Durkheim e le dinamiche della famiglia

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UNIVERSITA’ DI ROMA “LA SAPIENZA”
FACOLTA’ DI MEDICINA E PSICOLOGIA
CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE (CLaSS)
DURKHEIM: LE DINAMICHE DELLA FAMIGLIA
Elaborato finale di: Giulia Di Chiano
Marta Salvati
Chiara Boscia
Indice
Introduzione………………………………………………………………………………………………………………..3
Le dinamiche della famiglia nel pensiero di Durkheim………………………………………………….4
-la famiglia come “fatto sociale”
-la famiglia moderna come “famiglia coniugale”
Il divorzio nel pensiero durkheimiano………………………………………………………………………….5
-il divorzio: dagli anni ’70 a oggi
-dal divorzio al “suicidio anomico”
-l’introduzione della modifica alla legge sul divorzio: il divorzio consensuale
-critica al divorzio consensuale
-Engels: la positività del divorzio tra i coniugi
La famiglia secondo il pensiero di Engels…………………………………………………………………....8
- le diverse forme di matrimonio di gruppo
-dal matrimonio di gruppo al matrimonio di coppia
-dalla famiglia monogamica all’amore sessuale individuale
-la divisione del lavoro e della società in classi conflittuali
Durkheim: la divisione del lavoro sociale……………………………………………………………….…..11
-le funzioni della divisione del lavoro
-dalla famiglia matriarcale alla famiglia patriarcale
-la famiglia come “segmento sociale”
-la distribuzione delle diverse funzioni familiari: il “diritto domestico”
Bibliografia…………………………………………………………………………………………………………………13
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INTRODUZIONE
Con l’avvento della società moderna si è
assistito ad una grande trasformazione
sociale.
Tra i principali fattori che portarono a questa
trasformazione, ricordiamo: l’individualismo,
la divisione del lavoro sociale, il
cambiamento dei referenti emotivi e
sentimentali legati all’amore coniugale ed in
particolare l’emanazione in Francia della
legge sul divorzio, nel 1871, che contribuì ad
accrescere l’instabilità coniugale, allentando
il vincolo familiare inteso come istituzione
immutabile e perenne.
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LE DINAMICHE DELA FAMIGLIA NEL PENSIERO DI DURKHEIM
Durkheim ritiene che la famiglia è soprattutto un fatto sociale, una istituzione in cui vengono codificati una
serie di diritti e doveri socialmente condivisi e sanzionati che legano tra loro i coniugi. Egli è interessato
soprattutto ad osservare i cambiamenti avvenuti nella famiglia tradizionale patriarcale seguendo
l’evoluzione delle norme giuridiche e morali per arrivare alla famiglia coniugale dell’epoca industriale. Con i
profondi cambiamenti sociali dovuti all’industrializzazione che hanno determinato una differenziazione
dell’organizzazione sociale e una sempre maggiore divisione del lavoro, la famiglia è destinata ad evolversi
seguendo quella che Durkheim definisce “legge di contrazione progressiva”. Secondo questa legge, il nucleo
familiare tenderebbe a differenziarsi isolandosi dalla parentela e a configurarsi come famiglia coniugale
fondata sul matrimonio. L’essenza del legame è legata alle norme e alla morale comune che unisce i
membri del gruppo.
Quando nel 1892 Durkheim pone al centro delle sue riflessioni il tema della famiglia moderna, ne individua
la struttura essenziale denominandola “famiglia coniugale”. Questa nasce dalla contrazione della famiglia
patriarcale, formata da un numero ristretto di componenti: marito, moglie, figli minorenni e celibi. Esistono
dei vincoli in questa nuova struttura familiare che ricordano la precedente forma, in particolare ciò che
concerne la patria potestà ed il controllo del padre sui figli sino alla loro maggiore età, ma vi è anche ciò che
realmente è cambiato e che non ha superato l’idea della dipendenza a vita, che era il principio della
famiglia patriarcale. Durkheim preferisce quindi utilizzare il termine “coniugale” per definire la nuova
tipologia familiare, in quanto il grande cambiamento risiede primariamente nel ruolo ricoperto dai membri
della famiglia, i quali ad oggi non sono più legati al senso comunitario (“comunistico”) della famiglia
tradizionale, ma ognuno di loro ha e mantiene una propria individualità e, conseguentemente, una propria
sfera d’azione. La legislazione riconosce a ciascuno di loro dei diritti individuali: pur riservando la patria
potestà al padre, anche i minori godono di diritti come l’eredità o il possesso di propri beni, ma soprattutto
al padre vengono limitati i diritti disciplinari nei confronti dei figli minori. Ciò che viene riconosciuto da
Durkheim come l’elemento realmente innovativo risiede nella possibilità da parte dello Stato di intervenire
nella vita interna delle famiglie, tanto da poter affermare che lo stesso è un elemento della struttura
familiare moderna. Lo stato svolge funzioni sostitutive nei confronti di quei genitori che, per diverse ragioni,
non sono in grado di assolvere i loro compiti; ciò che prima veniva svolto da altri componenti della famiglia
allargata, oggi viene avocato da uno Stato che, nella figura del magistrato, assolve questi compiti, fino a
legiferare nei confronti della decadenza della patria potestà. Sostanzialmente lo stato si propone come
mediatore delle relazioni interne delle famiglie: i legami parentali sono posti sotto la tutela dello Stato, i
singoli cittadini non hanno più esclusivo potere nel decidere in merito.
Riguardo i cambiamenti avvenuti nella società moderna e riguardanti la struttura familiare, Durkheim
parlerà anche del declino del <<comunismo familiare>> affermando che all’interno della famiglia moderna,
emerge una visione personalistica e relazionale che pone al centro dell’organizzazione familiare, dei suoi
legami le “persone” e non più, come accadeva un tempo, durante l’antico comunismo domestico, le “cose”
possedute in comune. Un tempo era totalmente diverso in quanto l’organizzazione familiare era incentrata
sul patrimonio che doveva essere tramandato e rappresentava il “cemento” della società domestica (scopo
primario di tutta l’organizzazione familiare era quello di mantenere nella famiglia i beni domestici e,
rispetto a questi, ogni considerazione personale sembrava secondaria). A tal proposito Durkheim era
convinto che il declino del comunismo familiare e della centralità attribuita alle “cose”, ai beni posseduti in
comune, avrebbe determinato anche la progressiva scomparsa del diritto successorio che sarebbe
regredito, in modo regolare, sia dalle zone secondarie, escludendo tutti i parenti, sia dalla zona centrale,
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con il padre che <<può diseredare i propri figli totalmente o parzialmente>>.
Durkheim parlando del cambiamento della figura della donna nella società moderna, afferma che grazie
alla presa di coscienza dei propri diritti la figura della donna, prima interamente dedita alla famiglia, alla
casa e ai figli, si è sganciata da questi vincoli e la sua presenza all'interno della famiglia si è
progressivamente indebolita. Ricoprendo la donna anche incarichi importanti nel campo sociale e politico il
tempo da dedicare ad una eventuale famiglia viene meno, tanto che svanisce completamente la possibilità
di avere figli, ai quali altrimenti non si potrebbero prestare le attenzioni necessarie. Quanto al matrimonio
moderno, Durkheim ritiene che la sua funzione è quella di regolare la vita passionale, a maggior ragione
quando si tratta di un rapporto monogamico, in cui l’oggetto d’amore chiude l’orizzonte. L’orizzonte chiuso
dato dal matrimonio è ciò che riesce a creare uno stato di equilibrio morale di cui beneficia soprattutto lo
sposo perché egli non può, senza andare contro la morale, cercare altre soddisfazioni al di fuori della
famiglia; ciò rappresenta quindi una limitazione ai suoi desideri. Il matrimonio è uno stato sociale
fondamentale per la disciplina morale dei coniugi, soprattutto per quella maschile, che viene identificata
come quella più debole all’interno dell’organizzazione matrimoniale. Nella stabilità, nella certezza salutare
della disciplina, l’uomo può riuscire a non sentire le pressioni passionali, la ricerca della felicità è data dal
mantenimento di un equilibrio, la moglie diviene regolatrice delle passioni dell’uomo. Il matrimonio svolge
quindi primariamente una funzione sociale, il cui carico risiede nel ridimensionamento dei ruoli, maschili e
femminili, all’interno del nucleo familiare e le conseguenze dei loro comportamenti all’esterno, nel
contesto sociale più ampio.
Durkheim, parlando di “suicido anomico”, ritiene che questo può verificarsi principalmente quando i legami
sociali si allentano, l'individuo non è più integrato in una rete relazionale ed è lasciato in balìa di se stesso,
senza la guida morale della società. In particolare tra le cause concrete più diffuse ricordiamo: l’anomia
domestica, cioè lo stato vedovile, generato al momento della scomparsa naturale del proprio coniuge,
capace di provocare lo stravolgimento sia della struttura familiare, sia dei sentimenti dei superstiti e
l’incidenza delle separazioni e dei divorzi . il suicidio dei divorziati, come quello dei vedovi, rientra nella
categoria dell’ “anomia coniugale”.
Il matrimonio dunque, poiché intaccato dal divorzio, tende ad essere indebolito. Nei paesi in cui viene
praticato, ma soprattutto dove i costumi e il diritto facilitano il diffondersi di questa “pratica”, il matrimonio
non è più in grado di svolgere la propria funzione, divenendo così quello che Durkheim definisce:
“matrimonio minimo”. L’unità dell’istituzione matrimoniale è stata irreversibilmente minata dalla
possibilità legale di sciogliere quest’unione che ha reso debole il suo valore istituzionale e sociale, ma l’altro
lato debole è costituito dalla natura morale dell’uomo, poiché è il suo non riuscire a contenersi che
determina l’instabilità matrimoniale. In un contesto sociale in cui è possibile il divorzio legale, chi si sposa è
consapevole di poterlo “non fare” per tutta la vita, di avere anche una via d’uscita; ciò va a minare
profondamente il significato ed il valore del contenimento morale e passionale che riusciva ad esercitare il
cosiddetto “matrimonio intero”. L’aumento dei suicidi degli uomini divorziati è frutto dunque di una
carenza morale, della mancanza della forza coercitiva esercitata dal vincolo matrimoniale che viene a
mancare nel momento in cui è possibile una soluzione: separazione e/o divorzio.
Nel saggio “Il divorzio consensuale”, Durkheim vuole rispondere al dibattito civile mosso dalla proposta,
presentata in Parlamento da Paul e Victor Margueritte circa l’introduzione della modifica alla legge sul
divorzio. La riforma prevedeva l’introduzione del divorzio consensuale, ovvero della possibilità di ridurre i
tempi della richiesta di scioglimento del matrimonio, favorendo quelle coppie che consensualmente
giungevano a questa decisione. Si trattava, quindi, di ridurre non solo i tempi previsti, ma soprattutto di
escludere la decisione del giudice, non trattandosi di un divorzio consensuale. Durkheim ritiene che
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l’introduzione del divorzio consensuale, abbia delle ricadute pericolose sull’istituto del matrimonio e sulla
sua funzionalità sociale: <<Si incomincia ad intravedere come una larga pratica del divorzio non è scevra da
gravi inconvenienti, tali da far riflettere coloro i quali reclamano una riforma il cui effetto inevitabile
sarebbe di facilitare ancora e di far entrare maggiormente nelle abitudini l’uso del divorzio>>. Egli ribadisce
la convinzione che la relazione sia molto salda e ancora una volta maggiormente a sfavore dei mariti più
che delle mogli. Durkheim ritiene che l’introduzione del divorzio consensuale, di tale facilitazione – dettata
dal fatto che il ruolo del giudice si ridurrebbe esclusivamente a legalizzare quanto richiesto di comune
accordo dai coniugi, in assenza o in presenza dei figli – sia tale da rendere nullo il freno inibitore esercitato
dal matrimonio, il quale così non sarebbe più in grado di impedire <<al cuore di agitarsi e di tormentarsi
vanamente alla ricerca di felicità impossibili o deludenti; e rende più facile questa pacificazione del cuore,
questo equilibrio interiore che è la condizione essenziale della salute morale e della felicità>>. Il matrimonio
non riuscendo più a svolgere la propria funzione regolatrice, non sarà più in grado di dare sostegno morale
agli uomini e alle donne che vi ricorreranno. Durkheim è quindi molto critico e ribadisce con forza i danni
che potranno derivare da questa legge. Elenca ragioni gravi, riferibili soprattutto all’ulteriore indebolimento
di quella fragile famiglia coniugale, ormai ridotta nelle dimensioni ed incapace di reagire alle spinte
contrarie della società. I coniugi lasciati soli con questa legge, troveranno conferma alla loro debolezza,
potranno decidere senza sentire altri componenti della famiglia e questa libertà è estremamente negativa
in considerazione della loro fragilità personale. Durkheim ovviamente è altrettanto cosciente che impedire
l’approvazione della legge consensuale non limiterebbe il desiderio degli sposi di separarsi, tanto che anche
nelle situazioni più semplici essi potrebbero accordarsi per chiedere il divorzio per colpa pur di raggiungere
il risultato, cioè sciogliere il matrimonio. La critica di Durkheim è rivolta a coloro che pensano di aggirare la
legge, che pensano comunque di raggiungere il proprio fine senza tener conto degli effetti che questa scelta
potrà avere sulla propria e altrui stabilità.
Durkheim vede il matrimonio come un’espressione contrattualizzata dei rapporti istintivi e passionali tra
uomini e donne, creando uno stato di equilibrio e di disciplina comportamentale. Inoltre se il matrimonio
ha la capacità di sviluppare un certo grado di preservazione negli uomini e nelle donne, questo processo
inizia a decrescere con il passare degli anni ed il collante matrimoniale diminuisce o aumenta in assenza o in
presenza dei figli. Rispetto ai tassi di suicidi analizzati, coloro che hanno un’incidenza maggiore sono i
coniugi senza figli, soprattutto le donne sposate senza figli non godono più di un coefficiente di
preservazione; si vede così aumentare il coefficiente di aggravamento, in quanto la protezione non è più
realizzata dal matrimonio, ma dalla famiglia e dai figli. Una famiglia senza figli non riesce a creare un
ambiente integrato abbastanza forte, tanto che, per Durkheim più è alto il numero dei componenti della
famiglia più diminuisce la possibilità del suicidio; quanto più questa famiglia è “densa”, tanto maggiori sono
le probabilità del mantenimento dell’unione e della stabilità, poiché <<i sentimenti, i ricordi comuni, in
senso a famiglie poco numerose, non possono essere molto intensi, perché non vi sono abbastanza
coscienze per rappresentarli e rafforzarli condividendoli>>.
Durkheim, attraverso alcune ricerche rilevò che in Svizzera e in Francia, in particolar modo a Parigi, il
divorzio è spesso causa di suicidio (in particolare per gli uomini). Infatti dove ci sono molti divorzi ci si
uccide molto; dove ci sono pochi divorzi, ci si uccide poco. Se questo discorso può esser valido per gli
uomini, lo stesso non si può dire per le donne: non sembra infatti che la pratica del divorzio incida in modo
apprezzabile sul suicidio femminile. Tuttavia Durkheim afferma che bisogna evitare di concludere che il
divorzio sia inoffensivo.
Egli critica ampiamente il divorzio consensuale per diverse ragioni:
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- La rottura del legame coniugale comporta che gli individui non possano più godere della benefica
influenza morale esercitata dal matrimonio.
-Il divorzio consensuale contribuisce alla mortalità-suicida ed inoltre non permette al matrimonio di
esercitare la propria funzione moderatrice e salutare che è la sua principale ragion d’essere.
-È inammissibile che lo scioglimento del legame possa essere determinato dalla sola volontà degli sposi
poiché alla competenza di questi ultimi sfuggono gli interessi più alti e più gravi che sono in gioco e che solo
il giudice può valutare a pieno.
-Il divorzio consensuale non può fare altro che allentare le molle della vita domestica, disorganizzare un
maggior numero di famiglie, e questo senza che ne risulti per i coniugati un aumento della felicità o
quantomeno una diminuzione del mal-essere.
Engels sostiene che la vera regola nei rapporti con la donna diventa l’amore sessuale e può diventarlo solo
tra le classi oppresse, dunque al giorno d’oggi nel proletariato: sia o non sia questo un rapporto sanzionato
ufficialmente. Ma qui sono messe in disparte tutte le basi della monogamia classica. Qui manca ogni
proprietà, per la cui conservazione e trasmissione ereditaria furono appunto create la monogamia e la
dominazione dell’uomo; qui manca dunque anche ogni incitamento a far valere la dominazione dell’uomo.
E per di piú mancano anche i mezzi; il diritto civile, che difende questa dominazione, esiste solo per i
possidenti e per i loro rapporti con i proletari: esso costa denaro, e perciò non ha alcun valore per la
posizione dell’operaio rispetto alla moglie, a causa della sua povertà. In questo caso, rapporti sociali e
personali assolutamente diversi hanno un peso decisivo. E da quando la grande industria ha trasferito la
donna dalla casa sul mercato di lavoro e nella fabbrica, e abbastanza spesso ne fa il sostegno della famiglia,
nella casa proletaria è venuta a cadere completamente ogni base all’ultimo residuo della dominazione
dell’uomo; tranne forse un elemento di quella brutalità verso le donne radicatasi dal tempo
dell’introduzione della monogamia. Così la famiglia proletaria non è più monogamica nel senso stretto della
parola, anche dato il più appassionato amore e la fedeltà più salda tra i due coniugi, e malgrado ogni
eventuale consacrazione religiosa e laica. Perciò, anche gli inseparabili compagni della monogamia,
eterismo e adulterio, rappresentano qui una parte del tutto insignificante. La donna ha riacquistato
realmente il diritto al divorzio, e quando i coniugi non riescono a sopportarsi, ognuno se ne va per conto
suo senza difficoltà. In breve, il matrimonio proletario è monogamico nel senso etimologico della parola,
ma non lo è affatto nel suo significato storico.
LA FAMIGLIA NEL PENSIERO DI ENGELS
Friedrich Engels, all’interno del saggio “L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”
espone il proprio pensiero riguardo la famiglia, facendo riferimento ad alcuni appunti di Marx e Morgan.
Quest’ultimo studiò gli Irochesi e notò che essi avevano un sistema di parentela che entrava in
contraddizione con i reali rapporti famigliari. L’irochese, infatti, non chiamava “figlio/a” solo i proprio figli
ma anche quelli dei propri fratelli che, a loro volta, lo chiamavano padre. I figli delle sorelle, invece, li
chiamava nipoti e loro lo chiamavano zio. Lo stesso valeva anche per le donne. Anche nelle Hawaii c’era un
sistema di parentela molto simile a quello degli Irochesi, l’unica differenza era che nelle Hawaii tutti i figli di
fratelli e sorelle, erano fratelli e sorelle ed erano figli comuni a tutti i fratelli e le sorelle dei genitori senza
nessuna distinzione.
Secondo Engels, questa contraddizione tra il sistema di parentela e la reale concezione di famiglia è la prova
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dell’esistenza di un’organizzazione famigliare nello stadio selvaggio. Il sistema di parentela è però rimasto
uguale in quanto è più lento a modificarsi. Tale primitiva organizzazione si basava sul commercio sessuale
illimitato all’interno delle tribù e sul matrimonio a gruppi dove interi gruppi di uomini e interi gruppi di
donne si possiedono reciprocamente. Questo vuol dire che non esisteva la gelosia e neanche il tabù
dell’incesto.
Dal libero commercio sessuale nascono, secondo Morgan, la famiglia consanguinea e quella punalua. In
quella consanguinea i gruppi matrimoniali sono separati per generazioni e i matrimoni avvenivano tra
fratelli e sorelle. In quella punalua c’era il divieto di matrimonio tra fratelli e sorelle e nasce grazie alla
diffusione del tabù dell’incesto che avvenne in maniera progressiva. Tutto questo portò alla fondazione di
due nuove comunità: una composta da una o più serie di sorelle che erano mogli comuni dei loro comuni
mariti da cui erano però esclusi i fratelli e l’altra composta dai loro fratelli. In tutte le forme di matrimonio
di gruppo è incerto chi sia il padre mentre, è certo chi sia la madre questo perché pur chiamando tutti i
bambini della famiglia figli la madre riconosce sempre i propri. Proprio per questo qui è presente il
matriarcato.
Con l’espansione della proibizione dell’incesto i matrimoni di gruppo furono sostituiti dalla famiglia di
coppia dove un uomo vive insieme a una donna e la poligamia e l’occasionale infedeltà rimangono diritto
degli uomini mentre, le donne infedeli erano sottoposte a crudeli punizioni. Il vincolo matrimoniale era
dissolubile da entrambe le parti e i figli appartenevano solo alla madre.
Il matrimonio di coppia non ha sovrastato totalmente il matrimonio di gruppo come si può vedere in alcuni
popoli dell'America del Sud dove rimane una grande libertà sessuale che si può riscontrare nel fatto che un
uomo che ha sposato una donna ha il diritto di prendere in moglie anche tutte le sorelle di lei. Stessa
medesima cosa la si può vedere negli indigeni della California e in Australia.
Con le barbarie ci furono forti cambiamenti nella società soprattutto dovuti all'introduzione
dell'allevamento degli animali, della lavorazione dei metalli e della tessitura che portarono a nuove
ricchezze. Ci fu anche l'introduzione della proprietà privata di cui facevano parte il bestiame e gli schiavi.
Secondo Engels, per i popoli selvaggi, la schiavitù era abbastanza inutile. Infatti i nemici catturati venivano
uccisi o incorporati nella tribù attraverso l'adozione in quanto non servivano come forza lavoro perché si
produceva solo ciò che era necessario per il sostentamento. Con le barbarie invece era conveniente
utilizzare gli schiavi come forza lavoro e così acquisirono un valore economico ed entrarono a far parte delle
ricchezze dell'uomo. Queste ricchezze che erano nelle mani degli uomini non potevano però essere
tramandate ai figli in quanto era presente una discendenza matrilineare e le ricchezze dovevano rimanere
all'interno della propria gens di cui il figlio non faceva parte. Tutto questo dava all'uomo una posizione più
importate della donna all'interno della famiglia e ad abrogare la discendenza matrilineare. Nacque quindi la
regola secondo la quale i figli maschi appartenevano alla gens del padre mentre, le figlie femmine a quella
della madre. Si viene quindi a formare la famiglia patriarcale dove tutti i componenti della famiglia sono
sottoposti all'autorità del padre e che segna il passaggio dalla famiglia matriarcale a quella monogamica del
mondo moderno.
La famiglia monogamica nasce dalla famiglia di coppia nello stadio barbarico ed è fondata sul dominio
dell'uomo con lo scopo di avere certezza sulla paternità in quanto i figli dovranno poi entrare in possesso
del patrimonio paterno. La differenza con il matrimonio di coppia riguarda il vincolo matrimoniale che non
è più facilmente dissolubile da entrambe le parti ma, può essere sciolto solo per volere del marito. La
monogamia non deriva dall'amore sessuale individuale ma, si basava sul dominio dell'uomo e sulla
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necessità di essere sicuro della paternità del bambino per poter tramandargli i propri beni in caso di morte.
Dall'incontro tra questa forma di famiglia e quella tedesca, che rimaneva la famiglia di coppia, nascono le
prime famiglie basate sull'amore sessuale individuale. Prima del medioevo non si poteva parlare di amore
sessuale individuale. La bellezza individuale e le inclinazione concordanti avevano però risvegliato il
desiderio di rapporti sessuali e per gli uomini e le donne era diventato importante la persona con cui
intrattenere questi rapporti. La prima forma di amore visto come massima espressione dell'istinto sessuale
non riguardava l'amore ma, l'adulterio ed era rappresentato dall'amore cavalleresco del Medioevo.
Il matrimonio finiva per essere un matrimonio di convenienza in quanto si basava sull'appartenenza ad una
classe sociale. Cosa invece diversa era per la famiglia proletaria che non era monogamica in quanto era
venuta a mancare la dominazione dell'uomo sulla donna soprattutto da quando la donna è entrata a far
parte del mondo del lavoro. Altro problema era la disparità dei diritti tra i coniugi. Precedentemente
l'amministrazione domestica affidata alle donne veniva vista come un attività socialmente utile mentre, con
la famiglia singola monogamica incomincia a essere visto come un servizio privato e quindi la donna viene
esclusa dalla produzione sociale. Soltanto l'industria permetterà alla donna del proletariato di partecipare
di nuovo alla produzione sociale. Si viene però a creare una contrapposizione tra l'amministrazione
domestica e la produzione sociale: l'una escludeva l'altra. La monogamia si realizzerà completamente grazie
a grandi cambiamenti economici in quanto scomparirà il lavoro salariato e il proletariato. Questo portò alla
scomparsa della prostituzione e all'estensione della monogamia anche agli uomini. Si ha quindi una
rivoluzione del ruolo maschile e femminile. L'amministrazione domestica incomincerà ad essere un fatto di
interesse pubblico. Anche i cambiamenti economici influirono fortemente sui cambiamenti della società e
quindi della famiglia.
Nello stadio selvaggio la divisione del lavoro era del tutto naturale e esisteva soltanto tra i due sessi.
L'uomo procurava le materie prima e cacciava mentre, la donna si prendeva cura della casa.
Ognuno era proprietario di ciò che produceva e ciò che veniva utilizzato in comune era proprietà comune.
La prima grande divisione del lavoro si ebbe quando si capì che alcuni animali potevano essere
addomesticati e allevati. I pastori si separarono dagli altri barbari. Come abbiamo precedentemente detto i
selvaggi producevano solo quello che era necessario ma, con l'aumento della produzione si creò un surplus
e, di conseguenza, aumentò anche la quantità di lavoro e quindi i prigionieri di guerra divennero schiavi. La
prima grande divisione del lavoro portò alla nascita di due grandi classi, i padroni e gli schiavi. Tutto questo
portò dei cambiamenti nella separazione tra uomo e donna, Il lavoro dell'uomo diventa più importante di
quello domestico della donna e lo sovrasta.
La seconda grande divisione del lavoro incomincia con l'introduzione della lavorazione del ferro in quanto
l'artigianato si separò dell'agricoltura. La civiltà rafforza la divisione del lavoro precedente e nasce la terza
grande divisione del lavoro che condusse alla nascita della classe dei mercanti che non si occupava della
produzione ma, dello scambio delle merci. La divisione del lavoro che portò alla divisione della società in
classi sempre più in conflitto tra di loro porta alla nascita dello stato.
Tornando a parlare di Durkheim, vi è da dire che questi nel libro “La divisione del lavoro sociale”, analizza
la relazione tra individui e collettività. La società moderna comporta una differenziazione estrema di
funzioni e di mestieri. In alcuni casi, la divisione del lavoro ha la funzione di suscitare gruppi che senza di
essa non esisterebbero, per verificare questa ipotesi bisogna paragonare la solidarietà sociale che ha
questa fonte, alle altre specie di solidarietà. Per studiare la solidarietà, bisogna analizzare i sistemi di regole
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giuridiche a sanzione repressiva e a sanzione restituiva.
La funzione della divisione del lavoro è sicuramente quella di accrescere sia la forza produttiva che l’abilità
del lavoratore, è la condizione necessaria dello sviluppo intellettuale e materiale delle società; è la fonte
della civiltà. I servizi che la divisione del lavoro rende, sono quindi, quasi completamente estranei alla vita
morale. Possiamo considerare la divisione del lavoro anche sotto un altro aspetto, quello in cui la sua
funzione è di creare tra due o più persone un sentimento di solidarietà: la storia coniugale ci offre un
esempio molto evidente di questo fenomeno, infatti è proprio perché l’uomo e la donna sono differenti che
si ricercano con passione. L’uomo e la donna presi separatamente , non sono che le parti differenti del
medesimo tutto concreto che ricostituiscono con la loro unione. In altri termini, la divisione del lavoro
sessuale è la fonte della solidarietà coniugale. Gli psicologi infatti hanno notato che la separazione dei sessi
è stata un avvenimento di importanza capitale per l’evoluzione dei sentimenti.
Presso alcuni popoli, vi è stata nella storia della famiglia un’epoca in cui il matrimonio non esisteva: i
rapporti sessuali si stringevano e si scioglievano a volontà, senza che nessuna obbligazione giuridica legasse
i congiunti. Siamo a conoscenza di un tipo di famiglia in cui le relazioni tra madre e figli sono ben definite,
ma le relazioni tra gli sposi sono molto vaghe e possono cessare quando le due parti lo vogliono: la famiglia
matriarcale. In questa famiglia non si esige l’obbligo di fedeltà, e il matrimonio consiste esclusivamente di
obbligazioni di limitata estensione e spesso di corta durata, che vincola il marito ai parenti della moglie. In
una data società, l’insieme delle regole giuridiche che costituiscono il matrimonio non sono altro che il
simbolo del grado di solidarietà coniugale. Se essa è molto forte, i vincoli che uniscono gli sposi sono
numerosi e complessi, se invece la società coniugale manca di coesione, se i rapporti tra uomo e donna
sono instabili e intermittenti, non possono assumere una forma ben determinata, e quindi il matrimonio si
riduce a un esiguo numero di regole, prive di rigore e precisione. Anche il lavoro sessuale si è sempre più
diviso: da moltissimo tempo la donna si è ritirata dalla guerra e dagli affari pubblici, da molto tempo la sua
vita si è concentrata in seno alla famiglia. In seguito, la parte che essa ha in tal modo assunta si è sempre
più specializzata. Si potrebbe dire che le due grandi funzioni della vita psichica si sono quasi dissociate, e
che uno dei due sessi ha accaparrato le funzioni affettive, e l’altro le funzioni intellettuali. Invece in alcune
classi, vediamo la donna occuparsi d’arte e letteratura, a pari dell’uomo, e saremmo tentati di credere che
le occupazioni di ambedue tendono a ridiventare omogenee. Ma in realtà anche in questa sfera d’azione, la
donna reca la propria natura e sostiene una parte del tutto particolare, diversissima da quella dell’uomo.
Inoltre, se l’arte e la letteratura cominciano ad interessare le donne, l’altro sesso sembra trascurarle per
dedicarsi alla scienza: questo apparente ritorno alla omogeneità primitiva non è altro che una nuova
differenziazione.
Da questi esempi risulta che l’effetto più notevole della divisione del lavoro non è il fatto che essa aumenta
il rendimento delle funzioni divise, ma che le rende solidali. Il suo compito diviene quello di rendere
possibili società che, senza di essa, non esisterebbero. Se i sessi non si fossero separati, tutta una forma di
vita sociale non sarebbe nata. In alcuni casi, la divisione del lavoro ha la funzione di suscitare gruppi che
senza di essa non esisterebbero, per verificare questa ipotesi bisogna paragonare la solidarietà sociale che
ha questa fonte, alle altre specie di solidarietà.
Per Durkheim, la famiglia è un autentico “segmento sociale”, è il prodotto di una segmentazione secondaria
del “clan”, identica a quella che ha dato origine al clan stesso. Tutto ciò che è “segmento” tende a essere
riassorbito nella massa sociale: per questo la famiglia è obbligata a trasformarsi.
La divisione del lavoro è anche vincolata a condizioni organico – psichiche: l’individuo riceve alla nascita dei
gusti e delle attitudini che lo predispongono più a certe funzioni che ad altre; e queste predisposizioni
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influiscono certamente sulla maniera in sui si spartiscono i compiti. Infatti, dato che le vocazioni native ci
sono trasmesse dai nostri ascendenti, esse si riferiscono alle condizioni nelle quali vivevano i suoi avi, e non
alle condizioni in cui si trova attualmente. Senza dubbio l’educazione, dal momento che veniva impartita
dalla famiglia, ne rafforzava l’influenza.
Per studiare la solidarietà, bisogna analizzare i sistemi di regole giuridiche a sanzione repressiva e a
sanzione restituiva.
Il diritto domestico si occupa prevalentemente di due questioni:
1) chi è incaricato delle differenti funzioni domestiche, chi è il marito, chi è il padre, chi è il figlio legittimo,
chi il tutore ecc.
2) chi è il tipo normale di queste funzioni, e quali sono i loro rapporti.
Per rispondere alla prima questione, troviamo le disposizioni che determinano le qualità e le condizioni
richieste per contrarre matrimonio, le formalità necessarie perché esso sia valido, le condizioni della
filiazione legittima, naturale e adottiva, la maniera in cui il tutore deve essere scelto, e così via. La seconda
questione viene risolta dai capitoli sui diritti e sui doveri dei coniugi, sullo stato dei loro rapporti in caso di
divorzio, di annullamento del matrimonio o di separazione dei corpi e dei beni, sulla patria potestà ecc.
Questa parte del diritto ha dunque lo scopo di determinare la maniera in cui le differenti funzioni familiari si
distribuiscono, e ciò che devono essere nelle loro reciproche relazioni; essa esprime cioè la solidarietà
particolare che unisce i membri della famiglia in conseguenza della divisione del lavoro domestico. Abbiamo
l’abitudine di pensare che la coesione della famiglia è costituita esclusivamente dai sentimenti e dalle
credenze. L’organizzazione giuridica della famiglia dimostra la realtà delle differenze funzionali e la loro
importanza. La storia della famiglia è un movimento ininterrotto di dissociazione, nel corso del quale le
diverse funzioni, si sono poco a poco separate, costituendosi ognuna separatamente e distribuendosi tra i
vari parenti secondo il sesso, l’età, i rapporti di dipendenza, in modo da fare di ciascuno di essi un
funzionario specifico della società domestica. Sappiamo che il diritto domestico è diventato sempre più
complesso, cioè che le differenti specie di relazioni giuridiche alla quali la vita familiare dà origine, sono
molto più numerose di una volta.
Oggi la regolamentazione della vita domestica ha perduto quasi del tutto il carattere penale. L’adulterio
occupa nella lista dei reati, un posto del tutto eccezionale, perché il marito ha il diritto di esentare dalla
pena la moglie condannata. Quanto ai doveri degli altri membri della famiglia, essi non hanno più sanzione
repressiva.
Il matrimonio e l’adozione sono fonti di relazioni domestiche, e al tempo stesso sono dei contratti. Però
accade che, quanto più ci si avvicina ai tipi sociali più elevati, tanto più queste operazioni giuridiche
perdono il loro carattere contrattuale. Nel diritto contemporaneo, le condizioni restrittive sono aumentate:
l’adottato deve essere maggiorenne, l’adottante deve avere più di cinquant’anni e aver trattato per molto
tempo l’adottato come un figlio; inoltre l’adozione è diventata ormai una pratica estremamente rara.
Diventando più rara, l’adozione perde gran parte della sua efficacia. Si è notato che nei paesi in cui la
religione domestica era all’apice, questo diritto fu per la prima volta sottoposto a un controllo e a
restrizioni.
In conclusione, le obbligazioni domestiche, diventando sempre più numerose, assumono nello stesso
tempo un carattere pubblico.
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Un’altra prova di ciò è il fatto che è diventato ancora più difficile uscire da una famiglia attraverso un atto di
autorità privata, rispetto a quanto sia facile entrarvi.
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BIBLIOGRAFIA
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famiglia”, “Alle origini della sociologia”, “Marx, Engels e la famiglia nel conflittualismo”, Roma, Pearson,
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Milano, ilSaggiatore, 2016.
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