Esperienza di intervento musicoterapico con malati

Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
“A mano ferma”
Esperienza di intervento musicoterapico con malati di Parkinson
Scuola di Specializzazione: Musicoterapia
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Associazione Parkinson di Modena
Tesista specializzando: Silvia Cavatorta
Anno di corso: Secondo
Modena, 11 Maggio 2009
Anno accademico 2008-2009
INTRODUZIONE
pag. 5
PRIMA PARTE - Cos’è la malattia di Parkinson
pag. 8
1.1. Sintomi
pag. 12
1.2. Problemi di parola
pag. 19
1.3. Disturbi non motori
pag. 21
1.4. Prevalenza, incidenza e distribuzione geografica della
malattia di Parkinson
pag. 51
1.5. Fattori di rischio
pag. 53
1.6. Trattamento della malattia
pag. 60
1.7. Farmaci anti Parkinson
pag. 63
1.8. La neurochirurgia nella malattia di Parkinson
pag. 74
1.9. Prospettive di cura
pag. 84
1.10. Per concludere… chi era James Parkinson?
pag. 86
SECONDA PARTE – Musicoterapia e Parkinson
pag. 88
TERZA PARTE - Progetto di intervento musicoterapico dedicato a pazienti
parkinsoniani
pag. 106
3.1. Obiettivi
pag. 106
3.2. Setting
pag. 110
3.3. Tecniche e materiali usati
pag. 112
3.4. Collaborazione con l’équipe multi professionale
pag. 112
3.5. Collaborazione con le famiglie
pag. 113
2
QUARTA PARTE – Diario delle attività
pag. 114
4.1. I° incontro - Si comincia dal comincio
pag. 114
4.2. II° incontro - In cerca di energia
pag. 117
4.3. III° incontro - Giocare? Non è mai tardi
pag. 120
4.4. IV° incontro – Cambiamenti
pag. 122
4.5. V° incontro – In ballo
pag. 125
4.6. VI° incontro – Nuovi mondi
pag. 127
4.7. VII° incontro – Musica si fa con tutto
pag. 130
4.8. VIII° incontro – Tubi e plasticoni
pag. 133
4.9. IX° incontro – Per solisti e coro
pag. 136
4.10. X° incontro – La voce e il corpo
pag. 141
4.11. XI° incontro – A ritmo di musica
pag. 144
4.12. XII° incontro – Il ritmo del mondo batte dentro di me
pag. 148
4.13. XIII° incontro – Tocco tocco
pag. 151
4.14. XIV° incontro – Il corpo che suona
pag. 153
4.15. XV° incontro – Pulsando sulla pulsazione
pag. 156
4.16. XVI° incontro – Strumenti che passione
pag. 161
4.17. XVII° incontro – Strumenti che passione secondo round
pag. 165
4.18. XVIII° e XIX° incontro – Mani e giocattoli (sonori)
pag. 167
4.19. XX° incontro – Cammina cammina
pag. 171
4.20. Tavola rotonda “Io sono abile”
pag. 174
4.21. XXI° incontro – Tango mi querido
pag. 175
4.22. XXII° incontro – Strumenti a corde
pag. 178
4.23. XXIII°, XXIV° e XXV° incontro – Vocalità delle vocali
pag. 182
4.24. XXVI° incontro – Saluti
pag. 187
4.25 Testi dei canti affrontati durante gli incontri
pag. 188
3
CONCLUSIONI
pag. 199
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
pag. 201
4
INTRODUZIONE
“A mano ferma”
Esperienza di intervento musicoterapico su malati di Parkinson
Lettera aperta a Mister Parkinson
Egregio Signore,
non è con piacere che le scrivo questa lettera, ma d’altra parte avrei dovuto
parlarle a quattr’occhi, affrontarla di persona, sopportare quel suo subdolo modo
di fare che è quanto c’è di peggio per far perdere la pazienza anche ad un santo,
figuriamoci a me.
Le scrivo, come può notare, col computer, perché la mia calligrafia s’è fatta
illeggibile e così minuscola che i miei collaboratori devono usare la lente
d’ingrandimento per riuscire a decifrarla…
Perché le scrivo?
E’ presto detto: io ho superato con una certa disinvoltura l’imbarazzo che lei
(l’ho scritto senza maiuscola, non la merita) mi ha creato chiedendo
pubblicamente la mia mano ed ovviamente ottenendola.
(…) Ma ora lei sta esagerando, signore, glielo devo dire.
Quando è troppo è troppo, e il troppo stroppia!
5
C’è un proverbio arabo che dice:” Se hai un amico di miele non lo leccare tutto”,
invece lei s´approfitta d´ogni rilassatezza, dell´abbassamento della guardia nella
vita quotidiana, ci proibisce di pensare ad altro, contando sulla superficialità con
cui io ho affrontato l’insorgere del male… si sa, gli artisti sono farfalloni
incoscienti… no, vecchio caprone, non le sarà facile, né con me né con gli altri, la
Resistenza è cominciata.
Perché, vede, io e i miei fratelli e sorelle malati abbiamo tante cose da fare, una
vita da portare avanti meglio di così!
(…) Siamo in tanti, tante mani si leveranno contro di lei e cercheranno di
restituirle colpo su colpo fino a quando non riusciranno ad acchiapparla per la
collottola e mandarla all’Inferno cui appartiene, bestiaccia immonda, sterco del
demonio, nostra croce senza delizie…
Parola mia, di questo omino per molti un po’ buffo, per altri un po’ patetico, ma
che vive il sogno di poterla, un giorno non lontano, prendere a schiaffi.
A mano ferma.
Mi stia male e a non rivederla.
Bruno Lauzi
(Tratta dal sito www.brunolauzi.com)
Questa lettera tratta dal sito di Bruno Lauzi è stata, credo, il mio primo approccio
alla malattia di Parkinson, la prima cosa che ho trovato e che sono andata a
leggermi.
Ho voluto utilizzarla come apertura di questo mio lavoro perché in questi mesi ho
avuto modo di vedere tante e tante volte quanto l’energia che contiene ben
rappresenti lo spirito e la volontà dei malati con i quali ho condiviso la strada e ai
quali questo lavoro è dedicato.
6
La tesi è divisa in quattro parti, più questo prologo – introduzione e una parte
dedicata alle conclusioni, che coincidono idealmente con il lavoro che ho
affrontato per prepararmi a questo tirocinio.
Quando nella primavera del 2008 mi è stato proposto dall’Istituto MEME di
affrontare un project work presso l’Associazione Parkinson di Modena mi sono
subito attivata per cercare di capire cos’è questo disturbo, come si manifesta e in
che modo, in relazione al disturbo stesso, potevo organizzare un progetto che
potesse essere d’aiuto ai malati.
La prima parte raccoglie appunto questa fase “propedeutica”, e cioè tutti i
materiali e gli scritti che mi sono stati utili per avvicinarmi alla malattia di
Parkinson e capirne le caratteristiche.
La seconda parte affronta una breve panoramica sul rapporto fra malattia di
Parkinson e musicoterapia, la terza parte altro non è che “il canovaccio” del
progetto che sarei andata a realizzare nei mesi successivi mentre la quarta e ultima
parte, la più sostanziosa insieme alla prima, è la cronistoria degli incontri di
gruppo che si sono tenuti ogni lunedì dal mese di settembre del 2008 al mese di
maggio del 2009.
7
PRIMA PARTE
Che cos’è la malattia di Parkinson?
La malattia di Parkinson, descritta per la prima volta da James Parkinson in un
libretto intitolato “Trattato sulla paralisi agitante” pubblicato nel 1817, è una
malattia degenerativa del sistema nervoso centrale a decorso progressivo che
colpisce quella parte del cervello responsabile del controllo dei movimenti (è la
più frequente fra le malattie che comportano disordini motori)
Il termine degenerativo viene quindi usato per indicare un’evoluzione lenta e
progressiva unita alla perdita di alcuni gruppi di cellule cerebrali o di alcune
specifiche strutture nervose tra loro collegate.
Infatti, nella malattia di Parkinson una particolare struttura del cervello, la
sostanza nera, va incontro ad un processo degenerativo che determina la perdita
progressiva delle cellule nervose che la compongono.
Queste cellule producono una sostanza, la dopamina, per cui si viene a realizzare
una grave carenza della stessa.
La sostanza nera viene così chiamata perché è visibile ad occhio nudo,
presentandosi più scura rispetto al restante tessuto nervoso che la circonda e
questo è dovuto al fatto che le cellule che la compongono contengono un
pigmento chiamato neuromelanina.
Quando si verifica una perdita considerevole di cellule, come avviene nella
malattia di Parkinson, si osserva che la colorazione brunastra viene ad essere
perduta.
La dopamina è il neurotrasmettitore fondamentale perché l’attività motoria possa
esplicarsi rapidamente ed armonicamente.
8
Con il termine neurotrasmettitore ci si riferisce a tutte quelle sostanze che
vengono rilasciate da una cellula nervosa e che vanno a stimolare o a inibire
un’altra cellula con cui hanno un contatto, trasferendo così un’informazione. La
dopamina che si forma nei neuroni della Sostanza Nera va a stimolare e a mettere
in funzione un insieme di strutture nervose situate alla base del cervello, definite
Gangli della base, che potremmo considerare come il "motore" del cervello per
quello che concerne tutta la nostra attività motoria.
Normalmente il cervello si comporta come il pilota automatico di un aereo,
organizzando e controllando i nostri movimenti senza che noi ne siamo
consapevoli.
Grazie a questa coordinazione automatica tutti gli aspetti del movimento sono
coordinati tra loro e fluiscono armoniosamente con una facilità che siamo abituati
a dare per scontata.
Con la malattia di Parkinson qualcosa incomincia a non funzionare nel nostro
"pilota automatico": il movimento non è più semplice, diretto e fluido, perché
come già detto in questo disturbo una particolare struttura del cervello, la sostanza
nera, va incontro ad un processo degenerativo che determina la perdita
progressiva delle cellule nervose che la compongono.
Queste cellule producono un neurotrasmettitore (cioè una sostanza chimica che
trasmette messaggi a neuroni presenti in altre zone del cervello) chiamato
dopamina.
La dopanima é il responsabile dell’attivazione del circuito che controlla il
movimento, si forma nel nostro organismo ed in particolare nelle cellule nervose
della sostanza nera.
Con la riduzione di almeno il 50% dei neuroni dopaminergici viene a mancare
un’adeguata stimolazione dei recettori, cioè delle stazioni di arrivo.
Questi recettori sono situati in una zona del cervello chiamata striato.
9
I neuroni dopaminergici della sostanza nera osservati al microscopio, se sofferenti
mostrano al loro interno corpuscoli sferici denominati corpi di Lewy.
I corpi di Lewy sono considerati una caratteristica specifica della malattia di
Parkinson e la loro presenza fa rientrare questo disturbo nel più ampio gruppo
delle sinucleinopatie.
Le sinucleinopatie si differenziano a
seconda delle zone interessate dai
corpi di Lewy e possono variare da
un
esteso
corteccia
interessamento
(demenza),
a
della
un
interessamento specifico di sostanza
nera e locus ceruleus (malattia di Parkinson) o di sistemi nervosi che innervano i
visceri (atrofia multisistemica con compromissione del sistema nervoso
autonomo).
La caratteristica principale della malattia di Parkinson è rappresentata da una
alterazione del movimento volontario ed automatico, per cui tutti i movimenti
diventano più lenti (bradicinesia) o difficili da iniziare (acinesia).
Le formazioni anatomiche, che permettono una normale motilità e che sono
alterate nella malattia di Parkinson, costituiscono nel loro insieme i Gangli della
base.
Nei Gangli della base distinguiamo lo Striato, il Globo Pallido, Il Nucleo
Sottotalamico e la Sostanza Nera.
Lo Striato costituisce la stazione di arrivo, ove giungono tutte le informazioni,
dalla corteccia cerebrale, necessarie per poter eseguire il movimento che andiamo
a fare.
Queste informazioni sono le più svariate, e provengono dalla vista, dal tatto, dalle
posizioni assunte dal corpo e così via.
10
Il Globo Pallido, ed in particolare il suo segmento interno, rappresenta la stazione
di partenza, da dove escono tutte i comandi utili all’esecuzione dei movimenti e
che vanno ad influenzare la corteccia.
Si realizza così un circuito che è definito "circuito motorio".
Tra lo Striato ed il Globo Pallido esistono stazioni intermedie, una di queste è il
Nucleo Sottotalamico, ove le informazioni vengono sottoposte a controllo,
verifica ed integrazione sempre al fine di rendere il movimento adeguato al
proprio scopo, con la spesa della minore energia possibile.
La Sostanza Nera, che si trova un po’ al di fuori dal circuito motorio, esercita la
sua azione di controllo direttamente sullo Striato e quindi sul circuito motorio,
attraverso un meccanismo persistente e continuo per la facilitazione e l’attivazione
del movimento.
Un’alterazione in qualunque parte di questo circuito determina una modificazione
della normale motilità, ed è quanto si verifica nella malattia di Parkinson a causa
della riduzione della popolazione cellulare costituente la Sostanza Nera.
11
1.1 Sintomi
Il decorso della malattia di Parkinson varia da paziente a paziente ma è comunque
caratterizzato, nella maggior parte dei casi, da una lenta ed inarrestabile
progressione.
In base alla prevalenza di alcuni sintomi si possono distinguere due forme di
evoluzione:
- forma ipercinetica dominata dal tremore, caratterizzata da un’età di esordio più
precoce ed un’evoluzione meno invalidante e più lenta;
- forma acinetico-ipertonica dominata da rigidità ed acinesia, più rapidamente
invalidante.
I primi sintomi che i pazienti riferiscono si traducono in una sensazione di
debolezza ed impaccio nell’esecuzione di movimenti consueti, che riescono a
compiere stancandosi, però, più facilmente.
In genere questa sensazione non si associa ad una sensazione di perdita di forza
muscolare.
Ci si accorge poi di una maggior difficoltà a cominciare e a portare a termine i
movimenti alla stessa velocità di prima come se il braccio interessato, o la gamba,
fossero “legati” e rigidi.
La sensazione di essere più lenti e impacciati nei movimenti è forse la
caratteristica per cui più frequentemente viene richiesto il consulto medico
insieme all’altro sintomo principale, tipicamente associato a questa malattia e
anche il più evidente: il tremore.
Esso è spesso fra i primi sintomi riferiti della malattia; di solito è visibile alle
mani, per lo più esordisce da un solo lato e può interessare l’una o l’altra mano. Il
tremore tipico si definisce di riposo, si manifesta, ad esempio, quando la mano é
abbandonata in grembo oppure é lasciata pendere lungo il corpo.
12
Non è però un sintomo indispensabile per la diagnosi di Parkinson, infatti non tutti
i malati di Parkinson sperimentano tremore nella loro storia e, d’altra parte non
tutti i tremori identificano una malattia di Parkinson.
Infatti se è vero che nella maggior parte dei casi il sintomo d'esordio è il tremore
è anche vero che in una percentuale non indifferente l'esordio della malattia è
caratterizzato da impaccio motorio, senso di rigidezza o disturbi molto poco
specifici.
La triade cardine della malattia può infatti considerarsi costituita da questi tre
sintomi: tremore, rigidità ed acinesia (complessiva riduzione della motilità
volontaria ed involontaria, di regola associate a bradicinesia, cioè lentezza dei
movimenti), tutti e tre riscontrabili con variabile gravità.
Come già detto, il tremore appare spesso "a riposo", scompare durante i
movimenti volontari e in genere peggiora nelle situazioni di stress emozionale
mentre è assente durante il sonno.
Nelle fasi iniziali è localizzato soprattutto ai settori distali degli arti superiori (è
descritto spesso come "contare monete"), appare meno frequentemente agli arti
inferiori, può essere presente al volto (in particolare alla mandibola).
La rigidità è un altro segno caratteristico e costante e a volte costituisce per lungo
tempo il solo segno di malattia.
Si apprezza aumentata resistenza al movimento passivo, con caratteristiche di
"plasticità".
Colpisce tutti i distretti muscolari, anche se in genere esordisce ai muscoli assiali e
col passare del tempo diventa prevalente ai muscoli flessori ed adduttori
determinando il caratteristico atteggiamento "camptocormico", con capo flesso sul
tronco, avambracci semiflessi ed intraruotati, cosce addotte e in leggera flessione
sul tronco.
13
Per eseguire movimenti il paziente necessita di molta concentrazione e
tipicamente la gestualità e la mimica sono molto scarse.
La mimica facciale è scarsa, l'espressione impassibile.
Si osserva la cosiddetta “facies figee” cioè il viso è più fisso e meno espressivo.
La deambulazione è tipicamente a piccoli passi, strisciati, con avvio molto
problematico e spesso si nota il fenomeno della "festinazione", caratterizzato dalla
progressiva accelerazione della camminata sino a cadere.
Il linguaggio diviene monotono, poco espressivo.
La “qualità vocale” risulta alterata e spesso viene descritta come flebile e
monotona.
Nella fase avanzata di malattia la disartria sfocia spesso nella anartria (disturbo
nel linguaggio che consiste nell'incapacità di articolare le parole).
Anche la scrittura in un certo senso evolve nello stesso modo (micrografia
parkinsoniana).
Infatti anche la grafia appare alterata mano a mano che si procede nello scrivere
tende a rimpicciolirsi.
Oltre alla triade di sintomi di base, tremore, rigidità ed acinesia, molti altri sintomi
possono associarsi e andare a completare un quadro clinico estremamente
variabile da paziente a paziente.
Questi sintomi possono essere:
- alterazioni posturali (correlate alla rigidità ma comprendenti anche perdita del
controllo posturale con frequenti cadute);
- disturbi soggettivi delle sensibilità;
- ridotta velocità dei movimenti oculari;
- scialorrea, cioè eccessiva salivazione;
- disfunzioni vegetative;
- disturbi del sonno;
14
- turbe dell'affettività sono molto frequenti nei pazienti con malattia di Parkinson.
Un’alterazione delle capacità cognitive è presente invece in circa un quinto dei
pazienti, con caratteristiche, sembra, legate ad un maggiore interessamento dei
lobi frontali.
Esiste una classificazione della stadiazione della malattia di Parkinson, cioè della
sua evoluzione nel tempo, fornita dalla tabella di Hoehn e Yahr che suddivide la
progressione della sintomatologia clinica in cinque stadi, di cui il primo è quello
più lieve e il quinto è quello più invalidante.
Tratto da “L’approccio riabilitativo nella malattia di Parkinson” di E. Martignoni
http://www.fsm.it/FSM/pdf/siras/martignoni.pdf
Hoehn and Yahr on the web.
15
Ecco le problematiche più comuni trattate nel dattaglio:
Tremore
Oscillazione lenta (cinque-sei volte al secondo) delle mani, con un atteggiamento
come di chi conta cartamoneta.
Generalmente inizia in una mano e dopo un tempo variabile coinvolge anche
l’altra.
Possono tremare anche i piedi, quasi sempre in modo più evidente dal lato in cui é
iniziata la malattia e anche labbra e mandibola, assai più raramente il collo e la
testa.
Il tremore è presente a riposo e si riduce o scompare del tutto appena si esegue un
movimento finalizzato, ad esempio sollevare un bicchiere per bere.
Il sintomo risente molto dello stato emotivo del soggetto: aumenta in condizioni
di emozione, si riduce in condizioni di tranquillità.
Un altro tipo di tremore spesso riferito dai malati di Parkinson é il “tremore
interno”; sensazione fastidiosa ma non pericolosi. avvertita dal paziente ma non
visibile all’esterno.
Rigidità
Il termine sta ad indicare un aumento del tono muscolare a riposo o durante il
movimento.
Può essere presente agli arti, al collo e al tronco.
La riduzione dell’oscillazione pendolare degli arti superiori durante il cammino é
un segno di rigidità associata a lentezza dei movimenti.
Lentezza dei movimenti (bradicinesia)
Per bradicinesia si intende l’incapacità dell’individuo a iniziare un nuovo
movimento del proprio corpo, nonostante la persona stessa cerchi di effettuarlo.
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Rientra in questa definizione anche l’impedimento nel normale svolgimento dei
movimenti volontari più semplici, come ad esempio il voler muovere una mano.
Si evidenzia facendo compiere al soggetto dei movimenti di fine manualità che
risultano più impacciati, meno ampi e più rapidamente esauribili per cui, con la
ripetizione, diventano quasi impercettibili.
Segno di bradicinesia sono anche le difficoltà nei passaggi da una posizione a
un’altra, quali ad esempio scendere dall’automobile o girarsi nel letto o anche nel
vestirsi come indossare la giacca o il cappotto.
Conseguenza di bradicinesia é anche la ridotta espressività del volto dovuta a una
riduzione della mimica spontanea che normalmente accompagna le variazioni di
stato d’animo e anche una modificazione della grafia che diventa piccola
(micrografia).
Disturbi di equilibrio
Si presentano più tardivamente nel corso della malattia e sono indubbiamente i
sintomi meno favorevoli.
Il disturbo di equilibrio é essenzialmente dovuto ad una riduzione dei riflessi di
raddrizzamento per cui il soggetto non é più in grado di correggere
spontaneamente eventuali squilibri.
L’incapacità a mantenere una postura eretta e a correggere le variazioni di
equilibrio può provocare cadute che possono avvenire in tutte le direzioni anche
se, più frequentemente, il paziente tende a cadere in avanti.
Il sintomo risponde solo limitatamente alla terapia.
Problemi di postura (atteggiamento curvo)
L’alterazione della postura determina un atteggiamento curvo: il malato si pone
come “ripiegato” su se stesso per cui il tronco é flesso in avanti, le braccia
mantenute vicino al tronco e piegate, le ginocchia pure mantenute piegate.
17
Questo atteggiamento, dovuto al sommarsi di bradicinesia e rigidità, é ben
correggibile coi farmaci.
Con l’avanzare della malattia si instaura una curvatura del collo e della schiena,
che può diventare definitiva.
Disturbo del cammino (impaccio dell’andatura)
Dapprima si nota una riduzione del movimento di accompagnamento delle
braccia, più accentuato da un lato, successivamente i passi possono farsi più brevi,
talvolta si presenta quella che viene chiamata “festinazione”, cioè il paziente piega
il busto in avanti e tende ad accelerare il passo come se inseguisse il proprio
baricentro.
Negli stadi avanzati della malattia possono verificarsi episodi di blocco motorio
improvviso (“freezing”, come un congelamento delle gambe) in cui i piedi del
soggetto sembrano incollati al pavimento.
Il fenomeno di solito si verifica nelle strettoie oppure all’inizio della marcia o nei
cambi di direzione.
Questa difficoltà può essere superata adottando alcuni accorgimenti quali alzare le
ginocchia come per marciare, oppure considerando le linee del pavimento come
ostacoli da superare o anche con un ritmo verbale come quello che si utilizza
durante la marcia militare.
18
1.2 Problemi di parola
Nella malattia di Parkinson una difficoltà nel parlare insorge in circa la metà dei
pazienti affetti mentre l'altra metà dei pazienti, anche dopo molti anni dall'esordio
della malattia, può non incontrare questo problema.
Le modificazioni nell'abilità a comunicare possono sfociare in una tendenza a
stare soli che può portare all'isolamento sociale.
Alcune persone hanno descritto le difficoltà di linguaggio come il sintomo
parkinsoniano più debilitante in quanto rende incapaci di comunicare
efficacemente e, in alcuni casi, limita le opportunità lavorative.
Anche la deglutizione può essere compromessa nel Parkinson ma questo aspetto
non è necessariamente associato al disturbo della parola.
Parlare è un'attività motoria che implica l’attivarsi di meccanismi altamente
specializzati relativi ad alcuni muscoli ed in particolare di quelli che controllano:
- la respirazione;
- la fonazione (emissione della voce);
- l'articolazione (pronuncia);
- la prosodia (ritmo, intonazione e velocità dell'eloquio).
Nella malattia di Parkinson le alterazioni della voce sono dovute ad un ridotto
coordinamento di tali muscoli.
I sintomi che si possono manifestare come conseguenza di queste alterazioni sono
i seguenti:
Indebolimento del volume della voce
È spesso la prima modificazione ad essere notata.
Con il passare del tempo, tale riduzione può arrivare al punto di non udibilità della
voce.
19
Affievolimento della voce
La voce è forte all’inizio di una frase, ma si affievolisce man mano che si continua
a parlare.
Voce monotona
La voce resta allo stesso livello, non varia e manca di espressione.
Cambiamento della qualità della voce
Il suono della voce risulta tremulo, fievole o più acuto; a volte cauto o stridente.
Involontaria esitazione prima di parlare
È difficile iniziare a parlare e poi mantenere la voce salda dall'inizio alla fine di
una conversazione o di una frase.
Articolazione (pronuncia) indistinta
La pronuncia è dispettosa e in particolare la fine delle parole è omessa; i suoni
delle sillabe finali delle parole sono poco chiari.
Modo veloce di parlare
Le sillabe e le parole si ammassano e scorrono senza pausa.
Può verificarsi una progressiva accelerazione delle parole verso la fine di una
frase.
Ripetizioni incontrollate
Le parole, le frasi e i periodi sono ripetuti involontariamente e senza controllo.
20
1.3 Disturbi non motori
I disturbi non motori del paziente parkinsoniano rappresentano un po' la
cenerentola tra le problematiche causate dal morbo di Parkinson per tante
considerazioni che andremo ad esporre o, quanto meno, questi disturbi attirano
minori interesse e attenzione sul piano scientifico.
In primis, disponiamo di studi e di osservazioni che hanno permesso di
individuare interventi, strategie utili per controllare questo tipo di disturbi ma non
abbiamo certo a disposizione farmaci così efficaci come la levodopa per poterli
curare.
E', quindi, più difficile riuscire a risolverli.
E' più difficile anche perché, e questo va sottolineato, con la progressione della
malattia, gli stessi farmaci antiparkinson utilizzati provocano disturbi anche di
tipo non motorio.
Tra i primi, gli anticolinergici che purtroppo causano diversi problemi: stipsi,
disturbi oculari (tra cui il glaucoma), problemi di ritenzione urinaria e, soprattutto,
presentano un potenziale dementigeno aumentando la possibilità di un
deterioramento mentale specie se somministrati al di sopra dei sessanta anni.
I malati parkinsoniani possono, inoltre, presentare, oltre la malattia di base, anche
altre patologie legate all'età avanzata (osteoporosi, aumento di affezioni
reumatiche, ipertensione arteriosa, aterosclerosi, etc...).
I disturbi non motori seguono le stesso destino dei disturbi motori e questo è un
aspetto che alle volte non sempre viene considerato.
Il malato parkinsoniano in fase "off" spesso presenta disturbi non motori come la
sudorazione, l'ipertensione arteriosa, i disturbi di panico, le distonie coreiformi e
coreodistoniche, a volte dolorose, localizzate in genere agli arti inferiori,
unilaterali (compaiono dal lato più colpito dal morbo di Parkinson).
21
Se vi è qualche dubbio sulla natura primaria del disturbo non motorio è possibile
ricorrere anche all'apomorfina per stabilire se quel disturbo è effettivamente legato
a un'altra patologia oppure è causato da una non ottimizzazione dello schema
terapeutico antiparkinson.
Teniamo presente che molte malattie e farmaci usati possono causare già di per sé
disturbi non motori: i segni paraneoplastici, il diabete mellito, l'insufficienza
renale, i farmaci neurolettici, gli antiipertensivi, la cimitidina, la metildopa, i
betabloccanti, ecc..
L'approccio diagnostico non è quindi facile.
Sicuramente esiste una base organica: i corpi di Lewy, che permettono di
distinguere la malattia di Parkinson da altre patologie attraverso una diagnosi
istopatologica.
Sappiamo che i corpi di Lewy sono presenti in diverse aree del corpo umano
anche preposte all'attività vegetativa (non motoria).
In particolare, nel diencefalo, nel locus niger, in altre aree pigmentate come il
nucleo dorsale del decimo, nel locus coeruleus nel cervello, nelle colonne
intermedie laterali del midollo spinale, al di fuori dell'asse cerebro-spinale nei
gangli, nei plessi periferici a livello della parete intestinale che regolano la sua
motilità.
In alcune aree particolari dell'organismo i corpi di Lewy rimangono piuttosto
costanti, fa eccezione la corteccia cerebrale nella quale i corpi di Lewy possono
continuare ad aumentare.
Nel corso della malattia di Parkinson si nota un incremento della loro formazione
che costituisce la causa del danno neuronale.
Tale incremento diventa un elemento di utilità diagnostica nella malattia di
Parkinson perché un modesto numero di corpi di Lewy si ritrovano anche
22
nell'autopsia di soggetti normali morti ad esempio per incidente o esenti da
patologie del sistema nervoso centrale.
Questi disturbi non motori sono presenti nel morbo di Parkinson ma sono ancora
più manifesti nel cosiddetto Parkinson complicato (Parkinson plus).
In questo caso, i disturbi non motori hanno una prevalenza e addirittura possono
arrivare ad offuscare l'importanza degli stessi segni extrapiramidali.
Si assiste nel Parkinson complicato spesso, per fortuna non in tutti i casi, ad una
risposta alla levodopa piuttosto difettiva nel contrastare i sintomi parkinsoniani.
23
(
T
r
a
t
t
o
d
a
“
L’approccio riabilitativo nella malattia di Parkinson” di E. Martignoni –
(http://www.fsm.it/FSM/pdf/siras/martignoni.pdf).
24
Ipotensione ortostatica nella malattia di Parkinson
E’ un disturbo severo che può impedire perfino il proseguimento di adeguate cure
antiparkinson.
L'ipotensione ortostatica provoca un senso di instabilità, una pseudo-vertigine, un
dolore al collo ed alla regione dei glutei, una sensazione di mancamento, di
offuscamento visivo, di allontanamento dei suoni, fino allo svenimento
Sappiamo già che i farmaci antiparkinson, tra cui la levodopa e ancora di più gli
agonisti dopaminergici, possono causare fenomeni ipotensivi ortostatici fino agli
attacchi sincopali,
E’ quindi importante controllare questo disturbo.
L’età avanzata già di per sé altera il riflesso baro-recettoriale che adegua
l'organismo alle variazioni della pressione arteriosa nei cambiamenti di posizione
e questa alterazione può disturbare ed aggravare l'ipotensione ortostatica.
Il riflesso baro-recettoriale deriva dagli stimoli, dagli input provenienti dai
recettori periferici distribuiti sui vasi sanguigni, in particolare sull'aorta
addominale.
E' importante, allora, seguire degli accorgimenti pratici che aiutano ad aumentare
il tono venoso e a favorire il ritorno venoso.
Una maggiore quantità di sangue nel circolo e una maggiore resistenza delle pareti
vascolari al flusso di sangue aumentano i valori della pressione.
Per favorire il ritorno venoso, il soggetto, secondo la sua capacità di resistenza
all'ipotensione arteriosa, deve rimanere in piedi un tempo limitato.
Una volta in piedi deve cercare di appoggiarsi su un piede e poi sull'altro piede,
alternativamente od incrociare le gambe, oppure, se siede, tenere sollevate le
gambe quando possibile, usare una sedia da pescatore (sedia facilmente
trasportabile).
25
Altri consigli per proteggersi da questo disturbo possono essere: evitare ogni
sforzo nel momento del dopo pranzo e bere invece una tazzina di caffè, evitare
altresì docce o bagni troppo caldi che possono causare dei mancamenti, bere
liquidi che favoriscono l'aumento del volume del sangue all'interno dei vasi,
consumare più sale.
La nostra attenzione si rivolge anche al riposo notturno.
E' preferibile che la testa del letto sia sollevata e che il paziente dorma con la testa
e il tronco sollevati, così lo sbalzo della pressione viene sentito meno al momento
di alzarsi dal letto.
Spesso il soggetto, a letto, può avere addirittura un rialzo pressorio.
E’ importante avere l'avvertenza di non effettuare degli sforzi (ad esempio,
manovre tipo torchio addominale o sollevare dei pesi).
Anche tossire può causare un senso di mancamento.
Anche aumentare il consumo di acqua può essere utile.
L'acqua infatti è da consigliarsi sotto ogni profilo: aiuta a migliorare anche la
stipsi e la secrezione bronchiale, oltre alla stessa ipotensione ortostatica.
Anche l'uso di bendaggi elastici che comprimono le gambe, qualche volta anche
l'addome, possono correggere questo disturbo ma non sono sempre ben sopportati.
In genere è consigliabile alzarsi lentamente.
Informazioni liberamente tratte dal testo del Prof. Manfredi Saginario, Specialista
e libero docente in Neurologia e Chirurgia Primario "Casa di Cura Piacenza"
http://www.parkinsonitalia.it
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Problemi urologici nella malattia di Parkinson
I problemi urologici rappresentano una delle patologia più frequenti nella
popolazione anziana.
Costituiscono, infatti, quasi l'80% dei disturbi riscontrabili nella terza età.
In questi ultimi anni si stanno studiando sempre più dettagliatamente le patologie
urologiche che risultano maggiormente invalidanti.
Basti pensare all'incontinenza che può considerarsi uno dei disturbi più gravi,
soprattutto per l'anziano.
Tali disturbi possono essere determinati dalla malattia primaria (come, ad
esempio, la malattia di Parkinson) oppure dalla presenza di altre patologie
concomitanti.
Per meglio comprendere i problemi urologici ed, in particolare i disturbi urinari
del malato parkinsoniano, torna utile illustrare brevemente la funzionalità
dell'apparato urinario basso.
immagine tratta dal sito http://www.parkinsonitalia.it/urologici.htm
27
Questo apparato è costituito da:
- la vescica nella quale si raccolgono e si accumulano le urine, provenienti,
attraverso gli ureteri, dai reni.
La giunzione uretero-vescicale permette il passaggio delle urine dagli ureteri nella
vescica impedendone il reflusso;
- l'uretra, che trasporta le urine dalla vescica verso l'esterno.
Nell'uomo, l'uretra attraversa la parte centrale della prostata, situata al di sotto
della vescica.
La parete muscolare della vescica (detrusore) presenta la capacità di distendersi,
per consentire il riempimento e l'accumulo delle urine e di contrarsi, per
permettere lo svuotamento periodico vescicale.
Lo sfintere liscio (muscolo a forma di anello che funziona da "rubinettino"),
collega la vescica all'uretra ed è situato a livello del collo della vescica. Attraverso
la contrazione dello sfintere la vescica si chiude affinché possa riempirsi e
trattenere le urine.
La resistenza dello sfintere diminuisce quando si verifica lo svuotamento
(minzione) della vescica. In sintesi, l'apparato urinario basso, integro
funzionalmente, è caratterizzato da un ciclo minzionale bifasico: riempimento ed
accumulo delle urine nella vescica (prima fase), svuotamento della vescica
(seconda fase).
Tutto ciò si verifica con un perfetto sincronismo.
I disturbi urologici vengono, pertanto, determinati dall'alterazione di questo
processo bifasico.
Tra le malattie neurologiche anche la malattia di Parkinson, come qualsiasi
lesione neurologica che interessi il sistema nervoso centrale o periferico (malattia
di Parkinson, ictus cerebrale, traumi midollari, sclerosi multipla, ecc.) potrebbe
28
causare nel malato problemi urologici dovuti ad un alterato controllo volontario
dello stimolo della minzione.
L'attività della minzione è una funzione volontaria.
Durante la minzione il flusso urinario può, infatti, essere interrotto
volontariamente.
Raramente tali disturbi urologici compaiono nelle prime fasi della malattia. Nelle
fasi successive, è stato rilevato che tali disturbi possono interessare circa il 75%
dei pazienti.
Tra questi:
- l'urgenza, desiderio imperioso e poco controllabile di urinare;
- la disuria, insistente stimolo ad urinare senza poi riuscirvi;
- la nicturia, il paziente si alza dal letto più volte durante la notte per urinare;
- iscuria paradossa, fuoriuscita di sole poche gocce di urina a causa di una vescica
sovradistesa ed eccessivamente piena.
Caratteristiche della vescica nella malattia di Parkinson
Generalmente, la vescica del malato parkinsoniano appare ipereflessica (ha, cioè,
contrazioni involontarie che fanno aumentare la pressione all'interno della
vescica) con uno sfintere uretrale che presenta una normale funzionalità.
I sintomi sono quelli di una iperattività vescicale e consistono, cioè, in frequenti
risvegli notturni a causa di un maggior stimolo alla minzione oltreché in una
impellenza minzionale durante il giorno.
In fase avanzata della malattia può insorgere l'incontinenza urinaria diurna e la
perdita involontaria di urina durante il sonno.
Ritenzione urinaria nella malattia di Parkinson
Nel caso in cui si verifichi una ritenzione urinaria, la vescica è maggiormente
soggetta ad infezioni (ad esempio, cistiti), causate dal ristagno dell'urina.
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Nel malato parkinsoniano tali infezioni possono essere anche una conseguenza
della stessa stipsi.
I germi eziologici che causano le infezioni alle vie urinarie, sono presenti
prevalentemente a livello intestinale.
Normalmente non sono patogeni, cioè non causano la comparsa di infezioni, ma
in caso di ristagno possono aumentare di numero superando il livello ritenuto
espressione di una infezione urinaria (100.000 per millimetro cubo).
Informazioni liberamente tratte da. http://www.parkinsonitalia.it
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La stipsi nella malattia di Parkinson
La stipsi è un sintomo comune nel malato parkinsoniano ed è conseguenza del
rallentamento generale dell'attività motoria.
Se prima della diagnosi della malattia, la stipsi non rappresentava un problema per
il paziente, probabilmente lo diverrà in seguito.
Il normale funzionamento dell'intestino richiede:
a) un adeguato volume fecale;
b) una adeguata presenza di umidità nelle feci;
c) una normale contrazione della muscolatura intestinale.
Considerando nel suo insieme la patologia parkinsoniana, si può asserire che più
di un fattore è responsabile del disturbo della stipsi nel malato.
Quasi tutti i farmaci usati normalmente per il trattamento di questa malattia
causano la stipsi, in particolare i farmaci anticolinergici (triesifenidile,
benzatropina o difenidramina).
Questi farmaci diminuiscono la secrezione di acido cloridrico nello stomaco di
circa il 15-25% e ciò provoca una minore contrazione della muscolatura
dell'intestino crasso per espellere le feci.
Assumendo tali farmaci il paziente può trovare giovamento per la riduzione della
rigidità e del tremore, ma gli effetti collaterali che si possono manifestare causano
secchezza della bocca, una diminuzione della lacrimazione e la riduzione
dell'umidità nelle feci con conseguente difficoltà a defecare.
Oltre
gli
anticolinergici,
molti
altri
farmaci
come
la
levodopa
(levodopa+carbidopa), i dopaminoagonisti (pergolide, bromocriptina, ...), le
MAO-B inibitori (L-Deprenyl) si devono includere fra i farmaci che causano
questo disturbo.
L'amantadina può anche peggiorare la stipsi.
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La diminuzione della motilità si riscontra, anche, durante il transito del cibo
nell'intestino e costituisce la prima causa della relazione esistente fra malattia di
Parkinson e stipsi.
Ciò non deve sorprendere: il rallentamento generale dell'attività motoria interessa
sia la muscolatura che controlla i movimenti degli arti sia i muscoli minori che
agiscono sulla funzionalità dell'esofago, dello stomaco e dell'intestino.
Una volta che la massa raggiunge l'intestino retto, la difficoltà a defecare deriva
dall'alterazione della muscolatura che dovrebbe coordinare il movimento
intestinale provocando la cosiddetta spinta.
Per mantenere normali le funzioni intestinali si raccomanda di effettuare un
corretto e continuo esercizio fisico e di introdurre una adeguata quantità di liquidi.
Occorre, poi, consumare alimenti ricchi di fibre vegetali che accrescendo il
volume delle feci, facilitano l'evacuazione.
Nel caso che tutto questo non risolva il problema della stipsi, bisogna, allora,
ricorrere a prodotti a base di fibre (vegetali o sintetiche), a emollienti fecali e/o
lassativi.
Informazioni liberamente tratte dall’intervento del Prof. Domenico Cucinotto,
Professore a contratto Università di Bologna Specialista in Cardiologia,
Gerontologia e Geriatria, Medicina interna Primario Divisione di Geriatria
Policlinico Sant'Orsola Malpighi- Bologna.
http://www.parkinsonitalia.it
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Disturbi psichiatrici nella malattia di Parkinson
Intervento
del
Dottor
Antonio
Saginario,
Dirigente
medico
psichiatra
Dipartimento di salute mentale Ospedale Civile di Piacenza e Professore con
contratto di Psichiatria all'Università degli Studi di Parma
www.parkinson.it
“I disturbi psichiatrici in corso di malattia di Parkinson furono riconosciuti dallo
stesso James Parkinson nella descrizione originale della malattia dove segnalò
che spesso "questi pazienti sono infelici e melanconici".
C'è stata, poi, dopo la prima guerra mondiale, la grande tragedia del
parkinsonismo post-encefalitico che causò una vastità di manifestazioni
psicopatologiche associate alle manifestazioni motorie.
Ciò che, però, ha reso possibile una maggiore considerazione del ruolo della
psichiatria è stata la modificazione, negli ultimi venti anni, del clima culturale
che ha portato a superare storici steccati culturali e a favorire una maggiore
collaborazione e una reciproca attenzione tra neurologia e psichiatria.
Questo è stato molto utile soprattutto per malattie come il morbo di Parkinson i
cui sintomi sono non solo motori e non solo neurologici.
Presenta, infatti, anche fondamentali aspetti neuropsichiatrici.
Le ricerche che sono state effettuate negli ultimi 20 anni hanno portato a
riconoscere che le manifestazioni psichiatriche sono parte integrante della
malattia e non sono solo complicanze.
Questo è stato riconosciuto anche dal DSM IV (Diagnostic and Statistic Manual),
il manuale diagnostico ufficiale dell'Associazione Psichiatrica Americana.
Per la malattia di Parkinson sono stati delineati due sottotipi di paziente
parkinsoniano: il parkinsoniano con depressione e il paziente parkinsoniano che,
per le complicanze della terapia, sviluppa allucinazioni.
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E' importante considerare che lo stress psicologico esacerba tutti i disturbi motori
e, quindi, il controllo dei problemi psicologici comporta un miglioramento
indiretto anche di quelli motori.
Nella malattia di Parkinson, dal punto dello psichiatra, dobbiamo vedere due lati:
un lato neurologico, esterno e un lato interno, "vissuto" mentale.
Se non li consideriamo entrambi cadiamo nel rischio di fare una neurologia con
un cervello, ma senza anima o di studiare un’anima senza cervello.
Ci sono state notevoli acquisizioni scientifiche che hanno dato delle ricadute
positive nella pratica clinica quotidiana.
Disponiamo di nuovi antidepressivi, molto ben tollerati, di nuovi antipsicotici, di
terapie valide per contrastare l'ansia sociale.
Quindi risultati importanti.
(…) Abbiamo capito in maniera più particolareggiata quali sono le aree
cerebrali più colpite e quali sono i neurotrasmettitori colpiti (oltre che la
dopamina, anche la serotonina e la noradrenalina).
Questo, però, non è sufficiente.
Dobbiamo dare al paziente non solo una spiegazione della malattia, ma anche
una comprensione.
Comprendere, cioè, l'esperienza ed il vissuto, quello che nella psichiatria
fenomenologica si chiama il "vissuto del paziente".
Il paziente che si trova in uno stato di acinesia, cioè che ha una difficoltà ad
iniziare il movimento, ha una esperienza che chi è sano non riesce a percepire,
fortunatamente non percepisce.
Noi sani quando vogliamo muoverci, ci muoviamo.
(…) Nel paziente parkinsoniano c'è, nel suo vissuto di movimento, uno sforzo per
iniziare qualunque movimento.
Deve sforzarsi per iniziare.
34
Questo è fondamentale da riconoscere per comprendere e avere un atteggiamento
empatico verso questo paziente.
Sapere quali sono le difficoltà, perché chi è sano non riesce a recepirle, e sapere
che queste difficoltà vanno al di là dell'esperienza quotidiana di chi è sano.
I disturbi psichiatrici possono essere preesistenti alla malattia stessa; possono
essere primari, legati cioè alla malattia oppure legati al fatto che non è solo
malattia di Parkinson, ma un Parkinson plus, un Parkinson complicato oppure
sono legati ai farmaci che danno tanti benefici, ma danno anche complicanze
psichiatriche importanti.
Già sono stati ricordati, tra i disturbi psichiatrici, il quadro allucinatorio, i
problemi allucinatori legati alla farmacologia e i disturbi del sonno.
Le modificazioni on/off si correlano anche a modificazioni dell'umore, ad attacchi
di panico.
(…) Uno dei disturbi più comuni o primari, legati al morbo di Parkinson, è la
depressione che colpisce circa il 40% dei pazienti ed è collegata alla malattia
stessa.
Ha delle caratteristiche diverse da quelle comuni del paziente psichiatrico, non
c'è di solito psicosi, non c'è elevato rischio suicidario, non ci sono forti sensi di
colpa.
Altri disturbi comuni sono i disturbi di ansia, come attacchi di panico o come
fobia sociale.
Come affrontare questi disturbi?
Il primo punto è riconoscerli.
Tutti gli studi dimostrano che i disturbi psichiatrici sono sotto diagnosticati.
Perché questo avviene?
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Perché la scarsa espressività, la lentezza del soggetto, il tipo psicologico del
paziente parkinsoniano molto controllato tendono a non farci vedere la vita
emotiva, interna, conservata, anzi profondamente conservata.
(...) L'altro problema è come trattare questi disturbi.
Spesso si considerano questi disturbi come scontati: è chiaro, il paziente,
poveretto, è lì, malato, bloccato, starà male, sarà depresso.
Anche se comprensibili, questi disturbi vanno trattati.
(…) Se una persona ha problemi psichiatrici, anche se comprensibili, anche se
legati ad una malattia cronica, invalidante come il morbo di Parkinson, dobbiamo
trattarli.
Un lato positivo: c'è una buona risposta alla terapia.
Le allucinazioni nella malattia di Parkinson
Attualmente è molto più facile affrontare questo disturbo poiché disponiamo di
farmaci antipsicotici che non danno problemi di parkinsonismo.
Il capostipite di questi farmaci è la clozapina che, però, è di difficile utilizzo in
quanto richiede dei controlli ematologici.
E' poi fondamentale un approccio psicologico.
Anche se il disturbo è organico, l'approccio psicologico e psicosociale è
fondamentale e ciò, anche, per utilizzare al meglio i farmaci prescritti dal
neurologo e per ridurre lo stress i cui effetti negativi si ripercuotono sul soggetto,
aumentando le sue difficoltà motorie.
Sono importanti interventi di consulenza, di consiglio al paziente utili e già usati,
in alcuni centri, fin dalla comunicazione della diagnosi che è uno dei momenti
psicologicamente più pesanti: sapere che la propria vita cambierà radicalmente
quando ancora i disturbi sono limitati.
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Può risultare utile seguire tecniche cognitive, tecniche comportamentali, il
rilassamento, interventi psico-sociali come i gruppi di auto-aiuto e di
informazione.
(…) In questo momento è opportuno parlare di una visione salutogenica, attenta
ai fattori di salute mentale.
Dobbiamo renderci conto che la grande maggioranza dei malati parkinsoniani
riesce a sopportare questo grosso peso.
Ci sono dei fattori che permettono al malato di mantenersi sani mentalmente
anche di fronte alle grandi prove della vita.
Questo lo chiamiamo con una parola inglese "coping", cioè, saper trattare.
Il coping positivo, attivo, focalizzato sul problema, alla ricerca di un significato,
che sia un significato filosofico, che sia un significato religioso, che sia un
significato politico ma, comunque, che ci sia un significato in quello che stiamo
facendo, anche nelle nostre esperienze più impegnative.
I fattori più importanti sono:
1. decidere di lottare contro la malattia;
2. seguire i consigli del medico;
3. avere fiducia nel medico.
Questi sono i fattori di coping che sono risultati più utili nell'affrontare la
malattia di Parkinson.”
37
La depressione nella malattia di Parkinson
La depressione è molto comune nella malattia di Parkinson: approssimativamente
il 40% dei pazienti parkinsoniani manifesta almeno un episodio di depressione nel
corso della malattia.
La depressione endogena nella malattia di Parkinson può essere correlata ad un
deficit di monoamine ed è caratterizzata da sensi di colpa, impotenza, rimorso e
tristezza.
Con queste caratteristiche è considerata parte della malattia di Parkinson ed è
indipendente dall’età, dalla durata e dalla gravità della malattia o dai deficit
cognitivi.
Nei pazienti con malattia di Parkinson la depressione può essere alternativamente
sovra- o sottostimata in quanto il medesimo aspetto fisico di questi pazienti può
mimare la depressione.
Un paziente con scarsa mimica facciale, ipofonia, rallentamento psicomotorio e
postura anteflessa, può essere considerato depresso quando invece non lo è.
Analogamente la depressione può essere sottostimata in quanto i sintomi quali la
perdita di energia, di appetito, del desiderio sessuale e l’insonnia possono essere
erroneamente attribuiti alla malattia di Parkinson.
C’è poi da considerare che, ad esempio, la perdita del lavoro, il pensionamento, la
crisi della mezza età ecc… possono essere causa di reazioni depressive.
Da non trascurare sono anche le reazioni depressive acute, correlate alle
fluttuazioni motorie (fenomeni on-off), a conferma che l’identificazione del
disturbo depressivo richiede spesso un’elevata sensibilità diagnostica ed
interpretazioni patogenetiche diverse.
Molta attenzione è stata dedicata al rapporto temporale tra depressione e malattia
di Parkinson; che configura due picchi, rispettivamente, in fase precoce e avanzata
di malattia.
38
Oggetto di studio è stata anche la fase prodromica e ancora non chiarita è la
possibilità che i sintomi depressivi siano premonitori di un successivo sviluppo
della malattia di Parkinson.
A questo proposito va ricordata l’ipotesi dell’esistenza di una personalità
parkinsoniana, definibile come un carattere introverso e poco flessibile, preciso e
puntuale, metodico e abitudinario.
Studi neurochimici, ma anche evidenze neuropsicologiche, cliniche, metaboliche,
farmacologiche e neuropatologiche suggeriscono che alla base della depressione
nella malattia di Parkinson vi sia un interessamento delle proiezioni
depominergiche
mesocorticali/prefrontali,
coinvolte
nelle
risposte
di
gratificazione e motivazione.
In definitiva, la depressione può essere considerata parte integrante della
sintomatologia parkinsoniana, ma può richiedere un trattamento specifico, per lo
più di tipo farmacologico.
Ansia, attacchi di panico ed agitazione nella malattia di Parkinson
Approssimativamente il 40% dei pazienti parkinsoniani è ansioso e molti di essi
presentano attacchi di panico.
Entrambi i sintomi potrebbero essere una reazione alla malattia oppure esserne
parte integrante, con modalità analoghe alla depressione (della cui sintomatologia
l’ansia può far parte) in rapporto alla perdita di neuroni dopaminergici,
noradrenergici e serotoninergici.
Gli attacchi di panico sono caratterizzati da una varietà di sintomi psichici,
autonomici e somatici che includono paura di morire o di impazzire, fame d’aria,
sudorazione, dolori toracici, soffocamento e vertigine.
Talora, un attacco di panico può simulare una crisi cardiaca e, occasionalmente,
va differenziato da quest’ultima.
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Come per la depressione, i sintomi dell’ansia o gli attacchi di panico possono
manifestarsi solo durante i periodi “off” in alcuni pazienti, o in maniera continua
in altri.
I sintomi che si manifestano prevalentemente durante le fasi “off” possono essere
controllati con strategie volte a migliorare la sintomatologia parkinsoniana e ad
aumentare il tempo “on”.
L’agitazione che si manifesta con irrequietezza, irritabilità e apprensione, può
presentarsi come parte della sintomatologia ansiosa o essere reazione della
malattia, ma può essere anche causata dal trattamento antiparkinsoniano.
Informazioni liberamente tratte da “Neurology ” - Un algoritmo per il trattamento
del morbo di Parkinson: linee guida per la terapia - Marzo 1998
e da “Neurological Sciences” - “Linee guida per il trattamento della malattia di
Parkinson 2002"
http://www.parkinsonitalia.it
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Disturbi del sonno nella malattia di Parkinson
“Le cause dei disturbi del sonno dovuti per lo più alla malattia di Parkinson
sono:
- l'acinesia notturna che impedisce al paziente di muoversi agevolmente nel letto e
di trovare la giusta posizione per dormire;
- le discinesie e le distonie spesso accompagnate da crampi dolorosi alle gambe;
- i disturbi della vescica, impellente bisogno di urinare, spesso doloroso;
l'incontinenza;
- dolori diffusi alla schiena e agli arti appaiono più frequentemente di notte che di
giorno, in parte dovuti alla rigidità;
- allucinazioni (per lo più visibili), incubi e confusione;
- paure e pensieri, per esempio in caso di depressione, possono impedire di
addormentarsi o portare ad un risveglio mattutino precoce;
- respirazione irregolare: breve e veloce a causa dell'acinesia.
Anche durante il sonno si sono costatati disturbi della respirazione.
Fino ad 1/5 dei malati di Parkinson osservati soffrirebbe della sindrome di apnea
del sonno.
Non esistono, tuttavia, studi che dimostrino il collegamento di tale sindrome con
la durata o la gravità della malattia di Parkinson o con l'acinesia.”
Tratto da "Parkinson" - Notiziario della Associazione Svizzera del Morbo di
Parkinson
http://www.parkinsonitalia.it
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Deficit di memoria nella malattia di Parkinson
Nei processi di memorizzazione si possono distinguere almeno tre fasi:
- encoding o codifica;
- storage o immagazzinamento;
- retrieval o recupero.
Il termine “codifica” si riferisce al modo in cui l’informazione appena appresa
viene immagazzinata.
Il termine “immagazzinamento” riguarda i meccanismi di mantenimento
dell’informazione appresa.
Infine, il termine “recupero” è fondamentale per richiamare allo stato di coscienza
l’informazione immagazzinata.
Ci sono inoltre due meccanismi di immagazzinamento delle informazioni, uno per
la memoria a breve termine e uno per la memoria a lungo termine.
Nella memoria a breve termine si verifica un rapido deterioramento delle
informazioni, mentre la memoria a lungo termine conserva le informazioni in
modo sostanzialmente stabile.
L’informazione che arriva alla memoria a breve termine, se non è oggetto di
particolare attenzione inizia subito a cancellarsi anche se, mediante la ripetizione,
può essere restaurata.
La capacità della memoria a breve termine è quindi limitata: se una informazione
non viene ripetuta con sufficiente frequenza, scompare.
I pazienti affetti dalla malattia di Parkinson non hanno difficoltà ad
immagazzinare nuove informazioni, specialmente se il materiale da memorizzare
viene ripetuto, il loro problema consiste piuttosto nella difficoltà sia di codificare
in modo corretto l’informazione appena appresa che di richiamarla (recuperare
l’informazione).
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Ai deficit di codificazione sono spesso collegati le difficoltà riguardanti
l’attenzione e la concentrazione che sono anche necessari per attivare i
meccanismi cerebrali della memoria e dell’apprendimento.
I motivi per i quali i pazienti con la malattia di Parkinson hanno spesso difficoltà
di attenzione è collegato alle alterazioni d’ordine chimico delle vie cerebrali.
La diminuzione di dopamina all’interno del circuito corticobasale può riflettersi in
un ipofunzionamento dei lobi frontali che non funzionano più in modo efficiente.
I lobi frontali interagiscono con molte importanti funzioni cognitive che includono
anche l’attenzione, la vigilanza, le reazioni e la messa in atto di strategie più
complesse.
Un altro motivo per il quale i pazienti con malattia di Parkinson sembrano
dimenticare è causato da una minore capacità di recuperare l’informazione
immagazzinata.
Quando però è fornita una traccia o dato un suggerimento, l’informazione viene
subito richiamata alla memoria.
Questa capacità del paziente di recuperare l’informazione è considerata un segnale
positivo: significa che i neuroni del cervello sono ancora capaci di immagazzinare
nuove informazioni e quindi sono intatti e funzionanti.
Le alterazioni delle funzioni cognitive dell’attenzione/codificazione e recupero
dell’informazione possono essere anche più gravi dei disturbi motori causati dalla
malattia di Parkinson.
In circa il 30% dei pazienti affetti dalla malattia di Parkinson i deficit cognitivi
possono interferire nella gestione delle attività basilari della vita quotidiana, ad
esempio nelle decisioni di fare, di prendersi cura della casa o dei propri affari.
In queste condizioni, un malato di Parkinson può presentare una demenza.
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E’ importante per i medici, per i familiari e per gli stessi pazienti parkinsoniani
riconoscere il prima possibile la presenza di una perdita progressiva di memoria
che interferisce con la qualità della vita e con le attività quotidiane.
Anche per i disturbi della memoria vale la regola che l’efficacia di un intervento
terapeutico è condizionata dalla tempestività con la quale questi disturbi si
riconoscono.
Come accade per ogni altra malattia cronica, è importante osservare se sussistono
altre potenziali cause, oltre alla malattia di Parkinson, che possono causare un
declino cognitivo.
I disturbi emozionali come la depressione o l’ansietà possono causare significativi
problemi dell’attenzione e necessitano di essere riconosciuti come cause
potenziali di una demenza.
La depressione e l’ansia sono le due cause principali dei problemi di memoria
soprattutto in età anziana: monopolizzano l’attenzione in modo da rendere
impossibile al soggetto di concentrarsi su qualsiasi altra cosa.
E’ importante sottolineare che i risultati di recenti studi hanno dimostrato che
tenendo il proprio cervello impegnato in attività intellettuali e sociali si combatte
la perdita di memoria e diminuisce il rischio di sviluppare la malattia di
Alzheimer.
Questo studio sembra confermare che “l’abilità non sfruttata viene perduta”.
Le decisioni sul trattamento richiesto dalla perdita di memoria associata con la
malattia di Parkinson si deve basare su molti fattori che includono la severità della
perdita della memoria, la severità dei deficit motori della malattia di Parkinson e
altre condizioni mediche concomitanti.
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Problemi di respirazione nella malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson coinvolge ogni muscolo corporeo inclusi i muscoli
fondamentali della respirazione, cioè il diaframma e i muscoli intercostali che,
attraverso il loro movimento, permettono ai polmoni di espandersi e di contrarsi
per far entrare e uscire l'aria.
Nei momenti di blocco motorio, quando il paziente entra in un periodo "off",
questi muscoli subiscono gli effetti della carenza di levodopa al pari degli altri
muscoli dell'organismo, andando incontro a rigidità e a lentezza.
A causa, quindi, della minore capacità di espandersi e di contrarsi del diaframma e
dei muscoli intercostali, si verifica una alterazione del ritmo della respirazione e il
paziente avvertirà una sensazione di oppressione con difficoltà a respirare
profondamente.
Un attento controllo della terapia antiparkinson e una rivalutazione del dosaggio
farmacologico può migliorare sensibilmente la situazione riducendo i periodi
"off".
La respirazione del malato può subire alterazioni anche da un eccesso di
assorbimento di levodopa poiché può provocare movimenti involontari (discinesie
e distonie).
Il respiro diviene più rapido, corto, poco profondo.
Anche in questo caso, una rivalutazione del dosaggio dei farmaci antiparkinson
aiuta a prevenire questo fenomeno.
Sebbene la malattia di Parkinson non causi l'asma, si possono verificare problemi
respiratori sia se i farmaci antiparkinson "lavorano" troppo poco, sia se "lavorano"
troppo.
Informazioni liberamente tratte da "Consigli pratici per una migliore mobilità"Du Pont Pharma Italia s.r.l – Milano.
http://www.parkinsonitalia.it
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L’ipersalivazione nella malattia di Parkinson
In condizioni normali, produciamo circa due litri di saliva il giorno che
deglutiamo spontaneamente.
La scialorrea è una secrezione salivare esagerata che può accompagnarsi, in alcuni
casi, alla perdita della saliva dal cavo orale.
E’ generalmente causata dalle alterazioni del sistema nervoso parasimpatico (che,
insieme al simpatico, forma il sistema nervoso vegetativo o autonomo le cui
innervazioni raggiungono anche le ghiandole salivari e ne regolano il
funzionamento).
A causa di queste alterazioni, le ghiandole salivari tendono a produrre
un’eccessiva quantità di saliva che occorre in qualche modo controbilanciare.
Nel contesto della malattia di Parkinson, la scialorrea che è un disturbo comune
che va attribuito anche ad un rallentamento degli atti di deglutizione.
Informazioni liberamente tratte dall’intervento del Prof. Manfredi Saginario,
Specialista e libero docente in Neurologia e Psichiatria-Parma.
http://www.parkinsonitalia.it
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Funzione sessuale nella malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson e le malattie degenerative neuronali più gravi come
l’Atrofia Multisistemica (MSA), sono comunemente associate ai disturbi sessuali.
In un malato parkinsoniano è possibile che le alterazioni del sistema nervoso
autonomo siano responsabili di questo disturbo.
Sappiamo
infatti
che
da
queste
alterazioni
derivano
sintomi
come
l’ipersalivazione, l’ipotensione ortostatica, la stipsi, i problemi urinari e, quindi,
possono essere anche la causa di una disfunzione erettile nell’uomo.
Tali problemi possono, inoltre, derivare dall’utilizzo di specifici farmaci come il
propranololo e gli altri beta-bloccanti, talvolta impiegati per il trattamento del
tremore e dell’ipertensione in pazienti con la malattia di Parkinson.
Altri farmaci che possono causare lo stesso problema sono gli alfa bloccanti, la
guanetidina, i diuretici tiazidici, gli ansiolitici, la digossina, la cimetidina ed alcuni
antidepressivi.
Alcuni studi sulla qualità della vita dei malati parkinsoniani hanno stimato che la
percentuale di soggetti con disfunzioni sessuali va dal 60% all’80%,
comprendendo sia uomini, sia donne.
La percentuale dei malati parkinsoniani con problemi di erezione è più alta nelle
persone più anziane rispetto a quelle più giovani.
I malati più giovani presentano una percentuale di disturbi sessuali del 30%,
mentre nella popolazione sana di pari età tale percentuale si abbassa al 3% fino ad
arrivare al valore massimo del 15%.
Effettivamente,
l’età
avanzata
e
molte
patologie
che
accompagnano
l’invecchiamento fisiologico possono avere un ruolo rilevante nel causare
disfunzioni sessuali.
Il processo erettile inizia nel cervello e coinvolge sia il sistema nervoso che quello
vascolare.
47
Gli stimoli nervosi che determinano nell’uomo la funzione erettile interessano due
vie:
- la via periferica che si attiva attraverso stimoli dell’area genitale ed è mediata da
un meccanismo riflesso a livello del midollo spinale
- la seconda via ha origine nel sistema nervoso centrale ed interessa la corteccia
cerebrale, l’ipotalamo, il tronco cerebrale e causa un’erezione di tipo psichico in
risposta a stimoli immaginativi, uditivi, visivi, olfattivi e tattili.
Lo stimolo sessuale provoca il rilascio di neurotrasmettitori che dal sistema
nervoso centrale (cervello) si portano a cascata in periferia, sino alle terminazioni
nervose intracavernose del pene.
Dai risultati di uno studio sperimentale è emerso che provocando danni alla
Sostanza Nera, si osservavano alterazioni della funzione erettile.
La Sostanza Nera, come noto, è l’area cerebrale la cui degenerazione causa una
minore produzione di dopamina, il neurotrasmettitore essenziale per il controllo
del movimento, la cui carenza causa i disturbi parkinsoniani.
I pazienti parkinsoniani possono quindi presentare il disturbo della disfunzione
erettile come risultato del danno neurologico alle vie centrali dopaminergiche.
Le vie sensoriali periferiche dell’attività sessuale, di tipo riflessogeno, non sono
invece alterate, rimangono intatte.
Anche nelle donne i meccanismi degli stimoli sessuali di origine psichica sono
attivati a livello del sistema nervoso centrale mentre ancora non sono ben
compresi i meccanismi degli stimoli sessuali di natura riflessa che interessano la
via periferica.
I pazienti con la malattia di Parkinson che presentano delle disfunzioni sessuali ne
dovrebbero parlare con il medico curante o con il neurologo.
Si raccomanda anche di rivolgersi all’urologo oppure al ginecologo per le
valutazioni del caso.
48
Per prevenire i disturbi della sfera sessuale è particolarmente importante per i
pazienti affetti dalla malattia di Parkinson controllare sia il proprio stile di vita
(evitando che diventi troppo sedentario), sia il disturbo depressivo (sappiamo
infatti che la depressione è una causa di impotenza).
L’esercizio fisico in particolare aiuta i malati parkinsoniani a rimanere fisicamente
attivi, contribuisce a mantenere integro il sistema cardiovascolare e scheletricomuscolare, concorre al rilassamento ed al sonno equilibrato, mantiene equilibrato
il peso corporeo ed efficiente la distribuzione energetica corporea e dà un senso di
benessere generale.
Informazioni liberamente tratte da:
Intervento del Dottor Keeler, urologo alla Casa di cura Evanston Northwestern Illinois Professore di Clinica urologia - Dipartimento di Urologia della Scuola di
Medicina di Feinberg, Università di Northwestern.
Intervento del Prof. Manfredi Saginario, Specialista e libero docente in
Neurologia e Psichiatria – Parma.
http://www.parkinsonitalia.it
49
Crampi al piede nella malattia di Parkinson
Il dolore muscolare e i crampi ai piedi sono disturbi che comunemente accadono
in seguito a traumi (strappi, distorsioni, slogature), eccessivo esercizio fisico
oppure in associazione all’artrite o alla cattiva circolazione nelle gambe.
Nella malattia del Parkinson, i crampi ai piedi sono un disturbo molto comune la
cui causa è a livello del sistema nervoso centrale.
Il crampo al piede è causato da una severa distonia focale, cioè da un disturbo
neurologico caratterizzato da una contrazione della muscolatura e da spasmi che
portano a movimenti e posture anormali.
Questo disturbo sembra sia causato da anomalie neurochimiche dei gangli della
basale, la parte cerebrale coinvolta nella malattia di Parkinson.
I pazienti parkinsoniani hanno un particolare tipo di crampo al piede,
caratterizzato dall’estensione delle dita dei piedi (con l'alluce in su) oppure dalla
torsione (rotazione verso l’interno) del piede, che si presenta abitualmente sul lato
dove sono più evidenti i segni parkinsoniani.
Tutti questi episodi sono spesso accompagnati da dolore.
Si può anche verificare che pazienti con distonie siano del tutto ignari di essere
affetti da parkinsonismo; i crampi muscolari, effettivamente, possono precedere
anche di anni l'inizio dei sintomi parkinsoniani.
Nella malattia di Parkinson, con la somministrazione di levodopa/carbidopa
(Sinemet®) oppure levodopa/benserazide (Madopar®), le distonia focali possono
essere causate dall’assumere troppa o troppo poca levodopa.
La distonia si può manifestare anche durante i periodi di beneficio clinico, quando
il livello ematico della levodopa ha raggiunto il suo picco farmacologico oppure si
tratta di distonie che tendono a comparire in coincidenza con la fine del ciclo di
risposta alla levodopa, quando gli effetti del farmaco diminuiscono (wear off).
Informazioni liberamente tratte da http://www.parkinsonitalia.it
50
1.4 Prevalenza, incidenza e distribuzione geografica
della malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson colpisce generalmente soggetti oltre i cinquant'anni, si
riscontra più o meno la stessa percentuale di casi in entrambi i sessi con una
leggera prevalenza nel sesso maschile.
I sintomi possono comparire a qualsiasi età, anche se un esordio prima dei 40 anni
é insolito e prima dei 20 é estremamente raro.
Nella maggioranza dei casi i primi sintomi si notano intorno ai 60 anni.
Il motivo per cui i neuroni interessati rimpiccioliscano e poi muoiano non é ancora
conosciuto ed è tuttora argomento di ricerca.
Dopo la malattia di Alzheimer, il Parkinson è la malattia neurologica degenerativa
più diffusa.
La prevalenza (numero di persone affette in un dato periodo per 100.000 abitanti)
cresce in modo lineare con l’aumentare dell’età.
La prevalenza nella popolazione totale è di un caso su 100.000 ma sale a circa 200
sopra i 50 anni e sfiora i 1000 casi nella fascia di età compresa tra 60 e 70 anni.
L’età media di inizio della malattia si può collocare intorno ai 61 anni.
Questo significa che il maggior numero di persone a rischio è quello con età
compresa tra i 50 e 70 anni.
E’ importante sottolineare che questi dati sono approssimativi e forse sottostimati
a causa delle difficoltà che tali tipi di ricerche comportano, quali l’esatta diagnosi
e la rappresentatività del campione esaminato.
Contrariamente a quanto era emerso negli anni settanta, la malattia colpisce in
uguale misura maschi e femmine.
La malattia di Parkinson è presente in tutti i paesi e colpisce tutte le razze.
51
Attualmente in Italia ci sono più di 200.000 malati di Parkinson, con circa dagli
8.000 ai 12.000 nuovi casi l'anno.
Sembra esserci una maggiore predisposizione genetica per le etnie con minore
contenuto di melanina cutanea, quale la razza bianca.
La melanina è un pigmento cutaneo che lega, inattivandole, due potenti tossine
implicate nella patogenesi della malattia: MPTP e MPP+.
A sostegno di questa tesi depongono i risultati di uno studio effettuato in Nigeria
dove la prevalenza tra la popolazione negra era di 37 casi maschi e 7 femmine
contro i 128 e 121 della popolazione bianca.
Anche lo studio eseguito nella contea di Copia (Mississipi-USA) mostra una
maggiore incidenza di casi certi di malattia nei bianchi (280) rispetto ai neri (196).
Una bassa prevalenza è stata accertata anche nei paesi arabi e tra i sardi.
In particolare, in Sardegna vengono maggiormente risparmiate le comunità che
risiedono nella parte meridionale dell’isola che presentano una maggiore affinità
genetica e antropomorfica con la razza araba.
Anche gli asiatici sono leggermente risparmiati dalla malattia.
La malattia è più frequente nelle aree industrializzate, dove vi è un maggiore
impiego di metalli pesanti.
Una correlazione positiva tra rischio ambientale e malattia è stata anche suggerita
con l’esposizione a pesticidi in aree rurali e con l’utilizzo di acqua di pozzo.
52
1.5 Fattori di rischio
A partire dall’iniziale osservazione di James Parkinson, molti autori cercarono,
senza successo, una singola causa della malattia di Parkinson.
Jean-Martin Charcot (1825–1893), neurologo francese ritenuto il fondatore di
della neurologia e i cui lavori ebbero un'influenza profondissima sugli sviluppi
della neuropsichiatria della seconda metà dell'Ottocento, nel 1878 incolpò lo
stress, poi fu considerata possibile una causa ereditaria, poi le infezioni ed infine
anormalità del sistema endocrino.
Recenti osservazioni suggeriscono una genesi multifattoriale, piuttosto che il
risultato di un singolo fattore.
Il disturbo è caratterizzato dalla degenerazione e dalla morte dei neuroni
produttori di dopamina.
Quando questi neuroni scendono sotto il 30% compaiono i primi sintomi tipici
della malattia.
I motivi per cui si verifica questo improvviso blocco nella produzione di
dopamina da parte delle cellule dei gangli posti alla base del cervello sono ancora
sconosciuti, anche se sono state avanzate varie ipotesi tra le quali prevalgono
quella genetica e quella tossica.
Il fatto che la malattia di Parkinson sia stata descritta per la prima volta solo nel
1800 costituisce un indizio a favore dell'ipotesi tossica che fa risalire la causa ad
una sostanza chimica prodotta dall'inquinamento ambientale, ipotesi mai
confermata ma tuttora presa in considerazione dalla ricerca.
L'ipotesi tossica è stata ulteriormente avvalorata dalla scoperta di una particolare
tossina (MPTP) che è causa di una patologia irreversibile simile al Parkinson.
53
Il suo ruolo emerse alla fine degli anni settanta, quando fu riscontrato che
numerose persone colpite dalla malattia di Parkinson in gioventù avevano fatto
uso di sostanze stupefacenti contenenti MPTP.
Questa tesi è sostenuta dalle ricerche effettuata nel 1983 da Langston e colleghi su
gruppo di parkinsoniani “giovani” del Nord della California.
In queste persone la malattia era esordita in maniera acuta e nelle settimane
immediatamente seguenti all’esordio si era rilevato un sensibile peggioramento.
Ciò evidenziava notevoli differenze rispetto alla forma “classica” della malattia,
caratterizzata dall’inizio subdolo ed insidioso e dalla lenta progressione, che si
verifica per lo più in decenni.
Importante fu notare che tutti i pazienti affetti erano tossicodipendenti ed in ogni
caso il parkinsonismo si sviluppò dopo l’uso endovenoso di un composto
narcotico di sintesi denominato “nuova eroina”.
Gli autori descrivevano anche il caso di un giovane studente di chimica che, dopo
essersi iniettato la sostanza in vena, aveva sviluppato la malattia.
L’esame autoptico del giovane, morto successivamente per una overdose, rilevava
le stesse alterazioni cerebrali riscontrate nei pazienti affetti da malattia di
Parkinson.
Purtroppo però, anche se in questi casi è apparsa chiaramente la relazione tra
l’assunzione di una sostanza neurotossica ed il successivo sviluppo del
parkinsonismo, la medicina non ha ancora chiarito l’eziologia e la patogenesi
della forma classica della malattia.
Si può solo supporre che sostanze simili alla MPTP agiscano come tossine,
provocando la morte delle cellule della sostanza nera e la successiva comparsa
della malattia.
54
Quanto all'ipotesi ereditaria, certamente esiste una componente ereditaria nella
predisposizione a sviluppare la malattia, ma solo il 10% circa dei malati ha un
familiare affetto.
La componente genetica sembra essere più importante nei casi ad esordio precoce.
Da non trascurare, infine, l'ipotesi legata all'età.
La malattia presenta infatti un picco di insorgenza attorno ai sessant'anni e
nell'adulto sano la perdita di cellule e di pigmento nella sostanza nera è maggiore
proprio intorno al sessantesimo anno d'età.
Viene meno così la protezione delle cellule contenenti dopamina e il cervello delle
persone anziane è, inevitabilmente, più predisposto al Parkinson.
Altra ipotesi attribuisce un ruolo patogenetico a prodotti del catabolismo
endogeno, che producendo radicali liberi, danneggerebbe le cellule della sostanza
nera.
Vi sono inoltre correlazioni che ancora attendono risposte precise, quali il basso
numero di ipertesi tra i malati di Parkinson o l’alta frequenza di traumi cranici (ne
sono esempio i pugili professionisti, emblematico è il caso di Cassius Clay) e di
pazienti che eseguono una dieta povera di verdure.
Singolare e curiosa appare inoltre la bassa percentuale di fumatori tra i malati di
Parkinson, come se il fumo di sigaretta e la nicotina esercitassero un’azione
protettiva.
Nessuna colpa va attribuita all’alcool in quanto il consumo di alcolici è uguale a
quello riscontrato nei soggetti normali.
Sembra che un esercizio fisico moderato sia associato ad un rischio leggermente
ridotto di malattia.
Informazioni liberamente tratte dall’intervento del Dott. Augusto Scaglioni –
Neurologo presso l’Ospedale Civile di Fidenza – Pr.
http://www.parkinsonitalia.it
55
“Le cause della malattia di Parkinson” di T. Caraceni
http://www.limpe.com/files/causemalattiadiparkinson.pdf
E’ ormai accertato che le cause della malattia di Parkinson sono più di una.
Alcune sono ben definite, altre sono verosimili e possono essere distinte in cause
genetiche e cause ambientali.
Sono state identificate negli ultimi anni 12 diverse forme di Parkinson che
riconoscono una ben precisa origine genetica.
Ne ricordiamo soltanto due, le più importanti:
1) Park 1, con questa sigla si indica la prima forma genetica scoperta nel 1997,
che è causata da una alterazione del gene della alpha synucleina.
E’ questa una forma, assai rara, ad ereditarietà autosomica dominante (i malati
appartengono a diverse generazioni o alla stessa generazione), che si presenta
con un quadro tipico parkinsoniani, pur tuttavia l’età di esordio è di poco
inferiore a quella della malattia di Parkinson semplice e vi può essere una
modesta compromissione cognitiva.
2) Park 2, è determinata da una alterazione del gene della Parkina.
Questa forma ha una ereditarietà autosomica recessiva (i membri colpiti
appartengono alla stessa generazione, fratelli e sorelle) e possiede alcune
peculiarità: esordio in età precoce (da 20 a 40 anni), progressione di malattia
assai lenta con decorso benigno, ed ottima riposta alle terapie convenzionali
della malattia.
Un calcolo approssimativo indica una frequenza del 40% di questo gene nelle
persone che presentano la malattia prima dei 30 anni.
I fattori ambientali sono ritenuti essere una causa o una concausa della malattia,
infatti molti studi epidemiologici pongono tra i fattori di rischio per la malattia di
Parkinson alcune sostanze tossiche usate in agricoltura, quali erbicidi e pesticidi,
o altre simili o solventi organici ed altre ancora.
56
Interessante è una recente ricerca condotta alla Mayo Medical School
dall’epidemiologo Dott. Rocca che ha rivolto la sua attenzione ad evidenziare
come fattori genetici ed ambientali possano combinarsi nell’influenzare il rischio
di ammalarsi di Parkinson.
Sono stati valutati i possibili rapporti causali che le condizioni psichiatriche, le
abitudini dietetiche e lo stile di vita hanno nell’insorgenza della malattia.
Si è visto che la depressione e la ansietà sono assai più frequenti nella storia dei
malati rispetto ai soggetti normali di controllo e che precedono la comparsa dei
sintomi motori parkinsoniani anche di 15-20 anni.
L’interpretazione di questa associazione non è univoca:
1) è possibile che le turbe ansiose e depressive siano manifestazioni precoci dello
stesso processo morboso che in seguito provoca anche i sintomi motori (tremore,
rigidità, acinesia) tipici della malattia,
2) è possibile una mediazione endocrina, difatti lo stato depressivo induce una
eccessiva ed alterata liberazione di corticosteroidi che a loro volta producono
una sofferenza cellulare in particolare a livello della sostanza nera, che è la
regione del cervello più colpita dalla malattia.
Per quanto concerne lo stile di vita e le abitudini alimentari si è osservato che i
soggetti parkinsoniani non fumano in una percentuale assai maggiore e
significativa rispetto ai soggetti normali, così come consumano molto meno caffè,
sia nel senso del numero di tazze giornaliere, sia nel senso della durata nel tempo
dell’uso del caffè.
Si è anche visto che chi tra i parkinsoniani beve caffè in quantità maggiore,
manifesta la malattia più tardi.
Si potrebbe pensare che il fumo ed il caffè siano fattori protettivi attraverso
diversi processi biochimici farmacologici.
57
Di certo non si può consigliare una simile prevenzione o terapia per i noti e sicuri
effetti tossici propri ad esempio del fumo sul sistema cardiocircolatorio e sul
polmone.
Più verosimile è fare riferimento alla personalità premorbosa del soggetto
parkinsoniani.
E’ noto che il malato parkinsoniano, prima di manifestare la malattia, presenta
alcuni tratti di personalità specifici.
E’ un soggetto che tende alla introversione, che ha poca flessibilità, che non
ricerca i cosiddetti “piaceri” della vita e che spesso è eccessivamente ordinato.
Abbiamo appena ricordato che nella storia precedente alla malattia sono
frequenti depressione ed ansietà.
Si può allora immaginare che esista una condizione cerebrale particolare che
assume un andamento progressivo, determinando all’inizio un particolare tipo di
comportamento (introversione, rigidità affettiva e morale), quindi turbe
psichiatriche (depressione) e da ultimo e tardivamente la tipica malattia di
Parkinson (tremore, acinesia, rigidità).
E’ quindi ipotizzabile che la deflessione del tono dell’umore induca di per sé la
non ricerca il non bisogno del consumo del caffè e di droghe in senso lato ivi
compreso il fumo.
Si potrebbe anche pensare come verosimile l’intervento di fattori di suscettibilità
genetica che determinano un’eccessiva sensibilità ad alcuni stimoli, quali fumo e
caffè, con rifiuto degli stessi.
Tra i vari fattori di rischio sono importanti quelli ormonali specie per le donne.
Si è dimostrato infatti che il rischio aumenta con la menopausa, che l’isterectomia
è più frequente nelle donne parkinsoniane, che la menopausa e più precoce nelle
parkinsoniane.
58
Si è visto inoltre, come controprova che tra le donne in menopausa quelle che
assumono con regolarità estrogeni hanno una minore probabilità di manifestare
la malattia.
Si comprende quindi come il problema sia complesso, certamente i fattori genetici
giocano un ruolo importante, tenendo conto anche di un’ultima considerazione
finale che sottolinea i rapporti tra fattori ambientali tossici e quelli ereditari
genetici.
E’ possibile infatti che un’alterazione di un gene che è deputato a favorire i
processi di detossificazione nei confronti di una o più sostanze tossiche nel
soggetto normale, determini un difetto o l’assenza di questa protezione, per cui
quel tossico non è più depurato o può tranquillamente agire determinando la
morte
cellulare
e
quindi
provocare
la
malattia
di
Parkinson.
59
1.6 Trattamento della malattia
La terapia della malattia di Parkinson è principalmente di tipo medico.
La terapia tradizionale mira a risolvere la sintomatologia di tipo motorio
(tremori, rigidità, acinesia) e permette una remissione dei sintomi specialmente
a breve termine.
Nel tempo, però, essa non permette un controllo soddisfacente a causa di effetti
collaterali importanti e di “wearing off” (come nel caso della L-DOPA).
Alla luce delle ultime scoperte scientifiche i ricercatori e i clinici si sono
accorti che questa malattia può essere corretta tanto meglio quanto più
precocemente si riesce a ottenere la diagnosi e, soprattutto, ad iniziare la
terapia.
Partendo infatti dal presupposto che la malattia di Parkinson è una malattia
neurodegenerativa progressiva il cui esordio clinico avviene in una fase
neuropatologicamente avanzata di malattia, e per questo quasi irreversibile, le
nuove tendenze della diagnosi e della terapia si sono rivolte alla ricerca di
farmaci neuroprotettori che preservino le cellule della sostanza nera dagli
insulti ossidativi a cui sono sottoposte.
Terapia neuroprotettiva
La neuroprotezione è un tipo di trattamento che sempre di più sta prendendo
piede in relazione alle patologie del sistema nervoso centrale.
Sappiamo che la malattia di Parkinson si manifesta in seguito alla perdita di
almeno il 70% dei neuroni della sostanza nera e che le ultime scoperte a livello
molecolare stanno aiutando nella comprensione dei meccanismi patogenetici e
nell’elaborazione di presidi terapeutici capaci di agire alla base del problema.
Il farmaco neuroprotettivo più conosciuto e utilizzato è la selegilina
(Deprenyl), farmaco che permette di posticipare il ricorso alla levodopa
mantenendo un buon controllo della sintomatologia.
Quello sulla neuroprotezione è un capitolo ancora tutto da scrivere: diversi
farmaci sono in fase di sperimentazione e stanno ottenendo buoni risultati.
Terapia chirurgica (analizzata più approfonditamente a pag. 73)
Anche in campo neurochirurgico la terapia si sta evolvendo verso forme
sempre più efficaci.
Attualmente la tecnica più utilizzata è la chirurgia stereotassica che permette di
trattare punti situati in profondità nel parenchima cerebrale con precisione
millimetrica.
La scoperta che alcuni nuclei responsabili come il globo pallido e il nucleo
subtalamico potevano essere un bersaglio aggredibile dalla malattia di
Parkinson, ha permesso di elaborare una tecnica, detta Deep Brain Stimulation
(DBS), che permette una buona remissione clinica e una significativa riduzione
della dipendenza da levodopa.
Le persone candidate a questo tipo di intervento sono persone anziane in stadio
già avanzato di malattia che presentano effetti collaterali da uso di levodopa
già abbastanza importanti.
Terapia con cellule staminali
La scoperta che cellule staminali embrionali stimolate in vitro con il prodotto
del gene Nurr1 si differenziavano in cellule dopaminergiche e che queste, se
introdotte per via stereotassica nel cervello di ratti affetti da malattia di
Parkinson, ne rallentavano la progressione fino all’arresto, ha aperto orizzonti
rivoluzionari nel trattamento di questa malattia.
Questa tecnica al momento è soltanto sperimentale e problemi di tipo etico e
pratico ne limitano l’utilizzo.
Terapia genica
Nel caso della malattia di Parkinson la terapia genica arriva dagli Stati Uniti.
A metterla a punto è stato un team di ricercatori guidati da Michael Kaplitt del
New York Presbyterian Hospital/Weill Cornell Medical Center.
61
Il virus con il gene viene iniettato in una zona precisa del cervello, il nucleo
subtalamico, che regola il circuito motorio.
Il neurotrasmettitore GABA "calma" i neuroni iperattivi ed è deficitario nei
pazienti affetti da Parkinson che, di conseguenza, presentano disturbi motori e
tremori.
Iniettando il gene per il GABA all'interno del cervello, i ricercatori hanno
tentato di stimolare la produzione del neurotrasmettitore per normalizzare la
funzione del circuito motorio.
La tecnica, ancora in fase di sperimentazione 1 (su 3) ha dato risultati
promettenti senza effetti collaterali (se non i rischi di una "iniezione" nel
cervello), dimostrandosi quindi ragionevolmente sicura.
E’ comunque necessario avere cautela e continuare la sperimentazione con
studi più ampi.
62
1.7 Farmaci antiparkinson
Nonostante tutte le critiche, la levodopa resta il farmaco principale e più
utilizzato nel trattamento della malattia di Parkinson.
Dopo un certo numero di anni di trattamento con la levodopa, in media 5,
tendono però a comparire una serie di complicazioni e di effetti collaterali
denominati “long term levodopa syndrome”.
Questa sindrome è caratterizzata da:
- “wearing off”, ossia la riduzione del tempo di efficacia del farmaco, che in
certi casi deve essere assunto ogni ora, con notevole peggioramento dei sintomi
prima della dose successiva;
- ipercinesie, cioè quei movimenti involontari che si sovrappongono ai normali
movimenti degli arti.
Questi movimenti possono essere discreti e limitati alle dita della mano o del
piede o interessare altri segmenti il braccio, la gamba, avere un’ampiezza
modesta o assai notevole.
Queste ipercinesie occorrono nella fase scompensata della malattia e
compaiono di solito dopo 15/60 minuti dall’assunzione di una dose di levodopa
durando per alcune ore, da una a tre.
Quando il numero di somministrazioni di levodopa è elevato (5 o più), può
accadere che le ipercinesie siano presenti in concreto tutta la giornata per
cessare alcune ore dopo l’assunzione dell’ultima dose del giorno.
Questo tipo di ipercinesia viene definita anche come ipercinesia di picco dose,
perché compare e corrisponde al momento di massimo livello ematico della
levodopa e al massimo effetto della levodopa stessa.
Le ipercinesie possono verificarsi durante la fase d’ascesa del livello ematico
della levodopa (di inizio dose) o durante la fase di discesa (di fine dose).
63
Le ipercinesie di inizio dose compaiono 15-30 minuti dopo l’assunzione della
dose di levodopa, durano da pochi minuti ad un massimo di 30 minuti e
scompaiono quando il malato passa dalla fase off a quella on.
Sono quindi ipercinesie che annunciano che sta per verificarsi il passaggio
dalla fase off a quella on.
Le ipercinesie di fine dose compaiono quando sta per finire l’effetto
sintomatico della dose precedentemente assunta, hanno breve durata, e
predicono il passaggio dalla fase on alla fase off.
Queste ipercinesie sono la conseguenza dell’attivazione del sistema
dopaminergico da parte della levodopa, non si osservano nelle fasi iniziali di
malattia e per tutto il periodo della fase compensata, ma compaiono dopo molti
anni di trattamento, di solito non prima di cinque anni, nella maggioranza dei
casi dopo 10 anni dall’esordio della malattia.
- fluttuazioni motorie, cioè variazioni importanti dello stato di autonomia del
paziente durante la giornata.
Esse compaiono dopo alcuni anni di malattia (nel 30% dei casi dopo 5 anni,
nell’80% dei casi dopo 10 anni) ed, insieme alle ipercinesie, rappresentano la
manifestazioni della cosiddetta fase scompensata della malattia (o "sindrome
da trattamento a lungo termine con levodopa").
Fanno parte delle fluttuazioni motorie:
1) l’acinesia del risveglio, e l’acinesia notturna;
2) l’effetto fine dose;
3) il fenomeno on-off.
1) L’acinesia del risveglio si ha quando il malato al risveglio si rende conto
della difficoltà nell’esercitare una qualsiasi attività e nota che per esempio
ricompare il tremore, assente durante il resto della giornata.
L’assunzione della prima dose del giorno porta alla scomparsa di questi
sintomi ed il malato si sente di nuovo in forma e riesce a muoversi bene.
64
L’acinesia notturna è lo stesso fenomeno che compare però durante le ore della
notte.
2) L’effetto di fine dose si ha quando il malato si rende conto che l’effetto della
medicina sta per finire e nota la ricomparsa parziale o completa della sua
sintomatologia parkinsoniana: i movimenti si rallentano, ricompare il tremore
ad un arto, il timbro della voce si modifica ecc.
L’assunzione della successiva pillola determina un miglioramento che si
realizza di solito dopo mezz’ora dall’assunzione.
Questo esempio di fluttuazione può ripetersi più volte durante il giorno in
rapporto alle singole dosi della medicina.
3) Il fenomeno on-off è, in un certo senso, l’esaltazione dell’effetto di fine dose
ed è caratterizzato da variazioni della prestazione motoria più rapide, brusche e
violente per cui il malato passa da una fase on, nella quale è completamente
autonomo e in grado di gestire tutte le attività della vita quotidiana, alla fase
off, nella quale è bloccato, incapace di compiere atti anche semplici e dipende
in tutto o in gran parte dall’aiuto degli altri.
Altra caratteristica del fenomeno on-off è quello di essere imprevedibile.
Le fluttuazioni motorie e le ipercinesie rappresentano una modificazione nella
risposta alla terapia; perché questa alterata risposta si verifichi dopo anni di
terapia è ancora oggetto di discussione.
In questo senso, un elemento importante da tenere in considerazione è la
progressione della malattia stessa che provoca una progressiva perdita delle
cellule nervose della sostanza nera e determina un’ulteriore modificazione
della funzione del sistema di controllo motorio.
In poche parole, la malattia dopo molti anni si è aggravata e quindi il substrato
anatomico e la sua funzione sono completamente diversi rispetto a quelli che
erano all’esordio della malattia.
Le cellule nervose sono notevolmente ridotte in numero per cui è ridotta anche
la capacità di immagazzinare la dopamina e questo porta alla conseguenza che
65
la dopamina non viene rilasciata in maniera continua in modo da permettere
una azione fluida e costante ma viene prodotta e rilasciata in modo ripetitivo ad
intervalli in rapporto alla singola assunzione di levodopa che permette il
formarsi della dopamina a livello del cervello.
In questi ultimi anni la ricerca ha cercato di trovare farmaci che possano
sostituire o essere associati alla levodopa in modo da ritardare l’insorgenza di
queste manifestazioni collaterali e questo ha fatto si che il trattamento della
sindrome di Parkinson idiopatica (così definita poiché non se ne conoscono le
cause) divenisse sempre più complesso.
Da una parte vi sono a disposizione svariate nuove tecniche di trattamento
farmacologico e chirurgico, dall’altra si è potuta acquisire un’esperienza di
oltre trent’anni di trattamento con la levodopa.
Ecco, a questo proposito, una breve cronistoria della scoperta di questa
sostanza così importante nel trattamento della malattia di Parkinson.
La scoperta della Levodopa
Sono passati più di trent’anni da quando la levodopa è stata introdotta nella
terapia antiparkinson.
Questa molecola era già nota alla comunità scientifica fin dai primi anni del
novecento ma solamente agli inizi degli anni sessanta fu osservata la sua
efficacia nella malattia di Parkinson.
Ricordiamo i progressi, registrati in questo secolo, nella cura del morbo di
Parkinson caratterizzata, come accade spesso per le scoperte in medicina, da
un percorso tortuoso cosparso di colpi di genio e d'ingenuità, d’intuizioni
brillanti e di errate premesse, di soluzioni clamorose e di fallimenti
fortunatamente positivi.
1912-1913
Un chimico polacco Casimir Funk ipotizza, sulla base della sua struttura, che
la levodopa possa essere un precursore dell’adrenalina.
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In quel periodo un farmacologo di Sassari, Torquato Torquati, incuriosito
dalla colorazione nerastra che compare nelle fave qualche giorno dopo la
raccolta, estrae da queste una sostanza contenente azoto che risponde ai
reattivi per la pirocatechina.
Nei laboratori farmaceutici Roche di Basilea, Markus Guggenheim sta
studiando da tempo le “amine proteinogene”, sostanze che non derivano da
proteine, ma da composti biologici più semplici, come gli aminoacidi.
Incuriosito dai dati di Torquati, ne replica il lavoro e riesce a identificare per
primo la levodopa.
Il compito gli viene facilitato dal fatto che le fave sono uno dei piatti preferiti
di Fritz Hoffmann-La Roche, fondatore della casa farmaceutica.
Egli ne possiede un intero campo proprio dietro la fabbrica e ben volentieri
mette a disposizione di Guggenheim un generoso quantitativo.
(…) Guggenheim comprende gli stretti rapporti fra adrenalina e levodopa, ma
non riesce ad evidenziarne il ruolo biologico, se non per la formazione della
melanina.
1920
La levodopa viene sintetizzata industrialmente e messa a disposizione dei
ricercatori dalla Biochimica Roche.
1960
Nell’ambito degli studi sull’ipertensione arteriosa, l’attenzione dei ricercatori
è rivolta alla noradrenalina, un neurotrasmettitore implicato nella
trasmissione degli impulsi tra le cellule nervose e tra queste ed i vasi
sanguigni, che stimola l’aumento della pressione sanguigna.
La noradrenalina viene formata nel tessuto nervoso a partire dalla dopamina,
che a sua volta deriva dalla levodopa attraverso l’azione dell’enzima
decarbossilasi.
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L’ipotesi dei ricercatori è che inibendo la decarbossilasi si sarebbe ridotta la
concentrazione di noradrenalina nelle fibre nervose delle pareti vascolari, e
quindi si sarebbe abbassata la pressione sanguigna.
Il gruppo di ricerca della Roche riesce a scoprire uno dei più potenti inibitori
della decarbossilasi (Ro 4-4602, successivamente ribattezzato benserazide).
Questo iniziale successo viene però seguito da una doccia fredda: l’inibitore
non abbassa la pressione sanguigna nell’uomo.
In realtà la molecola riusciva effettivamente ad inibire la formazione di
dopamina a partire dalla levodopa, ma non a ridurre la quantità di
noradrenalina presente nel sistema nervoso.
Lo sviluppo di Ro-4-4602 come farmaco antiipertensivo ha una battuta
d’arresto.
1961
Walther Birkmayer utilizza la levodopa per il trattamento di alcuni pazienti
parkinsoniani dietro suggerimento dei biochimici Ehringer e Hornykiewicz,
che avevano riscontrato un basso contenuto di dopamina nel cervello di
pazienti deceduti per la malattia di Parkinson.
Visti gli effetti spettacolari ottenuti, Birkmayer si reca a Basilea per
convincere la società Roche a produrre la levodopa su larga scala e ad
intraprendere studi clinici più allargati.
La casa farmaceutica Roche aderisce alla richiesta nonostante i risultati
ottenuti da Birkmayer siano contestati da vari ambienti scientifici.
Per verificare se gli effetti osservati siano veramente dovuti alla
trasformazione nel cervello della levodopa in dopamina, si consiglia al clinico
di somministrare ai suoi pazienti, insieme alla levodopa, un po’ di benserazide.
La potente inibizione della decarbossilasi esercitata dal farmaco avrebbe
dovuto impedire la trasformazione della levodopa in dopamina e quindi
annullare ogni effetto clinico.
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Grande sorpresa quando, dopo qualche tempo, Birkmayer riferisce che non
solo la benserazide non ha diminuito l’attività della levodopa, ma che anzi l’ha
notevolmente aumentata.
1967
Pletscher ed il suo collaboratore italiano Giuseppe Bartolini con una elegante
serie di ricerche chiariscono definitivamente il meccanismo di azione della
benserazide.
Questa sostanza non è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica.
Per questo motivo impedisce la trasformazione della levodopa in dopamina nei
distretti extra-cerebrali (reni, fegato, intestino…) incrementando, quindi,
l’apporto della levodopa al cervello dove la decarbossilasi non inibita può
trasformarla in dopamina.
1970
Dopo i risultati clinici decisivi ottenuti da Cotzias negli Stati Uniti al termine
del proprio programma di ricerche, la casa farmaceutica Roche mette
finalmente in commercio in tutto il mondo la levodopa.
1973
Gli studi clinici intrapresi successivamente chiariscono il rapporto migliore
tra dosi di levodopa e benserazide (Madopar) e conducono all’introduzione
delle due sostanze nella terapia del morbo di Parkinson.
Successivamente viene individuato un altro inibitore periferico dell’enzima
della decarbossilasi extracerebrale: la carbidopa (Sinemet).
1986
Un altro passo importante è avvenuto con lo sviluppo dei preparati
farmacologici di levodopa a lento rilascio (Madopar HBS e Sinemet CR).
Tali preparati, essendo assorbiti più lentamente, garantiscono livelli
plasmatici di levodopa maggiormente stabili e duraturi capaci di controllare
69
più efficacemente le fluttuazioni motorie attraverso una stimolazione
dopaminergica più continua.
Anche la formulazione di levodopa solubile in acqua a rapido assorbimento
(Madopar dispersibile) costituisce al miglioramento della terapia essendo in
grado di risolvere rapidamente i periodi di blocco motorio (“off”).
Il resto è storia recente.
Dopo aver ripercorso brevemente la storia della Levodopa, una piccola
panoramica sulle attuali categorie di farmaci utilizzate per contrastare la
sintomatologia della malattia di Parkinson.
Levodopa più inibitore della decarbossilasi
La levodopa è il precursore naturale della dopamina.
La dopamina non può essere somministrata direttamente come farmaco non
riuscendo a superare la barriera emato-encefalica e raggiungere, quindi, il
cervello.
Gli inibitori periferici della Dopadecarbossilasi (un enzima la cui funzione è di
trasformare
la
levodopa
in
dopamina)
costituiscono
dei
preparati
farmacologici supplementari i quali impediscono che la levodopa sia
trasformata precocemente in dopamina nelle sedi extracerebrali (cioè al di
fuori del cervello).
I farmaci che svolgono questa funzione essenziale e che rappresentano la
terapia antiparkinson per eccellenza sono:
- Madopar (preparato Retard: Madopar HBS) a base di levodopa e
benserazide;
- Sinemet (preparato Retard: Sinemet CR) costituito da levodopa e carbidopa.
Attraverso i preparati Retard, la levodopa viene liberata lentamente con
l’obiettivo di ridurre le oscillazioni dei livelli della levodopa nel sangue.
Presentano, quindi, la capacità di controllare più efficacemente le fluttuazioni
motorie.
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Con la formulazione standard, a rilascio immediato di levodopa, si può
ottenere, invece, una maggiore efficacia nel controllo della sintomatologia.
Può risultare utile l’impiego di entrambe le formulazioni in associazione.
Sirio® (melevodopa + carbidopa)
SIRIO è una nuova formulazione di levodopa, sottoforma di metilestere della
levodopa (melevodopa) associato a carbidopa (inibitore delle “dopa”
decarbossilasi) che si presenta sottoforma di compresse effervescenti.
(…) L'alta solubilità è una caratteristica molto importante in quanto non solo
facilita la somministrazione ma aumenta la rapidità di assorbimento
assicurando
una
rapida
insorgenza
dell'effetto
terapeutico
sulla
sintomatologia parkinsoniana.
Duodopa (somministrazione intra-duodenale di levodopa + carbidopa)
La Duodopa (levodopa + carbidopa) (…) viene somministrata mediante la
PEG cioè con l'aiuto di una pompa portatile che, attraverso un tubicino,
fornisce la levodopa-carbidopa, dispersa in un gel viscoso, direttamente nel
duodeno determinando una stimolazione dopaminergica continua.
Vale a dire che bisogna eseguire un piccolo intervento chirurgico con il
posizionamento di un tubicino direttamente nel duodeno.
E' un farmaco indicato solo in pochi casi selezionati.
Levomet (levodopa in granulato per soluzione orale estemporanea)
Il preparato farmacologico Levomet contiene, come principio attivo, levodopa
metile cloridrato, un derivato della levodopa altamente solubile.
Stalevo (levodopa + carbidopa + entacapone)
Per il trattamento dei pazienti con malattia di Parkinson che presentano
fluttuazioni motorie giornaliere di “fine dose” non stabilizzate con la terapia a
base di levodopa + inibitori delle dopa decarbossilasi.
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Amantadina
Venne, per caso, scoperto negli anni sessanta come farmaco in grado di
migliorare i sintomi dei pazienti con malattia di Parkinson colpiti da influenza
asiatica.
La sua efficacia è certamente modesta ed inferiore a quella della levodopa,
specialmente nel trattamento a lungo termine.
Dei tre principali sintomi parkinsoniani, quello maggiormente influenzato da
questo farmaco è il tremore.
Somministrata con altri farmaci (anticolinergici o levodopa) mostra di avere
una efficacia anche sulla bradicinesia (lentezza nei movimenti).
In associazione con la levodopa consente spesso di ridurre la dose ottimale di
levodopa poiché ne potenzia l’effetto.
Il suo presunto effetto neuroprotettivo (efficacia protettiva delle cellule
nervose) fino ad ora non è stato dimostrato clinicamente.
Agonisti della dopamina
Questi farmaci simulano l’effetto della dopamina e ne compensano quindi la
carenza a livello cerebrale nei pazienti parkinsoniani.
Esemplificando, costituiscono "chiavi false" che il cervello accetta come
originali.
Devono essere somministrati gradatamente altrimenti possono far insorgere
nel malato nausea e vomito.
Inibitori delle COMT
Gli inibitori delle COMT vengono somministrati insieme con un farmaco a
base di levodopa di cui ne prolungano l’azione bloccando gli enzimi (CatecolO-metil-Transferasi) responsabili della degradazione della levodopa e della
dopamina.
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Anticolinergici
I farmaci anticolinergici cercano di ristabilire nel cervello il regolare ed
equilibrato funzionamento dei neurotrasmettitori, disturbato dalla mancanza
di dopamina: l’eccesso del neurotrasmettitore Acetilcolina viene diminuito.
Come noto, i neurotrasmettitori sono particolari sostanze chimiche che nel
cervello fungono da intermediari per la propagazione degli impulsi nervosi fra
i neuroni.
I pazienti affetti da cataratta che assumano farmaci anticolinergici necessitano
di un controllo periodico da parte dell’oculista.
Inibitore delle MAO-B
L’inibitore delle MAO-B inibisce la distruzione della dopamina (bloccando gli
enzimi monoaminossidasi B che distruggono la dopamina) e ne aumenta,
quindi, la disponibilità a livello cerebrale.
La speranza che questo farmaco abbia un influsso protettivo sulle cellule
nervose ancora sane non è confermata scientificamente.
Tratto da:
“Il morbo di Parkinson”: Dall’ipertensione al Parkinson di Alfred Pletsche
“Il paziente parkinsoniano: Uomini e Dopa" di Luciano Redenti Editoriale
della Ricerca Roche (marzo 1995 / dicembre 1998).
http://www.parkinsonitalia.it
73
1.8 La neurochirurgia nella malattia di Parkinson
“I disturbi del movimento, e fra
questi la malattia di Parkinson,
possono
essere
chirurgicamente
trattati
qualora
la
terapia farmacologica non sia più
in
grado
di
controllare
adeguatamente la sintomatologia.
In
epoca
precedente
all’introduzione in terapia della
L-DOPA,
chirurgico
il
trattamento
era
frequentemente
adottato in questi pazienti.
Recentemente,
a
causa
della
comparsa di effetti collaterali
(massimamente
le
discinesie)
correlati ad assunzione cronica di L-DOPA e DOPA agonisti, nonché per la
necessità di trattare pazienti non più responsivi ai farmaci, la chirurgia dei
disturbi del movimento riscuote nuovo interesse.
Il trattamento chirurgico si basa sulla modulazione funzionale delle complesse
vie nervose dei gangli della base, che sono implicate nel controllo del
movimento.
E’ possibile ridurre chirurgicamente l’iperattività di alcuni nuclei posti lungo
queste vie, il cui eccesso di attività è causa dei principali sintomi della
malattia di Parkinson.
In particolare, i bersagli più frequentemente prescelti per il trattamento
chirurgico sono il nucleo subtalamico di Luys ed il Globo pallido interno.
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Studi sperimentali hanno infatti dimostrato che la loro iperattività sostiene i
disturbi del movimento, in particolare l’ipertono, la bradicinesia, il tremore e
le discinesie.
Nella malattia di Parkinson si verifica la perdita delle cellule che, nella
sostanza nera, producono dopamina, una sostanza chimica essenziale per
controllare il movimento.
La carenza di dopamina sembra essere la causa dell’iperattività del circuito
ganglio-basale: il nucleo subtalamico è un punto importante di integrazione
dei segnali di tale circuito, mentre il globo pallido interno è la via di uscita dei
segnali verso la corteccia motoria; ecco perché la loro inattivazione riduce i
sintomi della malattia.
Tale inattivazione viene ottenuta chirurgicamente mediante interventi di
lesione o di stimolazione.
Le lesioni consistono in limitate coagulazioni dei bersagli prescelti: tali
interventi sono irreversibili, possono presentare complicanze in caso di lesioni
eccessivamente estese e non possono essere eseguiti bilateralmente: si possono
cioè controllare i disturbi solo di un lato del corpo.
Gli interventi di stimolazione non comportano una lesione al tessuto cerebrale,
sono reversibili in caso di insuccesso, possono essere condotti bilateralmente
e, soprattutto, la stimolazione può essere modificata nel tempo, consentendo un
migliore controllo dei sintomi.
La metodologia chirurgica con cui vengono attuati questi interventi è
denominata stereotassi, ed è una tecnica neuro-chirurgica che permette di
localizzare, con estrema precisione, una qualsiasi struttura all'interno della
scatola cranica.
Gli interventi lesionali
La metodologia degli interventi lesionali consiste nella distruzione del
bersaglio da trattare avvalendosi di varie tecniche, ad esempio della
termocoagulazione.
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Viene, praticamente, bruciato un certo volume di encefalo, distruggendolo e,
quindi, vengono interrotti i circuiti neuronali implicati nella genesi dei
principali disturbi della malattia.
Si parla di Talamotomia o di Pallidotomia a seconda dei bersagli trattati.
Una tecnica di lesione alternativa è la radiochirurgia stereotassica con il
metodo "Gamma- Knife" (utilizzata ancora oggi, soprattutto, all'estero).
Le sedi degli interventi
Le sedi degli interventi lesionali sono due: il nucleo VIM del talamo
intermedio e il globo pallido interno.
Talamotomia
Le principali indicazioni al trattamento lesionale del nucleo VIM del talamo
intermedio sono legate soprattutto alla presenza dei seguenti fattori:
- tremore mono-laterale;
- inefficacia del trattamento farmacologico;
- intolleranza del trattamento farmacologico da parte del paziente.
L'altro bersaglio candidato per gli interventi lesionali é il globo pallido
interno.
Negli Stati Uniti è un intervento che viene ancora estensivamente praticato.
Pallidotomia
L'indicazione clinica della pallidotomia si basa, oltreché sull'inefficacia del
trattamento farmacologico, sulla presenza di discinesie, di distonie, di ipertono
e di bradicinesia più che del tremore.
Il nucleo pallido ha un notevole volume.
Questo fa sì che sia più facile raggiungerlo ma, altresì, che sia più difficile
ottenere dei buoni effetti: o lo distruggi tutto, rischiando degli effetti collaterali
severi, oppure si debbono cercare punti specifici dove la coagulazione oppure,
anche, la stimolazione possono avere degli effetti.
76
Prima di procedere alla lesione, occorre effettuare registrazioni, stimolazioni,
interventi lunghi e complessi con un rischio di errore non indifferente.
Se si effettua una coagulazione troppo estesa si può coagulare la capsula
interna dove decorrono le vie motorie.
Il paziente può, quindi, avere una emiparesi.
Si può danneggiare il tratto ottico, che è quel fascio di fibre che porta gli
stimoli luminosi alla corteccia visiva; il paziente può allora presentare dei
disturbi alla vista.
Si presenta talora la necessità di effettuare delle lesioni multiple proprio
perché il volume da lesionare è importante.
Se non si raggiunge un certo volume di lesione possono non esserci effetti
positivi per il paziente.
Le problematiche
La problematica degli interventi lesionali è l'irreversibilità della lesione.
Se la lesione viene praticata nel punto sbagliato oppure viene effettuata in
modo troppo esteso, il paziente avrà dei danni.
Nel tentativo di evitare ciò, il neurochirurgo, allora, può essere portato a
praticare delle lesioni molto limitate.
Queste lesioni limitate però non hanno effetto o, meglio, hanno un effetto
limitato nel tempo.
Dopo alcuni mesi il paziente ripresenta i disturbi originari e, quindi,
l'intervento non è servito.
Sia che si parli di VIM, sia che si parli di globo pallido interno queste lesioni
possono essere solo monolaterali.
La bilateralità di queste lesioni può portare a degli effetti collaterali
importanti.
Di conseguenza, sono candidati a questo tipo di intervento di lesione
monolaterale solo i pazienti che presentano una sintomatologia predominante
solamente da un lato del corpo.
77
Questo, chiaramente, limita le possibilità di trattamento chirurgico dei pazienti
parkinsoniani.
Intrervento di stimolazione
La storia
Prima della stimolazione cronica profonda (Deep Brain Stimulation o DBS),
l'unica possibilità chirurgica per trattare i disturbi del movimento era
rappresentata dagli interventi lesionali.
Tali interventi consistevano nell'interrompere, a livello di una via nucleo
basale oppure a livello di un nucleo, il circuito patologico che si era venuto ad
instaurare e che sosteneva i sintomi della malattia.
Questi interventi nell'era pre-Ldopa erano molto praticati.
E' arrivata, poi, la terapia farmacologica con Ldopa, chiaramente efficace e,
quindi, la frequenza di questi interventi è crollata.
Attualmente, con la tecnica della neurostimolazione, si torna a parlare di
neurochirurgia per il morbo di Parkinson.
Le caratteristiche di questa metodologia
La stereotassi è una metodica in uso in neurochirurgia già da diversi anni ma
che ha avuto in questi ultimi tempi un nuovo vigore, soprattutto, con la recente
ripresa di interesse per la chirurgia nella malattia di Parkinson.
Le caratteristiche sono:
- la precisione millimetrica,
- la possibilità di fare un planning pre-operatorio,
- la micro-invasività.
Gli strumenti
Il casco stereotassico è lo strumento che viene applicato alla testa del paziente
e che permette di verificare, all'interno della testa del paziente, tutta una serie
di coordinate geometriche con precisione millimetrica in modo da poter
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raggiungere, da un qualsiasi punto della volta cranica, il bersaglio, così
identificato.
Il casco stereotassico è munito di un anello che viene fissato, in anestesia
locale, alla testa del paziente, con quattro piccole viti.
All’anello viene poi applicato un arco che può portare vari strumenti, ad
esempio l'elettrodo stimolatore, ed ha la funzione di far avanzare lentamente,
tramite una vite micrometrica, tali strumenti all'interno dell'encefalo del
paziente, fino al bersaglio stabilito.
L'intervento: i sistemi di controllo e di verifica pre-operatoria e
intraoperatoria
Una volta posizionato il casco stereotassico, il paziente viene sottoposto a
Risonanza
magnetica
in
condizioni
stereotassiche
per
verificare
geometricamente la sede del bersaglio da trattare.
Successivamente si fanno verifiche tridimensionali con sistemi di simulazione
di immagini al computer e con un sistema di simulazione reale, chiamato
“phantom”; verificata la precisione della localizzazione del bersaglio si
procede all’intervento vero e proprio.
L'invasione a carico dei tessuti è la minima possibile (mini-invasività).
Si tratta, semplicemente, di eseguire un taglio sulla cute, un piccolo foro a
livello della teca ossea e di penetrare, con degli strumenti estremamente sottili,
all'interno dell'encefalo in modo da ridurre, al minimo necessario, il
danneggiamento del tessuto encefalico.
L’incidenza di complicanze è estremamente bassa rispetto alle comuni
procedure neuro-chirurgiche, ma anche rispetto a qualunque altra procedura
chirurgica.
Con queste metodologie, la percentuale di complicanze maggiori si attesta
intorno allo 0,2%-0,5%.
Una volta posizionati gli elettrodi all'interno dell'encefalo, possiamo verificare
ulteriormente se tutto quello che si sta facendo è giusto attraverso dei sistemi
79
di localizzazione funzionale: si effettuano, cioè, delle stimolazioni e delle
registrazioni dell'attività cerebrale.
(…) Non solo.
Poiché gli effetti sono diversi e graduali, noi potremmo fare una mappa
dell'area cerebrale raggiunta e individuare il punto in cui la stimolazione dà
l'effetto migliore.
Lì, lasceremo l'elettrodo definitivo in caso di stimolazione oppure, nel caso di
un trattamento chirurgico lesionale, lì effettueremo la lesione.
I vantaggi della stimolazione cerebrale profonda
(…) La stimolazione cerebrale profonda è un procedimento non lesionale.
E', quindi, un procedimento reversibile.
Nel caso in cui la stimolazione non funzionasse, oppure fossero stati effettuati
degli errori di localizzazione l'elettrodo potrà essere rimosso e il paziente non
avrà subito alcun danno al tessuto cerebrale.
La DBS, contrariamente alla lesione, può essere praticata anche
bilateralmente.
Si è visto, abbastanza curiosamente, che effettuando la stimolazione bilaterale,
cioè l'inibizione di queste attività nucleari bilaterali, non intervengano degli
effetti collaterali.
Questo è il motivo per cui gli impianti possono essere effettuati sia
bilateralmente, nel nucleo subtalamico, sia bilateralmente, nel globo pallido
interno.
E', quindi, possibile trattare pazienti che presentano una sintomatologia
bilaterale.
Stimolazione modulata nel tempo
Con l'andare del tempo, la stimolazione può perdere parte della sua efficacia.
80
Si potrà allora intervenire aumentando l'intensità dello stimolo, aumentando la
frequenza, si potrà giocare sui vari contatti dell'elettrodo installato che sono
quattro e, quindi, si potrà variare anche il volume stimolato.
Si presentano una serie di possibilità tecniche per cui la stimolazione potrà
essere modulata nel tempo e, quindi, rispondere sempre in modo migliore alle
necessità che il paziente manifesta nel tempo.
Le indicazioni della neurostimolazione
Le indicazioni praticamente sono: disturbi del movimento collegabili alla
malattia di Parkinson: l'ipertono, le discinesie, la bradicinesia, l'acinesia e il
tremore.
Attraverso la stimolazione cerebrale profonda può essere praticato un
trattamento bilaterale, può essere eseguito anche un trattamento in presenza di
un precedente intervento lesionale. (…)
Effetti collaterali
Gli effetti collaterali più frequentemente osservati sono:
- contrazioni muscolari involontarie (distonia);
- movimenti involontari (discinesia);
- formicolio alle braccia e alle gambe,
- articolazione difettosa delle parole,
- aumento del freezing della marcia.
Con una accurata regolazione della stimolazione elettrica e/o modificando il
trattamento farmacologico è possibile controllare la maggior parte degli effetti
collaterali.
Limiti della DBS
I limiti principali della DBS rispetto agli interventi lesionali sono:
- il rischio di infezioni che possono parassitare le protesi;
- rotture meccaniche o malfunzionamento elettronico delle protesi;
- spegnimento dello stimolatore se esposto a forti campi elettromagnetici;
81
- necessità di sostituire periodicamente il generatore (ogni 5 aa);
- i costi: l’apparecchiatura necessaria per la DBS è costosa, la lesione non lo
è.”.
Informazioni tratte dall’intervento del Dottor Andrea Landi
Neurochirurgo - Ospedale San Gerardo di Monza.
http://www.parkinsonitalia.it
A proposito di questa terapia riporto, per dovere di cronaca, questa notizia
estremamente recente (datata lunedì 20 ottobre 2008).
“Soulas T, Gurruchaga JM, Palfi S, Cesaro P, Nguyen JP, Fénelon G.
Department of Neurosurgery, AP-HP, CHU Henri Mondor, Créteil, France.
A higher than expected frequency of suicide has been reported among patients
undergoing subthalamic nucleus deep brain stimulation (STN DBS) for
advanced Parkinson's disease (PD). We conducted a retrospective survey of
200 patients with PD who underwent STN DBS. Two patients (1%) committed
suicide and four (2%) attempted suicide, despite clear motor improvements.
Suicidal patients did not differ from non-suicidal patients with respect to age,
disease duration or preoperative depressive and cognitive status. Suicidal
behaviour was associated with postoperative depression and/or altered
impulse regulation. Suicidal behaviour is a potential hazard of STN DBS,
calling for careful preoperative assessment and close postoperative psychiatric
and behavioural follow-up.”
Tratto da:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18403439?ordinalpos=NaN&itool=Entre
zSystem2.PEntrez.Pubmed.Pubmed_ResultsPanel.Pubmed_RVDocSum
Traduzione italiana:
“Suicidio nonostante miglioramento della malattia di Parkinson - Il dubbio di
ricercatori francesi.
82
Nel corso di una revisione dei risultati ottenuti in 200 pazienti sottoposti alla
stimolazione cerebrale profonda, ricercatori del centro Henri Mondor a
Creteil (Francia) hanno rilevato che due pazienti si erano suicidati e che altri
4 avevano tentato di farlo.
La frequenza degli eventi è più alta di quella attesa nella popolazione
generale. I ricercatori hanno sollevato il dubbio che tale comportamento
possa essere il risultato di un danno ai circuiti cerebrali indotto dalla
procedura chirurgica.”
(Tratto da:
http://www.parkinson.it/chirurgia/suicidio_nonostante_miglioramento_della_m
alattia_di_parkinson.html)
83
1.9 Prospettive di cura
La ricerca sul trattamento del Parkinson è focalizzata su due filoni: il
rallentamento della degenerazione del tessuto cerebrale (neuroprotezione) e la
possibilità di ripristinare le funzioni perse.
Tra i composti sperimentati per la possibile azione neuroprotettiva vi sono:
- quelli che potenziano l’azione di un potente antiossidante come il glutatione;
- quelli che agiscono contro i radicali liberi, molecole responsabili di fenomeni
ossidativi cellulari;
- quelli che agiscono contro la funzione ossidativa della dopamina;
- quelli che eliminano gli eccessi di ferro (elemento ossidante e perciò dannoso
se non legato ad altri composti).
Il recupero delle funzioni neurologiche potrebbe ottenersi con l’impiego di
fattori neurotrofici, cioè composti che intervengono durante lo sviluppo fetale
nella crescita del sistema nervoso; tra questi, le molecole proteiche di tipo
GNDF (fattore neurotrofico di origine gliale) che, in corso di sperimentazione
negli Stati Uniti, non sembrano possano trovare una concreta applicazione
perché devono essere inoculate direttamente nel tessuto cerebrale.
Allo studio ci sono anche le proteine note come immunoneurofilline che, al
contrario delle precedenti, possono essere somministrate per via orale e quindi,
in futuro, potrebbero essere indicate non solo ai malati ma anche ai soggetti a
rischio di Parkinson.
Un altro gruppo di farmaci sono gli inibitori del glutammato, sostanza che
normalmente è presente nel cervello ed è coinvolta nella sintesi di radicali
liberi ed acqua ossigenata.
Poiché questi composti sono prodotti in eccesso nei parkinsoniani e risultano
dannosi, farmaci che limitano l’azione del glutammato potrebbero avere effetti
positivi; tra questi, la remacemide che in Italia viene già usata negli ospedali
per il trattamento della sclerosi laterale amiotrofica.
84
Allo studio anche la possibilità di effettuare una terapia cellulare impiegando
cellule staminali indotte a differenziarsi in cellule di tipo neuronale.
Se non è ancora stato trovato il farmaco definitivo anti-Parkinson, ma un
agente protettivo dalla potente azione ritardante nei confronti della
degenerazione neurologica sembra essere un enzima, il cosiddetto Q10.
Ciò almeno è quanto emerge dai risultati di uno studio triennale condotto dal
medico statunitense Clifford Shults all’Università di San Diego (California) e
resi noti nell’ottobre 2002.
La molecola è già presente fisiologicamente nell’organismo umano e risiede
nei mitocondri, dove svolge un’azione antiossidante e inibisce la sintesi di
radicali liberi assai dannosi per la cellula.
Si trova anche in molti integratori alimentari in commercio.
Lo studio del team californiano si è basato sull’osservazione che molti pazienti
parkinsoniani possiedono livelli insolitamente bassi di enzima Q10 e ciò
potrebbe essere correlato al processo degenerativo.
I risultati di Shults hanno suscitato molto interesse nella comunità scientifica,
ma anche perplessità determinate dal fatto che la sua ricerca ha misurato il
rallentamento della malattia nei pazienti attraverso la valutazione dei sintomi
visibili, mentre non ha potuto fornire dati certi sulla reale condizione
neurologica dei malati.
Dunque, l’enzima potrebbe secondo alcuni solo alleviare i sintomi.
I National Institutes of Health statunitensi stanno valutando di sottoporre
questa molecola e altre, come i farmaci antinfiammatori, a trials clinici su
ampia scala.
85
1.10 Per concludere… chi era James Parkinson?
James Parkinson nacque a Londra nel 1755.
Era un uomo dai molteplici interessi: fu
sostenitore delle classi meno abbienti e degli
ideali legati alla Rivoluzione Francese (per i
suoi ideali sociali e rivoluzionari, pubblicò
numerosi pamphlets sotto lo pseudonimo di
"Old Hubert") e studioso di chimica e
paleontologia (a questo proposito, vanno
ricordate le varie edizioni del Manuale
chimico, una lunga dissertazione sui vari tipi
di fossili, i 3 volumi di Resti Organici di un Mondo precedente ed una piccola
opera Elementi di Ornitologia).
Tra il 1799 ed il 1807 Parkinson si dedicò completamente alla medicina.
Pubblicò numerose opere mediche, tra cui una dedicata alla terapia della gotta
ed una dedicata alla peritonite provocata dall'appendicite perforante,
probabilmente la prima opera medica su questo argomento.
A questo periodo risalgono anche gli Ammonimenti Medici, il primo di una
serie di opere mediche il cui scopo principale era migliorare la salute generale
del popolo in maniera umanitaria; ciò si concretizzò anche nella crociata per il
miglioramento dei manicomi e della protezione legale di pazienti mentali.
La fama di Parkinson è soprattutto legata ad una malattia neurologica e
degenerativa che prese il suo nome, la malattia di Parkinson, come 40 anni più
tardi verrà definita da Jean-Martin Charcot.
Nel 1817 James Parkinson riferì in merito a sei casi di tremore e debolezza
generalizzata con intelletto conservato.
Egli denominò la nuova malattia “Paralisi agitante”, termine che restò in uso
per molti anni, nonostante ulteriori osservazioni negli anni successivi
portassero alla conclusione che i pazienti affetti da paralisi agitante non erano
86
affatto paralizzati, anzi, in particolari situazioni di emergenza potevano
camminare o correre più velocemente di un soggetto normale.
Il tremore, inoltre, non fa sempre parte del corteo sintomatologico della
malattia.
Oggi il termine “Paralisi agitante” non è più usato, ma bisogna riconoscere a
James Parkinson un acume clinico particolare con la prima descrizione della
malattia che oggi porta il suo nome.
Sempre nel 1817 Parkinson scrisse un Saggio sulla Paralisi Agitante,
osservando il comportamento dei malati che manifestavano riduzione
progressiva della mobilità, rigidità muscolare, tremore involontario, andatura
incerta.
Egli attribuì la causa alla rivoluzione industriale in Inghilterra e
all'inquinamento atmosferico che essa provocò.
Dopo di lui, altri medici, tra cui lo stesso Charcot, aggiunsero dettagli alla
diagnosi e alla sintomatologia di questa sindrome, ma fu Parkinson che per
primo diede un assetto preciso alle informazioni sulla malattia.
87
SECONDA PARTE
Musicoterapia e Parkinson
Ogni malattia è un problema musicale, la
guarigione una soluzione musicale.
Quanto più breve, e tuttavia più perfetta la
soluzione,
tanto
maggiore
è
l'ingegno
musicale del medico.
Novalis (pseudonimo di Georg Friedrich
Philipp Freiherr von Hardenberg).
Per tentare di fare una piccola panoramica, sommaria e necessariamente
sintetica ed incompleta, sullo “stato dei lavori”, ecco di seguito una breve
selezione di notizie, studi e informazioni relativi all’uso della musicoterapia nel
trattamento della malattia di Parkinson.
- Liberamente tratto da “La riabilitazione delle persone affette dal morbo di
Parkinson” a cura del Prof. Antonio Suelzu e della dott.ssa Nicoleta
Anghelache (www.salutare.info/pdf/51_18.pdf)
La musica è una grande amica dei malati di Parkinson.
Muoversi in base a uno stimolo ritmico contenuto in un brano musicale che si
sta ascoltando o cantare una canzone, anche solo mentalmente, può aiutare i
pazienti nella deambulazione e in alcuni dei problemi tipici della malattia.
A promuovere “ufficialmente” l’uso della musica nel trattamento dei malati di
Parkinson è uno studio giapponese condotto dai ricercatori dei ricercatori Japan
Masayuki Satoh Shigeki Kuzuhara della Mie University School of Medicine di
Tsu.
Gli studiosi giapponesi sono convinti che molti disturbi motori dei
parkinsoniani possano essere migliorati con la musicoterapia e attraverso un
88
uso calibrato dei vari elementi del linguaggio musicale, ed in particolar,e di
tutta la valenza ritmica del linguaggio stesso.
I malati di Parkinson devono affrontare ogni giorno la difficoltà di avere un
corpo che non risponde in modo coerente alla propria volontà di muoversi. Non
solo per effetto del classico tremore, ma anche per disturbi più o meno
pronunciati nella deambulazione.
Lo studio nipponico si è rivelato un vero successo.
Il risultato è stato raggiunto progressivamente, prima invitando i pazienti ad
ascoltare una canzone ben ritmata, poi chiedendo loro di battere il ritmo con
le mani, quindi invitandoli a cantare e a battere il ritmo nello stesso tempo,
fino ad arrivare a cantare mentalmente camminando.
Molti pazienti hanno imparato a usare questo sistema nella vita di tutti i giorni
per migliorare la loro andatura e riacquistare una certa autonomia.
Gli autori ritengono che l’effetto della terapia musicale sia legato alla
componente ritmica del brano, che agisce su particolari strutture cerebrali dette
'gangli della base'.
Lo studio, riportato anche sulla newsletter della Fondazione Mariani
“Neuromusic News”, è stato pubblicato su “European Neurology” e
rappresenta la prima prova scientifica di un metodo empirico da tempo
utilizzato dai terapisti nipponici per migliorare la deambulazione nei
parkinsoniani.
Sempre in questo senso, è interessante leggere parte di un'intervista fatta al
Cardinale Carlo Maria Martini, malato di Parkinson: ”Vorrei descrivere
brevemente ciò che mi ha aiutato.
Ho provato musiche di vari autori, ma alla fine ho concluso che la musica di
Mozart è quella che maggiormente aiuta.
(…) In particolare quando è necessario camminare, fare esercizio di
deambulazione, la musica di Mozart aiuta a marciare a passo di musica e a
89
superare tutte le remore e le difficoltà che tendono a bloccare o ad appesantire
la marcia.
Talora mi capita anche di muovermi nella mia camera, sotto l’influsso della
musica, come a passo di danza e di mettere così con più facilità in ordine le
cose o preparare il materiale per lo studio.
La musica deve arrivare alle orecchie attraverso auricolari di vario tipo ed
essere tenuta a livello un po' alto.
Infatti il suono che arriva in qualche modo al cervello stimola maggiormente il
movimento e dà quel ritmo che invita a muoversi speditamente.
La musica di Mozart costituisce un tesoro inesauribile per chi voglia lasciarsi
guidare e sostenere dal ritmo e dalla melodia e così dare vigore al suo agire.
In essa chi voglia esercitarsi nel “pensare positivo” trova un aiuto concreto e
discreto, che stimola la fantasia e il tono affettivo a entrare in una condizione
ottimale per agire con impegno e superare le remore e i blocchi nell’azione.”
- Liberamente tratto dal sito www.parkidee.it 09. a.
(www.parkidee.it/PDF/PDF%20IT/09.a.la_musicoterapia.pdf).
Tra le numerosi terapie da prendere in considerazione come complemento alla
terapia
farmacologica,
la
musicoterapia
sembra
offrire
possibilità
particolarmente interessanti per le persone colpite da malattia di Parkinson.
In particolare:
 Miglioramento della stabilità e dell’equilibrio.
 Miglioramento della coordinazione dei movimenti e dell’andatura.
 Stimolazione ed incoraggiamento dei movimenti e del cammino.
 Miglioramento delle performance fisiche.
 Miglioramento della respirazione.
 Miglioramento della fonazione e dell’articolazione della parole grazie al
canto e quindi aiuto alla logopedia.
 Difesa contro l’ansia e la depressione, miglioramento dell’umore.
 Rilassamento.
90
 Aiuto nei contatti umani e nella socializzazione e miglioramento nella
capacità di comunicazione.
- Tratto da “Terapia a ritmo di musica” di Claudia Boselli
(www.archivio.panorama.it/scienze/articolo/idA020001030062.art)
(…) Il morbo di Parkinson, che in Italia colpisce oltre 220 mila persone con
circa 1.200 nuovi casi l'anno, è causato dalla degenerazione di alcuni neuroni
situati in una zona profonda del cervello, chiamata sostanza nera.
I sintomi sono tremore, lentezza dei movimenti, rigidità, disturbo del cammino
e dell'equilibrio, postura curva, difficoltà di linguaggio e nella deglutizione,
eccessiva presenza di saliva in bocca.
In che modo e in quale misura la musica può aiutare un malato di Parkinson,
dal punto di vista sia fisico sia emotivo?
«La musicoterapia contribuisce a migliorare tono, modulazione e volume della
voce» spiega Gianni Pezzoli, direttore del Centro Parkinson.
«Il canto permette di controllare i muscoli per l'emissione della voce, la
pronuncia, l'intonazione e la velocità dell'eloquio».
Aggiunge Alessandra Basili, logopedista del Centro: «Nel malato di Parkinson
le corde vocali non si chiudono adeguatamente, quindi l'aria che arriva dai
polmoni e mette in vibrazione le corde vocali per produrre i suoni sfugge, e dà
origine a ipofonia, cioè voce a basso volume, rauca, afona».
Per quanto riguarda il problema della chiusura delle corde vocali, il
programma utilizza la tecnica del «pushing» (spinta energica dei palmi delle
mani uno contro l'altro) e dei vocalizzi.
«Si lavora inoltre sulle qualità acustiche della voce per migliorarne il ritmo,
anche con l'uso del metronomo» precisa Basili.
«Così il paziente impara a riconoscere quando il tono si sta affievolendo, a
tirare un lungo respiro e a rendere la voce di nuovo udibile».
Muoversi a tempo di musica può essere efficace per affrontare il blocco dei
movimenti di cui soffre oltre la metà dei parkinsoniani.
91
«Suggerire al paziente di darsi un ritmo può risolvere la sua incapacità a
riprendere il cammino.
Questo tipo di malati infatti non hanno più quella sorta di pacemaker interno
che una persona sana possiede» precisa Pezzoli.
Due gruppi di studiosi delle università americane del Colorado e del Michigan
hanno dimostrato che persone con Parkinson camminano a passi più veloci e
lunghi e hanno un maggior equilibrio se nel frattempo ascoltano musica.
Risultati promettenti che la newsletter Health & Nutrition dell'università Tufts
di Boston ha riferito in questi termini: «Alcuni ricercatori propongono che nel
trattamento del morbo di Parkinson la musicoterapia, in associazione con la
fisioterapia, dovrebbe essere la regola piuttosto che l'eccezione».
- Tratto dai risultati di una ricerca canadese pubblicata sulla rivista
inglese “Brain”
(www.azsalute.it/onlinedition/11-dic06/dic06-04Musica-Bambini.html)
La musica come “musa del cervello”, trova conferma anche negli studi di
Oliver Sacks: si evince la prova degli effetti terapeutici delle note musicali sul
decorso di malattie neurodegenerative gravi come la demenza e il Parkinson.
Secondo il resoconto di Sacks sulla rivista inglese, (…) persone affette da
parkinsonismo, nelle quali i movimenti tendono ad essere smoderatamente
lenti, finanche congelati, o veloci e imprecisi, possono superare questi disturbi
motori con l’ascolto di musica dal ritmo regolare.
«Il grande compositore Lukas Foss, americano d’adozione, parkinsoniano, ha
forti difficoltà motorie, ma se per lui è oggi un’impresa muoversi fino al
pianoforte - dice Sacks - una volta alla tastiera può suonare Chopin con un
controllo, una grazia, una precisione squisite, per poi lasciarsi avvincere di
nuovo dai tremori del Parkinson appena smette di suonare.
(…) «Per uno dei miei gravi pazienti parkinsoniani - racconta Sacks –(la
musica) è potente come un farmaco: un minuto lo vedo scattare, tremare e
92
farfugliare, un minuto dopo, appena ascolta la musica, tutti i fenomeni
scompaiono, i suoi movimenti si fanno fluidi e aggraziati».
E non è tutto: «Il potere della musica - sostiene Sacks - è veramente
straordinario, singolare, su pazienti con autismo e disturbi correlati che
altrimenti avrebbero difficoltà enormi nel rapportarsi con forti stati emotivi».
(…) «Il nostro sistema uditivo e il nostro cervello sono sintonizzati con la
musica - conclude Sacks - sembra esserci in noi una sensibilità alla musica
tale da spiegarne l’effetto terapeutico, ma in due decenni di ricerca non
abbiamo ancora trovato una risposta al perché la musica abbia un simile
potere terapeutico».
- Tratto da “La pedagogia clinica: una risposta alla malattia di Parkinson”
scritto dalla Dott.ssa Dalila Da Lio e dalla Dott.ssa Giovanna Giacomini
(www.gdpedagogiaclinica.it/download/articolo%20sul%20Parkinson.doc)
L’idea di proporre un progetto pedagogico clinico alle persone con malattia di
Parkinson, nasce dall’incontro con l’Associazione di Promozione Sociale
“Progetto Parkinson” della provincia di Treviso che ha lo scopo di rispondere
ai bisogni della persona con la volontà di sperimentare e promuovere nuove
scienze e nuovi metodi.
Non trovando particolari aiuti dagli ospedali, il cui servizio è pressoché
limitato alla diagnosi iniziale della malattia e alla terapia farmacologia, le
persone colpite da Parkinson vivono una situazione di dispersione e uno stato
di solitudine.
L’Associazione si è assunta il compito di creare una rete di sostegno e di
fornire dei servizi alternativi e complementari al percorso medico, rivolti al
benessere delle persone.
(…) Il nostro intento (…) è stato ed è quello di realizzare un intervento mirato
e puntuale rivolto non al malato, ma alla persona che, nonostante la malattia,
possiede aspetti integri e potenzialità che, se adeguatamente stimolate,
possono originare effetti positivi e miglioramenti.
93
Il nostro approccio è globale, rivolto all’essere umano nella sua totalità e
complessità come unione tra corpo e mente.
Le prime esperienze proposte sono state fondamentali per "rompere il
ghiaccio", abbattere le prime barriere inibitorie e favorire interessi diversi,
con l’obiettivo primario di creare un clima di partecipazione attiva.
Questo ha permesso all’individuo e al gruppo di tradurre la demotivazione, la
delusione legata all’accettazione della malattia e gli impacci, in un'altra
comunicazione autentica.
(…) Il metodo Musicopedagogia, favorisce uno sviluppo e un cambiamento
della persona, nonché una riduzione degli stati d’ansia e il miglioramento del
tono dell’umore.
Una ricerca effettuata negli Stati Uniti dimostra che “la musica permette ai
malati di Parkinson di riguadagnare la capacità di organizzare ed eseguire i
movimenti che sono stati persi a causa della malattia.
La musica evoca una risposta in ogni persona che viene sfruttata per aiutarla
a emanare uno specifico movimento fisiologico, come ad esempio il
camminare.
Il ritmo deve essere stimolante e la musica facile da ricordare.” (Michael
Thaut, direttore del progetto della Colorado State University, 1994).
L’Esperienza “Forme Sonore” è di particolare rilievo per il Parkinson, in
quanto la persona deve immaginare i movimenti suggeriti dalla musica, anche
quei movimenti che quotidianamente sono più difficili da realizzare.
Inoltre, mantenere una postura in equilibrio è molto difficile e richiede una
grande concentrazione e controllo dei segmenti corporei.
Si tratta di un’esperienza molto interessante in quanto, come riportato dagli
stessi partecipanti, è la musica ad aiutare e sostenere il corpo nella postura e
successivamente nel movimento lento di trasformazione da una postura ad
un’altra.
Anche le esperienze di respirazione sono fondamentali.
94
Sappiamo che una respirazione calma diminuisce l’ansia e migliora lo stato
psicofisico della persona.
La respirazione è altrettanto importante nel processo di produzione
espressivo-vocale.
Spesso le persone malate di Parkinson manifestano delle alterazioni della voce
dovute ad un ridotto coordinamento dei muscoli che controllano la
respirazione, la fonazione, l’articolazione, la prosodia.
L’obiettivo che ci siamo poste è quello di poter migliorare, attraverso delle
esperienze mirate, la loro espressività vocale.
- Tratto da “Malattia di Parkinson - La voce del parkinsoniano può
migliorare grazie alla Cantoterapia?” scritto da Livio Bressan
(www.formazione.eu.com/_documents/cagranda/articoli/2005/0409.pdf)
Il presente articolo espone in modo divulgativo i risultati parziali di uno studio
pilota condotto dall’autore Livio Bressan, e dalla specializzanda in Neurologia
presso l’Ospedale S. Raffaele di Milano Daniela Ceppi su pazienti seguiti
presso il reparto di Fisioterapia del CTO di Milano (Istituti Clinici di
Perfezionamento), con la supervisione del locale Centro Parkinson e del
Centro Diurno Integrato ACLI-Torpedone di Cinisello Balsamo.
“Nel febbraio di quest’anno, durante il lancio di un cd a favore delle ricerca
contro la malattia di Parkinson, un noto cantautore italiano - che della sua
malattia non ha mai fatto segreto -ebbe a dire: “Quando da giovane ho
cominciato a cantare la mia voce tremava. Ora, invece, è una spada che uso
come una clava”. Il celebre cantautore aggiunse senza esitazione: “Il canto è
una forma di cura contro il Parkinson. Il continuo esercizio ha migliorato la
mia voce e, nel contempo, ha fatto sentire meglio anche me”.
Può il canto - se eseguito sotto la guida di rieducatori esperti - integrarsi con
la logopedia tradizionale?
È questa la domanda che ci siamo posti quando abbiamo iniziato uno studio
pilota sulla “Cantoterapia”. Oggi, a distanza di circa due anni dall’inizio dei
95
lavori di ricerca, possiamo affermare che la Cantoterapia ci sembra un
trattamento utile e possibile, non solo per i comprovati risultati positivi sulla
capacità comunicativa del paziente ma, soprattutto, perché tale metodica ha
ripercussioni favorevoli sulla vita relazionale e sociale delle persone con
Parkinson.
(…) Poiché per l’OMS la salute non è la semplice assenza di malattia, ma è un
tripode di benessere fisico, mentale-affettivo e sociale e la qualità di vita è un
giudizio individuale e soggettivo, mutevole nel tempo, abbiamo voluto porre in
primo piano l'impatto fisico, psicoemozionale e sociale della malattia di
Parkinson dal punto di vista dell'individuo malato ed abbiamo ideato un
insieme coordinato di interventi rieducativi, assegnando le priorità in funzione
delle ripercussioni di tali interventi sulla qualità di vita del paziente.
Tali interventi riabilitativi - che si basano su di una armonica integrazione tra
medicina scientifica e medicina cosiddetta alternativa o complementare - si
pongono il fine ultimo di alleviare la sofferenza dei malati di Parkinson con
cui si deve stringere le necessarie sinergie per scongiurare l'isolamento e per
combattere quel senso di impotenza che prende sia i malati che le loro
famiglie.
(…) Pertanto, il presente lavoro sulla “Cantoterapia” si inserisce nel contesto
più ampio del “Metodo” che l’autore del presente lavoro ha realizzato con
l’aiuto dei suoi collaboratori e che cerca di integrare alcuni aspetti della
medicina complementare con quelli della medicina scientifica tradizionale e
che vuole costituire un primo contributo clinico-sperimentale a favore delle
persone con Parkinson, disponibile tuttavia, a modificarsi con l’innesto di
nuove idee e ulteriori contributi scientifici.
(…) Parlare è un’attività motoria che implica meccanismi altamente
specializzati dei muscoli che controllano la respirazione, la fonazione,
l’articolazione e la prosodia.
96
Nella malattia di Parkinson le alterazioni della voce sono dovute ad un
alterato coordinamento di tali muscoli.
I sintomi a carico dell’apparato fonatorio che si possono manifestare come
conseguenza di queste alterazioni sono: indebolimento del volume della voce;
affievolimento della voce; monotonia del timbro con espressione povera;
peggioramento progressivo della qualità dell’eloquio; pronuncia indistinta
delle parole; progressiva accelerazione del ritmo; involontaria esitazione
prima di iniziare a parlare; ripetizioni incontrollate di parole, frasi e periodi.
(…) La rieducazione della voce attraverso il canto può rappresentare un
metodo efficace per migliorare la voce.
È questa la conclusione di uno studio pilota condotto dal nostro gruppo di
lavoro a cui ne stanno seguendo altri ancora in corso.
Senza entrare nella descrizione dei particolari tecnici - stante la funzione
puramente divulgativa dell’intervento presente – vogliamo solo segnalare che i
pazienti sono stati suddivisi in due gruppi omogenei di cui il primo è stato
casualmente assegnato alla logopedia tradizionale, mentre il secondo è stato
affidato ad una docente di canto con titoli ed esperienza nel settore della
rieducazione vocale, che ha applicato alcune tecniche precedentemente ideate
e concordate con lo scrivente.
Al termine del trattamento, i risultati dei due diversi schemi rieducativi sono
stati valutati da tre medici specialisti esperti nella diagnosi e cura della
malattia di Parkinson, ignari del tipo di trattamento.
I tre specialisti hanno ascoltato per ogni paziente due registrazioni della
lettura di un “brano bilanciato” effettuata prima e subito dopo il termine del
ciclo rieducativo.
Secondo il loro giudizio logopedia tradizionale e cantoterapia hanno ottenuto
risultati positivi qualitativamente diversi ma praticamente sovrapponibili sotto
il profilo riabilitativo globale.
97
Tuttavia, l’esame dei risultati ottenuti con alcune scale di misurazione della
qualità di vita (LSI, IQ- 39), ha evidenziato che la Cantoterapia ottiene,
rispetto alla logopedia tradizionale, un netto miglioramento della vita di
relazione, essendo nettamente favorita nel recupero dell’espressione facciale,
nell’aumento dell’autostima e nella elevazione del tono dell’umore.
(…) La rieducazione col canto, inoltre, ben si presta a tecniche ed a esercizi
collettivi che mantengono, o addirittura migliorano, i rapporti relazionali dei
malati di Parkinson, spesso smorzati da disturbi depressivi frequenti in questa
malattia.
Il canto corale, nella nostra esperienza, si è dimostrato in grado di fornire uno
stimolo delle capacità cognitive, sfruttando, nel contempo, le capacità creative
ed emozionali delle persone malate.
Infatti, il canto può costituire un’occasione di potenziamento mnestico
attraverso il richiamo di canzoni familiari e con l’apprendimento e la
ripetizione di melodie presentate ai pazienti per la prima volta.
Però, il canto corale è soprattutto in grado di agire sul tono dell’umore dei
malati e di incidere sulle loro motivazioni, aiutandoli, in definitiva, nella loro
vita di relazione.
Il canto corale, infatti, in quanto attività di gruppo, enfatizza la
socializzazione, l’integrazione nell’ambiente, l’espressione dei sentimenti, la
consapevolezza di sé.
(…) Le esperienze positive provate con la Cantoterapia individuale corale
motivano i pazienti non solo a partecipare al trattamento stesso, ma anche ad
usare le loro nuove capacità vocali nell’eloquio funzionale quotidiano al di
fuori delle sedute terapeutiche, promuovendo la socializzazione.
Anche l’espressione facciale ne ha tratto giovamento con l’esercizio a
sorridere, aggrottare le sopracciglia e sogghignare.
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Anche se questi aspetti fisionomici non hanno influenza diretta sul linguaggio,
i cambiamenti dell’espressione facciale sono importanti per accrescere la
capacità di comunicare in modo efficace.
Inoltre, gli esercizi proposti durante le sedute di Cantoterapia hanno indotto
anche a risolvere le conseguenze comportamentali di un eloquio difficoltoso,
come la paura di affrontare gli altri, ridando autostima, affermazione di sé,
coraggio ed allegria.
Non solo, attraverso il canto ogni malato può entrare in contatto con il proprio
corpo.
Ovvero, attraverso le note gravi, può percepire le vibrazioni sonore nel petto e
nel ventre, mentre con le note più acute può sentire le vibrazioni nel palato e
nella fronte.
In altre parole, attraverso il canto, il paziente può amplificare il contatto con il
proprio corpo prendendo coscienza di parti “nascoste” del proprio apparato
respiratorio e bucco-fonatorio.
Però non va dimenticato che il fine della Cantoterapia (in particolare della
Cantoterapia corale), non è solo riabilitativo, ma è anche quello di
promuovere la socializzazione, l’integrazione nell’ambiente, l’espressione dei
sentimenti, la consapevolezza di sé.
Ovvero, la seduta di Cantoterapia ha lo scopo di far capire alla persona
malata che i problemi del linguaggio non devono impedire la comunicazione
con la famiglia, con gli amici, né devono creare un isolamento sociale.
Per concludere, la Cantoterapia individuale e corale, ci sembra un trattamento
utile e possibile, non solo per i comprovati risultati positivi nella capacità
comunicativa del paziente, ma, soprattutto, perché tale metodica ottiene
ripercussioni positive sulla vita relazionale e sociale dei pazienti con
Parkinson.
Tratto da “Terapia non farmacologica” di Marco Onofrj e Astrid Thomas
(www.marcoonofrj.it/html/documenti/terapia_non_farmacologica.pdf)
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La musica è stata utilizzata come forma di terapia in numerose condizioni
patologiche e può essere apprezzata perfino dai pazienti più compromessi
fisicamente e cognitivamente.
La musicoterapia è raccomandabile nella malattia di Parkinson per migliorare
le perfomance sociali, psicologiche, intellettuali e cognitive dei pazienti.
Sembra che la musica sia in grado di modificare il rilascio degli ormoni dello
stress e di migliorare la funzione cardiaca e il pattern respiratorio.
Esistono due tipi di musicoterapia, attiva e passiva.
In breve, la musicoterapia attiva si basa sull’improvvisazione di musica da
parte del terapista e del paziente, che giocano un ruolo attivo suonando
strumenti musicali e cantando.
L’uso degli strumenti è strutturato in maniera da coinvolgere tutti gli organi di
senso; le componenti ritmica e melodica della musica possono essere usate
come stimoli specifici per ottenere risposte motorie e funzionali (danzaterapia), combinando i movimenti e gli stimoli di diversi pathways sensoriali,
uditivo e tattile, con una risposta emotiva.
La musicoterapia passiva è condotta sul paziente a riposo.
Con lo scopo di ottenere uno stato di rilassamento mentale, il terapista utilizza
musica con melodie calme e invita il paziente a visualizzare immagini serene.
La musicoterapia svolge un ruolo nel miglioramento della deambulazione, dei
movimenti ritmici degli arti, nella gestione del freezing, nello stato emotivo,
con aumento della motivazione e risoluzione dello stato di anedonia spesso
presente nei pazienti parkinsoniani.
Ecco ora una breve sezione “più indirizzata”, dedicata alle esperienze
musicoterapiche delle quali ha usufruito il gruppo protagonista di questo lavoro
e del quale mi sono occupata in questo tirocinio.
100
Tratto da “Alle porte del bel canto” di Giuliana Galante, specializzanda in
Musicoterapia Scuola di specializzazione triennale Istituto MEME
Modena, Project Work 2007 – 2008
(www.musicoterapia-anziani.eu/gruppo-corale-polifonico“alle-porte-del-bel
canto”)
“Questo articolo nasce dall’ esigenza personale di ringraziare il coro “Alle
porte del bel Canto”, composto da un gruppo di 15 anziani con una gran
volontà di affrontare le difficoltà che comporta essere affetti da Morbo di
Parkinson, far sentire la propria “VOCE” comunque e sempre; a proposito
posso solo dire di aver imparato moltissimo da persone stupende.
Sin dal primo incontro sono tutti molto motivati, alcuni di loro hanno seguito
un percorso lo scorso anno, è presente anche una signora affetta da Distrofia
Miotonica.
Ognuno prende uno strumento a scelta, ci presentiamo anticipando il nome
con un suono.
L’assistente che li accompagna mi spiega cosa hanno fatto in precedenza, è
anche un po’ invasiva, ma non interviene e partecipa all’incontro.
Il sig. Carlo mi da un fascicolo con dei brani che hanno cantato l’anno scorso,
mi fanno capire che oltre a suonare la loro esigenza è cantare , solo pezzi in
italiano, cantiamo suoniamo sulla marcia turca di Mozart.
Alla fine mi chiedono di cantare per loro, introduco una strofa di Summertime
al piano.
Mi salutano dicendo che ci vediamo la settimana prossima.
Mi sono accorta che questo gruppo ha bisogno di essere guidato, se non si
sentono accompagnati non vedo alcun input da parte loro.
Probabilmente è una questione legata non tanto all’età quanto alla loro
condizione di vita quotidiana, facendo Ginnastica, Logopedia, che sono
attività strutturate, non sono abituati ad esprimersi liberamente.
101
Quindi ogni momento sarà più strutturato e il ruolo della terapeuta direttivo,
dunque anche la metodologia.
Uno degli obiettivi è lasciare loro uno spazio in cui si sentano liberi, facciano
proposte, si attivino, mi dicano cosa vogliono e come vogliono farlo.
Ovvio che a questo ci arriveremo tra un bel po’ di tempo.
Iniziamo con esercizi di respirazione, percepiamo il nostro respiro e l’aria che
attraversa il nostro corpo, dalle cavità nasali allo stomaco.
Io li aiuto, mi avvicino a ognuno di loro e li regolo, dando il via e mettendo la
mano sulla pancia, spiego a cosa serve l’esercizio e spiego che quando
cantiamo è importante respirare nei punti giusti, abbassando il più possibile il
diaframma, e come dosare il respiro in uscita.
Un pezzo che a loro piaceva molto è stato: l’Inno d’Italia- Mameli- Mameli
(1847).
Ogni parte veniva letta, una frase a testa, poi lo si cantava senza musica, dopo
si introduceva la tastiera.
Si è Cantato insieme, con l’aggiunta di parti solo suonate, in cui si suonava, e
si ripeteva il ritornello alla fine, ma l’inno è molto sentito da tutti (alcuni di
loro hanno visto nascere la Prima repubblica) mi dicono che l’inno bisogna
conoscerlo a fondo e studiarlo, quindi mi informerò al meglio, e sarà
l’argomento che tratteremo.
Mi sembrano contenti del discorso del canto, si impegnano molto e mi
seguono, quindi il percorso di fondo sarà non solo Musicoterapeutico, ma
anche basato sulla Cantoterapia, tecniche di canto, tecniche di mimica
facciale e di respirazione.
[...] Leggiamo l’inno a turno, fino alla fine, iniziamo a cantarlo.
Sono poco attenti, lo eseguiamo tutto, devo condurli fino alla fine, altrimenti
c’è un calo di tono.
102
Nell’ultima parte mi chiedono di suonare Romagna mia, un pezzo che sentono
molto, c’è il Sig. Giovanni che non parla più, ma canta con tutta la voce che
può, e si emoziona diventando uno dei più partecipativi.
Dalla prossima volta ci sarà un momento creativo, in cui ognuno leggerà una
parola o un pensiero che ha pensato/scritto durante la settimana, potranno
anche cantarlo, inventare una melodia, l’idea è creare una raccolta di
pensieri- brani che potrebbe anche diventare un libriccino da dare tutti alla
fine degli incontri.
[...]Durante gli incontri il lavoro è diventato più specifico e impegnativo.
L’ultima volta avevo proposto di scrivere qualcosa a casa, anche una parola,
una frase, se è possibile anche in rima.
Lo hanno fatto solo 2 del gruppo.
Ma se in uno la rima c’era l’altro era un bellissimo pensiero di
ringraziamento.
Iniziamo con la respirazione.
Dopo leggiamo “Bella ciao” una frase per uno alla volta.
La ripetiamo cadenzata, come se stessimo cantando senza modulare.
Distribuisco gli strumenti, oggi decido io, in modo da far provare diversi
strumenti a tutti.
Proviamo la canzone, io vado alla tastiera, conoscono bene la canzone, dopo
si continua con ” Io vagabondo”, accompagnando con gli strumenti, io do gli
stacchi.
La proviamo più volte, e migliora.
Alla fine leggiamo le cose che hanno scritto, e sono molto belle e impegnate.
[...] Oggi introduco alla respirazione l’Esperienza tattile, si va a tempo dal
collo alla spalla, ci soffermiamo sulla mano lentamente, ascoltando la musica
e seguendo il ritmo.
Ascoltiamo il Gloria di Bach e Haleluia di Hendel. Riprendiamo il Và
Pensiero, una versione di Albano, ritmata.
103
La sig.ra Francesca ha portato un cd col Nabucco, sentiamo la versione
Classica. La tonalità non va bene, la eseguiamo in la M,con una base , io non
canto, eseguo dei gesti che loro devono seguire, pugni chiusi non si canta,
ondeggi medi intensità bassa, ondeggi alti canto trionfale.
Iniziano a entrare, solo alcuni mi guardano, ma ognuno trova il suo spazio e
sono perfetti, si ascoltano nel gruppo, regolano la respirazione e il volume,
intensità, buona l’intonazione.
Il progetto si è concluso con un concerto in cui si sono esibiti “come
un’occasione unica”, tutti i membri del gruppo, anche chi per motivi di salute
si trovava in una condizione di difficoltà, i brani eseguiti sono stati: ”
Aggiungi un posto a tavola”; “Va pensiero”; ” Romagna Mia”, la
manifestazione si è tenuta il 23 Maggio presso la Polisportiva “G. Pini” ,
organizzata dall’Associazione Parkinson di Modena.”
Tratto da “In cammino verso un’armonia” di Lorena Barbieri,
specializzanda in Musicoterapia Scuola di specializzazione triennale
Istituto MEME Modena Project Work 2006 – 2007
(www.istituto-meme.it/pdf/tesi/barbieri-2006.pdf)
Da un censimento dei casi di malattia di Parkinson risultano essere più di 500
le persone affette da questa malattia degenerativa.
Il contesto sociale che caratterizza il territorio modenese è ricco di realtà
associative di volontariato e fra queste è di recente costituzione l’Associazione
AUSER.
La richiesta di avviare questo progetto di musicoterapia rivolta ai malati di
Parkinson è partita da questa associazione che si occupa appunto dell’aiuto a
queste persone e ai loro famigliari.
Questo aiuto è fornito creando una rete di contatti informativi sulle possibili
attività di sostegno (da parte di singoli ed enti) a chi è colpito direttamente o
indirettamente da questa patologia: attività di informazione su vari aspetti
104
della malattia di Parkinson, attività motorie, logopedia, counselling ed infine
musicoterapia.
(…) La richiesta a motivo dei primi incontri è stata di tipo relazionale ovvero
ritrovarsi settimanalmente per cantare insieme con l’obiettivo fisico cognitivo (anche se non ben precisato all’inizio) di utilizzare più
consapevolmente l respirazione e le capacità di attenzione e memoria.
L’evoluzione positiva sotto il profilo socio – affettivo di questi primi incontri
ha motivato partecipanti ed organizzatori ad ipotizzare una più precisa e
documentata esperienza di musicoterapia rivolta alle persone colpite da
malattia di Parkinson, da qui il progetto.
(…) L’idea iniziale di ritrovarsi insieme per cantare ha prodotto l’ipotesi
(accolta con entusiasmo da parte dei partecipanti) della costituzione di un
gruppo corale vero e proprio.
Questa idea condivisa da tutto il gruppo, intendendo per gruppo anche la
sottoscritta, ha determinato fin dall’inizio una precisa identificazione dei ruoli:
da una parte il “direttore”, dall’altra il “coro”.
Il ruolo di direttore è stato favorito anche dalla presentazione della figura
della conduttrice degli incontri ovvero “insegnante di musica, direttrice di
coro” e dal fato che all’inizio da parte di tutti è sempre stata preponderante
l’idea di trovarsi per fare musica più che musicoterapia.
Quindi la musico terapeuta è stata (anche a livello di definizione verbale)
sempre vista come ”l’insegnante”, la “maestra”.
Su questa convinzione condivisa da tutti gli “attori” del progetto si sono creati
i prodromi per quelli che sarebbero invece stati i veri incontri di
musicoterapia.
105
TERZA PARTE
Progetto di intervento musicoterapico dedicato a pazienti parkinsoniani
Nel lavoro di musicoterapeuta, in qualsiasi contesto si operi, c’è un punto
fermo da non dimenticare mai: si interagisce con persone.
Ogni persona (bambino, ragazzo, adulto) manifesta in modo assolutamente
unico e personale attraverso i movimenti o l’immobilità, gli sguardi, i silenzi o
le parole, i suoni, l’intonazione della voce, come sta “dentro”, in che modo si
relaziona con se stesso e in che modo gli è possibile interagire con gli altri.
Riuscire a cogliere le caratteristiche personali di ognuno e a trovare una “via
d’accesso” è fondamentale per riuscire a creare una relazione con il paziente ed
è un impegno che richiede tempo, pazienza ed attenzione.
Gran parte del compito del musicoterapeuta consiste quindi nell’interagire con
la persona perché entri nella relazione, perché si ponga in ascolto e si metta in
gioco, diventando protagonista del suo viaggio verso un maggiore benessere.
Istituzione a cui è rivolto l’intervento
Associazione Parkinson di Modena
Tempi
Da settembre 2008 a maggio 2009 per un totale di 26 incontri.
Gli incontri sono a cadenza settimanale ed hanno una durata di un’ora, un’ora e
un quarto ciascuno.
3.1 Obiettivi
Obiettivi dell’intervento musicoterapico
Ecco gli obiettivi sui quali ritengo importante lavorare:
- Stimolare la socializzazione.
Il malato di Parkinson molto spesso dopo la diagnosi cade in depressione,
patologia che è anche riportata fra i sintomi non motori della malattia.
106
Inoltre spesso “si vergogna” ad uscire, a farsi vedere in pubblico e condurre
una qualsiasi vita sociale (fobia sociale).
Per questi motivi trovo importante stimolare in loro la voglia di socializzare,
condividere e rapportarsi con gli altri.
- Stimolare ed incentivare la riabilitazione fisica e mantenere le abilità
residue.
L’intervento, che si svilupperà attraverso esercizi di respirazione, esercizi di
vocalità, esercizi di coordinazione, allenamento ritmico-motorio ed esercizi di
equilibrio ed orientamento, è volto a contrastare il più possibile i sintomi
motori provocati dalla malattia e a dare al malato di Parkinson fiducia su tutto
ciò che ancora può riuscire a fare con il proprio corpo.
- Mantenere le abilità cognitive.
Una delle sintomatologie afferenti alla malattia di Parkinson è relativa ai
disturbi della memoria.
Per questo credo sia importante mantenere viva ed attiva la memoria stessa,
attraverso l’apprendimento “a mente” di canti, strutture ritmiche, arrangiamenti
musicali e strumentali.
- Accompagnare nella malattia.
Dare ai malati di Parkinson la certezza di non essere soli.
Obiettivi delle attività “non musicali” proposte durante le sedute
- Obiettivi degli esercizi di respirazione
La malattia di Parkinson coinvolge ogni muscolo corporeo inclusi i muscoli
fondamentali della respirazione che,nei momenti di blocco motorio subiscono
gli effetti della carenza di levodopa andando incontro a rigidità e a lentezza e
causando una minore capacità di espandersi e di contrarsi del diaframma e dei
muscoli intercostali,.
Per questo motivo si verifica una alterazione del ritmo della respirazione e il
paziente avvertirà una sensazione di oppressione con difficoltà a respirare
profondamente.
107
Gli esercizi di respirazione possono essere utili per aiutare il malato di
Parkinson a prendere coscienza del fenomeno respiratorio e delle sue due fasi
(inspirazione ed espirazione), per abituarlo a sincronizzare i movimenti con la
respirazione, per aiutarlo a conoscere i movimenti e le tecniche che possono
favorire l’atto respiratorio, con particolare riferimento alla tecnica della
respirazione diaframmatica, in quanto respirazione profonda utile anche in
quanto attua un costante “massaggio” agli organi interni (in particolare
all’intestino, cosa che può essere un valido aiuto contro la stipsi, una delle
sintomatologie relative alla malattia di Parkinson).
Un corretto uso della respirazione diaframmatica può inoltre essere d’aiuto per
migliorare la qualità dell’emissione vocale, spesso compromessa nella malattia
di Parkinson.
- Obiettivi degli esercizi di coordinazione
La coordinazione motoria è la capacità di regolare con precisione l’azione che
concorre all’esecuzione di un movimento.
Gli esercizi di coordinazione sono importanti perché permettono di percepire il
movimento nello spazio, controllare il movimento rispetto al tempo (più lento,
più veloce) e di contrarre e rilassare i muscoli giusti nel tempo e nella direzione
richiesta.
- Obiettivi degli esercizi di equilibrio e di orientamento
Questi esercizi permettono di esercitare e migliorare l’equilibrio e
l’orientamento, spesso precario nelle persone anziane ed in particolare nei
malati di Parkinson.
Questo è possibile “allenando” gradualmente i pazienti al cambio di direzione e
all’alternanza movimento – stasi.
Modelli di riferimento
Nello svolgimento di questo intervento ho molto liberamente “mescolato”
alcuni elementi tratti da metodi diversi.
Il primo elemento al quale ho attinto è stato il principio dell’ISO di Benenzon,
108
che credo sia fondamentale per entrare in contatto con i pazienti.
Una volta individuato il loro ISO, per età e provenienza più o meno simile in
tutti, e mostrato a loro il mio, la comunicazione musicale è stata facile e
spontanea.
Il secondo metodo al quale ho attinto è quello della musicoterapia
comportamentale nella quale, soprattutto in ambito geriatrico, le attività
musicali vengono usate per incoraggiare il raggiungimento di obiettivi “non
musicali” quali:
- stimolare la socializzazione e la comunicazione fra i partecipanti al gruppo e
fra il gruppo e il musicoterapeuta;
- stimolare ed incentivare la riabilitazione fisica e il mantenimento delle abilità
residue;
- stimolare e mantenere le abilità cognitive;
- stimolare e mantenere le capacità di attenzione e concentrazione;
- stimolare all’autostima, al divertimento e al senso di benessere;
- incentivare ad attività utili per mantenere un buon livello di autonomia
personale.
L’approccio metodologico si è basato primariamente sulla creazione di una
relazione empatica e giocosa con i singoli e col gruppo, basata su un rapporto
di fiducia e su un’accoglienza calda e incondizionata.
A questo scopo la seduta non è mai rigidamente strutturata, ma risponde ai
continui stimoli, suggerimenti ed indicazioni che i pazienti, senza saperlo,
continuamente mandano.
L’attenzione costante alle risposte e ai segnali che provengono dal singolo e
dal gruppo mi ha orientata nella scelta delle attività da proporre.
Il lavoro si è concentrato sulle “parti sane” del paziente di cui vengono
valorizzate le potenzialità fisiche e intellettive residue: si parte dalla persona,
dai suoi gusti e dalle sue possibilità, puntando a mete accessibili nelle quali si
possa riuscire e gratificarsi per il successo.
109
L’intervento musico terapeutico guarda alla globalità della persona (approccio
olistico) ed agisce attraverso il coinvolgimento del corpo e del movimento
fisico, delle emozioni e delle funzioni cognitive utilizzando tutte le “armi” che
il linguaggio musicale mette a disposizione: canto, ascolto, creazione,
movimento, uso di strumenti, danza.
Il lavoro si è svolto con un gruppo “disomogeneo” sia a livello di stati della
malattia che a livello di età dei partecipanti al gruppo stesso (le età variano dai
circa 55 anni dei pazienti più giovani ai circa 80 anni dei pazienti più anziani).
L’attività con un gruppo di questo tipo, pur comportando notevoli difficoltà,
risulta comunque vincente grazie alla vita ed alle esperienze portate dalle
persone che vi partecipano.
Nel lavoro in gruppo si punta da una parte sulla socializzazione e sullo scambio
comunicativo tra i membri del gruppo (che sentono di non essere soli) e
dall’altra sulla valorizzazione del singolo attraverso una sorta di “approccio
personalizzato” che ha come finalità il far sentire tutti utili, “capaci” e accettati.
Ho sempre favorito il contatto corporeo: le persone venivano fatte sedere molto
vicine e anche la sottoscritta si è sempre avvicinata molto, senza però mai
superare quella soglia di riservatezza e di spazio personale che varia per
ognuno e che ognuno esprime con chiarezza.
3.2 Setting
I primi incontri con il gruppo formato da malati appartenenti all’Associazione
Parkinson di Modena si sono svolti presso l’Istituto MEME di Modena, luogo
ideale per struttura, ambiente, atmosfera e materiali presenti.
I malati hanno però quasi subito espresso la richiesta di continuare gli incontri
presso il centro polisportivo Gino Pini di Modena, già sede dell’Associazione
Parkinson e luogo in cui vengono realizzate tutte le attività sia “terapeutiche”
che socializzanti che scandiscono le loro giornate.
Questo nuovo setting, una grande palestra, pur non essendo a prima vista il
luogo ideale in cui condurre attività musicoterapiche si è poi rivelata la scelta
110
più felice in quanto luogo
da
tutti
soprattutto
conosciuto
e
riconosciuto
come posto in cui “si fa”.
Il
grande
disposizione
consentito
spazio
a
ha
poi
attività
di
movimento che altrimenti
sarebbero state impossibili
e, soprattutto, di gestire bene il numero dei partecipanti al gruppo che nel corso
del tempo è passato da 7-8 persone a 20-22.
La prima parte dell’intervento, da settembre 2008 a dicembre 2008 si è svolta
con il prezioso ausilio del mio collega chitarrista e compositore Corrado
Equilibrati che si è occupato della realizzazione delle musiche da proporre
durante gli incontri.
Nella seconda parte dell’intervento, da gennaio 2009 ad aprile 2009, ho gestito
il gruppo da sola avvalendomi di un gran numero di musiche registrate
ovviamente selezionate in precedenza.
L’ultima parte, da aprile 2009 a maggio 2009, ha visto una mescolanza fra le
due modalità illustrate.
In ogni incontro il ritmo ha rappresentato il momento fondamentale di messa in
circolo di energie, di stimolo al movimento corporeo ed all’espressione di
emozioni.
In termini musicali, il percorso (a grandi linee e non sempre) ha previsto un
inizio morbido (ma non troppo) basato su brani musicali caratterizzati da
pulsazione moderata per poi arrivare gradualmente a brani più veloci e ritmati.
In termini di movimento ciò ha significato passare dalla stasi al coinvolgimento
progressivo di tutto il corpo, sentendosi liberi di mettersi in gioco, lasciando
che la musica “comandi” e guidi il movimento del corpo.
111
Alcune volte gli incontri si sono conclusi con il ritorno a tempi più lenti, altre
volte, in giornate di particolare bisogno e ricerca di energia, si sono conclusi
mantenendo un alto livello sia di presenza ritmica che di energia.
3.3 Tecniche e materiali utilizzati
Il programma ha previsto molteplici attività musicali, tra cui: il canto di
canzoni tratte da repertori vari (principalmente del repertorio popolare),
l’ascolto di brani musicali, l’associazione musica/movimento, le attività di
coordinazione
ritmico-motoria
e
di
sviluppo
del
senso
ritmico,
l’improvvisazione strumentale.
Le attività sono state scelte e selezionate in modo da assecondare le esigenze e
i bisogni di ogni persona che frequenta il gruppo e in base agli obbiettivi da
perseguire.
Gli strumenti utilizzati durante gli incontri cambiano di volta in volta, ma in
generale, sono:
- Strumenti musicali a percussione come maracas, tamburi, campanacci, piatto
sospeso, piattini, xilofono, wood-block, sonagli, ocean drums, bastone della
pioggia.
- Chitarra.
- Strumenti auto-costruiti.
- Material e oggetti vari (palle, stoffe, elastici carta, ecc…).
- Oggetti tratti dalla quotidianità (come utensili della cucina, barattoli, cucchiai
di legno).
- Lettore mp3 e amplificatore.
3.4 Collaborazione con l’équipe
ulti professionale
I pazienti parkinsoniani in questione sono seguiti, oltre che da neurologi e
psicologi, anche da una logopedista, da un fisioterapista e da un’insegnante di
attività motoria.
112
Inoltre, a sostegno dei parenti dei malati è stato attivato una sorta di “punto di
ascolto” gestito da una counselor psicosintetista.
Nel corso del lavoro ci sono stati un paio di incontri, per me molto utili, con
queste figure professionali.
NEUROLOGO
FISIATRA o
FISIOTERAPISTA
MALATO DI PARKINSON
E FAMIGLIARI
PSICOLOGO
LOGOPEDISTA
MUSICOTERAPEUTA
3.5 Collaborazione con le famiglie
La malattia di Parkinson colpisce sia il paziente sia la famiglia ed, in particolar
modo, il coniuge.
Il coniuge è infatti il maggiore supporto per il paziente, sia fisicamente sia
psicologicamente.
Per questo motivo il rapporto con coniugi e familiari e la loro partecipazione
agli incontri sono preziosi “valori aggiunti”: il loro coinvolgimento nel lavoro
gli consente di verificare personalmente ciò che viene proposto e in alcuni casi
offre l’opportunità di "scoprire" aspetti del malato nuovi e inaspettati.
Inoltre che la partecipazione “attiva” al lavoro da parte dei parenti possa avere
effetti positivi sia nel rapporto con il “proprio” malato che nella gestione della
malattia stessa.
113
QUARTA PARTE
Diario delle attività
4.1 I° incontro – Si comincia dal comincio (22 settembre 2008)
Oggi primo incontro con il gruppo Parkinson.
Non nascondo che sia io che Corrado aspettavamo questo appuntamento con
gioia e un filo di trepidazione.
In preparazione all’incontro di oggi abbiamo letto, studiato e pensato molto, ci
siamo fatti un’idea, necessariamente “esterna”, di cosa sia la malattia di
Parkinson, ci siamo messi in situazione, immaginato noi stessi e immaginato
cosa avremmo voluto per noi.
Ci
siamo
lungamente
interrogati
sul
ruolo
del
musicoterapeuta,
sull’atteggiamento da tenere, su cosa dire e su come approcciarci, poi abbiamo
deciso di essere fin da subito semplicemente noi stessi.
Abbiamo accolto i nostri ospiti, sei uomini, una donna e due accompagnatori,
in modo sereno e sorridente, cercando di metterli subito a loro agio.
Inizialmente una certa diffidenza non era difficile da percepire, diffidenza che
però si è piuttosto sciolta nel corso dell’incontro.
In un ambiente musicale sereno e rilassante realizzato da Corrado alla chitarra,
ho proposto attività di respirazione, legate a piccoli movimenti e guidati da me
come voce giuda.
Successivamente ho chiesto di unire alla fase dell’espirazione l’emissione di un
suono, ognuno il suo, senza preoccuparsi dell’intonazione.
Il suono doveva essere comodo e “di petto”, in modo che potessero sentire
fisicamente, con una mano appoggiata al petto, la vibrazione del suono stesso.
Ho scelto questa modalità per rendere più cosciente la fase dell’espirazione,
che ho chiesto di pensare come vestita di suono, e per sottolineare quanto il
corpo sia il primo e il più utile strumento musicale che abbiamo a disposizione.
114
Poi ho chiesto loro di partecipare a un piccolo gioco: sempre continuando a
respirare ognuno con il suo ritmo, uno alla volta dovevano proporre il loro
suono che poi andava ripreso da tutti gli altri, “sintonizzandosi” così sulla
stessa frequenza.
Quasi tutti hanno emesso il loro suono con decisione, tranne due persone,
quelle che a prima vista mi sembrano fisicamente più compromesse, che hanno
emesso suoni piuttosto flebili e poco chiari.
Tutti comunque sono riusciti a sintonizzarsi sui suoni proposti.
Finita questa prima fase di rilassamento, respirazione e piccolo approccio alla
vocalità, ci siamo dedicati al coordinamento ritmico motorio.
Su una ritmica chiara e definita proposta da Corrado ho chiesto a tutti di
sintonizzarsi sulla pulsazione, ognuno con il gesto suono che preferiva.
Poi, continuando sulla linea del gioco proposto in precedenza, ho chiesto di
sintonizzarsi sul gesto suono proposto a turno da ognuno dei partecipanti,
mantenendo stabile la pulsazione.
Molti avevano scelto come gesto suono il battere i piedi come per marciare.
Utilizzando lo stimolo ricevuto abbiamo chiesto loro di camminare sulla
ritmica della musica, fermandosi quando questa si fermava.
Vista la buona riuscita dell’attività per tutti siamo andati avanti cambiando
timbrica e ritmica, più lenta e pesante, ed associando a questa nuova ritmica un
movimento più ampio e lento, come quello necessario per fare un passo molto
lungo e scavalcare un ostacolo.
Il gioco di alternanza fra le due ritmiche diverse, intervallate spesso dal
silenzio, ha visto la partecipazione attiva di tutti.
Se vedevo una difficoltà mi avvicinavo alla persona, prendendola per mano ed
accompagnandola.
Per variare le attività e rendere piacevole e non noioso l’incontro a questo
momento decisamente “binario” è seguita una attività che vedeva l’alternanza
fra marcia su tempo binario e piccola danza su tempo ternario.
115
Notando che tra i signori c’erano alcuni ballerini, mi son proposta come partner
di danza e nei momenti ternari ci sono stati veri e propri momenti di valzer in
coppia.
L’ultima parte dell’incontro è stata dedicata all’esecuzione del canto
“Romagna mia” che tutti i partecipanti già conoscevano.
Per divertirci prima di salutarci abbiamo reso la canzone un coro parlato,
utilizzando la sola ritmica del testo senza melodia e successivamente un brano
percussivo, “dicendo” il testo con le mani.
Ecco la parte di testo utilizzata:
Sento la nostalgia di un passato
dove la mamma mia mi ha lasciato
non ti potrò scordar casetta mia
in questa notte stellata
la mia serenata io canto per te.
Abbiamo poi creato una sorta di “orchestra” dividendoci in due gruppi: un
gruppo si occupava di tenere la ritmica e l’altro gruppo suonava con le mani la
ritmica del testo e concludendo con l’inserimento anche del testo parlato.
116
4.2 II° incontro – In cerca di energia (29 settembre 2008)
Oggi ho avuto modo di confermare come all’interno delle relazioni di aiuto la
discontinuità, il fatto cioè di non poter pensare di riprendere il lavoro da dove
si era interrotto la settimana precedente, sia un elemento da tenere
assolutamente in considerazione.
I nostri ospiti, cinque uomini, una donna e un’accompagnatrice, qualcuno in
meno rispetto alla seduta precedente, sembravano stanchi, spossati, poco
motivati, decisamente lontani dall’entusiasmo con il quale ci eravamo salutati
una settimana fa.
Ho pensato di attivarli con gradualità, su una musica quieta e rilassante ho
lasciando che ognuno di loro gestisse autonomamente il ritmo della
respirazione e dei primi esercizi da seduti ad essa correlati.
Lo scopo era quello di “sentire” il proprio corpo, rendendo cosciente un
movimento, come quello respiratorio, che normalmente cosciente non è.
Quindi:
Con le mani sull’ombelico, concentrarsi sull’aria che entra dal naso, gonfia la
pancia ed esce dalla bocca, rendendo il momento dell’espirazione sempre più
“volontario” attraverso l’azione dei muscoli addominali.
Di seguito, inspirare dal naso girando la testa verso destra, tenere l’apnea per
qualche secondo e tornare al centro espirando dalla bocca (e viceversa).
Di seguito, con le mani appoggiate sulle ginocchia, in modo da avere un
appoggio sicuro per l’equilibrio, insilare dal naso a sieda dritta ed espirare
piegandosi in avanti, in modo che lo “svuotamento” sia facilitato anche dal
piegarsi del corpo, ispirare tornando alla posizione eretta.
Poi, velocizzando un po’ la pulsazione musicale, abbiamo unito la respirazione
ad esercizi più “energici” da fare muovendosi nello spazio:
Eccoli descritti in sintesi:
Con le mani sull’ombelico fare quattro passi avanti inspirando e quattro passi
avanti espirando, cercando di sintonizzarsi sulla pulsazione della musica.
117
Di seguito, allo scopo di “obbligare” i nostri ospiti ad un utilizzo più deciso
della muscolatura addominale necessaria alla respirazione diaframmatici, ho
chiesto loro di rendere più veloce e “violenta” sia la fase inspiratoria che quella
espiratoria modificando anche il movimento: tre passi avanti inspirando, un
tempo di pausa mantenendo l’apnea, tre passi avanti espirando e di nuovo un
tempo di apnea prima di ricominciare.
Ovviamente non mi sono mai limitata a “spiegare” l’esercizio ma sempre l’ho
prima mostrato e poi fatto insieme a loro, avvicinandomi all’uno o all’altro in
modo da verificare non tanto l’esatta esecuzione dell’esercizio quanto
soprattutto che la persona “reagisse bene” allo stesso e nello stesso tempo
rassicurarli sulla mia presenza e attenzione nei loro confronti.
Cosa assolutamente importante, se consideriamo che esercizi di respirazione
eccessivi o non controllati possono portare all’iperventilazione, condizione
riconoscibile da alcune sensazioni fisiche sgradevoli come giramenti di testa e
formicolio.
Lo scopo di questi esercizi respiratori consiste nel creare una confidenza con
l’atto respiratorio attraverso una corretta ventilazione che permetta di rilassarsi
e di diminuire la presenza di anidride carbonica nel sangue.
Terminata questa prima fase dedicata alla respirazione, su pulsazione musicale
ancora più mossa ho chiesto ai nostri ospiti di mantenere la struttura
dell’esercizio precedente, tre passi pausa - tre passi pausa, riempiendo il
momento della pausa con un battito di mani.
Da qui è partita una serie di esercizi volti ad unire il mantenimento della
pulsazione ritmica con l’attività di movimento, attività alla quale hanno reagito
tutti piuttosto bene, tranne un signore, il più debilitato, che più volte si è dovuto
sedere.
Finita questa fase, da seduti (in modo da variare il più possibile le posizioni)
abbiamo proposto una canzone, “L’addio del volontario toscano”, che
praticamente tutti conoscevano già.
118
Per non lasciargli il foglio in mano, cosa che detesto perché limita moltissimo
l’uso dello sguardo e la gestualità, abbiamo memorizzato tutti la prima strofa e
l’abbiamo usata per un gioco ritmico.
Ecco la parte di testo utilizzato:
Addio, mia bella, addio:
che l'armata se ne va;
e se non partissi anch'io
sarebbe gran viltà!
E se non partissi anch'io
sarebbe gran viltà!
Seduti in cerchio, utilizzando la sola ritmica delle parole, pronunciare una frase
a testa facendo attenzione ad articolare il più possibile la pronuncia, rispettando
la pulsazione e mantenendo “il ritmo”.
Successivamente abbiamo modificato il gioco, sostituendo alla pronuncia delle
parole il suonarne il ritmo con le mani.
Nonostante l’incontro sia andato bene, la grande difficoltà di oggi è stata
trovare il modo di dare loro “l’energia di fare”, sempre nel rispetto dei loro
tempi, delle loro oggettive difficoltà fisiche e dei loro bisogni.
Al di là del Parkinson, in conseguenza ad esso ed ai problemi che questa
malattia comporta, alcuni di loro sono molto depressi, altri debilitati dai
medicinali.
Quando sono andati via mi sembravano tutti un po’ più attivi.
Confesso che io invece ero distrutta.
119
4.3 III° incontro – Giocare? Non è mai tardi (6 ottobre 2008)
Oggi, in attesa di entrare all’Istituto MEME, sede dei nostri incontri, abbiamo
avuto modo di scambiare due parole con due ospiti “nuovi”.
Tra un racconto delle vacanze appena terminate e piccole considerazioni “di
vita” abbiamo cercato di capire, ovviamente senza chiederlo direttamente, cosa
si aspettavano da questi incontri, cosa volevano e cosa non volevano.
E’ emerso chiaramente e spontaneamente ciò che era già emerso sia nelle
chiacchiere che avevano seguito la prima seduta che nell’incontro
“conoscitivo” avvenuto quest’estate: ciò che desideravano era essenzialmente
“non perdere tempo” e “non sentirsi trattati come bambini”.
Per fortuna non hanno notato, o forse elegantemente non mi hanno fatto notare
di aver notato, che avevo in mano due borse piene di palle, palline, palloni,
palloncini e fischietti.
Una volta entrati ecco di nuovo confermata la discontinuità, sia per quanto
riguarda la presenza, con l’aggiunta di tre nuovi ospiti (un uomo e due donne) a
quelli presenti fin dal primo incontro, che per quanto riguarda l’energia,
decisamente “alta”.
Credo che le due cose, il fatto di essere in tanti e il fatto di essere “in forma”
siano da leggere come in qualche modo legate.
Seduti in cerchio, abbiamo cominciato con gli esercizi di respirazione, simili a
quelli proposti nell’incontro precedente, per poi cambiare posizione, sempre
per non costringere i pazienti a mantenere troppo a lungo la stessa posizione, e
passare al momento di lavoro dedicato al coordinamento ritmico-motorio.
La pulsazione della musica eseguita da Corrado seguiva quella dell’attivazione
dei partecipanti: partenza morbida e rilassante, accogliente per chi per la prima
volta si trovava nel gruppo, e graduale aumento dell’intensità e della velocità,
per aumentare via via l’intensità della partecipazione emotiva e fisica.
A questo momento è seguito un gioco: seduti in cerchio, le sedie vicine, ho
consegnato tre palle di dimensioni diverse (una pallina da tennis in
120
gommapiuma, una pallina poco più grande in plastica e un palloncino piuttosto
grande, a tre partecipanti.
Su una musica festosa e ritmata in modo molto chiaro ognuno doveva passare
la palla che arrivava alla persona seduta alla propria destra.
Quando Corrado stoppava la musica si rispettava il silenzio, visualizzandolo
con l’immobilità,
Quando la musica riprendeva dopo il silenzio bisognava invertire il “senso di
marcia” del gioco.
Per non far passare solo l’idea del gioco ma anche, soprattutto, l’utilità,
l’obiettivo e lo scopo dell’attività, ho spiegato a cosa serviva: coordinamento
ritmico-motorio, lateralizzazione dei movimenti, mantenimento della prensilità,
attenzione ed ascolto alla pulsazione della musica, rispetto del senso di marcia,
quindi organizzazione e velocità di azione/reazione.
E, ultimo ma non ultimo, uno dei motivi per cui abbiamo pensato di proporre
questo gioco era anche il divertirsi insieme.
Ma questo a loro non l’ho detto.
A questa attività ne è seguita un’altra che legava vocalità, ritmica e
organizzazione del movimento.
Quando Corrado suonava l’armonia di “L’addio del volontario toscano”, basata
su un tempo binario (la classica marcia) ognuno, cantando, doveva marciare.
Quando Corrado invece suonava l’armonia di “Romagna mia”, basata su un
tempo ternario (il classico valzer) si dovevano formare delle coppie, il numero
lo consentiva, e una volta partite le danze per tutti si doveva cominciar a
cantare.
Prima di salutarci siamo tornati ad una musica con pulsazione più tranquilla in
modo che ognuno potesse rilassarsi.
121
4.4 IV° incontro – Cambiamenti (13 ottobre 2008)
Oggi cambio setting: non più la sala dell’Istituto MEME, presso il quale si
sono svolti gli incontri fino ad ora, ma la palestra di un centro sportivo.
La scelta, pensavo, avrebbe presentato più svantaggi.
Invece, nonostante le dimensioni di una palestra possano rendere difficile la
creazione del giusto “ambiente”, l’incontro si è svolto con la consueta
tranquillità e “intimità”.
Credo che il tutto possa essere giustificato dal fatto che la palestra è un luogo
molto conosciuto e frequentato dalle persone che partecipano ai nostri incontri
di musicoterapia.
In questo luogo si svolgono praticamente tutte le loro attività, dalla logopedia
alla ginnastica.
Si percepiva che le persone erano tranquillizzate dalla famigliarità con il luogo
e questo credo abbia facilitato molto anche il nostro approccio con il nuovo
contesto.
La palestra è in effetti molto grande, ma all’interno erano già presenti circa una
ventina di sedie disposte a semicerchio lasciate dall’incontro di ginnastica
svoltosi in mattinata.
Sembrava che ognuno sapesse già dove mettersi e che in realtà il setting fosse
già molto ben chiaro e presente in tutti i partecipanti all’incontro.
Oltre alle solite 10 – 12 persone, l’incontro di oggi ha visto dei nuovi
inserimenti: 4 persone in più, tre uomini e una donna.
Grande anche la presenza degli accompagnatori che abbiamo contato in un
numero di 5.
Le persone inseritesi oggi sono in uno stadio della malattia decisamente più
avanzato rispetto a quelle con le quali abbiamo avuto a che fare fino ad ora.
In particolar modo una persona, un uomo, ha grandi difficoltà anche solo a
stare in piedi.
122
Per permettere a tutti di partecipare e di sentirsi a proprio agio, le attività di
oggi si sono svolte con il consueto “copione” (attivazione graduale dei
partecipanti attraverso attività di ascolto, attività di respirazione via via più
“attiva”, attività di coordinazione ritmico motoria, attività vocali legate ad
attività di movimento, attività di rilassamento) ma con un po’ piu’ di “calma”.
Nonostante questo accorgimento nelle attività di movimento legate alla ritmica
qualcuno dei “nuovi arrivi”, e in particolare quel signore già citato, ha avuto
qualche difficoltà risoltasi però con una strategia di lavoro un po’ più
“personalizzata”.
Grande successo ha avuto il “gioco del telo” al quale hanno partecipato tutti
con gioia.
In questo gioco i partecipanti, seduti uno di fianco all’altro con le sedie
disposte in cerchio, devono tenere un lembo di un grande telo di lycra (elastico
e quindi solo il tenerlo saldo in mano prevede una partecipazione decisamente
attiva) sul quale, in sintonia con la musica suonata da Corrado, vengono
lanciate palle e palline di dimensioni, pesi e materiali vari.
La difficoltà, e l’utilità, del gioco sta nella difficoltà di tenere in equilibrio sul
telo le palline senza farle cadere.
Questo obbliga i partecipanti a vari movimenti con le braccia e con il busto, a
sintonizzare i propri movimenti con quelli degli altri partecipanti, a prevedere i
movimenti della pallina e a sintonizzarsi con la musica.
Finito questo momento giocoso, mantenendoci nelle stesse posizioni sedute ci
siamo dedicati al canto “Quel mazzolin di fiori”.
Per unire vocalità e movimento avevamo preparato tre diversi mazzolini di
fiori (finti) che i partecipanti dovevano passarsi muovendosi in base alla
pulsazione della musica suonata da Corrado.
Ogni tanto Corrado interrompeva l’armonia facendo stop improvvisi.
123
Questi momenti erano seguiti dalla ripresa della musica ad una velocità
diversa, in modo da stimolare e favorire il sintonizzarsi sia localmente che
fisicamente su pulsazioni diverse.
Anche questa attività ha avuto una buona riuscita.
Anche oggi sono andati via sorridenti e soddisfatti commentando “am son
propria divertì”.
Ogni tanto mi chiedo se questa sia realmente musicoterapia o se non dovrei
dedicarmi all’improvvisazione e a tutte le varie tecniche che ho studiato.
Me lo chiedo ma sento che ancora non è ora.
Quelle che ci troviamo di fronte sono persone malate, in un certo senso fragili e
spaventate alle volte, son sicura.
Stiamo cercando di entrare in contatto con loro e con il loro mondo in modo
delicato, graduale e non invadente e alla fine di ogni incontro portiamo a casa
qualche osservazione, informazione e impressione in più.
Il fatto di arrivare sempre con un po’ di anticipo ci permette di scambiare due
parole con alcuni dei partecipanti e di capire qualche cosa di più della loro vita
e della loro storia, anche musicale.
E’ bello vedere che cominciano a fidarsi e a parlare un pochino di se stessi.
Forse sbaglio, ma non credo che una tecnica “intima” come l’improvvisazione
musicale, nella quale veramente ognuno è “nudo” e senza protezioni (e questa
è la grande forza e bellezza di questa tecnica) sia utile e possibile prima che si
sia creato il giusto ambiente di fiducia e conoscenza.
Sento che se la proponessimo ora sarebbe vissuta un po’ come una violenza.
124
4.5 V° incontro – In ballo (20 ottobre 2008)
Oggi di nuovo incontro in palestra e altri nuovi inserimenti.
Con le persone che ogni volta si aggiungono cerchiamo sempre di essere
accoglienti senza però essere invadenti.
Per fortuna le persone si conoscono tutte e il “gruppo storico” ci aiuta molto.
Si percepisce quanto uno dei bisogni primari di queste persone sia condividere:
pensieri, esperienze, attività, sensazioni, tempo.
Parlando con gli accompagnatori abbiamo capito che una delle difficoltà che si
trovano a vivere è convincere il malato ad uscire di casa.
Spesso infatti le persone colpite dalla malattia di Parkinson in un certo senso si
“vergognano” ad uscire e a farsi vedere, rischiando così di rinchiudersi in un
isolamento che non potrebbe far altro che peggiorare la situazione.
Sono felice che gli incontri di musicoterapia possano essere per loro uno
stimolo ad uscire.
Il fatto di avere presenti diverse persone che faticano veramente tanto nel
movimento ci ha fatto decidere di rallentare un po’ il tutto e di prevedere un
maggior numero di attività da realizzarsi da seduti, anche se la parte centrale
dell’incontro resta dedicata al movimento ritmico.
Oggi nella parte più “movimentata” abbiamo proposto un momento di
ginnastica dolce nella quale era richiesto di sintonizzarsi sulla pulsazione
battendo prima le mani, poi i piedi a terra, poi le mani sulle gambe, poi
alternando battito di mani e mani sulle ginocchia e così via.
A questo momento è seguito una sorta di ballo di gruppo che abbiamo pensato
per favorire in loro la spazialità, la coordinazione e l’orientamento.
Utilizzando due righe presenti sul pavimento della palestra, abbiamo chiesto
alle signore di disporsi su una riga e ai signori di disporsi sulla riga dietro.
Questa disposizione era pensata per poter vedere bene tutti i pazienti e per
poter avvicinarsi a ciascuno di loro.
125
Su una musica ritmata molto giocosa ma non veloce, il “ballo” si svolgeva
così:
4 passi a destra.
4 tempi di pausa.
4 passi a sinistra.
4 tempi di pausa.
4 passi avanti.
4 tempi di pausa.
4 passi per girare su se stessi e cambiare fronte e poi da capo.
Una volta capita la struttura abbiamo alternato le “partenze” ottenendo una
sorta di canone in movimento così composto:
4 passi a destra le signore - fermi i signori.
4 passi a destra i signori - ferme le signore.
4 passi a sinistra le signore - fermi i signori.
4 passi a sinistra i signori - ferme le signore.
4 passi avanti le signore - fermi i signori.
4 passi avanti i signori - ferme le signore.
4 passi per girare su se stessi e cambiare fronte le signore - fermi i signori.
4 passi per girare su se stessi e cambiare fronte i signori - ferme le signore.
E di nuovo da capo.
Soprattutto dopo l’inserimento nel gruppo di persone che vivono uno stato più
avanzato della malattia, faccio sempre molta attenzione a non chiedere troppo
sotto il punto di vista fisico e quindi a questo momento piuttosto attivo è
seguito un momento di attività sempre fisica ma da seduti (gioco del telo con i
palloncini).
Abbiamo concluso l’incontro, per la prima volta, con una piccola chiacchierata
sulle difficoltà che queste persone trovano nella vita quotidiane e su come gli
spunti che portano via dagli incontri gli siano utili.
Sono felice che sentano di poter parlare.
126
4.6 VI° incontro – Nuovi mondi (27 ottobre 2008)
Oggi, oltre alle consuete attività di respirazione e rilassamento, abbiamo
proposto un “gioco ritmico” tratto dalla cultura flamenca chiamato jaleo.
Jaleo letteralmente significa “chiasso” e indica l’insieme delle espressioni
ammirative pronunciate per animare l’interprete (spesso il bailaor, ma può
essere anche il cantaor o il guitarrista) che, insieme alle palmas (battito di
mani), costituiscono un elemento fondamentale della ritualità flamenca.
Tali esclamazioni (ezo es! olé! Vamos ya! Toma! Ecc…) non sono dette
casualmente, ma rispettando determinate congiunture ritmiche, in modo da non
disturbare ma anzi da sostenere l’esecuzione.
Il termine jaleo indica anche un antico canto e ballo andaluso, che
probabilmente costituisce la forma di flamenco più primitiva della zona di
Cadice.
Con la definizione “cantes de jaleo” ci si riferisce ai canti da festa, che spesso
sono, appunto, chiassosi.
La struttura ritmica che abbiamo utilizzato si basava su un tempo in 4/4 e
prevedeva l’uso dei piedi, l’uso delle mani e l’uso della voce.
Il piede destro batteva il battere, le mani scandivano le altre tre pulsazioni, in
questo modo, ad libitum:
Piede Mano Mano Mano
1
2
3
4
Il tutto doveva accompagnare e sostenere questo testo, pure eseguito ad libitum
(le lettere evidenziate sono quelle sulle quali cade l’accento):
Tòma que tòma que tòma
Tòma que tòma que tòma
Tòma que tòma que tòma
tà (pausa, pausa, pausa)
127
Il motivo per cui abbiamo pensato di proporre questa attività è definito dalla
ricchezza di questo “gioco”, che permette di stimolare la coordinazione ritmico
motoria insieme alla capacità di usare la voce in senso ritmico.
In più quest’attività si realizza da seduti, cosa fondamentale per molti dei
pazienti.
Nel proporre questo jaleo siamo ovviamente andati per gradi.
Prima solo il piede, ad libitum fino a che tutti si sintonizzassero su un ritmo
comune; poi le mani, ad libitum fino a che tutti si sintonizzassero su un ritmo
comune e infine la voce.
Una volta realizzato lo jaleo per concluderlo abbiamo “tolto pezzi”: prima le
mani, lasciando solo voce e piede, poi il piede lasciando solo la voce.
Quello che ci proponiamo di fare e dare ai pazienti più “spunti ritmici”
possibili, che siano facili da memorizzare e che possano essere usati come sorta
di colonna sonora mentale per “agevolare” i movimenti quotidiani.
Concluso lo jaleo abbiamo cantato insieme “Sul ponte di Bassano” canzone
scelta sia perché molto bella che per la grande abbondanza di note lunghe
contenute, importanti per esercitare la respirazione e l’emissione del suono.
Dal momento che il canto era ben noto a tutti, prima l’abbiamo cantato tutti
insieme, poi ho proposto un piccolo semplicissimo arrangiamento: la prima
frase doveva essere cantata solo dai signori e dalla seconda frase si sarebbero
unite anche le signore, in questo modo.
(Solo signori)
Sul ponte di Bassano
là ci darem la mano.
(Tutti – signori e signore)
Là ci darem la mano
ed un bacin d’amor,
ed un bacin d’amor
ed un bacin d’amor.
128
I motivi per cui proponiamo queste piccole modifiche, tolti quelli relativi al
puro gusto musicale, sono fondamentalmente due: mantenere viva l’attenzione
e stimolare le capacità di previsione e di organizzazione all’interno di una
struttura ritmico-melodica data.
129
4.7 VII° incontro – Musica si fa con tutto (3 novembre 2008)
Oggi l’attività, esaurita la fase iniziale di respirazione e “riscaldamento”, si e’
concentrata su un canto molto semplice intitolato “Piove pioviccica” che ci è
servito da spunto per lavorare sulla voce, sulla respirazione, sulla ricerca
sonora, sulla coordinazione dei movimenti e sull’unione movimento voce.
Ecco il testo della canzone:
Piove pioviccica
la carta si appiccica
si appiccica sul muro
suona il tamburo
tamburo tamburello
apri l’ombrello
ci vai sotto tu
e non ti bagni più.
Il testo, insegnato per imitazione sottolineando la ritmica delle parole, prima di
“diventare canzone” è rimasto una sorta di filastrocca utile per lavorare
sull’articolazione della parola.
Successivamente abbiamo legato la melodia al testo, cantandolo più volte per
fare in modo che tutti lo memorizzassero correttamente.
Una volta memorizzato testo e melodia abbiamo dato a tutti un pezzo di carta
da forno, chiedendo loro di sperimentare la sonorità di questo oggetto, sonorità
che in effetti può ricordare il suono della pioggia.
Devo dire che la fase di esplorazione è durata molto poco.
Queste persone temono molto di venir trattate da bambini e per riuscire a fare
in modo che tutti si avvicinino a questi “giochi” devo sempre prima chiarire i
motivi e gli obiettivi, musicali o musicoterapici che siano, per cui gli vengono
proposti.
Alla fine di questa pseudo-esplorazione ho proposto loro di tenerla con
entrambe le mani e di suonarla con un movimento delle braccia “a bicicletta”,
130
basando l’attività sulla
coordinazione
ritmico
motoria prima unita alla
vocalità e poi alternata
alla vocalità attraverso
la costruzione di diversi
arrangiamenti che, come
già
detto,
hanno
lo
scopo di mantenere viva
l’attenzione e stimolare
le capacità di previsione
e di organizzazione all’interno di una struttura ritmico-melodica.
Arrangiamento 1:
Tutti si canta e contemporaneamente tutti si suona.
Arrangiamento 2:
Tutti si canta la prima parte del canto.
Piove pioviccica
la carta si appiccica
si appiccica sul muro
suona il tamburo
Poi tutti si suona una parte di durata corrispondente (ascoltare il giro armonico
e cantare a mente la canzone).
Tutti si canta la seconda parte del canto.
Tamburo tamburello
apri l’ombrello
ci vai sotto tu
e non ti bagni più.
Poi tutti si suona una parte di durata corrispondente (ascoltare il giro armonico
e cantare a mente la canzone).
131
Arrangiamento 3:
Le signore cantano la prima parte della canzone.
Finita la prima parte di canzone i signori suonano una parte di durata
corrispondente (ascoltare il giro armonico e cantare a mente la canzone).
Poi i signori cantano la seconda parte della canzone e finito il canto le signore
suonano una parte di durata corrispondente (ascoltare il giro armonico e
cantare a mente la canzone).
132
4.8 VIII° incontro – Tubi e plasticoni (10 novembre 2008)
Oggi meno presenze e in generale poche energie.
A partire da me che, causa influenza, ero decisamente meno energica del solito.
Ho notato che questo ha fatto una grossa differenza.
Oggi abbiamo proposto una canzone famosissima: “La canzone del sole”,
scelta per lavorare sulla vocalità e sulla ritmica che avremmo “rubato”
all’accompagnamento della chitarra.
La scelta è stata accolta con entusiasmo dai partecipanti più giovani ma non è
stata particolarmente gradita dai più anziani.
Avere un gruppo così eterogeneo per stato della malattia ed età se da una parte
è una ricchezza dall’altra alle volte è complicato da gestire.
Per non scontentare i più giovani e non annoiare i più anziani, abbiamo fatto
una scelta di mediazione: si sarebbe cantata solo la prima parte della canzone,
cioè più o meno questa:
Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi
le tue calzette rosse
e l’innocenza sulle gote tue
due arance ancor più rosse
e la cantina buia dove noi
respiravamo piano
e le tue corse, l’eco dei tuoi no, oh no
mi stai facendo paura.
Dove sei stata cos’hai fatto mai?
Una donna, donna dimmi
cosa vuol dir sono una donna ormai.
Ma quante braccia ti hanno stretto, tu lo sai
per diventar quel che sei
che importa tanto tu non me lo dirai, purtroppo.
133
Una volta più o meno stabilizzato il testo, anche se i pazienti più anziani anche
dopo diverse ripetizioni ancora non l’avevano “in repertorio”, ci siamo
concentrati sull’analisi della struttura ritmica della parte della chitarra che
abbiamo eseguito così:
figura da ¼ - figura da ¼ - figura da ¼ - pausa da ¼ .
Questa figura ritmica è stata eseguita prima con il battito di mani, poi battendo
le mani sulle gambe e infine battendo i piedi a terra in modo che fosse il più
possibile interiorizzata.
Una volta interiorizzata la figura ritmica ho dato loro degli strumenti auto
costruiti: due tubi di plastica
che
nell’utilizzo
vogliono
imitare i legnetti e un tubo di
plastica
zigrinato
che
nell’utilizzo vuole imitare il
guiro.
L’idea
degli
strumenti
“casalinghi” e di recupero è
piaciuta molto ed è stato un
buon aggancio di partenza.
L’attività si è svolta così:per cominciare
abbiamo diviso il gruppo in due parti:
gruppo degli uomini e gruppo delle
donne.
Alle donne ho dato il tubo zigrinato e
agli uomini i due tubi di plastica.
Tenendo valida la ritmica sulla quale
avevamo lavorato precedentemente:
figura da ¼ - figura da ¼ - figura da ¼ - pausa da ¼ .
134
gli uomini suonavano le tre figure da ¼ mentre le donne suonavano nel tempo
della pausa da ¼ .
Su questa “base ritmica” chi voleva poteva cantare.
Devo dire che in pochi l’hanno fatto anche se in generale l’attività ha
funzionato abbastanza bene.
Prima di concludere l’incontro ho creato una sorta di “passaggio stretto”
utilizzando le sedie girate dalla parte dello schienale, in modo che potessero
aiutare il gruppo in caso di problemi di equilibrio, e ho chiesto loro di
attraversarlo adattandosi alla ritmica proposta dalla musica.
135
4.9 IX° incontro – Per solisti e coro (17 novembre 2008)
Oggi, per visualizzare l’idea della respirazione e dell’aria che entra ed esce, ho
consegnato da ognuno dei partecipanti al gruppo una cannuccia con attaccato
in fondo un pezzettino di scottex.
Lo scopo era appunto rendesse
visibile una cosa normalmente
non visibile e cioè la colonna
d’aria che, soffiando nella
cannuccia, faceva muovere lo
scottex.
La consegna era di mantenere
in movimento costante lo scottex per 4 tempi.
L’attività, basata su una ritmica piuttosto morbida tenuta da Corrado alla
chitarra, si è svolta così:
4 tempi per inspirare e gonfiare la pancia.
4 tempi di apnea.
4 tempi per espirare “forzando” l’uscita dell’aria e quindi utilizzando i muscoli
addominali in modo deciso.
4 tempi di riposo.
Poi abbiamo eliminato la cannuccia e ho chiesto che tutta l’attività avvenisse
con una mano davanti alla bocca, a distanza di circa 10 cm dalla bocca stessa,
in modo che sentissero fisicamente la sensazione della colonna d’aria costante
sulla mano.
Nei giorni scorsi ho pensato molto all’incontro di oggi.
Sento che è ora che tutti si mettano in gioco e, in qualche modo, escano “allo
scoperto”.
Negli incontri precedenti ho provato a sondare il terreno in questo senso
proponendo attività varie che prevedessero una diversa gestione del gruppo, ma
senza molto successo.
136
Poi ho penato di arrivarci da un’altra via, cioè attraverso una sorta di gioco di
ruoli: ogni partecipante al gruppo, con i tubi di plastica già usati la settimana
scorsa, doveva proporre al gruppo una struttura ritmico gestuale “regolata” da
una “base” musicale suonata da Corrado da far poi ripetere agli altri, decidendo
anche quando far partire “l’orchestra” e quando dare la chiusura.
Ho pensato che questa struttura solista - coro potesse essere un buon modo per
permettere a tutti di uscire un pochino allo scoperto senza però sentirsi troppo
esposti.
L’attività ha infatti funzionato bene, tant’è che è rimasta anche come base
dell’esecuzione del canto “Quel mazzolin di fiori” che abbiamo eseguito cosi:
Solista 1:
quel mazzolin di fiori
che vien dalla montagna
Tutti:
quel mazzolin di fiori
che vien dalla montagna
Solista 2:
bada ben che non si bagna
chè lo voglio regalar
Tutti:
bada ben che non si bagna
chè lo voglio regalar
Solista 3:
lo voglio regalare
perché l'è un bel mazzetto
Tutti:
lo voglio regalare
perché l'è un bel mazzetto
137
Solista 4:
lo voglio dare al mio moretto
stasera quando vien,
Tutti:
lo voglio dare al mio moretto
stasera quando vien
Solista 5:
stasera quando viene
gli fo una brutta cera
Tutti:
stasera quando viene
gli fo una brutta cera;
Solista 6:
e perché Sabato di sera
lui non è vegnù da me
Tutti:
e perché Sabato di sera
lui non è vegnù da me
Solista 7:
non l'è vegnù da me,
l'è andà dalla Rosina
Tutti:
non l'è vegnù da me
l'è andà dalla Rosina
Solista 8:
perché mi son poverina
mi fa pianger e sospirar
138
Tutti:
perché mi son poverina
mi fa pianger e sospirar
Solista 9:
mi fa piangere e sospirare
sul letto dei lamenti
Tutti:
mi fa piangere e sospirare
sul letto dei lamenti
Solista 10:
e che mai diran le genti
cosa mai diran di me
Tutti:
e che mai diran le genti,
cosa mai diran di me,
Solista 11:
diran che son tradita
tradita nell'amore
Tutti:
diran che son tradita
tradita nell'amore
Solista 12:
e a me mi piange il cuore
e per sempre piangerà
Tutti:
e a me mi piange il cuore
e per sempre piangerà,
139
Solista 13:
abbandonato il primo
abbandonà il secondo
Tutti:
abbandonato il primo
abbandonà il secondo
Solista 14:
abbandono tutto il mondo
e non mi marito più
Tutti:
abbandono tutto il mondo
e non mi marito più.
La canzone è stata poi ripetuta dall’inizio fino a che tutti i partecipanti, che fra
pazienti ed accompagnatori sono circa una ventina, potessero eseguire la parte
solistica.
140
4.10 X° incontro – La voce e il corpo (24 novembre 2008)
Oggi appena arrivati siamo stati informati da uno degli accompagnatori che in
mattinata i pazienti avevano avuto una lezione di ginnastica particolarmente
impegnativa.
Per non stancarli ulteriormente ed abusare delle loro energie io e Corrado
abbiamo quindi deciso di dedicarci ad attività più “statiche” del solito.
Siamo partiti dai consueti esercizi di respirazione diaframmatica che poi
abbiamo unito al riscaldamento della voce attraverso note lunghe e vocalizzi.
La vocalità di alcuni dei partecipanti al gruppo (soprattutto uomini) è, sia nel
cantato che nel parlato, veramente molto compromessa e l’esercizio fatto
nell’incontro precedente, “Quel mazzolin di fiori” realizzato in forma
antifonale con l’alternanza solista – coro, è stato molto utile per capire su chi
lavorare con maggiore attenzione.
Dopo la prima fase di riscaldamento abbiamo eseguito da capo a fine il canto
alpino “Sul cappello”.
Ecco il testo:
Sul cappello che noi portiamo
c'è una lunga, c'è una lunga penna nera
che a noi serve, che a noi serve da bandiera
su pei monti, su pei monti a guerreggiar.
Oilalà.
Su pei monti, su pei monti che noi saremo
coglieremo, coglieremo le stelle alpine
per donarle, per donarle alle bambine,
farle piangere, farle piangere sospirar.
Oilalà.
Su pei monti, su pei monti che noi saremo
141
pianteremo, pianteremo l'accampamento,
brinderemo, brinderemo al Reggimento;
viva il Corpo viva il corpo degli Alpin.
Oilalà.
Evviva evviva il Reggimento
evviva evviva il Corpo degli Alpin.
Ogni volta che affrontiamo un canto “nuovo” consegno la fotocopia con il testo
e lascio che la canzone venga eseguita un paio di volte con il testo scritto
davanti.
Poi però, chiedo che tutti appoggino il foglio, sia per guardarci in faccia, cosa
per me sempre importantissima, sia per osservare il loro “rapporto” con la
memoria.
Anche in questo caso, considerando il fatto che il canto era praticamente noto a
tutti, ho chiesto quasi subito di appoggiare il foglio in modo da avere le mani
libere.
Abbiamo quindi affrontato un piccolo esercizio ritmico di accompagnamento e
sostegno al canto basato sulla pulsazione e sull’uso di due gesti suono: il piede
battuto a terra e le mani battute fra loro.
L’esercizio, pensato a gradini di difficoltà crescente, andava via via
complicandosi fino ad arrivare all’alternanza fra la pulsazione tenuta dalle
mani e la pulsazione tenuta dai piedi.
Ecco una semplice descrizione.
1° gradino: sull’armonia del canto e su un tempo in 4/4.
1° quarto 2° quarto 3° quarto 4° quarto
piede
pausa
pausa
pausa
II° gradino: sull’armonia del canto e su un tempo in 4/4.
1° quarto 2° quarto 3° quarto 4° quarto
mano
pausa
pausa
pausa
142
III° gradino: sull’armonia del canto e su un tempo in 4/4.
1° quarto 2° quarto 3° quarto 4° quarto
piede
pausa
mano
pausa
IV° gradino: sull’armonia del canto e su un tempo in 4/4.
1° quarto 2° quarto 3° quarto 4° quarto
piede
mano
piede
mano
IV° gradino: cantando “Sul cappello”.
1° quarto 2° quarto 3° quarto 4° quarto
piede
mano
piede
mano
Ovviamente, per permettere a tutti di “arrivare” ci siamo soffermati diverso
tempo su ogni gradino.
L’attività ha funzionato piuttosto bene.
Poi abbiamo attuato qualche modifica, chiedendo alle signore di tenere la
ritmica delle mani e ai signori quella dei piedi e viceversa, sempre nel tentativo
di mantenere “veloci” le risposte fisiche di ritmica e di coordinazione.
Anche in questa attività, una volta ottenuta la comprensione da parte di tutti,
abbiamo aggiunto l’esecuzione del canto.
143
4.11 XI° incontro – A ritmo di musica (22 dicembre 2008)
Oggi incontro “di augurio” dopo la pausa di dicembre e prima della pausa
natalizia.
Nonostante l’occasione festosa il gruppo aveva voglia di lavorare e noi con
loro.
Come credo sia ormai chiaro a chiunque sia arrivato a leggere questo scritto
fino a qui, il lavoro che abbiamo impostato è fortemente incentrato sulla
coordinazione ritmico motoria unita al gioco e alla vocalità e, soprattutto, sul
pretenzioso obiettivo di tentare di sviluppare in queste persone una sorta di
“fisicità ritmico-musicale”, vale a dire la capacità di muovere il proprio corpo
“dentro” alla musica, in base alla ritmica che quella musica offre.
Lo stimolo musicale al momento viene dall’esterno, vale a dire dalle proposte
mie e di Corrado, ma speriamo che “il meccanismo” possa poi essere
internalizzato e quindi utilizzato da questi malati, attraverso qualsiasi musica
decideranno di far risuonare dentro di loro, in tutte quelle attività della vita
quotidiana (come il camminare, l’alzarsi, o più in generale il dare inizio ad un
movimento) che la malattia di Parkinson rende così difficoltose.
Credo che qualsiasi cosa, persino il tic tac delle frecce della macchina, possa
diventare uno stimolo ritmico, e quindi un invito al movimento, se saputo
riconoscere e utilizzare.
Ecco a questo proposito un comunicato stampa piuttosto recente pubblicato a
questo indirizzo internet:
http://www.neurotube.org/pdf_vari_corsi_congressi/2008/Comunicato_Parkins
on.pdf
“Fondazione Pierfranco e Luisa Mariani ONLUS
Comunicato stampa - Camminando a ritmo di musica
Un nuovo studio rivela che cantare mentalmente aiuta i malati di Parkinson a
camminare meglio
144
Milano, 25 settembre 2008 – Uno studio della Mie University School of
Medicine di Tsu in Giappone, firmato dai ricercatori Japan Masayuki Satoh
Shigeki Kuzuhara, suggerisce che i disturbi della deambulazione nei
parkinsoniani possano essere migliorati con la musicoterapia, e più
semplicemente istruendo i malati a cantare mentalmente una canzone di
riferimento.
I malati di Parkinson devono fronteggiare quotidianamente la difficoltà di un
corpo che non risponde in modo coerente alla loro volontà, non solo per
effetto del classico tremore ma anche per via di disturbi più o meno
pronunciati nella deambulazione.
Lo studio, condotto su 8 pazienti con Parkinson di grado moderato, si è
rivelato un vero successo tanto che i pazienti hanno imparato a utilizzare
questo sistema nella vita di tutti i giorni per migliorare la loro andatura.
Il risultato è stato raggiunto per gradini progressivi, prima invitando pazienti
ad ascoltare una canzone ben ritmata, poi a battere il ritmo con le mani, poi a
cantare e battere il ritmo fino ad arrivare a cantare mentalmente camminando.
Gli Autori ritengono che l’azione della canzone sia dovuta alla componente
ritmica che agisce sulle strutture cerebrali denominate “gangli della base”.
“Queste strutture servono in tutte quelle azioni dove sia necessaria una
programmazione motoria - spiega la Dr.ssa Luisa Lopez della Fondazione
Pierfranco e Luisa Mariani - che nel Parkinson sono danneggiate.
Il ritmo della canzone cantata mentalmente senza dubbio esercita un’azione
regolatrice su queste strutture”.
Lo studio è stato ripreso sul numero odierno di Neuromusic News, la
newsletter della Fondazione Mariani che è diventata in questi anni il punto di
riferimento italiano e mondiale per gli studi su musica e cervello, ed è stato
pubblicato sulla rivista scientifica European Neurology.
Rappresenta la prima prova scientifica di un metodo empirico da tempo
utilizzato dai terapisti per migliorare la deambulazione nei Parkinsoniani, che
145
utilizzava stimoli visivi e uditivi come strisce sul pavimento o l’uso di un
metronomo.
Questo metodo ha l’evidente vantaggio di basarsi piuttosto sulla sollecitazione
di un ritmo interno, e di essere facilmente sperimentabile dalla maggior parte
dei pazienti.”
Nell’incontro di oggi, dopo un momento iniziale di accoglienza, “risintonizzazione” e “riscaldamento”, anche per sottolineare l’atmosfera festosa
che si era creata, abbiamo pensato di proporre una “conta”, gioco tipico dei
bambini ovviamente modificato in modo da contenere spunti di lavoro e di
utilità.
Su una musica basata su un tempo in quattro piuttosto moderato eseguita alla
chitarra da Corrado ho chiesto al gruppo di marcare il tempo 1 con un piede
battuto a terra.
Su questa base “corale” si organizzavano gli interventi “solistici”: uno alla
volta i partecipanti al gruppo dovevano battere le mani (una sola volta) e
toccare (una sola volta) con la mano destra la spalla destra del vicino.
Questa attività motoria era sottolineata dalle parole “batto”, che “dava voce” al
battito di mani, e “tocco” che dava voce all’azione di toccare la spalla del
vicino.
Il tutto andava realizzato muovendosi nel rispetto della ritmica della musica
proposta e non interrompendo mai il flusso del movimento dentro al ritmo.
Da quando il gruppo è diventato così numeroso, circa 20/22 persone fra malati
e accompagnatori, ci siamo accorti che “lavorare sul singolo”, soffermandosi
anche per un breve momento, fatalmente faceva cadere vertiginosamente
l’attenzione degli altri.
Non potendo pensare di annullare quei piccoli momenti di attenzione e
relazione “esclusiva”, che credo siano importanti per sentirsi accolti, accettati e
per dare a tutti i partecipanti al gruppo il coraggio di “uscire” e mettersi in
146
gioco, ma non potendo nemmeno permetterci di veder cadere attenzione e
partecipazione, ci siamo quindi dovuti inventare degli escamotage musicali.
La ritmica del piede battuto a terra sulla quale si creano dei piccoli interventi
solistici, una sorta di primo piano/sfondo, è stato uno di questi.
L’attività e stata realizzata diverse volte, su musiche di andamento ritmico
differente e tutti i partecipanti sono riusciti ad eseguirla.
Di seguito abbiamo proposto un piccolo lavoro sul canto “Tu scendi dalle
stelle”.
Prima ci siamo concentrati sulla ritmica del canto, in 3 come quasi tutti i canti
natalizi, che abbiamo riconosciuto, ascoltato e poi eseguito con i gesti suono
nel seguente modo:
1
2
3
piede battuto a terra
battito di mano
battito di mano
Una volta che tutto il gruppo ha capito e realizzato questa ritmica, abbiamo
dato ai gesti suono una “connotazione vocale”.
In questo modo:
1
2
3
piede battuto a terra
battito di mano
battito di mano
Tum
Cià
Cià
Come conclusione dell’incontro, e come augurio musicale per il Natale in
arrivo, abbiamo eseguito il canto in questo modo: le signore eseguivano la
parte vocale mentre la sezione maschile era incaricata della realizzazione parte
ritmica (attraverso i soli gesti suono piede battuto a terra e due battiti di mano).
Poi abbiamo invertito i ruoli.
147
4.12 XII° incontro – Il ritmo del mondo batte dentro di me
(12 gennaio 2009)
Oggi primo incontro della seconda parte del mio tirocinio, parte che non
prevede la presenza di Corrado.
Confesso di non essere abituata ad usare musica registrata nelle mie attività e
per questo motivo, pur avendo scelto, deciso, pensato e organizzato piuttosto
bene tutto ciò che concerneva la “proposta musicale” oggi mi sentivo piuttosto
agitata.
Oltre a tutti quelli già citati, che inseguo in ogni incontro dall’inizio di questa
esperienza, mio obiettivo in questa seconda parte di strada, ora che tutti i
partecipanti al gruppo sono entrati in contatto con l’idea di ritmo, è di riuscire a
metterli in condizione di sentire, trovare, riconoscere e utilizzare gli stimoli
ritmici presenti in tutto ciò che ascoltano (radio, televisione, ma anche le voci
dei parenti o degli amici) in modo che la musica, e in particolare la sua
connotazione ritmica, non sia “solo” una cosa con cui lavorare durante gli
incontri di musicoterapia, ma possa veramente diventare per loro uno
“strumento d’aiuto” al quale attingere anche autonomamente.
Dopo aver spiegato loro, come d’abitudine, il senso del lavoro che andavamo a
fare, ho proposto loro una piccola selezione di brani tratti dai repertori più vari.
Ad ognuno ho chiesto di sentire ed esprimere liberamente con il corpo la
ritmica che sentivano presente nel brano e di seguire lo stimolo ritmico
ovunque li volesse portare.
Osservando le loro reazioni ho notato che in particolare due pezzi, Danza del
mulino (traccia 1) e Agarraditos (traccia 2), hanno attirato la loro attenzione e
stimolato le reazioni più decise.
La Danza del mulino è un brano basato su un tempo ternario diviso al suo
interno in due parti: una basata su una divisione ritmica più movimentata e
danzereccia che definirò “terzinata” e l’altra basata su una divisione ritmica più
statica che definirò a “semiminima col punto”.
148
“Agarraditos” invece è un pezzo basato su un tempo binario con una struttura
interna ritmicamente stabile ma melodicamente movimentata e facilmente
riconoscibile come basata su un tema A che ritorna intervallato da temi B e C
di sapore melodico diverso.
Su questi pezzi ci siamo soffermati per ascoltarne la struttura, i cambi, la
melodia, la ritmica e infine abbiamo creato delle semplici coreografie
composte da semplici passi che potessero essere realizzati facilmente da tutti.
Quella di Agarraditos si basava sull’alternanza fra passi “singoli” fatti sul tema
A e passi “di coppia” fatti sui temi B e C, mentre quella della Danza del mulino
si basava sull’alternanza fra danza di coppia sulla parte con andamento
“terzinato” e marcia sulla parte con andamento a “semiminima col punto”.
Conclusa questa parte dell’incontro ci siamo dedicati alla vocalità riprendendo
il canto “Sul ponte di Bassano” eseguito su una base musicale (traccia 4).
Durante la prima esecuzione dei canti l’emissione vocale è sempre piuttosto
flebile e poco convinta.
Per questo, nonostante le loro difficoltà siano evidentissime come
evidentissimo è l’impegno e la volontà che mettono in questa attività, mi sforzo
di spronarli per ottenere un’emissione più energica e decisa che coinvolga la
respirazione e che li spinga ad ascoltare cosa succede nel loro corpo quando
cantano.
Prima di salutarci abbiamo ripreso un’attività proposta prima delle vacanze,
quella della conta.
L’attività, basata su un ritmo in 3 (traccia 20), era molto simile a quella già
proposta: tempo 1 marcato con un piede battuto a terra e accompagnato alla
parola “batto”.
Sui tempi 2 e 3 bisognava toccare il braccio del vicino per due volte
sottolineando il gesto con la parola “tocco”.
Il risultato gestuale e sonoro era questo:
149
1
2
3
Piede
Mano sul braccio del vicino
Mano sul braccio del vicino
Batto
Tocco
Tocco
Anche in questo caso, il tutto andava realizzato muovendosi nel rispetto della
ritmica della musica proposta e non interrompendo mai il flusso del movimento
dentro al ritmo.
L’attività ‘ stata eseguita sia con la mano destra che con la mano sinistra e, per
sviluppare la lateralità, nell’ultima realizzazione dell’attività ho chiesto di
alternare il “tocco” con la mano destra e il “tocco” con la mano sinistra.
150
4.12 XIII° incontro – Tocco tocco (19 gennaio 2009)
Oggi il gruppo mi sembrava un po’ stanco.
Pur avendo preparato per oggi una piccola serie di attività motorie ho pensato
fosse meglio affrontare attività non particolarmente movimentate.
Siamo quindi partiti dalla respirazione, attività che affrontiamo quasi ad ogni
incontro e che lascio sempre anche come “compito a casa”, che da un paio di
incontri avevamo abbandonato.
Dopo un primo momento di rilassamento e ascolto del proprio respiro, eseguito
su una musica dolce e “respirata”, siamo passati ad un momento, sempre
dedicato alla respirazione ma più attivo.
Il brano Espejos 91 (traccia 3), con la sua struttura “a rondò”, caratterizzata da
due parti, una parte veloce e una lenta che si alternano più volte, è stato utile
per alternare alla respirazione libera, realizzata sulle parti lente del brano,
momenti più ritmici ed attivi sui quali ognuno era libero di vivere il ritmo
come preferiva.
Finita questa attività il gruppo mi sembrava molto più energico.
Ho allora pensato di riprendere un’attività già proposta ma che trovo
particolarmente utile.
Sulla musica Danza del Mulino, brano già proposto nell’incontro precedente,
ho proposto al gruppo, seduto come al solito sulle sedie disposte a cerchio
molto stretto, di “marciare” da seduto battendo le mani sulle proprie gambe
sulla parte con la ritmica a “semiminima col punto” e di “ballare il valzer” con
i piedi, sempre da seduti, battendo le mani sulle gambe delle due persone
sedute a fianco in modo corrispondente (un due tre come per battere un tempo
in 3/8) sulla parte con la ritmica “terzinata”.
Credo che questa attività, oltre a stimolare la mobilità, la coordinazione,
l’ascolto e l’attenzione, sia utile anche perché permette, attraverso
l’escamotage delle mani sulle gambe della persona vicina, di “sentire” il
linguaggio motorio dell’altro.
151
Riconoscere un movimento in un altro credo che possa essere utile per
percepirlo ed “ascoltarlo” con maggiore attenzione in noi.
L’incontro si è concluso con una cosa che ho trovato molto bella.
Prima della pausa natalizia avevo dato al gruppo un “compito”: chi voleva
poteva portare la sua “musica importante”, magari spiegando anche il perché di
questa collocazione prestigiosa.
Oggi quasi tutti avevano portato cd o cassette con le loro musiche importanti.
L’incontro si è concluso con l’ascolto e la condivisione di una di queste
intitolata “Lo specchio della vita “.
152
4.14 XIV° incontro – Il corpo che suona (26 gennaio 2009)
Oggi l’incontro è iniziato con l’ascolto “attivo” del brano musicale
“Somewhere over the rainbow” (traccia 5) portato da una delle fedelissime agli
incontri.
L’ho definito momento di ascolto attivo perché su questo brano ho chiesto al
gruppo di prendere contatto con la propria respirazione e di “regolarla” in base
alla musica rendendola un’azione volontaria.
Finito questo momento siamo passati ad un’attività ritmica basata su un brano
sul quale stiamo lavorando già da qualche incontro: la Danza del Mulino.
Oggi però, per rendere l’attività più “varia” e, soprattutto, per stimolare e
mantenere la prensilità ho consegnato al gruppo uno strumento che avevamo
già utilizzato qualche mese fa:
una coppia di bastoni in plastica
leggeri e comodi da tenere in
mano che, se battuti uno contro
l’altro, producono un suono
interessante.
L’attività, gestita a “gradini di
difficoltà crescente”, su ognuno
dei quali per permettere a tutti
di “arrivare” ci siamo soffermati diverso tempo, si è svolta in questo modo:
1° gradino:
ascolto del brano, che ormai è conosciuto e libertà per ognuno di viverlo
ritmicamente come preferiva (corpo, strumento, nessuno dei due, entrambi,
ecc…).
153
2° gradino:
sulla parte con la ritmica “terzinata” la ritmica andava “vissuta” e detta con lo
strumento, sulla parte con la ritmica a “semiminima col punto” la ritmica
andava “vissuta” e detta con il movimento dei piedi battuti a terra come a
marciare.
Una piccola postilla: il gruppo è composto da persone che vivono età e stadi
della malattia molto diversi e di conseguenza hanno necessità molto diverse.
C’è chi non ha problemi a muoversi liberamente nello spazio e anzi desidera
farlo e chi invece, a causa delle grandi difficoltà nel movimento che la malattia
gli impone, proprio non riesce a farlo.
A questo problema si aggiunge il fatto che molto di loro faticano a restare per
lungo tempo nella medesima posizione.
Mi sono quindi trovata nella difficoltà di gestire le attività in modo che tutti
potessero partecipare facilmente, modificando livelli e posizioni tenendo
sempre presente ciò che il gruppo riesce o non riesce a fare.
Il fatto di farli marciare o ballare da seduti, cosa che sto facendo sempre più
spesso, è un tentativo di mantenere attivi e coinvolti tutti i partecipanti
attraverso una virtuale “uniformazione” di livelli e obiettivi.
3° gradino:
sulla parte con la ritmica “terzinata” la ritmica andava vissuta e detta in modo
“misto”
1
2
3
piede battuto a terra
strumento
strumento
sulla parte con la ritmica a “semiminima col punto” ognuno era libero di
viverla nel modo che preferiva.
Molti hanno utilizzato solo lo strumento, altri lo strumento e il piede battuto a
terra come a marciare insieme, altri ancora, una minoranza, solo il piede.
Senza dirlo per non metterli in ansia (sono abbastanza convinta che se dicessi
“bene, adesso ognuno improvvisa/suona ciò che vuole” otterrei il blocco totale)
154
sto facendo in modo che le attività comincino a contenere un certo grado di
“libera improvvisazione”, in modo che si abituino o ri-abituino ad esprimere se
stessi in senso ritmico e fisico.
Questa sorta di rondò è stata utile anche per stimolare in loro un ascolto attivo.
Mi accorgo infatti che non faticano più a riconoscere la struttura del brano e
che sanno quando aspettarsi il cambiamento ritmico.
Abbandonata questa attività ci siamo dedicati ad un’attività vocale piuttosto
divertente: la scoperta della varie timbriche che si possono ottenere dalla
propria voce.
Per rendere più divertente l’attività le timbriche erano “forzate” anche a livello
espressivo, così ad esempio la voce di testa è diventata un falsetto alla maniera
dei “Cugini di campagna” mentre la voce in maschera è diventata molto nasale,
tipo cartone animato.
Con queste modalità abbiamo cantato parte della canzone “Gli scarriolanti”
(base traccia 6):
A mezzanotte in punto
si sente una tromba suonar,
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.
Volta e rivolta
e torna a rivoltar,
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.
Volta e rivolta
e torna a rivoltar,
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.
155
4.15 XV° incontro – Pulsando sulla pulsazione (2 febbraio 2009)
Oggi, dopo la consueta introduzione dedicata alla respirazione, al
riscaldamento e al riprendere il contatto con il corpo vissuto in modo “ritmico”,
ci siamo dedicati ad un lavoro basato sulla percezione della pulsazione.
Lo scopo di questa attività fa sempre parte di uno degli obiettivi primari di
questo tirocinio, cioè tentare di fornire ai partecipanti al gruppo quanti più
strumenti possibili per riconoscere il “musicale” e lo stimolo ritmico presente
praticamente in tutto ciò che ci circonda (dal passo di una persona che ci
precede per strada alla freccia della macchina all’allarme di un antifurto).
Essere in grado di riconoscere una pulsazione e saperci “giocare” (ad esempio
raddoppiandola o dimezzandola) credo possa essere un buon mezzo per
“insegnare” allo strumento corpo la musica del movimento.
L’attività si è basata su un coro parlato dal testo molto semplice intitolato
“Navigando fuori rotta” (base traccia 7).
Ecco il testo:
Navigando fuori rotta
mi son preso una gran botta
uno squalo un po’ arrogante
mi ha colpito da furfante.
Per mantenere attiva la memoria anche questo testo, come parte degli altri, è
stato insegnato per imitazione, senza fare uso di fogli con testi scritti.
Ovviamente è una cosa che non posso permettermi con tutti i testi.
Questa modalità è attuabile in questo contesto solo se i testi in questione non
sono particolarmente lunghi o difficili (come nel caso del testo di oggi) oppure
se almeno parte del testo è già conosciuta (come spesso capita con le canzoni
del cosiddetto repertorio popolare).
156
Devo dire che questa mia abitudine non è proprio apprezzatissima dai
partecipanti al gruppo, ma trovo che avere fogli in mano blocchi il contatto
visivo e sia di impedimento al lavoro, soprattutto se, come in questo caso, le
mani e il corpo servono liberi.
La prima parte dell’attività ha visto il testo diviso in base alla pulsazione più
immediata, cioè quella basata sulla semiminima, in questo modo:
Na
vi
gan
do
mi
son
pre
soun
u
no
squa
loun
pi
to
miha col
fuo
ri
rot
ta
a
gran
bot
ta
po’arr o
gan
te
da
fan
te
fur
Una volta imparato il teso e la sua divisione ritmica abbiamo aggiunto il gesto
suono corrispondente, cioè i piedi battuti a terra.
In questo tirocinio sto facendo grande uso delle body percussion più semplici
perché trovo siano un primo utilissimo modo per entrare in contatto con le
potenzialità ritmiche e musicali del nostro corpo.
Una volta stabilizzati testo, ritmica e gesti suono collegati, siamo passati al
gradino successivo nel quale il testo è stato “velocizzato”.
157
L’impressione, corretta, di aumento di velocità è stata ottenuta dividendo il
testo in base ad un’altra ritmica, basata sulla metà della pulsazione, e cioè sulla
croma, in questo modo:
Na
vi
gan
do
mi
son
pre
soun
u
no
squa
loun
to
miha col
pi
fuo
ri
rot
ta
a
gran
bot
ta
po’arr o
gan
te
da
fan
fur
te
Una volta stabilizzata la nuova divisione ritmica, e soprattutto la nuova
velocità di esecuzione, abbiamo aggiunto il gesto suono corrispondente, cioè il
battito di mani.
A questo punto siamo passati all’ultimo gradino: unire le due diverse parti
ritmiche e creare una polifonia ritmica.
Questa è una cosa complessa anche per dei professionisti del linguaggio
musicale, quindi il risultato ottenuto è solo un abbozzo e il primo passo in una
nuova via.
Come prima cosa, anche per rendere comprensibile l’idea di polifonia,
abbiamo vissuto i due ritmi solo attraverso il corpo, “suonando” prima tutti con
158
i piedi la semiminima, poi tutti con le mani la croma e infine unendo i due ritmi
e “suonando” ad libitum contemporaneamente con i piedi la semiminima e con
le mani le due crome corrispondenti in questo modo:
battito di mani battito di mani
piede a terra
piede a terra
Una volta reso un momento più sicuro questo passaggio ho diviso il gruppo in
due parti.
Ad una ho affidato la parte basata sul testo diviso in semiminime e all’altra ho
affidato la parte con il testo diviso in crome.
Il risultato finale sarebbe dovuto essere questo:
Na
Na
u
mi
vi gan do fuo ri
vi
gan
no squa loun po’arr o
son
pre
rot ta mi son pre soun a
do
fuo
ri
gan te miha col pi
soun
a
gran
gran bot ta
rot
to
ta
da
bot
fur
fan te
ta
159
Na
u
u
miha
vi gan do fuo ri
no
squa
no squa loun po’arr o
col
pi
rot ta mi son pre soun a
loun
po’arr
o
gan
gan te miha col pi
to
da
gran bot ta
fur
to
da
fan
te
fur
fan te
te
La corretta esecuzione di un pezzo di questo tipo è una cosa piuttosto
complessa anche per dei “professionisti” del linguaggio musicale, quindi il
risultato ottenuto è solo un abbozzo e il primo passo in una nuova via.
E’ comunque importante che tutto il gruppo abbia partecipato di buon grado e
raggiunto in questa attività una buona autonomia fra gli arti inferiori e quelli
superiori.
160
4.16 XVI° incontro – Strumenti che passione (9 febbraio 2009)
Il cuore dell’attività di oggi è stata la proposta e la scoperta del mio piccolo set
di strumenti a percussione composto da tamburi di varie dimensioni, tamburi
con cembali, sonagli, campanacci, ocean drums, wood block, legnetti, campane
tubolari, bastone della pioggia, maracas, un piccolo xilofono più, per arrivare al
numero dei partecipanti al gruppo, qualche strumento auto costruito (più che
altro sonagli fatti con i tappi delle bottiglie e tamburi creati con oggetti
casalinghi).
Faccio una piccola divagazione: nonostante l’uso degli strumenti diverta
moltissimo me per prima e trovo che siano un prolungamento del corpo
fantastico sia sotto il punto di vista sonoro che sotto il punto di vista
espressivo, l’argomento strumenti mi ha lasciata a lungo indecisa.
In questo contesto, composto da persone che stanno scoprendo (o meglio riscoprendo) il loro “corpo musicale” non sapevo se questa novità sarebbe stata
vissuta come un arricchimento delle possibilità espressive del loro movimento
o solo come una serie di elementi estranei o, peggio, disturbanti.
In più, in diverse delle conversazioni pre e post incontro (fin dall’inizio di
questo tirocinio mi sono data come regola quella di arrivare mezz’oretta prima
dell’inizio dell’incontro e di andare via mezz’oretta dopo la fine dell’incontro
in modo da poter scambiare due parole al di fuori del contesto “di lavoro”) è
emerso un certo disagio nell’uso dello strumento, basato per alcuni sull’idea di
“non essere capaci”, per altri sul fatto di “sentirsi trattati come bambini”, per
altri ancora sull’idea di “sentirsi ridicoli”.
Nonostante tutti i dubbi del caso, ho pensato di rischiare e di valutare sul
momento le risposte e le reazioni alla cosa.
Ho brevemente presentato gli strumenti nel modo più “professionale”
possibile, facendone sentire le sonorità, dividendoli per chiarezza in “famiglie”
di suono (pelle, legno metallo) ed illustrandone il corretto utilizzo.
E qui ho visto i primi sguardi un po’ allarmati.
161
Allora ho detto loro ciò che penso, e cioè che gli strumenti, tutti gli strumenti,
sono giochi.
Giochi preziosi, che permettono di trovare nuove vie espressive e nuove
possibilità per entrare in quel gioco ricchissimo che è la musica, ma
fondamentalmente giochi e come tali vanno vissuti.
Credo che una giusta dose di irriverenza, leggerezza e creatività nei confronti
di quello che è considerato l’uso ortodosso di uno strumento renda
l’esplorazione, la scoperta e l’utilizzo più facile, utile e divertente.
Alla luce di questo, ho chiesto loro di scegliere il proprio strumento, decidendo
liberamente.
Tutti i parametri di scelta andavano bene: quello che li divertiva, quello che li
incuriosiva di più o quello la cui sonorità li aveva colpiti.
Tutti hanno scelto uno strumento e, forse senza saperlo, si sono messi ad
esplorarlo.
Dal momento che fino ad ora abbiamo sempre lavorato sui gesti suono, per
collegare questa nuova esperienza strumentale a qualcosa di già noto ho
pensato di collegare la sonorità di ogni “famiglia” di percussioni ad un gesto
suono.
Così il piede battuto a terra è diventato il suono dei tamburi (suono di pelle), le
mani battute sulle gambe sono diventate il suono dei legnetti e dei wood-block
(suono di legno) e il battito di mani è diventato il suono dei cembali, dei
campanacci e dei sonagli (suono di metallo).
Il gruppo si è così diviso in tre sottogruppi, ognuno dei quali appartenente ad
una famiglia di suono e siamo passati ad attività basate sul riconoscimento dei
tempi in 3 dei tempi in 2 e sulla successiva realizzazione ritmica e strumentale
dei diversi tempi.
Negli incontri precedenti sul tempo in 3 il gruppo spesso si è organizzato in
questo modo:
162
1
2
3
Piede battuto a terra Mani battute sulle gambe Mani battute fra loro
Nella ”traduzione” strumentale l’attività è diventata:
1
2
3
Pelle
legno
metallo
Il tempo in 2, invece, è spesso stato vissuto in questo modo:
1
2
Piede battuto a terra
Mani battute fra loro
Nella ”traduzione” strumentale l’attività è diventata:
1
2
Pelle
legno + metallo (in modo da far comunque partecipare tutti)
Per quanto riguarda il tempo in 3 l’attività si è basata all’inizio su una base
molto lenta della canzone “Romagna mia” (traccia 8) e poi, una volta capito e
il meccanismo e “sintonizzato” il corpo, su una sevillana leggermente più
veloce (traccia 9, la sevillana è la danza tipica della città di Siviglia).
Per quanto riguarda il tempo in 2 l’attività si è basata all’inizio su una base
molto lenta della canzone “L’addio del volontario toscano” (traccia 10) per poi
passare ad un aumento della velocità e della complessità di ascolto con un
Garrotin (traccia 11, brano tipico della cultura flamenca. La parola garrotín
deriva etimologicamente da “garrote” bastone spesso e resistente, e ancora più
direttamente da “garrotiada”, parola asturiana che indica la trebbiatura fatta a
bastonate, nella quale i lavoranti si riunivano per sgranare il grano a colpi di
bastone, cosa che indica quanto il Garrotin sia da collegare ai canti di tipo
“trillero”, derivati da antichi canti molto in voga nel Mediovo.).
Ho pensato che iniziare un’attività “nuova” con basi armoniche chiaramente
riferite a brani che tutti i partecipanti al gruppo conoscono bene potesse essere
163
un buon modo per metterli a loro agio e tranquillizzarli, facendoli sentire in
qualche maniera musicalmente “a casa”.
Nell’attività di oggi ogni sottogruppo lavorava “singolarmente” sul suo tempo
ma tutti i partecipanti di ogni sottogruppo erano sempre attivi ed attenti per
“entrare” sul tempo giusto rispettando la ritmica della musica proposta.
L’attività si è svolta nella solita disposizione che resta fissa per ogni incontro:
con le sedie disposte a cerchio e con i partecipanti seduti.
Nel corso degli incontri è aumentato molto il numero delle persone con grosse
difficoltà a muoversi nello spazio, per questo motivo le attività tendono ad
essere più “stanziali”.
So che questa scelta limita chi invece vorrebbe utilizzare il corpo in modo più
attivo ma, mentre l’attività di movimento nello spazio escluderebbe
completamente chi non riesce a camminare, l’attività stanziale ma attiva “sul
posto” permette anche a chi fatica di più nel movimento di partecipare
comunque alle attività proposte.
Forse a questo punto l’ideale sarebbe dividere il gruppo in due parti ma, dal
momento che uno dei primi obiettivi che mi sono posta è quello relativo alla
socializzazione fra i partecipanti al gruppo e la conseguente “creazione” del
gruppo stesso, è una cosa che non mi sento di fare.
164
4.17 XVII° incontro – Strumenti che passione secondo round
(16 febbraio 2009)
Oggi il lavoro si è di nuovo basato sull’uso degli strumenti ma, differentemente
dalla volta scorsa, oggi ci siamo dedicati alla suddivisione ritmica binaria.
Dopo l’osservazione di quanto accaduto, strumentalmente parlando, nello
scorso incontro, per facilitare il lavoro strumentale ho selezionato solo due
“famiglie” di strumenti: tamburi di varie dimensioni e di sonorità più o meno
gravi e cembali di varie forme e dimensioni.
Volutamente ho preferito eliminare maracas e strumenti di quel tipo perché,
essendo strumenti leggeri che suonano ad ogni minimo movimento, mi
sembrava dessero una “evidenza sonora” eccessiva al sintomo del tremore,
problema che è presente, spesso in modo assai consistente, in molti dei malati
di Parkinson che formano il gruppo.
Rendendo disponibili solo gli strumenti già citati, ho lasciato i partecipanti al
gruppo liberi di decidere cosa suonare.
Una volta distribuiti gli strumenti l’attività è proseguita con l’ascolto di un
brano popolare friulano intitolato Bal del Truc (traccia 12) caratterizzato dalla
presenza della figurazione ritmica
L’attività si è svolta in questo modo: la pulsazione durante tutto il brano veniva
“suonata” dai tamburi, i cembali suonavano la figura ritmica croma - croma croma - pausa di croma.
Il lavoro è andato poi avanti in questa maniera: i tamburi continuavano a
marcare la pulsazione e i cembali continuavano a suonare la figura ritmica
croma - croma - croma - pausa di croma, ma l’intervento dei cembali era
evidenziato anche dal fatto di suonare lo strumento portando le braccia verso
l’alto.
165
A questo passaggio ne è seguito un altro, durante il quale tutti, sia tamburi che
cembali suonavano la figura ritmica croma - croma - croma - pausa di croma
alzando in quel momento le braccia verso l’alto.
Anche questo, come tanti altri, è stato un escamotage per cercare di legare la
formazione di una coscienza ritmica ad attività volte al mantenimento delle
abilità fisiche residue.
Abilità che, come già detto molte volte, all’interno del gruppo non sono
assolutamente omogenee.
L’incontro è seguito con un’attività basata su un brano molto famoso “La
danza di Zorba” (traccia 13), caratterizzato da un grande accelerando.
Su questo brano ognuno dei partecipanti al gruppo doveva entrare a turno di
uno alla volta per arrivare, alla fine del brano, ad essere tutti impegnati
nell’esecuzione.
L’idea musicale era quella del crescendo rossiniano, l’intensità varia dal poco
al tanto in relazione al numero degli strumentisti che suonano, la mia idea era
quella di spingerli a qualche momento di “solismo protetto” e, nel frattempo, di
far percepire loro anche fisicamente l’idea dell’accelerando e del crescendo di
energia.
Per sottolineare il “cambiamento di stato” ad ogni nuovo inserimento lo
strumentista “entrante” doveva alzarsi i piedi.
Conclusa questa attività piuttosto movimentata, per calmare un po’ il tutto
prima del saluto finale abbiamo ripreso un’attività vocale già proposta qualche
incontro fa e basata sul testo “Navigando fuori rotta”.
Alle due velocità che abbiamo imparato a riconoscere nel brano abbiamo
legato due gesti suono: alla velocità “più lenta”, basata sulla semiminima,
abbiamo legato il piede battuto a terra, alla velocità “più veloce”, basata sulla
croma, abbiamo legato le mani battute sulle gambe, il tutto sempre
accompagnato dalla voce.
166
4.18 XVIII° e XIX° incontro – Mani e giocattoli (sonori)
(23 febbraio 2009 e 17 marzo 2009)
In questi due incontri, l’ultimo prima di un paio di settimane di pausa e il
primo dopo la pausa, le attività sulle quali si è basato il lavoro sono state più o
meno le stesse.
Per questo motivo li registro insieme.
Gli incontri sono cominciati con i consueti esercizi di respirazione, realizzati in
modo un po’ più “attivo” grazie all’utilizzo di un brano, “Espejos 91”, che
alterna parti veloci nelle quali chiedevo al gruppo di mantenere la pulsazione
nel modo che preferivano a parti lente nelle quali ci dedicavamo alla pratica
della respirazione diaframmatica.
Per aiutare il gruppo, nella fase dell’espirazione chiedo spesso loro di piegarsi
in avanti per fare in modo che la “chiusura” del corpo faciliti l’uscita dell’aria
(un po’ come si strizza un palloncino quando si vuole far uscire l’aria più
velocemente) e li aiuti a sentire fisicamente la “meccanica” della respirazione.
Questa fase iniziale è utile al gruppo per scaldarsi ed entrare “in sintonia” e nel
frattempo è utile a me per osservare il gruppo stesso e capire quali sono le
“energie disponibili” nei vari partecipanti.
Non è raro infatti che, in conseguenza alla pesante terapia anti Parkinson che
capita venga modificata nel tempo in modo anche deciso, partecipanti
tendenzialmente attivi attraversino periodi di grande smarrimento e stanchezza,
come, al contrario, capita che partecipanti meno attivi attraversino periodi di
maggiore presenza e possibilità.
Anche per questo motivo, nonostante siano ormai diversi mesi che vedo
settimanalmente questo gruppo di persone, la fase pre-incontro dedicata
all’accoglienza e la prima parte dell’incontro, sono per me sempre dedicate
anche all’osservazione, che faccio in modo sia il più attento e il meno
invadente che posso.
167
Una volta conclusa questa prima fase nell’incontro del 23 febbraio ci siamo
dedicati ad un gioco di coordinazione ritmico motoria da realizzare a coppie.
Il gioco, che cercherò di spiegare nel modo più chiaro possibile (ma mi
accorgo che non è facile!) altro non era che una conta di quelle che si facevano
da bambini.
I motivi per cui ho proposto questa attività erano diversi: stimolare la
coordinazione ritmico motoria e l’abitudine a “pensare” i movimenti, cosa che
i malati di Parkinson devono purtroppo fare in ogni momento, oltre a stimolare
l’attivazione fisica, la concentrazione, la socializzazione e, perché no, il
divertimento.
Divisi a coppie, ognuno dei due
partecipanti al gioco dovevano tenere
una mano con il palmo rivolto verso
l’alto e l’altra con il palmo rivolto verso
il basso (come nell’immagine).
I palmi delle mani andavano poi battuti
contro quelli dell’altro partecipante
tenuti in modo speculare (cioè se un
partecipante teneva il palmo della mano
destra rivolto verso l’alto e il palmo
della mano sinistra rivolto verso il basso
l’altro partecipante doveva tenere il
palmo della mano destra rivolto verso il
basso e il palmo della mano sinistra
rivolto
verso
l’alto)
e
cambiando
“verso” ad ogni battuta.
L’esercizio, non facile, si è basato su
una ritmica in 4 piuttosto lenta ma comunque decisa e festosa (Garrotin traccia
11).
168
Una volta che tutti sono “entrati nel gioco” abbiamo diviso la pulsazione
velocizzando il movimento.
Per finire, come ultimo livello di difficoltà, abbiamo alternato la pulsazione di
base, più lenta, con quella “dimezzata” più veloce.
Nell’incontro del 17 marzo al consueto momento iniziale è seguita un’attività
vocale e di “sonorizzazione ritmica”.
La parte vocale si è basata su un semplice canto molto “primaverile” in tempo
ternario intitolato “Aulì Ulè” (traccia 14).
Ecco il testo:
In mezzo al prato un albero c’è
con tante nespole aulì ulè.
Ma dimmi un po’
ma dimmi perché
cadon le nespole aulì ulè.
La sonorizzazione ritmica è invece
stata realizzata con strumenti autocostruiti
occasioni
già
utilizzati
all’interno
in
di
altre
questo
tirocinio: dei tubi di plastica lisci da
usare “come legnetti” e dei tubi
zigrinati da suonare con una matita e
da usare “come guiro”.
Prima di tutto abbiamo imparato il canto, come
sempre per imitazione e senza il supporto di
fogli scritti in modo da stimolare la memoria.
Come ho già detto, questo è possibile solo con
testi semplici e piuttosto brevi.
Una volta imparato il canto ed eseguito diverse
volte sulla base in modo che fosse “stabile” ci
169
siamo dedicati all’attività ritmica.
L’attività ritmica si è basata su due ritmi diversi eseguiti dai due strumenti
diversi che avevo diviso fra i partecipanti al gruppo: il guiro suonava sull’1
mentre i tubi/legnetti suonavano sul 2 e 3.
Una volta stabilizzata anche la ritmica abbiamo unito l’esecuzione strumentale
al canto eseguendo sulla base, che ripete lo stesso giro armonico/melodico di
supporto al canto per cinque volte, prima il solo canto, poi la sola ritmica poi
entrambe le cose insieme per poi tornare indietro eseguendo la sola ritmica e
per finire il solo canto.
170
4.19 XX° incontro – Cammina cammina (24 marzo 2009)
Oggi, giornata di energia un po’ scarsa un po’ per tutti, finito il consueto
momento iniziale dedicato alla respirazione, per scaldare e sintonizzare i
partecipanti al gruppo ho proposto un’attività molto giocosa basata sulla
“Danza di Zorba”, brano già utilizzato in uno degli incontri scorsi e
caratterizzato dalla presenza di un grande accelerando.
Seduti in cerchio con le seggiole molto vicine ho distribuito fra i partecipanti
cinque o sei palle di varie
dimensioni
(da
quelle
piccole da tennis a quelle
da calcio passando per una
via di mezzo molto in voga
nelle scuole dell’infanzia).
Le palle dovevano passare
di mano in mano fra i vari
partecipanti rispettando il
ritmo della musica proposta
senza fermarsi mai.
Ho pensato di proporre
questa attività per stimolare la coordinazione ritmico motoria, per mantenere le
abilità motorie (ruotare il busto nelle due direzioni, allungare le braccia per
consegnare la palla al vicino), per stimolare l’attenzione, per mantenere la
prensilità attraverso l’utilizzo di palle di dimensioni diverse che obbligavano
quindi a “prese” diverse e, come sempre, per divertirli.
Nei giorni scorsi, nel preparare l’incontro di oggi, mi sono trovata a riflettere
su quanto in realtà il camminare sia un’azione complessa e difficile che
prevede l’esecuzione corretta di un gran numero di movimenti e l’utilizzo
corretto di diverse parti del piede.
171
Questa riflessione mi ha portato a riflettere, oltre che sui diversi “stili di
cammino” che è facile riconoscere nelle persone, anche sul fatto che in diversi
fra coloro che partecipano al gruppo di musicoterapia hanno grosse difficoltà a
camminare.
Le difficoltà non solo quelle derivare dal fatto che i muscoli “non tengano” ma
sono anche derivate da “stili di deambulazione” che il Parkinson ha purtroppo
reso scorretti, faticosi e difficili da gestire (ad esempio c’è chi cammina in
punta di piedi, di conseguenza con il peso del corpo fortemente sbilanciato in
avanti).
Per questo motivo ho voluto dedicare la parte centrale dell’incontro di oggi
all’”idea del camminare” e all’analisi dei vari movimenti che i piedi compiono
in questa azione.
Per percepire meglio i vari movimenti ho chiesto al gruppo di togliere le scarpe
e su una musica non velocissima ma comunque energica (Tango palmas y
percussiòn, traccia 15) abbiamo cominciato a provare a “sentire” i movimenti
relativi al tallone, alla pianta ed alla punta del piede.
Ogni movimento è stato proposto prima isolato (solo tallone, solo pianta, solo
punta) e poi legato agli altri, in modo che il pensare il piede che si muove in
vari modi diventasse il pensare un unico fluido movimento.
In ogni attività che propongo mi impegno per non dimenticare mai che la
malattia di Parkinson obbliga queste persone a dover “pensare” ogni
movimento e, pur essendo in realtà impossibile per chi non ha questo disturbo
immaginare la sensazione che il disturbo stesso provoca, credo che in un certo
senso mi sia utile il fatto di essere da anni allieva di una scuola di flamenco.
Il flamenco, come credo ogni danza, impone un costante, continuo e profondo
controllo del corpo e del movimento e personalmente, con i dovuti distinguo e
le dovute cautele, mi trovo molto spesso, e non senza difficoltà, a cercare di
pensare e visualizzare mentalmente i movimenti che devo far fare al mio corpo.
172
Tutta l’attività è stata ovviamente guidata dalla musica e dallo stimolo ritmico
che questa contiene.
Il gruppo ha ormai una buona famigliarità con l’idea della pulsazione, con la
possibilità di “dividerla” per rendere il movimento relativo più veloce e con
quella di “moltiplicarla” per rendere il movimento relativo più lento e non è più
un problema per nessuno reagire immediatamente quando chiedo di far
comandare il ritmo e di “vestirlo” di movimenti più veloci o più lenti.
L’incontro si è concluso con un canto popolare intitolato “Gli scarriolanti”
(base traccia 16).
Da un paio di incontri si è aggiunta al gruppo una signora che la scorsa volta, il
suo primo incontro, per tutto il tempo ha pianto silenziosamente.
Quando capitano cose di questo tipo spesso non so bene come reagire, quindi
faccio quello che “mi viene” da fare: avvicinarmi alla persona e cercare il
modo di farla sentire accolta anche nel suo dolore.
Alle volte basta uno sguardo, altre volte una parola sussurrata, molto più
spesso un contatto più fisico come un abbraccio o il tenere la mano.
Ho la sensazione che questa malattia renda il corpo un “nemico” e forse è per
questo motivo che percepisco in molte delle persone che compongono il
gruppo un grande bisogno di contatto fisico, come se il fatto di essere accolti
non solo emotivamente ma anche “fisicamente” attraverso un abbraccio o una
stretta di mano rendesse questo ”corpo nemico” un po’ meno estraneo.
Tornando alla signora in questione, oggi alla richiesta di cantare ha detto che
non se la sentiva perché canta troppo male.
Per “cavarmela” in modo giocoso, ho pensato di chiedere al gruppo di cantare
tutti insieme la canzone, ognuno peggio che poteva.
E uniche regole da rispettare erano relative all’emissione vocale, che doveva
essere di intensità decisa, e alla pronuncia del testo, che doveva essere chiara e
scandita.
173
Il gruppo è stato al gioco e tutti, anche la signora che non voleva, hanno
cantato con entusiasmo.
E, come richiesto, malissimo.
4.20 Tavola rotonda dedicata alle attività dell’Associazione Parkinson di
Modena “Io sono abile” (28 marzo 2009)
L’Associazione Parkinson di Modena ha organizzato una tavola rotonda dal
titolo
“Io
sono
abile:
un’esperienza di contrasto
alla disabilità”
L’iniziativa, alla quale oltre
alla
sottoscritta
hanno
partecipato tutte le figure
professionali impegnate nel
lavoro
con
i
malati
dell’Associazione
Parkinson di Modena e cioè
un
fisioterapista,
un’insegnante
motoria,
una
psicosintetista
di
attività
counselor
e
una
logopedista, aveva come
scopo e ideale sottotitolo il confrontarsi su come lavoriamo assieme per
“persuadere” la malattia di Parkinson a non abbassare la qualità di vita dei
malati e dei loro familiari.
Per me questo incontro e l’incontro “organizzativo” che l’ha preceduto sono
state preziose occasioni di confronto e di dialogo con altre figure professionali
impegnate nella stessa “battaglia”, seppure ognuno nel suo campo.
174
4.21 XXI° incontro – Tango mi querido (30 marzo 2009)
Nell’incontro di oggi il “centro” del lavoro, oltre alle consuete attività di
respirazione e “sintonizzazione” che non riferisco per non ripetermi, si è basato
sull’idea del camminare che abbiamo affrontato nell’incontro precedente.
Basandomi sul fatto che il gruppo non fatica più a riconoscere e “modificare”
la pulsazione e sul fatto che molto fra i partecipanti al gruppo sono o sono stati
“ballerini”, cosa che spesso mi raccontano ma anche cosa facilmente intuibile
dall’entusiasmo con il quale accolgono ogni proposta di musica “ballabile” e
dal fatto che alcuni di loro mi hanno portato come loro “musica importante”
brani di liscio ballabile, oggi ho proposto un lavoro basato sul tango e sul suo
passo base che, in modo molto schematico e molto semplificato si può
riassumere così: passo lungo, passo lungo, passo corto passo corto, passo
lungo.
Tradotto in musica:
Come ho già detto molte volte, la più grande difficoltà che incontro nel lavoro
con questo gruppo è rappresentata dalle ampie differenze di età (i partecipanti
vanno dai circa cinquantacinque anni dei più giovani ai circa ottant’anni dei
più anziani) e di stadi di malattia (alcuni non hanno sintomi evidenti e si
muovono con facilità, altri hanno sintomi decisi e grandissime difficoltà sia nel
movimento che nella parola) delle persone che lo compongono, differenze che
devo sempre tener presente e trovare il modo di superare facendo comunque in
modo che tutti si sentano accolti, parte del gruppo e liberi di fare ciò che il loro
corpo e la loro sensibilità gli suggerisce.
Per questo motivo, e soprattutto per permettere anche a chi ha le difficoltà
maggiori di partecipare, ogni attività parte da seduti nella consueta
disposizione a cerchio.
175
L’attività di oggi è cominciata con l’ascolto di un tango intitolato “Oblivion”
(traccia 17).
Su questa musica, scelta perché piuttosto lenta, ho chiesto al gruppo di
immaginare e di cercare di visualizzare mentalmente le loro gambe e i loro
piedi muoversi sul passo base del tango.
Finito questo ascolto “attivo” ho chiesto loro di usare le braccia come se
fossero le gambe, muovendole come se “camminassero” la ritmica passo
lungo, passo lungo, passo corto passo corto, passo lungo.
Abbiamo ripetuto questo stesso esercizio su un tango intitolato “Mi amor
tango” (traccia 18) utile perché più veloce e più ritmato e importante perché è
stato portato da uno dei partecipanti al gruppo.
L’attività è proseguita sostituendo il movimento delle braccia con quello delle
gambe e dei piedi che dovevano “camminare da seduti” la ritmica passo lungo,
passo lungo, passo corto passo corto, passo lungo.
Come ultimo step abbiamo unito i due movimenti: braccia e gambe dovevano
muoversi insieme camminando la ritmica passo lungo, passo lungo, passo corto
passo corto, passo lungo.
Per finire l’incontro in bellezza, dal
momento che vedevo il gruppo dei
“ballerini” scalpitare, ho chiesto a chi
voleva di alzarsi a ballare un tango a
coppie.
Tutti si sono alzati e hanno ballato fra
loro e con me, anche le persone con le
difficoltà motorie più evidenti.
Un signore con grandi difficoltà di
movimento, che tante volte mi ha
raccontato di essere stato un bravo
ballerino, alla fine si è commosso.
176
Concludo con una notizia segnalatami da un’amica tanguera argentina e
visibile a questo indirizzo internet:
http://www.parkinson-italia.it/news/lezione_di_tango.htm
http://physicaltherapy.wustl.edu/pt/pt.nsf/F/5BFB7F7FA731FE4C86256FD60
059481A
A lezione di tango per curare il morbo di Parkinson
Ballando il tango: anche così si
può contrastare la perdita di
equilibrio tipica del morbo di
Parkinson, con risultati perfino
migliori di quelli che si ottengono
con altri esercizi più convenzionali.
Lo ha dimostrato un gruppo di
neurologi
della
Washington
University di Saint Louis, Stati
Uniti, che ha fatto partecipare una ventina di
malati a venti ore di lezioni di tango o di
ginnastica.
Tutti hanno avuto un miglioramento della
capacità motoria, ma il gruppo di aspiranti
tangueros
ha
mostrato
anche
un
netto
progresso nei test sull’equilibrio.
“La danza” commenta Gammon Earhart,
responsabile del programma “è un ottimo
esercizio per i malati di Parkinson e in
particolare lo è il tango: giravolte e stop improvvisi sono utilissimi per
mantenere il controllo dell’equilibrio.
E poi il ballo offre ai malati un’ottima occasione anche per instaurare nuove
relazioni sociali”
177
4.22 XXII° incontro – Strumenti a corde (6 aprile 2009)
L’incontro di oggi si è aperto con il consueto momento dedicato alla
respirazione ed all’unione di respirazione ed emissione vocale.
Il momento dedicato alla respirazione è comune a tutte le “attività” che il
gruppo frequenta, cioè ginnastica, logopedia e musicoterapia, e, pur non
amandolo particolarmente devo dire che lo affrontano con serietà in quanto lo
vivono un po’ come una medicina.
Finita questa prima fase ci siamo dedicati ad un’attività “da musicisti”: il
controllo del movimento delle dita in relazione ad uno strumento che deve
essere suonato in modo corretto ed in relazione ad una ritmica da rispettare.
Come sappiamo la malattia di Parkinson colpisce tutti i muscoli, sia quelli
deputati al grande movimento (il camminare ad esempio) sia quelli dedicati
alla realizzazione dei movimenti più piccoli (muovere le dita ad esempio).
Il controllo del movimento delle dita, il suo allenamento, il suo
perfezionamento fa parte del lavoro quotidiano del musicista.
Come per la danza, anche in questo caso in un certo senso il movimento è
pensato e mosso da volontarietà.
Per questo ho pensato di proporre al gruppo un’attività basata sull’utilizzo
musicale di una sorta di strumento a corda divertente costruito con un bicchiere
di plastica e un elastico spesso.
In questo lungo tirocinio ho avuto svariate occasioni per accorgermi di quanto
l’argomento strumento non sia vissuto benissimo dal gruppo.
Molti dei partecipanti si sentono in imbarazzo con in mano uno strumento
“vero”, imbarazzo di non “saper suonare”, imbarazzo dovuto al fatto di sentirsi
ridicoli (come molti mi hanno detto più volte. In più non dimentichiamo che
molti dei partecipanti sono piuttosto anziani e sappiamo quanto per l’anziano la
“novità” sia spesso causa di una certa ansia), imbarazzo che ho sentito forte e
chiaro nelle occasioni nelle quali ho proposto l’uso di strumenti a percussione
178
vari, imbarazzo che mi ha fatto pensare che per il momento era il caso di
sospenderne l’utilizzo.
Questo imbarazzo invece non si è mai avvertito nelle occasioni in cui ho
proposto al gruppo l’uso di strumenti auto costruiti.
Forse perché buffi (come il tubo da elettricista usato come guiro che piace
sempre molto) e “quotidiani” (come le matite o la carta da forno) risultano più
tranquillizzanti e meno “minacciosi” e vengono quindi accettati ed utilizzati
con maggiore entusiasmo.
In più forse l’uso dello strumento viene “accettato” anche in conseguenza al
fatto che cerco sempre di spiegare al gruppo il motivo per cui ci dedichiamo ad
un’attività e che cosa cerchiamo di contrastare o di mantenere attivo.
Anche alla luce delle tante conversazioni pre e post incontri nella quali diverse
volte viene espressa la necessità di sentire di non “perdere tempo” credo che
sia importante che queste persone sappiano su cosa di volta in volta stiamo
lavorando e qual è l’obbiettivo dell’attività proposta.
In questo caso l’obbiettivo dell’attività era mantenere l’abilità e la motricità
delle dita in relazione alla ricerca di una sonorità precisa, in relazione
all’ascolto di una musica proposta ed in relazione ad una particolare ritmica da
rispettare,
Con l’aiuto dei parenti e degli accompagnatori, che sono sempre un aiuto
prezioso e non si tirano mai
indietro
partecipando
attivamente a tutte le attività
proposte, ho costruito uno
strumento
per
ogni
partecipante e ne ho mostrato
l’utilizzo, il bicchiere andava
tenuto
in
mano
orizzontalmente con la parte da cui si beve girata verso l’interno e il pollice e
179
l’indice dell’altra mano dovevano pizzicare la corda che attraversava il
bicchiere
Su un tango simile a quello proposto la scorsa volta (Mirar tango, traccia 19)
ho chiesto al gruppo di suonare la ritmica passo lungo, passo lungo, passo corto
passo corto, passo lungo.
Ci siamo soffermati su questa attività fino a quando tutti i partecipanti al
gruppo sono riusciti ad entrare a far parte dell’orchestra suonando lo strumento
e rispettando la ritmica da eseguire.
Il passo successivo è stato
chiedere
al
gruppo
di
cambiare mano tenendo lo
strumento con la mano che
prima
pizzicava
e
pizzicando con la mano che
prima teneva il bicchiere.
Questo
cambio
è
stato
attuato diverse volte fino a
che ho notato che tutti riuscivano a farlo, anche se non tutto proprio facilmente.
Successivamente ho chiesto al gruppo di suonare con i piedi battuti a terra i
primi due passi lunghi e di suonare con lo strumento bicchiere i restanti passo
corto, passo corto e passo lungo e, col tempo, viceversa.
Infine ho chiesto al gruppo di alternare l’uso delle dita (vedi immagini a fine
paragrafo), pizzicando l’elastico con il pollice e l’indice, poi con il pollice e il
medio, poi con il pollice e l’anulare, poi con il pollice e il mignolo e viceversa
(pollice e mignolo, pollice e anulare, pollice e medio, pollice e indice) e di fare
la stessa cosa in entrambe le mani.
Dal momento che anche il tango che abbiamo utilizzato oggi ha, come ogni
brano di “liscio ballabile”, la struttura formale è molto chiara e prevedibile e
dal momento che ormai il brano musicale era conosciuto piuttosto bene da tutti,
180
ho chiesto al gruppo di cambiare dita e movimento rispettando la struttura
musicale del brano, composta da frasi di 8 battute ciascuna.
Cerco di rendere le attività ”mobili” e varie sia per evitare di annoiare il gruppo
sia, soprattutto, per mantenere alto il livello di attenzione e stimolare la
concentrazione.
L’incontro si è concluso con il canto “Gli scarriolanti”, stavolta (a differenza
dello scorso incontro) cantato meglio che si poteva.
181
4.23 XXIII°, XXIV° e XXV° incontro – Vocalità delle vocali
(20 e 27 aprile, 4 maggio 2009)
In questi ultimi incontri, oltre ai consueti esercizi di respirazione e di
coordinamento ritmico motorio, ci siamo dedicati con maggiore attenzione alla
voce ed, in particolare, ad un esercizio nuovo: l’emissione prolungata, cantata e
“decisa” delle cinque vocali.
L’idea mi è venuta perché credo che questo esercizio possa rappresentare un
buon modo per migliorare la qualità della voce e, insieme, prendere coscienza
del punto interno del corpo in cui le vocali stesse vibrano.
Indirettamente, infatti, l’emissione vocale permette al malato di entrare in
contatto con il proprio corpo, scoprendone nuove risorse e parti sconosciute.
Ho pensato di usare le sole vocali e non intere parole perché “più facili” da
cantare grazie al fatto che nei suoni vocalici l'aria che viene emessa dai
polmoni, passa attraverso le corde vocali ed esce dalla bocca senza incontrare
ostruzioni.
In più è principalmente la posizione della bocca delle labbra che distingue e
caratterizza i vari suoni vocalici tra loro.
Un semplice esempio: pronunciando ad alta voce una parola ricca di vocali
come "aiuole" e prolungando il suono delle vocali, ci si rende conto che la
posizione della bocca cambia ad ogni suono e che ogni vocale ha la sua
posizione caratteristica.
Oltre a curare l’emissione del suono, cercando di usare il diaframma per
“sostenere” i suoni, ho chiesto al gruppo anche di amplificare la posizione della
bocca necessaria per emettere il suono e, se desideravano, aggiungere
un’espressione facciale a scelta (tipo sbarrare gli occhi o arricciare il naso) con
lo scopo di aiutarli nel mantenere il dominio e l’”uso” dell’espressione facciale
che spesso il Parkinson compromette.
Anche se questi aspetti fisionomici non hanno influenza diretta sulla qualità
della voce e, di conseguenza, sugli eventuali problemi di parole legati al
182
Parkinson, i cambiamenti dell’espressione facciale sono importanti per
accrescere la loro capacità di comunicare in modo efficace.
L’esercizio è stato svolto prima sulle cinque vocali divise tenute con voce
piena più a lungo e più forte possibile poi con le cinque vocali combinate in
modo da lavorare “in combinazione” su posizioni della bocca più o meno
“opposte”, come ad esempio AU, OI , EU, OE, AO, UA, ecc.
Nella fase iniziale del lavoro ho chiesto ad ognuno di emettere un suono che
fosse “comodo”, cioè che vibrasse “di petto”, la zona vocale più piena, non
preoccupandosi del fatto che i suoni intonati da ognuno fossero diversi e
“stonati” fra loro.
Questa richiesta mi è servita un po’ per stemperare qualsiasi eventuale tensione
relativa all’uso della voce (e soprattutto relativa al fatidico “son stonato” che
tante volte in tanti contesti diversi ho sentito ripetere) e un po’ per verificare la
loro qualità di ascolto.
Lavorando su una musica proposta da Corrado alla chitarra, c’era “nell’aria”
un ambito armonico molto preciso che faceva si che, pur non avendoli
“dichiarati”, i suoni da cantare fossero comunque percepibili.
Devo dire che tutto il gruppo praticamente subito si è sintonizzato sugli stessi
suoni.
L’attività è continuata salendo piano piano di tessitura e poi tornando verso una
tessitura più grave, sempre lavorando su basi armoniche proposte dalla
chitarra, lasciando che fosse il gruppo a “prendere la nota” dall’ambito
armonico che li sosteneva.
Durante l’incontro del 4 maggio, il penultimo incontro, mi sono presa qualche
minuto per consegnare un piccolo questionario che ho lasciato ad ogni
partecipante del gruppo e per “spiegarlo” in poche parole.
Quello che tenevo ad illustrare non era tanto il contenuto del questionario, che
è tanto semplice da non aver bisogno di essere spiegato, ma il motivo per cui
glielo sottoponevo e che uso ne avrei fatto.
183
Ho tenuto ad essere il più possibile chiara e ha lasciare la massima libertà, nel
senso che la compilazione del questionario non è un obbligo, perche credo sia
importante mantenere quell’atmosfera giocosa, mai seriosa e forse, mi si
conceda l’espressione, “poco terapeutica” sulla quale, dopo aver osservato e
ascoltato il gruppo, ho voluto basare di questo lavoro.
Ecco, di seguito, il questionario intitolato semplicemente “Qualche domanda”.
QUALCHE DOMANDA
NOME (se desideri):
ETA’:
ANNO DI INSORGENZA DEI PRIMI SINTOMI:
NUMERO DI INCONTRI DI MUSICOTERAPIA FREQUENTATI:

Pochi

Circa la metà

Quasi tutti

Tutti
ESPERIENZE MUSICALI PASSATE (è possibile barrare più di una risposta):

Nessuna

Esperienze legate al canto

Esperienze legate all’uso di strumenti

Esperienze legate sia al canto che all’uso di strumenti

Altre (se desideri, indica quali)
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
184
DESCRIZIONE DELLE ESPERIENZE MUSICALI PASSATE (se desideri):
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
DURANTE I NOSTRI INCONTRI DI MUSICOTERAPIA, QUALI SONO
LE ATTIVITA’ CHE HAI PREFERITO? (è possibile barrare più di una
risposta):

Attività ritmico-motoria/Danza

Attività vocali/Canto

Uso di strumenti

Esercizi di respirazione

Nessuna di queste

Altre (se desideri, indica quali)
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
DURANTE I NOSTRI INCONTRI DI MUSICOTERAPIA, QUALI SONO
LE ATTIVITA’ NELLE QUALI HAI TROVATO DIFFICOLTA’ O CHE
HAI GRADITO MENO? (è possibile barrare più di una risposta):

Attività ritmico-motoria/Danza

Attività vocali/Canto

Uso di strumenti

Esercizi di respirazione

Nessuna di queste

Altre (se desideri, indica quali)
185
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
DURANTE I NOSTRI INCONTRI DI MUSICOTERAPIA E’ CAPITATO
CHE TU TI SIA SENTITO/A (è possibile barrare più di una risposta):

Male

Non accolto/a

Non parte del gruppo

Così così

Non sempre a mio agio

Non sempre accolto/a

Non sempre parte del gruppo 

A mio agio

Accolto/a

Parte del gruppo

In imbarazzo
Bene
COMMENTI E/O CONSIGLI (se desideri):
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
_______________________________________________________________
Per il vostro aiuto, grazie a tutti!
Parma, 3 maggio 2009
186
4.24 XXVI° incontro – Saluti (11 maggio 2009)
Solo una bella foto di gruppo per descrivere l’ultimo incontro e concludere
questo lavoro.
Un po’ mossa, è vero, ma bella per ciò che rappresenta.
187
4.25 Testi dei canti affrontati durante gli incontri
ROMAGNA MIA (base traccia 21)
Sento la nostalgia di un passato
dove la mamma mia mi ha lasciato
non ti potro' scordar casetta mia
in questa notte stellata
la mia serenata io canto per te.
Romagna mia, Romagna in fiore
tu sei la stella, tu sei l'amore
quando ti penso vorrei tornare
dalla mia bella al casolare.
Romagna, Romagna mia
lontan da te non si puo' star.
Romagna mia, Romagna in fiore
tu sei la stella, tu sei l'amore
quando ti penso vorrei tornare
dalla mia bella al casolare.
Romagna, Romagna mia
lontan da te non si puo' star.
Quando ti penso vorrei tornare
dalla mia bella al casolare.
Romagna, Romagna mia
lontan da te non si puo' star.
188
L'ADDIO DEL VOLONTARIO TOSCANO (base traccia 22)
Addio, mia bella, addio:
che l'armata se ne va;
e se non partissi anch'io
sarebbe gran viltà!
E se non partissi anch'io
sarebbe gran viltà!
Il sacco preparato
e sull'òmero mi sta;
sono uomo e son soldato:
viva la libertà!
Sono uomo e son soldato:
viva la libertà!
Ma non ti lascio sola,
io ti lascio un figlio ancor:
sarà quel che ti consola,
il figlio dell'amor!'
Sarà quel che ti consola,
il figlio dell'amor!'
Squilla la tromba addio
e l'armata se ne va;
dai un bacio al figlio mio
viva la libertà!
Dai un bacio al figlio mio
viva la libertà!
189
QUEL MAZZOLIN DI FIORI
Quel mazzolin di fiori
che vien dalla montagna;
(2 volte)
bada ben che non si bagna
chè lo voglio regalar,
(2 volte)
Lo voglio regalare
perchè l'è un bel mazzetto;
(2 volte)
lo voglio dare al mio moretto
stasera quando vien,
(2 volte)
Stasera quando vien
gli fo una brutta cera;
(2 volte)
e perchè Sabato di sera
lui non è vegnù da me,
(2 volte)
Non l'è vegnù da me,
l'è andà dalla Rosina;
(2 volte)
Perchè mi son poverina
mi fa pianger e sospirar,
(2 volte)
Mi fa piangere e sospirare
sul letto dei lamenti;
190
(2 volte)
e che mai diran le genti,
cosa mai diran di me,
(2 volte)
Diran che son tradita,
tradita nell'amore;
(2 volte)
e a me mi piange il cuore
e per sempre piangerà,
(2 volte)
Abbandonato il primo,
abbandonà il secondo;
(2 volte)
abbandono tutto il mondo
e non mi marito più,
(2 volte)
191
SUL PONTE DI BASSANO (base traccia 4)
Sul ponte di Bassano
là ci darem la mano.
Là ci darem la mano
ed un bacin d'amor,
ed un bacin d'amor, ed un bacin d'amor.
Per un bacin d'amore
successe tanti guai.
Non lo credevo mai
doverti abbandonar,
doverti abbandonar, doverti abbandonar.
Doverti abbandonare
volerti tanto bene.
E’ un giro di catene
che m'incatena il cor,
che m'incatena il cor, che m'incatena il cor.
Che m'incatena il cuore
che m'incatena il fianco.
Non posso far di manco
piangere e sospirar,
piangere e sospirar, piangere e sospirar.
192
PIOVE PIOVICCICA (base solo chitarra traccia 23, base orchestrale
traccia 24)
Piove pioviccica
la carta si appiccica
si appiccica sul muro
suona il tamburo
tamburo tamburello
apri l'ombrello
ci vai sotto tu
così non ti bagni più.
193
LA CANZONE DEL SOLE (Lucio Battisti )
Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi
le tue calzette rosse
e l'innocenza sulle gote tue
due arance ancor più rosse
e la cantina buia dove noi
respiravamo piano
e le tue corse, l'eco dei tuoi no, oh no
mi stai facendo paura.
Dove sei stata cos'hai fatto mai?
Una donna, donna dimmi
cosa vuol dir sono una donna ormai.
Ma quante braccia ti hanno stretto, tu lo sai
per diventar quel che sei
che importa tanto tu non me lo dirai, purtroppo.
Ma ti ricordi l'acqua verde e noi
le rocce, bianco il fondo
di che colore sono gli occhi tuoi
se me lo chiedi non rispondo.
O mare nero, o mare nero, o mare ne...
tu eri chiaro e trasparente come me
o mare nero, o mare nero, o mare ne...
tu eri chiaro e trasparente come me.
Le biciclette abbandonate sopra il prato e poi
noi due distesi all'ombra
un fiore in bocca può servire, sai
più allegro tutto sembra
e d'improvviso quel silenzio fra noi
194
e quel tuo sguardo strano
ti cade il fiore dalla bocca e poi
oh no, ferma, ti prego, la mano.
Dove sei stata cos'hai fatto mai?
Una donna, donna, donna dimmi
cosa vuol dir sono una donna ormai.
Io non conosco quel sorriso sicuro che hai
non so chi sei, non so più chi sei
mi fai paura oramai, purtroppo.
Ma ti ricordi le onde grandi e noi
gli spruzzi e le tue risa
cos'è rimasto in fondo agli occhi tuoi
la fiamma è spenta o è accesa?
O mare nero, o mare nero, o mare ne...
tu eri chiaro e trasparente come me
o mare nero, o mare nero, o mare ne...
tu eri chiaro e trasparente come me.
Il sole quando sorge, sorge piano e poi
la luce si diffonde tutto intorno a noi
le ombre ed i fantasmi della notte sono alberi
e cespugli ancora in fiore
sono gli occhi di una donna
ancora piena d'amore.
195
SUL CAPPELLO (base traccia 25)
Sul cappello che noi portiamo
c'è una lunga, c'è una lunga penna nera
che a noi serve, che a noi serve da bandiera
su pei monti, su pei monti a guerreggiar.
Oilalà.
Su pei monti, su pei monti noi saremo
coglieremo, coglierem le stelle alpine
per donarle, per donarle alle bambine,
farle piangere, farle piangere sospirar.
Oilalà.
Su pei monti, su pei monti noi saremo
pianteremo, pianterem l'accampamento,
brinderemo, brinderemo al Reggimento;
viva il Corpo degli Alpin.
Oilalà.
Evviva evviva il Reggimento
evviva evviva il Corpo degli Alpin.
196
GLI SCARIOLANTI (base traccia 6)
A mezzanotte in punto
si sente una tromba suonar,
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.
Volta e rivolta
e torna a rivoltar,
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.
Volta e rivolta
e torna a rivoltar,
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.
Gli scariolanti belli
son tutti ingannator,
che i à inganè la bionda
lerì lerà
per un bacin d'amor.
Volta e rivolta
e torna a rivoltar,
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.
Volta e rivolta
e torna a rivoltar,
sono gli scariolanti lerì lerà
che vanno a lavorar.
197
NAVIGANDO FUORI ROTTA – gioco ritmico (base traccia 7)
Navigando fuori rotta
mi son preso una gran botta
uno squalo un po’ arrogante
mi ha colpito da furfante
AULI’ ULE’ (base traccia 14)
In mezzo al prato un albero c’è
con tante nespole aulì ulè.
Ma dimmi un po’
ma dimmi perché
cadon le nespole aulì ulè.
198
CONCLUSIONI
Diversi erano gli obiettivi che mi ero posta all’inizio di questo viaggio:
1) Stimolare la socializzazione.
2) Stimolare ed incentivare la riabilitazione fisica e mantenere le abilità
residue (attraverso esercizi di respirazione, esercizi di vocalità, esercizi di
coordinazione, allenamento ritmico-motorio ed esercizi di equilibrio ed
orientamento).
3) Mantenere le abilità cognitive.
4) Accompagnare nella malattia.
Nella struttura interna di ogni incontro mi sono dedicata ad ognuno di questi
obiettivi con risultati altalenanti.
Il primo obiettivo è stato il più facile da raggiungere anche grazie alla voglia ed
alla volontà di queste persone di “fare gruppo”; il secondo ed il terzo obiettivo
rappresentavano il tentativo di “contrasto musicoterapico” alla malattia e devo
dire che tutti i partecipanti si sono grandemente impegnati in questo senso
accettando di buon grado qualsiasi attività gli venisse proposta.
Per quanto riguarda l’ultimo obiettivo, è quello che personalmente ho vissuto
come il più delicato.
Credo che “entrare” nella malattia di qualcuno non sia solo conoscerne i
sintomi e preparare una serie di attività ad hoc ma sia anche, soprattutto,
entrare nella vita e nel dolore di una persona, dolore che è lecito venga vissuto
e sentito da ognuno nel modo che gli è più utile per riuscire ad accettare la
situazione e a vivere comunque la miglior vita possibile.
Per far questo ho più che altro osservato i malati, parlato con loro e ascoltato i
loro pensieri.
Così, strada facendo, i malati stessi mi hanno fatto capire quello che forse è il
grande obiettivo che “contiene” tutti gli altri e il vero bisogno: mantenere una
buona qualità di vita nonostante la malattia.
199
Più di una volta mi hanno detto che l’incontro di musicoterapia era un
momento in cui dimenticavano di essere malati.
Non so se questo vuol dire aiutare a mantenere una buona qualità della vita, ma
so di aver cercato di non perdere occasione per dimostrare loro, attraverso il
loro lavoro ed i loro risultati, quanta vita e quante possibilità avessero ancora a
disposizione nonostante il Parkinson.
E fra un bel po’ di allenamento ritmico, un ballo, un gioco e qualche canzone
spero, nel mio piccolo, di esserci riuscita.
Le ultime parole di questo mio lavoro sono per tutte le persone che hanno
diviso la strada con me: i malati, i famigliari e gli accompagnatori.
A tutti loro va il mio affetto, la mia ammirazione più profonda e un
grandissimo grazie per la loro forza, la loro fiducia e la loro disponibilità, per
tutto quello che mi hanno insegnato e per tutto quello che mi hanno permesso
di imparare.
200
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Bibliografia
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- “Riabilitazione neuromotoria ritmica: un nuovo metodo rieducativo per il
malato di Parkinson, Livio Bressan, dal sito:
http://www.formazione.eu.com/_documents/cagranda/articoli/2002-0206/articolo.pdf
- “In cammino verso un’armonia”, Lorena Barbieri, Istituto MEME Modena,
Project Work 2006 – 2007, dal sito: www.istituto-meme.it/pdf/tesi/barbieri2006.pdf
-
“La
malattia
di
Parkinson”,
Marco
Onofrj,
dal
sito:
www.marcoonofrj.it/html/documenti/LIBRO_Parkinson.pdf
- “Linee guida per il trattamento della malattia di Parkinson”, Prof. Dott. T.
Caraceni e Prof. F. Stocchi, dal sito:
www.limpe.it/files/TRATTAMENTOPARKINSON.pdf
- “Fluttuazioni motorie nella malattia di Parkinson”, M. Onofrj, A. Thomas, K.
Armellino, A.L. Luciano e D. Iacono, dal sito:
www.parkinson-italia.it/convegno/Documenti/Onofrj.pdf
- “Terapia non farmacologica”, Marco Onofrj e
Astrid Thomas, dal sito:
www.marcoonofrj.it/html/documenti/terapia_non_farmacologica.pdf
- “La vita del paziente parkinsoniano all'interno della società”, Astrid Thomas,
Sara Varanese, Laura Bonanni e Marco Onofrj, Neurofisiopatologia,
Dipartimento di Oncologia e Neuroscienze, Università “G. D’Annunzio”
Chieti-Pescara, dal sito:
www.marcoonofrj.it/html/documenti/paziente_societa.pdf
- “Terapia chirurgica della malattia di Parkinson”, Marco Onofrj, dal sito:
www.marcoonofrj.it/html/documenti/Terapia_chirurgica_parkinson.pdf
201
- “La riabilitazione delle persone affette dal morbo di Parkinson”, Prof.
Antonio Suelzu e Dott.ssa Nicoleta Anghelache, dal sito:
www.salutare.info/pdf/51_18.pdf
- “Terapia a ritmo di musica”, Claudia Boselli, dal sito:
www.archivio.panorama.it/scienze/articolo/idA020001030062.art
- “La pedagogia clinica: una risposta alla malattia di Parkinson”, Dott.ssa
Dalila Da Lio e Dott.ssa Giovanna Giacomini, dal sito:
www.gdpedagogiaclinica.it/download/articolo%20sul%20Parkinson.doc
- “Malattia di Parkinson - La voce del parkinsoniano può migliorare grazie alla
Cantoterapia?”, Livio Bressan, dal sito:
www.formazione.eu.com/_documents/cagranda/articoli/2005/0409.pdf
- Alle porte del bel canto”, Giuliana Galante, Istituto MEME Modena, Project
Work 2007 – 2008, dal sito:
www.musicoterapia-anziani.eu/gruppo-corale-polifonico“alle-porte-del-belcanto”
Sitografia
www.brunolauzi.com
www.limpe.it - Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson
www.iniziativaparkinsoniani.it - I.P. Iniziativa Parkinsoniani di Bologna
www.parkinson.it - Sito italiano sulla malattia di Parkinson
www.musicoterapia-anziani.eu - Rivista OnLine Musicoterapia Anziani
www.fondazioneparkinsonitalia.it
www.parkinson-italia.info/index.html
www.dismovsin.it - Associazione italiana disordini del movimento e malattia
di Parkinson
www.parkinsonitalia.it - Unione Parkinsoniani
www.reteparkinson.it – Network di assistenza specialistica per la malattia di
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202
http://blog.libero.it/MyOwnArcadia/view.php?reset=1&id=MyOwnArcadia
-
Blog Uniti vs. Parkinson
www.motoperpetuo.info -
Sito di riferimento per le patologie Parkinson e
Alzheimer
http://www.marcoonofrj.it – sito del Prof. Marco Onofrj
www.michaeljfox.org - Fondazione Michael J.Fox per la ricerca sulla malattia
di Parkinson
www.aep-taray.org - La Asociación de Parkinson Taray de Aranjuez
www.portal.unidoscontraelparkinson.com - Portal unidos contra el Parkinson
www.istituto-meme.it – Scuola di specializzazione in Musicoterapia
www.paginemediche.it
www.parkidee.it
www.archivio.panorama.it
www.azsalute.it
www.gdpedagogiaclinica.it
www.formazione.eu.com
www.musicoterapia-anziani.eu
203
CD 1
1 Danza del mulino
02:36
2 Agarraditos
01:37
3 Espejos 91
04:48
4 Sul ponte di Bassano
02:17
5 Somwhere over the rainbow
05:07
6 Gli scarriolanti
02:55
7 Navigando fuori rotta base
02:00
8 Romagna mia (lenta)
13:29
9 Sevillana (lenta)
04:45
10 Addio del volontario
12:09
11 Garrotin y Tangos de Malaga escobilla
06:37
12 Bal del Truc
01:58
13 Danza di Zorba
04:15
14 Aulì Ulè
01:34
15 Tango palmas y percusión
10:34
CD 2
16 Gli scarriolanti
02:57
17 Oblivion
03:32
18 Mi amor tango
03:00
19 Mirar tango
03:08
20 Solo Compas - Palmas
04:07
21 Romagna mia
03:45
22 Addio del volontario
01:45
23 Piove pioviccica base chitarra
01:42
24 Piove pioviccica base orchestrale
02:44
25 Sul cappello
01:55
204