Spazi eco-compatibili tra arte e biotecnologia. Al di là dell'antropocentrismo. Dorotea Pace Teoria delle Arti Multimediali Media Design ed Arti Multimediali, I anno NABA Anno 2009/2010 1 Indice Introduzione – Per un'introduzione breve sulla biotecnologia nell'arte e l'arte nella biotecnologia............................................................................. 4 Parte I – La relazione con l'alterità............................................................. 7 Parte II – Pensare all'arte come ad un motore per la creazione ed il ri-arricchimento della biodiversità............................................................... 10 Parte III – Un'ulteriore notazioni sul rapporto uomo-natura: l'industria alimentare................................................................................................... 17 Conclusione – Per una bio-etica................................................................. 20 Bibliografia e sitografia............................................................................... 21 2 3 Introduzione Per un'introduzione breve sulla biotecnologia nell'arte e l'arte nella biotecnologia. Nel panorama sempre più denso ed articolato delle new media arts1, a partire dalla seconda metà degli anni 90 del Novecento, l'arte ha iniziato a fare riferimento alla sperimentazione genetica ed agli strumenti biotecnologici2, trovando in essi nuovi termini di riflessione oltre che la possibilità di ampliare i propri mezzi espressivi e sistemi di rappresentazione, per riflettere sulla natura e sulla vita, sui loro processi di trasformazione e sulle loro interazioni. Le esperienze artistiche che ne sono derivate benché varie ed articolate per approcci possibili, si ascrivono nella denominazione di “bioarte”. Definizione questa che, per quanto generica, ne evidenzia l'impostazione scientifica, sociale e culturale, totalmente nuova anche rispetto a quella delle arti di derivazione informatica. Pur quando ne condivide alcune istanze filosofiche e prassi mediali, la bioarte utilizza le conoscenze e gli strumenti scientifici per la creazione di opere d'arte nelle quali la biotecnologia e la dimensione organica sono contemporaneamente oggetto e soggetto dell'opera, tema e strumento di espressione, a differenza delle forme artistiche legate alle tecnologie informatiche che esprimono i concetti indagati per mezzo di simulazioni e rappresentazioni visive. Con la bioarte la cultura dell'immagine trasloca dall'ambito tradizionale dell'immaterialità della rappresentazione e della simulazione a quello della materialità dei composti del carbonio e del suo processo di trasformazione. Land Art, manipolazioni genetiche e cromosomiche, transgenesi, allevamenti e selezioni di piante ed animali, ibridazioni, colture di cellule e tessuti, sintesi di sequenze di DNA create artificialmente, autosperimentazioni fisiologiche... Certamente, l’arte si è sempre misurata con il vivente, tanto per trarne ispirazione, quanto per problematizzarlo, ma la novità nelle opere di bioarte risiede proprio nel fatto che esse non sono più frutto di una mimesis della natura. Al contrario, esse, strutturandosi attorno ai componenti organici3, rivendicano per sé lo statuto di esseri viventi e conseguentemente il loro carattere strettamente processuale ed, in quanto tale, transitorio. Nel giro di pochi anni, i progetti di bioarte hanno raggiunto un grado elevato di strutturazione teorica e concettuale e di consapevolezza delle proprie potenzialità. *** 1 Si definiscono “new media arts” le pratiche artistiche di ibridazione sia concettuale sia operativa con i campi della scienza, della tecnologia e dell'informatica. 2 «La biotecnologia è l'applicazione tecnologica che si serve dei sistemi biologici, degli organismi viventi o di derivati di questi per produrre o modificare prodotti o processi per un fine specifico.», cfr. Convenzione sulla Diversità Biologica UN. 3 «[…] Bioart is art that is alive or has living components. [...] Art that represents life (chromosomes, DNA, etc.) is not bioart. Computer simulations of genetic processes, evolution, plant growth, etc. are simulations of life and not alive, hence not bioart. [...]», cfr. GEORGE GESSERT, “Re: [YASMIN-msg] Exhibiting bioart - Yasmin discussion”, messaggio inviato alla mailing list Yasmin, 25 marzo 2006, <http://www.media.uoa.gr/yasmin/>. 4 Facendo ricorso alle collaborazioni con biotecnologi e centri di ricerca, la bioarte crea «dispositivi per la partecipazione emozionale e cognitiva»4 di notevole impatto sulla coscienza collettiva che si propongono come mezzo per «sollevare il velo su quanto accade all’interno dei laboratori di genetica per interrogarsi sulle tecnologie e imparare ad utilizzarle»5. Con un atteggiamento critico nei confronti dei percorsi intrapresi dall'odierno sviluppo tecnologico, la bioarte da un lato si oppone ai discorsi apologetici sulla tecnoscienza ed invita a riflettere sulle possibili prospettive e derive della sua accelerazione nel quotidiano, dall'altro mette in luce le paranoie, le inquietudini e le paure di una società sempre più suscettibile nei confronti di tale accelerazione e dell'uso, tanto più se artistico, dei componenti organici6. Pur nella varietà delle posizioni estetiche e delle poetiche, ogni progetto di bioarte sviluppa una ricerca epistemologica nella direzione delle questioni legate alla vita e alla sua creazione, alla dilatazione del vivente e all'impatto delle nuove tecnologie sull'ambiente, ponendo l’accento sulle diverse percezioni delle implicazioni sociali, etiche, filosofiche, istituzionali e commerciali. Di fatto, il concetto di “vita” resta molto dibattuto anche in ambito scientifico. Molti biologi sostengono che tra il vivente ed il non vivente ci sia un continuum, una transizione graduale che trova il suo riferimento primario nelle origini dell'evoluzione, cioè in quel momento in cui l'organico si è evoluto dall'inorganico. La capacità di manipolare la vita, inoltre, ha dato origine a forme di vita parziale, entità, definite semiviventi, che sono concepite artificialmente innestando materiali organici e materiali inorganici, e che, per natura, hanno bisogno degli esseri umani per la loro generazione e per il loro mantenimento. È sempre più evidente che le rivoluzioni informatica e biotecnologica del XX secolo hanno introdotto elementi di riflessione che necessariamente vanno affrontati all'interno di una rinnovata cornice filosofica perché di fatto sono stati aboliti i confini di delimitazione tra ciò che è umano e ciò che è non-umano, tra ciò che è vivente e ciò che non lo è. La società contemporanea ha fondato il suo rapporto con la natura sull'etica antropocentrica ereditata dall'umanesimo, che ha decretato la centralità dell'uomo nella determinazione dei paradigmi culturali, metro e misura di qualsiasi relazione con l'alterità animale, vegetale e tecnologica7,secondo il binomio utile/dannoso. Nella Bibbia si legge «E Dio disse: “Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”»8. In questa prospettiva, l'uomo è epicentro della riflessione e dell'azione perché superiore rispetto agli altri esseri viventi, a livello etico, morale ed intellettuale. Ma nello spazio delle relazioni naturali, l'uomo ha anche delle precise responsabilità di tutela e salvaguardia dell'ambiente naturale. Precise responsabilità che sembra aver *** 4 Vd. JENS HAUSER, La biotecnologia nell'arte Incubo dei tassonomi, in Art Biotech, a cura di Jens Hauser, ed. it. a cura di Pier Luigi Capucci e Franco Torriani, Bologna, CLUEB 2007, p. 20. 5 JENS HAUSER, La biotecnologia nell'arte, in Art Biotech… op. cit. 6 cfr. PIER LUIGI CAPUCCI, FRANCO TORRIANI, Presentazione, in Art Biotech... op. cit., «Abbiamo più difficoltà a relazionarci con entità organiche piuttosto che con organismi inorganici […] perché anche noi siamo fatti di pelle, cellule, geni, perché in fondo si tratta della nostra stessa carne» 7 Roberto Marchesini, Il tramonto dell'uomo. La prospettiva post-umanista, Edizioni Dedalo, Bari, 2009, p. 12. 8 Bibbia, Antico Testamento, Genesi, I, 26 5 dimenticato. Montale scrive che «Il crepuscolo è nato quando l'uomo / si è creduto più degno di una talpa o di un grillo»9. Oggi, di fronte all'attuale peggioramento sempre più rapido della situazione ambientale e delle condizioni di sopravvivenza delle specie, l'antropocentrismo può avere significato solo in una prospettiva sostanzialmente diversa, ovvero guardando alla presupposta superiorità dell'uomo come punto di partenza per lo sviluppo di un'etica biocentrica, che tenga cioè conto del mondo dei viventi, in tutta la sua complessità, riconoscendo un valore intrinseco e non derivato ad ogni essere vivente. In questa dimensione, la bioarte si interroga su un nuovo senso da dare alla vita, più consapevole. E, superando il sogno arcaico di Pigmalione10 di infondere la vita nella materia e la pura rivendicazione del diritto alla creazione e della manipolazione demiurgica ed estetizzante del vivente, per porsi l'obiettivo di sviluppare nella società la consapevolezza dell'ambiente naturale circostante e degli sconvolgimenti causati dalla sua influenza su di esso, oltre che un sentimento di solidarietà biologica, sperimentando anche le possibilità di ri-arricchire la biodiversità. *** 9 cfr. Satura: Götterdämmerung, vv. 6-7 Il mito racconta che Pigmalione, re di Cipro e noto scultore, aveva modellato un nudo femminile d’avorio, cui aveva dato il nome Galatea. Considerando la sua statua superiore a qualunque donna, anche in carne e ossa, se ne era innamorato tanto da dormirle accanto, nella speranza che un giorno si animasse. Perciò nel periodo delle feste rituali in onore di Afrodite, Pigmalione si recò al tempio della dea e la pregò di concedergli per sposa Galatea, rendendola una creatura umana. La dea acconsentì e, precipitatosi a casa, Pigmalione poté vedere e la sua statua animarsi lentamente, respirare e aprire gli occhi. Il mito si presta a rappresentare la problematica della creazione artificiale ed il tentativo dell'artista di imitare in maniera sublime la natura e superarla, fino a creare la vita stessa. 10 6 Parte I La relazione con l'alterità Scrive Wu Ming 1 «[...] non possiamo continuare a vivere com'eravamo abituati, spingendo il pattume (materiale e spirituale) sotto il tappeto finché il tappeto non si innalza a perdita d'occhio. [...] Non siamo immortali, e nemmeno il pianeta lo è. [...] Se ce ne rendessimo conto, se accettassimo la cosa, vivremmo la vita con meno tracotanza. [...] E i danni? Gli ecosistemi che abbiamo rovinato? Le specie che abbiamo annientato? Sono problemi nostri, non del pianeta. Verso la fine del Permiano, duecentocinquanta milioni di anni fa, si estinse il 95% delle specie viventi. Ci volle un po', ma la vita ripartì più forte e complessa di prima. La Terra se la caverà, e finirà solo quando lo deciderà il sole. Noi siamo in pericolo. Noi siamo dispensabili»11. Non ne siamo pienamente consapevoli perché le trasformazioni nell'ambiente in conseguenza del nostro agire, per quanto incombenti, sono graduali e perché non tutti le viviamo direttamente o siamo capaci di comprenderne la portata, ma gli equilibri su cui si fonda la sopravvivenza di habitat, specie e popolazioni sono fragili e a rischio. «Quando saltano per mano umana, dovremmo essere in grado di affrontarne le conseguenze. Non sempre è così. E la natura colpisce senza pietà la nostra impreparazione, arroganza, superficialità. Purtroppo ancora non abbiamo capito che non siamo onnipotenti» dichiara Guglielmo Pepe, direttore di National Geographic Italia da Novembre 2005 a Novembre 2010.12 In questo corso di eventi, abbiamo la possibilità di lavorare con margini di ottimismo nei termini di una capacità di recupero, favorita dalla messa in atto di uno sviluppo ecocompatibile e socialmente sostenibile. Ma, come sostiene Guglielmo Pepe, «la sostenibilità ambientale non si inventa per decreto»13. È necessario diffondere un'educazione globale che, superando la suddivisione rigida ed arbitraria delle conoscenze in ambiti disciplinari, proponga una lettura rinnovata della realtà, più organica e problematica. Nel contesto delle avanguardie dei primi decenni del XX secolo, Laszlo Moholy-Nagy sostiene che «Benché il lavoro di ricerca dell'artista sia raramente così sistematico come quello dello scienziato, entrambi si relazionano alla vita come entità, e non in termini di dettagli. [...] La principale differenza tra i problemi dell'artista e quelli dello scienziato è la differenza nella forma della loro materializzazione e della loro comprensione e portata.» Un binomio organico arte-tecnoscienza così com'è presente nella bioarte con la trasformazione in maniera procedurale della sperimentazione tecnoscientifica in ambito artistico ha il potere di fornire quella visione globale delle condizioni economiche, sociali e morali di cui ha bisogno la contemporaneità. Laddove i tecnici e gli scienziati sviluppano *** 11 cfr. New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Einaudi, Torino, 2008, pp. 27-28. vd. National Geographic, Ottobre 2010, Qui Italia, Non siamo onnipotenti. 13 cfr. < http://pepe-national-geographic.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/01/07/addio-ai-sacchetti-di-plastica/ > 12 7 la ricerca di base, gli artisti caricano questa ricerca di un valore estetico e culturale strettamente connaturato alla società. I progetti di bioarte spostano l'interesse dall'oggetto in sé ai processi che esso metto in atto ed alle esperienze che produce, come momento estetico, momento di sensibilità e momento di scambio. «Gli artisti possono svolgere un ruolo fondamentale nell'accrescere la soglia d'attenzione su temi di difesa dell'ecosistema attraverso le loro opere» dichiara Brandon Ballangée, artista che esplora i confini e le possibilità di ibridazione tra arte, scienza e tecnologia, sviluppando progetti interdisciplinari basati su viaggi d'istruzione e ricerche biologiche, in collaborazione con biologi ed organizzazioni scientifiche. Se è vero che l'arte apporta spessore sociale alla ricerca scientifica, altrettanto vero è che la riflessione artistica rileva nell'impiego della tecnologia una possibilità utile a riequilibrare il nostro rapporto con la natura. In Is there love in the technoetic Narcissus?, sfruttando le teorie della tecnoetica14, Francesco Monico, studioso e promotore del pensiero e dell'estetica digitale, esplora il concetto di narcisismo culturale umano, ponendosi tra la poietica del narciso nella mitologia ed il tempo della fioritura di un Narcissus Poeticus. L'installazione registra e trasmette in tempo reale le immagini della fioritura, compresa la crescita e la maturazione, entro un flusso televisivo, la nascita del fiore Narcissus Poeticus, integrandole con testi di vari interpreti della cultura contemporanei che contribuiscono a delineare il concetto di narcisismo culturale umano. Se, come sostiene Freud, il narcisismo è il peggiore dei disturbi della psiche perché rende il soggetto incapace di amare l’altro, allora il narcisismo culturale umano è da intendersi come la peggiore delle nevrosi della cultura in quanto riflessione autoreferenziale che impedisce lo sviluppo e il dispiegamento tra noi e il mondo di un sentimento di reale amore, forma più elevata di stare e di essere nel mondo. Parallelamente, in TAFKAV (The Artist Formerly Known As Vanda), Monico esplora le possibilità di interfacciare il dialogo tra noi ed il mondo naturale. L'installazione è costituita da gabbie di metallo che racchiudono orchidee (Vanda cerulea), le cui variazioni galvanometriche sono trasmesse ad un computer per essere trasmutate in sonorità musicali. Le orchidee diventano così strumento musicale, esplorando un rapporto autentico di comunicazione tra alterità umana e non, per mezzo dell'arte, per altro già auspicata da Goethe15 prima, e Heidegger dopo, i quali suggerivano che l’unico modo per relazionarsi con l’alterità vegetale e animale sarebbe stata la musica. Simili esperienze artistiche sono viva testimonianza di una visione sempre meno egocentrica e più ecocentrica, all'interno della quale si assiste al superamento del limite identitario inteso come punto del riconosciamo della fine dell'“io” e dell'inizio dell'“altro”, in termini di diritto alla vita. La dicotomia uomo-natura richiede una soluzione, nella direzione di un'apertura dialogica verso l'alterità non-umana in termini relazionali e non referenziali, una visione orizzontale dei processi co-evolutivi che accomunano tutti gli esseri viventi tra loro con l'ambiente geofisico. Per come si è posto il rapporto tra uomo e natura nella contemporaneità, è inutile discutere di problemi ambientali e presupporne una risoluzione, senza decretare la fine della visione antropocentrica del mondo. Scrive Marion Laval-Jeantet che con Benoît Mangin forma il duo artistico parigino Art *** 14 La tecnoetica è la disciplina che si interroga sulle influenze della tecnologia sulla coscienza. cfr. «La vera mediatrice è l'arte. L'arte dei suoni, la musica superiore, costringe la natura alla regolarità e induce la teoria alla fluidità. [...] Non possiamo fare altro che immaginarci la scienza come arte.» 15 8 Orientè objet (AOo) «Il nostro proposito è quello di interrogarci realmente sui danni causati dall'umanesimo inteso come motore primo dello sviluppo tecnologico; un umanesimo considerato nelle sue conseguenze, cioè nella disgregazione di un rapporto positivo con la natura e soprattutto di un senso etico dell'esistenza che passi per il rispetto dell'altro. In questo senso, la questione delle barriere del mondo non ha significato nella nostra concezione del mondo.»16 In particolare, Art Orientè objet con le proprie opere denuncia gli abusi dell'uomo sul mondo naturale, e soprattutto l'impiego degli animali nei laboratori per i test delle case farmaceutiche e di cosmesi. In Culture de peaux d'artistes, un lavoro che fa delle loro stesse pelli un medium artistico, Marion Laval-Jeantet e Benoît Mangin si sono fatti prelevare dai ricercatori del MIT di Boston una serie di campioni di epidermide e li hanno coltivati in una soluzione di amminoacidi, innestandoli su derma di maiale per poi tatuarvi sopra soggetti animali di vario genere abitualmente sfruttati per la nostra sopravvivenza. Il risultato consiste in tatuaggi organici su tessuto ibridato, esposti in teche di vetro, a testimonianza di una dimensione operativa di espansione dei propri confini identitari verso l'alterità e di relazione ed interscambio tra esseri viventi della biosfera, con tutte le nuove possibilità antropo-poietiche che ne conseguono. In una seconda fase, Marion Laval-Jeantet e Benoît Mangin hanno prestato il loro corpo ad una nuova metamorfosi identitaria, rivestendolo della moltitudine cromatica di questi tatuaggi organici, la cui persistenza sulla pelle varia da pochi mesi a qualche anno prima di essere assorbiti dal corpo stesso. In questo modo, la rappresentazione degli animali diventa mero prodotto di consumo, facile da indossare e da togliere con una serie di operazioni meccaniche e standardizzate di chirurgia plastica che sostituiscono le lunghe sedute di scrittura sul corpo col tatuaggio, e diventa metafora del potere che l'uomo esercita sul mondo animale, determinandone la sopravvivenza. «[...] ogni volta che una specie si fosse estinta noi l'avremmo tatuata sul nostro corpo, sulla nostra pelle trasformata in carta da parati, in una toile de Jouy fatta di carne. Il guaio è purtroppo, che saremmo molto presto completamente coperti da questi tatuaggi...»17 scrive ancora Marion Laval-Jeantet. Opera d'arte 'esistenziale', che esiste e testimonia di un'esistenza, sdegnando il tabù storico e culturale che grava sulla manipolazione del vivente, totem animalista e metamorfosi simbolica, il progetto di Art Orientè objet ci pone di fronte alla materializzazione di un mondo in cui l'esistenza potrà essere completamente strumentalizzata attraverso la tecnologia e conseguentemente rivela l'urgenza di diffondere nella società la consapevolezza del rispetto del vivente e della biodiversità. *** 16 17 cfr. Le colture di pelle degli artisti di Art Orientè objet, in Art Biotech... op. cit., p. 83. Ibidem, p. 82. 9 Parte II Pensare all'arte come ad un motore per la creazione ed il ri-arricchimento della biodiversità Il 2010 era stato dichiarato dall'ONU Anno Interazionale della Biodiversità, in quanto anno che i 192 paesi firmatari della Convenzione sulla Diversità Biologica (aggiornata al secondo Summit della Terra di Johannesburg, del 2002) avevano fissato come termine per ridurre significativamente la perdita della biodiversità, senza però riuscire a raggiungere gli obiettivi fissati. Nel suo articolo 2, la Convenzione definisce la 'biodiversità' come «la variabilità tra organismi viventi di qualsiasi tipo compresi, tra gli altri, quelli terrestri, marini e di altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici dei quali questi sono parte; questo include la diversità all'interno delle specie, tra le specie e degli ecosistemi.»18 Ad oggi, sono sempre più numerose le specie animali e vegetali a rischio di estinzione, molte scompaiono ancora prima di essere scoperte. Il tasso di estinzione della specie supera di 1.000 volte quello dell'epoca pre-umana e le prove scientifiche ne prevedono un'ulteriore crescita. La responsabilità principale è da ricercarsi nella perdita degli habitat a causa delle attività umane, seguite dal cambiamento climatico in corso, ma non va sottovaluta la diffusione di flore e faune aliene, appartenenti cioè ad ecosistemi altri, all'interno di habitat nei quali finiscono per cancellare le specie autoctone. Contraddizioni dello sviluppo della società industriale, certo. Ma la biodiversità rappresenta l'equilibrio delicato su cui si fonda l'esistenza sulla Terra ed il suo mantenimento è una condizione necessaria alla nostra stessa sopravvivenza e sussistenza. Posto questo, nello spazio dell'interazione feconda tra arte e tecnoscienza e pur nella varietà di intenti che animano ciascun progetto di bioarte, non è forse possibile pensare all'arte come ad un motore per la creazione ed il ri-arricchimento della biodiversità in decrescita nel nostro ambiente? Con la sua esperienza da biologo-ricercatore in prima persona sul campo, tradotta in strumento di espressione artistica, Brandon Ballengée si occupa di studiare il declino e le trasformazioni di anfibi, pesci e insetti a livello globale e di recuperare le specie ormai estinte, con la manipolazione del DNA. Nell'ambito delle differenti manifestazioni progettuali bioartistiche, una propaggine significativa è, infatti, rappresentata dall'arte genetica e transgenica, che coinvolge il DNA secondo pratiche varie e differenti e l'ingegneria genetica. Quella di Ballengée, è un'operazione che trova riscontro non solo tecnico, ma anche culturale e problematico in ambito scientifico, dove sta emergendo un generale accordo sulla necessità di iniziare a recuperare quanto è andato perduto. «Come artista impegnato nella salvaguardia della natura, la sparizione della biodiversità a livello globale è per me una preoccupazione e un punto di interesse allo stesso tempo»19 dichiara Ballengée. *** 18 cfr. art. 2. 19 cfr. Recupero di specie attraverso un'evoluzione genetica non lineare, in Art Biotech... op. cit., p. 108. 10 In particolare, a partire dal 1996, la sua attenzione si è concentrata sul declino e sulla deformazione degli anfibi, il cui tasso di estinzione, stimato attorno ad un terzo, è attualmente tra i più alti a livello globale. Partendo da informazioni raccolte direttamente sul campo e successivamente analizzate in laboratorio, in collaborazione con laboratori di ricerca sulle malformazioni, Ballengée descrive in una serie di stampe Iris le anomalie e le modificazioni dell'ambiente causate nel tempo dall'invasività delle azioni umane. Monstre Sacré, questo il titolo della serie, non mette in scena creature fantascientifiche, come potrebbe sembrare, ma anfibi che in natura si presentano morfologicamente differenti rispetto alle specie comunemente conosciute. Certamente la trasformazione degli organismi è una caratteristica propria della natura nella sua capacità di adattarsi e organizzarsi a seconda delle varianti infinitesimali che possono intervenire, e che, in fondo, già Darwin aveva delineato nella sua teoria dell'evoluzione e della selezione naturale. Ma gli studi dimostrano che le cause principali di mutazioni come quelle analizzate da Ballangée sono da imputare alla diffusione di un parassita chiamato trematone e dell'inquinamento chimico provocato da pesticidi, insetticidi, erbicidi e fertilizzanti, oltre che dell'incremento delle radiazioni ultra-violette per il buco nell'ozono e del fenomeno del cannibalismo. In questi mutanti che abitano soprattutto le aree paludose, le deformazioni più riscontrate sono membra e segmenti mancanti, ridotti o fusi tra loro, ma anche completi e deformati, spesso multipli ed ossa esposte. Malamp20, vengono chiamati nella comunità scientifica. Ognuno è un 'monster' nel senso di animale leggendario, al pari di chimere o unicorni, ed è 'sacred' non perché sovrannaturale, ma perché intoccabile. Le opere si presentano come scansioni di apparati scheletrici di anfibi, per mezzo di una pratica di laboratorio sulle mutazioni chiamata Clearing and Staining che permette di analizzare i tessuti e l'intera anatomia di un campione preso in esame e di capire a quale altezza del suo sviluppo si è manifestata la malformazione. La procedura prevede il trattamento di un campione della specie di cui si vogliono studiare le malformazioni in una serie di soluzioni chimiche. Di queste, la prima riduce il campione ad uno stato di semitrasparenza. Successivamente, il campione viene immerso in una tintura biologica che aderisce a tessuti specifici, come ossa e cartilagini e poi sottoposto ad una serie di bagni che rimuovono la tintura in eccesso finché non resta solo su tessuti specificatamente trattati con un mordente.21 In questo modo, le malformazioni appaiono coloratissime, blu fosforescenti sono ad esempio le cinque zampe della Great Crested Newt inglese, o psichedeliche le viscere della Natterjack toad, altra specie in pericolo. Ogni scansione è unica, perché unica è la malformazione presentata, totem ed accusa alla società contemporanea. In un progetto successivo, Species Reclamation Via a Non-linear Genetic Timeline: An Attempted Hymenochirus Curtipes Model Induced By Controlled Breeding, Ballangée *** 20 cfr. Malamp_Uk < http://www.youtube.com/watch?v=Ca1AiJEoIgE > video resoconto di un workshop condotto nello Yorkshire nel 2008. 21 «Clearing and Staining is a procedure in which a preserved specimen is treated in a series of chemicals. The first chemicals literally 'digest' the specimen to a semi transparent state. Then the specimen is submersed in special biological dyes that adhere to specific tissues, such as cartilage or bone. Next comes a series of baths that remove the excess dye until only the targeted tissue is stained. Clearing and staining deformed specimens allows researchers to study the full anatomy of the organism and to try to understand at what at what point of development the abnormal growth occured.», cfr < http://greenmuseum.org/c/vban/cleared.php >. 11 cerca di ripristinare una specie di rana tropicale originaria del Congo, l'Hymenochirus curtipes, in via di estinzione o forse già totalmente estinta nel suo habitat originale a causa del disboscamento feroce e dei disordini politici che hanno fortemente limitato la ricerca biologica. Ballangée ibrida tra loro quelle che ritiene essere le differenti sottospecie addomesticate di H. curtipes, nel tentativo di far riemergere i tratti fisici della specie estinta, descritti nella letteratura scientifica, allevandone selettivamente delle generazioni all'indietro ed inducendo delle variazioni in ognuna. Un progetto sperimentale a lungo termine, quello di Ballengée, che oscilla tra «l'indagine sulle origini storiche e le pratiche attuali di selezione artificiale, ossia l'ingegneria genetica»22. L'esposizione del progetto nel contesto di musei e gallerie illustra le fasi e i metodi utilizzati nel progetto attraverso una documentazione fotografica e testuale, ma soprattutto diverse generazioni di H. curtipes, vive. «Sono loro, a mio avviso le vere opere d'arte. Ogni generazione ha delle caratteristiche differenti, proprio come ogni singolo animale è unico e dovrebbe essere visto contemporaneamente come una creatura vivente e un'opera artistica.»23 sostiene Ballangée. Gli fa eco George Gessert, pittore e printmaker americano, che a partire dal 1985 si è dedicato ad un'arte genetica di ibridazione vegetale sui temi della biodiversità e della responsabilità umana nei processi di selezione «Ma prima di tutto spero che l'arte che opera con il DNA ci avvicinerà a degli altri esseri viventi che sono, in fin dei conti, nostri simili. Perché solo essendo dei parenti rispettosi noi potremo sviluppare una vera arte dell'evoluzione.»24 Spostandosi sui confini tra le molte varietà di iris, dalie e papaveri, Gessert ha iniziato a dedicarsi alla coltura di fiori ibridati dopo aver constatato una notevole similitudine con la pittura sulla carta giapponese che assorbe l'acqua e i pigmenti in modo imprevedibile e casuale. In virtù di questa imprevedibilità, Gessert considera se stesso non solo un artista, ma uno stimolatore delle energie creative che già sono insite negli organismi e, ricordando che la selezione è sempre presente in natura, l'artista ritiene che la selezione vegetale sia un'arte interpretativa piuttosto che inventiva. «Una delle ragioni per cui lavoro con le piante è che rappresentano un accesso alla bellezza più diretto della pittura» precisa Gessert «Ne amo i colori, la forma, la consistenza e la fragranza! Da nessun'altra parte queste caratteristiche sono così strepitose come negli organismi viventi»25. Le piante geneticamente selezionate da Gessert, infatti, mettono in evidenza particolari caratteristiche cromatiche e forme plasmate e trasformate in virtù di un preciso valore estetico. Gessert crea piante in cui favorisce un fenotipo che risponde unicamente al suo personale gusto estetico, ma che spesso è inadatto al mercato perché totalmente opposto al gusto dominante. Dalle sue installazioni di piante, dietro la facciata di bellezza semplice, traspare, infatti, la riflessione sull'eugenetica e sull'impiego della genetica per ottenere effetti generici e di moda. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i campi di sterminio nazisti e l'avvento della società *** 22 cfr. Recupero di specie attraverso un'evoluzione genetica non lineare, in Art Biotech... op. cit., p. 107. Ibidem, p. 108. 24 Vd. RICHARD HOPPER-SAILER, Organismi/ Arte Le radici storiche dell'arte biotecnologica, in Art Biotech... op. cit., p. 137. 25 cfr. Note sull'arte della selezione vegetale, in Art Biotech... op. cit., p. 72. 23 12 consumistica, l'eugenetica ha proiettato la sua ombra sugli studi genetici. La selezione eseguita in laboratorio nutre la pretesa di piacere al maggior numero di persone possibile, senza tenere in conto il prezzo da pagare, il che abitua a guardare le piante alla stregua di articoli di consumo, come se l'economia e l'autorità avessero sostituito la natura. Abusi inammissibili per i quali la contemporaneità ha bisogno di tutta la consapevolezza possibile in questione di genetica e DNA e delle possibili conseguenze dell'intervento umano sempre più invasivo nei meccanismi evolutivi naturali per scegliere quali strade intraprendere e quali no. Nella misura in cui le arti favoriscono la consapevolezza e laddove Darwin riconosce nell'estetica un elemento fondamentale della selezione naturale, Gessert ipotizza lo sviluppo di un'arte dell'evoluzione, in cui «il puro estetismo deve tener conto di che cosa significa intervenire sull'evoluzione»26. La convinzione di Gessert è che una comprensione più profonda della genetica possa aumentare il nostro rispetto e la nostra empatia per altre forme di vita, il nostro apprezzamento della grandiosità dei processi evolutivi e di selezione naturale e la nostra consapevolezza delle implicazioni dell'intervento umano in essi. Dopotutto, con la scoperta del DNA, nel 1953, e a partire dai primi esperimenti riusciti di produzione di DNA ricombinato, nel 1973, la ricerca scientifica si è orientata verso un suo utilizzo per la produzione di prodotti derivati o completamente nuovi. Da parte sua, l'arte che usa il DNA come medium artistico, in riferimento ai recenti studi di Biologia evolutiva dello sviluppo, delle Scienze umane e della terra, è intervenuta nella ricerca scientifica e nella discussione sul reale, con non meno dignità, apportandovi anzi una prospettiva estetica e morfogenetica e, non ultimo una nuova complessità a più livelli, che riguarda la dimensione dell'etica, del sociale e l'impatto delle nuove tecnologie su di esse. La manipolazione genetica e la creazione di organismi nuovi, geneticamente modificati, non è differente dalla manipolazione mediante riproduzione sessuale che porta alla selezione di piante ed animali per fini prettamente estetici e qualitativi, come una pianta ornamentale o una mucca da concorso. La teoria dell'evoluzione e della selezione naturale, presentata per la prima volta da Darwin ne L'origine della specie (1852), dimostra che il progressivo ed ininterrotto accumularsi di modificazioni successive, fino alla manifestazione, in un arco di tempo sufficientemente ampio, di significativi cambiamenti negli organismi viventi, finanche di una nuova specie – questo il concetto di evoluzione – è già presente in natura. Motore dell'evoluzione è la selezione che, nell'ambito della diversità genetica delle popolazioni e della casualità delle modificazioni genetiche, produce un progressivo e cumulativo aumento della frequenza degli individui con le caratteristiche genetiche più ottimali per l'adattamento all'habitat di riferimento, inteso come insieme delle condizioni ambientali e delle relazioni con le altre specie coesistenti ad un dato momento. Prima ancora delle pratiche bioartistiche, la storia ha dettagliatamente testimoniato che l'intervento dell'uomo nei meccanismi di evoluzione e selezione naturale, non è ininfluente. Basti pensare che le specie animali – come il cane, la capra, la pecora, il bue e il maiale – e vegetali – come i frumenti e le leguminose – che ci sono familiari non sono mai esistite in natura, ma sono il frutto di modificazioni genetiche e morfologiche, nello svolgersi di un processo costante di subordinazione dell'ambiente alle necessità dell'uomo e di *** 26 Ibidem. 13 domesticazione delle specie animali e vegetali selvatiche, iniziato già nel Neolitico e drammaticamente capitolato nell'attualità. La stessa concezione dell'artista che accresce la biodiversità, che contribuisce alla moltiplicazione delle specie sulla Terra e che, soprattutto, favorisce l'accettazione di questi esseri viventi ottenuti per manipolazione del DNA si ritrova in Eduard Kac, artista brasiliano che lavora con media elettronici e biologici, integrando telepresenza, transgenesi, robotica ed Internet. Complessità e strumentalizzazione dei processi del vivente e minaccia del biodeterminismo sono i temi che si ritrovano nella serie Genesis, lavoro al limite tra biologia, etica e telematica, che comprende le installazioni Genesis, Transcription Jewels27 ed altri lavori. Genesis è un lavoro transgenico, per il quale Kac ha fatto produrre un gene sintetico, convertendo, secondo un principio appositamente studiato, prima in Codice Morse e poi in una sequenza di DNA, la traduzione inglese di un passo della Genesi: «Let man have dominion over the fish of the sea, and over the fowl of the air, and over every living thing that moves upon the earth». Scelta non casuale, poiché su questo versetto si fonda la dicotomia uomo-natura e la visione antropocentrica della natura. Il gene d’artista, Genesis per l'appunto, è stato quindi inserito in alcuni batteri, esposti in una galleria d’arte. Qui, grazie a un’apparecchiatura controllata dal pubblico via Internet, da chiunque e da qualsiasi luogo, può essere stimolata un’ulteriore mutazione biologica dei batteri per mezzo di raggi UV. Nel decidere di modificare i batteri esposti nella galleria, il pubblico modifica la frase biblica che in qualche modo contenevano. «Nel contesto del lavoro, la capacità di cambiare la frase biblica con un click è un gesto simbolico: significa che non ne accettiamo il significato nella forma in cui l’abbiamo ereditata, e che se cerchiamo di cambiarlo possono emergere nuovi significati. Usando il gesto più elementare della comunicazione on-line – il click – i partecipanti possono modificare le caratteristiche genetiche di un organismo localizzato in una galleria lontana. Da una parte, questa circostanza unica rende evidente l’imminente disinvoltura con cui l’ingegneria genetica potrà scendere fino al livello più ordinario della nostra esperienza. Dall’altra, mette in luce la condizione paradossale del non-esperto nell’era biotecnologica. Cliccare o non cliccare (to click or not to click) diventa una decisione non solo etica, ma simbolica. Se il partecipante decide di non cliccare, consente alla frase biblica di restare intatta, conservando il proprio significato di dominio. Se decide di cliccare, cambia la frase e il suo significato, ma non sa quali nuove versioni ne potranno emergere. In ciascun caso, il partecipante si trova di fronte a un dilemma etico che lo coinvolge nel processo.»28 In Genesis, si manifesta una nuova dimensione dell'interazione, ancorata alla nozione di responsabilità personale, «di ciò che è stato definito “relazione dialogica” da Martin Buber e “sfera dialogica dell’esistenza” da Mikhail Bakhtin, della “intersoggettività” di Emile Benveniste, e di ciò che Humberto Maturana ha chiamato “dominio consensuale”. Ovvero *** 27 In Transcription Jewels, Kac incastona insieme, in un cofanetto di legno, una 'lampada del genio' in vetro contenente 65 mg del DNA di Genesis purificato e una struttura dorata tridimensionale che rappresenta la proteina di Genesis. Presentando questi due elementi come oggetti preziosi, l'opera diventa un commento ironico all'attuale mercificazione degli elementi base della vita e l'ironia acquista valenza critica, dal momento che il gene, nuovo genio della contemporaneità, isolato ed inerte nell'ampolla, non può rispondere ai nostri desiderio di immortalità, bellezza e sapienza. 28 cfr. Art in Theory. Bioestetica, arte transgenica e il coniglio verde. Conversazione con Eduardo Kac di Maurizio Bolognini, < http://www.luxflux.net/n11/artintheory1.htm >. 14 sfere condivise di percezione, cognizione e azione, in cui due o più esseri consenzienti (umani o non), possono negoziare le proprie esperienze dialogicamente. Il lavoro è anche informato dalla filosofia dell’alterità di Emmanuel Levinas, il quale sostiene che la nostra vicinanza all’altro chiede una risposta, e che il contatto interpersonale con gli altri è l’unica relazione di responsabilità etica.»29 Tuttavia, il fatto che Genesis metta in scena un processo dagli esiti indeterminati non è un aspetto secondario del lavoro. «Si tratta di rimettere in discussione la supremazia del DNA. Il progetto Genesis rende evidente che la “vita” non può più essere considerata come un fatto puramente biochimico, ma costituisce un fenomeno complesso, all’incrocio tra credenze, economia, diritto, decisioni politiche, leggi scientifiche, costrutti culturali.»30 Di questa messa a fuoco sul concetto di 'vita', testimonia con la sua stessa esistenza Alba, il coniglio transgenico verde31 fluorescente creato nel 2000 da Kac, in collaborazione con Louis Bec e Louise-Marie Houdebine,all’Institut Nacional de Recherches Agronomiques di Jouy-en-Josas, in Francia, all'interno del progetto GFP Bunny, innestando in un coniglio, ancora all'interno dell'embrione, la proteina GFP (Green Fuorescent Protein), presente in natura in alcune specie di meduse. Il gene che codifica questa proteina è stato isolato e clonato ed inserito come transgene, può dare origine ad organismi a fluorescenza. In molte occasioni, Kac ha sottolineato la sicurezza dell’operazione, visto l’uso ormai consolidato della proteina GFP nei laboratori di biologia molecolare e il pieno controllo dei suoi effetti. Aspetto di non secondaria importanza questo perché «Come i procedimenti scientifici devono essere valutati per assicurarsi che siano appropriati e che i rischi siano ridotti al minimo, così anche i progetti artistici che fanno appello alla biologia devono seguire regole di condotta simile.»32 Tuttavia è importante considerare che la nascita di Alba, in quanto essere formalmente e geneticamente unico, è solo l'aspetto più appariscente del lavoro, mentre quello che più interessa è l'evento socio-culturale che ne è scaturito, complesso al punto tale da conquistare le prime pagine dei quotidiani internazionali. Nelle intenzioni di Kac, Alba avrebbe dovuto essere presentato al pubblico nel corso del festival Avignonumérique nel giugno 2000, in compagnia dell'artista stesso. Successivamente, Kac avrebbe voluto portare Alba a vivere a Chicago con sé nella sua famiglia. Ma il direttore dell’Institut Nacional de Recherches Agronomiques di Jouy-enJosas non gli ha accordato il permesso né all'esposizione di Alba, né all'affidamento. Kac e Louis Bec hanno lanciato una campagna di liberazione di Alba. Se l'intento della censura era quello di smorzare l'attenzione dei media, l'effetto ottenuto è stato diametralmente opposto e le reazioni suscitate incessantemente dal progetto hanno sviluppato un dibattito reso ancora più fecondo dalla forte contrapposizione tra posizioni di sostegno e posizioni di opposizione. La serie di foto Liberate Alba, nella quale si ripete lo stesso ritratto di Kac ed Alba insieme, accompagnato di volta, in volta da una possibile diversa lettura del progetto – Arte, Media, Scienza, Etica, Religione, Natura, Famiglia – mostra quale tensione produttiva sia in grado *** 29 Ibidem. 30 Ibidem. 31 «she is a white albino rabbit like any other who glows with a green light only when exposed to blue light.» cfr. Note by EDUARDO KAC ad ANONYMOUS, French Scientists Hopping Mad Over GM Rabbit, Last updated: 06 Oct 2000 12:09 GMT (Reuters), < http://www.ekac.org/reuters2.html > 32 MARTA DE MENEZES, Il laboratorio come atelier dell'artista, in Art Biotech... op. cit., p. 100. 15 di generare l'arte contemporanea quando fa irruzione in problematiche così globali. «Così Alba può simbolizzare tutto e il contrario di tutto: “frivola e fascistoide”, opera di un “collaborazionista” che invece altrove viene descritto come un grande resistente, un “biopunk” impegnato “nella lotta contro gli OGM” e che lavora su progetti di ricerca per evitare che la realtà passi attraverso la finzione»33. La tensione estetica del lavoro viene in parte dalla fusione di due termini che percepiamo in conflitto: la familiarità del coniglio rispetto alla nostra quotidianità e l’ipotetica mostruosità del suo essere transgenico. Perché, di fatto, Alba è un OGM in circolazione e questo crea imbarazzo e disappunto nella società, sul filo stridente teso tra la condanna marcata agli Organismi Geneticamente Modificati e la loro effettiva diffusione sempre più massiccia nella vita quotidiana. Se ne deduce pertanto la necessità di sviluppare un'etica di produzione ed utilizzo, ma anche di accettazione prima ontologica e successivamente sociale, nel caso di creature come Alba. «Dal mio punto di vista non ha importanza come un individuo viene al mondo, ma come la società tratta quell’individuo. Dobbiamo comprendere che siamo prossimi a condividere il mondo con nuovi esseri (cloni, transgenici, chimere), sicché dobbiamo preparare noi stessi e la società ad accettarli e ad accoglierli.»34 *** 33 JENS HAUSER, Geni, ingegneria, disagi , in Art Biotech… op. cit., p. 36. 34 cfr. Art in Theory. Bioestetica, arte transgenica e il coniglio verde.. op. cit. 16 Parte III Un'ulteriore notazioni sul rapporto uomo-natura: l'industria alimentare Nella società consumistica contemporanea, il modo più diffuso di considerare animali e vegetali non è quello di organismi viventi, animati da un proprio ciclo vi tale, ma di oggettimerce e/o alimenti da consumare. «Nel corso dei secoli gli uomini hanno diviso il mondo tra “ciò che è commestibile” e “ciò che non lo è”»35. La linea di demarcazione tra questi due ambiti non è sempre ben chiara e varia da cultura, a cultura. Quel che è certo è che parallelamente all'urbanizzazione della società, l'uomo ha perso il contatto con la natura. I cibi si trovano tutti ben impacchettati in involucri di plastica sui ripiani dei supermercati ed allora cosa resta dell'organismo in natura se non che un trancio da consumare e metabolizzare? Che cosa in un prato, in un bosco, sulla riva di un ruscello sappiamo ancora riconoscere come commestibile? Qual è il sapore di una viola, per esempio? Attorno a queste domande ruota il lavoro del duo formato da Andrea Caretto e Raffaella Spagna. Caretto porta avanti la riflessione sul rapporto tra uomo, mondo naturale e strumenti in suo possesso per l'interpretazione della natura. In un progetto personale del 2002, promuove un'azione di raccolta di erbe selvatiche sul ciglio della strada che dalla collina di Moncalieri scende al centro di Torino, seguita da una distribuzione pubblica nel corso della quale dona ai passanti i mazzi di quelle che chiama Malerbe. Un nome in latino per rendere strana, preziosa, quasi esotica quella vegetazione tanto comune, accompagnata poi da un cartellino con il nome scientifico dei fiori e delle erbe. Spagna si misura con le nozioni operative e simboliche della semina e della crescita. Nello stesso 2002, ignorando il divieto di gettare oggetti fuori dai finestrini dei mezzi in corsa, promuove una serie di azioni che prevedono il lancio, per mezzo di fionde e cerbottane, di piccole palle di terra piene di semi, al di fuori dei finestrini dei mezzi di trasporto della linea urbana, in direzione di aiuole e prati ed al di là dei muri dei giardini privati, perché il selvatico fiorisca e si riproduca, riprendendo spazio tra la natura costretta e coltivata. È evidente che più che a motivi di ordine ecologista, i progetti di Caretto e Spagna tentano la ricostruzione del rapporto tra uomo e natura attraverso l’esperienza diretta del raccogliere, seminare, nutrirsi, domesticare. Interessati al confine tra selvatico e coltivato, i due artisti ne indagano le zone di confine e di scambio, recuperando conoscenze e pratiche antiche e perdute, come in Esculenta (2002) o applicando modalità sperimentali, come in Esculenta - Lazzaro (2004). “Esculenta” è un termine latino che significa “cose commestibili”. Il progetto del 2002 «narra dell'impulso naturale e ancestrale a raccogliere ciò che si trova in natura allo stato *** 35 cfr. ORON CATTS, IONAT ZURR & GUY BEN-ARY, Che cosa/Chi sono gli esseri semi viventi creati da Tissue Cuture & Art, in Art Biotech... op. cit., p. 46. 17 spontaneo per nutrirsene e sostenere la propria esistenza e vitalità fisica. Esculenta non si configura come un'azione tesa ad esaminare analiticamente la più o meno ampia varietà di materiali naturali commestibili, né intende esprimere giudizi ecologisti o stimolare anacronistici ritorni a stili di vita "preistorici”. Contattare la percezione dell'essenzialità dell'autosostentamento, della pura sopravvivenza fisica, costituisce l'origine e l'intento fondante dell'intero progetto. L'azione di raccolta di materiale naturale spontaneo (vegetale e minerale) è aperta al pubblico e costituisce la prima e più importante fase del progetto; essa comporta il completo coinvolgimento fisico e di tutti i sensi di chi vi partecipa. Osservare l'ambiente non è un'azione vaga, ma è diretta e guidata dalla volontà di trovare un qualsiasi genere di materiale naturale commestibile.»36 E rovistare nel terreno e tra la vegetazione, riconoscere o non riconoscere la specie o il materiale individuato, prelevare, sradicare o tagliare il materiale, odorarlo, annusarlo ed a volte assaggiarne il sapore, prima di prelevare per trattenere con sé, porta l'individuo a stabilire un'interconnessione spirituale profonda con gli organismi viventi della natura. Se questa è la finalità di Esculenta, il progetto successivo, Esculenta - Lazzaro, è animato dal desiderio di conoscere e rivelare la vitalità latente di alcuni materiali commestibili quotidianamente consumati, quali ortaggi e frutta. Il punto di vista dal quale l'indagine prende spunto, lascia da parte il consueto modo di considerare i prodotti ortofrutticoli come semplici merci e alimenti da consumare, per rivolgere completamente l'attenzione al loro essere prima di tutto “soggetto vegetale”. Il progetto prende avvio con la sottrazione del prodotto ortofrutticolo dal circuito commerciale della piccola, media e grande distribuzione, e prosegue con lo studio del soggetto vegetale, attraverso la sua “rivitalizzazione”, ossia la riattivazione della sua vitalità sospesa per le necessità alimentati umane. In questo modo l'organismo si sviluppa secondo le fasi successive del suo ciclo vitale, fino alla morte. La rivitalizzazione da una parte produce nell'ortaggio-cibo nuove fisionomie che allo sguardo dell'acquirente appaiono come innaturali deformità, dall'altra colma la distanza tra l'ortaggio-cibo-merce e il vegetale-organismo vivente. Riaffiora la percezione ancestrale della domesticazione di numerose specie di vegetali selvatici, compiuta in tempi arcaici. «Essa costituisce un'importante e problematica azione di cambiamento compiuta dal genere umano che da allora abbandona progressivamente la pratica del fluire attraverso il territorio per raccogliere vegetali spontanei e per cacciare, sostituendola con modi di vita più stanziali, circoscritti all'interno di luoghi prescelti, recintati e coltivati.»37 Oggi abbiamo indubbiamente più consapevolezza dei processi vitali, il che spande nella società un paradosso all'incrocio delle tematiche del rispetto per le creature viventi ed il loro consumo alimentare. Per di più, nella società occidentale, un diffuso atteggiamento di ipocrisia fa sì che si urli per l'orrore di fronte ad una battuta di caccia, sia anche per fini alimentari e di sussistenza, mentre si compra al supermercato carne prodotta in allevamenti intensivi. Nel 2000, Tissue Culture & Art, programma di ricerca tra arte e scienza sugli organismi *** 36 37 cfr. < http://www.esculenta.org/esculenta.pdf >. cfr. < http://www.esculenta.org/Esculenta%20Lazzaro.pdf >. 18 semi-viventi38, lanciato nel 1996 , ha avviato un progetto che mette alla prova la normalità dell'allevamento intensivo, attraverso la prospettiva di sculture semi-viventi commestibili. In Disembodied Cousine, questo il nome del progetto, Tissue Culture & Art coltiva una bistecca a partire da una biopsia eseguita su una rana che continua a svilupparsi accanto alla bistecca in crescita. Installazioni come questa fanno emergere l'imbarazzo che la collettività prova di fronte alla manipolazione del suo nutrimento. Eppure, quello proposto da Disembodied Cousine è un consumo di carne senza vittime. «Finché le cellule prelevate per biopsia si moltiplicheranno, la “bistecca” continuerà a crescere. In questo lasso di tempo la fonte – cioè l'animale da cui le cellule sono state prelevate – guarisce.»39 I risvolti di questo progetto sono molteplici. All'orizzonte si profila una possibilità per il consumo di carne da parte dei vegetariani, con un'esponenziale riduzione dell'abbattimento e delle sofferenze provocate agli animali destinati al consumo. Al di là della moralità, e spingendo lo sguardo più in profondità, diventa ipotizzabile anche la produzione di bistecche a partire da biopsie effettuate sul proprio corpo. Potrebbero essere minimizzati i problemi ecologici ed economici legati all'industria alimentare, come la coltura dei cereali per il nutrimento degli allevamenti, e non vanno sottovalutati le questioni legati alla crescita demografica. Si prevede che nel 2045 saremo nove miliardi sulla Terra e le problematiche connesse a questo non escludono la penuria di risorse alimentari. Si richiede una soluzione e Disembodied Cousine sembra voler suggerire una possibilità. Certo, così facendo, «creiamo una nuova forma di sfruttamento: quella del semivivente»40. Non si può negare che il rischio è concreto. *** 38 Le entità semi-viventi sono sistemi biologici concepiti artificialmente con materiali viventi e non viventi. Il processo comincia generalmente con la costruzione di strutture di polimeri biodegradabili e bio-assorbili, successivamente inseminate con cellule viventi provenienti da organismi complessi e coltivate all'interno di bioreattori. E' evidente che simili creature hanno bisogno dell'assistenza umana sia per quanto riguarda la creazione, sia per quanto concerne la crescita e lo sviluppo. 39 cfr. ORON CATTS, IONAT ZURR & GUY BEN-ARY, op. cit., p. 47. 19 40 Ibidem. Conclusione Per una bio-etica Ci ritroviamo a confrontarci con una situazione delicata. La biotecnologia è ormai disponibile ed aperta al confronto con la società ed il suo impiego razionale e scientifico da parte dell'arte produce risultati molto proficui in termini sociali e culturali. Senza dubbio, interventi arbitrari o negligenti negli ecosistemi viventi per mezzo delle biotecnologie rappresentano tanto una paura dettata dal pregiudizio, quanto una possibilità, in merito alla quale c'è bisogno di vegliare e diffondere un pensiero non antitecnologico, ma critico e bioetico. Edgar Morin propone nel dibattito pubblico l'adozione di un'eco-sofia politica, ovvero di un'etica complessa, al fine di una trasformazione planetaria nel rapporto con la natura e la manipolazione del vivente. Pensare in modo complesso significa sentirsi parte dell'unica grande comunità che è il circolo ricorsivo della vita, tanto più adesso che siamo arrivati, dal punto di vista della tecnica a generare molteplici manifestazioni del vivente. Alle fondamenta di quest'etica complessa, Morin individua il principio ologrammatico, ovvero il superamento dell'illusione che genera nell'uomo l'idea di essere slegato dalla catena di vita e morte che unisce circolarmente tutti gli esseri viventi ed al contempo dominatore della res extensa, del mondo estraneo al soggetto indagatore. Piuttosto, esattamente come in un ologramma, in cui in ogni singola parte vive la totalità dell'insieme, l'uomo non deve mai perdere di vista la consapevolezza di essere individuo parte contemporaneamente di una società e di una specie, non in un ottica gerarchica, quanto piuttosto nella considerazione che ogni singola parte del processo è sia causa che effetto della parte successiva e della precedente. La consapevolezza cioè di portare la storia dell'intero universo in sé, un 'noi' dentro un 'io'. 20 Bibliografia Libri • Art Biotech, a cura di Jens Hauser, ed. it. a cura di Pier Luigi Capucci e Franco Torriani, Bologna, CLUEB 2007 Riviste • National Geographic, Gennaio 2010, Gennaio 2011 Articoli • V. Mele, Comunità umana e antropocentrismo: il paradigma dell'interconnessione nella bioetica personalista • Roberto Marchesini, Postumanesimo: la tecnologia come volano di ibridazione con l'alterità animale Maurizio Bolognini, Bioestetica, arte transgenica e il coniglio verde. Conversazione con Eduardo Kac • Sitografia • • • • • • • • • • • http://it.wikipedia.org http://pepe-national-geographic.blogautore.espresso.repubblica.it http://www.farmindustria.it http://www.noemalab.org http://www.digicult.it http://www.undo.net/it http://www.antennae.org.uk http://www.parcoartevivente.it http://greenmuseum.org http://greenmuseum.org/artist_index.php?artist_id=19 http://www.ekac.org http://www.ekac.org/transartbiblio.html http://www.esculenta.org 21