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Percorso 13
Le scienze sociali
Non esiste un’unica «scienza della società», ma una molteplicità di scienze sociali. Talvolta esse dialogano proficuamente tra loro, altre volte si ignorano l’un l’altra. Tutte hanno come oggetto di studio le società umane, considerate però sotto profili diversi.
Tutte, pur affondando le loro radici nella riflessione storico-filosofica antica
e moderna, hanno acquisito la loro fisionomia specifica tra il XVII e il XIX secolo, in concomitanza con significative trasformazioni in ambito economico,
politico e culturale. Alla genesi delle diverse scienze sociali, con particolare riferimento alla loro relazione con i processi e le tendenze fondamentali in atto nella società, è dedicato il primo brano del percorso, tratto dalla
voce «scienze sociali» dell’Enciclopedia delle Scienze Sociali.
Le diverse discipline sociali sono il risultato di un processo secolare di divisione del lavoro, in cui gli intellettuali che studiano la società si sono progressivamente differenziati e specializzati. Non è peraltro possibile tracciare
confini netti fra l’uno e l’altro ambito, ad esempio sociologia e psicologia
sociale, o fra scienza politica e sociologia. Un esempio dell’utilità dell’integrazione fra campi di studio diversi è offerto dal secondo testo del percorso, L’economia e lo studio della società, opera dell’antropologo Karl Polanyi,
che nella sua ricerca integra analisi economica e riflessione sociologica.
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ITINERARIO DI LETTURA
T1
Scienze sociali e
società moderna
T2
L’economia e lo
studio della società
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Le scienze sociali
T1
Scienze sociali e società moderna
Pietro Rossi
mercantilismo: scuola di
politica economica del
XVII e XVIII secolo,
secondo cui lo stato
tende a realizzare
il massimo incremento
economico, diminuendo
le importazioni e
aumentando
le esportazioni.
2. fisiocrazia: scuola
francese di economia
del XVIII secolo che,
reagendo al
mercantilismo, affermò
la preminenza
economica
dell’agricoltura.
3. Newton: Isaac Newton,
fisico, matematico,
astronomo inglese
vissuto tra il 1642
e il 1727.
4. Royal Society: fondata nel
1660, è la più antica e
celebre accademia
inglese delle scienze.
1.
5.
Montesquieu:
Charles-Louis
de Secondat, barone
di Montesquieu,
scrittore e pensatore
politico francese,
vissuto tra il 1689
e il 1755.
6.
teoria della divisione dei
poteri: Montesquieu
formulò la teoria della
separazione dei tre
poteri dello Stato
(legislativo, esecutivo,
giudiziario), garanzia del
principio della libertà.
Questo brano, tratto dalla voce Scienze sociali dell’Enciclopedia delle
Scienze Sociali (Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani), si pone il problema di spiegare come mai le scienze sociali nascono tutte tra il XVIII e il
XIX secolo. Due sono i fattori principali: 1. i successi del metodo scientifico
nelle scienze della natura ne suggeriscono l’applicazione anche ai fenomeni
sociali; 2. le grandi trasformazioni che avvengono in campo economico, politico e culturale pongono nuove domande e richiedono nuovi approcci allo
studio della realtà sociale. Se la società cambia, cambiano anche i modi
di «guardare» la società.
L’autore, esperto soprattutto dello storicismo tedesco e del pensiero di Max
Weber, ha contribuito moltissimo agli studi di sociologia curando l’edizione
italiana dei maggiori classici del pensiero sociologico.
Tra le scienze sociali, la prima ad acquisire una propria autonoma fisionomia sia stata proprio la scienza economica o – per usare la sua denominazione originaria – l’«economia politica». La sua nascita accompagna l’affermarsi del
capitalismo moderno già prima della rivoluzione industriale; accompagna il processo di creazione dell’impresa moderna orientata verso il profitto e la costituzione di un mercato, interno e internazionale, non più limitato alle merci di lusso. Nel contrasto tra le due «scuole» di pensiero economico che preparano l’avvento della nuova scienza – il mercantilismo1 e la fisiocrazia2 – si esprime il
rapporto problematico tra capitalismo e Stato moderno, tra l’esigenza dello Stato
di garantire l’aumento della «ricchezza» prodotta dalla nazione, controllando lo
sviluppo economico e traendone le risorse necessarie per la propria politica di
potenza, e l’esigenza dell’economia capitalistica di liberarsi da vincoli esterni. […]
Che la culla dell’economia politica sia stata l’Inghilterra è un fatto che
si spiega non soltanto con Newton3 e con l’opera di diffusione della scienza
moderna compiuta dalla Royal Society4, ma anche con la coincidenza tra l’interesse dei ceti borghesi impegnati nell’attività economica e l’interesse dello Stato
alla tutela di questa attività. […]
Non diversamente la nascita della scienza politica è legata all’emergere dello Stato moderno e all’esigenza di un’amministrazione razionale, quale soltanto un apparato burocratico poteva garantire. La riflessione di Montesquieu5
nell’Esprit des lois (1748) […] esprime l’esigenza che lo Stato assoluto non degeneri in dispotismo; e la teoria della divisione dei poteri6 da lui formulata è rivolta appunto a configurare un equilibrio tra le diverse componenti della sovranità, da realizzarsi mediante la distinzione tra l’organo detentore della potestà di
fare le leggi e l’organo deputato alla loro esecuzione. […]
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Le scienze sociali
Ma è soprattutto nel caso della sociologia che viene in luce la connessione tra scienze sociali e sviluppo della società moderna. La sociologia sorge in Francia, all’indomani della Rivoluzione e dell’età napoleonica, dalla consapevolezza di una trasformazione di portata storica che ha comportato la distruzione di una vecchia struttura sociale e che vede emergere una nuova struttura,
fondata sull’«industria» – termine che, in origine, designa qualsiasi forma di
lavoro produttivo – e sul sapere scientifico. I padri fondatori della nuova scienza, Saint-Simon7 e Comte8, si rendevano ben conto dell’impossibilità di un
ritorno al passato, a quel tipo di società che nel Medioevo aveva reso possibile,
attraverso l’alleanza tra il trono e l’altare9, la permanenza per secoli di un ordine fondato su un sistema di credenze condiviso da tutti; ma si rendevano pure
conto che l’epoca della rivoluzione era ormai chiusa, e che alla sua azione disgregatrice doveva subentrare uno sforzo di ricostruzione della società, accompagnato dall’edificazione di un nuovo sistema di credenze in grado di garantire il consenso. La sociologia sorge perciò come teoria della società industriale,
nella quale l’autorità trova la sua base non più nella fede religiosa ma nella scienza. La società moderna è ormai nata; si tratta di consolidarla eliminando le
sopravvivenze del passato e risolvendo i conflitti sociali che il suo stesso sviluppo rischia di produrre. Attribuendo questo compito alle due classi che detengono il potere nella società industriale, la classe degli «industriali» e quella degli
scienziati positivi, la sociologia esprimeva – non senza […] una evidente carica
utopistica10 – una nuova realtà, nella quale lo sviluppo scientifico e tecnologico si avviava a diventare l’elemento trainante della trasformazione produttiva.
[…] Pure le altre scienze sociali si prestano, in varia misura, a essere
oggetto di una considerazione che può agevolmente mostrarne il legame con
processi e tendenze fondamentali in atto nella società moderna. […] Di questo
legame le scienze sociali sono diventate, del resto, sempre più consapevoli; spesso, anzi, hanno intenzionalmente cercato un rapporto con il mutamento della
società, proponendosi di contribuire ad esso o di indicarne mezzi, scopi e anche
sbocchi. Questo diverso rapporto […] chiama però in causa non tanto il condizionamento delle scienze sociali da parte della società circostante, quanto la
loro funzione sociale, esplicita o implicita.
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7.
Saint-Simon: Claude-Henri
de Rouvroy, conte di
Saint-Simon, filosofo
e sociologo francese,
vissuto tra il 1760
e il 1825.
8. Comte: Auguste Comte,
massimo teorico
francese del
positivismo, vissuto tra
il 1798 e il 1857.
9.
alleanza tra il trono e
l’altare: indica l’alleanza
tra il potere politico,
rappresentato dalle
monarchie assolute
europee, e il potere
spirituale della Chiesa
di Roma.
10. utopistica: illusoria.
(P. Rossi, voce «Scienze Sociali», in Enciclopedia delle Scienze Sociali,
Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. VII, 1997, pp. 664-66)
Comprensione del testo
Rielaborazione e produzione
1. Quali furono i fattori storici di carattere economico e politico che determinarono la «nascita» dell’economia politica e della scienza politica?
2. Spiega qual è il rapporto tra la sociologia e l’avvento della società industriale di inizio Ottocento.
3. Elabora cinque domande sul testo da sottoporre
ai tuoi compagni.
4. Esponi in forma sintetica la tesi dell’autore.
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Le scienze sociali
T2
L’economia e lo studio della società
Karl Polanyi
Karl Polanyi nacque a Budapest nel 1886 e crebbe a Vienna nel periodo in
cui questa città fu un centro straordinario di fervore intellettuale e di sperimentazioni politiche: intellettuali viennesi dettero un’impronta durevole a
discipline che vanno dall’economia alla psicanalisi; diverse correnti del
socialismo si confrontarono, oltre che sul piano delle idee, su quello dell’amministrazione della «Vienna rossa». Polanyi lasciò l’Austria negli anni
Trenta e visse prima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti.
La grande trasformazione, che dà il titolo al libro di cui presentiamo alcuni
passi, è quella della crisi delle istituzioni liberali, negli anni che videro in
Europa l’affermarsi del fascismo. Per analizzare questa crisi Polanyi risale
alle radici della società di mercato, quella in cui ogni rapporto sociale assume le caratteristiche economiche dello scambio. Contro gli economisti che
trasmettono l’idea del carattere «naturale» del mercato «autoregolato», in
cui le merci vengono distribuite in maniera ottimale attraverso l’equilibrio
tra domanda e offerta, Polanyi mette invece in luce il carattere patologico
e innaturale di un tipo di società in cui l’economia non è regolata da considerazioni sociali. Nelle società di mercato il lavoro, la terra e la moneta
sono considerati come merci, mentre in nessun’altra società della storia si
è dato per scontato che si potessero vendere e comprare. Considerare il
lavoro come una merce, in particolare, ha avuto conseguenze distruttive da
cui la società ha dovuto imparare a difendersi: la legislazione sociale, o l’azione sindacale, sono un modo di far sì che in questo campo il mercato
non operi indisturbato.
1.
profitto: in economia è
l’eccedenza del ricavo
lordo delle vendite sul
costo totale di
produzione.
Un’economia di mercato è un sistema economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e nella distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi. Un’economia
di questo tipo deriva dall’aspettativa che gli esseri umani si comportino in modo
tale da raggiungere un massimo di guadagno monetario. Essa assume l’esistenza di mercati nei quali la fornitura di merci (e di servizi) disponibili ad un determinato prezzo sarà pari alla domanda a quel prezzo. Essa assume la presenza
della moneta che funziona come potere di acquisto nelle mani dei suoi possessori. La produzione sarà poi controllata dai prezzi poiché i profitti1 di coloro
che dirigono la produzione dipenderanno da essi; anche la distribuzione delle
merci dipenderà dai prezzi perché i prezzi formano i redditi ed è per mezzo di
questi redditi che le merci prodotte sono distribuite tra i membri della società.
Sulla base di questi assunti l’ordine nella produzione e nella distribuzione delle merci è assicurato soltanto dai prezzi.
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Le scienze sociali
L’autoregolazione implica che tutta la produzione è in vendita sul mercato e che tutti i redditi derivano da queste vendite. Di conseguenza vi sono mercati per tutti gli elementi dell’industria, non soltanto per le merci (sempre comprendenti i servizi) ma anche per il lavoro, la terra e la moneta, ed i loro prezzi
vengono chiamati rispettivamente prezzi delle merci, salari, rendita ed interesse.
I termini stessi indicano che i prezzi formano i redditi: l’interesse è il prezzo dell’uso del denaro e forma il reddito di coloro che sono nella posizione di poterlo
fornire; la rendita è il prezzo dell’uso della terra e forma il reddito di coloro che
lo forniscono; i salari sono il prezzo dell’uso della forza-lavoro e formano il reddito di coloro che la vendono; i prezzi delle merci infine contribuiscono ai redditi di coloro che vendono i loro servizi imprenditoriali, il reddito chiamato profitto essendo la differenza tra due gruppi di prezzi, il prezzo delle merci prodotte ed i loro costi, cioè il prezzo dei beni necessari alla loro produzione. Se queste
condizioni risultano soddisfatte tutti i redditi deriveranno dalle vendite sul mercato ed essi saranno giusto sufficienti a comprare tutte le merci prodotte.
Segue un altro gruppo di assunti relativi allo stato ed alla sua politica.
Non si deve permettere niente che ostacoli la formazione di mercati né si deve
permettere che i redditi si formino altrimenti che attraverso le vendite, né deve
esservi alcuna interferenza con l’aggiustamento dei prezzi alle mutate condizioni del mercato, siano i prezzi quelli delle merci prodotte, del lavoro, della terra
o del denaro. […] Sono corrette soltanto quelle iniziative e quelle misure che
contribuiscono ad assicurare l’autoregolazione del mercato creando condizioni
che rendono il mercato la sola forza organizzatrice nella sfera economica. […]
Il punto cruciale è questo: lavoro, terra e moneta sono elementi essenziali dell’industria; anch’essi debbono anche essere organizzati in mercati poiché formano una parte assolutamente vitale del sistema economico; tuttavia essi
non sono ovviamente delle merci, e il postulato2 per cui tutto ciò che è comprato e venduto deve essere stato prodotto per la vendita è per questi manifestamente falso. In altre parole, secondo la definizione empirica3 di merce essi
non sono delle merci. Il lavoro è soltanto un altro nome per un’attività umana
che si accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non é prodotta per essere venduta ma per ragioni del tutto diverse, né questo tipo di attività può essere distaccato dal resto della vita, essere accumulato o mobilitato. La terra è soltanto un altro nome per la natura che non è prodotta dall’uomo, la moneta
infine è soltanto un simbolo del potere d’acquisto che di regola non è affatto
prodotto ma si sviluppa attraverso il meccanismo della banca o della finanza di
stato. Nessuno di questi elementi è prodotto per la vendita. La descrizione, quindi, del lavoro, della terra e della moneta come merce è interamente fittizia.
È nondimeno con il contributo di questa finzione che sono organizzati i mercati del lavoro, della terra e della moneta; questi vengono di fatto comprati e venduti sul mercato, la loro domanda e la loro offerta sono grandezze
reali e qualunque misura o iniziativa politica che impedisca la formazione di
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2.
postulato: proposizione
non dimostrata ma
ammessa ugualmente
come vera in quanto
necessaria per fondare
una dimostrazione.
3. empirica: che si basa
sull’esperienza non
guidata da presupposti
metodici.
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4.
ipso facto: (latino)
immediatamente.
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Le scenze sociali
questi mercati metterebbe ipso facto4 in pericolo l’autoregolazione del sistema.
La finzione della merce, perciò, fornisce un principio di organizzazione vitale
per tutta la società […] si tratta cioè del principio secondo il quale non si dovrebbe permettere l’esistenza di nessun’organizzazione o comportamento che impedisca l’effettivo funzionamento del meccanismo di mercato sulla linea della finzione della merce.
Tuttavia per quanto riguarda lavoro, terra e moneta un tale postulato non può essere sostenuto; permettere al meccanismo di mercato di essere l’unico elemento direttivo del destino degli esseri umani e del loro ambiente naturale e perfino della quantità e dell’impiego del potere d’acquisto porterebbe alla
demolizione della società. La presunta merce «forza-lavoro» non può infatti essere fatta circolare, usata indiscriminatamente e neanche lasciata priva di impiego, senza influire anche sull’individuo umano che risulta essere il portatore di
questa merce particolare. Nel disporre della forza-lavoro di un uomo, il sistema
disporrebbe tra l’altro dell’entità fisica, psicologica e morale «uomo» che si collega a questa etichetta. Privati della copertura protettiva delle istituzioni culturali, gli esseri umani perirebbero per gli effetti stessi della società, morirebbero
come vittime di una grave disorganizzazione sociale, per vizi, perversioni, crimini e denutrizione. La natura verrebbe ridotta ai suoi elementi, l’ambiente ed
il paesaggio deturpati, i fiumi inquinati, la sicurezza militare messa a repentaglio e la capacità di produrre cibo e materie prime, distrutta. Infine, l’amministrazione da parte del mercato del potere d’acquisto liquiderebbe periodicamente le imprese commerciali poiché le carenze e gli eccessi di moneta si dimostrerebbero altrettanto disastrosi per il commercio quanto le alluvioni e la siccità
nelle società primitive. Indubbiamente i mercati del lavoro, della terra e della
moneta sono essenziali per un’economia di mercato, ma nessuna società potrebbe sopportare gli effetti di un simile sistema di rozze finzioni neanche per il più
breve periodo di tempo a meno che la sua sostanza umana e naturale, oltre che
la sua organizzazione commerciale, fossero protette dalle distruzioni arrecate da
questo diabolico meccanismo.
(K. Polanyi, La grande trasformazione [prima edizione: 1944],
Torino, Einaudi, 1974, pp. 88-90, 93-95)
Comprensione del testo
Rielaborazione e produzione
1. Descrivi le caratteristiche dell’economia di mercato, analizzata da Polanyi.
2. Spiega perché secondo l’autore lavoro, terra e
moneta non possono essere definiti delle «merci».
3. Quali sarebbero le conseguenze per la società
se prevalesse un sistema economico regolato
soltanto dal meccanismo di mercato?
4. Suddividi il brano in sequenze e a ciascuna attribuisci un titolo.
5. Sintetizza il contenuto del brano in una mappa
concettuale.
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