A

Tiziana Carena
Francesco Ingravalle
Per una morfogenesi dell’evento
La ricerca è stata compiuta con il contributo del Centro Teologico di Torino.
Per la stampa si è usufruito dei fondi di ricerca locale dell’Università degli studi
del Piemonte Orientale, Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento di Politiche
Pubbliche e Scelte Collettive POLIS, sede di Alessandria
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 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
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senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: marzo 
Indice

Il disegno del “sono io”

Prologo

Premessa
Parte I

Capitolo I
Finalità dello studio della storia

Capitolo II
Accadere, individuo e folla

Capitolo III
Logica delle serie

Capitolo IV
Schema della logica seriale lacaniana

Capitolo V
Che cosa fa lo storico?
Parte II

Premessa

Indice


Capitolo I
Il mondo come necessità e il tempo circolare

Capitolo II
L’epifania dell’eterno

Capitolo III
Il mondo come visione

Capitolo IV
Le proposizioni con il verbo al futuro

Capitolo V
Crisippo e i “destini concomitanti”. La critica di Alessandro di
Afrodisia

Capitolo VI
Il mondo come volontà (di Dio)

Capitolo VII
Tempo ed eternità nel monoteismo. Alcuni aspetti

Capitolo VIII
Gli umanisti e la sorte

Capitolo IX
Tra progresso e scepsi
Parte III

Capitolo I
Attualità di un’inattualità. Kant tra teoria della storia e politica
.. Introduzione,  – .. Attualità di Kant,  – .. L’Europa in movimento e il kantiano «diritto di visita»,  – .. «Inattualità» di Kant (e di
Habermas),  – .. Il problema della pace e la realizzazione concreta
dei diritti,  – .. L’inattuale attualità di Kant,  – .. Intermezzo: La
storia e il suo senso, .
Indice


Capitolo II
L’“accelerazione della storia” come categoria storico–teorica. Sugli
scritti storico–politici di Daniel Halévy
.. Introduzione,  – .. La dialettica negativa della democrazia,  –
.. Alle origini di –,  – .. Le radici culturali della riflessione
politica di Halévy,  – .. Halévy storico e critico del movimento operaio francese,  – .. Histoire de quatre ans (–),  – .. Halévy:
le vicende della democrazia e del progresso,  – .. : ritorno a
Nietzsche,  – .. L’accelerazione della storia,  – .. Conclusioni, .

Dialogo finale

Bibliografia
Il disegno del “sono io”
Il disegno del “sono io”: perché premettere a un libro sulla storia il
disegno di bambino di cinque anni?
Se noi analizziamo i disegni dei bambini sembrano fatti tutti secondo schemi grafici uguali. Dal disegno possiamo capire l’età di chi
l’ha tracciato. Il disegno racchiude in sé la traccia di un tempo storico
che muta secondo forme determinate: dalle macchie senza forma, alla
quasi–non–più–macchia, alla forma semi–strutturata, alla forma ben
precisata. Cresce l’individuo, cresce l’ordine dettagliato del disegno.
La storia nasce allo stesso modo: procedendo essa si precisa rivelando la macchia delle origini come forma strutturata del presente.
Se da un disegno si capisce l’età, dalle forme della temporalità è possibile capire il punto evolutivo raggiunto dalla storia universale. Se
disegnamo alla lavagna l’individuo qualunque, possiamo solo parlarne,
in realtà, non disegnarlo: o è alto o è basso, non è più “qualunque”;
il linguaggio è soltanto una traccia. Possiamo parlare dell’individuo
qualunque, non disegnarlo, cioè definirlo con precisione: la precisione
non si accorda con il “qualunque”.
Nella storia l’universale è artificiale, è ricostruito. Non appena si
tenta di stringere l’universale (come quando si cerca di disegnare l’individuo qualunque), l’universale scompare. Non c’è storia dell’individuale, ma la storia è fatta da individualità, anzi, addirittura da unici che
agiscono in gruppo. La storia monumentale, quella dei grandi eventi e
delle grandi personalità, è, in fondo, l’unica possibile; anche quando
si fa micro-storia: ci sarà sempre un “Cesare” di una oscura località
che orienta i suoi circonvicini. Questo non significa che non si possa
generalizzare: ma c’è un richiamo dialettico fra generalità e particolarità e lo storico non può, senza proprio danno, trascurarla. Una storia
particolare, in sé, è illeggibile, perché irrilevante: si immagini la storia
di un singolo burocrate: che significato ha se non serve a chiarire la
storia della burocrazia? Il momento particolare è in tensione dialettica
con il generale e l’uno non può sussistere senza l’altro.


Per una morfogenesi dell’evento
La storia è un disegno, fatto di linee puntinate, di immagini costituite da retini fotografici. La storia è, complessivamente, immagine.
Prologo
Questo studio non è un saggio sulla storiografia, né una ricerca sul
concreto lavoro degli storici, ma un tentativo di riflettere, secondo varie angolazioni, sul significato filosofico della storia in rapporto a uno
dei convicimenti più radicati — e meno esplicitati- dell’esercizio della
conoscenza storica: che la storia “serva” alla formazione individuale e
a quella collettiva, che sia in grado di disporci e di prepararci meglio
ad agire nel presente anche grazie a una certa capacità di prevedere
(sia pure in modo non assoluto) il futuro, anche di fronte all’attuale
“accelerazione della storia”.
Riflessione, per noi, significa eminentemente ponderazione, il soppesare quello che la tradizione filosofica e religiosa ci ha trasmesso in
merito a quella che possiamo definire “teoria dell’accadere” o “teoria
dell’evento”. E la storia è fatta di accadimenti e di eventi. Non ci siamo
proposti di arrivare ad alcuna conclusione: non si privilegia, infatti,
alcun punto di vista e ci si affida alla “polifonia” del vero. Forse a torto
la filosofia della storia, oggi, ha trattato con minore intensità che non
nel passato i temi di cui ci siamo occupati; ogni azione del presente,
infatti, esaminata con cura, mostra radici che affondano in un passato
non soltanto recente, ma, talora, anche remoto. Ignorare le radici non
predispone, come taluno ha pensato, a una maggiore creatività nel
presente, ma a una minore prudenza e a una ridotta consapevolezza che può rendere inefficace l’azione nel presente stesso, proprio
mentre l’“accelerazione della storia” spinge a decisioni nelle quali il
monito del passato può essere salutare, soprattutto in merito ai nuovi
problemi politici nelle relazioni internazionali suscitati dall’economia
in via di globalizzazione.
L’“accelerazione della storia”, privata della consapevolezza del passato, può rivelarsi una lama a doppio taglio. Nella piena consapevolezza dei limiti del nostro tentativo abbiamo ritenuto, per così dire,
non inutile cercare di descrivere, almeno in parte, le pieghe filosofiche
della nozione di “evento”.


Per una morfogenesi dell’evento
L’idea di questo libro venne a Praga, ai primi di gennaio del , in
Mala Strana, verso l’Ambasciata italiana ove gli autori hanno incrociato
i loro destini scambiandosi gli anelli.
Tiziana C. Carena
Francesco Ingravalle
Premessa
Se le mosse fossero sempre false, non
avrebbe senso parlare d’una “mossa falsa
(L. W, Zettel, n. )
L’evento è la cosa più ovvia, più comune, più banale: qualsiasi cambiamento è caratterizzato dall’evenire, dal “venir fuori” (in termini
‘tecnici’: “fenomenizzarsi”) di qualche cosa che prima non c’era, oppure che c’era, ma in modo diverso da come si presenta ora. Solitamente
è la riflessione retrospettiva a chiamare in causa l’evento: quante volte, di fronte a fatti spiacevoli o dolorosi si ripensa, con nostalgia, al
momento in cui potevano ancora non prodursi, magari grazie a un
nostro intervento; però, il nostro intervento correttivo avrebbe presupposto proprio la previsione di quel fatto spiacevole e/o doloroso
che, poi, è accaduto.
In quali limiti è possibile tale previsione? Se questa è la domanda
fondamentale della storia di un individuo, essa è anche la domanda
fondamentale della storia collettiva: quale politico non ripensa con
rammarico alle occasioni storiche perdute, a scelte che si sono rivelate fallimentari, a illusioni che si sono dimostrate ‘fatali’ per il suo
paese? Tanto il successo, quanto l’insuccesso sono ottime premesse
per riflettere sull’ “evento”, su ciò in cui, scegliendo una certa linea
d’azione, ci si imbatte. Non di rado, non si può nemmeno imputare a
un errore soggettivo il prodursi di una certa, sgradevole situazione, o
di una certa, gradita condizione di felicità, individuale o collettiva.
Cercheremo di riservare all’evento come categoria generale, un’attenzione specifica: la millenaria disputa su sorte, destino, provvidenza
e libertà umana ha assunto, fino a ora, l’aspetto di una pluralità di
riflessioni sul divenire, sul cambiamento della realtà che sotto gli occhi. Ciò che è accaduto doveva accadere? Oppure poteva anche non
accadere? Ma se poteva anche non accadere, perché è accaduto? E
perché è accaduta proprio quella tale cosa invece che quella tale altra?


Per una morfogenesi dell’evento
Le varie risposte che sono state date a questi interrogativi compongono una fenomenologia della morfogenesi dell’evento e del suo
‘inveramento’ storico. Che cosa significa questo? Vogliamo intendere
le molte risposte date alle domande suaccennate nel corso dei secoli
come articolazioni di un medesimo discorso su un medesimo problema; lo sforzo è stato quello di ricostruire la nascita (“genesi”) della
forma (morphé, componente della parola “morfogenesi”, nascita della forma) dell’evento e il suo farsi verità (inveramento), cioè il suo
mostrarsi completamente quale esso è nel tempo. Sarebbe a dire che
quell’evento manifesta tutte le sue potenzialità soltanto nel corso del
tempo; e, sempre nel corso del tempo, emergono le ragioni del suo
tramonto, cioè del suo sparire dalla presenza. In questo senso veritas
filia temporis .
Se quanto abbiamo detto ha un senso, non soltanto teoretico, ma
storico-concreto, il fenomeno, l’evento, è già potenzialmente, cioè ha
una consistenza ontologica virtuale: altrimenti non potreebbe diventare realtà. Attraverso una indagine editetica affine a quella utilizzata
da Husserl, il fenomeno potenziale potrebbe essere descritto, ma non
compreso, se comprendere significa ricondurre la forma dell’evento
a qualche cosa di più originario. Naturalmente, se per razionalità si
intende l’insieme delle pratiche deduttive e induttive, la descrizione
delle forme non può essere detta razionale più di quanto non possa
essere detto tale l’atto del vedere. Parliamo di “consistenza ontologica
virtuale” usando l’aggettivo “virtuale” come equivalente dell’aggettivo “potenziale”; e l’aggettivo “potenziale” significa “che può essere”.
Ciò che può essere non potrebbe mai passare all’essere effettivo se, in
qualche modo già non fosse. Nella cellula fecondata di un mammifero
esistono allo stato potenziale tutti gli organi che caratterizzeranno
il mammifero quando nascerà. Il tessuto cellulare può diversificarsi
in muscoli, ossa ecc. Questo significa che i diversi aspetti del tessuto
cellulare coesistono come potenzialità dell’indifferenziato e passano
all’essere secondo le ‘norme’ del codice genetico.
Vedere non è ricavare l’oggetto della visione da qualche cosa di più
originario; il che può essere, invece, un ricondurre le singole cose
viste a una forma originaria. Se nella virtualità ontologica ravvisiamo
. Variazione proverbiale la cui origine va ricercata in Aulo Gellio, Noctes Atticae, XII,
.
Premessa

l’analogo filosofico delle idee prime della geometria euclidea, i principi
costruttivi dell’oggetto veduto, la fonte del procedimento deduttivo e
l’àncora di quello induttivo, allora la descrizione meriterà l’aggettivo
“razionale”. Esisterebbe, dunque, un universo di universali possibili
di cui ogni accadere è la fenomenizzazione. Al livello degli universali
possibili, sono possibili molte relazioni fra gli universali; e quando
alcuni di essi si fenomenizzano scattano vincoli, connessioni che non
possono essere più cambiate e che producono effetti visibili nel tempo.
Il nostro discorso si snoderà attraverso una prima puntualizzazione
e restrizione del discorso all’interpretazione dell’evento come storia.
Si tratterà di indicare le categorie formali che definiscono un evento
sia in genrale, sia nella sua specificazione storica.
In un certo senso, il racconto contenuto nel Genesi ci farà da guida:
Adamo nominava le cose senza conoscerle (linguaggio adamitico),
nominandole, faceva essere le cose in un universo di forme, di simboli,
quello del linguaggio, vera e propria “seconda natura” .Il modello è
quello della parola divina che con il solo suo essere pronunciata crea
ex nihilo le cose; nel caso di Adamo, però, la cosa entra nell’universo
simbolico, acquista una vita parallela a partire dal modello empirico,
una vita che è per l’uomo , anche se, poi, lentamente, ma, spesso,
inesorabilmente è l’uomo a essere per la vita del simbolo.
Cercheremo, poi, di ricostruire teoreticamente i termini del dialogo millenario sul problema: daremo per scontato l’intero apparato
storico–critico che accompagna gli studi sugli autori che nomineremo: dapprima l’evento come necessità e circolarità del tempo nella
riflessione dei “pre–socratici”, poi l’inquietante quesito aristotelico
sul “valore di verità” degli enunciati che hanno il verbo al futuro e la
tormentata riflesione dello stoico Crisippo di Soli e del suo critico di
età antoniniana Alessandro di Afrodisia.
Avviene una grande svolta quando la fonte dell’evento è identificata con il dio unico dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento.
Ciò che era sorte, destino, contingenza, necessità è, ora, volontà di
un unico signore assoluto del mondo, colui che l’ha creato e che ne
. Cfr. David Hilbert, il quale affermava: “Il pensiero procede [. . . ] parallelamente al
parlare e allo scrivere, formando e allineando proposizioni.” (cit. da W. Kuyk, Il discreto e il
continuo, tr. it. Torino, Boringhieri, , p. ).
. Cfr. C.G. Dubois, La lettera e il mondo, tr. it. Venezia, Arsenale, , pp.  ss.

Per una morfogenesi dell’evento
dispone in modo illimitato. Qui le riflessioni della filosofia islamica
(Al Ghazali), della filosofia ebraica (Mosè Maimonide), della filosofia
cristiana (Tommaso d’Aquino) vanno intese come tentativi di conciliare le vedute dell’aristotelismo più o meno alessandrista con la
Rivelazione.
Nel Cinquecento, con Machiavelli, verrà ripresa, invece, la questione del rapporto fra sorte e virtù in termini che richiamano da vicino
gli scritti sulla sorte di Plutarco di Cheronèa.
Dal XVIII secolo il tentativo di dedurre l’evento da un solo principio ideale o umano (Kant, Schopenhauer, Hegel, Marx, Nietzsche,
Spengler) si protrarrà fino agli esiti scettici delineati da Neurath e da
Popper e dall’emergere di una considerazione meramente probabilistica del prodursi dell’evento con la “teoria delle serie” di Lacan e
con la teoria del caos (sviluppata da Ivar Ekeland). L’elevazione del
relativo all’assoluto con la teoria del cronòtopo di Vincenzo Gioberti
e la teoria di Daniel Halévy sull’”accelerazione della storia” concluderà la presentazione delle opzioni teoriche in materia di morfogenesi
dell’evento. Si tratterà, dunque, di riprendere la teoria della Vorstellung
come continuazione ideale della phantasìa stoica (e dei phantàsmata
stoici, così ben descritti da essere trasparenti alla ragione).
Ma si tratterà anche di tenere sempre presenti le tecniche divinatorie esaminate da Cicerone nel De divinatione e la loro analogia con le
tecniche di interpretazione razionale: non un abisso separa il segno
divinatorio dal sintomo medico, bensì un diverso livello di efficacia in
termini di previsione del futuro. Un’analogia che si spiega con il fatto
che lo scienziato e l’indovino si trovano di fronte in modo uguale, ma
con codici simboli differenti, davanti alla stessa realtà: quella dell’evento e del suo prodursi futuro. Ma che cosa dire dello storico e della sua
attività, lo scrivere di storia?
La storia come attività professionale non sta attraversando un momento particolarmente felice, almeno nel nostro paese. Non c’è alcuna “s” ad accompagnare le tre “i” considerate il suggello del mondo
del “dopo–Yalta” (inglese, informatica, impresa). Se consideriamo da
vicino gli obiettivi della “società della conoscenza”, notiamo una significativa assenza della storia, nel suo asse formativo. Non è il caso, qui,
. Cfr. Cicerone, Sulla divinazione, a cura di S. Timpanaro, Milano, Garzanti, , p.
, sui presagi relativi alla nascita di Platone.
Premessa

di tentare una risposta alla facile domanda sul perché del silenzio in
merito alla storia. Sembra quasi che l’attuale disinteresse sia tributario
della vecchia critica nietzscheana al sapere storico: troppa storicità
blocca l’azione e nella società del rischio e del controllo, quello che
conta è l’efficacia dell’azione, il conseguimento di obiettivi proclamati
come collettivamente desiderabili.
Cerchiamo di rispondere, da un punto di vista teoretico, alla semplice e forse banale domanda: perché si fa storia?
Esiste, certo, il piacere del narrare gli eventi del passato; per il mondo occidentale l’Iliade è la prima testimonianza di questo piacere. Ma
questo piacere non è mai disgiunto dall’obiettivo di costruire identità
politiche: era, questa, la funzione degli scrittori di storia attica, dediti
alla creazione dell’identità politica ateniese. Si è ritenuto per lungo
tempo che la storia passata fosse in grado di portare utili insegnamenti per l’azione politica del presente, nella convinzione che la natura
umana rimanga sostanzialmente la stessa nello scorrere del tempo
(Machiavelli), oppure che l’analogia di situazioni presenti con situazioni passate potesse suggerire soluzioni per il presente (Spengler), o,
addirittura, aiutare a prevedere il futuro (Marx) : “L’azione politica è
un gioco aleatorio confrontato in continuazione con il problema dell’errore della percezione, dell’errore della diagnosi, dell’errore della
previsione, dell’errore del comportamento. La politica porta con sé
in maniera consustanziale miti così profondi e così potenti da provocare non soltanto la credenza illusoria che il tempo del compimento
si staia avvicinando, non soltanto l’illusione dell’avversario che non
comprende mai la vera natura dei miti che combatte, ma anche una
nube di illusioni sul senso effetivo dell’azione.”
Agire, se non si agisce alla cieca, richiede una capacità di prefigurare
il corso della nostra azione, il che equivale a prevederlo, almeno in
una certa misura. Il problema non cambia, sostanzialmente, se viene
riferito all’agire di un individuo o all’agire di una classe politica.
Si può prevedere lo sviluppo della storia?
A questa apparentemente semplice domanda si possono muovere
alcune, fondate, obiezioni. La storia è sempre “storia di . . . ”: storia
dell’economia, storia delle istituzioni, storia dell’arte, ecc. Non ba. Si cfr. E. Morin, Il gioco della verità e dell’errore. Rigenerare la politica, tr. it., Trento,
Edizioni Erickson, , p. 

Per una morfogenesi dell’evento
sta: la storia dell’economia può avere partizioni geografiche: storia
dell’economia statunitense, italiana, ecc.; può avere partizioni cronologiche: economia statunitense dell’ ‘, del ‘, e via via per ogni
sorta di suddivisioni temporali. Nessuno, forse, potrebbe raccogliere
insieme le competenze per redigere una “storia generale” che non
fosse un compendio di manuali storici molto specifici. E per ciascuna
partizione geografica e cronologica la domanda generale dalla quale
siamo partiti potrebbe essere nuovamente ripetuta. E se così accadesse
realmente sarebbe facile scoprire che, in fondo, il problema è quello
del divenire. A delineare il problema in questi termini si giunge per
astrazione: quello che le diverse storie hanno in comune, quello che
è generale, è la forma pura del divenire e il problema è quello della
previsione del futuro.
Alla struttura del divenire, alle sue regolarità, al loro studio e all’inferenza della loro periodicità, è dedicato questo studio. Esso partirà
dalle prime tematizzazioni del problema, in Aristotele, De interpretatione, cap. , in Alessandro di Afrodisia, De fato ad Imperatores, e
al risorgere del problema con la filosofia idealistico–romantica della
storia, alla concezione positivistica della storia, giù giù fino alla concezione marx–engelsiana e al razionalismo critico popperiano (Miseria
dello storicismo). Quest’excursus storico permetterà di formulare in
modo più preciso il problema: si vedrà che la domanda generale va
specificata non solo tenendo conto del fatto che la storia è un oggetto “plurale”, ma che la stessa prevedibilità può essere intesa in
modo assoluto, oppure in modo probabilistico: è nella statistica che
l’astrazione, in generale, si innesta nel concetto interpretandolo ed è
nell’interpretazione degli elementi concreti attraverso l’astratto che
possono insorgere quegli errori la cui diagnosi ha condannato finora
ogni ipotesi di “previsione storica” già in partenza.
Due argomentazioni si fronteggiano, a questo punto: una osservazione e una contro–osservazione.
Osservazione
Senso e significato sono vincolati dalla temporalità. La categoria ‘tempo’ è accessoria, strumentale, secondaria. La categoria ‘spazio’ in senso
fisico non è accessoria, né strumentale, né secondaria. C’è uno spazio
Premessa

etereo che non è uno spazio empirico. Senso e significato occupano
uno spazio in senso fisico. L’e–venire ha un senso fisico (luogo): venire
da con chiara indicazione di una provenienza; sarebbe possibile una
sorta di fenomenologia sitografica dell’evento. La categoria temporale
è un paradosso. Senso e significato sono perenni. Essi coprono tutta
l’esistenza dell’universo. Se si vuole parlare di un tempo simultaneo,
la previsione riguarda il già esistente. Non c’è segmentazione: tutto è
presente. In condizioni analoghe l’evento può ripetersi? No. Le condizioni accidentali non contano affatto, perché sono legate al tempo.
Qui, invece, nulla muta. Non c’è trasformazione. L’evento è. L’evento
è l’uscire di qualche cosa dalla latenza per collocarsi nell’orizzonte
della presenza.
Contro–osservazione
Senso e significato sono costruzioni culturali intese come ulteriorità
rispetto all’evento. La prevedibilità dell’evento è un continuum nella cultura occidentale (per l’antichità, pensiamo al De divinatione di
Cicerone), dalla scienza degliàuguri alla tecno–scienza attuale. Essa
è l’indice del tentativo di ‘imbrigliare’ in un certo numero di modi
l’imprevedibilità relativa degli eventi, di trasformare gli eventi da potenze alle quali ci si inchina a potenze alle quali, entro certi limiti e a
certe condizioni si comanda. La critica della metafisica fa emergere
come strumento della previsione lo strumento storico-probabilistico.
Anche qui si assume come base il linguaggio della fisica e, in particolar
modo, quello della macro-fisica. La storia, l’evento sono i prodotti
inconsapevoli delle interazioni fra gruppi umani. Si tratta di portarla a
essere prodotto consapevole e vantaggioso per gli esseri umani .
Lo studio della storia, dunque, come studio con finalità pragmatiche, e la spiegazione storica come “la scoperta, la comprensione,
l’analisi dei mille legami che, in maniera forse inestricabile, uniscono
gli uni agli altri i molteplici aspetti della realtà umana, che ricollegano ciascun fenomeno ai fenomeni vicini, ciascuna situazione ai suoi
. Cfr. la Glückslehre di Otto Neurath e il suo saggio Pianificazione internazionale per la
libertà, tr. it. a cura di F. Ingravalle e Tiziana C. Carena, Torino, Scholè, .

Per una morfogenesi dell’evento
precedenti —immediati o remoti — e, ancora alle sue conseguenze .”
In questi termini, come ha scritto Marc Bloch , la storia “è una vasta
esperienza delle varietà umane, un lungo incontro degli uomini”, non
già una sede per giudicarli. Al giudizio provvederanno, come sempre, la dinamica dell’economia e quella della politica, producendo,
con idonee distorsioni, nuova storia che lo storico dovrà sforzarsi di
comprendere non al di là, ma attraverso distorsioni, falsificazioni e
omissioni che molti documenti storici esibiscono senza rèmore.
. Cfr. H. I. Marrou, La conoscenza storica, tr. it. di A. Morzillo, Bologna, Il Mulino,
, p. .
. Cfr. M. Bloch, Apologia della storia, tr. it. di C. Pischedda, Torino, Einaudi, , p.
.