rischio d`impresa e ascrizione della responsabilità dolosa nel diritto

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RISCHIO D’IMPRESA E ASCRIZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DOLOSA
NEL DIRITTO PENALE FALLIMENTARE
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il rischio penale d’impresa: aspetti generali – 2.1. Premessa – 2.2. Le
cause del ritardo nell’approccio alle problematiche del rischio penale d’impresa – 2.3. L’ascrizione a
titolo di dolo – 2.4. Le condotte colpose. Cenni – 3. Il diritto penale fallimentare: l’ ascrizione della
responsabilità dolosa – 3.1. Premessa – 3.2. L’elemento soggettivo nelle più importanti fattispecie penali
fallimentari: bancarotta fraudolenta, semplice, propria e impropria – 3.3. Nota procedurale – 4.
Appendice di aggiornamento – 5. Conclusione.
1. INTRODUZIONE
Il presente lavoro si propone di evidenziare alcuni snodi problematici posti all’attenzione del
dibattito dottrinale e giurisprudenziale all’indomani dell’avvio, avvenuto nell’ultimo trentennio nel
nostro ordinamento, di una serie di importanti riforme e innovazioni nel campo del c.d. diritto penale
dell’economia.
In particolare, nel I capitolo si tracceranno i lineamenti generali relativi al settore del rischio
penale d’impresa, con riferimento alla propugnata necessità di un approccio, ancora poco seguito dagli
addetti ai lavori, integrato e interdisciplinare allo studio di questa peculiare branca della criminalistica. Si
analizzeranno le condotte dolose nel loro specifico atteggiarsi all’interno di un’attività, quella
imprenditoriale, intrinsecamente connotata da una ineliminabile componente di rischio, la quale, pur
dando più facilmente luogo a condotte violative di regole preventivo-cautelare (dunque colpose), non
sembrerebbe a priori inconciliabile con una possibile ascrizione al comportamento dell’agente di
responsabilità dolosa.
Si farà riferimento alla dogmatica di derivazione germanica relativa alla “imputazione oggettiva
dell’evento aggravatore” e, sia pure incidentalmente, si darà conto del contributo offerto in materia dalle
teorie economiche della corporate e control governance.
Nel secondo capitolo, saranno esaminati nello specifico alcuni punti salienti riconnessi al diritto
penale fallimentare e all’elemento soggettivo delle più importanti fattispecie penali incriminatrici
presenti nella legge fallimentare.
Si cercherà, infine, di dare conto delle più recenti modifiche normative con un corredo quanto
più possibile completo delle diverse posizioni emerse in dottrina e giurisprudenza.
A completamento del discorso,infine, si prospetteranno alcune brevissime considerazioni di
tipo processualpenalistico, con riferimento all’ avvio dell’ azione penale per i reati specificamente presi
in esame.
2. IL RISCHIO PENALE D’IMPRESA: ASPETTI GENERALI
2.1 PREMESSA
La suggestione e l’interesse per le problematiche penali nasce, a posteriori, successivamente alla
verificazione di accadimenti, il cui accertamento presenta o può presentare una connotazione criminosa.
Solo in quel momento interviene il penalista, cui non di rado, si chiede un miracolo: analizzare un fatto
del passato non tanto e non solo giustificandolo, ma operando affinché esso risulti penalmente neutro.
Ciò che costituirebbe una situazione paradossale, se non fosse rappresentativamente emblematico della
realtà di tutti i tribunali del mondo, quasi si chiedesse all’archeologo e allo storico di mistificare il
sistema fisso delle cause e degli effetti.
Ciò detto, non può nondimeno sottacersi che sono molteplici le condotte che potrebbero essere
evitate, sol che si affrontasse in concreto il tema della prevenzione occupandosi del rischio penale nel
senso di orientare il proprio sguardo al futuro, anziché al passato.
1
Il problema della prevenzione dei reati non compete affatto ai privati e alla loro attività: esso
costituisce un’essenziale funzione dello Stato, il quale avrebbe il dovere di esercitarla cogliendo le cause
dei comportamenti criminosi in modo da intervenire sulle stesse per evitare la commissione del maggior
numero possibile di reati.
Cionondimeno, esistono alcuni ambiti in cui alla prevenzione può concorrere l’imposizione di
c.d. obblighi d’intervento (di protezione e/o di controllo) in capo ai privati destinatari del precetto penale.1
Il settore ove tale fenomeno può manifestarsi (come, invero, già da parecchio tempo si
sottolinea presso la giurisprudenza penale) in misura quantitativamente e qualitativamente rilevante è il
c.d. diritto penale dell’economia (diritto penale societario, fallimentare, tributario, del lavoro e della
previdenza sociale, bancario, delle assicurazioni, della concorrenza, dell’informatica, dei trasporti,d
dell’ambiente, della salute sub specie di esercito dell’attività medica, delle SIM, delle società di revisione
e della Consob dello smaltimento dei rifiuti, delle società partecipate dalla pubblica amministrazione,
ecc…).
Quantunque, però, le dimensioni del fenomeno siano altamente significative ed il numero dei
soggetti interessati molto alta, al c.d. rischio penale d’impresa2 per lungo tempo è stata riservata un’esigua
attenzione non solo in seno all’Accademia e nelle riflessioni della giurisprudenza pratica, ma forse, e per
certi versi inspiegabilmente, a livello di indirizzo politico-legislativo.
2.2 LE CAUSE DEL RITARDO NELL’APPROCCIO ALLE PROBLEMATICHE DEL RISCHIO PENALE D’IMPRESA
Più cause concorrono a spiegare l’accennata sottovalutazione.
Dal punto di vista politico, il legislatore italiano ha a lungo trascurato il c.d. “white collar crime”.
Solo a partire dai primi anni ’70, e poi nel decennio successivo, alcuni importanti studi penalistici3
hanno fornito spunti di un qualche rilievo ma, soprattutto, la nostra legislazione si è notoriamente
andata adeguando agli standard internazionali in maniera economica (Consob, Isvab, SIM, ecc…); negli
anni ’90 poi, a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Maastricht, nell’ordinamento italiano si è
avviata una profonda rilettura verso questi temi.
In breve, con riferimento al diritto dell’economia, giova rammentare alcune importanti
acquisizioni di chiara derivazione comunitaria: esemplificativamente si pensi, da un lato, alle leggi sulla
sicurezza dei luoghi di lavoro e sulla privacy, dall’altro, alla riforma della borsa e delle società quotate,
all’avvio della riforma del diritto societario e alla nuova conformazione, almeno in via di previsione
normativa, del diritto tributario italiano ai principi dell’Unione.
Degne di nota, ai fini di una migliore comprensione del ritardo, appaiono poi ragioni più
intrinseche alla scienza giuridico-penale italiana. Com’è noto, nei paesi di civil law quale il nostro,
profondamente debitori all’esperienza romanistica e alla dogmatica germanica, una parte importante
della cultura penalistica è da sempre orientata a operare in senso autoreferenziale, occupandosi
prevalentemente delle c.d. questioni dogmatiche e trascurando i risvolti pratici delle questioni volta per
volta poste sul tappeto4, laddove, ancora oggi, solo una ristretta cerchia di Autori sembra ricorrere al più
proficuo metodo integrato di studio della questione criminale (consistente nella contaminazione del
diritto penale con discipline diverse), il quale pur vanta storicamente illustri corifei (Scuola penale
positiva)5, e che in pochi oggi dimostrano di condividere.
Orbene, nel settore della prevenzione del rischio penale, il ricorso a tale teorica6 costituirebbe un
prezioso sussidio per gli studiosi che non volessero operare a mero livello di esegesi e sistemazione del
dato normativo. 7
Cfr. , per tutti, Fiandaca – Musco, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 1998, pp. 545 ss..
Cfr., sul punto, ad es., Fiorella, I principi generali del diritto penale dell’ economia, Padova, 2001, p. 145.
3 V., in particolare, gli scritti di Bricola.
4 Taluno, in dottrina, ha fatto riferimento, per inquadrare il malvezzo in discorso, ad una sorta di “gioco delle palline di
vetro” . Cfr., ad. es. Stella, Relazione in atti del convegno di Studio del Centro interdisciplinare per lo studio dei problemi economici, giuridici e
sociali di Cernobbio, 6/8 ottobre 1978.
5 Rappresentanti insigni ne furono, ad es., Ferri e Turati.
6 Cfr, Guerini, Note a margine del D.Llgs.n. 231 del 2001, in Atti del Convegno di studi svoltosi in Bari il 13/ 14 novembre 2002.
7 V. nt. precedente.
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2
Si coglie, da quest’ angolo visuale, tutta la pregnanza dei recenti studi economici attinenti alla
“corporate governance” , nonché alla più specifica disciplina relativa alla “control governance” 8che, se
debitamente integrati a livello interdisciplinare con la prevenzione del rischio penale, fornirebbero
adeguate chiavi di lettura globale del fenomeno in oggetto.9
Come un’autorevole dottrina ha precisato10, uno studio integrato del diritto penale d’impresa nel
senso appena chiarito può servire ad una quadruplice funzione:
a) individuare un sistema di prevenzione del rischio penale capace di ridurre la commissione dei
reati d’impresa;
b) definire criteri di imputazione del rischio penale che lo collochino con chiarezza in capo a
soggetti dotati di effettivi poteri di gestione e di controllo;
c) prevedere una forma di responsabilità diretta degli enti dei reati commessi nel loro interesse
dai propri agenti;
d) attribuire all’adozione di un’efficace ed efficiente organizzazione della prevenzione del rischio
penale valore scriminante della responsabilità dell’ente.
Le problematiche sono complesse e meritano riflessioni attente e rigorose.
Anzitutto, occorre chiarire la nozione e la portata del concetto di prevenzione del rischio penale
di impresa: e valga qui per vero il riferimento al modo di organizzazione dell’ente che contenga valide
ed efficaci modalità finalizzate ad evitare la commissione di fatti di reato neutralizzando, per quanto è
possibile, la c.d. “colpa d’organizzazione”11.
Il problema che si pone deriva direttamente da ciò: ci si deve chiedere se la prevenzione del
rischio d’impresa afferisca esclusivamente ai soli reati colposi, siccome parrebbe emergere dalla
sistemazione del rischio penale nell’ambito di una categoria di per se stessa colposa, o se essa possa
avere, al contrario, ad oggetto anche reati ascrivibili a titolo di dolo12.
Rispondere a tale quesito ha riflessi su piani diversi, non ultimo quello strettamente dogmatico,
posto che occorre riscontrare se sussista compatibilità tra la nozione di rischio, basato sulla prevedibilità
dell’evento, e quella di dolo, la quale notoriamente risponde ai requisiti della rappresentazione e
volizione dell’evento13.
Con riferimento alla previsione di una diretta e autonoma responsabilità dell’ente per i reati
commessi nell’ interesse di esso da parte dei propri agenti, la risposta alla questione succitata permette
di risolvere un ulteriore snodo problematico, se cioè le condotte dolose dei soggetti persone fisiche che
operino nell’ambito dell’ente siano non soltanto astrattamente prevedibili ed evitabili, ma ci si possa
spingere fino al punto di delineare un modello teoricamente adatto a prevenirle, il quale, in concreto,
possa poi rivestire una certa idoneità preventiva14.
Tutto procede dalla stessa nozione di dolo, il cui substrato, in termini di conoscenzarappresentazione e volizione, riconduce il discorso verso ambiti strettamente e intimamente connessi
con la “persona umana” che agisce, sì da scolpirne, almeno in apparenza, una ontologica refrattarietà ai
concetti di prevedibilità ed evitabilità dell’evento15.
Ma la soluzione del problema riveste pure una notevole influenza a livello pratico, atteso che
consentirebbe di collegare la penale responsabilità dell’ente a comportamenti di volontaria realizzazione
di fatti di reato e non solo di violazione di norme cautelari e preventive.
Si tratta sostanzialmente di verificare se risponda a verità il diffuso convincimento in base al
quale i reati dolosi risulterebbero ascrivibili solo a coloro che li hanno posti in essere16.
Cfr. , sul punto, Fiorella – Lancellotti, La responsabilità dell’impresa per i fatti di reato, Torino, 2004.
V. Schlesinger, Relazione in Atti del Convegno di Studio SISCO sul tema Profili di responsabilità nel fallimento delle società, svoltosi
in Milano l’ 11 novembre 1995.
10 Cfr , sul punto, Pedrazzi, Profili problematici del diritto penale dell’ impresa, in RTDPE, 1988, pp. 125 ss..
11 Sul punto, v. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1995, pp. 423 ss..
12 V. Guerini, op. cit..
13 Per tutti, v. Fiandaca – Musco, op. cit., pp. 309 ss..
14 Cfr. Fiorella – Lancellotti, La responsabilità, cit. , pp. 3 ss..
15 V. Guerini, op. cit..
16 Idem, Ibidem.
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Da ultimo, la questione si collega al D.lgs. n. 321 del 2001 sulla c.d. responsabilità
amministrativa degli enti17.
Esaminiamo la questione:
2.3 L’ ASCRIZIONE A TITOLO DI DOLO
Come detto, il reato doloso postula strutturalmente la rappresentazione e volizione dell’evento
da parte dell’agente e, in base all’insegnamento tradizionale dell’Accademia, risulterebbe impermeabile
alle valutazioni di tipo preventivo cautelare, caratteristiche tipiche che l’ ordinamento annette al
rimprovero a titolo
di colpa. Ma ciò, a ben vedere, non coglie in pieno nel segno, sol che si pensi al fatto che tra gli
stessi cultori del diritto penale si sta da tempo facendo largo l’idea per il cui il dolo non è sempre
insensibile alla colpa18.
Basti pensare alla teorica della c.d. imputazione oggettiva dell’ evento aggravatore, a seguito della cui
elaborazione si è sostenuto che, perché si realizzi un reato doloso, occorre che la relativa condotta si
esplichi nell’ ambito di un anteriore contesto di pericolo, sicché il reato doloso posto in essere
aumenterebbe il rischio vietato già sussistente o, comunque, lo porterebbe a compimento19.
Rispetto al rischio l’ agente deve alternativamente operare in una delle seguenti condizioni:
- lo ha prodotto volontariamente e si prefigura e vuole il suo aumento ;
- non lo ha prodotto , ma se lo prefigura e vuole il suo aumento ;
- non lo ha prodotto ma se lo rappresenta e, pur non volendo il suo aumento, accetta il rischio
che si verifichi (dolo eventuale).
Certamente, si tratta di una dottrina minoritaria mutuata dalla dogmatica tedesca20, (la quale,
peraltro, non riesce a spiegare la totalità delle manifestazioni del dolo nel diritto penale e nella realtà
fenomenica ) e, purtuttavia, nel settore che qui interessa (delitti dolosi nel settore della criminalità
economica e, in particolare, del diritto penale fallimentare) assume un peso specifico notevole.
Ponendosi nell’ottica della prevenzione del rischio penale d’impresa, si può concordare con chi
sostiene, allora, che “un’organizzazione imprenditoriale che non si ponga il problema delle modalità
della propria condotta e che persegua i propri obiettivi ispirandosi al principio machiavellico del fine
che giustifica i mezzi , sarà inevitabilmente un humus fertile per la commissione di reati dolosi”21.
Assai importante, poi, è la distinzione che può compiersi tra delitti posti in essere durante la
normale vita d’impresa e quelli commessi nel corso di una delle tante crisi in cui un’impresa può
incorrere. Nel corso della prima fase (fisiologica), ogni comportamento è posto in essere in un alveo
che comprende unicamente il rischio ordinario d’impresa (si pensi ai reati c.d. societari), l’attività
d’impresa contenendo in sé una normale aleatorietà, o livello di rischio, sicché è necessario che ogni
imprenditore organizzi i diversi fattori produttivi al fine di evitare che pericoli potenziali si traducano in
danni effettivi. La previsione di tali rischi e la loro prevenzione afferiscono alla ordinaria attività di ogni
imprenditore.
Seguendo, dunque, la teoria poc’anzi esposta, si può senza meno affermare che ogni condotta
incrementativa del normale rischio d’impresa, la quale violi precetti cautelari, ora generici ora specifici,
può definirsi dolosa, sub specie di dolo eventuale.Ma, come si vedrà nel prosieguo della trattazione,
ricorrendo certe condizioni, può anche prefigurare un dolo diretto e, addirittura, specifico22.
Da ciò consegue, in via di stretta consequenzialità logica, che tutti i comportamenti realizzati
nell’esercizio di un’attività ontologicamente rischiosa, quale quella imprenditoriale, provocando
l’incremento di un qualsivoglia “rischio non consentito” possono risolversi nella commissione di reati
ascrivibili a titolo di responsabilità dolosa.
Lo si può leggere, tra l’altro, in Fiorella – Lancellotti, op. ult. cit., pp. 87 ss.., con successiva relazione allo stesso decreto.
Cfr. La Monica, Manuale di diritto penale commerciale, Milano 1993, pp. 183 ss..
19 La teoria è puntualmente esplicata in Fiandaca – Musco, op. cit., pp. 213 ss..
20 Tra gli altri, nella manualistica, possono citarsi i nomi di Jesheck, Wessels e Jacobs.
21 Così, Guerini, op. cit..
22 V., infra, cap. II.
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18
4
Si potrebbero proporre moti esempi, guardando ai settori chimico, alimentare, edilizio, dei
trasporti, nonché del settore bancario e assicurativo; ma pure, abbandonato il criterio qualificatorio
basato sul tipo di prodotto, alle modalità produttive (tanto di prodotti rischiosi che no).
Il “rischio penale derivante da condotte dolose”23 impinge, tra l’ altro, anche l’ampio campo
delle relazioni con la Pubblica Amministrazione, laddove il rischio penale specifico, comune in grado
diverso a tutte le imprese, assume una coloritura ancora più densa24.
Dunque, e per concludere, si danno rischi di impresa generici, i quali, a certe condizioni
(comuni a tutte le imprese e peculari di alcuni loro settori) si traducono in “rischi specifici” assurgendo
a rischio penale qualificato, ogni volta in cui si possa riscontrare un incremento di rischio non consentito.
A questo punto l’attività imprenditoriale compie un salto di qualità, entrando all’interno di
un’area che, mutuando, come si vedrà, un’espressione penalistico - fallimentare, viene definita “ zona del
rischio penale d’impresa qualificato”25.
Dunque, la convinzione sulla impermeabilità dei reati dolosi alla prevenzione specifica finisce
con l’ essere in tal modo contraddetta, tanto in base ad elaborazioni teoriche intrinseche alla scienza
penale26, tanto da valutazioni inerenti alle peculiarità proprie del rischio nelle fasi fisiologiche e
patologiche della vita dell’impresa.
L’assunzione volontaria di un rischio penale durante la vita ordinaria dell’impresa si risolverà in
reati ascrivibili a titolo di dolo se il comportamento tenuto dall’imprenditore incida negativamente o
esponga a pericolo un bene penalmente protetto; a fortiori, ogni qualvolta in cui, a seconda del tipo di prodotto o
per le modalità di produzione, si attualizzerà una “forma di rischio penale”, le condotte che presuppongono l’accettazione
di tale rischio particolare saranno poste in essere con dolo, eventuale o diretto.27
Da ciò consegue che, se è vero che il rischio penale d’impresa è comune a tutti i comportamenti
volontari, si potrà sostenere che è possibile delineare e porre mano ad un sistema atto a prevenire le
condotte improntate a dolo facendo leva:
- sul rischio penale generico che incrementa il normale rischio d’impresa;
- sul rischio penale specifico incrementativo del rischio collegato a produzioni o modalità di
produzione pericolose.
2.4 LE CONDOTTE COLPOSE. CENNI
Venendo ora ad occuparci dell’altro criterio di imputazione soggettivo del reato (la colpa)28, con
riferimento al tema oggetto della presente trattazione (pur non potendovi dedicare che qualche breve
cenno), si deve considerare che il nostro ordinamento prevede che a taluni soggetti, posti in posizioni di
garanzia, protezione e controllo (c.d. “garanti” ) sia attribuito il compito di preservare determinati beni
giuridici da qualsivoglia fonte di pericolo o verificare che da esse non discendano rischi per i beni da
proteggere.29
Poiché la colpa, com’è noto, consiste nella violazione di regole cautelari che adempiono alla
funzione di evitare la verificazione di eventi dannosi o pericolosi, la concreta determinazione delle
misure preventive utili ad evitarli risiede nelle stesse regole cautelari scaturenti dalla migliore scienza ed
esperienza del caso concreto.
Purtuttavia, l’adozione di un sistema preventivo che, eventualmente, si basi sui migliori e più
recenti contributi della scienza economica già ricordati è rilevante per l’ascrizione della responsabilità
V. Guerini, op. cit..
Ut supra.
25 Cfr., sul punto, Pedrazzi, Profii, cit., pp. 125.
26 Trattasi della teoria dell’ imputazione oggettiva dell’ evento, ovvero dell’ aumento del rischio non consentito come supra
illustrata.
27 V. Pedrazzi, op. cit., p. 127.
28 Idem, ibidem.
29 Cfr. Fiandaca – Musco, op. cit. p. 545.
23
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5
colposa e/o per la definizione del grado della colpa medesima cui è direttamente connesso il grado della
responsabilità e/o il quantum del danno30.
3. IL DIRITTO PENALE FALLIMENTARE : L’ASCRIZIONE DELLA RESPONSABILITÀ DOLOSA
3.1 PREMESSA
Dopo aver tentato, sia pure concisamente, di inquadrare il problema del rischio di impresa nei
suoi risvolti penalistici generali e con riferimento alle condotte dolose, passiamo ad occuparci della
specifica tematica dell’ascrizione della responsabilità dolosa nel diritto penale fallimentare.
Com’è noto, la specialità del diritto esecutivo concorsuale trova la sua massima espressione nella
copertura sanzionatoria penalistica, anch’essa affatto peculiare, giacchè, come è stato acutamente
osservato, “fatti ordinariamente indifferenti sul piano penale assurgono a fattispecie precise di reati, tra
l’altro pesantemente puniti e addirittura, di più, vengono puniti fatti considerati dalla legge come
doverosi sul piano della vita fisiologica del diritto, come il pagare un debito che diventa atto di
bancarotta prefererenziale [….]. La tutela penale si affianca al fallimento e realizza una sanzione
punitiva accanto a quella processuale civile esecutiva: in questo senso ha grande pregio la tesi secondo
cui, in definitiva, la sanzione penale è concepita come un rafforzamento ed un’integrazione esterna della
seconda, per garantire, cioè, la genuinità del processo di fallimento e la realizzazione più integrale ed
autentica delle sue finalità”31.
Come accennato nella prima parte del presente lavoro, il diritto penale fallimentare individua un
rischio penale d’impresa particolarmente specifico, una zona “del rischio penale qualificato”32 dal fatto che
qui ci si trova in una delle fasi patologiche della vita dell’impresa, caratterizzata dalla insolvenza
dell’imprenditore, la quale si configura quale presupposto della successiva sentenza dichiarativa di
fallimento. Da questo momento, sussistendo una certezza di non capienza o, ancor prima, sussistendo
l’insolvenza , se segue la sentenza dichiarativa di fallimento dell’imprenditore o, comunque, della
compagnia societaria, la soglia del rischio si specifica, cristallizzandosi in alcuni divieti che
l’ordinamento prevede allo scopo di realizzare il soddisfacimento delle pretese creditorie dei terzi,
mediante la conservazione del patrimonio aziendale, come detto, nonché affiancando al procedimento
fallimentare concorsuale una tutela rafforzata di tipo penale.
L’ ascrizione della responsabilità dolosa penale a condotte poste in essere dallo imprenditore o
dai suoi collaboratori durante questa fase viene così ad espletare una funzione di maggiore protezione
per il patrimonio del creditore, nonché della correttezza della procedura esecutiva concorsuale33.
3.2 L’ ELEMENTO SOGGETTIVO NELLE PIÙ IMPORTANTI FATTISPECIE PENALI FALLIMENTARI :
BANCAROTTA FRAUDOLENTA, SEMPLICE, PROPRIA E IMPROPRIA
Quanto appena chiarito, serve a lumeggiare le caratteristiche delle fattispecie penali
incriminatici ex art. 216 ss. L.F., dall’ angolo visuale dell’ attribuzione di responsabilità dolosa ai soggetti
attivi dei reati previsti.
Con riferimento al reato di bancarotta fraudolenta, che l’art. 216 diversifica in patrimoniale,
documentale e preferenziale(oltre che post fallimentare), va chiarito quanto segue.
Parte della dottrina ritiene che in tutte le ipotesi previste in tema di B. patrimoniale debba
ricorrere il dolo specifico , ossia la finalità dell’ agente di trarre profitto, per sé o per altri, dai fatti
commessi con pregiudizio dei creditori ( Antolisei, Nuvolone ).
Sul punto, più diffusamente di quanto qui non possa farsi, e con riferimento ai diversi modelli gestionali e operativi dell’
ente, v. Fiorella – Lancellotti, La responsabilità, cit., pp. 23 ss..
31 Cfr. P. Pasardi, Codice del fallimento, Milano, 1998, p. 1309.
32 V. A. Fiorella I principi generali del diritto penale dell’economia in Trattato di diritto commerciale di F. Galgano, Vol. XXV a cura di
L. Conti, Padova, 2001.
33 Sulla diversa prospettazione dei reati fallimentari come reati contro il patrimonio o contro l’Amministrazione della
giustizia o, ancora, come reato plurioffensivo, cfr. Antolisei, Manuale di diritto penale, Leggi complementari, Milano 2002.
30
6
Altri autori ritengono, invece, che sia sufficiente il dolo generico ( per tutti, Paiardi).
La giurisprudenza è stata ed è tuttora oscillante sul punto. Si trovano, infatti, alcune decisioni,
nelle quali si reputa bastevole la consapevole volontà dell’ agente di realizzare le tipiche immutazioni
patrimoniali previste ( con il compimento delle varie operazioni elencate ), senza che occorra un fine di
danno o di vantaggio34.
Altre decisioni individuano la necessità dell’ ulteriore elemento della consapevolezza , da parte
dell’ agente, del danno o della possibilità di danno per la massa dei creditori35 o dell’ accettazione del
risultato della propria condotta criminosa; altre decisioni, ancora, ammettono rilevanza penale ai soli
fatti commessi in previsione dell’ insolvenza e della probabile dichiarazione di fallimento, posto che
solo in relazione ad essi può ritenersi sussistente la consapevolezza di sottrarre i beni all’ esecuzione
concorsuale36.
Infine, con altri arresti, la Suprema Corte ha distinto le ipotesi di esposizione o riconoscimento
di passività inesistenti, ove occorrerebbe il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, da quelle di
distruzione o occultamento di beni , per le quali sarebbe sufficiente il dolo generico37.
Con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, n. 2), opinione prevalente
della dottrina e della giurisprudenza è nel senso della necessità di dolo specifico nell’ipotesi di
sottrazione, distruzione o falsificazione per le quali la legge prevede espressamente lo scopo di
procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; mentre per l’ipotesi di
caotica tenuta, sottolinea che è richiesto il solo dolo generico, consistente nell’intenzione o anche nella
semplice consapevolezza di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio
o del movimento degli affari (Punzo , Nuvolone , Conti , Pajardi)38.
Secondo alcuni autori, tuttavia, non ogni sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture
concretizza reato, poiché il richiesto pregiudizio ai creditori non comporta l’intento di assicurarsi la
riuscita delle frodi predisposte onde evitare l’apprensione di beni da parte degli organi fallimentari,
mentre lo scopo di profitto comporta il proposito di sfuggire, con il proprio operato illecito, alle
sanzioni penali; di conseguenza, l’occultamento della contabilità al solo scopo di eludere i controlli
fiscali non costituisce delitto di bancarotta fraudolenta documentale (Antolisei, Pagliaro ).
In relazione alla figura di bancarotta preferenziale (216, comma 3 L.F.), che, secondo la più
autorevole dottrina, è fattispecie penale autonoma, la giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso
di riconoscere il dolo specifico, visto da parte della dottrina ora nella semplice intenzione
dell’imprenditore di favorire alcuni creditori con la consapevole accettazione della eventualità di potere,
in tal modo, arrecare danno alla massa (Antolisei, Pagliaro), ora dalla duplice intenzione di favorire alcuni
creditori e di danneggiarne altri (Nuvolone).
Relativamente alla bancarotta semplice (art. 217 L.F.), caratterizzata da condotte di imprudente
gestione o assolutamente aleatorie da parte dell’imprenditore, e anch’essa distinta in patrimoniale e
documentale, la dottrina diverge profondamente dalla giurisprudenza. Per la prima figura si ritiene
sufficiente la colpa, sulla base dell’ assorbente rilievo per cui le ipotesi di cui all’ art. 217 L. F. , sono
state disciplinate e calcolate in contrapposizione con l’art. 216, che espressamente richiede una
responsabilità di tipo doloso; quanto alla seconda, la prevalente dottrina sostiene sia indispensabile la
volontà colpevole, sub specie di dolo eventuale, dell’ agente di talché, qualora l’ imprenditore abbia
delegato ad altri il compito di tenere i libri e le scritture contabili, lo stesso può essere punito soltanto se
aveva almeno previsto il comportamento del terzo o vi aveva consentito;inoltre, come è stato
autorevolmente rilevato, “nel caso di errore sulla qualità di impresa commerciale o sull’obbligo di tenuta
dei libri e delle scritture, il soggetto non è punibile a norma dell’articolo 47 u.c. c.p., trattandosi di errore
su legge diversa da quella penale che ha determinato un errore sul fatto che costituisce reato39. D’altro
Fra le più importanti, C.P. 20 dicembre 1996, M. UDA, CP 206542 ; C.P. 28 febbraio 1988 e 27 febbraio 1988, FI, REP
1993, p. 280.
35 Per tutte, C.P. 24 aprile 1987, R. PEN. 1988, p. 200.
36 V. C.P. 27 novembre 1985, FALL., 1986, p. 913
37 Cfr. C.P. 6 novembre 1996, M. UDA CP, 205920, nonché la più datata C.P. 26 aprile 1984, R. PEN. , 1985 , p. 145.
38 In giurisprudenza, ex plurimis, C.P. 9 ottobre 1991, FALL., 1992, 142 ; C. P. 13 ottobre 1993, FI, REP, 1994, p. 562.
39 Così Antolisei, Manuale, cit., p. 110. E concordano Nuvolone, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali,
Milano, p. 90; nonché Conti, Diritto penale commerciale, Vol. II. I reati fallimentari, Torino, pp. 270-273.
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canto, la giurisprudenza della Suprema Corte si è ormai, per converso, consolidata nel senso che, per la
punibilità del reato di bancarotta semplice patrimoniale, così come per quello di bancarotta semplice
documentale, è indifferente che il fatto sia stato commesso con dolo o colpa, essendo sufficiente questa
sola40.
A chi scrive pare corretta tale ultima soluzione poiché è evidente che, se l’azione fosse stata
posta in essere con l’intento di recare pregiudizio ai creditori, si ricadrebbe nell’ipotesi di bancarotta
fraudolenta.
Quanto alla cosiddetta bancarotta fraudolenta impropria (o societaria),figura congegnata per
perseguire penalmente i reati fallimentari commessi da persone diverse dal fallito e specificatamente
amministratori, sindaci e liquidatori (art. 223, L.F. ),essa è norma formale e metodologica “che
costituisce chiave di volta dell’ intero diritto penale concorsuale”41. Formale e metodologica, perché non
prevede reati autonomi, ma estende quelli precedentemente previsti dagli articoli della legge fallimentare
ai cosiddetti responsabili e dipendenti della società fallita, i quali, secondo una corretta interpretazione
giurisprudenziale, risulterebbero passibili di sanzione anche laddove ricoprissero tali funzioni solo in via
fattuale.42
In aggiunta a ciò, il comma 2 dell’art. 223 estende quoad poenam la previsione penalistica della
bancarotta fraudolenta ad una serie di norme penali societarie (art. 2621 e altri, c.c.) le quali, a loro volta,
sono state di recente ritoccate dal legislatore a seguito della D.lgs. n. 6 del 2003 di riforma del diritto
societario, ancora oggetto di correzione al termine dello scorso anno, a seguito dell’approvazione del
D.lgs. n. 310 del 200443.
Si è inteso in tal modo dare vita ad un vero e proprio corpus juris penale commerciale e
fallimentare, il quale, ove ben più seriamente applicato di quanto sia nella realtà, rappresenta un
autentico baluardo di difesa della società dalla criminalità economica societaria44.
Inoltre, in linea con il nostro discorso sulla ascrizione di responsabilità dolosa nei reati
fallimentari, va rilevato che qui viene eccezionalmente affermato il principio secondo cui si risponde per
bancarotta fraudolenta patrimoniale anche al solo titolo di avere cagionato cagionato con “dolo” o con
“operazioni dolose” il fallimento della società (art. 223, comma 2). Col che il diritto penale fallimentare
societario si presenta assai più rigoroso di quello relativo all’ imprenditore individuale, per il quale è
noto come a nessun titolo , né penale, né civile, sussista in via generale la responsabilità per la
provocazione del fallimento proprio (eccezione: la responsabilità per bancarotta semplice per avere
aggravato il proprio dissesto, astenenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento).
Quanto all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta impropria, ai sensi degli
artt. 2621 c.c. e 223 L.F., la Suprema Corte ha segnalato, in una rimarchevole pronuncia, che si deve
rinvenire nell’ agente il dolo specifico, ossia un intento di frode mediante il compimento di un’attività
ingannevole circa la potenzialità economica della società diretta al conseguimento di un vantaggio non
altrimenti raggiungibile.45
Un cenno a parte merita il già rammentato inciso relativo al dolo e alle operazioni dolose,
contenute nel capoverso dell’art. 223 L.F..
C.P. 12 giugno 1984, R. Pen, 1985 , 216; C.P. 24 maggio 1978, R.P. 1978, 823 ; C.P. 3 aprile 1970, G. Pen, 1971, II, p. 456
Pajardi, op. cit., p. 1354.
42 Sul c.d. amministratore di fatto, quale possibile soggetto attivo del reato di bancarotta fraudolenta impropria, vedasi, per
tutte, C. P. 12 marzo 1984, R Pen , 1984, p. 978.
43 Sul tema interessantissimo delle modifiche introdotte dalla riforma in parola, non potendovi qui dedicare altro spazio, si
rinvia a Maffei Alberti, Il nuovo diritto delle società, opera in quattro tomi, Padova, 2005.
44 Giova ricordare che il Senato ha approvato il 4 maggio scorso il disegno di legge di conversione del D.L. 35/2005,
recante, tra l’ altro, la delega per la riforma dei reati fallimentari. Tale legge impone, in particolare, una riduzione
generalizzata delle pene comminate per i reati di bancarotta. Nel caso di bancarotta fraudolenta impropria, ad esempio, si
dovrebbe passare dalla reclusione da 3 a 10 anni a quella da 2 a 6 anni. Tali modifiche hanno destato notevoli perplessità, al
punto da indurre il Governo ad impegnarsi a ripristinare pene più severe al momento della redazione del decreto delegato.
La delega interviene anche sulle condotte penalmente rilevanti. Si intende, infatti, riconoscere rilevanza penale
esclusivamente a comportamenti contemporanei all’ insolvenza o al concreto pericolo della stessa. Ma vedi su questo, infra,
lett. d).
45 C. P. 9 dicembre 1992, G Fall, 1994, p. 154.
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Il fallimento causato dalla condotta dell’agente non va inteso in senso formale di sentenza
dichiarativa di fallimento, ma nel senso sostanziale dello stato di dissesto societario. Secondo l’
Antolisei46, in tale fattispecie normativa, lo stato di dissesto svolge il ruolo eccezionale di evento del reato
e non di condizione obiettiva di punibilità (come per le altre figure di reato), e deve necessariamente
essere legato alla condotta dolosa del soggetto da un nesso di causalità materiale.47
La dizione normativa che sembra differenziare il dolo dalle operazioni dolose ha dato luogo a
problemi dottrinali di esatta interpretazione . L’opinione dominante è nel senso che il termine dolo vada
inteso in conformità alla nozione generale dello art. 43 c.p. e comprenda non solo i casi di volizione
diretta dell’ evento (dissesto), ma anche quelli di volizione indiretta o eventuale, mentre la formula
“operazioni dolose” riguarderebbe qualsiasi comportamento delle persone preposte all’
amministrazione e al controllo delle società che, con abuso di poteri o violazione di doveri inerenti alle
loro qualità, rechino pregiudizio ai legittimi interessi dell’ ente, dei soci, dei creditori, realizzato allo
scopo di procurarsi un ingiusto profitto. 48
A parere di chi scrive, le ipotesi di causazione dolosa del fallimento e di fallimento determinato
da operazioni dolose vanno tenute distinte e non sono assimilabili. Infatti, pare che la causazione dolosa
del fallimento, prevista dall’ art. 223, primo capoverso, n. 2 L. F. comprenda due ipotesi autonome che,
dal punto di vista oggettivo non presentano sostanziali differenze, mentre, da quello soggettivo, vanno
tenute distinte perché nella causazione dolosa del fallimento questo è voluto, specificamente, mentre nel
fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’ effetto (dal punto di vista della causalità
materiale) di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto
fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’ operazione ha accettato il rischio dello stesso. La prima
fattispecie parrebbe, dunque, profilare un dolo specifico, contrariamente alla seconda che sembrerebbe
psicologicamente impinta da dolo solo generico.
Quanto, infine, alla ipotesi prevista dall’art. 224 L. F. (bancarotta semplice impropria), basti qui
ricordare che l’ elemento soggettivo del reato è la colpa per inosservanza degli obblighi imposti ai
dirigenti e responsabili della società dalla legge, rinviando, per il resto, alla parallela ipotesi contemplata
dall’ art. 217 (bancarotta semplice propria)49 50.
3.3 NOTA PROCEDURALE.
Pare ora opportuno soffermarsi brevemente su un particolare aspetto processualpenalistico, con
riferimento alle fattispecie penali fallimentari di ci si è fin qui occupati e all’ art. 238 L.F..
Tale norma, posta all’ inizio del capo IV, relativo alle disposizioni processuali e riconnessa ai
reati di bancarotta fraudolenta e semplice, propria e impropria, riguarda l’avvio dell’ azione penale dopo
la comunicazione della sussistenza della condizione di punibilità (i. e. la sentenza dichiarativa di
fallimento), contemplando pure una controregola di inizio preventivo dell’ azione nel caso dell’ art. 7 e,
estensione significativa, in ogni altro caso in cui concorrano gravi motivi e penda il procedimento per la
dichiarazione (la norma dianzi citata riguarda lo stato di insolvenza risultante in sede penale).
Ovviamente, il rapporto di pregiudizialità, affermato e poi derogato in casi eccezionali dall’art.
238, trova, quale elemento di conforto, la tendenza all’ autonomia e autosufficienza della giurisdizione
penale rispetto a tutte le altre e specie a quella civile.
In sostanza, non potendo ulteriormente approfondire un discorso che pur meriterebbe una
trattazione a parte, va precisato che la possibilità per il pm eccezionalmente di promuovere le indagini
ed anche incidente ai sensi dell’ art. 392 c.p.p prima della dichiarazione di fallimento, sollecitando
addirittura misure cautelari, risulta apparentemente rafforzata, benché si debba affermare la opportunità
Antolisei, Manuale, cit., 127-8.
Adesivamente a questo orientamento si pronuncia C.P. 27 aprile 1983, G Pen, 1984, III, 331, con nota ulteriormente
adesiva di La Monica.
48 Cfr. Nuvolone, Il diritto, cit. pp. 379 ss..
49 Cfr p. 15 confronta p. 17.
50 Altre recenti sentenze relative ai temi fin qui trattati risultano C.P. 14 gennaio 2004 ; C. P. 2 febbraio 2004 ; C. P. 22
settembre 1999, tutte su CED Cassazione.
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9
della sospensione, in attesa della definizione del giudizio civile, del processo che sia giunto al
dibattimento, ex art. 479 c.p.p.
4. APPENDICE DI AGGIORNAMENTO
Con l’emendamento sui reati fallimentari, inserito nella legge di conversione del D.L.
competitività e approvato 4 maggio u.s., prende corpo la delega per la riforma dei reati fallimentari. Il
progetto non modifica troppo gli attuali assetti, se non sul trattamento sanzionatorio, e le scelte lessicali
effettuate, ponendosi in continuità terminologica con la vigente normativa, dovrebbero consentire di
sfruttare il patrimonio interpretativo accumulato. Resta da vedere se, date le attuali difficoltà, il
provvedimento riuscirà a tagliare il traguardo.
Il punto 1, lettera a, della delega descrive la bancarotta fraudolenta patrimoniale
dell'imprenditore individuale. Rispetto all'attuale disposizione (art. 216, comma 1, lettera a),
l'innovazione più significativa è la rilevanza penale delle condotte pre fallimentari solo se «
contemporanee allo stato d'insolvenza o al concreto pericolo del medesimo » . Si ritaglia in tal modo
un'area di rischio penale all'interno della quale collocare i fatti offensivi degli interessi patrimoniali dei
creditori. Non meno significativa appare l'estensione dell'oggetto materiale delle condotte al patrimonio
«che, a norma delle leggi civili, è destinato al soddisfacimento dei creditori» , con inclusione, ad
esempio, del patrimonio del garante concorrente con il soggetto qualificato. Viene poi introdotta
l'incriminazione, come figura generale permeata da frode, dell'imprenditore che realizzi condotte di
causazione intenzionale del dissesto (oggi è prevista la causazione del dissesto, con dolo o per effetto di
operazioni dolose, solo come reato delle persone diverse dal fallito, in particolare degli organi di
amministrazione, direzione, controllo e liquidazione delle società commerciali).
Il punto 1, lettera b, tratta della bancarotta fraudolenta documentale dell'imprenditore
individuale, riproponendo la delimitazione dell'area di rischio penale già vista. Viene menzionata in
modo espresso, nell'ambito della bancarotta documentale " generale", l'omessa tenuta delle scritture e
dei libri contabili, se rende impossibile ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari.
Il punto 1, lettera c, si occupa della bancarotta preferenziale dell'imprenditore individuale con
l'intento di descrivere con maggiore precisione il reato: così sembra doversi intendere l'esigenza che la
condotta preferenziale sia «indebita o ingiustificata» . Il punto 2 detta le linee della bancarotta semplice
dell'imprenditore individuale, riducendo i casi attualmente previsti (art. 217); in una prospettiva che si
propone di non criminalizzare le violazioni formali (la bancarotta semplice documentale non è, infatti,
più riproposta), il reato è fatto consistere solo nelle condotte di omessa o ritardata presentazione
dell'istanza per l'apertura della liquidazione concorsuale che abbiano aggravato il dissesto.
Il punto 3 applica la previsione dei fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e preferenziale ai
soggetti cui sia estesa la procedura di liquidazione concorsuale (ad esempio, il socio illimitatamente
responsabile di una società in nome collettivo), sempre che tali fatti riguardino beni appartenenti al
soggetto stesso.
Il punto 4 è dedicato alla bancarotta fraudolenta " impropria", vale a dire dell'institore e dei
soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione, controllo o liquidazione dell'ente
dichiarato insolvente. Accanto alla causazione intenzionale del dissesto, si è prevista l'ipotesi che il
dissesto consegua a condotte di abuso o violazione dei relativi poteri o doveri. Per quanto riguarda la
bancarotta impropria " societaria", si è stabilito, con l'intento di evitare una sovrapposizione con le
fattispecie di causazione del dissesto, che i fatti rilevanti siano le falsità contemplate dagli artt. 2621 e
2622 (false comunicazioni sociali), 2623 (falso in prospetto), 2624 (falsità nelle relazioni o nelle
comunicazioni delle società di revisione) e 2638 (ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità
pubbliche di vigilanza) del c.c.. Si è esclusa, inoltre, la necessità che i fatti abbiano cagionato o concorso
a cagionare il dissesto, ritenendo sufficiente che siano stati realizzati nell'area di rischio.
Il punto 8 disciplina le sanzioni. La reclusione massima per la bancarotta fraudolenta
patrimoniale e per quella documentale dell'imprenditore individuale e dei soggetti indicati al punto 3 è
ridotta a 6 anni dagli attuali 10 (il minimo passa da 3 a 2 anni). A un massimo di 4 anni scende la pena
della bancarotta preferenziale e della bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale impropria
10
indicata al punto 4. Quest'ultima riduzione è del tutto ingiustificata, sia in termini assoluti sia in
relazione alla circostanza che, per i corrispondenti fatti di bancarotta dell'imprenditore individuale, è
proposto un massimo più elevato (6 anni). Nessuno può pensare che il fatto dell'imprenditore
individuale esprima un più grave disvalore di quello compiuto, su un patrimonio che neppure gli
appartiene, dal suo institore o, peggio, dall'amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore di una
società, magari quotata. Anzi, anche volendo considerare accettabile, per la limitata dannosità
economica del fenomeno, la pena ipotizzata per l'imprenditore individuale, essa è palesemente
incongrua rispetto ai grandi dissesti societari di questi tempi e ancora meno proponibile è che queste
ipotesi di bancarotta, fatta salva l'incidenza di eventuali circostanze aggravanti, finiscano col prescriversi
in 5 anni (7 anni e mezzo in presenza di atti interruttivi). Un massimo di 2 anni è previsto, poi, per la
bancarotta semplice.
L'ultimo punto della lettera a tratta delle circostanze del reato, imponendo la previsione di una
circostanza attenuante per i comportamenti che, successivamente ai fatti, ma tempestivamente, abbiano
cancellato le conseguenze dannose. La lettera b conserva, infine, la pena accessoria dell'interdizione
temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese in caso di condanna per
bancarotta fraudolenta e per bancarotta semplice impropria.
5. CONCLUSIONE
Al termine del presente lavoro,possono tracciarsi le seguenti conclusioni.
Il rischio d’ impresa può essere utilmente rapportato a profili di responsabilità dolosa dell’
agente grazie, da un lato, al ricorso a strumentari teorici interni alla scienza penale, dall’ altro ad un
approccio integrativo di stampo interdisciplinare derivante dalle più recenti elaborazioni della teoria
economica della corporate e control governance; all’ interno di quella particolare fase patologica della vita
della impresa, individuale o societaria, caratterizzata dal fattuale stato di insolvenza ovvero di dissesto
economico dell’ imprenditore o, comunque, dei responsabili della società sfociante nella formale
dichiarazione di fallimento, il profilo della volizione dolosa di condotte vietate ha condotto il legislatore
a giustapporre, accanto alle tutele tradizionalmente civili e individuali di diritto sostanziale e rituale,
sanzioni penali volte a preservare interessi diversi e di più ampio respiro, in funzione non solo
repressiva ma pure preventiva della criminalità economica, nell’ ambito di una zona che abbiamo
definito come di “rischio penale qualificato”.
In tal senso, lo studio di alcune delle più importanti fattispecie penali incriminatici fallimentari,
anche se ristretto al solo angolo visuale dell’ elemento soggettivo, pare senza dubbio confermare che il
messaggio del legislatore fallimentare è ripetutamente questo: impedire all’ imprenditore in stato di
insolvenza di continuare ad operare attraverso una catena di divieti, che in positivo si traduce nella
tutela dei creditori, della correttezza processuale del fallimento e, in definitiva, di una retta gestione
dell’economia nazionale, nonché di un’ equa amministrazione della giustizia.
Del resto, le accennate prospettive di riforma (culminanti nella recentissima legge delega per la
riforma dei reati fallimentari, dei cui punti salienti ci siamo occupati) sembrano in parte contraddire l’
esigenza sempre più avvertita dai risparmiatori e, in generale, dagli ambienti interessati (basti pensare ai
crac della Parmalat e della Cirio) di rafforzare i mezzi di tutela già esistenti a favore di una più ordinata e
prudente gestione delle leve del potere del potere economico, inducendo gli operatori a dismettere
atteggiamenti mentali di spregiudicato machiavellismo ed assumere condotte improntate ad una più
sana etica degli affari.
Davide Prinari
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