Capitolo 2 Il moto I tipi di moto che si osservano in Natura sono un’ immensa varietà: dal moto dei pianeti attorno al Sole al moto di un protozoo in una pozzanghera oppure moti più comuni come il correre, lo stare seduto (stare fermi è un particolare moto) etc. La cosa incredibile per certi aspetti è che questa potenzialmente infinita varietà soddisfa a tre leggi fondamentali, enunciate da Newton verso la fine del ’600, nell’opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica pubblicata nel 1687, quasi un secolo dopo le osservazioni sul moto che Galileo Galilei svolse durante tutto l’arco della sua vita e che riassunse nell’opera Discorsi e dimostrazioni matematiche sopra due nuove scienze, pubblicata nel 1638. 2.1 Le leggi della Meccanica • Prima Legge della Meccanica: Un corpo non soggetto a forze esterne si muove di moto rettilineo uniforme. • Seconda Legge della Meccanica: Un corpo soggetto a una forza esterna subisce un’accelerazione, diretta nello stesso verso della forza e inversamente proporzionale alla massa del corpo: ~a = F~ m • Terza Legge della Meccanica: Se il corpo A esercita sul corpo B una forza F~ allora il corpo B esercita su A una forza uguale in modulo e opposta in direzione: F~B→A = −F~A→B 1 (1.1) 2 L’importanza delle leggi della Meccanica sta nella loro universalità: comunque siano fatte le forze ovvero qualunque sia il moto conseguente, queste tre leggi sono rispettate. Qui in verità trascuriamo cose più sofisticate come le correzioni dovute alla teoria della Relatività e gli effetti quantistici che incominciano a diventare importanti in ambiti più ristretti o meglio ad un livello superiore di descrizione dei fenomeni. 2.1.1 Forze e vettori Come si vede, le leggi della meccanica poggiano sulla spiegazione della nozione di forza. Poiché però non vogliamo intraprendere una discussione epistemologica, ossia sulle proprietà logiche cui deve soddisfare la nozione di forza affinché sia correttamente definita, diciamo semplicemente che la forza esprime l’azione di un corpo su un altro e che quest’azione è schematizzata da un oggetto matematico, il vettore F~ , che compare nelle equazioni precedenti. Come vedremo tra breve, il vettore, dal punto di vista matematico, ha delle proprietà (ad esempio, due vettori si possono sommare secondo una regola). Il fatto che le forze di cui ci occupiamo nello studio del moto possano essere rappresentate da vettori con tali proprietà è frutto innanzitutto della generalizzazione dei dati sperimentali ed anche di un’elaborazione teorica. Si potrebbe anche osservare che il successo che la teoria matematica dei vettori ha avuto, dipende dal fatto che essi esprimono correttamente certe proprietà che si ritrovano in concetti utili nella descrizione del mondo fisico, come le forze. Il prototipo di vettore: lo spostamento Un vettore è, per i nostri scopi, un oggetto che ha una direzione ed un verso, in pratica una freccia. Il prototipo di vettore in Fisica è lo spostamento. Esso è la freccia congiungente il punto iniziale ed il punto finale di un certo movimento. Risulta evidente che per lo spostamento occorre fornire più informazioni per definirlo univocamente. Si consideri un corpo che inizialmente si trova nella posizione O e che compia un certo spostamento. Evidentemente non è sufficiente dire che il corpo si è spostato, ad esempio, di 12 centimetri per sapere dove si trova dopo lo spostamento. Neppure una affermazione come: si è spostato di 12 centimetri orizzontalmente ossia nel piano ortogonale alla gravità, è sufficiente. Occorre anche specificare la direzione dello spostamento orizzontale, ad esempio si dirà si è mosso orizzontalmente lungo il bordo rettilineo di una strada Anche qui rimane una ambiguità perchè il bordo può essere percorso in due versi. Si dovrà dunque dire: F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 3 Il corpo si è spostato dal punto O muovendosi orizzontalmente per 12 centimetri nella direzione del bordo rettilineo della strada percorrendola nel verso che si allontana da ... L’insieme di queste informazioni sono riassunte da un oggetto geometrico, una freccia appunto, che ha origine nel punto O, giace nel piano orizzontale è parallela al bordo della strada e punta verso il punto di arrivo P dello spostamento. Questa freccia è, per definizione il vettore spostamen~ . D’ora in poi, i simboli con una freccia sopra indicano dei vettori. to OP Nel testo, per ragioni di semplicità tipografica, saranno anche indicati con lettere in grassetto, tipo F, s etc. Dopo avere fatto questa identificazione tra lo spostamento ~s e la freccia (vettore) ci si possono domandare alcune cose. In primo luogo: quale ~ faccio un secondo spostamento ottengo se dopo lo spostamento s~1 = OP spostamento, rappresentato dalla freccia s~2 partendo da P ? Dal punto di vista geometrico la situazione è evidente ed è rappresentata in figura. Il risultato dei due spostamenti è equivalente al singolo spostamento che dalla coda del primo va alle punta del secondo. Se con quest’ultimo spostamento sono ~ arrivato nel punto Q il vettore che rappresenta lo spostamento totale è OQ. Sono quindi indotto ad interpretare questo vettore come la composizione (somma) dei due spostamenti e scrivere: ~ = ~s1 + ~s2 OP Dalla figura dovrebbe risultare evidente perché questa regola di somma prende il nome di regola del parallelogramma: il vettore risultante dalla somma è la diagonale del parallelogramma che ha i due vettori addendi come lati consecutivi. Una seconda domanda, meno intuitiva, che ci si può porre è: che succede se faccio uno spostamento multiplo di uno spostamento dato? Ad esempio, ~ . Dal punto di vista che succede se faccio uno spostamento doppio di OP della regola di somma la situazione dell’esempio è chiara. Io ho due frecce uguali una davanti all’altra. Applicando la regola di somma ottengo che il doppio spostamento equivale ad uno spostamento nella stessa direzione e verso del primo, ma con lunghezza doppia. Con questo esempio in testa è facile generalizzare al caso di moltiplicazione dello spostamento per un numero qualunque positivo: lo spostamento risultante ha la stessa direzione e verso di quello di partenza, ma lunghezza uguale al prodotto del numero per la lunghezza originaria. Per includere anche il caso in cui si moltiplica il vettore per un numero negativo si assume che in questo caso lo spostamento risultante ha la stessa direzione di quello di partenza, lunghezza data dalla moltiplicazione della lunghezza per il numero e verso opposto. Ad esempio ~ è identico ad OP ~ , ma è diretto nel verso opposto. il vettore −OP Tutti gli altri vettori, tra i quali la forza, sono definiti come oggetti che hanno le stesse proprietà geometriche ed algebriche degli spostamenti. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 4 Le due operazioni che abbiamo illustrato per lo spostamento possono dunque essere enunciate in generale come le operazioni fondamentali tra i vettori: • Regola 1: I vettori possono essere sommati, con la stessa procedura con cui si sommano gli spostamenti, mettendo una dietro l’altra le frecce: • Regola 2: I vettori possono essere moltiplicati per un numero dando luogo a vettori di lunghezza multipla di quella precedente e verso concorde o opposto a seconda che λ > 0 o λ < 0 . È evidente che l’applicazione di queste regole espresse in forma geometrica è alquanto complicato. Lo studente ha incontrato una situazione analoga quando ha studiato le proprietà di curve notevoli come le parabole, le circonferenze e ancora i fasci di rette, i triangoli etc. Almeno nei casi più semplici, come, ad esempio, trovare la distanza tra due punti, egli ha visto che il metodo analitico, basato sulla rappresentazione dei punti in un sistema di assi cartesiani semplifica di molto le cose e propone una serie di metodi di calcolo per i più diversi problemi. Il vantaggio vale anche nel caso del calcolo vettoriale. Il punto di partenza da cui dobbiamo partire è come rappresentare in modo analitico il vettore. Consideriamo dunque la figura nella F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 5 quale è disegnato un vettore (freccia) entro una coppia di assi cartesiani1 . Definiamo componenti del vettore le lunghezze dei segmenti che si ottengono proiettando (ossia unendo con rette ortogonali agli assi) gli estremi del vettore su ciascuno degli assi. Le lunghezze sono prese con il segno positivo se la proiezione della punta del vettore indica il verso scelto come positivo sull’asse considerato. In questo modo otteniamo una corrispondenza tra i vettori e le coppie ordinate di numeri: ~ ⇔ (Vx , Vy ) V ~ . Il loro valore Vx e Vy sono dette componenti x ed y del vettore V numerico dipende dalla scelta degli assi. Es.1 Quanto valgono le componenti ax ed ay del vettore rappresentato in figura? Con questa rappresentazione la regola di somma si esegue immediatamente sommando le componenti corrispondenti dei vettori, come mostrato nella figura: 1 In questa introduzione ci limitiamo al caso di vettori nel piano. La generalizzazione dei metodi che troveremo ai vettori nello spazio è immediata con l’aggiunta di una terza componente. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 6 Riassumendo la regola: • Dati due vettori la cui rappresentazione cartesiana, nello stesso sistema di assi, è rispettivamente ~a = (ax , ay ) e ~b = (bx , by ), il vettore somma è rappresentato da ~a + ~b = (ax + bx , ay + by ) Es.2 (1.2) Si rappresentino in un sistema di assi cartesiani del piano i vettori facendo partire tutti i vettori dall’origine degli assi. Siano dati ~a = (2, 3) e ~b = (−4, 1) e si rappresentino graficamente. Si calcolino con la regola (1.2) le componenti di ~c = ~a + ~b e si rappresenti il vettore ~c nel sistema di assi scelti. Si verifichi graficamente che la regola analitica equivale a quella geometrica (del parallelogramma). Per quanto riguarda la moltiplicazione del vettore per un numero vale, per le rappresentazioni cartesiani dei vettori, la seguente regola di calcolo: • Dato un vettore la cui rappresentazione cartesiana è ~a = (ax , ay ) il vettore risultante dalla moltiplicazione di a per un numero reale c è rappresentato da c~a = (cax , cay ) Es.3 (1.3) Si disegni sul piano cartesiano il vettore ~a = (3,2) che parte dall’origine O degli assi. Si tracci il vettore che vale 3 volte ~a, sempre con origine in O. Si mostri, usando le proprietà dei triangoli simili che le componenti del vettore 3~a sono tre volte le componenti di ~a. Viceversa, si disegni il vettore che ha le componenti (−2ax , −2ay ) e si verifichi graficamente che esso ha verso opposto ad ~a ed è lungo il doppio. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 7 Modulo di un vettore Abbiamo detto che le componenti di un vettore cambiano, cambiando l’orientazione degli assi cartesiani. Il lettore può verificare di avere compreso il punto risolvendo il seguente esercizio: Es.4 45◦ Scrivere le componenti del vettore dell’esercizio 1 rispetto ad una coppia di assi ruotati di in senso antiorario rispetto a quelli della figura iniziale. C’è però una caratteristica del vettore che non deve cambiare ed è la sua lunghezza. Per non confondere il termine con la misura della distanza, la lunghezza del vettore si usa chiamare anche modulo (o anche intensità). I tre termini, quando sono riferiti ad un vettore sono sinonimi. Considerando ancora la fig.(2.1.1), è immediato applicare il teorema di Pitagora e dire che ~ = (Vx , Vy ) vale: il modulo di un vettore V q ~ |V | = Vx2 + Vy2 ~ è un vettore e il modulo A primo membro si è esplicitamente indicato che V è indicato dalle barre verticali. Quando il primo fatto è chiaro dal contesto il ~ , può indicarsi semplicemente omettendo la freccia: modulo di un vettore V ~|⇔V |V Vale, dunque, la seguente regola • Dato un vettore la cui rappresentazione cartesiana è ~a = (ax , ay ) il suo modulo è un numero reale positivo che vale: q a = |~a| = a2x + a2y (1.4) Dati i due vettori ~a = (−2, 3) e ~b = (1, −1) se ne calcoli il modulo e si calcoli anche il modulo del vettore ~a + ~b. Verificare che misurando le lunghezze dei tre vettori su di un grafico si Es.5 ottengono valori compatibili con quelli calcolati. Una operazione molto utile è la differenza tra due vettori. Questa operazione è utile per descrivere la variazione di una grandezza vettoriale (ad esempio nel tempo). Dal punto di vista algebrico non c’è bisogno di nessuna regola ulteriore: la differenza tra due vettori è la somma del primo e dell’opposto del secondo. Si applica quindi la Regola 2 moltiplicando il secondo vettore per -1 per trovare l’opposto e poi si applica la Regola 1 per sommare questo con il primo vettore. Traducendo questa procedura nella rappresentazione cartesiana si trova ovviamente la seguente regola: ~a − ~b = (ax − bx , ay − by ) F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 8 Sarà piuttosto utile nel seguito avere presente la interpretazione geometrica della differenza tra due vettori. Questa è rappresentata nella seguente figura dove i vettori ~a e ~b sono disegnati come frecce che hanno la stessa origine. Il vettore differenza ~a − ~b è rappresentato dalla freccia che dalla punta del secondo (sottraendo) va alla punta del primo (minuendo). Variazione (derivata) di una grandezza vettoriale Dobbiamo qui discutere un ultima definizione che mette insieme i due oggetti matematici di cui ci siamo occupati fin qui, descrivendone l’interesse nella descrizione dei fenomeni fisici: il vettore e la derivata. Per illustrare questo punto risulta conveniente introdurre un vettore con cui si è soliti descrivere il moto di un corpo. La situazione è relativamente semplice e riprende concetti che sono parte dei programmi di studio precedenti. Consideriamo un punto P 2 che si muove per semplicità in un piano. Ad un dato istante la posizione di questo punto è individuata da un vettore detto vettore posizione ~r che va da un punto di riferimento (origine) al punto P . Ad un istante successivo la posizione del punto in moto può essere cambiata ed è identificata da un vettore posizione in genere diverso. Detto in modo più formale: il movimento del punto è descritto da un vettore variabile nel tempo3 ~r(t). In termini della rappresentazione cartesiana ciò significa che ogni componente è funzione del tempo: ~r(t) = (x(t), y(t)) In figura si vede che il vettore spostamento tra il tempo t1 in cui la posizione è individuata dal vettore ~r(t1 ) e il tempo t2 , in cui la posizione è individuata dal vettore ~r(t2 ) è la differenza ∆~r = ~r(t2 ) − ~r(t1 ), ovvero è la variazione del vettore posizione. In termini della rappresentazione cartesiana dei vettori: 2 Questo può essere un corpo assimilabile ad un punto, si dice un punto materiale, oppure un determinato punto di un corpo esteso. 3 La scrittura ~r(t) non dovrebbe dare luogo a equivoci. Si tratta di una funzione del tempo che associa ad ogni istante t il vettore posizione ~r. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 9 ~r(t1 ) = (x(t1 ), y(t1 )) ~r(t2 ) = (x(t2 ), y(t2 )) e la variazione: ∆~r = (x(t2 ) − x(t1 ), y(t2 ) − y(t1 )) = (∆x, ∆y) Come nella definizione di derivata se si divide la variazione per l’intervallo di tempo ∆t = t2 − t1 si ottiene il rapporto incrementale che per il vettore posizione è la velocità media nell’intervallo ∆t. Per la Regola 2 dal momento che ∆t è uno scalare si ha che è come dividere ciascuna componente per ∆t: ∆~r ∆x ∆y =( , ) ∆t ∆t ∆t dopodiché facendo tendere a zero l’incremento ∆t si ottiene la variazione istantanea di ~r ossia la sua derivata temporale che nel caso del vettore posizione è la velocità propriamente detta : d~r dx dy = ( , ) = (vx , vy ) (1.5) dt dt dt In generale, se si ha un vettore dipendente dal tempo, possiamo considerare le sue componenti come dipendenti dal tempo e le componenti del vettore derivata si trovano derivando le componenti (funzioni ordinarie) del vettore di partenza. In formule se ~e(t) = (ex (t), ey (t)): ~v = d~e dex dex =( , ) dt dt dt Anche in questo caso la rappresentazione cartesiana dell’operazione sui vettori semplifica grandemente il calcolo. Abbiamo dunque visto che la velocità è la derivata del vettore posizione. Il vettore velocità può a sua volta variare durante il moto e la sua variazione è descritta dalla sua derivata che è, come sappiamo, l’accelerazione ~a: d~v d2~r = 2 dt dt avendo usato la notazione di derivata seconda (d2 /dt2 ) per la derivata della derivata prima essendo la velocità la derivata della posizione. ~a = Esempio: velocità ed accelerazione nel moto circolare uniforme Una particella puntiforme (punto materiale) di massa m compie una traiettoria circolare di raggio R con velocità in modulo costante (moto circolare uniforme) e percorre un giro completo in un tempo T , detto periodo del moto circolare uniforme. Mostrare che l’accelerazione è diretta verso il centro della circonferenza e calcolarne il modulo. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 10 Scelto il centro della circonferenza come il punto di riferimento dei vettori posizione, la posizione di m risulta individuata da un vettore ~r, di modulo R che ha origine nel centro O della circonferenza e termina nella posizione della particella (vedi figura). Al passare del tempo il vettore ruota uniformemente seguendo la posizione di m. Si consideri inoltre un sistema di assi cartesiani con origine il punto O e l’asse x diretto nella posizione occupata dalla particella al tempo t = 0. Sia θ(t) l’angolo che, all’istante t il raggio vettore fa con l’asse x e si considerino le componenti x e y del vettore ~r, secondo questo sistema. Nel corso del tempo il vettore cambia e cambiano le componenti che dunque sono due funzioni del tempo tramite l’angolo θ(t). L’assunzione che il moto sia uniforme ci dice che l’angolo varia proporzionalmente al tempo. Per trovare la costante di proporzionalità basta osservare che l’angolo corrispondente ad un giro completo vale 2π rad e, dunque, il tempo T sta all’angolo 2π come il tempo t sta all’angolo θ(t) percorso nel tempo t, ovvero: θ(t) = 2π t = ωt T (1.6) dove si è chiamato 2π/T con il simbolo ω che è detta velocità angolare. Es.6 Giustificare, derivando esplicitamente l’espressione (1.6) di θ(t), il nome assegnato ad ω. Quindi, il raggio vettore ~r(t) può essere espresso tramite le componenti: ~r(t) = (x(t), y(t)) = (R cos θ(t), R sin θ(t)) = (R cos ωt, R sin ωt) (1.7) La scrittura precedente è detta legge oraria del moto circolare uniforme ed è la descrizione completa del moto, nel senso che permette di calcolare F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 11 la posizione occupata dalla particella ad ogni istante t ed anche tutte le altre grandezze4 che caratterizzano il moto della particella quali la velocità, l’accelerazione e cosı́ via. Vediamo, ad esempio, come si calcola il vettore velocità ~v . Applichiamo la (1.5) alle componenti x(t), y(t) della eq.(1.7): ~v = (−ωR sin ωt, ωR cos ωt) Il modulo di questo vettore ci dà il modulo della q velocità. Ricordando che per un vettore ~a = (ax , ay ), il modulo è a = a2x + a2y si trova, per la velocità nel moto circolare uniforme: q q v = vx2 + vy2 = ω 2 R2 (sin2 ωt + cos2 ωt) = ωR che, come ci si aspettava non dipende dal tempo. Nel moto circolare uniforme il modulo della velocità non cambia. Ciò non significa che il vettore velocità non cambia. Infatti questo muta continuamente direzione, rimanendo tangente alla traiettoria circolare. Per trovare l’accelerazione basta derivare, con le stesse regole il vettore velocità: d~v dvx dvy ~a = = , dt dt dt ovvero: ~a = (−ω 2 R cos ωt, −ω 2 R sin ωt) raccogliendo −ω 2 tra le due componenti si trova: ~a = −ω 2 (R cos ωt, R sin ωt) = −ω 2~r e si vede che la accelerazione è un vettore opposto al vettore posizione essendo data dalla moltiplicazione del vettore ~r per un numero negativo. Poiché il vettore posizione va dal centro della circonferenza al punto occupato dalla particella, abbiamo confermato il fatto ben noto che l’accelerazione nel moto circolare uniforme va dalla particella al centro della circonferenza ed è, quindi, una accelerazione centripeta. Il suo modulo è il prodotto di ω 2 per il modulo (lunghezza) di ~r che è il raggio della circonferenza percorsa: a = ω2R = Es.7 v2 R La Terra nel suo moto intorno al sole percorre con buona approssimazione una circonferenza di raggio 150 milioni di chilometri in un tempo di un anno. Quali sono il modulo della velocità e della accelerazione con cui si sposta la Terra in questo moto, cosiddetto di rivoluzione. Esprimere i risultati rispettivamente in Km/h ed in m/s2 . Si calcoli anche il rapporto tra il campo di gravità terrestre e l’accelerazione calcolata. 4 Esse sono dette grandezze cinematiche. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 12 Usare le leggi della meccanica La prima cosa da specificare che la fisica si occupa di cose materiali e specifiche: prima scegliamo cosa studiare, cioè di quale corpo siamo interessati a conoscere il movimento, dopo applichiamo le leggi della fisica per determinare le caratteristiche del moto. Questo automaticamente opera una distinzione fra l’oggetto di studio ed il resto dell’Universo, che chiameremo brevemente esterno, senza questa distinzione di base non ha senso fare affermazioni fisiche. Il primo punto da sottolineare è che l’affermazione del secondo principio F~ = m~a non è un’identità, non cioè un nome che diamo al prodotto m~a, ma una relazione fra due cose che addirittura fanno riferimento a corpi diversi: ~a, l’accelerazione del corpo che stiamo studiando e F~ , invece, l’azione che il resto dell’Universo, o una sua parte, esercitano sul corpo in esame. In altre parole ~a è una proprietà del corpo, F~ una caratteristica, un’azione, che l’esterno esercita sul corpo. La questione della sorgente e del corpo palese nel terzo principio (1.1): la prima è una forza esercitata su A (da B che è esterno ad A) la seconda quella esercitata su B da A (che è esterno a B). Uno dei compiti della Fisica è appunto quello di elaborare la modellizzazione di queste forze in varie circostanze, nella speranza (verificata) che le forze fondamentali siano poche. Alcuni esempi che dovrebbero essere già noti al lettore di questi appunti sono: • La forza peso P~ = m~g è direttamente proporzionale alla massa. Il valore di g dipende dal corpo che esercita questa forza. Nel caso della Terra, in vicinanza della superficie terrestre g ' 9.81 m/s2 ed il vettore ~g individua la verticale. • La spinta di Archimede esercitate DAL fluido SUL corpo in esso immerso. • La forza di attrito che un fluido oppone ad un corpo che si muove immerso in esso. La seconda legge della meccanica implica che la forza sia un vettore. Infatti essa stabilisce una uguaglianza tra il prodotto della accelerazione (che abbiamo visto è un vettore) con la massa che invece è uno scalare, ossia è espressa da un numero. Un simile prodotto dà luogo ad un vettore secondo la Regola 25 . Affinché valga l’uguaglianza occorre che anche la forza sia un vettore, come ci si aspetta intuitivamente osservando che per descrivere 5 Qui si sta assumendo che il prodotto che abbiamo usato nella discussione dei vettori F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 13 una forza non basta dire quanto è intensa, ma occorre anche specificare in che direzione e verso agisce. Occorre distinguere l’affermazione matematica precedente che la forza è un vettore dalla Fisica. In effetti, dati due vettori è sempre possibile fare la somma. Perché la nozione di forza abbia interesse nell’uso delle leggi della meccanica bisogna che se una forza F~ è ottenibile come la somma delle forze F~1 e F~2 , allora gli effetti (l’accelerazione) provocata da F~ si può ottenere sommando (vettorialmente) le accelerazioni dovute alle singole forze. È quanto stabilisce la seconda legge della meccanica. Allo stesso modo va inteso il viceversa, cioè: supponiamo che una sorgente S1 (un corpo esterno) fornisca una forza F~1 ed una sorgente S2 una forza F~2 . È vero che in presenza di entrambe le sorgenti si ha una forza F~ = F~1 + F~2 ? Anche questa è una assunzione fisica e deve essere verificata sperimentalmente, cioè è una proprietà del tipo di forze e sorgenti. Un esempio antropomorfico: se due persone separatamente sono capaci di spingere un mobile non detto che quando sono assieme riescano a spingerlo con la somma delle forze, ad esempio possono litigare fra loro e non spingere affatto. In molti esempi realistici, nel caso in cui le sorgenti non interferiscano fra loro, la affermazione è vera e va sotto il nome di principio di sovrapposizione. Con queste osservazioni l’uso pratico della seconda legge della dinamica quando il corpo è assimilabile ad un punto materiale di massa m è evidente e consiste di due modalità: • Si conosce come il corpo si muove (come caso di conoscenza completa si ha la legge oraria del punto materiale ~r(t)) ovvero si conosce la sua accelerazione ~a allora si usa la legge di Newton per dedurre la risultante F~ delle forze applicate al corpo: F~ = m~a • Si conoscono le forze applicate al corpo. Allora si calcola la risultante F~ di queste forze e con la legge di Newton si deduce l’accelerazione: ~a = 1 ~ F m dopodiché si cerca di ricavare la legge oraria6 come entità geometriche abbia le stesse proprietà quando si fa il prodotto tra grandezze fisiche che hanno dimensioni. Alla fine la risposta a questo genere di interrogativi sta nella generalizzazione delle osservazioni sperimentali tutte compatibili con questo genere di assunzioni. 6 Conoscere l’accelerazione significa conoscere la derivata della velocità per cui, almeno nei casi più semplici, si potranno applicare metodi analoghi a quelli visti nel primo capitolo per ricavare la ~v (t) e da questa che è la derivata della posizione cercare di esprimere, con funzioni elementari la legge oraria ~r(t) F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 14 Il primo di questi progetti è quello scientificamente più profondo. È, in linea di principio, la strada per scoprire le forze fondamentali. Newton, ad esempio lo ha applicato calcolando dai dati (posizione in funzione del tempo) del moto dei pianeti (di Marte in particolare) la accelerazione e dimostrando che essa era diretta verso il Sole. La esistenza di una forza sul pianeta diretta verso il Sole era la prova che quest’ultimo era la sorgente di una attrazione gravitazionale. Newton estese dunque a tutti i corpi dell’universo questa capacità di esercitare una attrazione gravitazionale sugli altri corpi. Dal valore dell’accelerazione si poteva anche calcolare il modulo di questa forza e ottenere informazioni sulla massa del sole. Inoltre il confronto del modulo della accelerazione in pianeti a distanza diversa mostrava la dipendenza della forza dall’inverso del quadrato della distanza. Il secondo progetto è più applicativo in quanto dice che se si conosce un modello attendibile della forza che agisce su un corpo si può cercare di calcolarne il moto a partire da condizioni iniziali date. È in questa versione che la maggior parte dei lettori ha applicato la legge di Newton al moto di caduta di un grave in prossimità della Terra. Qui la forza cui sono soggetti i corpi è il peso che è proporzionale alla massa del corpo per cui: m~a = m~g e si ricava che l’accelerazione cui è soggetto ogni corpo è costante, indipendente dalla massa e uguale al campo di gravità terrestre. Con queste caratteristiche si può facilmente dimostrare che il moto avviene su traiettorie paraboliche nel piano che contiene il vettore ~g e la velocità iniziale ~v0 . Osservazioni sul terzo principio Per parlare di accelerazione dobbiamo definire una velocità e misurarne la variazione. Il problema è la velocità di cosa? La velocità descrive la variazione della posizione, quindi la domanda si può rifrasare in: la posizione di quale punto? Nel caso del moto di un punto materiale è evidente che l’unico punto di cui fa senso parlare è il corpo stesso per cui si intende nella legge di Newton l’accelerazione del punto materiale e le forze sono, lo ripetiamo, schematizzazione della azione di corpi esterni sul punto materiale. Consideriamo per fissare le idee il volo di una mosca. È abbastanza intuitivo che questa descrive una traiettoria. Supponiamo di conoscere tutte le forze che agiscono su una mosca e di voler calcolare questa traiettoria, cosa stiamo calcolando? L’immagine intuitiva che abbiamo del problema quella di considerare la mosca puntiforme, e questa ci aspettiamo sia una buona approssimazione se non vogliamo esaminare l’animale al microscopio. Un ulteriore e non indifferente vantaggio è che in questo modo non consideriamo i movimenti delle parti della mosca, D’altra parte è indubbio che il movimento delle ali è molto diverso dalla traiettoria dell’animale. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 15 A questo stadio, il terzo principio ci dice solo che per ogni corpo esterno che esercita una forza sul punto materiale (sulla mosca) questo esercita una forza opposta sul corpo esterno (ad esempio l’aria entro cui si muove la mosca esercita una forza di resistenza al moto e la mosca a sua volta esercita una forza sull’aria mettendola in moto). Si faccia attenzione che le due forze che storicamente venivano chiamate azione e reazione sono applicate su corpi diversi e pertanto non ha senso sommarle quando si considera il moto di un singolo corpo come è il punto materiale (la mosca). Vedremo tra breve come la fisica affronta lo studio del moto di corpi composti. Ma prima di questo illustriamo queste prime osservazioni applicandole allo studio di un punto materiale in equilibrio. Equilibrio di un punto materiale Il primo dei due programmi enunciati sopra per l’uso della legge di Newton ha una applicazione pratica interessante ai casi in cui si ha un corpo in equilibrio. Questa condizione equivale a dire che il corpo, soggetto ad un insieme di forze esterne, si trova in uno stato per cui se è fermo rimane fermo. La legge di Newton ci dice che il punto materiale può essere in equilibrio solo se è fermo in una posizione in cui la risultante delle forze esterne è nulla. Infatti sotto questa condizione, la accelerazione è nulla e la velocità non cambia. E, se la velocità è nulla tale rimane ed il corpo non si muove. Si rifletta sul fatto che non tutti gli stati di equilibrio sono qualitativamente uguali. In particolare si distinguono due casi importanti che sono diversi per il comportamento che il corpo in equilibrio ha se lo perturbo (per perturbazione si intende o che lo sposto un poco dalla posizione di equilibrio o, ciò che è lo stesso, gli imprimo una piccola velocità iniziale). Si danno due casi: se l’evoluzione successiva alla perturbazione allontana indefinitamente il corpo dal punto in cui era in equilibrio si dice che questo è un equilibrio instabile. Se, al contrario la perturbazione dà origine a forze che tendono a riportare il punto materiale nella sua posizione di equilibrio si parla di equilibrio stabile. Esempio svolto In una condizione di equilibrio è possibile determinare le forze che agiscono sul corpo stesso, seguendo quindi il primo dei due programmi: determinare le forze dalla conoscenza del moto, qui dell’assenza di moto, del corpo. Illustriamo questa situazione con un sistema schematizzato costituito da un peso di massa M = 5kg che è appeso al soffitto con dei tratti di corde ideali, secondo lo schema rappresentato in figura e proponiamoci di determinare la tensione in ciascuno dei tre tratti di corda. Come prima cosa dobbiamo dare un modello della corda come possibile sorgente di forza. Partendo dalla esperienza diciamo innanzitutto che una F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 16 corda può esercitare una forza di trazione, detta tensione, lungo la direzione della corda stessa sui corpi fissati alle sue estremità. Noi con una corda possiamo trarre verso di noi un cagnolino che sia fissato con il collare all’estremità della corda, ma non possiamo usare questo guinzaglio per spingere la bestiolina lontano da noi. Per una corda ideale, la tensione è in modulo uguale ai suoi estremi e caratterizza dunque lo stato della corda nel suo insieme. Ad, esempio per la corda verticale della figura, la forza che agisce nel punto A è uguale in modulo a quella che la corda esercita sul corpo sospeso. Applichiamo dunque la condizione di equilibrio. Il peso non si muove per cui la somma della forza della corda e del peso si annullano ossia il modulo T1 = M g ' 50N Possiamo poi disegnare subito il verso di azione delle forze che agiscono nel punto di congiunzione A delle tre corde, come è indicato dalle frecce nella figura. Inoltre, la condizione di equilibrio per le tre forze concorrenti nel punto A è ancora che la somma dei tre vettori forza sia nulla, ossia: T~1 + T~2 + T~3 = 0 Conviene calcolare questa condizione utilizzando le componenti verticali ed orizzontali. Scegliamo per questo una coppia di assi cartesiani con centro nel punto A e diretti orizzontalmente verso destra (asse x) e verticalmente verso l’alto (asse y). L’angolo che T~2 fa con la direzione (positiva) dell’asse orizzontale è θ2 = 60◦ e l’angolo che T~3 fa con la direzione (negativa) dell’asse orizzontale è θ3 = 30◦ . Lungo la direzione x si sommano le componenti orizzontali di T~2 e T~3 : T2 cos θ2 − T3 cos θ3 = 0 F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 17 Si noti che le componenti sono state prese con il segno conseguente alla scelta della direzione positiva dell’asse x. Nella direzione y: T2 sin θ2 + T3 sin θ3 − T1 = 0 Qui la Fisica ha svolto il suo compito trovando la condizione cui devono soddisfare i moduli delle tre forze. Il resto è algebra e ognuno risolve il problema algebrico secondo le sue conoscenze. La soluzione del sistema è immediata, ad esempio applicando la regola di Cramer. In alternativa noi applichiamo il metodo di riduzione7 , ad esempio moltiplicando la prima equazione per sin θ3 e la seconda per cos θ3 e poi sommando le due equazioni risultanti. L’incognita T3 non compare nell’equazione risultante e il numero di incognite risulta quindi ridotto: T2 (cos θ2 sin θ3 + cos θ3 sin θ2 ) = T1 cos θ3 Ricordando l’identità trigonometrica sin(α + β) = cos α sin β + cos β sin α, si ricava: cos θ3 T2 = T1 sin(θ2 + θ3 ) Lo studente dovrebbe mostrare che un calcolo analogo porta a: T3 = T1 cos θ2 sin(θ2 + θ3 ) Osservando che nel caso numerico in questione θ2 + θ3 = 90◦ , il seno al denominatore vale 1 per cui le due soluzioni sono: √ 3 = 43N T2 = M gcos 30 = 50 2 e 1 T2 = M gcos 60 = 50 = 25N 2 Es.8 Un peso di 10 kg è appeso al soffitto con dei tratti di corde ideali, secondo lo schema rappresentato in figura. Determinare la tensione in ciascuno dei tre tratti di corda. Centro di massa Una situazione in cui l’uso della terza legge della meccanica è essenziale si ha quando si vuole considerare il moto di un corpo che può essere visto come suddiviso in parti e siamo interessati a studiare il moto del corpo nel suo 7 Lo studente dovrebbe conoscere questi metodi di risoluzione almeno per i sistemi lineari di due equazioni e due incognite. In ogni caso dovrebbe sapere applicare il metodo di sostituzione. Si veda un qualunque testo di algebra delle scuole secondarie per i particolari e gli esempi. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 18 insieme tenendo però presente che, diversamente dal caso del punto materiale, questa volta le forze possono essere applicate alle varie parti del corpo e che esistono forze che hanno origine in corpi esterni al sistema e forze di interazione tra le parti del sistema e, quindi, classificabili come interne. Inoltre dobbiamo stavolta chiarire di quale velocità ed accelerazione si tratta nella descrizione del moto e nella applicazione della legge di Newton, giacché le varie parti del corpo sono anche in moto relativo per cui possono avere velocità ed accelerazioni diverse. Si pensi ad esempio ad una persona che corre; le due braccia si muovono in certi momenti con velocità opposte, il busto oscilla avanti ed indietro, una gamba viene sollevata mentre l’altra scende verso terra e cosı́ via. Dato che la legge fondamentale della dinamica fa una affermazione sulla forza applicata e l’accelerazione provocata dobbiamo indagare più a fondo questa situazione complessa. Consideriamo per fissare le idee un corpo formato da due sole parti, A e B. Il sistema globale è formato da A, B ed il resto, che chiameremo esterno, E. Supponiamo per il momento che A e B siano abbastanza piccoli da poter essere considerati puntiformi. In pratica stiamo assegnando una posizione ad A e B (entro gli errori della nostra definizione) e quando parleremo di velocità, accelerazione etc. sarà implicito che faremo riferimento a questa definizione. Consideriamo dunque A e B separatamente. Il secondo principio si applica ai due corpi A e B nel modo consueto (usiamo qui la notazione secondo cui i vettori vengono indicati in grassetto, omettendo per semplicità tipografica la freccia sovrapposta. A tutti gli effetti ~a ≡ a): dvA = FB→A + FE→A dt dvB ≡ mB = FA→B + FE→B dt mA aA ≡ mA mB aB F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 19 Nella notazione delle forze abbiamo esplicitamente scritto per le varie forze il corpo che esercita la forza e quello che la subisce. Ad esempio FE→B indica la forza che l’esterno esercita sul corpo B. Inoltre la prima uguaglianza è in realtà una equivalenza perché si è semplicemente messo al posto della accelerazione la sua definizione come derivata della velocità. Ricordiamo ancora una volta che per studiare il moto di un corpo è necessario individuare il corpo stesso e considerare come esterni tutti gli altri corpi che possono, eventualmente, esercitare delle forze apprezzabili. Per il corpo A, ad esempio, il resto del mondo composto da B + E e solo questi possono esercitare una forza su A, l’analoga cosa vale per B. Se noi ora vogliamo considerare A e B un tutt’uno C, vorremmo scrivere, per C un’equazione del moto nella forma: M dvC =F dt (1.8) dove F è la risultante delle forze che agiscono sul corpo C e vC è una velocità associata al corpo C che ancora dobbiamo capire come è in relazione alle velocità delle parti che lo compongono. Per quanto riguarda le forze queste sono le stesse della schematizzazione precedente. Che ci sia una forza o che non ci sia non dipende dal modo come decido di suddividere o raggruppare un sistema di corpi. Quindi possiamo scrivere la forza risultante come la somma delle forze che prima consideravamo agire sulle due particelle che costuiscono il corpo C: F = FB→A + FE→A + FA→B + FE→B In virtù del terzo principio le forze interne al corpo C sono uguali ed opposte8 quindi si cancellano nella somma e restano solo le forza esterne: F = FE→C = FE→A + FE→B quindi l’unico sistema che conta nell’esercitare la forza che modifica lo stato di moto di C è l’esterno ed il suo effetto complessivo si può trovare sommando le forze che esso esercita sulle singole parti del sistema. Il fatto che qui siano due soltanto non è una limitazione: il ragionamento si sarebbe potuto fare anche per un corpo formato da molte particelle. Le forze di interazione tra ogni coppia di particelle si sarebbero sommate a zero e sarebbero rimaste solo le forze esterne agenti su C. Questo è assolutamente essenziale: possiamo definire la forza totale su un corpo senza preoccuparci delle forze interne al corpo. Se cosı̀ non fosse, qualunque descrizione fisica di un sistema sarebbe impossibile: dovremmo conoscere l’interazione di ogni singola molecola di una mosca con tutte le altre per descriverne il volo, e le parti delle molecole e via di seguito. 8 Si tratta appunto della forza che la parte A esercita sulla parte B e della forza che la parte B esercita sulla parte A. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 20 Le osservazioni precedenti dovrebbero avere chiarito cosa sta scritto a destra della eq.(1.8), vediamo ora cosa c’è scritto a sinistra. Naturalmente la massa totale del corpo è M = mA + mB , nell’ambito della Fisica di cui ci stiamo occupando. Il termine di sinistra della (1.8) può essere determinato sommando membro a membro le due equazioni (1.8): Applicando ancora il terzo principio otteniamo: d d mA vA + mB vB dt dt FE→C = avendo portato dentro la derivata i fattori mA ed mB che sono costanti. Applichiamo ora, in senso inverso, la proprietà di linearità delle derivate per cui la derivata di una somma è la somma delle derivate e scriviamo che la somma delle due derivate è uguale alla derivata della somma. Inoltre, sostituiamo a primo membro il primo membro della (1.8): dM vc d = (mA vA + mB vB ) dt dt e, dividendo ambo i membri per M : dvc d mA vA + mB vB = dt dt M Quindi quando scriviamo l’equazione del moto per l’intero corpo si intende che si fa la derivata della velocità definita come: m A vA + m B vB (1.9) M una specie di velocità media pesata con l’importanza (massa) delle singole parti. Ma è una velocità che può essere attribuita ad un punto sepecifico? Se indichiamo con rA (B) il vettore posizione, rispetto ad una origine qualunque, che individua la posizione della particella A (B) si può ovviamente scrivere, per definizione di velocità vA = drA /dt e una espressione analoga per vB . Allora applicando ancora all’inverso la regola della derivata di una somma vc = mA vA + mB vB = d (mA rA + mB rB ) dt e dalla (1.9) si ricava: vc = d mA rA + mB rB dt M e, quindi la velocità che compare nella equazione del moto del corpo C nel suo complesso è la derivata di un punto che istante per istante occupa la posizione definita da: mA rA + mB rB rCM = M F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 21 Il punto individuato dal vettore rCM si chiama baricentro oppure centro di massa ed quello a cui implicitamente ci riferiamo quando parliamo del moto di un corpo macroscopico, senza distinguerne le parti. Si osservi che il baricentro non è necessariamente un punto interno al corpo. Ad esempio per due parti puntiformi di massa uguale il baricentro si trova a metà della congiungente le due parti, dove non c’è nessuna parte del corpo. Il discorso precedente vale ovviamente per un qualunque numero di parti. Ovviamente capita anche che il baricentro si trovi all’interno del corpo. Per corpi con un centro di simmetria il baricentro si trova in quel punto. Ecco che abbiamo risposto alla domanda riguardante di che cosa parliamo quando si descrive il volo di una mosca nel suo insieme. Vuol dire che ignoriamo le forze interne e consideriamo il moto del baricentro della mosca soggetto alla somma delle forze esterne. Se, come è il caso della mosca il baricentro si confonde piuttosto bene con la posizione dell’insetto, la procedura è anche dal punto di vista pratico ben chiara. Riassumendo quanto abbiamo visto: • 1. - La somma delle forze esterne agenti su un corpo determina il moto del suo baricentro, secondo la legge di Newton. • 2. - Le forze interne devono essere prese in considerazione solo se si vogliono studiare i moti delle parti relativi al baricentro. Esempio: muoversi sulla bilancia Consideriamo la seguente situazione: uno studente del corso di fisica vuole mostrare di avere capito le proprietà del centro di massa e decide di svolgere un esperimento. Egli sale su di una bilancia in posizione accosciata e annota il peso indicato dal quadrante della bilancia che, equivale ad una massa di 70 kg. In realtà il peso è la forza che la Terra esercita sul corpo. La bilancia misura la forza che il piatto della bilancia, in contatto con il corpo che si trova su di esso, deve esercitare per equilibrare il peso del corpo e tenere cosı̀ il corpo in equilibrio. La situazione è rappresentata schematicamente in figura. Sul corpo, schematizzato con il rettangolo verticale agiscono il peso, che si considera sempre applicato al baricentro9 anche se in realtà esso è applicato in modo distribuito ad ogni parte del corpo, e la forza della 9 Il termine baricentro ha il significato letterale di centro del peso F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 22 bilancia Fb , applicata nel punto di contatto. Sono le due forze esterne la cui risultante dà, come abbiamo visto l’accelerazione del centro di massa. M aCM = P + Fb Mentre lo studente sta fermo accucciato il centro di massa è fermo10 per cui nella condizione data aCM = 0 e la forza della bilancia risulta uguale ed opposta al peso11 in modo da dare una risultante nulla. Ad un certo momento il ragazzo decide di alzarsi in posizione eretta. In questa fase il centro di massa cambia il suo stato di moto. Per fare un calcolo quantitativo occorrerebbe misurare la velocità del centro di massa durante il sollevamento, tuttavia anche in mancanza di dati cosı̀ dettagliati è possibile trarre qualche conclusione qualitativa. Il centro di massa è fermo all’inizio ed alla fine del sollevamento, dunque in una prima fase del moto si deve passare dalla velocità nulla ad una velocità diretta verso l’alto e in una seconda fase la velocità deve ridursi fino ad annullarsi. È una descrizione schematica perché ammette due andamenti regolari, mentre il movimento di sollevamento potrebbe procedere a scatti ed anche con qualche oscillazione, ma contiene le caratteristiche essenziali del fenomeno ed è il modo più semplice in cui può realizzarsi. Allora nella prima fase si ha una accelerazione (media) del CM diretta verso l’alto e questo implica una forza diretta verso l’alto. Poiché il peso non cambia occorre che la forza esercitata dal piatto della bilancia superi il peso in modo che la risultante delle due uniche forze sia diretta verso l’alto. In questa fase dunque: Fb > P e la bilancia segna un valore maggiore della massa del soggetto. Nella seconda fase avviene il contrario: la velocità del CM passa da un valore diretto di nuovo a zero e la accelerazione del CM è diretta verso il basso. Questo richiede una forza verso il basso che si realizza se la forza della bilancia è inferiore al peso: Fb < P e, in questa fase, la bilancia indica una massa minore. Es.9 Spiegare alla luce dell’esempio discusso sopra le sensazioni che si provano all’inizio, durante ed alla fine della corsa di un ascensore. Es.10 Se un castoro corre su di un tronco galleggiante da una estremità all’altra, in assenza di forze di attrito il tronco si sposta in direzione opposta. Spiegare. L’entità dello spostamento dipende dall’andamento della corsa dell’animale?. 10 La posizione del centro di massa dipende dalla posizione delle parti in cui si può immaginare suddiviso il corpo. Se ciascuna di queste è ferma è fermo anche il centro di massa e la sua accelerazione è nulla. 11 Si osservi che le due forze non sono una coppia azione-reazione. Infatti essem agiscono sullo stesso corpo. Ciascuna di esse ha una controparte in una coppia azione-reazione. Saprebbe il lettore individuarle? F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 23 2.2 Quantità di moto e sua conservazione Per un punto materiale di massa m che si muove ad un dato istante con velocità ~v conviene definire una grandezza che è il prodotto della massa per la velocità. Questa grandezza è ovviamente un vettore (scalare × vettore = vettore) e prende il nome, per ragioni che saranno più chiare nel seguito, di impulso o quantità di moto della particella: p~ = m~v Per un sistema composto da più parti definiamo l’impulso totale come la somma dell’impulso delle parti. Ad esempio se ho due particelle A e B, di masse, rispettivamente mA ed mB e velocità ~vA e ~vB , la quantità di moto del corpo (sistema) costituito dalle due particelle è: P~ = mA~vA + mB ~vB = M~vC come ci dice la (1.9). È facile convincersi che la stessa relazione vale per un sistema di più di due particelle e quindi vale in generale per ogno corpo che può essere suddiviso a piacere in piccole parti. La legge di Newton per il centro di massa (1.8) può quindi essere riscritta: dP~ = F~E dt (2.10) dove, lo ricordiamo, al secondo membro compare la risultante delle forze esterne per effetto del terzo principio. Una conseguenza estremamente importante del terzo principio è, dunque, la legge di conservazione dell’impulso (quantità di moto) per sistemi isolati, ossia per sistemi che non interagiscono con l’esterno, essendo in questo caso: dP~ =0 dt e una quantità la cui derivata è nulla è appunto costante. La quantità di moto totale di un sistema isolato si conserva Si faccia attenzione al fatto che la equazione differenziale (2.10), che è, tra l’altro, la forma in cui Newton formulò la sua legge di moto, è una equazione vettoriale. La derivata di ogni componente dell’impulso totale è uguale alla corrispondente componente della forze esterna. Questo ci dice che se la forza esterna è nulla in una certa direzione allora si conserva la quantità di moto in quella direzione. Come vedremo nel prossimo paragrafo questa forma della conservazione dell’impulso è molto utile sul pieno pratico tutte le volte che possiamo escludere l’azione di forze esterne in una certa direzione. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 24 Esempio: la ballistocardiografia Ci sono molti esempi classici di sistemi a due corpi nei quali si conserva la quantità di moto che sono trattati nei corsi elementari di fisica: • a) - Scoppio di un sistema in due. • b) - Propulsione a reazione (ad es. di un missile) Qui vogliamo illustrare una procedura diagnostica, che ha avuto uno sviluppo importante tra gli anni ’50 e ’70 e che oggi è desueta nella pratica clinica corrente, ma attrae ancora l’interesse di qualche gruppo di ricerca. Questa tecnica, dettaa ballistocardiografia, permette di valutare la forza di eiezione del muscolo cardiaco, un parametro importante per valutare la efficienza della motilità dell’organo motore del sistema circolatorio. Il sangue ossigenato è spinto fuori dal ventricolo sinistro lungo il tratto ascendente dell’aorta e, quindi una piccola massa di sangue (m ' 70 g) acquista ad ogni sistole una quantità di moto che, essendo la velocità di eiezione normale dell’ordine di vs = 30cm/s vale: ps = mvs ' 21 10−3 kg m/s Consideriamo ora un sistema formato da questa massa di sangue ed il resto del corpo. Inizialmente il sistema è fermo (quantità di moto nulla). Il sangue viene espulso in direzione longitudinale (caudocefalica direbbe un anatomista) ed acquista una quantità di moto; quindi se in questa direzione non agiscono forze esterne, una quantità di moto opposta viene trafserita al resto del corpo. ~ 0 = m~vs + M V La velocità con cui il corpo si muove in direzione opposta all’impulso di sangue è quindi: − ~ = −m→ V vs (2.11) M che è piccola, ma in linea di principio misurabile. Es.11 Per un corpo di massa M = 70 kg e con i dati per il sangue forniti nel testo stimare la velocità impressa al corpo dall’impulso cardiaco Sperimentalmente è possibile dalla misura sulla velocità impressa al corpo risalire alla velocità di eiezione del sangue dal ventricolo nell’aorta. La condizione da realizzare è di minimizzare la forza esterna agente nella direzione del moto del sangue. Per questo sono stati realizzati dei tavoli orizzontali sospesi a fili (vedi figura). La velocità del tavolo può essere misurata, come vedremo in seguito quando studieremo il moto del pendolo, dallo scostamento dei fili dalla posizione verticale, ma è possibile anche usare una misura diretta dell’accelerazione mediante strumenti detti appunto accelerometri dato che la tecnologia F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 25 moderna permette di costruirne di elevata sensibilità12 . Il vantaggio degli accelerometri è anche che la misura non è limitata alla prima fase dell’eiezione. Ogni volta che la velocità del sangue cambia, ad esempio perché c’è una ansa del tronco aortico la massa di sangue è soggetta ad una forza e, quindi è accelerata. Dalla (2.11), che se le forze esterne rimangono nulle, come avviene nel tavolo sospeso in cui la forza peso esterna è bilanciata dalla forza dei cavi di sospensione, è valida sempre si ottiene, derivando ambo i membri: − ~ = −m→ A as M ~ è la accelerazione del sistema corpo-tavolo. dove A Forze impulsive La (2.10) permette anche di stimare il valore medio di una forza se questa agisce per per un tempo molto breve ∆ t. Consideriamo per semplicità il caso unidimensionale e consideriamo un punto materiale soggetto ad una forza F per cui vale : dp =F (2.12) dt Lo studente dovrebbe sapere mostrare che se la forza è costante ed agisce per un tempo ∆ t la variazione di impulso è: ∆p = F ∆ t (2.13) Se la forza F non è costante la relazione precedente vale ancora, ma al posto della forza c’è una sorta di valore medio della forza applicata durante il tempo ∆t. Nella figura è rappresentato l’andamento di una forza di contatto, 12 La sensibilità di uno strumento va intesa come la minima variazione della grandezza da misurare che lo strumento è in grado di discernere. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 26 variabile nel tempo F (t), che agisce nel breve tempo ∆t = t2 − t1 . La soluzione della (2.12) è come sappiamo dallo studio delle equazioni differenziali del primo ordine uguale all’area sottostante il grafico della F (t), come in figura. Dunque, nel caso in cui il fenomeno consista nella applicazione di una forza intensa ed incognita per un breve tempo, una cosiddetta forza impulsiva, la (2.13) dà una procedura per valutare l’ordine di grandezza dell’intensità di tale forza. Queste forze possono essere molto grandi se ∆ t è molto piccolo mentre ∆ p no. Un esempio tipico è l’azione di conficcare un chiodo: l’impulso del martello M si annulla in un tempo molto breve (urto martello-chiodo) quindi subisce una variazione ∆ pM , conseguentemente il martello subisce una forza, da parte del chiodo C e vale, invertendo la (2.13), FC→M = ∆ pM /∆ t, dove a primo membro compare la forza media che ha agito nella durata del contatto. Per il terzo principio, questa la stessa forza che il martello esercita sul chiodo. Es.12 Sulla base del ragionamento fatto sopra sulle forze impulsive, spiegare perché se si cade da una certa altezza conviene attutire l’urto piegando le gambe e perché diverso cadere da 5 metri su un fienile o sul cemento. Es.13 Per non appesantire il testo lasciamo al lettore di mostrare, ragionando componente per componente, che la (2.13) è un caso particolare del caso tridimensionale per cui vale: ∆p = F∆ t 2.3 Rotazioni Fino a questo momento abbiamo visto la più semplice modellizzazione di un moto, identificando questo, nel complesso, con lo spostamento del baricentro di un corpo. Questo moto si chiama anche traslazione in quanto ignora l’eventuale modifica della orientazione del corpo nello spazio. Ovviamente F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 27 nel caso ideale di punto materiale questo è l’unico moto rivelabile. È questa la ragione per cui il modello di punto materiale che appare alquanto astratto è importante: esso rappresenta il baricentro dei corpi, anche complessi, che si muovono di moto puramente traslatorio. Il tipo di moto immediatamente più complesso che possiamo associare ad un corpo macroscopico è quello di rotazione. Già questo moto presenta alcune peculiarità: se osserviamo un vortice ciclonico o una trottola diciamo che entrambi ruotano ma mentre le parti relative del vortice si muovono (ruotando) l’una relativamente all’altra, la trottola ha una struttura rigida che ruota tutta assieme. Nel prossimo paragrafo ci limiteremo a quest’ultimo tipo di corpi. Intanto, per giustificare lo stretto legame che esiste tra questa situazione e quella che abbiamo trattato sopra per i corpi composti definiamo una grandezza che descriva globalmente la rotazione come abbiamo fatto nel caso dell’impulso del baricentro. Tale grandezza si chiama momento angolare ed è l’analogo, per le rotazioni, dell’impulso. Rotazioni piane Per semplicità tutto questo corso si parlerà solo di rotazioni piane, in cui l’asse di rotazione è fisso e tutte le velocità dei corpi sono perpendicolari a questo asse. Esempi sono appunto il vortice ciclonico o una trottola con l’asse verticale (la trottola con l’asse obliquo è già abbastanza complicata da non essere trattabile in questo contesto). Per evitare complicazioni supporremo anche per il momento che l’asse di rotazione passi per il centro di massa del sistema, vedremo dopo alcune semplici generalizzazioni. Facciamo riferimento alla figura in cui è rappresentata la proiezione piana di un corpo che può rotare intorno ad un asse fisso perpendicolare alla pagina e passante per il suo CM che è il centro della figura. Un qualunque punto del corpo, a distanza r dall’asse percorre nella rotazione una circonferenza di raggio r parallela al piano. Punti a distanze diverse percorrono archi con angoli al centro uguali. In figura è rappresentata una retta orientata che nel tempo t ruota di un angolo θ. Tutti i punti della retta percorrono archi con lo stesso angolo al centro. Quindi, per descrivere questo moto è sufficiente dire come cambia nel tempo l’angolo θ(t) che individua la direzione di una retta presa come riferimento al passare del tempo. Insomma, una rotazione piana è definita da un asse, attorno a cui si ruota, e da un angolo di rotazione, che chiameremo θ. Il verso positivo per le rotazioni è considerato convenzionalmente quello antiorario. L’angolo può dipendere dal tempo, nel qual caso si ha una rotazione nel senso dinamico del termine. La rapidità (derivata) con cui cambia l’angolo nel tempo si chiama F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 28 velocità angolare, e viene di solito indicata con la lettera ω (omega): ω= dθ . dt Definizione di momento angolare Nelle condizioni semplificate cui ci siamo ristretti, possiamo considerare il moto di una piccola parte del corpo, una particella, di massa mi che si trova a distanza di dall’asse. Essa percorre una circonferenza in un piano perpendicolare all’asse e la velocità con cui percorre la traiettoria circolare ha modulo: vi = ω(t)di dove si è espressamente indicato che la velocità angolare può non essere costante, ossia non ci limitiamo al moto circolare uniforme. La quantità di moto della particella (momento lineare) ha modulo mi vi ed è diretta, come la velocità, tangenzialmente alla traiettoria. Definiamo momento angolare della particella13 : Li = mi vi di = mωd2i 13 Per il caso di rotazione nello spazio occorre dare una definizione vettoriale che rimandiamo ad un momento successivo. Per corpi composti da particelle ciascuna delle quali può avere una velocità angolare diversa occorre tenerne conto e scrivere che: Li = mi ωi d2i F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 29 Come per la quantità di moto il momento angolare di un sistema composto da più parti è dato dalla la somma dei momenti delle singole particelle: X X L= Li = mi ωd2i e, nel caso in cui la velocità angolare è la stessa per tutte le parti (rotazione globale di un corpo rigido) allora si può raccogliere nella somma ω e si ha: X L=ω mi d2i = Iω P avendo chiamato I la quantità mi d2i che è detta momento di inerzia del corpo rispetto alla rotazione attorno all’asse dato. La situazione è chiaramente analoga a quella del moto del centro di massa. In quel caso, il movimento traslatorio dell’insieme del corpo era descritto in termini della quantità di moto totale M vCM ossia del prodotto della massa totale per la velocità del centro di massa che è comune, nel caso del movimento puramente traslatorio, ad ogni particella del corpo. Per il moto puramente rotatorio piano, il moto globale è descritto in termini del momento angolare totale come il prodotto di una quantità analoga alla massa totale, il momento d’inerzia I, moltiplicato per la velocità angolare del corpo che è comune a tutte le particelle del corpo. L’unità di misura del momento angolare è evidentemente N · m · s Momento di una forza rispetto ad un asse fisso In linea di principio la variazione del momento angolare si può calcolare usando le equazioni di Newton, essendo tutte le quantità esprimibili in termini delle posizioni e delle velocità, qui ci contentiamo di dare il risultato finale. Sempre facendo riferimento alla figura, sia F una forza applicata al corpo in esame, si definisce momento della forza il prodotto fra il modulo della forza ed il braccio, cioè la distanza della retta d’azione della forza e l’asse di rotazione: τF = ±F b . e il segno è considerato positivo per le forze che generano rotazioni antiorarie, negativo per forze che danno rotazioni orarie. Se si hanno più forze che agiscono contemporaneamente, si fa la somma dei momenti delle singole forze, ciascuno col proprio segno. L’unità di misura del momento di una forza è evidentemente N · m Insistiamo sul fatto che stiamo trattando un caso estremamente particolare, anche se di interesse pratico, in cui il corpo ruota in ogni sua parte attorno ad un asse fisso nello spazio passante per il centro di massa. Il lettore può pensare a molti macchinari in cui questo moto è presente. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 30 Nei casi più generali il momento angolare e il momento delle forze possono cambiare direzione nello spazio e, pertanto, devono essere descritti come grandezze vettoriali. Per chiarire i concetti fondamentali connessi al moto di rotazione non è necessario fare questa generalizzazione. Lo studente si ricordi che anche per il moto traslatorio ha imparato a trattare quantitativamente la sua descrizione partendo dal moto unidimensionale (rettilineo) nel quale non era necessario usare i vettori, ma solo grandezze dotate di segno che indicavano in quale verso della linea di moto la velocità, l’accelerazione, la forza erano dirette. La rotazione piana intorno all’asse fisso può quindi essere vista come il caso unidimensionale delle rotazioni. Ogni osservazione che faremo nel caso semplificato corrisponde ad una proprietà che si troverebbe anche nel caso generale. Conservazione del momento angolare Il risultato importante è che la variazione (derivata) del momento angolare nel tempo è data dal momento delle forze esterne, in analogia alla variazione dell’impulso totale: dL = τFE dt Deve dunque valere un teorema di conservazione del momento angolare secondo il quale il momento angolare di un sistema si conserva se il momento delle forza esterne è nullo. In particolare, si conserva il momento angolare totale di un sistema isolato. Un esempio classico quello di una pattinatrice che ruota su se stessa. Stringendo la braccia al corpo la velocità di rotazione aumenta infatti avvicinando le braccia il momento d’inerzia diminuisce (parti più lontane diminuiscono il loro di ) e quindi, per mantenere L costante, deve aumentare la F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 31 velocità angolare ω. Una considerazione analoga vale, ad esempio, per i tuffi dalla piattaforma o dal trampolino: in un tuffo raggruppato quando l’atleta stende le gambe (aumentando il momento d’inerzia) la velocità di rotazione diminuisce. Il corpo rigido Come si visto nel paragrafo precedente la dinamica di un corpo macroscopico può essere piuttosto complicata, quindi è opportuno avere a disposizione delle modellizzazioni semplici che permettano di capire per gradi il problema. Il modello immediatamente più complicato rispetto al corpo puntiforme è quello di corpo rigido. Come si intuisce, si tratta di assumere che le distanze fra le varie parti del corpo restino immutate, si trascurano cioè le deformazioni. In molti casi questa può essere una buona approssimazione, ad esempio se si studia un osso del corpo umano, in altre è ovviamente irrealistica, ad esempio se si studia un muscolo. I movimenti possibili di un corpo rigido sono le traslazioni e le rotazioni globali del corpo, ossia gli spostamenti lineare ed angolare del corpo nel suo insieme. La cosa intuitiva osservando la figura seguente: Nella figura il moto del corpo triangolare è mostrato come un moto di traslazione (riga tratteggiata) del punto di incontro dei due segmenti interni e di un moto di rotazione del triangolo come un tutt’uno intorno al punto di incontro. Alcune proprietà utili Per limitarci al moto rotazionale possiamo considerare, come abbiamo fatto sopra il moto di rotazione intorno ad un asse fisso. Abbiamo sottolineato che questo particolare moto ha come controparte il moto traslatorio unidimensionale in quanto è sufficiente una sola coordinata angolare θ per definire la posizione del corpo durante la rotazione. Ripetiamo che la descrizione avviene tramite il momento angolare che, nel caso semplificato di moto piano intorno ad un asse fisso è il prodotto tra momento di inerzia e velocità angolare ω che può variare nel tempo, ma che per un dato istante è la stessa F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 32 per tutto il corpo. È possibile enunciare alcune proprietà che semplificano i calocli in determinate circostanze. • Per il momento angolare per rotazione attorno al centro di massa X L=ω mi d2i = ICM ω dove le distanze di sono relative al centro di massa. Si può dimostrare che per un asse parallelo a quello passante per il centro di massa a distanza r da questo vale la relazione: I = ICM + M r2 dove M indica la massa totale. Es.14 Un corpo rigido è composto di due punti materiali di massa m uniti da una bacchetta rigida di lunghezza d, supposta prima di massa. Il centro di massa è ovviamente nel punto di mezzo. Mostrare che il momento di inerzia rispetto ad un asse passante per il centro di massa ed ortogonale alla bacchetta vale ICM = 1/2md2 . Secondo il teorema degli assi paralleli quanto vale il momento di inerzia rispetto ad un asse parallelo al precedente che passa per uno dei due estremi? Confermare il risultato con il calcolo diretto in questo secondo caso. • Un caso particolarmente frequente è quello in cui siamo interessati al momento della forza peso P. Abbiamo già notato che, a tutti gli effetti, si può considerare la forza peso come applicata al centro di massa (detto anche baricentro per questo motivo). Questo significa che il momento della forza peso rispetto al centro di massa è sempre nullo, mentre il momento rispetto ad un asse distante b dal CM vale τ = bP Come detto sopra si considererà negativo il momento che produce una rotazione oraria e positivo quello che produce una rotazione antioraria. Per illustrare questa situazione consideriamo un corpo piano imperniato su un asse orizzontale passante per il baricentro. In questo caso il peso non fa momento rispetto all’asse di rotazione e il corpo non tende a ruotare. Al contrario se il perno è spostato rispetto al baricentro verso destra o verso sinistra si ha un momento della forza peso, applicata al baricentro che tende a fare ruotare il corpo in senso orario o antiorario, rispettivamente. • L’esempio precedente mostra che la stessa forza esercita o meno un momento su un corpo a seconda dell’asse rispetto al quale si considera il suo effetto. Una situazione particolare cui faremo riferimento nel F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 33 prossimo paragrafo riguarda il caso in cui il corpo si trova in equilibrio traslazionale. In questo caso, la condizione è che la risultante delle forze applicate sia nulla. Allora si può mostrare che il momento delle forze si può calcolare rispetto ad un asse qualunque ottenendo lo stesso risultato. Illustriamo questa proprietà facendo il caso di un corpo soggetto a due forze con risultante nulla. Se il corpo è un punto materiale ovviamente la condizione si pu‘ò realizzare solo con le forze opposte su una sola direzione (retta d’azione). Nel caso di un corpo esteso, anche se ci limitiamo al solo moto nel piano si può avere risultante nulla con forze che hanno diverse rette d’azione (vedi figura). Una configurazione del genere prende il nome di coppia ed il suo valore è pari al momento esercitato sul corpo dalle due forze opposte e vale: τ = Fd dove d è la distanza tra le rette d’azione delle due forze. In effetti, se prendiamo un punto qualunque, come O nella figura la definizione di momento della forza ci dice che ciascuna forza esercita un momento dato dal suo modulo per la distanza del punto O dalla retta d’azione. Il momento delle due forze è la somma e siccome il modulo è per ipotesi lo stesso si ha: τ = F b1 + F b2 = F (b1 + b2 ) = F d che è la distanza tra le rette d’azione e non dipende dal punto. Una dimostrazione analoga si può fare usando il calcolo vettoriale. Quello che occorre ricordare è il risultato: F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 34 Quando la risultante delle forze è nulla il momento delle forze si può calcolare rispetto ad un asse qualunque, ottenendo in tutti i casi lo stesso risultato. Quando si tiene conto che un corpo può anche ruotare oltre che traslare ci si trova dunque a considerare situazioni nuove rispetto al caso del moto puramente traslatorio, tipico ad esempio del modello di punto materiale. In questo caso la condizione di annullamento della risultante delle forze applicate era sufficiente a garantire l’equilibrio. Nel caso del corpo rigido è evidente dalla figura precedente che l’annullamento della risultante in una coppia di forze non implica l’equilibrio, come chiunque può verificare spingendo con forze eguali, ma di verso opposto le due estremità di una matita appoggiata al tavolo. La risultante delle forze è nulla, ma la matitainizia a muoversi, ruotando intorno al suo baricentro. Iniziamo dunque a considerare questa nuova situazione proprio a partire da corpi rigidi fermi, in equilibrio. La statica del corpo rigido Abbiamo visto per il punto materiale che l’equilibrio traslazionale implica che la risultante delle forze sia nulla: X Fi = 0 Per un corpo esteso la condizione esprime l’equilibrio traslazionale del centro di massa: quando la risultante delle forze esterne è nulla il centro di massa se è in quiete resta fermo. Considerando ora l’ultimo punto del paragrafo precedente il corpo, in equilibrio traslazionale, non cambia il suo stato di moto rotazionale se il momento del sistema di forze cui è soggetto è nullo rispetto ad un asse scelto arbitrariamente. Le due condizioni di equilibrio sono dunque l’annullmento della risultante delle forze esterne: Ftot = 0 e l’annullamento del momento14 risultante: τtot = 0 Illustriamo l’applicazioni di questi due principi con alcuni esempi. Esempio: uomo in piedi F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 35 Un un uomo che poggia sul terreno con i suoi due piedi è un corpo in equilibrio. Sull’uomo agisce la forza peso P che possiamo, come detto, applicare al baricentro che si trova in un punto al di sotto la metà dell’altezza sull’asse di (quasi)-simmetria. Esso è diretto verso il basso. L’unica parte del corpo su cui possono agire forze esterne sono i piedi, poggiati al suolo a distanza d . Il suolo esercita nei punti di contatto, due forze F1 ed F2 , anche esse verticali e dirette verso l’alto, se non c’è attrito. La condizione di equilibrio traslazionale ci dice che: F1 + F2 + P = 0 (3.14) e nella direzione verticale ci dice che, prendendo positivo il verso in alto: F1 + F2 − mg = 0 ⇒ F1 + F2 = P (3.15) Se ora ragioniamo per simmetria le due forze verso l’alto sono eguali e ciascuna vale metà del peso. Ma la condizione precedente vale anche se il baricentro è spostato, per qualche ragione, verso uno dei due piedi. Supponiamo ad esempio che il baricentro sia spostato orizzontalmente di d/4, anziché, come nel caso di figura di d/2 dal piede sinistro su cui agisce la forza F2 . Per determinare quanto vale quest’ultima dobbiamo fare intervenire 14 Qui ci limitiamo ancora al caso in cui il corpo ruota attorno ad un asse fisso per cui il momento delle forze è espresso da un numero positivo o negativo. Nel caso generale si dovrà annullare il vettore momento delle forze. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 36 anche la condizione di equilibrio rotazionale. Dato che la risultante delle forze è nulla (3.14), possiamo calcolare il momento delle forze rispetto a un punto qualunque. Prendiamo proprio il piede sinistro15 Il momento delle forze vale16 : d P − F1 d = 0 4 da cui si ricava che: 1 F1 = P 4 e, ovviamente, applicando la (3.15): 3 1 F2 = P − F1 = P − P = P 4 4 Si verifica cosı̀ la ben nota situazione per cui se si sposta il baricentro verso uno dei due piedi questo si carica maggiormente e la forza che si esercita sul piede cresce. Questa possibilità di spostare il baricentro è limitata al caso limite in cui il baricentro si trova proprio sopra il piede sinistro. In questo caso il momento del peso rispetto all’asse passante per il piede è nullo e la condizione di equilibrio richiede che sia nulla anche la forza F1 . Se il baricentro oltrepassa questa posizione entrambe le forze contribuiscono al momento nello stesso verso e non ci può essere equilibrio. Se il baricentro esce dalla base d’appoggio il corpo si ribalta. Es.15 Ovviamente pi facile perdere l’equilibrio inchinandosi in avanti o all’indietro, piuttosto che lateralmente. Il lettore spieghi il perché. Esempio: meccanica dell’avambraccio Consideriamo una persona che mantiene sollevata una massa M di 4 kg tenendo l’avambraccio orizzontale ed il braccio verticale. La massa dell’avambraccio è m = 1.5kg. Si può considerare che sull’ avambraccio agiscano quattro forze: il peso ~ P dell’avambraccio e le tre forze dovute ai corpi con esso in contatto, la massa m, il muscolo principale del braccio ossia il bicipite ed le ossa ed i legamenti del braccio che è in contatto con l’avambraccio17 al gomito.. Nella figura tratta dalla voce Biceps brachii muscle di Wikipedia, è mostrato chiaramente l’innesto del estremità anteriore del muscolo bicipite 15 Scegliere come polo per il calcolo dei momenti il punto di applicazione di una delle forze incognite è spesso conveniente perché il momento di tale forza rispetto al punto è nullo, perché è nullo il braccio. 16 Si osservi che i momenti delle due forze sono stati presi con segno opposto. Rispetto al piede sinistro il peso tende a far ruotare il corpo in senso antiorario e la forza F1 in senso orario 17 L’avambraccio è la parte dell’arto superiore umano tra il gomito ed il polso, il braccio quella tra la spalla ed il gomito. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 37 nell’avambraccio. Questo avviene in un punto, la tuberosità radiale, avanzato rispetto all’articolazione del gomito ed è quello che dobbiamo considerare il punto di applicazione della forza B, esercitata dal muscolo. Nella stessa figura è mostrato anche l’articolazione di contatto tra il braccio e l’avambraccio che costituisce il gomito e a cui si deve considerare applicata la forza E esercitata dal gomito. Per trovare le forze che agiscono sull’avambraccio, dobbiamo innanzitutto fare una schematizzazione e assimilare l’avambraccio e la mano che sorregge la massa ad un’unica asta rigida orizzontale. La lunghezza L è di circa 50 cm. Considerando un asse ordinato orizzontale che ha l’origine sul gomito, il punto di applicazione delle forze agenti è rappresentato dalla seguente tabella: forza E B P C punto di applicazione sul gomito tuberosità radiale baricentro centro della mano coordinata x(cm) 0 10 25 45 Per quanto riguarda le intensità delle forze note, il peso è il prodotto della massa per il campo di gravità terrestre g. Assumendo qui e nel seguito, per semplicità dei calcoli che esso valga: g ' 10 N/kg il modulo del peso dell’avambraccio è P = mg = 1.5 · 10 = 15 N . La forza esercitata dalla massa sulla mano (forza di contatto) è, per il terzo F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 38 principio, uguale ed opposta alla forza che la mano esercita sulla massa e che deve equilibrare la forza peso che la Terra esercita sulla massa M ossia M g. Quindi la forza C, diretta verso il basso ha modulo C = M g = 40 N . Lo schema delle componenti delle forze a corpo libero è rappresentato in figura, dove tre delle forze hanno verso noto (il peso è diretto verso il basso ed il bicipite esercita una forza di trazione). In effetti, sia la forza del bicipite che la forza dell’articolazione hanno anche una componente orizzontale che qui non consideriamo perché non contribuiscono al momento. Cosa si può dire delle due componenti orizzontali, considerando l’equilibrio traslazionale lungo l’avambraccio (asse x)? Calcoliamo dunque il momento delle forze. Scegliamo come polo il gomito in modo che nell’equazione non compaia una delle forze incognite (la E che ha momento nullo rispetto al gomito essendo applicata nel punto stesso). Il momento di ciascuna delle tre restanti forze ha modulo uguale al modulo di ciascuna forza moltiplicato per la distanza, espressa in metri, dal gomito del punto di applicazione di ciascuna forza. Inoltre prendiamo come positivi i momenti che tendono a ruotare l’avambraccio in senso antiorario: τtot = −40 · 0.45 − 15 · 0.25 + B · 0.10 Imponendo la condizione di equilibrio τtot = 0, si trova: 40 · 0.45 + 15 · 0.25 = 217.5N 0.10 Quindi la forza che il tendine esercita per mantenere sollevata la massa è assai più grande del peso della massa stessa. Infine, per determinare E applichiamo l’equilibrio traslazionale tra le componenti verticali: B= F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 39 X Fy = 0 = E + B − P − C dove si è scelto come positivo il verso diretto in alto e all’incognita E si è attribuito questo verso arbitrariamente. La soluzione rispetto alla componente incognita vale: E = P + C − B = 40 + 15 − 217.5 = −162.5 e il segno negativo trovato sta ad indicare che il verso della forza al gomito è opposto a quello ipotizzato e la forza è diretta verso il basso. Esempio: la forza del tendine di Achille La meccanica del corpo umano e in generale degli organismi viventi va sotto il nome di Biomeccanica. Essa è una miniera di situazioni interessanti di applicazione delle leggi fondamentali della meccanica. I tendini sono delle bande di tessuto connettivo che collegano i muscoli alle ossa e possono essere schematizzati come delle corde. In particolare, il tendine di Achille collega i muscoli del polpaccio al calcagno. Il tendine esercita una forza di trazione sul calcagno quando il piede del soggetto è appoggiato a terra. Consideriamo dunque come sistema il piede e modelliziamolo come un corpo rigido, un’asta, in contatto con tre corpi: il terreno, il tendine di Achille e le ossa della gamba. Ci proponiamo di stimare la forza esercitata F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 40 dagli ultimi due corpi quando il soggetto è appoggiato su un solo piede alla base delle dita del piede, come durante un passo e il tallone si è appena staccato da terra. Il punto di appoggio della tibia sul tallone dista circa x1 = 6 centimetri dall’estremità posteriore del piede da cui facciamo partire gli assi cartesiani in direzione orizzontale e verticale (lungo il terreno verso la punta del piede e opposto alla gravità, rispettivamente). Il punto di appoggio A del piede si trova in avanti nella posizione x2 = 16cm dall’estremità del piede. Considerando il corpo del soggetto nel suo insieme con l’unico punto di appoggio tra piede e terreno le uniche due forze che agiscono sono il peso totale e la forza del terreno P. Essendo il corpo praticamente fermo la somma delle due forze deve essere nulla e quindi la forza P è uguale ed opposta al peso di modulo M g della persona. Studi anatomici mostrano che il tendine è inclinato di circa 7◦ in avanti rispetto alla verticale. La forza esercitata dal tendine sia T. Inoltre, chiamiamo θ l’angolo incognito con la verticale che la forza B dovuta all’osso della gamba esercita sul piede essendo applicata all’articolazione (vedi figura). Dall’equilibrio traslazionale nelle direzioni x ed y ricaviamo le due seguenti equazioni: T sin 7◦ − B sin θ = 0 T cos 7◦ − B cos θ + M g = 0 (3.16) Le incognite sono tre i due moduli B e T e l’angolo θ. Per determinare il problema c’è bisogno di una terza equazione che è fornita dalla condizione di equilibrio rotazionale. Dato che studiamo la condizione in cui la risultante delle forze è nulla possiamo scegliere un punto qualunque (il cosiddetto polo), rispetto al quale calcolare i momenti. Ripetiamo che, quando si ha questa libertà, conviene scegliere uno dei punti di applicazione di una delle forze F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 41 incognite in modo che il momento di tale forza rispetto al punto è nullo perché il braccio della forza è nullo. Scegliamo dunque il punto di appoggio della tibia. I momenti rispetto a questo punto delle altre due forze sono di segno opposto. La forza E dà un contributo positivo poiché tende a ruotare il piede in senso orario e il tendine dà un contributo negativo: −x1 T cos 7◦ + M g(x2 − x1 ) Questa equazione permette di calcolare subito T : x2 − x1 M g ' 1.7M g x1 cos 7◦ Si osservi il risultato piuttosto impressionante secondo cui il tendine esercita una forza quasi doppia rispetto al peso del soggetto. Non è quindi una sorpresa che questa parte anatomica sia soggetta ad usura e a rotture, peraltro molto dolorose; in particolare durante attività ginniche e sportive in cui la sollecitazione è maggiore che nella camminata semplice. Lo studente saprebbe motivare questa osservazione? T = Es.16 Lasciamo al lettore di completare la soluzione del sistema e di trovare l’angolo di azione della forza B, che dovrebbe risultare circa 4◦ e il modulo della stessa forza che è circa 2.7 volte il peso (!). Leve Un modello che illustra il comportamento di un corpo rigido soggetto a forze e momenti e che illustra le proprietà meccaniche fondamentali di parecchi sistemi reali è la cosiddetta leva. Il termine indica l’uso che si può fare di questo dispositivo per sollevare un carico con una forza. Una realizzazione semplice di una leva è un asta rigida vincolata a ruotare intorno ad un asse detto fulcro mentre ai due estremi si applicano due forze che tendono a imprimere momenti opposti all’asta. La situazione è illustrata nella figura dove la forza F, classicamente chiamata potenza è utilizzata per sollevare una massa che esercita un peso P, detto storicamente resistenza. L’esito del funzionamento della leva è determinato dalla distanza dei punti di applicazione di potenza, braccio b2 , e resistenza, braccio b1 dal fulcro. Nella figura il fulcro è in una posizione intermedia tra la potenza e la resistenza. Una leva siffatta è detta di prima specie. La condizione di annullamento del momento risultante rispetto al fulcro ci dà la forza minima necessaria per sollevare il peso18 : F b1 − P b2 = 0 ⇒F =P b1 b2 18 Con una forza minore prevale il momento della resistenza, una maggiore fa sollevare l’asta in modo accelerato. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 42 Quindi se b2 > b1 , ovvero il braccio della potenza è maggiore di quello della resistenza, la forza F è minore del peso da sollevare e la leva si definisce anche vantaggiosa. Le leve di prima specie possono essere vantaggiose, svantaggiose e indifferenti. Es.17 Che rapporto devono avere i bracci di potenza e resistenza perché una leva di prima specie sia svantaggiosa ? e indifferente? Si osservi che nella leva vantaggiosa lo spostamento del punto di applicazione della potenza è maggiore del corrispondente spostamento del punto di applicazione della resistenza. In effetti la leva ruota intorno al fulcro di un angolo α e un punto che si trova alla distanza r dal fulcro si sposta, conseguentemente dell’arco s = αr. L’arco più lungo è quello più distante che nel caso della leva vantaggiosa è quello della forza. Lo spostamento angolare avviene in un tempo ∆t per cui anche le velocità dei punti di applicazione cambiano nella stessa proporzione. Il punto di applicazione della potenza si sposta più velocemente di quello della resistenza in una leva di prima specie vantaggiosa. Una leva di seconda specie ha la resistenza tra la potenza ed il fulcro (vedi figura). In questo caso il braccio della potenza è sempre maggiore del braccio della resistenza e la leva, detta di seconda specie è sempre vantaggiosa e prevale la velocità della forza. Un esempio classico di questo tipo di leva è il carretto a mano19 . 19 Nella foto, tratta dalla voce Carro di Wikipedia un carro a trazione umana da una foto presa nell’isola di Haiti. F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 43 Es.18 Nella immagine dei due lavoratori del porto di Haiti lo studente saprebbe individuare approssimativamente il fulcro ed i punti di applicazione della potenza e della resistenza. Da una stima delle grandezze in gioco si saprebbe valutare approssimativamente che forza sta applicando il trasportatore sui bracci del carro? Il terzo tipo di leva detta appunto di terza specie è caratterizzata dal fatto che la potenza è applicata tra il fulcro e la resistenza. È una leva sempre svantaggiosa nel senso che la forza applicata deve essere sempre maggiore della forza opponente. In un certo senso agisce, al contrario della leva archimedea, come un riduttore di forza. Un esempio chiaro in cui questo effetto è utile è nelle pinzette di precisione. Non avendo sufficiente delicatezza nella mano per afferrare senza provocare danni oggetti fragili, come la zampa di un insetto in entomologia, si usano delle leve di terzo tipo in cui il fulcro è nel punto di saldatura tra le due parti mobili e la mano agisce in posizione intermedia tra il fulcro e l’oggetto da prendere. Il fatto, a primo esame sorprendente, è che la maggior parte delle leve che si incontrano nella anatomia umana ed animale sono proprio leve di terza specie. Una possibile spiegazione di questo dato di fatto è che la morfogenesi abbia privilegiato la F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011 44 possibilità di amplificare gli spostamenti (e le velocità) piuttosto che le forze. La questione è ancora dibattuta e costituisce un argomento appassionante per chi si occupa di evoluzione. Es.19 Si consideri di nuovo l’avambraccio come una leva in cui la forza agente è impressa dal muscolo bicipite. La forza resistente è invece generalmente applicata alla mano, ossia all’estremità dell’avambraccio. Dove si trova il fulcro. È una leva vantaggiosa o svantaggiosa? F.Maccarrone, G.Paffuti - Fisica per Biotecnologie - 2010/011