Pinocchio di Latella visto allo Strehler

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MERCOLEDì 25 GENNAIO 2017
Pinocchio di Latella visto allo
Strehler
Antonio Latella porta in scena un Pinocchio
foriero di stimoli e riflessioni su linguaggio,
storia, teatro e noi stessi
VALERIA PRINA
[email protected]
SPETTACOLINEWS.IT
Tutti lo conoscono, ma pochi hanno letto Pinocchio. Così molti,
soprattutto in passato, hanno scoperto Pinocchio grazie allo sceneggiato
diretto da Comencini, ma, influenzati da Disney pensano che Pinocchio
sia inghiottito da una balena invece che da un pescecane. Se poi hanno
scoperto Pinocchio attraverso il film di Benigni ignorano Mastro Ciliegia,
mentre influenzati dal musical dimenticano la fata dai capelli turchini.
Ma quello che va in scena ora a Milano, al Piccolo Teatro Strehler, è il
Pinocchio di Latella e bisogna abbandonarcisi senza pre-giudizi,
cercando di cogliere stimoli e riflessioni. Che sono tanti, legati a
linguaggio, storia, teatro. Subito lo spettatore è solleticato a supplire con
l'immaginazione a ciò che non vede ed è invece evocato. Fin dall'inizio in
scena sono più elementi che suggeriscono l'atmosfera di Pinocchio: c'è
un grande tronco, origine di tutto, che domina di lato la scena, ma c'è
anche quella che sarà una porta, si parla di alfabeto e l'abbecedario sarà
importante. E poi nel secondo atto il campo in cui Pinocchio seppellisce
le monete è da immaginare, ma le monete ci sono. E il naso? Quello è
evocato con dei gesti, a volte indice di fame, altre di bugie.
Le suggestioni sono tante fin dall'inizio, quando l'opera di Geppetto
coincide con la discesa sul palcoscenico di trucioli: sono il legno
avanzato dalla costruzione del burattino, ma sono anche la neve che
scende in una «nottataccia d'inverno» o si possono immaginare le stelle
cadenti che illuminano la scena, perché di creazione stiamo parlando.
Nella seconda parte il clima è soprattutto di morte perché, come
immaginato da Collodi - e qui si sarebbe concluso il racconto se i lettori
non gli avessero chiesto, quasi imposto, un seguito -, Pinocchio viene
impiccato, la fata in realtà è una bambina morta da 100 anni di cui vedrà
la lapide che ricorda la morte della sua sorellina. I trucioli rimasti a terra
diventeranno acqua: a volte dissetante, altra di mare, quel mare in cui la
barca di Geppetto affonda e dove il pescecane inghiottirà tutto.
Tante, dicevamo, le riflessioni stimolate nel pubblico. Sono una
riflessione sulla lingua, legata anche all'epoca, perché Collodi usa una
lingua che supera i dialetti locali - una decina di anni prima di scrivere
Pinocchio era entrato nella redazione di un dizionario di lingua parlata, il
"Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze" - e ha
comunque inflessione toscana, che a volte si ritrova nell'accento e
nell'uso di certe parole: «babbo» invoca più volte Pinocchio, come più
volte ripete «per me si va», che per lo spettatore è uno stimolo a pensare
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a Dante, quando nasceva la lingua volgare. Quella protagonista delle
parole di Collodi è cultura popolare di una Italia da poco unificata. Può
esserne un indice la citazione di una filastrocca come "Tre civette sul
comò". Ma quando il tempo diventa più vicino a noi anche i termini
cambiano ed entrano nel parlato parole come drone, robot, cloni,
androidi, il babbo diventa papà ed è facile cogliere l'allusione
all'intelligenza artificiale. E proprio questo era il Pinocchio a cui avrebbe
voluto dare vita Kubrick: il progetto fu portato a termine dall'amico
Spielberg, con cui intratteneva lunghe conversazioni telefoniche, che
infatti girò AI Intelligenza artificiale.
Ma Collodi scrive in un'epoca precisa e anche questa diventa un
suggerimento, grazie al parlare di fame, di fagioli, anche di attraversare il
mare per andare nel Nuovo Mondo, come molti italiani iniziavano a fare
in quegli anni.
Il pubblico Latella sembra volerlo parte integrante dello spettacolo, così
gli attori - e lo fa spesso Pinocchio - vi si rivolgono. Ed è un
coinvolgimento che, a un certo punto della prima parte - ed è
sicuramente uno dei momenti più intensi, sottolineato alla fine da un
applauso a scena aperta -, si interseca con un altro stimolo strettamente
legato al teatro. Per lo spettatore si tratta di più suggestioni che si
susseguono, evocando un teatro fisico, di parola, lirico, di marionette. È
una suggestione che si cancella quando sentiamo parole che riportano il
teatro alla sua dimensione senza distinzioni di genere. Sono parole che
irridono un certo modo di vivere la scena e irridono il cercare di entrare
nel personaggio, il lavoro a memoria, per concludere che il teatro è
teatro e basta. Ed è proprio qui che l'applauso a scena aperta quasi
coincide con il successivo «Ma dove eravamo rimasti?». Certo non in un
racconto che porta in scena il Pinocchio delle favole o lo traduce dalle
pagine del romanzo. Ma la riflessione sul teatro è tutt'altro che fuori
luogo, dal momento che Collodi aveva scritto molti testi per il teatro.
Christian La Rosa sa essere un Pinocchio dalla vitalità irresistibile,
sottolineata anche dalla ripetizione quasi ossessiva delle parole. Lo
vediamo sempre in movimento sulla scena, anche capace di sentimenti,
dal dolore all'affetto, dalla insofferenza alla comprensione. Forse un
burattino, sicuramente molto vivo.
La seconda parte riserva varie altre sorprese fino alla scena finale e tutto
lo spettacolo è un susseguirsi di suggestioni, un coinvolgimento dello
spettatore, portato a ricreare con l'immaginazione gli elementi in scena
solo suggeriti e stimolato a riflessioni che trascendono il racconto sebbene poi a una più attenta disamina personaggi e situazioni si
ritrovino -, per un coinvolgimento ben più pregnante.
Nella seconda parte quel tronco, simbolo di creazione, cambia posizione,
diretto verso il pubblico, fino a fuoriuscire dal sipario. E allora quel naso
di Pinocchio, che si allungava per le bugie, diventa indice di menzogne
ben più gravi. È come un punto interrogativo rivolto al pubblico: l'ultima
riflessione ci coinvolge ancor più direttamente.
'Pinocchio' e le bugie, degli adulti
da Carlo Collodi
drammaturgia Antonio Latella, Federico Bellini, Linda Dalisi
regia Antonio Latella
scene Giuseppe Stellato, costumi Graziella Pepe, luci Simone De Angelis,
musiche e suono Franco Visioli
Personaggi e interpreti (in ordine alfabetico)
Arlecchino/Gatto/Padrone del Carro Michele Andrei
Fata/Maestro Ciliegia/Donnina/Tonno Anna Coppola
Pulcinella/Volpe Stefano Laguni
Pinocchio Christian La Rosa
Grillo Fabio Pasquini
Musico Matteo Pennese
Colombina/Pulcino/Merlo/Ostessa
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Grosso Colombo/LumacaMarta Pizzigallo
Geppetto/Mangiafuoco/Giudice
Pescatore Verde/Padrone del CircoMassimiliano Speziani
produzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa
Fotografie Brunella Giolivo, Masiar Pasquali
La prima regia di Antonio Latella in una produzione del Piccolo Teatro
A Milano al Piccolo Teatro Strehler dal 19 gennaio al 12 febbraio 2017
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