Stretta fiscale e rischio W
di Giovanni Ferri
(pubblicato sulla “Gazzetta dell’Economia”, 6/7/2010)
Accantonata da tempo l’ipotesi peggiore di una crisi senza recupero (lettera L), si pensava che
il mondo si fosse ormai decisamente avviato su una ripresa a V. Di recente, però, si è fatta
strada l’ipotesi di una ripresa a singhiozzo, con una possibile nuova recessione imminente,
talora detta double dip. Il modo più semplice di spiegare questo andamento, che viene detto a
W, è di osservarlo nei dati. Se guardassimo ai dati del PIL – Prodotto Interno Lordo, il valore
della produzione di un anno del Paese – USA (espresso in termini di dollari costanti 1999) tra il
1920 e il 1940, osserveremmo una W tra il 1929 – il momento della prima recessione (di gran
lunga la più grave) – e il 1940. Infatti, si noterebbe come, una volta toccato il fondo nel 1933,
l’economia USA avesse fatto registrare una crescita sostenuta fino al 1936, cui era però seguito
un rallentamento nel 1937 e una nuova – sia pur piccola – recessione nel 1938. È solo dal 1939
che la crescita riprende a forte intensità.
Che cosa successe nel 1937 è presto detto. Gli USA, convinti che la Grande Depressione fosse
ormai alle spalle, si imbarcarono in una restrizione sia della politica monetaria – la Fed innalzò i
tassi di interesse – che della politica fiscale – perché l’Amministrazione americana voleva
rimettere i propri conti in ordine. Il combinato dell’accresciuto costo di indebitarsi e dell’aumento
delle tasse e/o riduzione della spesa pubblica provocò una riduzione della spesa complessiva e,
dunque, si verificò la nuova recessione che prolungò la Grande Depressione colpendo
un’economia USA ancora fiacca.
Le notizie sugli andamenti macroeconomici degli ultimi mesi di quella che è ancora la più
grande economia del mondo non sono troppo preoccupanti ma neanche abbastanza
confortanti. Il tasso di disoccupazione USA è disceso dal 9,9% di aprile al 9,5% a giugno. Però,
c’è un però. Tra giugno 2009 e giugno 2010 è aumentata di 415 mila unità la compagine dei
lavoratori scoraggiati, quelli cioè che vorrebbero lavorare ma nelle ultime quattro settimane non
hanno cercato attivamente lavoro perché pensavano di non riuscire a trovarlo. L’aumento dei
lavoratori scoraggiati è un dato negativo che riflette le persistenti difficoltà nel mercato del
lavoro americano.
Di fronte a tale situazione, diversi tra i più competenti economisti – tra di essi i premi Nobel Paul
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Krugman e Joseph Stiglitz – hanno espresso timori che si sia alla vigilia di una seconda
recessione, che configurerebbe la terza gamba della W. In particolare, oltre oceano ci si
preoccupa dell’intonazione restrittiva assunta dalle politiche fiscali nell’Unione Europea. Sotto la
spinta delle angosce – soprattutto tedesche – impartite ai governi europei dalla lezione delle
crisi della Grecia e delle turbolenze subite anche da Irlanda, Spagna e Portogallo, uno a uno i
Paesi del vecchio continente si sono imbarcati in azioni di significativa riduzione del debito
pubblico. Secondo Krugman, e non solo, si tratta di scelte dissennate che rischiano di riprodurre
oggi su scala globale un altro effetto 1937, cioè una nuova recessione che tarperebbe le ali alla
ripresa. A suo dire, con situazioni macroeconomiche ancora così fragili (dopo i crolli del PIL del
2009), i governi europei dovrebbero essere più tolleranti, rinviando la messa in ordine dei conti
pubblici a tempi migliori, una volta che la ripresa economica fosse effettivamente consolidata. In
un certo senso, se gli USA continuassero a spingere l’acceleratore della spesa pubblica mentre
l’Europa la frenasse, sarebbe legittimo guardare all’Europa come, per usare un termine
ciclistico, a un “succhiaruota”, quel ciclista che si lascia trascinare in volata da chi gli sta
davanti. Infatti, la spesa pubblica americana più vivace genererebbe una domanda di
importazioni anche di quei beni europei, per i quali la stretta fiscale da questa parte
dell’Atlantico farebbe venir meno la domanda degli europei.
Va detto, a onor del vero, che i governanti dell’Europa si preoccupano legittimamente di cosa
potrebbe accader loro lasciando sciolte le briglie del debito pubblico. I mercati finanziari e le
agenzie di rating hanno insistentemente ricordato loro che ci potrebbero essere sanzioni dietro
l’angolo.
Tuttavia, con una ripresa economica ancora debole, i rischi del double dip non possono essere
sottostimati. Anche perché, con tutte le incertezze che albergano a livello europeo e
internazionale, non vi è garanzia che la terza gamba della W sarebbe corta come fu nel 1937. E
un
double dip
protratto potrebbe ingenerare una fase depressiva prolungata. In tal caso, esser riusciti a
evitare che fosse troppo lunga la prima gamba della W (nel 2008-2009) si rivelerebbe un
sollievo solo temporaneo. Speriamo che Krugman e i krugmaniti si stiano sbagliando!
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