la caduta degli dei

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LA CADUTA DEGLI DEI
anno:
titolo originale:
nazionalità:
durata:
1969
Gotterdammerung
Germania, Italia, Svizzera
160 minuti
scheda tecnica
regia:
soggetto:
sceneggiatura:
fotografia:
musiche:
montaggio:
scenografia:
costumi:
Luchino Visconti
Luchino Visconti
Enrico Medioli
Nicola Badalucco
Luchino Visconti
Enrico Medioli
Nicola Badalucco
Armando Nannuzzi
Pasqualino De Santis
Maurice Jarre
Ruggero Mastroianni
Vincenzo Del Prato
Piero Tosi
Vera Marzot
interpreti:
Dirk Bogarde (Friederick Bruckman)
Ingrid Thulin (Sofia Von Essenbeck)
Helmut Griem (Aschenback)
Helmut Berger (Martin Von Essenbeck)
Renaud Verley (Gunther Von Essenbeck)
Umberto Orsini (Herbert Thallman)
Reinhard Kolldehoff (Barone K.V Essenbeck)
Albrecht Schoenhals (Barone J.Von Essenbeck)
Florinda Bolkan (Olga)
Nora Ricci (Governante)
Charlotte Rampling (Elisabeth Thallman)
Irina Vanka (Lisa)
Karin Mittendorf (Thilde)
Valentina Ricci (Erika)
Wolfgang Hillinger (Yanek)
Antonietta Fiorito (Cameriera)
Bill Vanders (Commissario)
Nelson H. Rubien (Rettore)
Werner Hasselmann (Ufficiale Gestapo)
Peter Dane (Impiegato alle acciaierie)
Ester Carloni (Cameriera)
produzione:
Alfredo Levy e Ever Haggiag per Praesidens (Zurigo), Petaso Film,
Italnoleggio (Roma) e Eichberg gmbh (Monaco)
distribuzione:
Istituto Luce
Luchino Visconti
Nasce a Milano il 02 novembre 1906.
Muore a Roma il 17 marzo 1976.
Nasce nel privilegiato ambiente dell'aristocrazia milanese. Suo padre Giuseppe è un discendente dei
Visconti di Modrone e sua madre è Carla Erba (della celebre famiglia di industriali della chimica e
farmaceutica). Sin da bambino si appassiona al teatro, alla musica e alle arti in genere, frequentando
con i genitori la Scala di Milano (di cui i suoi avi sono stati soci fondatori) e leggendo assiduamente
la letteratura classica europea. Finito il servizio militare, si dedica all'allevamento di cavalli
purosangue e viaggia molto. A metà degli anni '30 inizia ad interessarsi al cinema - nel '34 gira un
film amatoriale in 35mm che resterà incompiuto - e a Parigi entra in contatto con Jean Cocteau,
Coco Chanel, Kurt Weill e sopratutto con il regista Jean Renoir. Con il regista francese fa la sua
esperienza come aiuto regista con i film "La scampagnata" (1936) e "Tosca" (1941, girato in Italia,
venne iniziato da Renoir ma fu terminato da Visconti e Carl Koch a causa dello scoppio della
guerra). Il contatto con i membri della troupe, oltre a fornirgli un bagaglio di conoscenze tecniche
nei vari campi che saranno fondamentali nel corso della sua carriera di regista, esercitano una forte
influenza sulle sue scelte politiche poiché molti di loro sono legati al Front Populaire e al partito
comunista francese. Il suo impegno politico si rafforza quando a Roma entra in contatto con il
gruppo antifascista della rivista 'Cinema', di cui fanno parte intellettuali come Giuseppe De Santis,
Mario Alicata e Gianni Puccini. Con loro pone le basi per il movimento cinematografico del neorealismo, realizzando il suo primo lungometraggio "Ossessione" (1943). Durante la guerra partecipa
alla Resistenza - viene anche fatto prigioniero e torturato - e alla fine del conflitto realizza il
documentario "Giorni di gloria" (1945), rievocazione dell'oppressione nazifascista dalle tristi
giornate del settembre '43 alla liberazione del Nord Italia. Da questo momento la sua carriera si
divide tra cinema - "La terra trema" (1948, Premio internazionale per valori stilistici e corali alla
Mostra del Cinema di Venezia), "Bellissima" (1951, Nastro d'argento per Anna Magnani come
miglior attrice), "Senso" (1954, snobbato dalla critica riscuote grande successo di pubblico) - e
teatro, dove rinnova completamente i criteri di regia e la scelta dei repertori utilizzando spesso,
soprattutto all'inizio, testi di autori estranei ai teatri italiani fino a quel momento come Jean Cocteau
("Parenti terribili", "La macchina da scrivere"), Jean Paul Sartre ("A porte chiuse"), Tennessee
Williams ("Zoo di vetro" e "Un tram che si chiama desiderio"), Arthur Miller ("Morte di un
commesso viaggiatore", "Il crogiuolo", "Uno sguardo dal ponte", "Après la chute"). A metà degli
anni '50 rivolge la sua attenzione al melodramma e alla lirica, torna alla Scala e allestisce cinque
spettacoli interpretati da Maria Callas che segnano la storia del genere: "La vestale", "La
sonnambula", "La Traviata", "Anna Bolena" e "Ifigenia in Tauride". Nel 1960 realizza "Rocco e i
suoi fratelli" (Premio della giuria a Venezia), accolto con successo dal pubblico nazionale e
internazionale al pari di "Il Gattopardo" (1963, Palma d'oro a Cannes), mentre nel 1965 con "Vaghe
stelle dell'orsa" vince il Leone d'oro a Venezia. Numerosi anche i premi ricevuti con la trilogia
germanica: "La caduta degli dei" (1969) gli vale per la prima e unica candidatura all'Oscar (per la
miglior sceneggiatura) e il Nastro d'argento per la miglior regia; con "Morte a Venezia" (1971)
vince ancora il Nastro d'argento per la miglior regia e il David di Donatello nella stessa categoria;
con "Ludwig" (1973) due David: miglior film e miglior regia. Alla fine delle riprese di quest'ultimo
film viene colpito da un ictus che lo lascia semiparalizzato. Nonostante tutto continua a lavorare e
porta sullo schermo "Gruppo di famiglia in un interno" (1975, miglior film ai David e sei nastri
d'argento, tra cui quello per la miglior regia) in cui si avvale dell'aiuto dei suoi collaboratori più
fidati: dalla sceneggiatrice Suso Cecchi d'Amico agli - attriceSilvana Mangano, Claudia Cardinale,
Helmut Berger, Romolo Valli e Burt Lancaster (da lui prediletti insieme a Alain Delon, Romy
Schneider, Massimo Girotti e Marcello Mastroianni). Muore durante il doppiaggio della sua ultima
opera, "L'innocente" (1976) dal libro omonimo di Gabriele D'Annunzio.
Filmografia

12 Dicembre [1970] - regia

Bellissima
[1951]
regia,
sceneggiatura, soggetto

Bocacccio '70
[1962] - regia,
sceneggiatura, soggetto

Documento mensile n. 2
[1953] regia

Il Gattopardo
[1963] - regia,
sceneggiatura

Giorni di gloria [1945] - regia

Gruppo di famiglia in un interno
[1974] - regia, sceneggiatura

L'innocente
[1976]
regia,
sceneggiatura

La caduta degli dei [1969] - regia,
sceneggiatura, soggetto

La terra trema [1948] - regia,
sceneggiatura

Le notti bianche [1956] - regia,
sceneggiatura

Lo straniero [1967] - regia,
sceneggiatura

Ludwig [1973] - regia, sceneggiatura,
soggetto

Morte a Venezia [1971] - regia,
sceneggiatura

Ossessione
[1943] - regia,
sceneggiatura

Rocco e i suoi fratelli [1960] - regia,
sceneggiatura, soggetto

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1962]
sceneggiatura, soggetto

La scampagnata [1936] - aiuto regia,
costumi

Senso [1954] - regia, sceneggiatura

Siamo donne [1953] - regia

Le streghe [1967] - regia

Tosca [1941] - sceneggiatura

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1965]- regia,
sceneggiatura, soggetto
Ingrid Thulin
Nasce a Solleftea, Stoccolma ( Svezia) il 21 gennaio 1929.
Muore a Sacrofano, Roma (Italia) il 07 gennaio 2004.
Frequenta i corsi del Reale Teatro Drammatico a Stoccolma. Inizia l'attività in teatro, con i lavori di
Lagerloff e Anouilh, distinguendosi con l'interpretazione di Anita nel Peer Gynt di Ibsen. A
lanciarla sul grande schermo è Ingmar Bergman. Conosce la fama con "Il posto delle fragole"
(1957), quando il film vince l'Orso d'oro al Festival di Berlino. Dopo questo successo la Thulin
diviene una sorta di Musa per il maestro svedese. Sempre con Bergman interpreta, fra gli altri, "Alle
soglie della vita" (con cui vince il premio come migliore attrice al Festival di Cannes)," Luci
d'inverno", "Il silenzio", "Sussurri e grida", "L'ora del lupo" e "Dopo la prova". Lavora con profitto
anche con altri registi: per Mai Zetterling è la protagonista di "Giochi di notte" (1966), che fa
scalpore alla Mostra del Cinema di Venezia. In Francia gira con Vincente Minnelli "I quattro
cavalieri dell'Apocalisse" e con Alain Resnais "La guerra è finita". Nel 1962 approda in Italia per
girare Agostino, di Mauro Bolognini. Lavora anche con Luchino Visconti in "La caduta degli dei",
con Giuliano Montaldo in "Agnese va a morire" e con Tinto Brass per "Salon Kitty". L'ultima sua
interpretazione in Italia è "La casa del sorriso" di Marco Ferreri, con cui nel 1991 vince l'Orso d'oro
al Festival di Berlino. Nel 1978 debutta dietro la macchina da presa dirigendo, con Erland
Josephson e Sven Nykvist, "Noi due, una coppia". Tre anni dopo realizza "Cielo spezzato".
Dopo una lunga malattia, l'attrice svedese muore a Stoccolma a 77 anni. Da oltre venti anni aveva
stabilito la sua residenza a Sacrofano, nei pressi di Roma, ma negli ultimi tempi era tornata in
Svezia per sottoporsi a delle cure mediche.
Filmografia

I 4 cavalieri dell'Apocalisse [1962] attrice

Agostino [1962] - attrice

Alle soglie della vita [1958] - attrice

Angeli alla sbarra [1961] - attrice

Bagnanti [1968] - attrice

Cassandra Crossing [1976] - attrice

Cielo spezzato [1982] - regia,
sceneggiatura

Corruzione in una famiglia svedese
[1974] - attrice

Dimensione della paura [1965] attrice

Domani non siamo più qui [1967] attrice

Dopo la prova [1983] - attrice

E cominciò il viaggio nella vertigine
[1974] - attrice

Fino a farti male [1968] - attrice

Giochi di notte [1966] - attrice

La guerra è finita [1966] - attrice

Il giorno prima [1987] - attrice

Il posto delle fragole[1958] - attrice

Il volto [1958] - attrice

L'agnese va a morire [1976] - attrice

La caduta degli dei [1969] - attrice

La casa del sorriso [1991] - attrice

La corta notte delle bambole di vetro
[1971] - attrice

La notte del desiderio [1964] - attrice

La rapina perfetta [1961] - attrice

La trappola [1975] - attrice

Luci d'inverno [1962] - attrice

Monismanien 1995 [1975] - attrice

Mosè [1974] - attrice

Noi due una coppia [1977] - attore,
Regia

L'ora del lupo [1966] - attrice

Il rito [1969] - attrice

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1962]- attrice

Salon Kitty [1975] - attrice

Il silenzio [1963] - attrice

Sussurri e grida
[1972] - attore
Dirk Bogarde
Derek Jules Gaspard Ulric Niven Van Den Bogaerde
Nasce a Londra il 28 marzo 1921.
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o1999.
Nasce da una famiglia di origine tedesca, il padre è giornalista del "Times" e la madre è un'attrice.
Raffinatissimo ed elegante, rimasto sempre celibe, rappresenta la figura dello scapolo d'oro degli
anni '50. Terminati gli studi universitari in Scozia e a Londra, intraprende la carriera teatrale. Nel
1947 "Power Without Glory" lo consacra attore davanti al pubblico londinese. Da questo momento
in poi inizia a lavorare per il cinema. Esordisce sullo schermo con una piccola parte in "Ballo con
delitto" di John Paddy Carstairs, in cui ottiene grande successo di critica e di pubblico. Ma la svolta
vera e propria arriva nel 1961 in "Victim" di Basil Dearden, nel ruolo di un avvocato omosessuale.
Le parti più scomode ma adatte al suo temperamento gliele riserva il regista Joseph Losey: nel 1963
indossa i panni di un viscido cameriere in "Servo", per cui si aggiudica il British Academy Award e
nel 1967 in "L'incidente" è impegnato in un dramma psicologico imperniato sullo scontro fra due
uomini per una ragazza straniera. Nel 1969 inizia un'intensa collaborazione con registi italiani.
Visconti gli offre una parte in "La caduta degli dei" (1969) dove Bogarde riesce ad esprimere
l'angoscia della morte. Sempre con Visconti gira nel 1971 "Morte a Venezia" in cui interpreta
magistralmente il personaggio di Gustav von Aschenbach, il ritratto della decadenza europea. Nel
1974 Liliana Cavani lo vuole per interpretare "Il portiere di notte", una strana storia di un rapporto
sadomasochistico fra una ragazza reduce da un campo di concentramento e il suo aguzzino
ritrovato. Nel 1977 è il protagonista di "Despair" in cui il regista Fassbinder rievoca la Berlino
anteguerra. Dopo questo periodo, Bogarde si allontana dalle scene cinematografiche per un lungo
periodo, 12 anni, durante il quale si dedica alla sua grande passione, la scrittura. Ha pubblicato una
monumentale autobiografia e sette romanzi. Ritorna sullo schermo nel 1990 con "Daddy Nostalgie",
il capolavoro di Bertrand Tavernier, dove Bogarde è un uomo d'affari che torna a casa per morire,
dopo aver girato il mondo. Il 13 febbraio 1992 la regina Elisabetta lo nomina Cavaliere. E' stato
anche Presidente di giuria del Festival di Cannes. Muore per un attacco cardiaco l'8 maggio del
1999 nella sua abitazione londinese.
Filmografia

Alto comando: operazione uranio
[1951] - attore

CIA Criminal International Agency
Sezione sterminio [1975] - attore
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Colpo di mano a Creta [1957] - attore

Daddy nostalgie [1990] - attore

Darling [1965] - attore

Despair [1978] - attore

Donna nel fango [1950] - attore

Dottore a spasso [1957] - attore

Dottore nei guai [1963] - attore

Estasi [1960] - attore

Esther Waters [1948] - attore

I disperati [1953] - attore

I giovani uccidono [1950] - attore

Il coraggio e la sfida [1961] - attore

Il cranio e il corvo [1963] - attore

Il diavolo nello specchio [1959] attore

Il dilemma del dottore [1959] - attore

Il giardiniere spagnolo [1956] - attore

Il portiere di notte [1974] - attore

Il serpente [1973] - attore

Il servo [1963] - attore

Il sole scotta a Cipro [1964] - attore

Il vento che non sa leggere [1958] attore

L'incidente [1967] - attore

L'ora del grande attacco [1953] attore

L'uomo di Kiev [1968] - attore

La caduta degli dei [1969] - attore

La colpa del marinaio [1952] - attore

La dinastia del petrolio [1957] - attore

La poltrona vuota [1955] - attore

La sposa bella [1960] - attore

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ombra [1954] - attore

La vittima [1961] - attore

Modesty Blaise. La bellissima che
uccide [1966] - attore

Morte a Venezia [1971] - attore

Oh che bella guerra! [1969] - attore

Ombre sul palcoscenico [1962] attore

Once a Jolly Swagman [1948] - attore
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Operazione Commandos [1955] attore
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1962] attore

Passioni [1949] - attore

Per il re e per la patria [1964] - attore

Ponte di comando [1962] - attore

Providence [1976] - attore

Quattro in medicina [1954] - attore

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1977]- attore

Rapporto a quattro [1969] - attore

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1962]- attore

Simba [1955] - attore

Sposi in rodaggio [1954] - attore

Su questa roccia [1970] - attore

Tragica incertezza [1950] - attore

Troppo caldo per giugno [1963] attore

Tutte le sere alle nove [1967] - attore

Un dottore in alto mare [1955] attore

Verso la città del terrore [1958] attore
Helmut Berger
Filmografia

Adelaide [1991] - attore

Così bello così corrotto così conteso!
[1972] - attore

Donne [1982] - attore

Gruppo di famiglia in un interno
[1974] - attore

I giovani tigri [1967] - attore

I promessi sposi [1989] - attore

I violentatori della notte [1988] attore

Il bel mostro [1970] - attore

Il dio chiamato Dorian [1970] - attore

Il giardino dei Finzi Contini [1970] attore

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1973] attore

Il grande attacco [1978] - attore

Il padrino –parte III [1990] - attore

L'alba dei falsi dei [1978] - attore

La belva con il mitra [1977] - attore

La caduta degli dei [1969] - attore

La colonna infame [1973] - attore

La lunga notte di Entebbe [1976] attore

La puritana [1989] - attore

La testa del serpente [1975] - attore

Le rose di Danzica [1979] - attore

Ludwig [1973] - attore

Mercoledì delle Ceneri
[1973] attore

Mia moglie è una strega [1980] attore

Nome in codice: Smeraldo [1985] attore

Ros
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1962]- attore

Sai cosa faceva Stalin alle donne?
[1969] - attore

Salon Kitty [1975] - attore

Le streghe [1967] - attore

Teo [1997] - attore

Tunnel [1980] - attore

Una farfalla con le ali insanguinate
[1971] - attore

Una romantica donna inglese [1975] attore

Vittoria [1983] - attore

Vittoria 2 [1983] - attore

Vittoria 3 [1984] - attore
La parola a Luchino Visconti
Cinema antropomorfico
Che cosa mi ha portato ad una attività creativa nel cinema?
(Attività creativa: opera di un uomo vivente in mezzo agli uomini. Con questo termine sia chiaro che
mi guardo bene dall'intendere qualcosa che si riferisca soltanto al dominio dell'artista. Ogni
lavoratore, vivendo, crea: sempre che egli possa vivere. Cioè: sempre che le condizioni della sua
giornata siano libere e aperte; per l'artista come per l'artigiano e l'operaio).
Non il richiamo prepotente di una pretesa vocazione, concetto romantico lontano dalla nostra realtà
attuale, termine astratto, coniato a comodo degli artisti, per contrapporre il privilegio della loro
attività a quella degli altri uomini.
Poiché la vocazione non esiste, ma esiste la coscienza della propria esperienza, lo sviluppo dialettico
della vita di un uomo al contatto con gli altri uomini, penso che solo attraverso una sofferta
esperienza, quotidianamente stimolata da un affettuoso e obiettivo esame dei casi umani, si possa
giungere alla specializzazione.
Ma giungere non vuoi dire rinchiudersi, rompendo ogni concreto legame sociale, come a molti
accade, al punto che la specializzazione finisce sovente col prestarsi a colpevoli evasioni dalla realtà,
e in parole più crude: al trasformarsi in una vile astensione.
Non voglio dire che ogni lavoro non sia lavoro particolare e in un certo senso "mestiere". Ma sarà
valido solo se sarà il prodotto di molteplici testimonianze di vita, se sarà una manifestazione di vita.
II cinema mi ha attirato perché in esso confluiscono e si coordinano slanci e esigenze di molti, tesi
per un lavoro complessivo migliore. E chiaro come la responsabilità umana del regista ne risulti
straordinariamente intensa, ma, purché egli non sia corrotto da una decadentistica visione del mondo,
proprio da essa verrà indirizzato sulla strada più giusta.
Al cinema mi ha portato soprattutto l'impegno di raccontare storie di uomini vivi: di uomini vivi
nelle cose, non le cose per se stesse.
Il cinema che mi interessa è un cinema antropomorfico.
Di tutti i compiti che mi spettano come regista, quello che più mi appassiona è dunque il lavoro con
gli attori; materiale umano con il quale si costruiscono questi uomini nuovi, che, chiamati a viverla,
generano una nuova realtà, la realtà dell'arte.
Perché l'attore è prima di tutto un uomo. Possiede qualità umane-chiave. Su di esse cerco di basarmi,
graduandole nella costruzione del personaggio: al punto che l'uomo-attore e l'uomo-personaggio
vengano ad un certo punto ad essere uno solo.
Fino ad oggi, il cinema italiano ha piuttosto subito gli attori, lasciandoli liberi di ingigantire i loro
vizi e le loro vanità: mentre il problema vero è quello di servirsi di ciò che di concreto e di originario
essi serbano nella loro natura.
Perciò importa fino a un certo grado che attori cosiddetti professionali si presentino al regista
deformati da una più o meno lunga esperienza personale che li definisce in formule schematiche,
risultanti di solito più da sovrapposizioni artificiose che dalla loro intima umanità.
Anche se molto spesso è una dura fatica, quella di ritrovare il nocciolo di una personalità contraffatta
e una fatica che tuttavia vale la pena di spendere: proprio perché al fondo una creatura umana c'è
sempre, liberabile e rieducabile.
Astraendo con violenza dagli schemi precedenti, da ogni ricordo di metodo e di scuola, si cerchi di
portare l'attore a parlare finalmente una sua lingua istintiva. Si intende che la fatica non sarà sterile,
solo se questa lingua esiste sia pure involuta e nascosta sottocento veli: se esiste cioè un vero
"temperamento".
Non escludo, naturalmente, che un "grande attore" nel senso della tecnica e dell'esperienza, possegga
tali qualità primitive. Ma voglio dire che, spesso, attori meno illustri sul mercato, ma non per questo
meno degni di attirare la nostra attenzione, ne posseggono altrettante.
Per non parlare dei non attori, che, oltre a recare il contributo affascinante della semplicità, spesso ne
hanno di più autentiche e di più sane, proprio perché, come prodotti di ambienti non compromessi,
sono spesso uomini migliori. L'importante è scoprirle e metterle a fuoco. Ecco dove è necessario
intervenga quella capacità rabdomantica del regista, tanto nell'uno come nell'altro caso.
L'esperienza fatta mi ha soprattutto insegnato che il peso dell'essere umano, la sua presenza, è la sola
"cosa" che veramente colmi il fotogramma, che l'ambiente è da lui creato, dalla sua vivente presenza,
e che dalle passioni che lo agitano questo acquista verità e rilievo; mentre anche la sua momentanea
assenza dal rettangolo luminoso ricondurrà ogni cosa a un aspetto di non animata natura.
Il più umile gesto dell'uomo, il suo passo, le sue esitazioni e i suoi impulsi da soli danno poesia e
vibrazioni alle cose che li circondano e nelle quali si inquadrano. Ogni diversa soluzione del
problema mi sembrerà sempre un attentato alla realtà così come essa si svolge davanti ai nostri
occhi: fatta dagli uomini e da essi modificata continuamente.
Il discorso è appena accennato, ma accentrando il mio netto atteggiamento, vorrei concludere
dicendo (come spesso amo ripetermi): potrei fare un film davanti a un muro, se sapessi ritrovare i
dati della vera umanità degli uomini posti davanti al nudo elemento scenografico: ritrovarli e
raccontarli. © "Cinema", numero 173-174, settembre, ottobre 1943.
Il lavoro con gli attori
Io faccio delle lunghissime prove a tavolino: dieci, quindici, venti giorni, secondo quanto è
necessario, in cui ognuno prende possesso del suo personaggio, del suo testo che viene corretto, ri
corretto , tagliato, messo a punto, e lascio a tutti la libertà di lavorare a fondo il personaggio,
guidando naturalmente verso la direzione giusta. E questo dà mol-ta fiducia all'attore, cioè lo rende
sicuro del proprio personaggio; rivela i complessi se ha dei complessi, rivela le timidezze se ha delle
timidezze. Sicché il giorno che si va in palcoscenico e si comincia a fare la mise en pIace, cioè a
muoversi, sono già molto si-curi del loro personaggio. Tanto è vero che quando si va in piedi, io levo
il suggeritore, addirittura, perché l'attore deve già sapere la parte a memoria. E questo dà loro una
gran-de tranquillità. Perciò non ci sono mai urti violenti.
Da parte mia cerco sempre di essere convincente su quello che dico, su quello che suggerisco, ed ho
sempre visto che mi se-guono con molta fiducia e tranquillità. l'attore può avere il suo punto di vista;
ma sicco-me io ho il mio, poi lo porto sul mio, evidentemente; non è che poi io vada sul suo. lo
convinco. Un attore può avere anche dei dubbi su una certa cosa, cioè vale a dire sull'in-terpretazione
di un dettaglio, di una scena o della battuta, ma io lo convinco che quella scena nell'insieme, così
come io l'ho concepita, deve essere così e non cosà, perché altrimenti sarebbe un controsenso,
sarebbe non in armonia con il resto. Non ho mai tro-vato difficoltà in questo sistema; mai, mai. E' lo
stesso sistema che io ho adoperato in Francia, con degli attori che non conoscevo. Si sono adattati.
loro dicevano: .. Ma noi non abbiamo l'abitudine, non l'abbiamo mai fatto, non lavoriamo mai a
tavolino. (...)
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consumati. E sono stati lie-tissimi di questo sistema, sistema che li ha portati verso il personaggio
con una tran-quillità, direi quasi involontariamente... Questo è il sistema che io ho sempre adoperato,
fin dagli inizi e continuo ad adoperare. Quando qualche attore ne ha più bisogno, allora lo convoco
in altre ore, lavoro con lui solo, per esempio, per approfondire certe cose. Per esempio, con
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tre ore, in albergo, o in teatro stesso, quando il teatro era libero. Per esempio, la scena della morte
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sono sentiti tranquilli, da quel momento. E mi sono stati grati anche per questo, perché li avevo
completamente montati fuori dagli altri. (...)
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generazione di attori, questa disciplina e dedizione totali non ce l’
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vigeva una volta. Entravano in arte, mettendosi il vestito da prete, e facevano il prete, talvolta
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Oggi molti attori giovani, il teatro lo fanno per farsi vedere, durante qualche periodo, e poi passare
ad altre attività. Manca loro quella specie di formazione militare o quasi che ho riscontrato in attori
come Ruggeri o come Gandusio, la cui vita è stata semplicemente e solamente dedicata alla loro
professione. La base della formazione del
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questione di studiare, approfondire i testi, migliorare le proprie capacità.
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allena sette, otto, dieci ore al giorno. Oggi il giovane attore teatrale viene alle prove, si presenta per
la recita, già con una gran fatica, perché davvero gli fa fatica di stare a teatro: ma il resto della
giornata che cosa fa mai: non fa niente, dorme, ozia, perde tempo inutilmente. Ora se questo giovane
attore dovesse aspirare al campionato del mondo dei pesi medi, è chiaro che non ci arriverebbe mai,
arriverebbe caso mai a metà strada, dal momento che non si allena.
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lavoriamo su un materiale umano la cui preparazione è almeno la metà di quella che il materiale
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automobili. E se noi avessimo potuto, con il metodo di lavoro di oggi lavorare su quel vecchio
materiale, avremmo ottenuto risultati di parecchio più alti. Oggi lavoriamo su un tessuto che si
smaglia facilmente, e che si stanca troppo presto. Non mettono passione nel mestiere, non prendono
iniziative personali.
Naturalmente il vecchio attore portava con sé parecchi difetti: però facilmente correggibili. Su un
violino che suona bene, se uno suona con cattivo gusto, lo correggi facilmente, gli dai un gusto
migliore voglio dire come esecuzione. Io quando ho avuto dei buoni strumenti, anche se avevano
abitudini cattive, le hanno perse immediatamente. Ecco, Benassi: che strumento meraviglioso. Una
volta che tu lo ripulivi dei suoi difetti, era uno strumento, un violoncello straordinario. Bastava
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Mastroianni è venuto su così, senza base alle spalle. Sì, è certo un attore moderno, ma non so se
potrebbe affrontare certi personaggi. Certi personaggi li può affrontare soltanto chi ha alle spalle
appunto dieci anni di allenamento in palestra (...) © "Sipario" 1965.
Cosa penso del pubblico - Intervista a Luchino Visconti
Che cosa pensa del pubblico in generale?
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certi pubblici di fronte ad opere cinematografiche palesemente scadenti. Eppure anche in
questi casi, in cui sarebbe stato abbastanza facile incolpare il pubblico o di insensibilità o di
incultura o di pigrizia mentale, mi sono trovato a disapprovare piuttosto coloro che avevano
confezionato un prodotto scadente e deprimente. Questo dimostra chiaramente che
importanza dia io al pubblico, a questa entità fluida, misteriosa, composita che è la ragione
prima di ogni nostro lavoro. Il pubblico difficilmente sbaglia. Di fronte al pubblico infatti io
mi sento, e così credo si debba sentire la maggior parte degli artisti coscienziosi, in una
condizione di inquietudine, di incertezza e di curiosità acute. Noi sbagliamo sovente.
Crede che la maggioranza degli spettatori sia in grado di apprezzare i film intelligenti?
Io sono convinto che non solo la maggioranza degli spettatori sia in grado di apprezzare film
intelligenti, ma penso che la totalità degli spettatori sia in grado di apprezzarli. Riferendomi a
quanto detto sopra penso che purtroppo non tutti i film siano abbastanza intelligenti per la
maggioranza degli spettatori.
Ha individuato una categoria di spettatori che preferisce i suoi film?
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il mio lavoro cinematografico.
Tiene conto di più del giudizio del pubblico o di quello della critica?
Riconosco di essere sensibile a certa critica, intendo quella che su un elevato e serio piano
culturale si comporta civilmente e costruttivamente sgombra da antipatie e risentimenti o
preconcetti personalistici. Il giudizio del pubblico incide in maniera direi più emotiva e
immediata e di quale importanza esso sia, ho già detto.
Qual è il suo film che ha avuto maggior successo di pubblico, e quale lei ritiene il migliore
artisticamente?
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© "Cinema" 1952.
Le recensioni
Vincenzo Patanè
La caduta degli dei è un potente affresco della Germania all'avvento del nazismo, in cui la tragedia
di una famiglia, divorata dalla sete di potere e dal sangue, simboleggia ed esemplifica la
dissoluzione della società. La "caduta" è quindi lo sfacelo di una società che non distingue più il
bene dal male. Il film quindi identifica nella trasgressione morale - sia essa pedofilia, omosessualità
o incesto - il più vistoso decadimento dei valori, tipico di un momento di un disordine più vasto in
atto. Non a caso il lucido Aschenbach è l'unico personaggio che, lontano da ogni tentazione
sessuale, raggiunge senza mezzi termini il suo fine. Nonostante pertanto un netto giudizio morale
carichi di valenze negative le trasgressioni, sono però proprio queste i momenti forti del film,
contrassegnato da un'atmosfera morbosa. Martin (uno splendido Helmut Berger) è il simbolo di
questa complessa ambiguità, in cui si rispecchia l'incertezza del periodo e in cui innocenza e
perversione si fondono inestricabilmente. La sua sensualità vive su più livelli: aperto ad ogni forma
di sesso, è attratto fisicamente dalla madre e nel frattempo ama rifugiarsi nell'innocenza delle
bambine, senza per questo celare il proprio polimorfismo, come nella celeberrima scena in cui
interpreta L'angelo azzurro nei panni di Marlene Dietrich. Il momento più famoso, di un debordante
omoerotismo, è però quello che riguarda la "notte dei lunghi coltelli". Spinti dall'euforia e dalla
birra, gli atletici giovani si bagnano nudi nel lago Tegernsee e poi si scatenano nella festa,
travestendosi da donne ed facendo sesso. Quando, all'alba, le SS arrivano per sterminarli, li
troveranno esausti dopo la gigantesca orgia. Tra di essi Kostantin, i cui gusti sono chiariti sin
dall'inizio, quando è lascivamente lavato nella vasca da bagno da un aitante giovanotto biondo.
Come è proprio del cinema di Visconti, la ricostruzione è accuratissima e notevole è la recitazione
degli attori, tutti di eccellente bravura. Tra gli altri spicca il bellissimo Renaud Verley (il Telemaco
dell'Odissea televisiva), il figlio di Kostantin che, forse unico fra tutti i personaggi, suona il
violoncello e sembra legato ai valori dell' arte e dello spirito anziché alla produzione dell'acciaio.
Giovanni Raboni
Lo «straordinario» della Caduta degli dei sta anche, diciamo la verità, nel fatto di venire dopo una
serie di film variamente bloccati o dispersivi, nei quali l'enorme talento di Visconti era parso
irrigidirsi o formalizzarsi al di sotto di se stesso, in modelli inattendibili o parziali. Dal 1953, anno
di Senso, a questa specie di resurrezione, Visconti é stato uno degli interpreti più sontuosi e
malinconici dell'impoverimento - non tanto linguistico quanto sostanziale - della cultura italiana: si
pensi, per citare l'estremo più enigmatico, all'inerzia hollywoodiana dello Straniero, con quei
personaggi (e quei gesti) smangiati da una colata di qualunquismo figurativo.
Con La caduta degli dei é come se Visconti, sbalzato a lungo nel vuoto di un'incertezza di contenuti
che nel frattempo non è stata sua soltanto, ritoccasse finalmente terra. In vista di modelli adeguati e
a contatto con un groviglio tematico di complessa e ardente pregnanza storica, Visconti ha ritrovato
di colpo la concentrazione linguistica dei suoi grandi momenti narrativi: dei momenti, cioé, nei
quali il suo talento figurativo e teatrale di grande creatore d'interni, di eccelso metteur en scène, non
viene esibito ma rigorosamente funzionalizzato nel senso di una generale e solenne resa espressiva.
Che cosa è successo? E' successo, credo, che Visconti ha smesso di «cercare» un tema e un ambito
letterario congeniali alle sue attitudini (o a quelle che una critica lenta di riflessi, e forse lui stesso,
hanno creduto le sue attitudini) e ha «trovato», invece, un sistema di significati e di simboli centra!e
rispetto alla sua coscienza di uomo contemporaneo. La storia privata, paradossalmente e cupamente
trionfalistica, degli Eschenbach coincide infatti con la cronologia e con le motivazioni dell'ascesa al
potere del nazismo, così come il racconto manniano de!la decadenza dei Buddenbrook coincide con
la crisi e la trasformazione della borghesia sotto la spinta del capitalismo industriale. La follia
sanguinaria di Hitler e dei suoi accoliti ha per «materia» - e non soltanto per sfondo - la progressiva
disumanizzazione e cannibalizzazione della dinastia, e viceversa: ciascuna delle due dimensioni del
racconto servendo da rispecchiamento simbolico e da cassa armonica all'altra.
Non è certo il caso di obiettare, mi sembra, che il rigore dell'analisi risulta compromesso dall'ambito
patologico e demoniaco in cui si muovono alcuni personaggi. Non credo che Visconti, facendo del
protagonista del racconto un maniaco, un folle, uno storpio dell'anima, e di tutti i membri della
dinastia esseri dominati da istinti atrocemente oscuri e morbosi, intendesse scagionare, sotto il
profilo del dolo, la borghesia industriale tedesca della responsabilità di aver messo in moto e
consacrato il nazismo. E' chiaro, invero, che fra codice storico e codice simbolico esiste uno stacco
che giustifica e pretende due livelli di lettura, presupponendo un rapporto di moltiplicazione e nello
stesso tempo di semplificazione, di ritualizzazione espressiva.
Dal punto di vista del progetto stilistico, l'ipotesi-base di Visconti é stata senza dubbio quella di una
simbiosi fra la cruenta eloquenza del dramma elisabettiano, l'irrazionalismo dostoeievskiano e la
solidità ironica del primo Thomas Mann. Può sembrare una simbiosi impossibile: è invece, in
termini di resa, la creazione di uno spazio espressivo efficace e emozionante, alla cui compattezza
non nuoce il sapiente viraggio espressionistico delle ultime scene. Si tratta, nell'insieme, di un
omaggio grandioso e crudele (crudele perché finalizzato con naturalezza alla raffigurazione della
crudeltà) che Visconti ha voluto e finalmente saputo rendere alla grande letteratura europea. Il
passaggio graduale da Mann a Dostoievski e da Dostoievski a Shakespeare, man mano che la
devastazione procede a colpi di tradimenti, assassinii, stragi, impiccagioni, incesti e atrocità d'ogni
sorta, e la follia e la catastrofe prendono aspetti via via più corali, non é indice di incoerenza o
incertezza linguistica ma é, al contrario, un accorgimento stilistico splendidamente manovrato.
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