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Sogno di una notte di mezza estate: presentazione a cura di Anna Ceravolo (Hystrio)
Note al Sogno di Teatrobliquo
Perché proprio il Sogno di una notte di mezz'estate,
commedia inafferrabile, sospesa, insondabile, di cui la critica ha tentato una
quantità di soluzioni, di spiegazioni, di vie interpretative ai grumi oscuri
che aleggiano tra i versi di Shakespeare. E perché proprio un testo del teatro
più frequentato, rappresentato, conosciuto. Il suggerimento, mi ha spiegato
Durshan Savino Delizia, "capitano" di Teatrobliquo, a lavorare sul Sogno, è scaturito in seguito a una
relazione fruttuosa tra il gruppo e il territorio di Sesto San Giovanni dove la
compagnia è da tempo presente con un lavoro vivo, che non si svolge solo nel
chiuso dei teatri, ma nelle strade, nelle scuole e nei parchi, con animazioni e
laboratori, a fianco delle istituzioni e dei cittadini. Perché a livello
locale, meglio che nei grossi centri, il teatro assolve ancora una funzione
culturale e di aggregazione insostituibile.
Dunque al Teatro Elena di
Sesto San Giovanni è andato in scena, in unica replica, il Sogno di una notte di mezza estate. Non è stato amore a prima
vista, quello tra Teatrobliquo e la commedia shakespiriana, ma l'esito di un
corteggiamento paziente e fedele. (Ed è quando ci si dispone ad accettare vizi
e virtù del partner, che i legami sono più felici e duraturi). Perché il gruppo
ha assecondato le ambiguità dell'opera, le sovrapposizioni di significati, la
molteplicità dei piani, le incongruenze tra mito e folclore, le fonti
d'ispirazione, indisciplinate e caotiche. Ponendosi in quell'atteggiamento
recettivo che sgombra il campo da razionalizzazioni preventive, da coerenze
forzate. Lasciando affiorare, piuttosto, l'impulso primo, primitivo, generato
al contatto del materiale drammaturgico. Un criterio, questo, assimilato dagli
attori attraverso una pratica di lavoro che privilegia l'azione fisica rispetto
alla speculazione intellettuale.
A fondamento del metodo di
lavoro di Teatrobliquo vi è la fiducia nell'attore-creatore. Cioè un attore che
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Generata: 9 June, 2017, 10:44
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non resta mero strumento nelle mani del regista, ma che sperimenta, improvvisa,
prova, ricerca fino alla riuscita definizione del personaggio. Così è avvenuto
per Teseo e Ippolita, per Oberon e Titania, per Puck, gli Amanti e gli
Artigiani, tutti finemente cesellati durante un periodo di lavorazione in cui
le istanze più profonde del personaggio, si percepisce, sono emerse per
istinto, e poi esplorate, scandagliate, mediante un lavoro attivo, concreto e
caparbio in costante e aperto confronto dialettico con il gruppo. E poco
importa se il cast è disuguale, se assomma attori esperti e giovani al debutto,
l'affiatamento in scena è forte, integro, senza "primedonne" ma di intensa
coralità.
Tanta "democrazia creativa",
tuttavia, tanta autonomia d'espressione consentita all'attore non è priva di
briglia. Il disegno registico riconduce a unitarietà di stile le multiformi
suggestioni proposte dai performer. Perché tutte vagliate, analizzate, messe e
rimesse in discussione.
Il segno unificante è nello
sprigionarsi della comicità, che lega a filo doppio i personaggi. Una comicità
sfrenata, clownesca, trascinante come nel caso degli Artigiani, oppure un
umorismo sottile, leggero che si beffa delle peripezie degli Amanti, o riflessa
nel disincanto dolceamaro di Puck. Così che accenni noir squarcino solo a
tratti il fluire lieve dello spettacolo, come brividi che percorrono la notte,
spegnendo quell'insoddisfazione, quell'amarezza che Shakespeare conta cozzando
contro il previsto lieto fine che vogliono le favole.
L'esito scenico, davvero, è
di chiara organizzazione. Organizzazione non soltanto logica, ma anche dello
spazio e dell'agire. In quanto al divenire del testo in scena corrisponde uno
studio analitico delle azioni. La scansione dei movimenti, la distribuzione
degli equilibri in palcoscenico, perfino la gestione delle manovre tecniche
rientrano nelle note di uno spartito rigoroso.
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Ha marcato con forza la
messinscena, pure la decisione di liberarsi da vincoli di tempi e luoghi netti
e cogenti. Dimostrandosi chiave efficace affinché la dimensione della realtà e
quella della favola potessero intersecarsi e offuscarsi reciprocamente. Così
avviene dei costumi, di Stefania Gruber, sorprendentemente contemporanei, e
insieme prepotentemente teatrali, "tagliati" sul personaggio. E delle scene,
dominate dalla presenza di talami "totem", luoghi simbolici della divisione e
della riconciliazione; sovradimensionati rispetto al corpo dell'attore, a
ribadire ancora l'idealizzazione dell'amore a dispetto dell'imperfezione
dell'amore.
Anna Ceravolo
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