Svevo: la coscienza della lontananza Massimo Rizzante Narrare opus 1. Il est destino di un ebreo che Potremmo tro si avverta scrittore è quello di narrare. dire, interpretando Buber, che anche narrare è un incon- e un guardare che cosa veramente sta difronte, un sein wahres Gegeniiber. nostro essere nella realtà dovrebbe, secondo Buber, Il non più essere vissuto in termini di lo-Tu e Ovvero, di Io-Esso. riduzione soggettivistica della realtà, che secondo la tradizione sofica occidentale può nascere solo dopo che, di astrazione intellettuale, re, un processo è costituito l'oggetto su cui indaga- si troverebbe la sua reale possibilità e quindi verità solo quando soggetto entrasse con il mondo in la nostra Narrare, per chi lo senta nostro essere con non deve il nostro io rappresentato rende esperienza spezzata, con Benjamin nello stato della povertà. il come mondo. Fare resti 'solo' letteratura, sottostare, destino, sarà allora tentare La pena modo che in l'esperienza del nar- sua differenza, che è la perdita della mondo, cognizione ma sì ance- soprattutto sguardo religiosa delle cose. differenza che lo scrittore Svevo vive come scrittore ebreo si sue pagine, segreta, perché inconciliabile con un presen- farà, nelle che sente lontano da essa e che meglio cir- è la necessità a cui lo scrittore ebreo strale struttura psichica della rassegnazione, 'illimitato' sul una che è anche esistenziale complementarietà del colarità d'esperienza rare il un rapporto dialogante, l'Io-Tu ap- punto. L'impossibilità di delimitare te attraverso la filo- alla gio inetto. lo porterà alla dissimulazione, rappresentazione di una dissimulazione: Svevo riconosce ebraica di un narrare come la esperienza di quell'ebraismo chassidico d'oriente la personag- comune e affettiva, propria non pervenuto a nessuna milazione storica con la società occidentale, e dove conoscenza e per il sua lontananza da quella tradizione conoscenza è il il assi- modello della dialogo e la preghiera; ma egli non rinuncerà a sperimentare un personaggio che nella sua inadeguatezza al vivere smaschera sottilmente un vero e proprio allontana- QUADERNI ditalianistica Volume VIII, No. 2, 1987 . 251 Svevo: la coscienza della lontananza mento degli uomini dai propri sono si resi Come 'ideali.' scrittori ebrei triestini della bisogni, quali, i non più grande stagione letteraria del ". vencento, nel suo libro Gli anni della psicanalisi spirito ebraico che ha forme dalle ghetto. . lo spirito degli ebrei occidentali — di vita e dalla spiritualità " e ancora . . primo no- ". . uno se c'è questo ormai stacca- — alle volte altissima del l'ebreo occidentale è spesso spiritualmente . più vicino al non ebreo che all'ebreo orientale. La saggezza . influito sui letterati di cui parliamo, non può essere se non tisi rintracciabili, dice Giorgio Voghera, parlando degli " (137). . . mai disgiunta dalla compassione per chassidica, gli uomini, che permette a Rabbi Pinhas de Koretz, un grande maestro del XVIII secolo, perdendo est le seul un suo giovane allievo che stava "... va et etude la Torah. La Torah di rispondere ad la sacralità della vita remède; Elle contient toutes les elle l'a toutjours ete. Elle est la réponse. réponses. L'aurais-tu oublié?" dicibile per lo scrittore ebreo semi-assimilato,che (9) non è più non avverte più il 'giogo della Torah' e non conosce risposte sagge, perché esse impli- cano un'esperienza con inizi del XX il mondo, un dialogo con In Svevo, inoltre, non si cose che, agli avrà né la mitizzazione dell'unità di Giobbe valori ostjudish, incarnata dal soprattutto le secolo, è stato interrotto. legame con di Roth —mitizzazione che —né la tradizione ebraico-orientale è la super- determinazione della colpa ontologica dell'esistere di Kafka. Vogliamo dire: sono diverse 'resistenze' all'assimilazione. Roth vive, fin nelle sue fibre fisiche, il depauperamento dell'esperienza e la sua desacralizzazione nell'ebreo piccolo borghese assimilato, giun- gendo non solo a rompere con perché è i la storia occidentale, valori transindividuali. rompe, del ." . resto, persino la tradizione, ma, come con come dice Magris ". . . divenuta ormai tradizione, a degradare lo stesso autore la tradizione del prosegue regno biblico. ". . " . . rimanendo, così, legato soltanto all'ebraismo della diaspora. Tutta la sua narrativa sarà, così, essa stessa una lunga ricerca senza centro, un esilio da un invisibile Heimat. Per Kafka non si tratta di una vera e propria resistenza, ma un'alienazione dall'ebraismo puro e incontaminato del ghetto. colpa di non essere nell'ebraismo, scenza, produrrà un linguaggio, non più 'descrittivo.' ma come Kafka richiederà ai di La margini della sua cono- dice Gargani, 'costitutivo' e alla sua scrittura una trasfor- Massimo Rizzante 252 inazione che diventi opposizione e trasgressione ad una legge sacra, che lui vede burocraticizzata. Di più, la sua stessa scrittura sarà una muto difesa a oltranza del suo esilio, del suo sapersi come scenza della ragione ma, nella cono- dice Freschi, "sulla soglia della Terra promessa" (149). Con Kafka si vive l'irriconoscibilità di una condizione, del Geist ebraico, l'essere cioè nella colpa della solitudine; non più nella legge che comunica e fa comunicare, ma nella lingua che, come dice egli stesso negli ultimi suoi anni, è "un'amante perduta." La sua esperienza della scrittura sarà, forse, allora l'indecisione, e dell'immagine, il il limitare il suo linguaggio 'costitutivo,' il limite del concetto come affermavamo l'impraticabilità della tradizione, la quale, se avrebbe "descritto" il concetto nell'immagine, facendo così innanzi, assunta non fosse stata perduta, senso.* Svevo, anch'egli scrittore ebreo semi-assimilato, vive la sua 're- sistenza' all'ordine piccolo borghese della società occidentale, po- tremmo dire, in forma di scepsi. Ovvero, la dissimulazione di un personaggio inetto, di cui prima parlavamo, non è rintracciabile essenzialmente nello Selbsthass, nell'odio di la sé, che l'ebreo prova per sua mai completa integrazione e appartenenza; odio di sé che lo stesso Debenedetti pone come incipit alla comprensione della narrativa sveviana, ma, soprattutto, in quello che vorremmo chiamare 'sentimento di una lontananza.' La lontananza non ha luogo, come dice Magris; essa è vissuta come sentimento senza nome, che produce un nascondimento, un personaggio che ostenta che rivela la la sua dissimulazione e sua inadeguatezza alla società in cui vive. Ma proprio questo 'nascondimento' di sé del personaggio sveviano svela lontanamento degli Origine che esso. Ed è, altri, degli altri essenzialmente, vero bisogno e non idealizzazione di è qui, crediamo, che quel 'sentimento di lontananza,' pro- prio dell'ebreo che 'resiste,' seppure attraverso all'assimilazione, È la l'al- pesonaggi dalla propria origine. si una dissimulazione, vela di una veste filosofica borghese. l'educazione schopenhaueriana di Svevo che, intrecciandosi con constatazione ebraica di una secolarizzazione dei rapporti sociali e amorosi, pone il personaggio nel luogo di una volontà nell'aspirazione incompiuta che sogno amoroso, ironia zione di sé.^ La e, infine, si interrotta; farà via via nostalgico destino, resoconto di una mancata reden- differenza, perciò, che abbiamo detto inconciliabile Svevo: la coscienza della lontananza con un presente dominato dalla pura 253 lotta del vivere dello scrittore ebreo triestino e del suo personaggio ha un viso bifronte. Essa ha un'ascendenza dalla metafisica borghese che nega l'autenticità dei rapporti — umani fondati puramente sui bisogni anche se fa di e una matrice ebraica che riconosce ultimi necessità e virtù — lontananza dal messaggio originario, temente, nell'inettitudine ma si questi la sua fa destino e, solo apparen- contraddice; rivelandosi nascostamente, si invece, istanza critica, accusa di una caduta di valori. La differenza dello scrittore e del suo personaggio sarà, allora, da una parte, necessità di un una lontananza propria dell'ebreo un ritenere sentirsi differente, pur riconoscendo migliaia di meriti negli terato, insomma, che gli farà e, dall'altra, diventerà la propria superiorità inaccessibile, un'aspirazione da altri; let- sognare la vita piuttosto che possederla, letterarizzarla, infine. L'inettitudine è questa lontananza da questo mondo borghese, è questo senso borghese di superiorità che vuole redimere con teratura il — mondo, conoscendo si pensi a Zeno Cosini — la let- l'ironia del tutto. 2. La nostalgia di una lontananza Incentrando per ora romanzi fica, il COSI per Alfonso affondare discorso, seppur brevemente, sui primi Svevo, potremmo dire che essere di rischioso; —L'amoroso sogno come per Emilio, volere non fermarsi all'evidenza, i anzi, due letterati, filosofi signiil proprio destino più non guardarla neppure, colpi d'ala al di là del divenire, così privo di veri pos- La loro posizione, però, è quella dell'inerzia, dell'attesa che come vizio il suo etemo ripetersi, il dissimulare di Alfonso un sessi. vive interesse al dialogo in casa Mailer, quando, invece, già l'entrata e l'incontro — con Santo possibilità di che lo coglie e gli zione del il servo —mostrano una Alfonso di essere uno di loro e interrompe momento buono il serie di divieti; l'imil senso di impotenza discorso, gettandolo nell'aspetta- per parlare che, anche se giunge, non lo non essere quasi mai non perdere il suo amore, per non perdere il suo sogno di Ange; sono tutti momenti di una tentazione, quella di distruggere quello il rinvio, che si fanno, irrimediabilmente, gesti di un vizio: soddisfa; e, in Senilità, la necessità di Emilio di se stesso per della lontananza dalla realtà. Il personaggio sveviano^ ha bisogno di trasfigurare le cose, di Massimo Rizzante 254 amare con Schopenhauer ciò che è do, sente ne, nell'attesa di vita oltre l'apparenza; ma, così facen- suo destino lontano, ebraicamente allontanato dall'origi- il un vero possesso Una di se stesso e delle cose. In —Alfonso da una lontananza vissuta come destino nostalgico e l'alienazione cittadina, l'ordine e l'efficienza del lavoro bancario a cui egli non riesce a sottostare, il ricopiare che non lo esprime, la grettezza di casa Lanucci che è figlia del puro sforzo per sopravvivere, la il conoscenza e l'amore che non riempiono, neppure con materiale possesso, il — vuoto della continua aspirazione ideale ritrovamento dei veri valori. Il ritomo di Alfonso al al centro. Il villag- gio è la sensazione di ritrovarsi nel proprio elemento, anche se egli è li La lunga agonia per attendere ad una morte. zo di una rigenerazione del figlio che si della madre è il prez- mondo era allontanato dal dei padri. L'attesa, qui nel luogo d'origine, è un'attesa dolorosa con re il —come dicono segno dell'accettazione che accettano la il delirio e lo stato di ma delle creatu- creazione (Buber L'eclissi di Dio). la e liturgia, allora, anche dopo — gli ebrei È quasi rito semi-morte di Alfonso morte della madre. Scontare lo stato di coscienza è un'esperienza terribile; comporta La rigenera- un'espiazione sacrificale, una 'promenade' infernale. zione non è nuova generazione, ma totale accettazione di Alfonso del suo distacco dall'origine, suggellato dal bacio materno che egli riceve in sogno, la il bacio della madre morta che gli lascia compassione per il dolore e la vita.'* La partenza per la città è sotto il segno apparente "dell'uscita dalla (Una vita 309), una delle tante, come egli stesso rimedita, puerizia" ma nel profondo è già lontananza dalla vita, dalla lotta organica e che essa innesca con ogni individuo, il dramma della non può essere ammirato, deve essere tradotto in una parte. irresistibile vita Alfonso vive l'impossibilità di questa traduzione e si rassegna al un sogno giovanile. Perché morire nella lotta, in un duello senza speranze con il giovane Mailer proprio adesso che "il sogno non lo aveva posseduto giammai cosi interamente?" (Una vita 401). La lontananza dalla vita che il sogno che non rinuncia di credere la vita bacio materno, in sogno, suggella definitivamente è anche affezione al sogno, dopo il distacco dall'origine. In Senilità, poi, la nostalgia del ritomo viene a mancare e la vera giovinezza, essendosi la nostalgia trasformata in vera e propria co- Svevo: la coscienza della lontananza 255 scienza di una lontananza, è solo di colui che amorosamente al attacca si sogno, a quel suo sapersi irrimediabilmente lontano da ogni giovi- nezza, intesa, non solamente La dei suoi bisogni. senilità come salute, ma come perdita dell'uomo che viene dopo l'esasperazione tesa di salute e salvezza è proprio il anche, malattia organica e di pensiero. Emilio aspira fatta, di un'at- luogo della lontananza che si è posses- al so delle cose vicine, ma, invece, constata che l'unica verità, l'unico possesso che è concesso è quella lontananza, quella capacità di gli sognare che è l'unica giovinezza. sogno, che Il era impossessato di Alfonso e gli aveva fatto si compiere l'ultimo atto, si fa puro e "bestiale" non per gli per Emilio amorosa verità. possesso Il è concesso. Egli è nato non per la lotta sogno e per continuare a sognare. Angiolina che, con il la ma sua sembra spezzare il ritmo onirico della vita non fa altro che consustanziarlo, lo allontana di più dalla vita. La donna incarna il sogno di Emilio ma non lo fa esplodere, perché il suo concedersi non è un darsi, è un possesso del corpo lisalute e spregiudicatezza, di Emilio, berato dalla mente. Ella è giovane così nel corpo come nella mente, e non vive che questa sua sensuale giovinezza biologica così vicina alla pura necessità, ma lontana dalla profonda salute di chi riesce a "pensare e a piangere," Perciò Emilio sognerà sempre una Angiolina che non esiste ed ogni possesso sarà fittizio, una sottrazione, nel suo senso ambivalente. Sarà la sorella Amalia, con agonia, il suo 'destino grigio,' con ma anche con la sua intelligenza e purezza, il sua lenta la referente incon- scio di Emilio e del suo impossible sogno. Egli vuole un'Angiolina che sappia piangere e amare e consumarsi soffrire come Amalia, in quella tensione. sappia, nel silenzio, L'agonia della sorella e la sua morte coincideranno, così, con l'abbandono di Angiolina; e nel tempo memoria coagulerà la stessa gure femminili. Il sogno in un'unica immagine le irrealizzabile nella realtà è, nella letteraria di Emilio, corretto e quasi reso mitico. La donna due fi- memoria sarà per sempre "amante" e "pensosa." proprio come può essere scritta: e non vissuta, proprio come la si è voluta che fosse e non come è stata realmente. come vita, di Ed è COSI che la letteratura, questa dolorosa finzione, vince, dice lo stesso Svevo in Senilità, l'inettitudine dell'uomo alla seppure essa stessa una volontà interrotta, resti, ed è questo il vero dolore, nel luogo necessariamente interrotta dalla morte. Massimo Rizzante 256 Sentimento di una lontananza nanza che sa il una lonta- in Alfonso, coscienza di proprio destino immutabilmente incompiuto perciò, e, affetto dal rinvio in Emilio. Nei due personaggi non destino li avrà ribellione proprio perché si un nascondimento, che è svelamento, ebraicamente, una secola- di rizzazione dei rapporti umani; nascondimento che genera il rinvio continuo, nella realtà, di Narrare opus tudine, perché frainteso, il un il sogno ed atto decisivo. Narrare è necessario, allora, per vincere est. sogno il dolore, vissuto. come personaggio sveviano è pure indice, personaggi della l'inetti- trasformi in parola e possa essere compreso si comunque con In questo senso, altri loro il ha allontanati da ciò che veramente sono, producendo così de 'fin siècle,' della molti problematizzazione dell'in- dividuo e della sua atomizzazione nel linguaggio, che ha portato l'uomo a monologare, a trasformare l'esistenza La non necessità della scrittura è, perciò, un dialogo con za; nasce, invero, dall'impossibilità di come farmaco per in sogno. momento l'esperienza, definendo, cosi, e scrittore, tra l'inettitudine dell'uomo una moderno e dell'esperien- cose, nasce le frattura tra uomo la superiorità fitti- zia, grottesca dello scrittore. Il personaggio sveviano, ripetiamo, è la rappresentazione di questa dicotomia, che è superiorità dello scrittore che vive tale superiorità come senso di inferiorità negli che Baioni, parlando di Kafka atti, perché gli atti Ebraismo in hanno perso quella e Mitteleuropa, "radice celeste," la sacralità necessaria perché l'uomo chiama riconosca li propri. Alfonso è condannato sogno si incarni, anche al sogno ed Emilio suo sogno fattosi parola, sono redimere la realtà. È la le il che il suo suo sogno, o il uniche armi che egli possiede per condanna al sogno, che significa lontanan- za dalla storia, che conduce ad una precoce il all'attesa capirà che se, alla fine, luogo di quella lontananza da dove si senilità. Essa diventa può, peraltro, solo sogna- re un possesso della si è già impossessata di noi, lasciandoci la possibilità del sogno o storia, consapevoli del fatto che quest'ultima l'invenzione letteraria. Non vi è salute nella storia, quindi. I sani sono gli assimilati, quei personaggi sveviani che vivono nella sensualità della sono nella storia con la solarità propria di chi vita, coloro che è vicino e cammina Svevo: la coscienza della lontananza con il Ma proprio destino. non è vera la loro 257 L'inettitudine salute. del personaggio sveviano svela l'allontanamento di sé dalla sua salute illusoria, e si fa 'superiore inferiorità' dello scrittore-impiegato che, lontano dal proprio destino, scrittura 3. che è malattia si, ma attacca al sogno, al sogno della si amorosa. L'ironia del senso Con Zeno vengono altre caratteristiche, già presenti negli altri alla luce e fatte, za di Zeno la critica per cosi dire, esplodere. ai valori della società due romanzi, Con borghese la Coscien- farà quasi si metodo, seppure in forma di ricordo e di tragica prospettiva. L'allontanamento del personaggio dal suo destino ha provocato l'ironia del senso, l'allontanamento da ogni senso. Zeno rappresenta, ancora, il bisogno di scrivere la vita che non è possibile puramente vivere, essendo essa una malattia essenziale, imperfezione che conduce l'uomo alla lotta per il una suo compimento, che, peraltro, è solo costruzione di un ordine puntualmente distrutto. Ma qui, e il nel terzo romanzo, a colui che conosce la malattia della vita suo destino nato da tale convinzione, non è Mentre, cioè, nei romanzi precedenti, il sogno era il sogno che resta. che l'attività tra- non sfigurava o addirittura negava la vita, e il poteva che attaccarsi amorosamente sua rappresentazione e alla alla personaggio 'inetto' sua malattia, nella Coscienza di Zeno l'atteggiamento, tipicamente ebraico, dell'autodifesa, della sapiente ironia che conosce tutte le amarezze che porta in seno, fa parlare loro utilità per la vita, anche se 'il il nella stessa traduzione, la sua morte. volta ebraico di E una razionalizzazione ad affermare che i protagonista sui sogni, sulla metodo dei sogni' porta con lo scetticismo, sé, ancora una totale dell'uomo, lo porterà sogni, o meglio, la predisposizione ad essi, si conclude sempre nella loro invenzione. Potremmo affermare che, per un processo metonimico, il sogno necessario alla vita del personaggio letterato, viene fatto esplodere nell'ironia della sua impossibile traduzione e descrizione Zeno, il vecchio quella posizione. lo scriversi. di uomo di lettere La consistenza Finito il sogno del che ha compreso da parte di nihilismo di della letteratura diventerà, allora, letterato inizia memorie e invenzione. Zeno che si sottopone alla cura il psicanalitica una letteratura fatta ha accettato la pro- Massimo Rizzante 258 come pria malattia incurabile e ricerca, sogghignando di ogni arte medica dell'animo umano, le possibilità future nel proprio passato. Riconosce la propria differenza di destino e la sua lontananza da esso, ma non sogna, meglio, non si attacca al suo sogno; ironizza sulla stessa scienza dei sogni. Diversamente dai due precedenti romanzi, dove la differenza era lontananza del personaggio dalle sue origine e dove quest'ultima era dissimulata nell'inettitudine cronica e nella precoce senilità, ora, nella Coscienza di Zeno, quella stessa differenza è differente al di là delle differenze — ca e meccanismo di difesa; e ancora, svelamento attraverso si — ciò per cui l'uomo è fatta consapevolezza ironi- critica, non più sotto forma di nascondimento del sé originario del perso- il naggio, ma, seppur velata, diretta. Zeno, cioè, è ancora, anche se in modo relativamente diverso, il personaggio che porta con sé la disto- nia esistenziale dell'ebreo occidentale, consapevole della lontananza la dimora lotta del vivere, la volontà delle sue origini e che fa di questa lontananza da dove mettere a nudo e di dominio, È il mondo in crisi la della —che è pevole lontananza del ad una società che al si figlio che, ebraicamente, rifiuta l'assimilazione finta di peccato che Zeno non vorrebbe mai commettere mente, ha dovuto sempre commettere. — è il padre è anche il se stesso che rifiuta, si. il figlio, il come dice il mondo realtà in cui si non presto. Il il alla luce "la Zeno Il tardi a riconoscere il lo dice testualmente rimorso per quella parola sua grande esperienza," afferra, forse, che l'espe- padre, che vedeva dappertutto una la morte, forse, salvato la sua come sempre, rimorso di Zeno è quello del padre fosse ridicola il che, inevitabil- è veramente contaminata con l'esperienza ha vissuto. ma ma riesce a dire la parola immutabile ed un mondo immobile, aveva, differenza originaria, ma se stesso che ha dovuto assimilar- padre a Zeno (689). rienza del padre non non vedere, Quest'ultimo è anche qualcosa di più. Suo Ciò che resta è una parola non detta e che avrebbe reso, finalmente, del — padre Il ma se stesso più profondo che all'uomo e schiaffeggia alla possibile constatare l'indice di questa consa- nella quale ha certamente operato e guadagnato. più volte può cambiare. — significativamente padre padre sembra aver fatto il luogo e il mometa che sempre proprio nelle pagine dedicate morte del padre pura figlio era giunta troppo che è giunto troppo padre, che ha creduto troppo che la serietà del e, perciò, non gli si è mai avvicinato abbastanza 259 Svevo: la coscienza della lontananza ed ha giocato, ogni altro Qui è al solito, al rinvio. dramma Zeno Zeno. la monade generatrice di riderà più forte del mondo e il suo riso filosofico e selvaggio potrà anche inclinare a suo favore il di 'clinamen' della vita, ma sempre resterà il amaro, comune a riso molti ebrei della sua generazione, di colui che non amorosamente con tabile^ e sentimento di il si è ricongiunto tempo della Creazione è immuchi vive il tempo come immutabilità è il la tradizione/ Il sentimento di chi accetta la Creazione. L'ispirazione religiosa, che fa dire al padre di possedere una grande esperienza da comunicare è quel "sentimento d'intelligenza" dell'uomo che accetta le cose e ammette la loro trasparenza; di chi, ogni divenire, dell'ebreo che insomma, vede la legge dietro è salvato dalla secolarizzazione.^ Di- si versamente per Zeno l'ispirazione religiosa del padre è oggetto di studi: "tant'è vero che s'indusse a parlarmene perché io gli avevo raccontato di essermi occupato delle origini del Cristianesimo" (691). Il momento che fraternamente li accomuna è anche momento il del più vero distacco. Per l'ebreo che riconosce ricongiunto al mondo la lontananza delle sue origini e non dei padri, la religione è un problema, è un problema. Milan Kundera ha scritto una volta: romanzo ". . . il il si è tempo tempo Kafka è il tempo di un'umanità che ha perduto la sua continuità con l'umanità, di un'umanità che non sa più nulla e non ricorda più nulla e abita in città che non hanno nome e le cui strade sono strade senza nome o con un nome diverso da quello che portavano ieri, perché un nome è una forma di continuità con il pasdel di sato e le persone che non hanno passato sono persone senza nome" (169-70). Se Kafka si aggirava nella Praga, che nella Coscienza di Zeno, approda, a suo memoria un a suo modo, della atto però, attraverso la scrittura, che ritradotto, corretto. Il il suo amico Max Brod de- un mondo senza memoria Svevo, finiva la città del male, profeta di si suo non è un modo, ad una soluzione; che riconosce sa comunque 'sibi scribëre,' passato fa, il quale, letteratura, viene il uno scrivere della propria vita e sulla propria vita, ma, essenzialmente, un ripensamento evolutivo; si un ripensare, trasforma e Zeno si si scrive, veder 'chiaro' il cioè, il passato che, nella practica letteraria, radicalizza fino all'invenzione. abbiamo detto. proprio passato. Giunto ad una certa Si sottopone ad età, vuole una cura psica- Massimo Rizzante 260 nalitica senza crederci troppo; la sua malattia la conosce troppo fin bene, è una convinzione carica di anni e di destino. Egli sa anche perfettamente che non è possibile estirparla: gia troppo profonda. sogno e Ciò che l'inerzia procurino il essa ha una genealopuò fare, allora, è illudersi che il dono della rievocazione. Ma Zeno è si di peso e di cuore, ma etemo non riesce a ricordare con precisione, l'ordine gli è sempre sembrato un uso rassicurante dell'ambizione umana, e, poi, la lingua che adopera, si conosce, è piuttosto uno scalpello che una lima. Egli inventa. La memoria di Zeno è una memoria pratica, un con problemi letterato, incanutito, studente; egli proprio in quanto ha perduto volta, della lontananza) e si mo, redentivi. suo passato (coscienza, ancora una il compie per atti Egli non attende, con Proust, volontari che, diremil senso del presente da un'interruzione di esso che permette l'esplosione del passato così com'era e che ritoma carico colma di felicità. non vissuta, e perciò 'volontà della memoria' che, nella diventa metafora di una redenzione del passato attraverso scrittura, una correzione Il di un'esperienza Zeno ha una tempo di esso. della scrittura diventa cosi, ebraicamente, il tempo della redenzione, la quale, però, deve essere intesa in senso probematico, in quanto si quindi, di conosce la lontananza delle proprie origini e un riconoscimento del passato la difficoltà, attualizzabile. Il tempo in cui Zeno vive non è il tempo immutabile del padre, il tempo della Creazione nel quale le cose annunciano il loro essere in- nocente e nel quale anche come etemo compimento Zeno si abbandona il loro dissolversi necessario alla scrittura si concepisce tempo che 'ritoma,' quando terapeutica, è un passato offuscato del passato. Il dal presente che sorge "imperioso" e annulla la ridicola pretesa del protagonista di sperimentare da vicino una ricordi. Zeno si addormenta di memoria che veramente un sonno profondo e, seppure du- rante quel sonno qualche cosa di importante era stato intravvisto, al risveglio è già stato dimenticato, "perduto per sempre." Nel Preambolo al romanzo, infatti, Zeno informato dal suo buon manuale di psicanalisi che una pratica della memoria quotidiana consente molte possibilità di ricordare la propria infanzia, al 'lavoro.' di Dopo qualche un bambino in fasce subito ricosce per il esitazione, si mette subito vede di fronte a sé l'immagine che sembra appartenergli da vicino, figlio della cognata appena nato e che ma lui che aveva Svevo: la coscienza della lontananza Zeno, che conosce nell'intimo visto di recente. tenza di malattia che cova nell'uomo "Come esclama: — seno fantolino fare? — minuto che passa tia vi sono per te, Eppoi fantolino si fin dalla secoli che Il al come di fronte a Ma il mondo, Nel tuo va facendo una combinazione misteriosa. Ogni un reagente. Troppe probabilità di malat- vi getta perché non sei tutti i tuoi minuti possano essere consanguineo di persone ch'io conosco. ma certo I non furono tali puri. minuti tutti prepararono" (651). tempo del ricordo è un tempo che ha subito e subisce proprio lo. ti minacciosa sen- la sua venuta è impossibile tutelare la tua culla. che passano possono anche essere puri, i 261 il pensiero subisce la sua alienazione, Zeno eppure estraneo pensiero che non si il la storia, suo essere sua volontà di rappresentar- alla memoria configura nel presente e una che non è figura del passato sono ancora propri di un personaggio ebreo che non trova risarcimento morale nella la storia, che appunto subisce perché egli ne è stato tolto ed è consapevole che la sua assimilazione non ha significato, intimamente, radicamento postu- mo, ma soprattutto sradicamento e dispersione. Ecco, allora, che la scrittura, lo scrivere di Zeno redentiva del tempo, poter ripensare il ciò che astorica, qual è la pratica letteraria. che infine è la scrittura, oltre Zeno fa, diventa la possibilità la storia Ma secondo una legge tale possibilità redentiva, ad essere problematica, detto prima, è anche ironica, perché cosciente che il come abbiamo suo atto è pur sempre un ripensamento e mai un riconoscimento. La cosi il tempo del rilancio, della vivere per rinviare il scommessa, che vuol scrittura vive dire, per Zeno, senso perduto della sua origine. Università di Urbino NOTES 1 crf. Gargani e Freschi 149: "La diaspora assume un segno occidentale irriconoscibile porta dentro di sé il invisibile, l'ebreo suo nome, il suo alfabeto sacro." 2 Relativamente a quest'ultima affermazione, facciamo riferimento quarto romanzo sveviano di cui paria Contini ma del quale non al cosiddetto sì tratterà in questa sede, poiché esula dagli scopi del presente lavoro. 3 Si fa riferimento, ovviamente, scorso sarà, Zeno. infatti, al protagonista dei primi due romanzi. Il di- sensibilmente diverso per quanto riguarda la Coscienza di Massimo Rizzante 262 4 Una Si legge infatti, in gli "Con movimento vita 304; istintivo egli aveva chiuso occhi per isolarsi. Era sua madre. Prima che ella giungesse egli la vide e vide chinò su di lui suo sorriso soddisfatto e lo baciò, come acuto dolore il ma suo al di trovario tanto quieto. letto EUa giusto sulla cavità dell'orecchio. Egli senti se dentro qualche cosa fosse scoppiato e si un svegliò." si Zeno 690-91: "Oggi che scrivo, dopo di aver avvicinata l'età raggiunta da mio padre, so con certezza che im uomo può avere il sentimento di una propria altissima intelligenza che non dia altro. segno di sé fuori di quel suo forte sentimento. Ecco: si dà un forte respiro e si accetta 5 Si veda nella Coscienza di e si ammira tutta la natura com'è e come, immutabile, ci è offerta: con ciò si manifesta la stessa intelligenza che volle la Creazione intera." 6 Cfr. la nota precedente. La coscienza 7 Cfr. di Zeno 691: "Da mio padre è lucido della sua vita, il certo che nello ultimo istante suo sentimento d'intelligenza fu originato da un'im- provvisa ispirazione religiosa. ." . . OPERE CONSULTATE A. A. V.V. , (1983), Ebraismo e Mitteleuropa. dall'istituto per gli smdi mitteleuropei convegno promosso Atti del di Gorizia. Brescia: Shakespeare e C.,1983. BENJAMIN, W. Angelus Novus. Torino: Einaudi, 1982. 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