L' AUTORE Michel Bauwens. Nato in Belgio nel 1958, è un teorico del peer to peer, è fondatore della P2P Foundation, un'organizzazione di ricercatori che lavorano in collaborazione per esplorare la produzione, la gestione, ela proprietà del peer-to-peer. Come realizzare una economia collaborativa per il 99% di Michel Bauwens © 2015 Fondazione Giangiacomo Feltrinelli Via Romagnosi 3, 20121 Milano (MI) www.fondazionefeltrinelli.it ISBN 978-88-6835-227-1 Prima edizione digitale ottobre 2015 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo elettronico, meccanico, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dalla Fondazione. 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La cooperazione nell’economia collaborativa non viene organizzata attraverso le relazioni gerarchiche della disciplina di fabbrica né viene regolata attraverso lo scambio di mercato: Essa viene organizzata attraverso la costruzione collettiva di norme sociali condivise e il costante confronto orizzontale fra i partecipanti alla produzione. In secondo luogo, la produzione così come organizzata nell’economia collaborativa non è orientata alle economie di scala, ovvero non si basa sulla privatizzazione dei mezzi di produzione, i cui costi vengono coperti dal fatto che vi sia un numero sufficiente di consumatori a cui vendere il prodotto. Al contrario, essa si fonda sullo sviluppo di economie di scopo, un sistema produttivo localizzato costituito di microrelazioni collaborative in cui le infrastrutture per la produzione di un bene vengono condivise e costantemente rifunzionalizzate a seconda dei singoli bisogni, mentre a livello globale, attraverso Internet, viene condiviso il sapere per la loro produzione. La diffusione e il successo di queste forme organizzative diverse rappresenta una condizione unica ed importante degli ultimi anni. Nel presente saggio Michel Bauwens, fondatore della P2P (Peer-topeer) Foundation ci introduce alle grandi sfide che la crescente importanza della economia collaborativa apre al modo in cui pensiamo non solo il mercato, ma il lavoro, il sapere e persino la moneta. Elanor Colleoni Ricercatrice di Laboratorio Expo Negli ultimi anni, l’economia collaborativa è cresciuta in modo esponenziale, raggiungendo una fase di integrazione con le forme emergenti di economia orientata al profitto, come ho descritto nel mio ultimo libro, Network Society and Four Scenarios for the Collaborative Economy. Secondo la mia tesi, il Capitale funziona oggi in modo diverso dal passato. Ho definito la sua nuova forma con il termine netarchical, ovvero attraverso la gerarchia della rete (net-archy, the hierarchy of the network). In questo nuovo sistema, gli investimenti strategici non sono più nella produzione di beni materiali da vendere nel mercato attraverso l’assunzione della forza lavoro, ma, come Google e Facebook mostrano, il profitto deriva dalla capacità di catturare i frutti dei contributi gratuiti che emergono dalla collaborazione spontanea degli utenti dispersi nel mondo, ovvero del 99%. Anche se sembra una buona cosa per gli utenti il fatto che le piattaforme siano gratuite, o che venditori e compratori possano incontrarsi previo pagamento di una piccola iscrizione, è anche un problema perché crea una profonda crisi di “valore”, non solo per la forza lavoro precaria, ma anche per il capitalismo stesso. Infatti, come possiamo immaginare un capitalismo di successo, se produce prodotti che non può più vendere perché un crescente numero di contributori non possono essere pagati per il valore che creano? Così oggi, dopo un esodo crescente dal sistema del lavoro salariato, specialmente da parte dei giovani, le tensioni sociali non sono solo fra capitale e lavoro, ma sempre più spesso, fra i produttori che regalano il loro tempo e le loro energie nella creazione di progetti peer to peer e i proprietari delle piattaforme per la condivisione su cui questa condivisione avviene. La ricerca di alternative a queste forme proprietarie è cominciata, e sempre più spesso cittadini e soprattutto giovani lavoratori della conoscenza stanno cercando di creare una economia alternativa, in cui potersi sostenere grazie ai contributi dati all’economia condivisa dei beni comuni, che è al cuore della nuova economia. Ovviamente, questa nuova classe lavoratrice di trasformatori ha i suoi approcci, che sono diversi dai movimenti tradizionali dei lavoratori, e che spesso prendono la forma di hacks, ovvero alterazioni sovversive al sistema esistente, attraverso la ri-significazione di un sistema per finalità contrarie. Il più famoso hack è stato ovviamente quello che ha generato l’economia open source e che, secondo il Fair Use economy report, ha ormai raggiunto un sesto del PIL degli Stati Uniti. Questa risignificazione è avvenuta grazie a persone come Richard Stallman e altri, e ha preso la forma di nuove licenze di utilizzo del software, che usano gli stessi recinti alla conoscenza facilitati dalla legislazione sulla Proprietà Intellettuale per liberare la conoscenza, il codice e il design. Attraverso la creazione di una licenza di utilizzo pubblico, una gran quantità di sapere comune è stato creato e condiviso, generando un flusso economico gigante intorno a sé. Ciononostante, questo hack ha creato un effetto paradossale. Infatti, più i beni comuni sono stati creati grazie a questa licenza e più l’economia capitalista intorno ad essi è cresciuta. Cosi, l’economia generata da Linux, il sistema operativo open and free software,è per il 75% commerciale, e dominato da grandi compagnie, come per esempio IBM. In questa dipendenza reciproca fra nuove forme del capitale e beni comuni and the commons, si sviluppa una situazione paradossale di “comunismo del capitale”, per cui il valore d’uso creato dalle persone che producono i beni comuni genera valore di scambio per l’economia privata for-profit. Esiste un’alternativa a questo “liberal-comunismo”? Vi è una nuova trasformazione radicale all’orizzonte? Un nuovo hack? Io credo ci sia un potenziale economico enorme in questa nuova forma di condivisione, che però richiede un nuovo tipo di licenze, che non possono permettere solo la semplice condivisione, ma che devono basarsi su un principio di reciprocità rinforzata. Quindi, insieme ad altri, ho proposto le licenze di reciprocità basate sui beni comuni, Commons-based Reciprocity Licenses. Queste licenze sono aperte all’utilizzo da parte di tutti, istituzioni, organizzazioni no-profit e anche imprese a fini di lucro. L’unica differenza risiede nel fatto che alle imprese a fini di lucro è richiesto di dare un contributo, anche economico per poter utilizzare un bene comune. Questo perché siamo consapevoli che esse non contribuiscono in modo naturale allo sviluppo dei beni comuni. La prima implementazione pratica di questa licenza è la Peer production licence, sviluppata da Dmytri Kleiner, imprenditore del comune, che viene utilizzata dalla Peer-to-Peer Foundation, da Guerrilla translation e da altri soggetti economici organizzati per la produzione di beni comuni. Una seconda fondamentale trasformazione del sistema economico è rappresentata dall’hack del sistema di moneta grazie alla nascita di Bitcoin. Bitcoin è una moneta che viene prodotta senza interessi finanziari e senza una banca centrale di emissione. Questa moneta è stata sviluppata come un’alternativa al sistema di sovranità monetaria nazionale, i cui bisogni di sopravvivenza, date le recenti turbolenze finanziarie, stanno distruggendo le nostre economie. La moneta Bitcoin può essere prodotta da chiunque utilizzando un codice open source e la potenza di calcolo del proprio computer. Bitcoin ha all’oggi una fiorente comunità di hackers mondiale che sostengono il progetto. Tuttavia, Bitcoin è anche una moneta ipercapitalista, con un coefficiente maggiore disuguaglianza del denaro sovrano, visto che la sua produzione dipende dalla capacità di calcolo del computer, e un design deflazionistica che porta i vecchi utilizzatori ad all’estrazione di una rendita sui nuovi arrivati. Quindi, Bitcoin diventerà molto probabilmente uno strumento anche per lo sviluppo del nuovo capitale, arricchendo una nuova élite di hackers a livello mondiale. Una moneta che tuteli la produzione di commons senza creare nuovi poteri è l’obiettivo che si è dato il progetto Fair.coop. Fair.coop è una rete globale creata dalla Lega Cooperative Catalunia, in cooperazione con la Peer-to-Peer Foundation ed altri soggetti. I soggetti di questa rete hanno creato la prima moneta globale per i commons. Fair.coop ha comprato dei Bitcoin da un progetto fallito, Faircoin, il quale cercava di trasformare Bitcoin in un sistema più egualitario. Le rendite che derivano dall’acquisto dei Bitcoin a Fair.coop sono redistribuite a una rete globale di cooperative e altre compagnie etiche che creano esternalità positive e co-producono beni comuni, creando quindi un mezzo di sostentamento per le persone che partecipano ai progetti. Sulla base della crescita del valore di mercato di Faircoin, viene creata una moneta a supporto dei beni comuni, grazie alla quale sarà possibile creare sistemi di credito basati su garanzie reali fondate sullo sviluppo dei beni comuni. Questi sono solo due esempi di azioni sovversive sviluppate o che si stanno sviluppando con l’obiettivo di creare i presupposti per l’emergere dell’economia basata sui beni comuni, creando un’alternativa reale al nuovo modello capitalista che invece sfrutta i beni comuni prodotti dai cittadini. Il primo ciclo di hacks era fortemente liberale, è tempo di un secondo ciclo, in cui i valori di equità e correttezza siano aggiunti al valore fondamentale della libertà, liberando così la produzione orientata ai beni comuni dallo sviluppo capitalista.