Rendere la biologia scientificamente accettabile
Alessandro Giuliani
L’editoriale comparso nel numero 29 della prestigiosa rivista BioEssays, scritto dal
direttoreAdam Wilkins ha un titolo accattivante ‘For the biotechnology industry the penny drops
(at last): genes are not autonomous agents but function within networks !’ che in Italiano suona
più o meno come: ‘Per l’industria biotecnologica il credito è finito (finalmente): i geni non sono
agenti autonomi ma funzionano all’interno di reti !’ (Wilkins A. (2007) BioEssays 29, pp. 11791181). Wilkins fa una rapida rassegna delle promesse mancate della biotecnologia e si domanda
come sia stato possibile aver dato credito per tanti anni ad una teoria palesemente assurda e
contraria a tutte le evidenze della chimica fisica (oltre che all’evidenza sperimentale) e cioè che
ogni gene ‘facesse gioco a sé’ nel metabolismo di cellule e tessuti e che la semplice inserzione (o
delezione, o mutazione..) di un singolo gene potesse essere manipolata a piacimento per ottenere il
carattere fenotipico desiderato. Wilkins fa notare come, dopo decenni di infruttuose
sperimentazioni, finalmente il capitale finanziario inizi a disinvestire allontanandosi dalle imprese
biotecnologiche.
Il punto non è da poco e merita sicuramente di essere approfondito. La regolazione cellulare,
come viene spiegata ancora nei testi universitari di biochimica e di biologia molecolare, ma anche
come implicitamente viene accettato nella stragrande maggioranza degli articoli scientifici, implica
lunghe serie ordinate di incontri tra un effettore biologico (una proteina codificata da un particolare
tratto di DNA corrispondente ad un gene) e il metabolita da trasformare (una piccola molecola
organica) attraverso l’iterazione di un modello ‘chiave-serratura’ per cui l’effettore (serratura) ha
degli ‘incontri efficaci’ solo con il suo metabolita specifico (chiave).
In altri casi gli incontri sono tra diversi effettori che si organizzano tra di loro a formare
complesse macchine enzimatiche in cui le proporzioni e i rapporti specifici di ‘inibizioneattivazione’ sono rigidamente fissi e cablati (in questo caso il ruolo di chiave e di serratura è svolto
da porzioni specifiche della macromolecola indicate come ‘siti attivi’). Queste complesse (ma
totalmente deterministiche) serie di eventi sono immaginate avvenire all’interno di una SINGOLA
CELLULA che è il luogo causalmente rilevante di ogni organismo comunque complesso. Di
seguito si riporta lo schema di uno di questi meccanismi (pathway dell’apoptosi o ‘morte cellulare
programmata’).
Le ellissi colorate indicano specifiche proteine, in alto vediamo il confine della cellula
rappresentato dalla membrana simboleggiata dal doppio strato lipidico, all’interno della cellula
notiamo un mitocondrio (la struttura arancione sulla destra) , la membrana del nucleo (in basso) e
una schematizzazione del DNA (la barra grigia in fondo alla figura). Le frecce che uniscono le
ellissi corrispondono alle interazioni tra le proteine, le ellissi aggregate a dei complessi proteici
stabili.
Come tutto questo possa avvenire in soluzione (nonostante tutto questo ordine in farmacologia e
biologia si continuano a calcolare le relazioni dose-effetto e le cinetiche enzimatiche facendo agio
sulla legge di azione di massa e l’equazione di Michaelis-Menten che implicano un regime di urti
casuali e la vicinanza al limite termodinamico di un numero molto alto di molecole interagenti) è
veramente un mistero. Nei corsi introduttivi di chimica generale si insegna infatti che un urto
tri-atomico è praticamente impossibile in soluzione, cosa dire allora di un processo che di urti
coordinati ne implica una cinquantina? Potremmo certamente assumere una posizione puramente
empirica, qualora funzionasse e ci permettesse di prevedere e manipolare i circuiti di regolazione,
qualcosa come ‘Non sappiamo come possa funzionare, ma funziona’, peccato che non funzioni, la
strategia di manipolare singoli passaggi cruciali dei meccanismi biologici con farmaci che
inibiscono i singoli prodotti genici, non ha portato a nessun risultato di rilievo, il numero di farmaci
immessi sul mercato è drammaticamente crollato in contemporanea con la definizione fine dei
meccanismi biologici di base (Overington et al. (2006) Nature Reviews in Drug Discovery, Vol.5,
pp.993-996).
D’altro canto, almeno per quel che riguarda il metabolismo intermedio (cose tipo la biosintesi
dei lipidi, il metabolismo energetico, insomma gli schemi coinvolgenti la modifica chimica di
piccole molecole organiche attraverso catene enzimatiche coordinate) sappiamo di sicuro che
qualcosa come una rete coordinata di interazioni esiste effettivamente ed ha proprio la forma
ipotizzata dai biochimici, visto che il carattere letale di una mutazione enzimatica, almeno negli
organismi unicellulari come il lievito, si può agevolmente predire dalla posizione dell’enzima nella
rete metabolica: se esiste un ‘cammino alternativo’ lungo la rete la mutazione non è mai letale. La
figura seguente riporta una parte della rete metabolica del lievito, i trattini colorati mostrano le
mutazioni analizzate per il loro carattere letale, i pallini rappresentano i metaboliti e le frecce le
reazioni chimiche che trasformano un metabolita in un altro attraverso la mediazione di un enzima.
La figura qui di sopra proviene dall’articolo Palumbo et al.(2005). FEBS
Letters. (579)pp. 4642-4646, dove si dimostra un concetto molto importante per il nostro discorso
sulle mutazioni dei singoli geni: le caratteristiche fenotipiche (in questo caso morte o sopravvivenza
del lievito) NON dipendono dalle caratteristiche intrinseche del prodotto genico ma, dalla sua
posizione all’interno di una rete di cui è elemento. Insomma si tratta di una causazione ‘topdown’ e non ‘bottom-up’ come nel modo classico della biologia molecolare, non sono le
caratteristiche intrinseche della proteina importanti per comprendere le conseguenze di una
sua mutazione (che comunque si considerano indipendenti da quelle causate dagli altri geni )
ma è esattamente il contrario: è la struttura globale della rete che decide della rilevanza di
una modificazione genica specifica.
C’è da dire poi che se una ‘strada alternativa’ che consenta alla rete di rimanere
completamente connessa esiste nonostante l’interruzione di un legame (corrispondente
all’inattivazione di un enzima a causa di un intervento farmacologico o di una mutazione), questa
strada alternativa è, nella quasi totalità dei casi, efficiente tanto quanto la situazione ‘wild type’.
Insomma, è come se in caso di blocco dell’Autostrada del Sole a Roncobilaccio (tratto FirenzeBologna), la deviazione del traffico veicolare lungo la strettissima via Porrettana garantisse la stessa
efficienza dell’autostrada (il che ovviamente nel caso del traffico non succede di certo).
Questo ci dice che i sistemi biologici NON SONO MANIPOLABILI (e quindi migliorabili) nel
continuo da piccole modificazioni di singoli geni ma risultano altamente resilienti e
fondamentalmente immodificabili nelle loro funzionalità di base.
Detto con il linguaggio della fisica è come se avessimo un campionario molto limitato di ‘scelte
ammesse’ che fungono da ‘attrattori globali’ della dinamica, corrispondenti a poche ‘forme
favorite’. Ma ammesse o favorite da chi ? o meglio, da cosa ? Che esista un numero limitato di
‘modalità di funzionamento’ (che combinandosi in varia maniera danno vita all’estrema diversità
del mondo biologico) è universalmente accettato (anche se pochi ragionano sulle implicazioni
): solo 200 tipi di tessuto sono necessari per costruire tutti gli animali, ognuno di questi tessuti
ha un profilo largamente invariante di espressione genica (pensate a quanti potrebbero essere
i profili derivanti dalla combinazione di circa trentamila prodotti genici ciascuno che può in linea di
principio variare su quattro ordini di grandezza !!!), poco più di 1000 forme (folds) rendono ragione
di tutte le proteine esistenti e derivanti dalla combinazione casuale di 20 lettere (aminoacidi) in
stringhe di lunghezza variabile tra 30 e 10000 aminoacidi.
Lo studio del differenziamento delle cellule staminali verso il loro destino finale (tessuto
completamente differenziato) ci ha fatto vedere come questo processo, lungi dall’essere il
prodotto dell’accensione/spegnimento di specifici geni, risulti da un movimento complessivo e
coordinato di TUTTO IL GENOMA, apprezzabile a livello di ‘grandi insiemi di cellule’
(all’interno della cellula la dinamica è largamente stocastica, il luogo della regolazione insomma
non è in questo caso l’interno della cellula ma il movimento coordinato di milioni di cellule) (vedi
S.Huang (2009) BioEssays 31, pp.546-560).
Il lavoro qui citato di Sui Huang (insieme a molti altri) utilizza quello che in fisica si chiama ‘un
approccio fenomenologico’ che in soldoni vuol dire: non ho la più pallida idea delle basi materiali
di quello che osservo (i.e. cosa renda possibile la regolazione coordinata dell’espressione genica
entro e tra le cellule di un tessuto) ma, limitandomi ad osservarne gli effetti, sono in grado di
razionalizzare (e in parte prevedere) le loro conseguenze fenotipiche. Insomma da qualche parte
c’è una sorta di ‘campo energetico’ che ‘decide’ delle configurazioni collettive ammesse,
quello che posso fare è sondare diversi ‘punti’ del campo e vedere cosa accade ma non ho
nessuna idea delle forze alla base del campo stesso.
Di sicuro però possiamo dire che uno dei paradigmi fondamentali della manipolazione
biotecnologica (direttamente derivato dal pensiero di Darwin) e cioè quello della continuità
dei ‘piccoli cambiamenti genotipici’ riflessi in corrispondenti ‘piccoli cambiamenti fenotipici’
non ha alcuna base scientifica a meno di non considerare le macromolecole biologiche come
piccoli ‘demonietti di Maxwell’ cioè degli agenti intelligenti che prendono autonomamente le
loro decisioni.
Capiamo allora perché si è così riluttanti ad esplorare tutte le possibili conseguenze della
biologia dei sistemi: farlo implicherebbe una totale riconversione non solo ideologica
(l’evoluzione è un fatto ma il modello di spiegazione darwiniano è in stridente contrasto con i
dati sperimentali e la chimica-fisica) ma anche industriale (immani investimenti su medicina
personalizzata, farmaci biologici, diagnostica genomica sarebbero semplicemente soldi buttati) e
culturale (legioni di scienziati abituati a pensare in termini di mutazioni al DNA come causa ultima
di tutta la fenomenologia biologica dovrebbero totalmente re-inventare la loro cultura scientifica).
Non è una cosa facile, soprattutto in periodi di crisi economica come questo dove le elite temono
come la peste una sconfessione totale dei fondamenti.
Eppure, eppure qualcosa si muove e proprio sul versante delle ‘basi fisiche’ della regolazione
biologica, l’articolo è recentissimo, è apparso su Science del 5 Settembre 2012 (Hyman A, Simons
K. (2012) Beyond Oil and Water – Phase Transitions in Cells, Science (37): 1047-1049) e prende di
petto il problema fondamentale della chimica-fisica dei meccanismi coordinati : quello del
confinamento.
In poche parole, se voglio avere anche una minima probabilità di far avvenire delle reazioni
coordinate coinvolgenti n elementi interagenti, ciascuno dei quali può in linea di principio
partecipare a molti processi alternativi, devo ‘tenere i processi separati fra di loro’, per capire
come questo avvenga devo esplorare la possibilità che questi compartimenti si formino
spontaneamente come ‘transizioni di fase’ coinvolgenti la separazione di differenti liquidi (‘liquidliquid demixing’) attraverso la creazione di interfaccia che ‘strutturino’ l’ambiente interno della
cellula. E’ una ricerca agli inizi ma che riprende un tema già intravisto agli inizi del secolo (non è
che gli scienziati siano tutti scemi..) e poi accantonato per ‘l’innamoramento molecolare’.. credo
che valga la pena riportare alcuni concetti salienti dell’articolo:
‘La biologia contemporanea ha identificato molte proteine coinvolte in differenti processi
cellulari, ma SIAMO LONTANI DAL COMPRENDERE COME ESSI POSSANO
PORTARE A TERMINE I COMPITI CHE LE FUNZIONI CELLULARI RICHIEDONO.
Come fanno insiemi di proteine e di altri tipi di molecole aggregarsi per formare dei compartimenti
distinti che contengono grandi numeri di macchine macromolecolari in grado di eseguire reazioni
specifiche e complesse ?’…… ’
La questione [..] era stata posta all’alba della biochimica all’inizio del ventesimo secolo. Una
descrizione chimico-fisica della cellula basata sulle idee emergenti dalla chimica dei colloidi era
utilizzata per rendere ragione dell’organizzazione su grande scala delle macromolecole. [..] Però gli
scienziati di quell’epoca non sapevano abbastanza delle macromolecole per collegare le loro
proprietà alla fisica chimica della cellula.
La rivoluzione della biologia molecolare spostò radicalmente l’interesse dalla descrizione
fisico-chimica della cellula alla struttura delle singole macromolecole. I biologi si concentrarono
nella determinazione delle interazioni fra molecole secondo il modello ‘chiave-serratura’ e la
conseguente formazione di complessi proteici con architetture ben definite. Ma la CONOSCENZA
DETTAGLIATA DI STRUTTURA E FUNZIONE DI SINGOLE MACROMOLECOLE E
COMPLESSI MACROMOLECOLARI NON E’ STATA SUFFICIENTE PER CAPIRE
L’ORGANIZZAZIONE DEL CITOPLASMA E DELLA MEMBRANA A SCALE
MAGGIORI. Adesso, le idee della chimica dei colloidi e delle separazioni di fase stanno
riemergendo …’.
Il punto in cui siamo è quindi quello di una biologia che dopo un delirio idealistico (non è
importante preoccuparsi delle basi fisiche) si trova a corto di fiato e deve ritornare con umiltà
alle sue basi materiali che uniche hanno la possibilità, sul lungo periodo, di uscire dalla magia.