La nuova sensibilità e i nuovi paradigmi 1 di un'Economia Umanista. Guillermo Sullings 2 L'Economia Mista nel momento storico Quando abbiamo pubblicato la prima delle tre edizioni del libro "Oltre capitalismo, Economia mista", circa all'inizio dell'anno 2000, abbiamo fatto riferimento nel prologo al particolare momento storico nel quale stiamo vivendo. Dopo la caduta del socialismo reale, all'inizio degli anni novanta il capitalismo, sotto forma di neoliberismo, sembrò emergere vittorioso, presentandosi di fronte al pubblico mondiale come l'unica alternativa valida. Da lì si cominciò a parlare di fine della Storia e di fine delle ideologie. Ma una decade di globalizzazione, basata sul capitalismo selvaggio, è stata abbastanza per molti popoli per cominciare a sperimentare le conseguenze fatali della loro fuga romantica con il neoliberismo. Un'ondata di privatizzazioni, speculazione finanziaria e l'asimmetria nella liberalizzazione del commercio internazionale, furono accompagnate da una crescita di disoccupazione e di povertà,dal saccheggio e lo svuotamento delle risorse naturali, insieme a scandali finanziari. Comunque, una volta che la nave del Socialismo era già bruciata, molti preferirono assumere non per convinzione ideologica ma piuttosto per rassegnazione che nonostante le discriminazioni generate dal sistema capitalista, questo fosse l'unico che funzionava. Era questo il contesto storico nel quale noi considerammo che la proposta di un sistema di Economia mista potesse riempire il vuoto esistente rispetto ad alternative economico. Come di solito accade, questa proposta non fu considerata non solo dai governanti di turno, molti dei quali furono divorati dalla stessa crisi che si annunciava nel libro, ma nemmeno pare esserci sua eco nei loro successori. Nei sei anni passati dalla pubblicazione di quella prima edizione, hanno cominciato ad esserci alcuni cambiamenti politici in alcune regioni del pianeta, e soprattutto in America Latina, forse una delle regioni che ha sentito maggiormente l'impatto delle politiche neo liberiste della decade precedente. Dall'approfondimento dell'esperimento Bolivariano 3 in Venezuela, fino ai recenti trionfi della sinistra in Uruguay e Bolivia passando attraverso il PT 4 in Brasile e ai settori progressisti del giustizialismo 5 in Argentina, venti nuovi hanno soffiato, almeno riguardo al comportamento dell'elettorato. Riguardo al comportamento dei governanti diverse sono le letture che potrebbero essere fatte ed incerta è la possibilità di vedere trasformazioni basilari in una scala temporale ragionevole. In generale, astenendoci dalla retorica, sembrerebbe essere che le buone intenzioni di trasformare l'economia siano possibili solamente nei ristretti margini di azione che rimangono, dopo avere presunto come inevitabile il predominio del capitalismo ed il potere economico che cadenzano il suo ritmo. Il margine di azione degli stati nazionali a volte si limita a un'azione sociale umanitaria che contribuisce a calmare i dolori dell'emarginazione, e altre volte si suggeriscono alcune idee futuriste a proposito di una nuova economia, anche se in questo caso non si spiega molto bene in cosa consisterebbe. 1 Nelle scienze sociali, il termine è usato per descrivere l'insieme di esperienze, credenze e valori che hanno effetto sul modo in cui un individuo percepisce la realtà e risponde a tale percezione. (NdT) 2 Guillermo Sullings è un economista autore del libro Economia Mixta – Mas allá del Capitalismo. Magenta Ediciones. Buenos Aires. 2000 3 Uno dei principali ideali del “Bolivarianismo” è promuovere l'unificazione dell'America Latina in un unico paese. Il principale esponente ed artefice del Bolivarianismo oggi è il presidente venezuelano Hugo Chávez. (NdT) 4 PT – Partito dei Lavoratori del Brasile, capeggiato dal Presidente, Luiz Inácio Lula da Silva. (NdT) 5 Traduzione dello spagnolo Justicialismo che si riferisce al partito Jusitialista in Argentina di cui Peron fu leader. (NdT) 1 Si parla, in alcuni casi, di un nuovo socialismo, o di tornare al keynesianismo 6 in altri, però si prosegue senza mostrare in modo chiaro la sostenibilità di tali proposte che non sia per mezzo di un sussidio permanente dell'eccedenza di bilancio. Il problema maggiore è che, di fronte a un eventuale fallimento dei nuovi tentativi economici, i popoli potrebbero tornare a farsi sedurre dagli opinionisti che insistono sul fatto che il capitalismo liberista sia l'unica verità e quindi nuovamente si legittimerà nelle urne lo sfruttamento, il saccheggio e l'emarginazione. La tendenza economica nel mondo Grandi crisi si avvicinano nel mondo, ma è certo che i fattori di conflitto non siano solamente economici, ma fondamentalmente esistenziali e culturali. Però siccome l'interesse di questo lavoro è il funzionamento dell'economia, concentreremo in essa l'analisi, ma ponendola nel contesto degli altri fattori di conflitto, per evitare di cadere in una deriva economicista. Un sistema economico concepito per essere guidato solamente da ambizioni personali e da timori, ha imposto una cultura del consumismo a cui, come è prevedibile, solamente una piccola percentuale della popolazione può accedere, mentre la maggioranza non può soddisfare neanche le proprie necessità più primarie. L'iniquità nella distribuzione di ricchezza non è una situazione fortuita ma piuttosto una direzione intrinseca del sistema economico e che lo porterà al collasso. Se l'economia fosse organizzata in funzione delle necessità umane, in una società orientata verso una direzione evolutiva dell'essere umano invece che verso la stupida accumulazione materiale, sicuramente ci sarebbe un consumo razionale e la produzione dei beni e servizi diverrebbero sufficienti per sostenere anche una popolazione più grande di quella che il pianeta ha oggi. Ma l'attuale struttura produttiva, costruita sul consumismo nella sua direzione irrazionale non solo distrugge l'ambiente, ma dirige anche lo sviluppo economico verso una strada senza uscita. In questa situazione è impensabile che l'intera popolazione mondiale possa un giorno raggiungere il livello di consumo del cosiddetto primo mondo, semplicemente perché molto prima innumerevoli risorse naturali si esaurirebbero e il pianeta collasserebbe. Già stiamo vedendo che una lieve crescita economica in Cina, (che anche se in termini assoluti è importante, misurato in consumo pro-capite è molto distante rispetto al primo mondo) già sta facendo risuonare allarmi rispetto alla capacità di procurarsi le materie prime. Il caso delle fonti di energia è paradigmatico; una struttura economica costruita su petrolio, coi livelli di consumo che ha oggi il primo mondo non sarà mai capace di coprire i sei miliardi di abitanti del pianeta. Quindi l'esclusione della maggioranza va a diventare un bisogno della minoranza. Di fronte a ciò, il controllo dei giacimenti di petrolio, oltre al essere un buon affare per le lobbies imprenditoriali che sostengono certi governi, implica una priorità nelle politiche internazionali delle grandi potenze. È evidente che questo sistema economico di ricchezza per alcuni e povertà per la maggioranza sarà mantenuto attraverso la forza e non attraverso la persuasione ideologica. Il neoliberismo ha fallito, ma il potere economico e le potenze a lui collegate, cercheranno altri canali per continuare a imporsi. Difficilmente ci riusciranno, poiché qualsiasi cosa facciano accelererà la crisi del sistema. D'altra parte l'incontrollabile deficit commerciale e il debito degli Stati Uniti e la loro contropartita nella collocazione di titoli del tesoro, principalmente nelle mani della Cina, minaccia di esplodere da un momento all'altro in una fenomenale crisi finanziaria. È certo che con la crisi si accelereranno i cambiamenti, e affinché questi abbiano una direzione 6 L'Economia Keynesiana è una teoria economica basata sulle idee dell'economista inglese del ventesimo secolo John Keynes. (NdT) Si tratta di una teoria in cui in sintesi, si considera il tasso di occupazione come uno dei parametri fondamentali e si prevede un intervento dello Stato per compensare tassi di occupazione troppo bassi anche a discapito di un indebitamento pubblico o della crescita dell'inflazione. 2 trasformatrice, sarà necessario poter contare su nuove risposte in tutti i campi, e quindi anche nel campo dell'economia e perciò andranno revisionati i suoi paradigmi. La nuova sensibilità e il cambio di paradigmi Quando si parla di paradigmi economici lo si può fare da punti di vista e da livelli di profondità molto diversi e se tutto questo lo moltiplichiamo per la quantità di autori che si riferiscono al tema, avremo una gamma così estesa di analisi e proposte, che la sola citazione dei titoli e degli autori eccederebbe la lunghezza di questo lavoro. Nel capitolo 1 del libro "Più in là del Capitalismo, Economia mista", è stata fatta una breve revisione delle teorie economiche, permettendo di avere un'idea più approssimata della varietà a cui ci riferiamo. Potremo fare differenze tra quei paradigmi sostenuti dagli ideologi del sistema economico imperante, indipendentemente da se la gente creda in essi o no e da quello che la gente crede. Dopo più di un secolo di tentativi di lotta contro il dominio del capitalismo, tanto nel terreno della pratica che in quello teorico, molti non credono già tanto ciecamente in alcuni dei paradigmi del liberalismo economico, ma in ogni caso, finiscono per accettare con rassegnazione il suo predominio, e l'idea che non esista un'alternativa migliore si sta installando come un nuovo paradigma, accettato con il fatalismo di una rassegnazione nichilista. Per esempio, la teoria del travaso, per la quale se alcuni si arricchiscono cominciano a spendere il loro denaro e la loro spesa sarà come una cascata di investimenti e risorse che raggiungerà i più poveri, questa teoria convertita in paradigma dai liberali e rilanciata dai neoliberisti (critici del welfare-state keynesiano), non sembra così credibile per le maggioranze impoverite che vedono come ogni giorno i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. Nonostante siano comunque molti che, per effetto della rassegnazione, credono che l'effetto travaso non sia prodotto perché i loro governi sono corrotti o poco seri per gli investitori, che in un mondo globalizzato preferiscono portare in altri luoghi i loro capitali. Come contropartita, quelli che ricevono alcuni investimenti e poche gocce del famoso travaso, sono convinti che devono fare una buona impressione e comportarsi bene con “i mercati”, per poter continuare ad avere alcune briciole. In altre parole, il paradigma del travaso ha subito una mutazione verso una concezione di premi e castighi, in cui una entità chiamata “Mercato”, è una sorte di nuovo Dio che premia o castiga, a seconda del comportamento più o meno ossequiente dei popoli con il potere economico. Un altro esempio è quel vecchio paradigma dell'autoregolazione e dell'equilibrio naturale, la famosa mano invisibile di Adam Smith che faceva sì che mediante la libera competizione e i comportamenti naturali dell'offerta e della domanda, i prezzi e i salari raggiungessero un livello equilibrato e i profitti degli imprenditori non potessero superare un minimo ragionevole. Si suppose che l'ambizione individuale fosse una forza che conduceva al progresso generale e, a sua volta, l'intersecarsi degli interessi individuali generasse l'equilibrio e l'autoregolazione che avrebbero garantito l'armonia sociale. Questa mano, convertita oggi in artiglio, si è materializzata nei, FMI, BM, OMC, gli accordi di libera circolazioni e nei poteri dominanti che vegliano sugli interessi del grande capitale finanziario internazionale e delle multinazionali. Oggi non si crede più tanto nella mano amichevole che regolava ed equilibrava tutto, però si crede bel potere assoluto di questo artiglio e nella non esistenza di alternative, e questo è il paradigma installato dal neoliberismo. Un altro paradimga esistente è quelo del “costo del denaro”, l'interesse per i prestiti. Il denaro emerse come un semplice mezzo di scambio per dinamizzare un'economia di permuta, e quindi rappresentava solo il valore dei beni, non aveva valore in se stesso né tantomeno poteva generare da solo un nuovo valore. La posizione di forza del prestatore che ha accumulato denaro, per richiedere una remunerazione per prestarne a chiunque ne abbia bisogno, si trasformò in una “verità dottrinaria” che si mantiene immutabile fino ai nostri giorni, in cui le persone e i governi vivono 3 indebitati e sfruttati dalla Banca. È curioso osservare che, nonostante la grande crisi che ha scatenato a tutti i livelli il settore finanziario, e nonostante il sistematico indebitamento esterno dei paesi, si è arrivati a mettere in dubbio soltanto alcuni comportamenti corrotti nella formazione del debito, ma non la meccanica in sé dell'usura, che continua essere un'istituzione rispettabile e incontestata. Un altro paradigma vigente è quello della proprietà privata, il pilastro fondamentale di altri paradigmi del capitalismo e dell'economia liberale. Però negli ultimi anni è stato dedotto da lui il paradigma della “efficienza dell'impresa privata” per aree prima riservate allo Stato (servizi pubblici, salute, educazione, ecc.), aumentando con esso, anche di più, la mancanza di protezione di quelli che non furono beneficiati dal promesso effetto pioggia né dalla regolazione della mano invisibile. La proprietà privata di alcuni aumenta, nella misura in cui il mondo si riduce a un grande ammasso di emarginati, guidandoci a poco a poco verso l'accettazione di un vecchio e temibile paradigma (già esplicitato nei cerchi interni del potere economico): la sopravvivenza del più forte; nel mondo c'è troppa gente e la marginalizzazione è un processo naturale di auto-selezione. Gli umanisti partono da un paradigma totalmente opposto: gli umanisti affermano che ogni essere umano, per il semplice fatto di essere nato, deve avere uguali diritti ed opportunità. Uguali diritti ed opportunità, un paradigma a partire dal quale dovrà derivare tutto il resto dei paradigmi di una nuova economia. Una nuova economia in cui lo Stato abbia un ruolo da protagonista nel garantire un'equa distribuzione della ricchezza, salute ed educazione gratuite e accessibili a tutti, la tecnologia posta al servizio dell'insieme della società e non di pochi che si arricchiscono, l'accesso al credito senza interessi, la proprietà partecipativa dei lavoratori nelle imprese e il reinvestimento produttivo dei profitti. Il 4 maggio del 2004 Silo affermò a Punta de Vacas “...i popoli sperimenteranno un desiderio crescente di progresso per tutti, comprendendo che il progresso per pochi finisce con il progresso per nessuno...”, in precedenza, il 4 maggio del 1999, aveva manifestato la necessità di lavorare per “...il superamento della semplice formalità di uguali diritti di fronte alla legge per avanzare verso un mondo di uguali opportunità per tutti...”. Effettivamente oggi vediamo che a parte pochi (anche se potenti) che continuano a credere al paradigma della legge del più forte e della selezione automatica dei più adatti, la stragrande maggioranza sta comprendendo la necessità di un progresso con equità sociale. Nondimeno, il vecchio sistema capitalista non può dare soluzioni a questa necessità, perché è fondato sui paradigmi di un mondo che sta morendo, il mondo dell'individualismo, dell'egoismo, dello sfruttamento e dell'indifferenza. Nel frattempo l'organizzazione sociale è soggetta a istituzioni e legislazioni che nonostante abbiano un'apparenza formale di uguaglianza di tutti di fronte alla legge, nella pratica si allineano ogni volta di più ai dettami del capitale internazionale che si alimenta di disuguaglianza e di emarginazione. È ogni volta più evidente che questa nuova sensibilità che sta nascendo nelle persone e che nell'ambito economico si manifesta con questa necessità di progresso per tutti, si potrà canalizzare in una profonda trasformazione sociale nella misura in cui l'organizzazione statale e l'economia siano costruiti in base a nuovi paradigmi, in accordo con questa nuova sensibilità. Alcuni assi ideologici del capitalismo si basarono sulla premessa che l'essere umano sia egoista ed individualista per natura, e che un'organizzazione economica appoggiata sulla competizione e la disuguaglianza libererebbe la forza della natura umana per alimentare il motore produttivo e creativo che genererebbero sviluppo sufficiente per fluire dal più ricco e raggiungere il più povero. Non è il proposito di quest'opera un'analisi storica su come potesse essere un'alternativa al sistema capitalista tre secoli fa, tenendo presente la sensibilità sociale di quell'epoca. 4 Però siamo in condizioni di affermare con certezza che l'essere umano attuale è cresciuto a sufficienza affinché i vestiti Darwinisti dell'economia capitalista non gli siano più comodi. C'è sempre più evidenza che l'egoismo e l'individualismo che si manifestano con l'economia di mercato, rispondano più a un'azione di forma di modelli organizzativi costruiti su questi valori, che a un vero incastro di tali valori nel profondo di ogni persona. Sono sempre di più le persone che sperimentano contraddizione quando le si pone in condizioni di dover svolgere ruoli di sfruttamento, competizione e costrizione, perché queste sono le regole del gioco che assicurano il successo della propria impresa. Ovviamente ci sono ancora alcuni dal comportamento primitivo a cui piacciono queste condotte, e ovviamente essendo funzionali al potere economico, finiscono per occupare posizioni rilevanti, tanto nelle imprese come nelle istituzioni pubbliche funzionali al sistema. Però è sempre maggiore il numero di persone che sta cercando di star fuori da questa meccanica alienante, a volte adattandosi per necessità, e a volte emarginandosi dal sistema. E se potessimo stare all'interno di alcune persone, ci sorprenderebbe vedere quanti esseri umani in apparenza conformi allo stile di vita dominato dai valori del capitalismo sentirebbero un grande sollievo se potessero canalizzare le proprie attività economiche da un'altra posizione e con altri valori. L'essere umano sta crescendo, ed il sistema capitalista lo tiene piccolo. C'è una mancanza di paradigmi nuovi per l'organizzazione economica. Tutte le procedure di un sistema economico nuovo, a misura di essere umano dovrebbero passare la prova di rispettare il paradigma fondamentale: Uguali opportunità per tutti. Non ha uguali opportunità chi non ha accesso all'istruzione perché è costosa o perché lo Stato si disinteressa della pubblica istruzione o si disinteressa delle problematiche sociali o familiari che ne rendono difficile l'accesso. Non ha uguali opportunità chi nasce in seno a una famiglia ricca rispetto a chi nasce in una famiglia povera, almeno finché le differenze sociali sono ogni volta più abissali e mentre lo Stato non si occupa di facilitare il cammino a coloro che sono meno protetti. Non ha uguali opportunità chi eredita un capitale rispetto a chi ha ereditato solo la sua miseria, almeno mentre c'è un sistema economico che ricompensa più il possesso di un capitale degli attributi di laboriosità, immaginazione o talento delle persone e mentre non c'è uno Stato che si occupi di compensare tali disuguaglianze. Non ha uguali opportunità chi accetta di seguire solo il sentiero dell'onestà rispetto ai privi di scrupoli che non esitano a intraprendere il cammino della corruzione, almeno finché c'è uno Stato che non assicura la chiusura di questo secondo cammino, invece di agevolarlo. Non ha uguali opportunità chi sta in una posizione di forza che gli permette di imporre le sue condizioni sia in campo lavorativo, produttivo o commerciale rispetto a chi deve accettare le condizioni imposte perché non ha alternative, perché non c'è uno Stato che lo protegga dagli abusi. Non hanno uguali opportunità quelli che nascono senza possessi in un mondo che ha già padroni, e devono supplicare perché si conceda loro uno spazio, a volte ottenendo il loro misero spazio in cambio di sfruttamento, e a volte morendo perché non hanno trovato neppure un misero spazio. C'è chi sostiene che qualsiasi intervento dello Stato per proteggere i più deboli promuova la debolezza e l'ozio, distorcendo il funzionamento dell'economia, provocando una stagnazione che blocca lo sviluppo, e così, anche se ci può essere una maggior equità nella distribuzione del reddito, il livello di povertà del cittadino medio risulterebbe peggiore di quello dei paesi più liberali. Non analizzeremo i casi che potrebbero servire da esempio, tanto per i difensori come per i detrattori di questa teoria, perché è evidente che oltre al funzionamento dell'economia intervengono fattori politici, nazionali e internazionali che faranno in modo che tali analisi siano sproporzionate rispetto all'interesse di questo lavoro. Quello sì che possiamo dire è che quello che stiamo cercando di spiegare parlando di garantire l'uguaglianza di opportunità da parte dello Stato non si riferisce a 5 forzare l'uguaglianza negli obiettivi raggiunti ma a cercare di assicurare l'uguaglianza nel punto di partenza verso tali obiettivi. Ciononostante, un possibile punto di dubbio per i difensori del cosiddetto libero mercato (chiaramente non libero da monopoli), sarebbe il seguente. Anche accettando che l'attività economica non si trasformi nella cosa più importante della società, e anche accettando che non è una competizione pseudo-sportiva dove i perdenti sono emarginati, e anche accettando l'ideale di una società più equa dal punto di vista economico, anche così rimane un dubbio. L'economia ha un'aspetto sociale e uno matematico, e nel suo aspetto matematico c'è un principio che dice che non si può consumare più di ciò che si produce. Questo principio pare contraddirsi con quell'aspirazione del socialismo del “ciascuno riceve secondo le proprie necessità e produce secondo le proprie possibilità”, perché nel momento di applicarlo, la somma delle necessità richieste da tutti è solita essere molto maggiorre alla somma di ciò che sono disposti a produrre. Di fronte a questa apparente contraddizione tra un ideale e la realtà, il capitalismo dice “che ciascuno si occupi di soddisfare le sue necessità”, e in questo modo nessuno potrà consumare più di ciò che produce. E ciò ha anche più contraddizioni, giacché ci sono numerosi casi dove coloro che faticano lavorando consumano molto meno di ciò che producono e delle proprie necessità, mentre altri che li sfruttano consumano molto più del risultato dei propri sforzi e moltissimo più delle proprie necessità, ed inoltre è sempre maggiore la quantità di persone che non hanno neppure la possibilità di potersi sforzare, a causa della mancanza di lavoro. Comunque, nonostante le contraddizioni del capitalismo, ci sono alcuni che insistono che se in qualche modo lo Stato ricompensa quelli che non fanno sforzi per produrre ciò che consumano, allora nessuno farà sforzi, giovandosi della protezione statale e la caduta del PIL impoverirà tutti, incluso lo Stato che non potrà più proteggere nessuno, mentre quelli che in ogni caso si sforzano, si demoralizzeranno al vedere che i propri sforzi produttivi si diluiscono tra una maggioranza di oziosi. Quest'ultimo ragionamento in primo luogo omette evidentemente la considerazione di ciò che sono i beni sociali e le necessità sociali; quando una persona lavora e si sforza per soddisfare le proprie necessità, non lo fa solo per comprarsi casa o un televisore, ma lo deve anche fare per contribuire a un insieme sociale del quale si nutre grazie a una organizzazione sociale assicurata da uno Stato, sia che si tratti di infrastruttura, di istruzione o assistenza sanitaria, di sicurezza o cultura, di tecnologia e conoscenze accumulate in generazioni. Pertanto quella matematica individualista del produzione uguale consumo comincia a relativizzarsi. Tale ragionamento parte inoltre da una concezione naturalista e nefasta dell'essere umano, presupponendo che la maggioranza sarebbe capace si lasciare denutriti i propri figli in attesa di uno Stato che li alimenti, senza comprendere neppure la parte più minuscola di ciò di cui è capace la coscienza umana, soprattutto quando attraverso l'istruzione, la cultura e un'organizzazione sociale con principi solidali le si concede l'opportunità di manifestarsi in tutta la sua pienezza. In ogni caso, quando parliamo di uguaglianza di opportunità, non stiamo dicendo che lo Stato debba compensare la mancanza di sforzo economico delle persone (eccetto il caso di quelli che non sono in condizioni di realizzare tale sforzo), ma che debba garantire che tutti abbiano uguali opportunità per realizzare tale sforzo, ricevendo benefici proporzionati allo stesso. Avendo uguaglianza di opportunità, ogni persona vedrà come utilizzarle, ci saranno alcuni che preferiranno consumare meno beni materiali in cambio di avere più tempo libero per altre attività non economiche (ma possibilmente più riconfortanti), e ci sarà chi si dedica di più alle attività economiche perché desidera consumare di più, e a loro volta ci saranno persone che a seconda del momento della propria vita potranno optare per una cosa o l'altra. Però lo Stato deve garantire che tutti abbiano le stesse opportunità di realizzare tali sforzi economici, in minore o maggior grado e che i loro compensi economici siano proporzionali e soprattutto che quelli che fanno un più grande sforzo economico non per questo accumulino potere sugli altri e ancor meno sullo Stato. Inoltre, lo Stato deve assicurare che tutti gli esseri umani possano beneficiare in egual misura dei progressi tecnologici che permetteranno che sia ogni volta minore lo sforzo lavorativo delle persone 6 necessario per soddisfare le proprie necessità. Da questo paradigma dell'uguaglianza di opportunità per tutti, ne deriva qualcun altro in ambito economico. Uno di questi è quello della Pubblica Istruzione gratuita assicurata a tutte le persone al massimo livello di qualità possibile. Ovviamente non è l'unica cosa che deve essere gratuita e pubblica (anche l'assistenza sanitaria e altri diritti) ma mettiamo la Pubblica Istruzione come un paradigma nel campo di una nuova economia, perché è uno dei fattori che assicura l'uguaglianza di opportunità. Un altro paradigma derivato, l'equità nella retribuzione della ricchezza. In tal senso, la partecipazione dei lavoratori nei profitti nella proprietà e nella presa di decisioni nelle imprese, dovrà essere un pilastro fondamentale per permettere che questo paradigma si concretizzi nella pratica. Una cosa è rispettare le proprietà dell'investitore, e un'altra cosa è che da questa sua situazione di potere imponga condizioni ai lavoratori che sono in condizioni inferiori. Un altro paradigma derivato è quello della concezione del Patrimonio (Eredità) Sociale. Oggi gli eccessi nel diritto di proprietà privata non hanno generato solamente mostruose accumulazioni di capitale in poche mani, perpetuando attraverso il diritto ereditario il potere di vere dinastie che nel corso di generazioni controllano l'insieme sociale, ma si sono estesi anche sulla cosiddetta proprietà intellettuale come se le scoperte scientifiche e i progressi tecnologici possano essere accaparrati da imprese o individui, invece di essere patrimonio dell'umanità. In più, l'ondata di privatizzazioni degli ultimi anni ha fatto retrocedere le già limitatr aree dei patrimoni pubblici e sociali, restringendo ogni volta di più il diritto alla libera circolazione, all'istruzione e all'assistenza sanitaria, all'usufrutto delle risorse naturali etc. Sia chiaro che qui non stiamo parlando dell'estremo di considerare tutto come proprietà pubblica; stiamo dicendo che dovrebbero esserci maggiori limitazioni in ciò che si possa considerare adatto per il settore privato, allargando il campo della proprietà pubblica a tutto ciò che sia considerato di interesse comune per una società, e sviluppare il concetto di Proprietà Sociale per tutto quello che potrebbe riguardare gruppi umani. Per esempio, una fabbrica, in quanto fonte di lavoro è un patrimonio sociale il cui uso riguarda molte famiglie, pertanto le decisioni sul suo destino non dovranno restare monopolizzate nelle mani di chi detiene la maggior percentuale di proprietà. Ovviamente questo concetto deve essere sviluppato con molta attenzione nella sua implementazione pratica e non è l'idea di questo lavoro addentrarci in tali dettagli, molti dei quali possono essere trovati nel libro di Economia Mista. Però è chiaro che l'uguaglianza di opportunità sarebbe colpita seriamente se la libertà di scelta delle persone fosse ristretta agli spazi ristretti e marginali che non sono stati ancora privatizzati. Un altro paradigma derivato dall'uguaglianza di opportunità e molto relazionato agli altri è quello di considerare il denaro come un patrimonio pubblico. L'usura privata (intendendo per usura non solo l'ottenimento di interessi ma in generale il carattere speculativo che ha andato prendendo l'uso del denaro), ha generato una mostruosa accumulazione di capitale finanziario a discapito del capitale produttivo, in modo che la distribuzione del reddito sia stata sbilanciata più che mai. Il controllo in mani private del settore finanziario non solo non garantisce l'uguaglianza di opportunità nell'accesso al credito ma in più sfrutta persone, imprese e paesi con il meccanismo dell'indebitamento perpetuo. Solamente l'esistenza di una Banca Statale che dia prestiti senza interessi può garantire l'uguaglianza delle opportunità e il reinvestimento produttivo dei profitti. Così come il paradigma dell'uguaglianza di opportunità è un asse centrale su cui dovrebbe funzionare un sistema economico, un altro asse fondamentale, anche dal quale derivano altri paradigmi è quello che possiamo definire come la subordinazione dell'economia a un progetto umano integrale. Anche se nel capitalismo non si è esplicitato come paradigma l'ubicazione dell'economia come centro di gravità della vita delle persone, la dinamica propria del capitalismo ha portato a ciò. Il denaro si è trasformato in un nuovo Dio che regola la vita delle persone; l'ansia di accumularlo o la paura di non averlo sono divenuti il senso della vita. Il consumismo si è trasformato in uno stile di 7 vita a cui si aspira e che stabilisce i codici di relazione e la scala dei valori sociali. Coloro che detengono il potere economico si sono appropriati del potere politico e dei mezzi di diffusione e da lì controllano la società. Tutto è misurato in termini economici, in una logica irrazionale del fattibile e del non fattibile che finisce per emarginare la maggioranza dell'umanità. Certo che immaginarsi la vita in un altro modo, dopo che culturalmente si è trasmessa la supremazia dell'economico nel corso di generazioni, potrà essere difficile come immaginarsi i colori per qualcuno che non li ha mai visti. Certo che perché una società possa organizzarsi intorno ad altri valori centrali al posto del denaro, relegando l'economia a una mera funzione pratica di produrre e amministrare risorse, per questo è necessario non solo un nuovo sistema economico, ma anche un cambio nelle teste, un nuovo sguardo, un rinnovato contatto con le necessità esistenziali. Ma come dicevamo all'inizio, sta nascendo una nuova sensibilità e le nuove generazioni non potranno essere ipnotizzate allo stesso modo e questa nuova sensibilità ha bisogno di nuovi paradigmi uno dei quali è, precisamente, il fatto che tutto ciò che è in relazione con l'economia deve essere uno dei tanti temi e non il tema fondamentale. Infine, possiamo dire che per poter costruire un nuovo sistema economico che risponda a questi nuovi paradigmi, c'è molto da discutere; però alcuni temi sono stati abbozzati nel libro “Economia Mista” del quale per continuare sintetizzeremo alcune idee essenziali. Alcuni concetti di base dell'Economia Mista Umanista Generalmente quando si dice che un'economia è mista, si fa riferimento a paesi in cui prevale l'economia privata e lo Stato si riserva la gestione di alcune imprese pubbliche o al contrario, paesi dove l'economia è statalizzata però si aprono alcune porte per gli investimenti privati. Da questo punto di vista di potrebbe dire che tutte le economie hanno qualcosa di misto. Comunque, quando ci riferiamo ad un'economia mista, non stiamo parlando di isole pubbliche in un mare privato, né di isole private in un mare pubblico, ma piuttosto ci striamo riferendo a un vero sistema economico in cui l'interazione tra pubblico e privato conforma una vera intelligenza sociale posta in funzione di uno sviluppo economico sostenibile, equo e al servizio dell'essere umano. È per questa ragione che il primo concetto da incorporare è quello di uno Stato molto diverso da quello attuale, con un sistema di democrazia diretta che permetta che la gente si coinvolga, partecipi e decida sulla gestione pubblica. In questo modo andranno scomparendo la distanza e l'antagonismo tra i settori pubblici e privati e quindi così come la gente potrà generare politiche tendenti al bene comune in ambiti così importanti come la sanità, l'istruzione, l'ambiente e la giustizia, potrà anche pianificare lo sviluppo economico sostenibile e la distribuzione equa dei redditi. Oggi accade tutto il contrario: viviamo in una democrazia formale in cui lo Stato è controllato dal potere economico e pertanto le sue politiche tendono sempre a favorire tale potere. Il potere economico non solo si compra i tre poteri dello Stato, ma in più si compra i mezzi di diffusione attraverso i quali si comunica alla gente quali sono le loro false alternative elettorali, perché in questo modo gli sia perpetuato il potere. Perciò, presumendo che lo Stato futuro non sia bottino dei corrotti azionisti del potere economico, né una sovrastruttura di burocrati, ma che, grazie ai meccanismi della democrazia diretta, lo stato si trasformi nell'ambito di coordinamento della gente per darsi politiche comuni, potremo parlare degli assi principali di un sistema di economia mista e delle sue differenze dall'economia di mercato dall'economia statalista. Nell'economia di mercato i fattori di produzione possono essere messi in moto solamente se coloro che hanno accumulato capitale decidono di investirlo produttivamente e se non lo fanno, come accade in questa epoca, milioni di persone sono emarginati, disoccupati e fuori dal sistema. In un'economia statalista i fattori di produzione possono mettersi in moto solo attraverso una pianificazione lenta e burocratizzata da parte di una élite di funzionari dissociati dalla realtà quotidiana della gente, e pertanto si genera un'economia atrofizzata ed inefficace. 8 In un sistema di economia mista i fattori di produzione sono messi in moto attraverso la gestione e la creatività delle persone che si coordinano e si organizzano come insieme attraverso politiche statali progettate da loro stesse. Ecco qualche esempio di queste politiche. Creare una banca statale che con i propri fondi fiscali presti denaro senza richiedere interessi, per finanziare investimenti produttivi che generino impiego, scoraggiando le pratiche usuraie che distruggono l'economia produttiva. Creare ambiti di coordinazione, qualificazione e informazione affinché gli imprenditori sappiano quali sono le “nicchie” per la produzione di beni e servizi dove conviene investire. In altre parole spingere il circolo virtuoso di aumento di domanda e di offerta senza aspettare che lo faccia il l'inaffidabile (erratico) mercato. Creare un regime di proprietà partecipativa dei lavoratori, affinché le aziende siano co gestite ed autogestite e i profitti non siano solo per coloro che apportano capitale, ma anche per coloro che apportano il proprio lavoro; incoraggiando attraverso politiche fiscali il reinvestimento produttivo e scoraggiando gli investimenti speculativi. In questo modo si raggiungerà una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza che oltre alla giustizia sociale produrrà domanda e crescita. Una politica fiscale che si poggi più sulla tassazione di profitti e ricchezze che sulla tassazione al consumo, per avere un bilancio che assicuri l'istruzione e la sanità pubbliche e che preveda inoltre un fondo per incoraggiare lo sviluppo produttivo. Un'adeguata pianificazione della produzione che contempli l'equilibrio ecologico, dando priorità ai beni e ai servizi che soddisfino reali necessità di tutta la popolazione invece del consumismo di pochi. È sicuro che c'è molto da sviluppare in quanto concerne le proposte concrete di questa economia mista, oltre a quelle già presentate nel libro, però sempre in base ai nuovi paradigmi che pongono l'essere umano come valore centrale. Guillermo Sullings 21/02/06 9