordinamento costituzionale vennero emanate una serie di leggi
contrarie ai principi di democrazia e libertà. Sempre nel 1925, Tito Zaniboni di Monzambano fu
autore di un tentativo fallito alla vita Mussolini, arrestato, fu liberato solo nel 1943. Il 24 ottobre
1925 il duce visita Mantova e si compiace, secondo le cronache dell’epoca, dell’oceanica
affluenza di camerati. L’Arma già dal 1923, era stata “emarginata” a favore della Milizia
Fascista, istituita in quell’anno, quale mano operativa del regime. Continuano i focolai di guerra
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I Carabinieri a Mantova
Scritto da Pietro Liberati
nelle colonie d’Africa, in cui i Carabinieri furono impegnati sia come corpi combattenti sia nel
controllo territoriale con l’istituzione di molte Stazioni. Le numerose decorazioni personali e alla
Bandiera attestano l’impegno profuso in quelle terre lontane. In Italia, mentre gran parte degli
antifascisti fu mandata al “confino” o dovette emigrare, il regime si consolidò, anche con
l’appoggio della Chiesa dopo la stipula dei “Patti Lateranensi” nel ‘29.
A Mantova, che già dall’unificazione, aveva perso il ruolo strategico e di fortezza, erano iniziate
le demolizioni delle fortificazioni che la circondavano. Scompaiono anche la palazzina della
Paleologa davanti al Castello, porta Cerese, porta Pusterla, Porta Mulina, il passaggio che
congiungeva Palazzo Ducale al Duomo. Vengono costruiti i nuovi giardini (viale Piave), nasce il
quartiere Paiolo, viene demolito il muro lungo l’attuale viale Risorgimento e interrata la fossa
Magistrale iniziando l’espansione verso sud. Anche il centro storico fu interessato da queste
trasformazioni. Demolita la Chiesa di S. Domenico e il convento trasformato in precedenza nella
Caserma Landucci, faranno posto al palazzo dei Sindacati. Vengono costruiti gli edifici della
Camera di Commercio, della Banca d’Italia e il Palazzo Gallico dopo le demolizioni dell’antico
ghetto degli Ebrei. Saranno restaurati il Palazzo Ducale, ritrovata e restaurata la Rotonda di S.
Lorenzo, trasformata la Chiesa di S. Sebastiano in Famedio dei Caduti mantovani , abbattuto
l’anfiteatro virgiliano e al suo posto innalzato il monumento a Virgilio (1927) nella piazza
omonima.
1935
Una ricostruzione a volte discutibile, che cambierà faccia ad alcune vie storiche e che
proseguirà fino alla guerra d’Africa. I fondi per le ulteriori opere, anche in seguito alle successive
sanzioni non arriveranno mai. In questo contesto di espansione della città dal 1901 al 1943
vennero incorporate nel territorio del Municipio alcune zone circostanti, cedute dai Comuni
limitrofi. Prosegue l’emigrazione anche se in misura minore, a cui si aggiungono i dissidenti e
quella pilotata dal regime verso le colonie.
L’avvento del nazionalsocialismo in Germania (1933), la nuova guerra d’Africa con la
proclamazione dell’Impero Italiano nel 1936, le successive sanzioni, la guerra di Spagna furono
le tappe verso la seconda guerra mondiale. In una Italia sempre più succube dei tedeschi,
venivano promulgate le infamanti e persecutorie leggi razziali (1938) e in seguito fu stipulato il
“Patto d’acciaio”. Nel 1939 la Germania occupa la Polonia; la Danimarca e Norvegia nel 1940; il
10 maggio 1940 i tedeschi attraversando l’Olanda, il Belgio, occupano la Francia che capitola il
22 giugno. Nel contempo l’’Italia, nonostante l’impreparazione e l’inadeguatezza degli
armamenti, il 10 giugno 1940, entra in guerra a fianco della Germania. L’emulazione dell’alleato
spingono Mussolini ad offensive in Africa del Nord e in Grecia. Dopo lo smembramento della
Romania e l’occupazione consensuale di Ungheria e Bulgaria nel marzo 1941 fu occupata
anche la Jugoslavia. Nel giugno ’41, Hitler, dette inizio all’operazione Barbarossa, attaccando la
Russia. Nel contempo in Africa O. l’impero italiano sta disgregandosi sotto gli attacchi inglesi.
Da ricordare tra gli atti d’eroismo, il sacrificio del 1° Gruppo Carabinieri Mobilitato a Culquabert
il 21 novembre 1941, per cui alla Bandiera fu concessa la medaglia d’oro al valor militare. Nella
stessa giornata si celebra annualmente, la Virgo Fidelis, proclamata patrona dei Carabinieri nel
1949.
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I Carabinieri a Mantova
Scritto da Pietro Liberati
1942
L’arrivo in A.O. dei tedeschi capovolse inizialmente le sorti del conflitto. Nel maggio 1942 le
truppe italo-tedesche arrivarono ad un passo da Alessandria poi, nel novembre del 1942 con la
battaglia di El Alamein in cui il valore dei soldati italiani nulla poté contro la supremazia
avversaria, iniziò la parabola discendente culminata nella resa del 14 maggio successivo.
Anche sul fronte russo il mese di novembre segnò il declino delle forze d’invasione tedesche,
che subirono la controffensiva russa e furono accerchiate a Leningrado. Stessa sorte per i nostri
soldati spavaldamente inviati in Russia. Memorabile fu l’esempio del C.re Plado Mosca
M.O.V.M. lanciandosi al galoppo, sventolando la bandiera, animò la controffensiva che permise
di rompere l’accerchiamento russo. Una terribile ritirata, a piedi nell’inverno russo incalzati dalle
truppe sovietiche, una tragedia immane dal costo elevatissimo di vite umane.
1943
Lo sbarco in Sicilia degli alleati il 10 luglio 1943, la caduta di Mussolini ed il suo successivo
arresto, segnarono la svolta degli eventi bellici italiani. Contrariamente alle aspettative popolari,
il nuovo primo ministro, Gen. Badoglio, dichiara la prosecuzione della guerra a fianco dei
tedeschi che, iniziano un dispiegamento di truppe nel territorio italiano. L’ambigua politica
alleata, l’imprevidenza, e la poca scaltrezza nei vertici militari portarono agli eventi dell’8
settembre. Il comunicato dell’armistizio, senza disposizioni chiare all’esercito, la “fuga” da Roma
a Brindisi del re e del Governo lasciò l’Italia in balìa dei tedeschi come del resto auspicavano gli
alleati, per impegnare il massimo delle truppe germaniche distogliendole dal centro dell’Europa,
con le tragiche conseguenze che conosciamo tutti.
A Mantova il 9 settembre viene ucciso il Capitano Renato Marabini nella difesa della stazione
ferroviaria, gli altri soldati sono rastrellati e condotti al Gradaro, il campo di prigionia dove erano
tenuti i prigionieri alleati. Il giorno 11, Giuseppina Rippa solo per il fatto di aver dato del pane ai
soldati italiani prigionieri, venne uccisa da una raffica in piazza Martiri di Belfiore. Il 12, dopo
aver ritrovato nel suo alloggio divise italiane e esser stato barbaramente torturato, fu ucciso
dietro la stazione ferroviaria, in riva al lago, don Eugenio Leoni. Una zuffa tra soldati tedeschi e
austriaci fu fatta passare come un attentato e subito, quale barbara rappresaglia, vennero
fucilati nella valletta dell’Aldriga (dalla corte omonima), sul confine tra Mantova e Curtatone nei
luoghi della battaglia del 1848, dieci soldati italiani.
1944
Oltre al Gradaro furono attivati campi di prigionia a Montanara e a Lunetta in cui venivano
rinchiusi di volta in volta, civili, soldati italiani, alleati, ebrei, in attesa dello smistamento verso un
peggiore ed atroce destino, si calcola che ne passarono non meno di 250.000. Mantova
divenne strategicamente importante per i tedeschi; tutto il territorio, parallelamente al Po da
Viadana a Felonica, fu trasformato in deposito di ogni sorta di materiale bellico di supporto alla
“linea gotica”. Questo fece della città, dei comuni vicini, dei ponti e delle strade un obiettivo dei
bombardamenti alleati che dal febbraio ‘44 proseguirono ininterrottamente fino alla liberazione.
In città furono bombardati il nodo ferroviario, la Chiesa di S.Francesco, la Chiesa dei Filippini
che erano trasformati in depositi militari, distrutto il ponte dei Mulini, una bomba distrusse
l’edificio della Cervetta attiguo la Basilica di S.Andrea. Le bombe caddero anche su abitazioni
private con numerosi morti e feriti. Oltre alle fortezze volanti, giornalmente, sorvolavano la città
e la Provincia aerei isolati, che come falchi aspettavano di vedere un minimo movimento per
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I Carabinieri a Mantova
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dispensare bombe e proiettili, gli abitanti pur nella paura erano talmente abituati che lo avevano
soprannominato famigliarmente “Pippo”. Furono colpiti anche numerosi paesi della provincia
con numerose vittime e feriti.
In città oltre al comando tedesco di Corso Vittorio Emanuele erano attivi comandi delle varie
Organizzazioni fasciste, in Corso Garibaldi, in via Giulio Romano e l’U.P.I in via Chiassi, nella
caserma dei Carabinieri. Tristemente famosa, Villa Gobio nei pressi di Pietole dove furono
torturati e uccisi alcuni componenti della Resistenza da parte dei tedeschi. Il capo dei fascisti
che agivano nel mantovano era il capitano M. W, una figura ambigua di ex partigiano che usò
questa copertura per catturare e consegnare ai tedeschi numerosi patrioti. Al termine della
guerra fu condannato a 30 anni di carcere.
In provincia vi erano numerosi nuclei di partigiani formati per lo più da contadini e da giovani
che avevano preferito la clandestinità, alla repubblica sociale. Nella zona di Viadana era
operativo un campo di lancio in cui venivano paracadutati sia materiali che uomini. A Mantova la
resistenza era presente, una lapide in via Rubens ricorda la costituzione del C.N.L mantovano,
il 7 luglio 1944. Un trasmettitore che segnalava agli alleati i movimenti delle truppe, fu scoperto
il 2 agosto ‘44 nella canonica della chiesa di San Gervasio, furono arrestati don Berselli,
Ferraiolo, Aldo Salvadori e l’intero gruppo che faceva capo a Barbano. Portati a Verona per gli
interrogatori, successivamente furono inviati in Germania. Molti i partigiani che dopo esser stati
arrestati e torturati venivano inviati verso i campi di stermino o fucilati. Secondo le affermazioni
di Ugo Walter Cotifava contenute nel libro “Essere Uomini” i mantovani già “mandati” in
Germania, al settembre 1944, erano 11.000.
I Carabinieri, quelli che non si erano dati alla macchia o erano insieme ai partigiani dopo l’8
settembre, continuarono il servizio sotto la repubblica sociale, impiegati in compiti marginali
dato che il regime non si fidava della loro lealtà. Indubbiamente ci furono anche coloro che
abbracciarono il nuovo corso ma possiamo affermare che furono un minoranza. A rafforzare
tale convinzione i fatti del 5 agosto 1944, quando in tutto il nord Italia elementi nazifascisti
(Brigate Nere e SS) assaltarono le caserme dell’Arma e catturarono i carabinieri che vi si
trovavano, oltre 3000, che in un primo tempo furono internati a Verona nel campo di San
Michele Extra e successivamente deportati in Germania.
1945
Dopo l’inverno, la ripresa dell’avanzata che portò gli alleati agli inizi del mese di aprile ‘45 nei
pressi del Po. Il 21 entrano a Bologna soldati alleati unitamente ai gruppi “Legnano” e “Friuli” del
nostro esercito. Un gruppo di paracadutisti Italiani della Folgore, il 22, sono lanciati dietro le
linee tra Mirandola e Poggio Rusco, per due giorni combatterono come leoni sconvolgendo i
collegamenti tedeschi. Quando furono raggiunti dalle avanguardie alleate avevano occupato i
centri di Ravarino e Stuffione, catturato 1083 prigionieri e salvato dalla distruzione tre ponti vitali
per l’avanzata. Molti furono i caduti tra cui il tenente Franco Bagna, medaglia d’oro al valor
militare. Ogni anno a Dragoncello, (Poggio Rusco-MN) nella zona dove furono più aspri i
combattimenti viene rievocato il lancio e onorato il ricordo dei caduti.
Il 23 aprile 1945, la 10° divisione americana attraversa il Po a San Benedetto e dirige su
Mantova. La sera del 25 aprile molti centri del nord Italia insorgono, alle ore 22 la radio dell’ex
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repubblica sociale trasmette l’avvenuta liberazione del milanese ad opera dei partigiani. Il 29 i
corpi di Mussolini e di alcuni gerarchi furono esposti a Piazzale Loreto dopo esser stati passati
per le armi dai partigiani. Il giorno stesso i tedeschi firmano a Caserta la resa incondizionata con
cessazione delle ostilità prevista per le ore 14 del 2 maggio, non ratificata dagli alti comandi
che, solamente dopo la notizia della morte di Hitler smisero effettivamente di combattere. A
Monte Casale di Ponti sul Mincio si svolse l’ultima battaglia sul suolo italiano. Un’ottantina di
tedeschi vi si erano asserragliati con l’intenzione di resistere. Il 30 aprile vennero affrontati dal
IX° reparto del “Legnano” unitamente a partigiani ed una sezione di americani e solamente
dopo un durissimo corpo a corpo ci fu la resa.
1946
Già durante la guerra, dopo la liberazione di Roma era in atto una tregua istituzionale e si
erano succeduti una serie di governi, diremo oggi “tecnici”. Nel dicembre del 1945 assunse la
presidenza del consiglio il democristiano Alcide de Gasperi (carica che ricoprirà fino 28 luglio
1953). Il 9 maggio 1946 Vittorio Emanuele III cercò di salvaguardare la monarchia, abdicando in
favore di suo figlio Umberto II, venne indetto un referendum per far scegliere al popolo tra
Repubblica e monarchia. Il 2 giugno 1946 gli italiani scelsero la Repubblica e il 13 dello stesso
mese Umberto II di Savoia lasciò il suolo italiano.
Le elezioni tenutesi in concomitanza del referendum diedero vita alla Costituente, chiamata a
dare gli ordinamenti costitutivi allo Stato Repubblicano che elesse quale capo provvisorio dello
Stato, Enrico De Nicola. A Mantova Camerlenghi fu il primo sindaco dopo la liberazione. Il 10
febbraio 1947 fu firmato il trattato di pace molto duro nei confronti dell’Italia con perdita delle
colonie, mutilazioni del territorio e gravose clausole economico-militari. Il 22 dicembre 1947
l’Assemblea Costituente approvò il testo definitivo della Costituzione che entrò in vigore il 1
gennaio 1948. Le prime elezioni, a cui vennero ammesse per la prima volte le donne, si tennero
il 18 aprile, diedero alla Democrazia Cristiana la maggioranza per governare il Paese.
A Mantova fu eletto sindaco G. Rea che dovette affrontare i problemi legati al lavoro e la
conflittualità tra braccianti e padroni, accentuati dalle distruzioni portate dalla guerra. Molti
scelsero ancora la via dell’emigrazione quale speranza di futuro migliore, ma moltissimi si
rimboccarono le maniche e contribuirono allo sviluppo e al progresso di queste terre. 14 / 14
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