A Tiziana Carena Francesco Ingravalle Per una morfogenesi dell’evento La ricerca è stata compiuta con il contributo del Centro Teologico di Torino. Per la stampa si è usufruito dei fondi di ricerca locale dell’Università degli studi del Piemonte Orientale, Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive POLIS, sede di Alessandria Copyright © MMXII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: marzo Indice Il disegno del “sono io” Prologo Premessa Parte I Capitolo I Finalità dello studio della storia Capitolo II Accadere, individuo e folla Capitolo III Logica delle serie Capitolo IV Schema della logica seriale lacaniana Capitolo V Che cosa fa lo storico? Parte II Premessa Indice Capitolo I Il mondo come necessità e il tempo circolare Capitolo II L’epifania dell’eterno Capitolo III Il mondo come visione Capitolo IV Le proposizioni con il verbo al futuro Capitolo V Crisippo e i “destini concomitanti”. La critica di Alessandro di Afrodisia Capitolo VI Il mondo come volontà (di Dio) Capitolo VII Tempo ed eternità nel monoteismo. Alcuni aspetti Capitolo VIII Gli umanisti e la sorte Capitolo IX Tra progresso e scepsi Parte III Capitolo I Attualità di un’inattualità. Kant tra teoria della storia e politica .. Introduzione, – .. Attualità di Kant, – .. L’Europa in movimento e il kantiano «diritto di visita», – .. «Inattualità» di Kant (e di Habermas), – .. Il problema della pace e la realizzazione concreta dei diritti, – .. L’inattuale attualità di Kant, – .. Intermezzo: La storia e il suo senso, . Indice Capitolo II L’“accelerazione della storia” come categoria storico–teorica. Sugli scritti storico–politici di Daniel Halévy .. Introduzione, – .. La dialettica negativa della democrazia, – .. Alle origini di –, – .. Le radici culturali della riflessione politica di Halévy, – .. Halévy storico e critico del movimento operaio francese, – .. Histoire de quatre ans (–), – .. Halévy: le vicende della democrazia e del progresso, – .. : ritorno a Nietzsche, – .. L’accelerazione della storia, – .. Conclusioni, . Dialogo finale Bibliografia Il disegno del “sono io” Il disegno del “sono io”: perché premettere a un libro sulla storia il disegno di bambino di cinque anni? Se noi analizziamo i disegni dei bambini sembrano fatti tutti secondo schemi grafici uguali. Dal disegno possiamo capire l’età di chi l’ha tracciato. Il disegno racchiude in sé la traccia di un tempo storico che muta secondo forme determinate: dalle macchie senza forma, alla quasi–non–più–macchia, alla forma semi–strutturata, alla forma ben precisata. Cresce l’individuo, cresce l’ordine dettagliato del disegno. La storia nasce allo stesso modo: procedendo essa si precisa rivelando la macchia delle origini come forma strutturata del presente. Se da un disegno si capisce l’età, dalle forme della temporalità è possibile capire il punto evolutivo raggiunto dalla storia universale. Se disegnamo alla lavagna l’individuo qualunque, possiamo solo parlarne, in realtà, non disegnarlo: o è alto o è basso, non è più “qualunque”; il linguaggio è soltanto una traccia. Possiamo parlare dell’individuo qualunque, non disegnarlo, cioè definirlo con precisione: la precisione non si accorda con il “qualunque”. Nella storia l’universale è artificiale, è ricostruito. Non appena si tenta di stringere l’universale (come quando si cerca di disegnare l’individuo qualunque), l’universale scompare. Non c’è storia dell’individuale, ma la storia è fatta da individualità, anzi, addirittura da unici che agiscono in gruppo. La storia monumentale, quella dei grandi eventi e delle grandi personalità, è, in fondo, l’unica possibile; anche quando si fa micro-storia: ci sarà sempre un “Cesare” di una oscura località che orienta i suoi circonvicini. Questo non significa che non si possa generalizzare: ma c’è un richiamo dialettico fra generalità e particolarità e lo storico non può, senza proprio danno, trascurarla. Una storia particolare, in sé, è illeggibile, perché irrilevante: si immagini la storia di un singolo burocrate: che significato ha se non serve a chiarire la storia della burocrazia? Il momento particolare è in tensione dialettica con il generale e l’uno non può sussistere senza l’altro. Per una morfogenesi dell’evento La storia è un disegno, fatto di linee puntinate, di immagini costituite da retini fotografici. La storia è, complessivamente, immagine. Prologo Questo studio non è un saggio sulla storiografia, né una ricerca sul concreto lavoro degli storici, ma un tentativo di riflettere, secondo varie angolazioni, sul significato filosofico della storia in rapporto a uno dei convicimenti più radicati — e meno esplicitati- dell’esercizio della conoscenza storica: che la storia “serva” alla formazione individuale e a quella collettiva, che sia in grado di disporci e di prepararci meglio ad agire nel presente anche grazie a una certa capacità di prevedere (sia pure in modo non assoluto) il futuro, anche di fronte all’attuale “accelerazione della storia”. Riflessione, per noi, significa eminentemente ponderazione, il soppesare quello che la tradizione filosofica e religiosa ci ha trasmesso in merito a quella che possiamo definire “teoria dell’accadere” o “teoria dell’evento”. E la storia è fatta di accadimenti e di eventi. Non ci siamo proposti di arrivare ad alcuna conclusione: non si privilegia, infatti, alcun punto di vista e ci si affida alla “polifonia” del vero. Forse a torto la filosofia della storia, oggi, ha trattato con minore intensità che non nel passato i temi di cui ci siamo occupati; ogni azione del presente, infatti, esaminata con cura, mostra radici che affondano in un passato non soltanto recente, ma, talora, anche remoto. Ignorare le radici non predispone, come taluno ha pensato, a una maggiore creatività nel presente, ma a una minore prudenza e a una ridotta consapevolezza che può rendere inefficace l’azione nel presente stesso, proprio mentre l’“accelerazione della storia” spinge a decisioni nelle quali il monito del passato può essere salutare, soprattutto in merito ai nuovi problemi politici nelle relazioni internazionali suscitati dall’economia in via di globalizzazione. L’“accelerazione della storia”, privata della consapevolezza del passato, può rivelarsi una lama a doppio taglio. Nella piena consapevolezza dei limiti del nostro tentativo abbiamo ritenuto, per così dire, non inutile cercare di descrivere, almeno in parte, le pieghe filosofiche della nozione di “evento”. Per una morfogenesi dell’evento L’idea di questo libro venne a Praga, ai primi di gennaio del , in Mala Strana, verso l’Ambasciata italiana ove gli autori hanno incrociato i loro destini scambiandosi gli anelli. Tiziana C. Carena Francesco Ingravalle Premessa Se le mosse fossero sempre false, non avrebbe senso parlare d’una “mossa falsa (L. W, Zettel, n. ) L’evento è la cosa più ovvia, più comune, più banale: qualsiasi cambiamento è caratterizzato dall’evenire, dal “venir fuori” (in termini ‘tecnici’: “fenomenizzarsi”) di qualche cosa che prima non c’era, oppure che c’era, ma in modo diverso da come si presenta ora. Solitamente è la riflessione retrospettiva a chiamare in causa l’evento: quante volte, di fronte a fatti spiacevoli o dolorosi si ripensa, con nostalgia, al momento in cui potevano ancora non prodursi, magari grazie a un nostro intervento; però, il nostro intervento correttivo avrebbe presupposto proprio la previsione di quel fatto spiacevole e/o doloroso che, poi, è accaduto. In quali limiti è possibile tale previsione? Se questa è la domanda fondamentale della storia di un individuo, essa è anche la domanda fondamentale della storia collettiva: quale politico non ripensa con rammarico alle occasioni storiche perdute, a scelte che si sono rivelate fallimentari, a illusioni che si sono dimostrate ‘fatali’ per il suo paese? Tanto il successo, quanto l’insuccesso sono ottime premesse per riflettere sull’ “evento”, su ciò in cui, scegliendo una certa linea d’azione, ci si imbatte. Non di rado, non si può nemmeno imputare a un errore soggettivo il prodursi di una certa, sgradevole situazione, o di una certa, gradita condizione di felicità, individuale o collettiva. Cercheremo di riservare all’evento come categoria generale, un’attenzione specifica: la millenaria disputa su sorte, destino, provvidenza e libertà umana ha assunto, fino a ora, l’aspetto di una pluralità di riflessioni sul divenire, sul cambiamento della realtà che sotto gli occhi. Ciò che è accaduto doveva accadere? Oppure poteva anche non accadere? Ma se poteva anche non accadere, perché è accaduto? E perché è accaduta proprio quella tale cosa invece che quella tale altra? Per una morfogenesi dell’evento Le varie risposte che sono state date a questi interrogativi compongono una fenomenologia della morfogenesi dell’evento e del suo ‘inveramento’ storico. Che cosa significa questo? Vogliamo intendere le molte risposte date alle domande suaccennate nel corso dei secoli come articolazioni di un medesimo discorso su un medesimo problema; lo sforzo è stato quello di ricostruire la nascita (“genesi”) della forma (morphé, componente della parola “morfogenesi”, nascita della forma) dell’evento e il suo farsi verità (inveramento), cioè il suo mostrarsi completamente quale esso è nel tempo. Sarebbe a dire che quell’evento manifesta tutte le sue potenzialità soltanto nel corso del tempo; e, sempre nel corso del tempo, emergono le ragioni del suo tramonto, cioè del suo sparire dalla presenza. In questo senso veritas filia temporis . Se quanto abbiamo detto ha un senso, non soltanto teoretico, ma storico-concreto, il fenomeno, l’evento, è già potenzialmente, cioè ha una consistenza ontologica virtuale: altrimenti non potreebbe diventare realtà. Attraverso una indagine editetica affine a quella utilizzata da Husserl, il fenomeno potenziale potrebbe essere descritto, ma non compreso, se comprendere significa ricondurre la forma dell’evento a qualche cosa di più originario. Naturalmente, se per razionalità si intende l’insieme delle pratiche deduttive e induttive, la descrizione delle forme non può essere detta razionale più di quanto non possa essere detto tale l’atto del vedere. Parliamo di “consistenza ontologica virtuale” usando l’aggettivo “virtuale” come equivalente dell’aggettivo “potenziale”; e l’aggettivo “potenziale” significa “che può essere”. Ciò che può essere non potrebbe mai passare all’essere effettivo se, in qualche modo già non fosse. Nella cellula fecondata di un mammifero esistono allo stato potenziale tutti gli organi che caratterizzeranno il mammifero quando nascerà. Il tessuto cellulare può diversificarsi in muscoli, ossa ecc. Questo significa che i diversi aspetti del tessuto cellulare coesistono come potenzialità dell’indifferenziato e passano all’essere secondo le ‘norme’ del codice genetico. Vedere non è ricavare l’oggetto della visione da qualche cosa di più originario; il che può essere, invece, un ricondurre le singole cose viste a una forma originaria. Se nella virtualità ontologica ravvisiamo . Variazione proverbiale la cui origine va ricercata in Aulo Gellio, Noctes Atticae, XII, . Premessa l’analogo filosofico delle idee prime della geometria euclidea, i principi costruttivi dell’oggetto veduto, la fonte del procedimento deduttivo e l’àncora di quello induttivo, allora la descrizione meriterà l’aggettivo “razionale”. Esisterebbe, dunque, un universo di universali possibili di cui ogni accadere è la fenomenizzazione. Al livello degli universali possibili, sono possibili molte relazioni fra gli universali; e quando alcuni di essi si fenomenizzano scattano vincoli, connessioni che non possono essere più cambiate e che producono effetti visibili nel tempo. Il nostro discorso si snoderà attraverso una prima puntualizzazione e restrizione del discorso all’interpretazione dell’evento come storia. Si tratterà di indicare le categorie formali che definiscono un evento sia in genrale, sia nella sua specificazione storica. In un certo senso, il racconto contenuto nel Genesi ci farà da guida: Adamo nominava le cose senza conoscerle (linguaggio adamitico), nominandole, faceva essere le cose in un universo di forme, di simboli, quello del linguaggio, vera e propria “seconda natura” .Il modello è quello della parola divina che con il solo suo essere pronunciata crea ex nihilo le cose; nel caso di Adamo, però, la cosa entra nell’universo simbolico, acquista una vita parallela a partire dal modello empirico, una vita che è per l’uomo , anche se, poi, lentamente, ma, spesso, inesorabilmente è l’uomo a essere per la vita del simbolo. Cercheremo, poi, di ricostruire teoreticamente i termini del dialogo millenario sul problema: daremo per scontato l’intero apparato storico–critico che accompagna gli studi sugli autori che nomineremo: dapprima l’evento come necessità e circolarità del tempo nella riflessione dei “pre–socratici”, poi l’inquietante quesito aristotelico sul “valore di verità” degli enunciati che hanno il verbo al futuro e la tormentata riflesione dello stoico Crisippo di Soli e del suo critico di età antoniniana Alessandro di Afrodisia. Avviene una grande svolta quando la fonte dell’evento è identificata con il dio unico dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento. Ciò che era sorte, destino, contingenza, necessità è, ora, volontà di un unico signore assoluto del mondo, colui che l’ha creato e che ne . Cfr. David Hilbert, il quale affermava: “Il pensiero procede [. . . ] parallelamente al parlare e allo scrivere, formando e allineando proposizioni.” (cit. da W. Kuyk, Il discreto e il continuo, tr. it. Torino, Boringhieri, , p. ). . Cfr. C.G. Dubois, La lettera e il mondo, tr. it. Venezia, Arsenale, , pp. ss. Per una morfogenesi dell’evento dispone in modo illimitato. Qui le riflessioni della filosofia islamica (Al Ghazali), della filosofia ebraica (Mosè Maimonide), della filosofia cristiana (Tommaso d’Aquino) vanno intese come tentativi di conciliare le vedute dell’aristotelismo più o meno alessandrista con la Rivelazione. Nel Cinquecento, con Machiavelli, verrà ripresa, invece, la questione del rapporto fra sorte e virtù in termini che richiamano da vicino gli scritti sulla sorte di Plutarco di Cheronèa. Dal XVIII secolo il tentativo di dedurre l’evento da un solo principio ideale o umano (Kant, Schopenhauer, Hegel, Marx, Nietzsche, Spengler) si protrarrà fino agli esiti scettici delineati da Neurath e da Popper e dall’emergere di una considerazione meramente probabilistica del prodursi dell’evento con la “teoria delle serie” di Lacan e con la teoria del caos (sviluppata da Ivar Ekeland). L’elevazione del relativo all’assoluto con la teoria del cronòtopo di Vincenzo Gioberti e la teoria di Daniel Halévy sull’”accelerazione della storia” concluderà la presentazione delle opzioni teoriche in materia di morfogenesi dell’evento. Si tratterà, dunque, di riprendere la teoria della Vorstellung come continuazione ideale della phantasìa stoica (e dei phantàsmata stoici, così ben descritti da essere trasparenti alla ragione). Ma si tratterà anche di tenere sempre presenti le tecniche divinatorie esaminate da Cicerone nel De divinatione e la loro analogia con le tecniche di interpretazione razionale: non un abisso separa il segno divinatorio dal sintomo medico, bensì un diverso livello di efficacia in termini di previsione del futuro. Un’analogia che si spiega con il fatto che lo scienziato e l’indovino si trovano di fronte in modo uguale, ma con codici simboli differenti, davanti alla stessa realtà: quella dell’evento e del suo prodursi futuro. Ma che cosa dire dello storico e della sua attività, lo scrivere di storia? La storia come attività professionale non sta attraversando un momento particolarmente felice, almeno nel nostro paese. Non c’è alcuna “s” ad accompagnare le tre “i” considerate il suggello del mondo del “dopo–Yalta” (inglese, informatica, impresa). Se consideriamo da vicino gli obiettivi della “società della conoscenza”, notiamo una significativa assenza della storia, nel suo asse formativo. Non è il caso, qui, . Cfr. Cicerone, Sulla divinazione, a cura di S. Timpanaro, Milano, Garzanti, , p. , sui presagi relativi alla nascita di Platone. Premessa di tentare una risposta alla facile domanda sul perché del silenzio in merito alla storia. Sembra quasi che l’attuale disinteresse sia tributario della vecchia critica nietzscheana al sapere storico: troppa storicità blocca l’azione e nella società del rischio e del controllo, quello che conta è l’efficacia dell’azione, il conseguimento di obiettivi proclamati come collettivamente desiderabili. Cerchiamo di rispondere, da un punto di vista teoretico, alla semplice e forse banale domanda: perché si fa storia? Esiste, certo, il piacere del narrare gli eventi del passato; per il mondo occidentale l’Iliade è la prima testimonianza di questo piacere. Ma questo piacere non è mai disgiunto dall’obiettivo di costruire identità politiche: era, questa, la funzione degli scrittori di storia attica, dediti alla creazione dell’identità politica ateniese. Si è ritenuto per lungo tempo che la storia passata fosse in grado di portare utili insegnamenti per l’azione politica del presente, nella convinzione che la natura umana rimanga sostanzialmente la stessa nello scorrere del tempo (Machiavelli), oppure che l’analogia di situazioni presenti con situazioni passate potesse suggerire soluzioni per il presente (Spengler), o, addirittura, aiutare a prevedere il futuro (Marx) : “L’azione politica è un gioco aleatorio confrontato in continuazione con il problema dell’errore della percezione, dell’errore della diagnosi, dell’errore della previsione, dell’errore del comportamento. La politica porta con sé in maniera consustanziale miti così profondi e così potenti da provocare non soltanto la credenza illusoria che il tempo del compimento si staia avvicinando, non soltanto l’illusione dell’avversario che non comprende mai la vera natura dei miti che combatte, ma anche una nube di illusioni sul senso effetivo dell’azione.” Agire, se non si agisce alla cieca, richiede una capacità di prefigurare il corso della nostra azione, il che equivale a prevederlo, almeno in una certa misura. Il problema non cambia, sostanzialmente, se viene riferito all’agire di un individuo o all’agire di una classe politica. Si può prevedere lo sviluppo della storia? A questa apparentemente semplice domanda si possono muovere alcune, fondate, obiezioni. La storia è sempre “storia di . . . ”: storia dell’economia, storia delle istituzioni, storia dell’arte, ecc. Non ba. Si cfr. E. Morin, Il gioco della verità e dell’errore. Rigenerare la politica, tr. it., Trento, Edizioni Erickson, , p. Per una morfogenesi dell’evento sta: la storia dell’economia può avere partizioni geografiche: storia dell’economia statunitense, italiana, ecc.; può avere partizioni cronologiche: economia statunitense dell’ ‘, del ‘, e via via per ogni sorta di suddivisioni temporali. Nessuno, forse, potrebbe raccogliere insieme le competenze per redigere una “storia generale” che non fosse un compendio di manuali storici molto specifici. E per ciascuna partizione geografica e cronologica la domanda generale dalla quale siamo partiti potrebbe essere nuovamente ripetuta. E se così accadesse realmente sarebbe facile scoprire che, in fondo, il problema è quello del divenire. A delineare il problema in questi termini si giunge per astrazione: quello che le diverse storie hanno in comune, quello che è generale, è la forma pura del divenire e il problema è quello della previsione del futuro. Alla struttura del divenire, alle sue regolarità, al loro studio e all’inferenza della loro periodicità, è dedicato questo studio. Esso partirà dalle prime tematizzazioni del problema, in Aristotele, De interpretatione, cap. , in Alessandro di Afrodisia, De fato ad Imperatores, e al risorgere del problema con la filosofia idealistico–romantica della storia, alla concezione positivistica della storia, giù giù fino alla concezione marx–engelsiana e al razionalismo critico popperiano (Miseria dello storicismo). Quest’excursus storico permetterà di formulare in modo più preciso il problema: si vedrà che la domanda generale va specificata non solo tenendo conto del fatto che la storia è un oggetto “plurale”, ma che la stessa prevedibilità può essere intesa in modo assoluto, oppure in modo probabilistico: è nella statistica che l’astrazione, in generale, si innesta nel concetto interpretandolo ed è nell’interpretazione degli elementi concreti attraverso l’astratto che possono insorgere quegli errori la cui diagnosi ha condannato finora ogni ipotesi di “previsione storica” già in partenza. Due argomentazioni si fronteggiano, a questo punto: una osservazione e una contro–osservazione. Osservazione Senso e significato sono vincolati dalla temporalità. La categoria ‘tempo’ è accessoria, strumentale, secondaria. La categoria ‘spazio’ in senso fisico non è accessoria, né strumentale, né secondaria. C’è uno spazio Premessa etereo che non è uno spazio empirico. Senso e significato occupano uno spazio in senso fisico. L’e–venire ha un senso fisico (luogo): venire da con chiara indicazione di una provenienza; sarebbe possibile una sorta di fenomenologia sitografica dell’evento. La categoria temporale è un paradosso. Senso e significato sono perenni. Essi coprono tutta l’esistenza dell’universo. Se si vuole parlare di un tempo simultaneo, la previsione riguarda il già esistente. Non c’è segmentazione: tutto è presente. In condizioni analoghe l’evento può ripetersi? No. Le condizioni accidentali non contano affatto, perché sono legate al tempo. Qui, invece, nulla muta. Non c’è trasformazione. L’evento è. L’evento è l’uscire di qualche cosa dalla latenza per collocarsi nell’orizzonte della presenza. Contro–osservazione Senso e significato sono costruzioni culturali intese come ulteriorità rispetto all’evento. La prevedibilità dell’evento è un continuum nella cultura occidentale (per l’antichità, pensiamo al De divinatione di Cicerone), dalla scienza degliàuguri alla tecno–scienza attuale. Essa è l’indice del tentativo di ‘imbrigliare’ in un certo numero di modi l’imprevedibilità relativa degli eventi, di trasformare gli eventi da potenze alle quali ci si inchina a potenze alle quali, entro certi limiti e a certe condizioni si comanda. La critica della metafisica fa emergere come strumento della previsione lo strumento storico-probabilistico. Anche qui si assume come base il linguaggio della fisica e, in particolar modo, quello della macro-fisica. La storia, l’evento sono i prodotti inconsapevoli delle interazioni fra gruppi umani. Si tratta di portarla a essere prodotto consapevole e vantaggioso per gli esseri umani . Lo studio della storia, dunque, come studio con finalità pragmatiche, e la spiegazione storica come “la scoperta, la comprensione, l’analisi dei mille legami che, in maniera forse inestricabile, uniscono gli uni agli altri i molteplici aspetti della realtà umana, che ricollegano ciascun fenomeno ai fenomeni vicini, ciascuna situazione ai suoi . Cfr. la Glückslehre di Otto Neurath e il suo saggio Pianificazione internazionale per la libertà, tr. it. a cura di F. Ingravalle e Tiziana C. Carena, Torino, Scholè, . Per una morfogenesi dell’evento precedenti —immediati o remoti — e, ancora alle sue conseguenze .” In questi termini, come ha scritto Marc Bloch , la storia “è una vasta esperienza delle varietà umane, un lungo incontro degli uomini”, non già una sede per giudicarli. Al giudizio provvederanno, come sempre, la dinamica dell’economia e quella della politica, producendo, con idonee distorsioni, nuova storia che lo storico dovrà sforzarsi di comprendere non al di là, ma attraverso distorsioni, falsificazioni e omissioni che molti documenti storici esibiscono senza rèmore. . Cfr. H. I. Marrou, La conoscenza storica, tr. it. di A. Morzillo, Bologna, Il Mulino, , p. . . Cfr. M. Bloch, Apologia della storia, tr. it. di C. Pischedda, Torino, Einaudi, , p. .