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Traduzione dell’articolo del Financial Times riguardante la politica delle Banche
Centrali e i possibili effetti sui mercati finanziari
30.05.2017
Dal Financial Times del 26/05/2017
By John Authers
Le banche centrali rischiano di produrre una confusa “fusione” del mercato. Quest’anno segna un
decennio dai primi fermenti della crisi finanziaria globale. Un bel po’ d’acqua è passata da quando i
due hedge funds di Bear Stearns sono collassati nel luglio 2007, a causa della loro esposizione ai
mutui subprime americani. Per gli investitori l’esito finale della crisi finanziaria è stata la presenza
nei mercati finanziari delle banche centrali e dei loro bilanci enormemente espansi.
Il costante nutrimento dovuto al denaro a buon prezzo – l’opzione put definitiva - non soltanto
continua a far salire i prezzi delle attività finanziarie ma, in modo preoccupante, limita gli attacchi
di panico dei mercati.
Finché i mercati sono concentrati su una serie di argomenti, tra questi le prospettive di crescita e
inflazione, le prospettive del Trump Trade, la bolla creditizia cinese e le elezioni politiche in
Europa, la continua espansione dei bilanci delle banche centrali attraverso il “quantitative easing”
sta ancora mantenendo in carreggiata lo spettacolo ormai familiare delle azioni a livelli record e il
premio al rischio trascurabile.
“Chiamo QE (quantitative easing) IV la goccia che ha stiracchiato oltre misura le valutazioni di
mercato” dice Jack Ablin, responsabile degli investimenti a BMO Capital markets. Solo quest’anno
le banche centrali hanno superato, i livelli già elevati raggiunti dal sistema finanziario, di altri 1,1
trilioni di dollari, afferma Bank of America Merrill Lynch. Se mettiamo assieme le quattro banche
centrali USA, Giappone, UK ed Eurozona, il loro attivo di asset finanziari arriva quasi a
raggiungere 14 trilioni di dollari.
E c’è altro, il valore complessivo di questi bilanci ufficiali continuerà a crescere nel 2018
nonostante gli investitori inizieranno a concentrarsi sulla fine del gioco, con la Federal Reserve
americana che inizia a ridurre e la BCE che è attesa a seguire.
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Ciò che risulterà critico sarà il fatto che, la velocità a cui la Fed e la BCE ridurranno i loro bilanci,
sia davvero misurata.
David Ader, capo macro strategist per Informa Financial Intelligence, afferma “la Fed si muoverà in
punta di piedi intorno al suo piano di riduzione del bilancio. Testeranno il mercato lentamente,
perché saranno preoccupati di non causare un rialzo nei rendimenti obbligazionari.”
Il messaggio che la Fed procederà lentamente quando inizierà a ridurre il suo bilancio, oggi al
livello di 4,2 trilioni di dollari, riducendo il reinvestimento nel debito a scadenza che detiene, ha
aiutato l’indice azionario S&P500 a raggiungere nuovi record questa settimana. Le minute
dell’incontro della Fed di maggio, rilasciate mercoledì scorso, rivelano che questi reinvestimenti
saranno soggetti a limiti al rialzo nei prezzi, che potrebbero salire nel tempo. Il risultato sarà che la
Fed ridurrà il suo bilancio lentamente, come nota Lou Crandall di Wrightson Icap: questi si aspetta
una riduzione nel riacquisto di non più di 10-15 miliardi di dollari a mese.
È una buona notizia per gli asset rischiosi?
Sembra sempre più probabile che i prossimi mesi saranno definiti da prezzi già alti che entrano
nella fase finale di esuberanza, come visto alla fine degli anni 90. Quanto più ci metteranno le
banche centrali a stringere, maggiori saranno i rischi di una mania speculativa tipo fine 1999, è il
grido di allarme degli analisti a Bank of America Merrill Lynch.
Mentre la mandria di investitori prende posto, la situazione offre parecchie preoccupazioni e ci
riporta alla illusione di tranquillità che pervadeva il mercato dieci anni fa. A parte un piccolo calo
nell’estate del 2007, le azioni americane e globali sono salite ai massimi nell’ottobre di quell’anno,
suggerendo che tutto andava bene.
Tornando ad oggi, uno degli esempi di disfunzione di mercato indotta dal comportamento delle
banche centrali è il basso premio per il rischio delle azioni. Dhaval Joshi a BCA Research sostiene
che gli investitori sembrano credere erroneamente che la bassa volatilità giustifichi alti prezzi per le
azioni, ma dimenticano un punto importante: una volatilità “addormentata artificialmente” non è un
segnale che detenere azioni sia meno rischioso.
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