Nella patria di Oderisi

annuncio pubblicitario
Nella patria di Oderisi
Arte a Gubbio nel XIII e XIV secolo
Ideata e promossa da NotaBene Company
in collaborazione con il Comune di Gubbio
a cura di Giordana Benazzi e Elvio Lunghi
"Guido e Oderisi pittori e miniatori tra Gubbio e Bologna
Dell’età medievale Gubbio ha mantenuto il ricordo di un artista di nome Oderisi, protagonista
dell'XI canto della Divina Commedia all’interno del quale Dante Alighieri propose il paragone tra le arti sorelle:
poesia, pittura e produzione libraria. In particolare, il nome di Oderisi da Gubbio ricopre in questo contesto il
ruolo di testimone della crisi generazionale avvenuta tra Guido Guininzelli e Guido Cavalcanti, tra Cimabue e
Giotto, e naturalmente tra Oderisi stesso e il suo antagonista Franco Bolognese, crisi che dette origine in campo
letterario alla poesia dello “stil novo” e nel campo delle arti figurative alla maniera moderna di Giotto in concorrenza
con la vecchia maniera di Cimabue.
Non è semplice dare una spiegazione al fatto che Gubbio, un centro che oggi appare piuttosto isolato e di non
facile accesso tra le montagne appenniniche, fu allo scadere del Duecento e nei primi decenni del Trecento uno
dei luoghi più ricettivi delle novità che, nel campo delle arti figurative, dovevano vedere il linguaggio pittorico mutarsi radicalmente “di greco in latino” tanto da assumere un valore fondante dell’intera arte occidentale.
La città conserva pressoché intatti i suoi monumenti e la sua urbanistica medievali, ma di quella lontana
epoca ha mantenuto in vita anche due importanti manifestazione popolari, la corsa dei Ceri e la processione del
Venerdì Santo, che si sposano perfettamente con l’aspetto monumentale della città e che contano tra le più alte
manifestazioni di una “religione civica” radicata nella storia e intansamente vissuta dagli Eugubini.
Di Oderisi da Gubbio non si conosce una produzione artistica di attribuzione certa, ma la sua fama è
dovuta proprio all'incontro con Dante, verosimilmente avvenuto sul finire del XIII secolo nel centro universitario
di Bologna, dove Oderisi è documentato negli anni 1268 e 1271, in compagnia del padre Guido di Pietro da Gubbio
(† 1271) di professione pittore. La figura di Guido di Pietro è stata invece sistematicamente ignorata, ma ne è stata
recentemente proposta l’identificazione con il ‘Maestro dei Crocifissi francescani’, forse il più importante pittore
italiano uscito dalla scuola di Giunta Pisano, al quale sono stati attribuiti numerosi Crocifissi monumentali presenti
in almeno tre regioni: Umbria (Assisi), Marche (Fabriano), Emilia - Romagna (Bologna e Faenza).
Le due manifestazioni e il ricordo di Oderisi, il "superbo" miniatore ricordato da Dante, sono strettamente
correlati e sollevano Gubbio dalla marginalità della provincia italiana, facendone un caso esemplare negli anni di
svolta tra un medioevo che si chiude e l'età moderna che avanza.
Maestro dei Crocifissi francescani (Guido di Pietro da Gubbio ?), Crocifisso, metà del XIII secolo, Pinacoteca Comunale di Faenza
Il tempo di Sant'Ubaldo e la religione civica degli Eugubini
Le sculture e le sacre rappresentazioni
La figura di Sant'Ubaldo rappresenta in modo esemplare quello che nella storiografia moderna
viene definito "documento / monumento". E' infatti ben attestata da preziose pergamene e da diverse redazioni
antiche della sua vita. Ubaldo emerge non solo come santo, cioè dotato delle qualità e delle virtù che connotano la
santità, ma anche come simbolo insuperabile di "episcopus" e di "praesul" cioè di uomo capace di ricoprire tutte
le ponderose responsabilità legate a quelle mansioni ( fu vescovo di Gubbio per trent'anni, tra il 1130 e il 1360, in
tempi tutt'altro che facili ) e viene sentito e ricordato come "defensor patriae" in quanto riuscì a salvare Gubbio
dalle distruzioni minacciate dal Barbarossa.
A Gubbio, nella chiesa benedettina di San Pietro, si conserva un crocifisso duecentesco che in
origine era un Cristo deposto e apparteneva a un gruppo di sculture che rappresentavano la scena della deposizione
dalla croce. Questi gruppi lignei avevano un ruolo molto importante nella liturgia del venerdì santo, che proprio
a Gubbio ancora si celebra con una importante processione.
Ancor più significativa è la "Turba" nella vicina Cantiano, dove viene messo in scena il processo a Gesù, la
sua passione e crocifissione. Personaggi viventi, in presenza dei gruppi lignei, recitavano i testi delle laude concorrendo a comporre un grande evento sacro in cui si mescolavano scultura, musica, letteratura e teatro.
Santità e significato storico, dietro cui emergono le componenti religiose e sociali del suo tempo,
hanno determinato la continuità del suo culto che si è accresciuto sempre più nel tempo manifestandosi in una
devozione popolare fortissima ( la tradizionale corsa dei Ceri, che si svolge la vigilia della sua festa ) e in committenze
artistiche prestigiose, come le composizioni musicali in suo onore, che nel Medio Evo hanno coinvolto anche la
città francese di Thann, oltre alla celebre cassa costruita e decorata per accogliere le sue spoglie
Non sono molte le sculture lignee che si sono conservate a Gubbio e nella sua diocesi, ma tra queste
ve ne sono di grande interesse, come una Madonna lignea del XIII secolo che trova esemplari simili in territorio
marchigiano e un bellissimo crocifisso da poco restaurato e rimasto sinora inedito.
Santo diacono (Mariano o Giacomo), Museo diocesano di Gubbio)
Madonna XIII secolo, Pinacoteca Comunale di Gubbio
Le due strade della lezione giottesca: il Maestro Espressionista e il Maestro della Croce di Gubbio
Era probabilmente originario di Gubbio il Palmerino di Guido pittore che in nome di Giotto di
Bondone da Firenze il 4 gennaio 1309 restituì a un mercante di Assisi una somma di denaro ricevuta in prestito:
unica prova documentaria della presenza del caposcuola fiorentino nella città di san Francesco, ma anche unica
prova della stretta collaborazione intercorsa tra pittori toscani e pittori umbri.
In assenza di opere firmate o documentate, la maniera di Palmerino di Gubbio è stata riconosciuta
in alcuni dipinti su tavola e su muro presenti in chiese di Assisi, riconducibili a un 'Maestro espressionista di
Santa Chiara', ma anche musei e chiese di Gubbio conservano opere che rientrano nello stesso catalogo e che fanno
di questa città uno dei primi centri di diffusione della nuova maniera giottesca, destinata a trovare uno sviluppo
nell’attività dei pittori che da Palmerino dipendono.
Non si può negare la profonda sintonia esistente tra i versi dei Laudari che furono scritti a Gubbio
nel XIV secolo e il marcato realismo espressivo delle figure dipinte da Palmerino di Gubbio. Ecco dunque Gubbio
offrire l’opportunità di mettere a confronto codici liturgici riccamente decorati, laudari contenenti testi destinati
alla rappresentazione e dipinti o sculture che si esponevano o facevano da scenografia alle sacre rappresentazioni.
Nella Gubbio del primo Trecento si manifesta con evidenza anche una diversa corrente, d'intonazione assai più
classicheggiante, che, avendo come opera trainante la grande Croce conservata nella Pinacoteca civica ha dato
luogo alla creazione della figura di un anonimo Maestro della Croce di Gubbio, esponente di una tendenza diffusa
in Umbria, e non solo a Gubbio, nei primi decenni del Trecento, caratterizzata dall'impiego di forme volumetriche
di calibrata e classica compostezza, aliene da caratterizzazioni espressive e da eccessivi patetismi, insomma
direttamente ricollegabile con il magistero della prima presenza di Giotto ad Assisi.
Palmerino di Guido, Maestà con angeli, primi del XIV secolo, Museo Diocesano di Gubbio
Maestro della Croce di Gubbio, Crocifisso, primi del XIV secolo, Pinacoteca Comunale di Gubbio
La svolta lorenzettiana: Guiduccio Palmerucci e Mello da Gubbio
Oltre a quello di Palmerino i documenti eugubini conservano il nome di altri pittori tra cui quello
di Angelo di Pietro, nominato tra i ghibellini proscritti nel 1315, attivo nel Duomo di Orvieto nel 1325 e forse presente
nella Basilica Inferiore a fianco di Giovanni di Bonino nel 1331. Ma i tentativi di far coincidere i nomi scritti nei documenti con personalità riconoscibili attraverso la viva presenza di opere sembrano lasciare il tempo che trovano.
Il nome intorno al quale sin dall'Ottocento si è cercato di condensare il più consistente "corpus" di pittura trecentesca
eugubina è quello di Guiduccio Palmerucci, presumibilmente figlio di Palmerino, o Palmeruccio. Esule dalla città
in età giovanile, possiamo ragionevolmente supporre che il periodo di esilio di Guiduccio vada a coincidere con
quello della sua attività all'ombra di Pietro Lorenzetti e dei senesi che lavoravano nella Basilica di Assisi. Si riconferma dunque, anche grazie alla vicenda di Guiduccio, la centralità della decorazione della grande fabbrica francescana, la continuità della sua concezione e realizzazione e la costante presenza di pittori eugubini tra le squadre
impegnate ad eseguirla. Alla meditazione lorenzettiana l'eclettico Guiduccio, probabilmente intorno alla metà del
terzo decennio del Trecento, dovette sommare anche altre tendenze, ad esempio quella in direzione della pittura
riminese, tendenza peraltro già recepita anche da Palmerino.
Mello da Gubbio, nome ignoto ai documenti ma ricomparso su un importante dipinto a seguito del restauro, ha sottratto numerose opere al catalogo di Guiduccio, che da quel momento si è preferito chiamare " pseudo
Palmerucci". A Mello vanno ricondotte diverse opere di raffinato decorativismo e robusto realismo al tempo stesso,
modellate anch'esse su esemplari lorenzettiani, ma su cui sembra allungarsi in modo più sensibile l’ombra lunga
di Giotto, proiettata dai due maggiori centri della sua attività, Assisi e Rimini.
Mello da Gubbio, Madonna della Pieve di Agnano, metà del XIV secolo, Museo Diocesano di Gubbio
LLa tradizione eugubina della bottega di Mello: Ottaviano Nelli e la pittura di corte
Pittura eugubina del Medio Evo nella dispersa Collezione Ranghiasci
Una suggestiva ipotesi scaturisce dalla possibilità di legare in una grande bottega familiare attiva
per oltre un secolo, il capostipite Mello, il figlio di questi Martino e il nipote Ottaviano, destinato a essere il pittore
dei Montefeltro, tra Gubbio e Urbino, verso la fine del secolo e nel primo Quattrocento. Poco si sa di Martino, cioè
della generazione che è attiva nella seconda metà del Trecento, e di suo fratello Mattiolo, maestro scultore, mentre
i due figli di Martino, Ottaviano e Tommaso risultano entrambi impegnati nella pittura.
Nel palazzo della famiglia Ranghiasci, sulla Piazza Grande di Gubbio, tra Sei e Settecento si era
formata una vastissima galleria di quadri, ampliata nella seconda metà del Settecento dall'erudito, storico e
archeologo Sebastiano Ranghiasci (1747 - 1818) e portata al massimo splendore da suo figlio Francesco.
A Martino si può forse riferire un affresco in Santa Maria Nuova, che denota possibili interscambi
con i pittori orvietani del tempo, Piero di Puccio e Cola Petruccioli, mentre Ottaviano, nominato in un documento
perugino del 1400 per essere stato chiamato a dipingere le arme dei Visconti, avrà una fortunatissima e intensa
carriera soprattutto a Gubbio, ma anche a Urbino, ad Assisi e a Foligno, dove nel palazzo dei Trinci, in cui aveva
operato Gentile da Fabriano, dipinse la celebre Cappella con le Storie della Vergine.
Della collezione si conserva un inventario redatto alla morte di questi nel 1877, prima della grande
asta pubblica svoltasi a Gubbio nell'aprile del 1882, che determinò la dispersione dell'importantissima raccolta.
Nell'inventario figurano ventidue tavole e quindici miniature di epoca medievale che il redattore Luigi Carattoli
assegnava a scuola umbra, scuola eugubino fabrianese, al mitico Angioletto da Gubbio, a "Pietro Laureati"
(Lorenzetti).
Pittore non abbastanza apprezzato dalla storiografia critica per il fatto di esprimersi con facile se
pur gradevole vena narrativa, Ottaviano e i suoi numerosi collaboratori hanno lasciato a Gubbio variopinti cicli
pittorici nelle chiese dei Francescani, dei Domenicani e degli Agostiniani.
Poiché questi dipinti di incerti trecentisti o comunque con una designazione esplicitamente trecentesca provenivano in massima parte da chiese eugubine o forse anche assisane ( Sebastiano trascorse alcuni
anni in Assisi ) si è ritenuto utile dedicare alla dispersa collezione una sezione di questa mostra, auspicando che
si possa procedere oltre nel riconoscimento, anche in sedi lontane, di altri dipinti appartenuti alla collezione
Ranghiasci
Ottaviano Nelli
Maestro di Figline
Scarica