SULLA PREPOTENZA Conferenza di presentazione del libro di Mario Capanna: “Il fiume della prepotenza”, Rizzoli, Milano 1996. Sala Consiliare, Comune di Termini Imerese, 14 gennaio 1997 GIOVANNI IANNUZZO Di un libro si possono dare tanti giudizi globali. Se ne può dire che è bello o brutto, interessante o banale, e via dicendo. Di questo libro io vorrei dire che è certamente evocativo ed intrigante. E’ evocativo per vissuti assolutamente personali. Nelle sue pagine (anzi, già nel titolo) riecheggiano nomi e argomenti legati alle grandi passioni intellettuali e ideologiche del mondo giovanile della mia generazione: Marcuse e Fromm, Freud e Lorenz. E’intrigante perché affronta un tema che ci riguarda da un punto di vista se vogliamo politico e interindividuale, ma anche, forse soprattutto, personale. Nell'occuparsi dell'idea stessa di prepotenza nella storia della civiltà, delle sue origini, delle sue motivazioni, delle sue espressioni e dei modi di superarla, 1 Capanna compie uno sforzo importante, soprattutto di sintesi. Come si evince dal suo libro, la prepotenza percorre l'intera storia dell'uomo, ancorché sia stata correttamente definita per la prima volta nel '600. E non è poi cosa facile andare a rintracciarla nello specifico degli eventi umani, andare a distinguerla da altre forme di violenza - la categoria generale alla quale appartiene - o andare a collocarla nel contesto di un dibattito che è al tempo stesso sociale, politico, esistenziale, economico, e perché no, comportamentale. Ma non solo di sintesi: anche di ricerca e di elaborazione personale. Il concetto di prepotenza è infatti anomalo. Esso non afferisce ad alcuna specifica disciplina, non è prettamente sociologico, non è psicologico, non è politico, non è storico, non è teologico, non è filosofico. Eppure tutte queste discipline se ne sono interessate, per il semplice fatto che la prepotenza è caratteristica presente in tutte le epoche e le espressioni umane. Capanna riesce mirabilmente a riassumere alcune delle opinioni filosofiche, persino tracciando un ritratto critico di Socrate, ed elaborando una sua analisi dei motivi che spinsero la democrazia ateniese - a sua volta non esente da prepotenze - a condannarlo a morte. E ci parla anche di Eraclito, di Aristotele, di Senofonte, di Eschilo e di Omero. E riguardo alle altre discipline che abbiamo più sopra menzionato non ve n'è alcuna che con la prepotenza non abbia qualcosa a che dire. Nemmeno la teologia cristiana. La prepotenza pertanto esiste, ma non è codificata, esiste, ma non viene esaminata. Da alcuna scienza. Tutti sappiamo che esiste, ma nessuno sembra volerla in qualche modo riconoscerla, accettarla, criticarla; una specie di “Primula Rossa” concettuale. Fromm si è occupato della distruttività umana. Freud si è occupato della guerra, della violenza, dell'aggressività. Marcuse dell'oppressione. Foucault della repressione violenta di ogni forma di presunta devianza sociale. Lorenz dell'aggressività intraspecifica. Andreoli ha scritto di recente un libro molto bello sulla tendenza all'uccidere nei giovani. L'aggressività, la distruttività sono insomma argomenti profondamente indagati. E invece la prepotenza? Di certo è un comportamento che afferisce alla “categoria” della violenza, ma ha la subdola caratteristica di essere ben più sottile, ben più ubiquitaria, ben più “trasversale” ed onnipresente. Certo, diventa meno rilevante, meno “visibile” di fronte alla violenza dei grandi eventi storici o ai comportamenti criminali di personaggi particolarmente perversi, ma sempre di violenza si tratta, per quanto di una fattispecie particolare. Erich Fromm parlando della distruttività umana si è riferito alla patografia di Hitler. Bella forza. E' scontato parlare di Hitler a proposito di distruttività. Intendo dire che questi concetti legati ad un più ampio concetto di violenza hanno degli stereotipi. La prepotenza no. Il prepotente più antipatico citato da Mario Capanna non è un sanguinario comandante dei Berretti Verdi in Vietnam, ma uno stronzo con tanto di telefonino che irrompe nello scompartimento del treno sul quale Capanna discuteva tranquillamente con due amici. La prepotenza è fenomeno universale, certo, ma è anche banalmente quotidiano. In questo consiste la sottile inquietudine che una 2 discussione sulla prepotenza suscita. Pensate che addirittura – ed è il colmo! - uno studio della prepotenza non è nemmeno area di azione della psichiatria, l'interprete suprema dei comportamenti, la custode della norma, il gendarme della società moderna (nella sua accezione sicuramente meno lusinghiera). In psichiatria la prepotenza viene solo considerata come “sintomo” di altri comportamenti anomali, mai comportamento anomalo esso stesso. Il soggetto maniacale è prepotente, lo è anche il soggetto isterico, lo è il borderline, lo è il caratteriale. Ma questi soggetti sono malati, presentano un sintomo. Allora, dovremmo dedurne che le malattie mentali sono diffuse dappertutto, ben più della peste nera nel Medioevo, ben più dell'AIDS, ben più di qualsiasi altra malattia, poiché avrebbe, nel moderno mondo occidentale una prevalenza quasi del cento per cento, quasi totale. In realtà non è affatto così: la prepotenza è caratteristica di comportamento, non certo patologia psichiatrica: l'esserlo la giustificherebbe. Rimanda, tutto questo, alle celebri ricerche sulla patologia psichiatrica dei gerarchi nazisti: schiere di psicologi, all'epoca del processo di Norimberga, si dedicarono a ricerche di tratti psicopatologici in criminali nazisti responsabili del genocidio degli ebrei. Ma le ricerche non approdarono a nulla, e si vide semplicemente che il profilo di personalità di questi criminali in fondo non differiva granché dal profilo di personalità del tedesco medio. La stessa cosa vale per la prepotenza: se è una malattia è una malattia dell'etica, di certo non è una malattia psichiatrica. Di fatto, però, questo morbo della morale ha caratterizzato pesantemente l'evoluzione storica dell'occidente, e di conseguenza, l'evoluzione storica del mondo intero. Nel libro di Mario Capanna questo percorso, questo fiume di violenza e prevaricazione, viene navigato tutto dalle fonti alla foce - a quella che appare essere oggi la foce. Non riassumiamo questo percorso, perché è davvero intrigante e suggestivo leggerlo. Di fatto oggi la prepotenza ha creato una discrepanza enorme tra mondo rappresentato e mondo reale. Il mondo rappresentato è ovviamente il Nord-Ovest del mondo, il migliore dei mondi possibile. Nel periodo del “new deal” di Roosevelt il motto americano era che gli Stati Uniti assicurassero “the highest standard of living”, giusto in un momento storico nel quale la disoccupazione aveva raggiunto livelli straordinariamente rilevanti, con problemi di natura sociale d’incredibile rilevanza: segregazione razziale, classismo, stato sociale quanto mai deficitario. Anche oggi è così: il mondo rappresentato è quello che fa comodo a una minoranza della popolazione mondiale. Ma il mondo reale è un altro: è quello della fame, del sottosviluppo, delle culture distrutte e avvilite dal colonialismo, dei tanti integralismi sorti come difesa dalla prepotenza occidentale. Ma è anche quel sud del mondo all'interno del nord del mondo, quelle sacche sempre più ampie di emarginazione che esistono nel nord-ovest del mondo. Sacche inevitabili nel sistema capitalistico, fondato sul concetto di profitto, sul liberismo economico (novella forma di schiavitù), e su valori come la rimozione della storia, la frattura tra passato e presente, quello che Capanna giustamente definisce “supremazia del presente”, del “tempo reale”. "Sta qui, in questa frattura del percorso umano, la causa più profonda dell'angoscia 3 contemporanea. Che aumenta e si manifesta nelle mille forme visibili dell'angoscia crescente, delle ansie distruttive ed autodistruttive: si moltiplicano, per esempio, i casi di omicidi e suicidi, e crescono anche tra i giovani - indicatore, questo, tra i più inquietanti del malessere di una società" (p. 153). Sono d’accordo con questo interessante concetto di “frattura” del percorso umano e ancora più d’accordo con questo riferimento ai giovani. Il che mi porta necessariamente ad affrontare il problema del disagio dell’adolescenza contemporanea. Il disagio adolescenziale va senz'altro considerato un indicatore fondamentale di malessere sociale. Non si tratta di un problema piccolo o irrilevante. Ma anche in questo caso è anche troppo evidente come vengano posti in essere dalla società occidentale moderna dei meccanismi violentemente proiettivi: sono allora quasi esclusivamente i giovani a rappresentare figure e modelli negativi: questi ignoranti, questi cattivi, questi “drogati”. Nessuno si chiede – o forse tutti ce lo chiediamo troppo poco - da chi questi giovani abbiano poi imparato ad essere in tal modo. E' un vecchio problema. Di recente mi trovavo alla presentazione di un altro libro in un piccolo comune madonita sul problema del disagio giovanile tra scuola e territorio. Ovviamente si è discusso molto delle responsabilità degli insegnanti e della funzione della scuola, il che appare assolutamente legittimo, da cui la necessità di corsi di formazione e di aggiornamento per gli insegnanti. Io ho proposto provocatoriamente corsi di formazione per genitori. E' da essi che i figli imparano, e non si può pretendere che il figlio del manager, del politico o del professionista tutto telefonino, arroganza e rampantismo sia un coacervo di virtù. Se il tizio che fece irruzione nello scompartimento di Mario Capanna avesse figli, è ipotizzabile che essi abbiano appreso i modelli paterni, o abbiano reagito ad essi con disagio, e quindi continuando a vivere nella loro solitudine esistenziale, nel vuoto di valori che fa da contrappunto allo stile di vita genitoriale. Capanna cita fra l’altro un paio di argomenti che mi appassionano particolarmente: l'uso della televisione come strumento di “omologazione” della ragione moderna, e come strumento di controllo sociale e psicologico e, con le stesse finalità, l'uso delle nuove tecnologie informatiche. Si tratta di argomenti di enorme interesse, purtroppo spesso trascurati se non addirittura quasi negletti. Anni fa, in tempi diciamo non sospetti (credo intorno al 1987) condussi all'università una ricerca sul rapporto tra salute mentale e televisione, ed elaborai l'ipotesi che l'ascolto televisivo potesse essere considerato esposizione ad un vero e proprio stress proprio per la riproposizione continua di atteggiamenti e comportamenti violenti. Certo, la violenza in televisione esiste; ma, attenzione, non è solo violenza brutale e spicciola; anzi, non è quella la vera violenza. La vera violenza è quella della pubblicità, dei messaggi contradditori e stupidi, quelli che tendono a creare, ad arte, bisogni inutili, assolutamente e unicamente indotti, a creare nella società contemporanea, già così atrocemente travagliata una logica schizofrenica, doppia, infida e infingarda. Ma guardate la pubblicità: dove per propagandare dei profumi del cazzo, utilizzano nomi commerciali come 4 “Arrogance” o “Egoiste”, con uno spot pubblicitario dove le finestre di un condominio si chiudono in faccia a tutti, a conferma del fatto che il culto del Sé – patologico e aggressivo – si impone e si deve imporre su tutto e su tutti. Condivido pienamente l’idea che Mario esprime al riguardo: “Quello che conta, dunque, è ciò che viene comunicato, da chi e per chi e, naturalmente, a quale scopo”. (p. 156) Sono d’accordo con Capanna quando suggerisce che queste forme di comunicazione siano prodotte da un mondo unipolare e da un processo di omologazione planetaria. Ed è un mondo unipolare nel quale è vero solo quello che il sistema dominante sancisce come vero. Il sapere del mondo unipolare stabilisce cosa sia osservabile, cosa sia vero e cosa sia falso. Pensate allo studio del disagio sociale e psicologico. E' il caso per esempio del famoso studio Epidemiologic Catchment Area (ECA), realizzato negli USA dal National Institute of Mental Health (NIMH), nel 1990, che può essere considerato lo studio epidemiologico più vasto e rilevante condotto sulla patologia psichiatrica negli Stati Uniti. W.W.Eaten, egli stesso un partecipante all' ECA, ha rivelato non solo le particolarità burocratiche che portarono il NIMH a costituire il progetto, ma anche come l'amministrazione Reagan strumentalizzò, i dati del progetto stesso. Per esempio, lo studio dell'ECA non enfatizzò volutamente i problemi razziali e la stratificazione socioeconomica, ma si indirizzò chiaramente ad un obiettivo strettamente medico, semplicemente soffermandosi su dati numerici. Fu una scelta precisa dell'amministrazione Reagan. Il progetto di ricerca dell'ECA si rivelò di conseguenza estremamente debole nello studio di fattori di rischio come per esempio le problematiche razziali, mentre focalizza molta attenzione sui problemi diagnostici, puramente accademici. Così, non possiamo che trarre la conclusione che il mondo deve essere così come viene descritto dalla minoranza che lo governa. E l’unica descrizione dominante è quella del mondo come gigantesco supermercato, dove, come ho detto una volta, puoi comprare tre e pagare uno, semplicemente perché da qualche altra parte qualcuno compra uno e paga 10. O semplicemente non compra nulla, perché non può comprare alcunché. La folle giostra del mercato planetario continua imperterrita a girare, anzi gira proprio perché trae la sua energia cinetica dall’attrito fra la grande povertà di molti e la grande ricchezza di pochi. Non si può negare che questo sia un prodotto della ragione moderna, proprio quella che Mario Capanna sottopone a una critica spietata. Una ragione che parte dal presupposto che esiste un solo modo di vedere le cose, una sola cultura possibile, una sola weltanshauung. Certo, si deve anche ammettere che esistono segni di ripensamento sociale relativamente al monolite di una incontrastata cultura dominante. Dopo Levi.Strauss, in antropologia culturale, la conferenza di Alma Ata e quella di Ottawa in campo medico-sociale, le lotte anti-imperialiste delle nazioni del cosiddetto Terzo Mondo in campo politico, ma anche l’intervento forte di alcuni 5 (limitatissimi) settori della Chiesa Cattolica in campo dottrinario, l’Occidente ha dovuta ammettere la sostanziale dignità di culture e sistemi di pensiero “altri” rispetto a quello occidentale moderno. Ma si tratta di un riconoscimento teorico che, in realtà, lascia il tempo che trova. Nel libro troverete tante e assai più convincenti descrizioni di questi concetti. Mario Capanna non si limita ad evidenziare questi problemi, ma suggerisce anche soluzioni. Non voglio esporle, perché mi pare che sia davvero importante che la lettura del libro stimoli le riflessioni personali di ciascuno di voi. Però alcune cose mi paiono importanti: la ricerca di un equilibrio - esattamente il contrario della prepotenza all'interno di quel gigantesco sistema omeostatico che è la società moderna; il concetto dell'essere contrapposto all'avere; il concetto di responsabilizzazione; l'invito pressante ad una interazione e interrelazione con gli altri, unico antidoto al veleno dello sfrenato individualismo; la necessità, che si intravede, tutta marcusiana, di un riequilibrio tra attività produttive e creative e solidali ed “eticamente politiche”. E’ la parte più poetica, ma forse anche quella che crea più perplessità. In particolare delle acute riflessioni sul ruolo della sinistra in questo processo di “deprepotentalizzazione”, sulla sua necessità di “ragionare su questa ampiezza di orizzonte”. Non possiamo negare che, purtroppo, la prepotenza, l'utilizzazione spregiudicata del potere, dei mezzi di produzione, della prevaricazione non sono patrimonio discutibile solo degli “altri”. Esiste un meccanismo proiettivo, che va scardinato, a partire da una attenta, severissima autocritica, e dalla autentica esigenza di cambiare. E se valutiamo le condizioni della “sinistra di governo” di oggi, credo che non si possa che evincere che la strada da percorrere è ancora lunghissima. Bella l’idea di una società che sia sempre meno affidata ai politici professionisti, alle istituzioni, e sempre più alla società civile, ai movimenti, al volontariato responsabile. Ho forti dubbi, e forti perplessità, anche perché mi pare che in atto buona parte della sinistra si sia limitata a sostituire ad una “prepotenza cattiva”, una “prepotenza buona”. Ma la prepotenza è prepotenza, qualunque sia la sua finalità e il suo credo, ed è questo, penso, il messaggio fondamentale del libro di Mario Capanna. E combattere la prepotenza, in ogni sua forma, relazionale, economica, politica, sociale è argomento che riguarda tutti, un vero imperativo categorico, come ci ricorda Eraclito quando scrive: “Bisogna spegnere la prepotenza più che un incendio”. Non è un compito facile, ma riguarda ciascuno di noi quasi come impegno etico costante; e di fronte alle ansie che suscita una lotta così dura ci può essere di stimolo e di incoraggiamento la frase con la quale Mario Capanna chiude questo suo bel libro: “da solo, ognuno di noi è piccolo, ma come parte del mondo è immenso come l'universo”. E’ una norma etica, al tempo stesso individuale e sociale, che dovremmo non dimenticare mai. 6 POSTILLA: DODICI ANNI DOPO … Faceva un po’ freddo, quella sera, ma non troppo, ma non tale da impedirci di andare a cena fuori. Non qui, in Sicilia. E a cena andammo, finita la conferenza, in un locale “out” vicino al famoso Tempio di Buonfornello. E’ il Tempio di Himera, eretto dai Greci, dopo che avevano fatto il culo ai Cartaginesi. Che volevano fare il culo ai Greci. Che si volevano fare il culo reciprocamente. Insomma, storie belliche e sessuali che veramente non m’interessano. Mi interessavano, invece, in quella sera di gennaio del 1996 gli antipasti, le cozze e le vongole servite in bella vista. Tavoli lunghi, da taverna, tovaglie a scacchi rossi lanciate sul sentiero imbandito di un desco amicale, culturale e politico, ai quali sedevano amici e compagni che volevano cambiare il mondo, come in quella famosa canzone di Gino Paoli. O forse semplicemente non volevano cambiare un cazzo, ma solo potersi vantare di avere fatto una cena trasgressiva e molto “progressista”. Boh, chi lo sa … Mario si sedette (fu costretto a sedere, ovviamente …) a capotavola, ed io ero alla sua destra, vedi un po’ l’ironia della sorte! Discutemmo di molte cose: di un suo amico schizofrenico; del suo ruolo nel consiglio comunale di Città di Castello; di politica; di speranze. L’aroma delle cozze e degli antipasti di mare aleggiava su tutto e lievi vapori di aglio impregnavano l’aria del locale. Fuori, a dieci metri di distanza dalle cozze e dalle vongole, i fantasmi dolorosi di militi greci e cartaginesi continuavano a combattersi. Ma di tanto in tanto, ne sono convinto, abbassavano scudi e spade, detendevano archi e deponevano faretre, loro, povere umbrae di un lontano passato, per godere d’ un attimo di vita carnale, per annusare e assaporare coi loro sensi di anime sperse, discretamente e dolorosamente, gli aromi aleggianti di spezie, l’odore 7 di cozze e di polito bollito che si spargeva per l’aria invernale appena trapunta dalla brezza marina … Fu una bella serata. Fu serata piena, ottimista e di sinistra, come la famosa puttana di Lucio Dalla. Formidabile. E non dico nulla di nuovo … Sono passati dodici anni da quella conferenza, da quelle chiacchiere amichevoli, da quella serata. E’ ovvio chiedersi cosa sia successo in questi anni, se le intenzioni, i proponimenti e le speranze di un mondo migliore si siano concretizzate in qualcosa di più di un semplice, umano sentimento di nostalgia, di fronte al tempo che passa e alla occasioni perdute. Rileggendo quello che dissi quella sera, e rileggendo le cose che Mario Capanna scrisse nel suo libro, credo che non si possa che dire: no, non è successo nulla. Anzi, tutto è peggiorato, le idee migliori e i progetti più arditi si sono impantanati in un mondo che, oggi, è decisamente peggiore di quanto non fosse dodici anni fa. Tutti i problemi che Capanna sollevava nel 1996, con la speranza di fornire una qualche soluzione si sono ingigantiti. Il mercato globale, con le sue leggi malthusiane e i suoi trucchi perversi, è diventato l’unica realtà morale di questo pianeta. La globalizzazione non è un ignoto pericolo, ma una realtà di fatto e di diritto. La Chiesa è tornata su posizioni da Controriforma. La scienza si è del tutto, o quasi, asservita al mercato. La sinistra politica si è rivelata fallimentare, inadeguata e spesso peggiore della tanto denigrata destra – non fosse altro che per l’ipocrisia ideologica di rivoluzionari da operetta o di un qualsiasi parvenu in cerca di poltrone progressiste. E, soprattutto, la prepotenza si è trasformata da patologia del comportamento in norma etica. Norma trasversale, in quanto, appunto, attraversa tutti gli schieramenti politici, imprimendo il suo sinistro sigillo su ogni aspetto della vita sociale, economica e relazionale. Viviamo un momento politico senza speranza, guardiamo il vuoto, ma – e questo fa riflettere – senza nemmeno alcun horror vacui. Si, diciamocelo pure, non è cambiato nulla. Anzi, va tutto peggio, e nessun barlume di speranza scintilla nel buio assoluto di un mondo sempre più prepotente. E in questo momento – ho detto “in questo momento” – nessuna soluzione appare proponibile, se non a condizione di essere ridicoli. In questo momento … Si, sono considerazioni amare, ma nel farle ripenso a quella conferenza e a quella serata. E ricordo le chiacchiere e i profumi, le risate e gli aromi, le speranze e le suggestioni. Credo che oggi i severi guerrieri greci e cartaginesi del Tempio di Himera, confusi fra le ombre del tempo trapunte dalla brezza marina, abbiano smesso di combattere. Sono lì, severi, tristi e in attesa non di sentire l’odore delle cozze, dell’aglio appena soffritto e dell’insalata di polipi bolliti. Forse stanno soltanto aspettando di sentire odore di dignità e onore. Stanno aspettando, forse, di sentire il profumo, infinitamente dolce e intenso, della Ragione … © Giovanni Iannuzzo, febbraio 2008 8