attivita` scientifica svolta dalle unita` di ricerca anno 2009

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CONSORZIO INTERUNIERSITARIO
DI RICERCA IN CHIMICA
DEI METALLI NEI SISTEMI BIOLOGICI
ATTIVITA’ SCIENTIFICA SVOLTA
DALLE UNITA’ DI RICERCA
ANNO
2009
PRESENTAZIONE
PRESENTAZIONE
Le conoscenze scientifiche e tecnologiche e la disponibilità di risorse umane qualificate
costituiscono il differenziale che distingue il grado di sviluppo dei diversi sistemi paese. Essere in
posizione avanzata su questi temi, poter partecipare alla cooperazione internazionale in forma non
subalterna, accrescere ed innovare la propria capacità produttiva e la disponibilità e diffusività di
servizi determinano la possibilità dei sistemi nazionali di essere protagonisti e competitivi nei
processi di crescita economica, culturale e sociale.
Si parla comunemente di “economia della conoscenza e dell'apprendimento” e di “sistemi
nazionali di innovazione” per indicare una nuova fase di sviluppo in cui non è più possibile tenere
separata la funzione di produzione di idee, progetti e prodotti scientifici e tecnologici da quella di
un loro impiego per il soddisfacimento di una domanda diffusa generata dalle complesse esigenze
della società moderna.
In questo contesto il Consorzio Interuniversitario di Ricerca in Chimica dei Metalli nei
Sistemi Biologici (C.I.R.C.M.S.B.), con sede legale a Bari e 21 Università consorziate, promuove e
coordina le proprie ricerche con l’obiettivo di formare e valorizzare i ricercatori ed i risultati da essi
ottenuti con la consapevolezza del valore strategico della ricerca come vantaggio competitivo nella
Società della Conoscenza e nella convinzione che le infrastrutture di ricerca e alta formazione siano
leve strategiche per il rilancio dell’economia nazionale.
A tale scopo le attività del C.I.R.C.M.S.B. si articolano in macro aree di ricerca scientifica e
tecnologica a carattere interdisciplinare, che riguardano i settori dell’ambiente, delle biotecnologie,
dei farmaci e ei materiali. Tali aree di intervento attualmente oggetto di ricerca del Consorzio si
articolano nelle seguenti tematiche:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
Biomineralizzazione e biocristallografia;
Biosensori e biostrumentazione;
Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari;
Ioni metallici nelle patologie degenerative croniche;
Metallo-proteine come catalizzatori biologici;
Nuovi farmaci inorganici in oncologia;
Radiofarmaci nella diagnostica e radioterapia tumorale.
Il C.I.R.C.M.S.B. è presente in tutta Italia attraverso una rete di Unità Locali di Ricerca, al
fine di favorire una diffusione capillare delle proprie competenze su tutto il territorio nazionale ed
agevolare i contatti e le collaborazioni con enti ed industrie locali.
Quello di seguito riportato è un riassunto dei risultati acquisiti nell’anno 2009 da ciascuna
delle Unità di Ricerca del C.I.R.C.M.S.B.
A tutti coloro che vi hanno partecipato va rivolto il mio più profondo e sentito
ringraziamento.
Prof. Giovanni Natile
INDICE
7
8
UNITA’DI RICERCA
Bari
Pag. 13
Bologna
Pag. 19
Camerino
Pag. 39
Catania
Pag. 43
Ferrara
Pag. 51
Firenze
Pag. 57
Insubria
Pag. 61
Messina
Pag. 65
Napoli
Pag. 67
Padova
Pag. 73
Palermo
Pag. 89
Para
Pag. 93
Pavia
Pag. 99
Piemonte Orientale
Pag. 103
Politecnica delle Marche
Pag. 111
Roma “La Sapienza”
Pag. 113
Roma “Tor Vergata”
Pag. 119
Salento
Pag. 121
Siena
Pag. 131
Torino
Pag. 135
Trieste
Pag. 139
Pubblicazioni e Brevetti
Pag. 143
Strumentazione
Pag. 175
Personale Afferente
Pag. 187
9
10
ATTIVITA’ DI RICERCA
11
12
UNITA’ DI RICERCA DI BARI
Direttore Scientifico: Prof. Giovanni Natile
L’attività scientifica dell’unità di ricerca di Bari ha riguardato le seguenti tematiche:
1. Sintesi e caratterizzazione di nuovi complessi di platino quali potenziali farmaci
antitumorali;
2. Aspetti molecolari del meccanismo d’azione di farmaci a base di platino.
1. Sintesi e caratterizzazione di nuovi complessi di platino quali potenziali farmaci
antitumorali
L’utilizzo di leganti carrier in grado di favorire l’accumulo di nuovi farmaci a base di platino nelle
cellule e/o negli organi bersaglio riveste un ruolo strategico nel superamento di quelli che sono gli
effetti indesiderati dell’utilizzo del cisplatino. In questo contesto l’UR di Bari ha studiato complessi
dinucleari di platino legati a ponte con bifosfonati geminali quali pro farmaci con potenziale attività
nei confronti dei tumori ossei, a seguito adsorbimento in matrice inorganica ed impianto nella sede
del tumore.
In questo ambito l’UR di Bari ha proceduto alla sintesi e caratterizzazione di quattro nuovi
complessi di platino con 2-ammono-1-idrossietano-1,1-diyl-bisfosfonato (AHBP-H) e 3-ammonio1-idrossipropano-1,1-diyl-bisfosfonato (PAM-H) che agiscono come leganti a ponte tra due unità di
platino (cis-[Pt(NH3)2]2+, direttamente correlato al cisplatino, e [Pt(cis-1,4-DACH)]2+, in grado di
superare la cisplatino resistenza). Preliminarmente è stata valutata la citotossicità in vitro dei
complessi su un una serie di 13 linee cellulari di tumori umani comprendenti due paia di linee
cellulari sensibili e resistenti al cisplatino e 3 paia di linee cellulari con e senza multi–drug resi
stenze. Nessuno dei quattro complessi ha mostrato attività antitumorale superiore al cisplatino.
Questo perché, almeno nelle ipotesi, potrebbe non essere il cisplatino il composto di riferimento ma
bensì il carboplatino che, come i quattro complessi sintetizzati, contiene come legante uscente un
chelato ossigeno donatore. Infatti i dati preliminari indicano che i nuovi complessi hanno attività
molto simile o migliore del carboplatino.
13
O
O
H 3N
CH2
Pt
H 3N
+
H3 N
O
O
P
C
OH
P
O
NH 2
NH 3
Pt
Pt
NH 3
O
O
O
H 2N
P
CH2
C
O
P
OH
Pt
+
H3N
NH2
H 2N
O
O
O
[{cis-Pt(NH 3)2 }2(AHBP-H)]
[{Pt(cis-1,4-DACH)}2(AHBP-H)]
1B
1A
O
O
H 3N
Pt CH2
H3 N
+H N
3
P
CH 2
O
OH
P
O
Pt CH
2
Pt
C
NH 2
O
O
NH 2
NH 3
NH 3
+H N
3
O
O
CH2 P
C
O
P
OH
O
H2 N
Pt
H2 N
O
O
[{Pt(cis-1,4-DACH)}2(PAM-H)]
[{cis-Pt(NH 3) 2} 2(PAM-H)]
2B
2A
Ulteriori studi sul trattamento in situ dei tumori ossei hanno riguardato il ruolo dei nanocristalli
biomimetici di idrossiapatite quali sostituti della matrice ossea. In particolare sono state analizzate
le cinetiche di assorbimento e di rilascio del bis-{etilendiamminoplatino(II)}-2-ammino-1idrossietano-1,1-diyl-bisfosfonato e del bis-{etilendiamminoplatino(II)}medronato su due specie di
nanocristalli di idrossiapatite aventi diversa morfologia, grado di cristallinità ed area superficiale. É
stato evidenziato come la differente struttura chimica dei due complessi di platino condiziona
apprezzabilmente non solo l’affinità verso le due specie di idrossiapatiti ma anche il loro rilascio. In
particolare il caricamento del complesso di platino è leggermente più grande per l’idrossiapatite
caratterizzata da minore cristallinità e maggiore area superficiale. É stata inoltre testata la
citotossicità dei complessi di platino rilasciati dall’idrossisapatite nei confronti di cellule di
carcinoma umano della cervice ed è stato riscontrato che, cosa molto interessante, sono più
citotossici dei rispettivi complessi non modificati. Le specie attive rilasciate sono quindi il
dicloroetilendiamminoplatino(II) o relative specie solvatate formatesi per rottura del legame Ptbisfosfonato.
2. Aspetti molecolari del meccanismo d’azione di farmaci a base di platino
La scoperta di attività antitumorale per complessi di platino con geometria trans ha aperto un nuovo
campo di ricerca nella lotta ai tumori. Fra i diversi complessi, il trans-EE (trans-[PtCl2{EHN=C(OCH3)CH3}2]) ha suscitato un particolare interesse a causa della sua alta citotossicità
rispetto agli isomeri cis e per la sua attività nei confronti di cellule tumorali resistenti al cisplatino.
Diversi studi hanno mostrato che il trans-EE si lega al DNA in maniera diversa rispetto al
cisplatino, sebbene le velocità di reazione siano simili. Il DNA legato al trans-EE non viene
riconosciuto da proteine della famiglia delle HMG coinvolte nei meccanismi di riparazione del
DNA modificato dal cisplatino, mentre la proteina istonica H1 riconosce l’addotto DNA-trans-EE e
inibisce la polimerizzazione del DNA e la sua riparazione.
14
Studi recenti hanno indicato che la metionina è il sito di legame preferito dal trans-EE nella
reazione con il citocromo c. In questo contesto l’UR di Bari ha dimostrato come le velocità di
reazione con GMP e DNA siano notevolmente aumentate nel caso di addotti del trans-EE con
metionina. In più dettaglio, è stato osservato che la formazione di un addotto con metionina è circa
sette volte più veloce della formazione di addotti con basi guaniniche e che la formazione di un
intermedio con la metionina accelera di molto la platinazione del DNA. Si è visto infine che le
reazioni di platinazione sono altamente dipendenti dal pH, la qual cosa potrebbe rivestire notevole
importanza dato il diverso pH di vari tessuti tumorali rispetto ai tessuti sani.
E’ stato anche dimostrato che la formazione di addotti trans-EE/metionina avviene anche in sistemi
cellulari. Su questa base è stata avanzata l’ipotesi che il meccanismo d’azione del trans-EE
potrebbe essere sostanzialmente diverso da quello dei composti analoghi del cisplatino. I risultati
ottenuti hanno anche evidenziato come le molecole S-donatrici possano giocare ruoli
completamente differenti nei processi cellulari del indotti da composti di platino a geometria trans
rispetto a quelli a geometria cis.
L’UR di Bari ha inoltre condotto studi sull’attività biologica di complessi di Pt(II) monodentati (con
un solo gruppo uscente), che in precedenti studi erano stati considerati biologicamente inattivi.
Infatti i complessi di Pt(II) monodentati modificano la conformazione del DNA in maniera molto
marginale ed il loro impatto sui processi cellulari è, di conseguenza, notevolmente minore rispetto a
quello di complessi di platino(II) bifunzionali. Tuttavia è stato trovato che alcuni complessi di Pt(II)
monodentati hanno significativi effetti biologici, soprattutto nel caso in cui i leganti amminici son
stericamente ingombranti.
L’effetto dell’aumento dell’ingombro sterico è stato studiato in una serie di composti del tipo
[Pt(NO3)(dien)]+ nel quale il legante dien aveva un diverso grado di metilazione. È stato trovato un
notevole effetto della metilazione del legante dien sulle proprietà biofisiche (termodinamiche,
termiche e conformazionali) del DNA e sui processi biochimici (polimerizzazione del DNA e
riparazione degli addotti) che ne conseguono.
L’UR di Bari, da tempo impegnata nello studio della stereochimica degli addotti formati da
complessi di platino con DNA, ha recentemente scoperto un riarrangiamento spontaneo del legame
crociato intracatena G5G6 (generato per reazione del DNA a doppio filamento
d(CCTTG5G6T7C8TC)-d(G11AGACCAAGG) con [Pt(S,S-diamminocicloesano)(H2O)2]2+) a
formare un insolito legame crociato intercatena G6G11. Il prodotto finale costituisce un raro esempio
di auto-intercalazione intramolecolare del DNA.
15
In un altro lavoro, attraverso l’utilizzo di modelli di oligonucleotidi a singola catena (ss) si è cercato
di comprendere le cause dell’importante ed inaspettata distorsione della coppia di basi (bp) XG*,
dove G* rappresenta una guanina platinata all’N7 da un composto di platino mono- o di-funzionale.
I modelli XG*G* (G*G* indica due basi guaniniche adiacenti legate da cisplatino) mostrano
generalmente conformazione testa-testa (HH1, head-to-head), ed inclinazione R (atomo H8 di 3’G* girato verso 5’-G*) nel caso di DNA a doppio filamento ed inclinazione S (atomo H8 di 5’-G*
girato verso 3’-G*) nel caso di DNA a singolo filamento. Purtroppo il movimento dinamico in
soluzione impedisce la definizione delle caratteristiche dei modelli ss. Per ovviare a questi
inconvenienti sono stati impiegati modelli meno dinamici quali (R,S,S,R)-BipPt(d(TG*G*)) e
(R,S,S,R)-BipPt(d(pG*G*TTT)) (Bip = 2,2'-bipiperidina). In questo modo si è avuto il primo
esempio di un conformero HH1 con inclinazione R per un oligonucleotide ss più grande del
d(GpG).
I composti antitumorali di platino possono anche avere come bersaglio substrati biologici diversi
dal DNA, per esempio enzimi coinvolti nella progressione del tumore. Già in passato l’UR di Bari
aveva riportato come alcuni complessi di platino con tre leganti labili inibiscono in maniera
selettiva l’attività di metalloproteinasi di matrice (MMP). Successivamente lo studio è stato esteso
ad una serie di complessi di platino aventi come leganti uscenti tre cloruri oppure un cloruro ed un
metilmalonato.
Tutti i composti testati si sono dimostrati forti inibitori delle MMP-3 con meccanismo non
competitivo, cosa che non succede con i farmaci a base platino utilizzati in terapia (cisplatino,
carboplatino ed ossaliplatino). Gli studi strutturali hanno evidenziato come i complessi di platino
16
perdono solo due leganti labili, che sono sostituiti da un azoto imidazolico e da un gruppo
idrossilico, mentre mantengono un legante cloruro. Un cloruro ed un gruppo idrossilico sono anche
presenti nel complesso di zinco che inibisce la carbossipeptidasi A il cui sito attivo ha forti analogie
con quello della MMP-3.
L’UR di Bari ha infine portato avanti lo studio dei domini fosfatasici delle proteine di Menkes
(ATP7A) e Wilson (ATP7B), due ATP-asi umane di tipo P(1B) che rivestono un ruolo cruciale nel
mantenimento dell’omeostasi del rame(I) ed inoltre regolano l’accumulo in cellula e l’esporto di
farmaci antitumorali di platino. Tra i vari domini dell’enzima uno, chiamato Attuatore o dominio A,
ha funzioni regolatrici ed è richiesto per la fase fosfatasica del ciclo catalitico (defosforilazione
dell’intermedio formato durante l’idrolisi dell’ATP).
Attraverso la spettroscopia NMR è stata risolta la struttura in soluzione del dominio A di entrambe
le proteine, ed inoltre è stata caratterizzata la dinamica del dominio A di ATP7A. E’ stato osservato
che il loop TGE, cataliticamente importante, si estende fuori della struttura, pronto per l’interazione
con il sito fosforilato del dominio di legame dell’ATP. Il loop è rigido e questo suggerisce che la
fase catalitica non richiede sostanziale flessibilità strutturale o riarrangiamenti.
L’attività dell’UR di Bari nel corso del 2009 ha anche riguardato lo studio delle capacità di
sopravvivenza ed adattamento di Rhodobacter sphaeroides ad elevate concentrazioni di cobalto e a
come tali concentrazioni influenzino l’apparato fotosintetico del batterio. Cellule di R. sphaeroides
cresciute anaerobicamente in presenza di concentrazioni 5 mM di Co2+ sono state studiate attraverso
lo studio del proteoma solubile e dal confronto di questo con quello delle cellule di controllo sono
state individuate 43 proteine differentemente espresse ed in particolare 35 di queste sopraespresse.
Queste proteine sopraespresse appartengono principalmente alla categoria degli enzimi degradativi
del DNA e delle proteine, suggerendo che parte dei prodotti del catabolismo cellulare possano
consentire la sopravvivenza del microrganismo anche quando l’esposizione al cobalto deprime
l’espressione dell’apparato fotosintetico. Quest’ultima risposta al Co2+ è legata alla notevole
inibizione della porfobilinogeno deamminasi, un enzima chiave nella via biosintetica delle
batterioclorofille.
17
Proteoma solubile di R. sphaeroides in presenza di Co2+ 5 mM
Proteoma solubile controllo di R. sphaeroides
18
UNITA’ DI RICERCA DI BOLOGNA
Direttore Scientifico: Prof. Norberto Roveri
L’ attività dell’ Unità di Ricerca di Bologna si è sviluppata principalmente su nove linee di ricerca
nell’ ambito della tematica “ biomineralizzazione e biocristallografia” oltre ad una attività di
divulgazione scientifica :
1) Biomateriali inorganici biomimetici nanostrutturati
2) Scaffolds biomimetici per la rigenerazione ossea
3) Cristallizzazione del carbonato di calcio in sistemi di
interesse ambientale biologico e industriale
4) Biomineralizzazione: Sintesi di idrossiapatite da cristalli singoli biogenici di
calcite in soluzioni di fosfato di calcio in condizioni ambientali.
5) Organizzazione strutturale dei lipidi e della cheratina nello strato corneo della
pelle dei serpenti.
6) Studio Struttura/Funzione di due Ribosome Inactivating Proteins: bouganin e
Lichnin
7) Ruolo dei metalli nella citotossicità di nanocristalli d’interesse ambientale
8) Sistemi autoassemblanti di porfirine su nanotubi inorganici
9) Sintesi di nanoparticelle metalliche di interesse biologico
10) Studi e ricerche di storia della chimica
1) Biomateriali inorganici biomimetici nanostrutturati
I materiali sintetici possono risultare biomimetici per composizione, struttura, morfologia e struttura
chimico-fisica superficiale ed “in bulk”. Mimando la natura si possono sintetizzare biomateriali che
risultano reattivi verso i tessuti biologici ed in grado di rilasciare molecole bioattive mediante una
cinetica controllata dalle caratteristiche del materiale e dall’”environment” biologico in cui essi
vengono situati .
In questo ambito, una delle linee di ricerca dell’unità operativa di Bologna è focalizzata sulla sintesi
di biomateriali inorganici nanostrutturati che possono avere applicazioni in ambito biomedico come
osseo sostitutivi nella chirurgia ortopedica, odontoiatrica e maxillofacciale oltre ad agire come
trasportatori di farmaci e come scaffolds ingegnerizzati alla crescita cellulare per l'ingegneria
tissutale. Per raggiungere questo obiettivo nel 2009 il lavoro dell’unità di Bologna si è articolato nei
seguenti punti:
a) Sintesi di nanocristalli biomimetici di idrossiapatite.
L’ attività di ricerca del 2009 ha previsto la sintesi di biomateriali inorganici e nanostrutturati che
possono agire come trasportatori di farmaci e come scaffolds ingegnerizzati alla crescita cellulare
per l'ingegneria tissutale. Le funzioni dei tessuti biologici, che sono strutturati gerarchicamente, non
possono esser comprese e quindi riprodotte senza andare a studiare la loro struttura a tutti i livelli
sino ad arrivare ad una scala dimensionale dell’ordine dei nanometri. La nanodimensione dei
componenti strutturali più piccoli dei tessuti biologici è una delle basi delle loro capacità di autoorganizzarsi ed auto-assemblarsi, per cui deve esser riprodotta ai fini della sintesi di strutture con
organizzazione controllata.
1) Uno dei risultati raggiunti durante il 2009 è stata la sintesi di nuove apatiti nano-dimensionate
che rappresentano una delle classi più importanti di materiali biogenici. Sono state usate oltre alla
classica sintesi in “batch” anche altre due tecniche di cristallizzazione sviluppate in collaborazione
il gruppo di ricerca del Prof. Juan Manuel Garcia Ruiz dell’università di Granada La prima tecnica
ha previsto la sintesi di nanoapatiti tramite diffusione di vapore usando il “crystallization
mushroom” (Figura 1).
19
Figura 1. Schema del “crystallization mushroom”. I cristalli di carbonato-idrossiapatite sono stati fatti crescere in gocce
poste nei microbridges nel piatto in alto. I vapori di NH3(g) e CO2(g) diffondono lentamente dalla soluzione riserva alle
gocce attraverso il piccolo foro posto nel piatto in basso.
Il metodo consiste nel far diffonder vapori NH3 and CO2 da una soluzione di NH4HCO3 attraverso
gocce contenenti miscele acquose di (CH3COO)2Ca e (NH4)2HPO4 in modo da far aumentare il
pH delle gocce grazie a NH3 e a drogare l’idrossiapatite precipitata con ioni di CO32- grazie al
vapore di CO2. I cristalli di carbonato-apatite ottenuti sono stati caratterizzati tramite diffrazione di
raggi X, spettroscopia infrarossa microscopia a trasmissione di elettroni. Le caratterizzazioni hanno
evidenziato che i cristalli hanno dimensioni nanometriche (Figura 2), morfologia a piattine e basso
grado di cristallinità, caratteristiche che li rendono molto simili a quelli della fase naturale dell’osso.
Questo nuovo metodo è adatto principalmente per lo studio di interazioni e o co-cristalizzazioni di
apatite con piccole quantità di biomolecole come proteine, polimeri, cellule o farmaci in modo da
poter studiare i processi chimici della formazione dell’apatite nel campo della biomineralizzazione e
testare i nanocristalli come possibili carrier di farmaci nel campo della nanomedicina.
Figura 2. Immagine di microscopia a trasmissione eletronica (TEM) di idrossiapatite cristallizata dopo una settimana da
vapori di NH4HCO3 40 mM. (Scale bar 200 nm).
2) Un diverso metodo di sintesi utilizzato ha previsto la cristallizzazione di idrossiapatite in un gel
di meta silicato. Questo metodo di sintesi si basa sulla diffusione di una soluzione di cloruro di
calcio attraverso un gel di silice attivato con acido fosforico. Sono state effettuate caratterizzazioni
sul composito calcio fosfato/silice sintetizzato in gel variando il pH e la densità della soluzione di
20
silice. Si è trovato che in funzione del pH vengono cristallizzati diverse fasi di calcio fosfato:
bruscite, ottacalcio fosfato, idrossiapatite e monetite, mentre cambiando la densità della soluzione di
silice i cristalli sono ricoperti da un diverso ammontare di silice a diversa struttura. Questi materiali
sono stati caratterizzati tramite diffrazione di raggi X, calorimetria a scansione differenziale,
spettroscopia infrarossa, microscopia a trasmissione di elettroni e microscopia a scansione di
elettroni. L’idrossiapatite è stata cristallizzata a usando una soluzione di metasilicato a pH superiore
a 9 e la caratterizzazione ha mostrato cristalli con morfologia ad aghiforme di circa 100 nm che
hanno la tendenza ad aggregarsi lungo l’asse c. (Figura 3)
Figura 3. Immagine di microscopia a trasmissione elettronica (TEM) di idrossiapatite cristallizzata a pH 9.4. (Scale bar
200 nm).
b)Sintesi di idrossiapatiti biomimetiche porose
Per preparare biomateriali idonei ad essere utilizzati come protesi nell’ implantologia ortopedica e
nella chirurgia maxillofacciale è necessario ottenere materiali non solo biocompatibili e
bioriassorbibili, ma anche in grado di stimolare una reazione cellulare. Per poter esplicare questa
ultima proprietà i nuovi sostituti ossei debbono possedere una nanoporosità in grado di permettere
la permeabilità ai liquidi fisiologici, una microporosità in grado di ospitare la componente cellulare
e di favorirne la proliferazione ed una macroporosità che consenta la vascolarizzazione del tessuto
osseo neoformato. Per preparare un nuovo biomateriale in grado di esibire una nano, micro e macro
porosità corrispondente alle esigenze richieste dall’ implantologia ossea ci si è rivolti al legno in
quanto ogni legno presenta una diversa morfologia, dimensione e distribuzione dei pori e dei canali
interni costituenti le celle di lignina e cellulosa che lo compongono. L’ idea fondamentale è stata
quella di selezionare i tipi di legno che esibivano la più idonea porosità interna e le proprietà
meccaniche maggiormente corrispondenti alle esigenze meccaniche richieste per reggere agli
anisotropi carichi e tensioni a cui è sottoposto il tessuto osseo e poi di trasformare il legno in un
biomateriale impiantabile. Questa idea è stata alla base del progetto TEMPLANT coordinato dalla
Dr.ssa A. Tampieri dell’ ISTEC-CNR di Faenza con cui il LEBSC ha collaborato come sottounità
dell’ ISTEC. Questa proficua collaborazione ha portato alla pubblicazione “ From wood to bone:
multi-step process to convert wood hierarchical structures into biomimetic hydroxyapatite scaffolds
for bone tissue engineering”A. Tampieri, S. Sprio, A. Ruffini, G. Celotti, I.G. Lesci and N. Roveri.
J. Mater. Chem., 2009, 19, 4973–4980. in cui sono stati descritti i 5 processi chimici (Figura 4) con
i quali è stato possibile trasformare il legno in carbonato idrossiapatite avente la stessa morfologia,
dimensione e distribuzione dei pori e dei canali del legno di partenza (Figura 5).
21
Figura 4 Schema del processo per convertire
le strutture gerarchiche del legno in nuovi
“scaffolds” di idrossiapatite biomimetica
Figura 5 Immagine SEM dei fasci di microtubi di
idrossiapatite derivati dalla trasformazione chimica di un
campione di legno di pino.
La copertina del J. Mater. Chem., 2009, 19 è stata dedicata al sopraccitato lavoro(Figura 6):
Figura 6 copertina del J. Mater. Chem. 2009, 19 :
Showcasing research from the Institute of Science
andTechnology for Ceramics - Italian National Research
Council, Faenza, and the Laboratory of Environmental
and Biological Structural Chemistry (LEBSC),
Universityof Bologna
22
Il lavoro è stato inoltre oggetto di una gratificante recensione su Chemical Technology (Figura 7):
Trees take on tissue engineering - 16 June 2009
Italian scientists have turned wood into bone mimics that could be used to repair damaged limbs.
Chemical technology news from across RSC Publishing.
Figura 7
Infine il lavoro è stato incluso al trentesimo posto tra - The 50 Best
Inventions of 2009 – TIME (Figura 8)
The 50 Best Inventions of 2009 > The Best Inventions
Wooden Bones - 30 of 52 View All
Figura della sezione di osso
“It's odd to think of putting sticks of wood inside people as a revolutionary medical procedure, but
that's exactly what a group of Italian scientists is working on. They're using wood — red oak, rattan
and sipo work best — to create an artificial bone replacement called carbonated hydroxyapatite.
Because of the sponginess of the wood, live bones are expected to grow into the structure faster
than with traditional titanium or ceramic implants, decreasing the time it takes to mend a broken
bone. The procedure isn't quite ready for human testing, so sheep are currently testing the artificial
bones. Researchers say that with the bone substitute, which takes approximately one week to
process, they can create virtually any size or shape”
SEARCH TIME.COM
Wooden Bones - The 50 Best Inventions of 2009 – TIME
http://www.time.com/time/specials/packages/article/0,28804,1934027...
Figura 8 pagina del sito TIME riguardante “Wooden Bones”
c) Sintesi di nanocristalli biomimetici di idrossiapatite funzionalizzati superficialmente
Il passo successivo alla messa a punto in laboratorio di biomateriali è il conferimento ad essi di
bioattivà specifiche. Questo scopo può essere ottenuto con la sintesi di strutture composite
materiale-molecola funzionale, dove la molecola funzionale sia in grado di veicolare le
informazioni stimolanti specifiche risposte cellulari[4]. In molti casi le suddette informazioni
vengono veicolate mediante il rilascio controllato di farmaci.
Convenzionalmente la somministrazione di principi attivi nell’organismo avviene ad intervalli
regolari per via orale o endovenosa. Gli svantaggi che ne derivano sono che l’agente terapeutico
circoli in tutto l’organismo e venga spesso degradato prima di raggiungere il sito di azione e che la
sua concentrazione raggiunga livelli superiori alla quantità terapeutica e vicini a quella tossica. Al
contrario, i sistemi per il rilascio controllato realizzano l’obiettivo di rilasciare la molecola bioattiva
vicino al sito di azione al momento giusto e in quantità terapeutica corretta.
1) Il lavoro di ricerca si è indirizzato verso la sintesi di apatiti nanocristalline funzionalizzate con
biomolecole che possano esser rilasciate con cinetica controllata nel sito dell’impianto. Sono stati
realizzati compositi d’apatite e complessi di platino ad attività citotossica. La reattività fra i
nanocristalli di idrossiapatite e le molecole di farmaco esaminate è stata modulata variando le
dimensioni e la composizione superficiale dei cristalli in modo tale da realizzare coniugati di
apatite-antitumorale finalizzati alle specifiche applicazioni terapeutiche.
In particolare sono stati esaminati l’ adsorbimento e il rilascio di bis{ethylenediamineplatinum(II)}-2-amino-1-hydroxyethane-1,1-diyl-bisphosphonate
e
bis{ethylenediamineplatinum(II)}medronate (Figura 9), sintetizzati dal laboratorio del Prof. Giovanni
23
Natile presso l’Università di Bari, su due tipi di idrossiapatiti aventi diversa morfologia, cristallinità,
e area superficiale.
Figura 9. Struttura chimica di bis-{ethylenediamineplatinum(II)}-2-amino-1-hydroxyethane-1,1-diyl-bisphosphonate
(A) e bis-{ethylenediamineplatinum(II)}medronate (B)
Le differenze chimiche dei due complessi di platino influenzano apprezzabilmente sia l’affinità che
il loro rilascio dai due diversi tipi di idrossiapatite. E’ stato verificato che i complessi di platino si
legano più saldamente all’apatite caratterizzata da un minor grado di cristallinità. In più la
citotossicità dei complessi di platino rilasciati dall’idrossiapatite è stata testata verso cellule
tumorali, in collaborazione con il gruppo di ricerca della Prof. Cristina Marzano dell’Università di
Padova. Si è visto che i complessi rilasciati sono risultati essere più citotossici di quelli non legati.
Tramite spettrofotometria UV-Vis (Figura 10.) è stato verificato che la molecole rilasciate sono le
più attive dichloridoethylenediamineplatinum(II) o le relative specie solvatate formate a causa della
rottura del legame platino- bisfosfonato durante la fase di adsorbimento.
Figura 10. Spettri UV-Vis dei complessi bis-{ethylenediamineplatinum(II)}-2-amino-1-hydroxyethane-1,1-diylbisphosphonate (a), bis-{ethylenediamineplatinum(II)}medronate (e), [PtCl2(en)] (c), e della specie rilasciata and
dall’apatite (d).
Il lavoro con cui sono stati presentati questi risultati: Smart delivery of antitumoral platinum
complexes from biomimetic hydroxyapatite nanocrystals. Iafisco, Michele; Palazzo, Barbara;
Marchetti, Marco; Margiotta, Nicola; Ostuni, Rosa; Natile, Giovanni; Morpurgo,
Margherita; Gandin
È stato recensito in Highlights in Chemical Science (figura 11)
24
Cancer-fighting bone implants - 01 October 2009
“Bone-like materials can be used both as bone fillers and drug delivery vehicles for targeting bone
cancers, claim Italian scientists. The materials release the drugs over a prolonged period and make
them work better than the free drug.
Norberto Roveri, at the University of Bologna, Italy, and colleagues combined a synthetic bone
substitute called hydroxyapatite (HA) with anticancer platinum complexes to produce implantable
devices that can control the drugs' release and improve their cytotoxicity. The team hope that by
releasing drugs only at target areas, they will be able to avoid the side effects common with
anticancer medication”.
Figura 11 recensione su Highlights in Chemical Science
“The group examined the adsorption and release kinetics
of platinum complexes on two types of HA nanocrystals,
with different sizes, shapes and crystallinities. They
found that the nanocrystals absorbed and released the
complexes at different rates and in different amounts.
'The HA nanocrystals are able to release antitumoral platinum drugs right on the site of an
osteosarcoma [bone cancer] in a slow and controlled manner,' Roveri explains, adding that the HAdrug conjugate is more effective than the free platinum complex.
'This is a fascinating study that shows the power of combining nanomineralogy and organometallic
chemistry, in this case designed for an antitumoral application,' enthuses Michael Hochella, an
expert in nanoscience at Virginia Tech, Blacksburg, US.
'It is the next stage that will be critical, and where many current drug delivery systems fail,' cautions
Martin Garnett, an expert on drug-delivery systems at the University of Nottingham, UK. 'Can
enough drug be loaded into the system to have a therapeutic effect?'
Roveri is confident that the system will be effective. 'The large surface area of the nanosized HA
particles allows loading of a lot of Pt complex,' he says. Combined with their higher toxicity
compared to the non-adsorbed complexes, this smart drug release mechanism should allow a very
strong therapeutic effect in situ for a long time, he adds”.
2) In collaborazione con GHIMAS s.p.a. sono state preparate nanoapatiti biomimetiche attivate
superficialmente con un polipeptide (polilisina), dimostrando la possibilità di trasformare la
morfologia dell’apatite da plate-like a needle like, nonché di modularne le proprietà e la carica
superficiale e di conseguenza le performance biologiche.
Nella sequenza di quattro immagini TEM di seguito riportata nella Figura 12 si può osservare come
il poliamminoacido sia in grado di trasformare la morfologia dell’apatite da plate-like a needle like.
Eseguendo poi le osservazioni ad un più elevato ingrandimento si osserva come i needle siano
costituiti da cristallini di circa 10 nm i quali si allineano unidirezionalmente grazie al
poliamminoacido che si dispone a ponte fra di essi.
25
Figura 12. Immagini TEM di nanocompositi HA-Polilevolisina
3) Le nanoparticelle metalliche, ed in particolare quelle di oro, hanno elevate potenzialità in campo
diagnostico e terapeutico.
La particolare capacità d’interazione con la luce delle nanoparticelle di oro conferisce loro delle
straordinarie proprietà ottiche, che le rende di gran lunga più efficaci dei coloranti
convenzionalmente usati in biologia molecolare e nanomedicina. La coniugazione delle
nanoparticelle a leganti che possano esser targettati su marker tumorali permette di utilizzarle per
l’imaging molecolare e la diagnosi del tumore.
D’altro canto le nanoparticelle di oro convertono la luce fortemente assorbita in calore localizzato,
che può essere utilizzato per una terapia “laser photothermal” localizzata.
Data la possibilità di utilizzare le nanoparticelle già di per sè come agenti antitumorali, la
progettazione di materiali biomimetici/nano-particelle ha un elevatissimo potenziale nel trattamento
localizzato dei tumori.
Il trattamento dei tumori mediante nanoparticelle, infatti, diviene più complicato nel caso del
trattamento dei tumori ossei, dove dopo la rimozione chirurgica del tessuto malato si rende
necessaria la sua sostituzione con un bone-filler. E’ inoltre indispensabile procedere ad un
successivo trattamento antitumorale per evitarne la ricorrenza. La preparazione di materiali
osseosostitutivi funzionalizzati con nanoparticelle è un metodo innovativo per raggiungere ambedue
gli scopi.
La coniugazione di nanoparticelle di metalli nobili a nanocristalli di idrossiapatite dovrebbe
consentire di ottenere un materiale multifunzionale, che unisca alle ben note proprietà bioattive
delle nano-apatiti, la responsività ottica delle nanoparticelle utile per il trattamento localizzato e non
invasivo dei tumori.
In un primo approccio, nanoparticelle di oro ed argento, cappate con differenti leganti sono state
legate superficialmente a nanocristalli di apatite. (Figura 13)
26
Figura 13 Immagini TEM del
composito HA-nanoparticella ottenuto
per interazione dei nanocristalli con
sospensioni colloidali di NP a diversa
concentrazione.
Alternativamente, si è utilizzata la tecnica di cristallizzazione in micelle inverse, laddove la micella
di acqua ha rappresentato il sito di nucleazione di tali nanomateriali. Questa sorta di “constrained
environment “ ha permesso di controllare la dimensione, la forma e l’organizzazione strutturale non
soltanto dei singoli componenti (ovvero della nanoapatite e delle nanoparticelle), ma anche del
composito HA-nanoparticella risultante (Fig. 14).
Fig.14 Immagini TEM di nanocompositi HAnanoparticella ottenuti per cristallizzazione in micelle
inverse.
d) Interazione di nanocristalli di idrossiapatite sintetica in ambito biologico
1) La realizzazione di biomateriali e di device biomedici non può essere effettuata senza una ottima
conoscenza di come queste strutture interagiscano con l’organismo e i suoi componenti. Diventa
perciò fondamentale lo studio dell’interazione di questi materiali con le proteine. In particolare
l’attenzione si è concentrata verso l’albumina e la lattoferrina. Sono stati studiati le isoterme di
adsorbimento a 37 °C e a pH 7.4 delle proteine su nanocristalli biomimetici di idrossiapatite,
trovando che entrambe le proteine hanno un comportamento di tipo Langmuiriano. Inoltre
attraverso l’uso di tecniche quali la spettroscopia infrarossa e la spettroscopia Raman si è messo in
evidenza come il substrato inorganico va a modificare la struttura secondaria della proteina.
27
Negli ultimi anni la chirurgia estetica e in particolare quella rivolta alle correzioni delle
imperfezioni del volto è in fase di sviluppo crescente. Questi ritocchi (p.e. zigomi) possono essere
effettuati attraverso un aumento di volume che può essere ottenuto mediante iniezione, previa
anestesia locale, di un filler (riempitivo) di tipo riassorbibile oppure sostanze lipidiche (lipofilling).
Allo stato dell’arte nel primo caso la scelta può cadere su due prodotti: l’acido ialuronico del tipo ad
altissimo peso molecolare, sui fosfati di calcio e sulla miscela dei due (Atlean βTCP e
RadiesseTM). In questo caso l’idrossiapatite assolve il compito di filler e viene utilizzata sotto
forma di sferule sospese in un gel acquoso (carbossimetilcellulosa di sodio) (RadiesseTM).
L’obiettivo della ricerca è quella di sintetizzare e caratterizzare un iniettabile di riempimento a base
di idrossiapatite completamente e parzialmente riassorbibile per applicazioni in campo medicochirurgico. Per questo scopo due tipi di idrossiapatite sono stati studiati come filler sottocutaneo in
modo da poter verificare come il grado di cristallinità e le dimensioni in influenzano il
riassorbimento in vivo. Cambiando le temperature di sintesi sono stati sintetizzati due tipi di cluster
di idrossiapatite a bassa cristallinità e ad alta cristallinità. A parità di tempo di maturazione del
precipitato durante la sintesi, i cluster di HA a bassa cristallinità si aggregano di più di quelli ad alta
cristallinità con dimensioni di 30 e 3 micrometri rispettivamente. Queste apatiti sono state inoculate
sotto cute in 10 topi femmine di sei mesi in collaborazione con il gruppo di ricerca della Prof. Lia
Rimondini dell’Università del Piemonte Orientale. Si è trovato che l’apatite ad alta cristallinità si
riassorbe completamente dopo 4 settimane dall’impianto invece quella a bassa cristallinità è ancora
presente anche dopo 8 settimane. Questo fatto è stato imputato alla differente dimensione e
morfologia dei cluster. Quindi è stato verificato che la dimensione è un fattore predominante per il
riassorbimento delle apatiti nei tessuti molli cosa che contraria a ciò che accade invece nei tessuti
duri dove il grado di cristallinità riveste un ruolo fondamentale.
e) Nanocristalli biomimetici di idrossiapatite per la rimineralizzazione dello smalto dentale
1) Lo smalto dentale è continuamente e fisiologicamente sottoposto ad un processo di usura e
demineralizzazione superficiale a causa del processo di masticazione e per l’ azione dei cibi e
bevande acide. Infatti la causa principale delle aree parzialmente demineralizzate dello smalto è
imputabile alla solubilizzazione dell’ idrossiapatite che è favorita a bassi valori di pH.(Figura 15)
Figura 15 Micrografia SEM (Original magnification: 4000X) di smalto dentale sano con aree demineralizzate ed
abrasioni meccaniche superficiali.
Al contrario di altri tessuti mineralizzati, quali ad esempio l'osso, lo smalto non è in grado di
autoripararsi, per mancanza di cellule, quando viene intaccato ed eroso da specifiche patologie,
come le carie, la demineralizzazione, l'abrasione o fratturato (Figura 15) l'unica metodologia per
ripararlo è quella di usare un materiale di natura sintetica. Lo scopo di questo studio è quello di
caratterizzare l'effetto dei nano e micro
cristalli biomimetici di idrossiapatite sulla
remineralizzazione dello smalto umano. Campioni di smalto (3x3mm) sono stati tagliati con dischi
a lame diamantate da premolari umani estratti per ragioni ortodontiche e trattati con nanocristalli
sintetici di idrossiapatite biomimetica
I difrattogrammi registrati su i campioni trattati con nanocristalli biomimetici mostrano lo spettro
tipico della fase apartitica biomimetica, rivelandone la presenza sulla superficie dello smalto trattato
(Figura 16). All’ indagine SEM la struttura interprismatica e prismatica dello smalto risulta
28
completamente ricoperta da uno strato apatitico omogeneo la cui permanenza è stato dimostrato
superare le 24 ore in ambito fisiologico con test in vivo.
2 0
3 0
P
o s it i o n
4 0
5 0
6 0
[° 2 T h e t a ]
Figura 16 Spettri di diffrazione di raggi X registrati su campioni di smalto trattati con : acqua (1° DRX dall’ alto),
pastadentifricia con fluoro(2° DRX dall’ alto),pasta dentifricia con microcristalli di idrossiapatite biomimetica(3° DRX
dall’ alto). Spettro DRX dei microcristalli di idrossiapatite biomimetica (Ultimo DRX in basso)
2) Scaffolds biomimetici per la rigenerazione ossea
I tessuti biologici sono i soli sistemi in grado di agire come veri “materiali funzionali”,
Recentemente si comincia ad essere in grado di preparare “ bio-inspired materioals” capaci di
riprodurre seppure in parte le specifiche funzionalità dei tessuti biologici per l’ ingegneria tissutale.
Un settore di ricerca innovativo nel campo dei biomateriali è appunto quello rivolto all’ingegneria
dei tessuti, il cui obiettivo è quello di ricostruire tessuti biologici coltivando le cellule su supporti
artificiali chiamati "scaffold". Essi sono costituiti da biomateriali che devono consentire la
proliferazione cellulare sia in vitro che in vivo. Una volta impiantati, gli scaffold possono essere
riassorbiti mediante processi metabolici oppure rimanere in loco e continuare a fornire un supporto
meccanico.
1)In collaborazione con GHIMAS s.p.a. sono stati realizzati scaffold porosi a base di chitosano,
agarosio e polivinilpirrolidone. All’ interno della porosità degli scaffold è stata indotta la
nucleazione di idrossiapatite, che in queste condizioni cristallizza con proprietà morfologiche
strutturali simili a quelle dell’apatite presente in ossa e dentina. Di conseguenza le performances
osteoinduttive degli scaffold cosi’ realizzati dovrebbero risultare esaltate.
Si riporta come esempio la micrografia SEM di uno scaffold chitosanico e le diffrattometrie a raggi
X dell’idrossiapatite in esso nucleata (Figura 17). [ Palazzo Barbara, Guglielmi Mariangela, Gallo
Anna Lucia, Foltran Ismaela, Battistella Elisa, Mele Silvia, Rimondini Lia. Self-mineralizing
polymer based porous scaffolds for bone tissue engineering. Workshop "Stem Cells for Bone
Regeneration" October 7-10, Bertinoro, Italy]
15
20
25
30
35
P osition [°2Theta]
Figura 17 Immagine SEM di uno scaffold chitosanico e diffrattometrie a raggi X dell’idrossiapatite in esso nucleata
29
2) L’ elettrofilatura di collageno di tipo I è stata utilizzata per realizzare la deposizione continua di
fibre nanometriche su substrati di titanio ottenendo la formazione di una struttura cosiddetta di
tessuto- non- tessuto in cui le fibre sono disposte con orientazioni completamente casuali. Dischi di
titanio mordenzato e dischi di titanio ricoperti da fibre di collageno elettrodeposte sono stati
sottoposti a test di cultura cellulare con cellule staminali mesenchimatiche epicardiali. Tale lavoro
ha permesso di ottenere risultati di notevole importanza sul processo di elettrofilatura come mezzo
per funzionalizzare superfici impiantabili utilizzabili sia in campo ortopedico che odontoiatrico
come sostituivo del tessuto osseo.
Confrontando i dati ottenuti per i dischi di titanio tal quali rispetto ai dischi funzionalizzati si è
potuto evincere come il collagene elettrofilato, promuova la differenziazione di MCS in
celluleosteoblastiche. Il disco con collagene elettrofilato in terreno differenziativo presenta una
crescita cellulare più uniforme e completa rispetto al disco in titanio non trattato in terreno
proliferativo. Si è rilevato inoltre che le cellule cresciute su terreno differenziativo hanno prodotto
una maggiore quantità di matrice extracellulare e quindi una maggiore calcificazione rispetto a
quelle cresciute su terreno proliferativi (Tabella I ).
DISCO
TERRENO
550 nm INCREMENTI
Titanio
Proliferativo
0,186
100%
Differenziativo 0,361
194%
T. + Collagene Proliferativo
0,154
100%
Differenziativo 0,710
461%
Tabella 1: Valori di assorbanza dopo colorazione con Alizarin Red
Inoltre i dischi di titanio funzionalizzati con il collagene elettrofilato e terreno differenziativo,
hanno generato fibre prive di difetti morfologici e con un diametro sub micrometrico, ottimali per la
realizzazione degli scaffolds biomimetici per la rigenerazione ossea.
[I. Foltran, N. Quirici, F. Denarosi, E. Battistella, L. Rimondini SIB Convegno Nazionale
Biomateriali 2009.]
3) Conversione di Carbonati in Idrossiapatite per la produzione di scaffolds per l’ ingegneria
tissutale. La realizzazione di scaffolds porosi di idrossiapatite (HA) è attualmente una delle
maggiori richieste in campo medico poiché per molti aspetti risulta essere la risposta adatta a quelle
che sono le necessità nel campo dell'ingegneria tissutale. Diverse tecniche sono state impiegate per
la realizzazione di scaffolds porosi, come ad esempio l'utilizzo di agenti porosi, ma oltre a
richiedere l'impiego di apparecchiature molto costose, sono risultate essere tecniche che non
permettono di avere un sufficiente controllo della porosità interna dello scaffold. La trasformazione
idrotermale (HT) dell'aragonite (CaCO3) dei coralli che provengono dall'Oceano Pacifico in HA è
stata di grande interesse a partire dal 1970 perchè permetteva di ottenere scaffolds porosi, con una
composizione e una microstruttura del tutto simile a quella della componente minerale dell'osso
naturale. Tuttavia lo sfruttamento dei coralli presentava un problema legato alla conservazione
ambientale: il problema è stato superato utilizzando l'osso di seppia che ha le medesime proprietà
chimiche e cristallografiche del corallo ma non è una specie protetta bensì un materiale di risulta
nella lavorazione ittica.
In questo studio ci si è preposti di sviluppare e caratterizzare nuovi scaffolds per l'ingegneria
tissutale dell'osso a partire da materiali di derivazione biologica. E' stata poi indagata la loro
biocompatibilità allestendo colture cellulari utilizzando gli scaffolds oggetti di studio e
30
comparandoli a biomateriali di riferimento come il titanio nelle sue varie preparazioni, ampiamente
usati in campo biomedico.
La conversione dell’aragonite dell'osso di seppia in idrossiapatite, attraverso la sintesi idrotermale, è
stata confermata tramite XRD (Figura 18).
Figura 18 XRD di osso di seppia naturale (a) e dopo trattamento idrotermale (b)
I risultati sperimentali dimostrano che l'aragonite costituente l'osso di seppia è stata completamente
convertita in idrossiapatite, mantenendo la tipica struttura a camere interconnesse (Figura 19).
Figura 19 Micrografie SEM di osso di seppia naturale a) e dopo trattamento idrotermale b) Magnification 500x
3)Biomineralizzazione: Cristallizzazione del carbonato di calcio in sistemi di interesse
ambientale biologico e industriale
a)Cristallizzazione di carbonato di calcio in presenza di ioni presenti nell’acqua di mare e acidi
umici.
Il sistema acqua di mare è supersaturo rispetto al
carbonato di calcio, tuttavia tutti i depositi
carbonatici presenti nei fondali marini sono di
origine biogenica. Questa osservazione implica
che la precipitazione “inorganica” del carbonato
di calcio in acqua di mare sia inibita. In questo
studio la precipitazione del carbonato di calcio è
stata indotta in presenza dei vari ioni che
costituiscono l’acqua di mare: sodio, potassio,
magnesio, solfato e cloruro. Questi ioni sono stati
utilizzati singolarmente, in coppia o tutti insieme
a diverse concentrazioni relative. I risultati hanno
mostrato come l’inibizione della precipitazione, in
assenza di acidi umici, sia principalmente dovuta
agli ioni magnesio e solfato. Inoltre, lo ione
potassio e lo ione magnesio hanno un ruolo
importante nel controllare la morfologia dei
cristalli precipitati, mentre lo ione solfato
favorisce il processo di aggregazione dei cristalli.
Solo lo ione magnesio e lo ione solfato sono in
grado di variare la struttura del carbonato di
calcio. Gli acidi umici hanno un ruolo primario Cristalli di carbonato di calcio cresciuti in presenza
di ioni dell’acqua di mare e acidi umici.
31
nell’inibizione della precipitazione, in modo molto più marcato rispetto agli ioni magnesio e solfato.
La loro presenza, a livelli superiori ai 6 ppm, è in grado di inibire completamente. Essi inoltre
riducono l’influenza delle specie ioniche sulle variazioni morfologiche e strutturali dei precipitati di
carbonato di calcio.
b)Cristallizzazione di carbonato di calcio in presenza polipeptidi carichi di rilevanza per lo studio
della biomineralizzazione.
In questo studio, acido poly-glutammico (pGlu) e poliaspartico (pAsp), come analoghi sintetici
delle macromolecole solubili coinvolte nel controllo dei processi di biomineralizzazione, e polylisina (pLys) sono stati utilizzati per comprendere la cinetica della crescita della calcite come una
funzione dell’interazione tra i polipeptidi carichi e la superficie della calcite. La cinetica della
crescita della calcite è stata determinate in un sistema modello si precipitazione semplificato
mediante incubazione di seeds di calcite in una soluzione di moderata supersaturazione contenente i
polipeptidi. La legge di velocità parabolica è stata applicata con successo per descrivere la crescita
dei cristalli di calcite, dimostrando che la velocità di crescita dei cristalli è determinata
dall’adorbimento degli ioni sugli steps a spirale presenti sulla superficie della calcite. Piccole
quantità di pGlu o pAsp causavano una inibizione della crescita della calcite e la dipendenza
esponenziale della velocità di crescita dalla supersaturazione confermava the la nucleazione
superficiale era il meccanismo dei controllo della crescita. La p-Lys dava deboli interazioni
elettrostatiche non selettive con la superficie dei cristalli di calcite, favorendo la crescita a basse
concentrazioni ed avendo un effetto inibitivo ad alte concentrazioni. La più forte interazione tra
polypeptidi e cristalli di calcite è stata osservata per il sistema calcite/pAsp. Questo potrebbe essere
dovuto alle interazioni di tipo coordinativo che si generano tra le regioni in struttura beta del
polipeptide e la superficie del cristallo.
c)Cristallizzazione di carbonato di calcio in presenza di additivi polimerici di utilizzo nell’industria
dei cementi.
Lo scopo di questa ricerca è stato quello di comprendere il meccanismo mediante il quale gli
additivi polimerici utilizzati nell’industria
dei cementi aumentano la plasticità della
malta cementizia. Questi additivi sono dei
“comb-polymers” la cui applicazione si
base solo su osservazioni sperimentali,
ma il cui meccanismo di azione non è
ancora conosciuto. Nel cercare di
raggiungere questo goal è stato utilizzato
il carbonato di calcio come sistema
modello. Gli studi di cristallizzazione del
carbonato di calcio sono stati effettuati in
presenza degli additivi polimerici
commerciali più comuni utilizzati
dall’industria dei cementi ed in presenza
dei silicati che costituiscono il cemento
stesso. I risultati hanno dimostrato come
la morfologia e l’aggregazione dei
Cristalli di carbonato di calcio cresciuti in presenza di additivi
cristalli di carbonato di calcio (solo
polimerici utilizzati nell’industria dei cementi.
calcite) dipendano in modo specifico dal
tipo di additivo utilizzato e dalla presenza
dei silicati dei cementi. Questa specificità nel riconoscimento molecolare tra additivo e fase
inorganica ha permesso di costruire dei modelli di interazione di potenziale utilizzo per la
progettazione di nuovi additivi polimerici.
32
4)Biomineralizzazione: Sintesi di idrossiapatite da cristalli singoli biogenici di calcite in
soluzioni di fosfato di calcio in condizioni ambientali.
In questo studio cristalli singoli di calcite biogenica da Atrina rigida, Paracentrotus lividus e
Heterocentrotus mammillatus sono stati trattati in soluzioni di fosfato di calcio aventi diverse
concentrazioni per due mesi. Dopo questo periodo si è osservata la conversione del carbonato
biogenico di calcio in idrossiapatite. Il processo di conversione è influenzato sia del tipo di cristallo
biogenico utilizzato che dalla chimica delle soluzioni di fosfato. Nelle stesse condizioni
sperimentali i cristalli di calcite di origine sintetica non subivano alcun processo di conversione.
Questo diverso comportamento è ascrivibile alle macromolecole intra-cristalline presenti nei
cristalli biogenici, le quali aumentano la solubilità del carbonato e agiscono come centri di
nucleazione e crescita per l’idrossiapatite.
Cristalli biogenici di calcite sui quali si è avuta la crescita di idrossiapatite.
5)Biocristallografia: Organizzazione strutturale dei
lipidi e della cheratina nello strato corneo della pelle dei
serpenti.
La pelle dei serpenti è costituita da quattro diversi strati. I
due più esterni contengono essenzialmente cheratina di tipo
beta e vengono strutturalmente considerati come un unico
strato. Quello seguente, conosciuto come meso layer, è
simile allo strato corneo umano, ed è formato da cellule
circondate da lipidi intracellulari. Ad esso è ascritta la
funzione di controllo della permeabilità della pelle
all’acqua. L’ultimo strato contiene cheratina alfa. In questo
studio, l’assemblaggio molecolare di cheratine e lipidi è
stato analizzato nella pelle di due specie di serpenti,
l’elapide Tiger snake (Notechis scutatus) e il viperide
Gabon viper (Bitis gabonica). Esperimenti di microdiffrazione di raggi X in scansione, spettroscopie FTIR and
Raman, analisi termiche e microscopia elettronica hanno
confermato la presenza dei tre strati principale nel pelle del
Gabon viper, mentre nel Tiger snake lo stato di cheratina
alfa appare assente. In entrambe le pelli le fibrille di
cheratina appaiono disordinate, mentre lo strato lipidico
33
Struttura della bouganin (A) e lichnin (B)
mostra un elevato grado di ordine. Questa organizzazione strutturale potrebbe essere il fattore che
determina l’elevato grado di controllo nel rilascio di acqua da parte di questi organismi in diverse
condizioni ambientali.
6)Studio Struttura/Funzione di due Ribosome Inactivating Proteins: bouganin e lichnin
In questo studio la struttura tridimensionale di due RIPs di tipo 1, bouganin and lychnin, è stata
risolta. La loro attività enzimatica è stata anche valutata in confronto con altre RIPs di struttura
nota, quali: dianthin 30, PAP-R, momordin I, ricin A chain e saporin-S6. La Saporin-S6 rilascia il
più alto numero di molecole di adenina dal ribosoma del ratto e dal poly(A), mentre la sua
efficienza è simile alla dianthin 30, bouganin and PAP-R sul DNA da sperma. Le misure di
inibizione della sintesi proteica hanno dimostrato che la saporin-S6 è la più attiva. La struttura della
bouganin e della lychnin è simile a quella delle altre RIPs studiate e il tipico RIP fold è conservato.
La sovrapposizione degli atomi C delle strutture mostra solo alcune differenze nei domini Nterminal e C-terminal. Una dettagliata analisi strutturale indica che l’efficienza della saporin-S6 su
vari polinucleotidi potrebbe essere dovuta al potenziale elettrostatico superficiale sul sito attivo ed
a vari residui carichi positivamente esposti nelle vicinanze del sito catalitico. Queste due condizioni,
non presenti contemporaneamente nelle altre RIPs, potrebbero garantire una efficiente interazione
con il substrato ed una efficiente catalisi.
7) Ruolo dei metalli nella citotossicità di nanocristalli d’interesse ambientale
Nell'ambito dello studio del rischio per la salute umana di composti nanometrici a base di silicio, di
provenienza sia naturale che industriale, fondamentale è l'individuazione del meccanismo chimico
di interazione della fase inorganica con il sistema biologico, per valutarne la tossicità. I composti
inorganici a base di silicio, che hanno implicazioni ambientali, sono costituiti quasi esclusivamente
da silice e silicati che rappresentano un rischio ambientale diverso in funzione della loro struttura,
morfologia e caratteristiche chimico-fisiche.Tra i silicati, gli asbesti presentano un elevato impatto
ambientale e la loro tossicità è stata ampiamente studiata, in particolare modo quella degli anfiboli.
Invece, la tossicità del crisotilo, che rappresenta oltre il 95% dell'amianto utilizzato
commercialmente, non è stata esaurientemente chiarita e non è ancora noto se sia in un qualche
modo diversa rispetto alle fibre nanometriche. La struttura del c! risotilo (Mg3Si2O5(OH)4)
consiste in un avvolgimento concentrico di foglietti di strati sovrapposti di silicio tetraedrico e di
magnesio ottaedrico con un diametro esterno di 22-27 nm, che varia considerevolmente al variare
della fonte minerale.Le fibre sono contaminate da diversi metalli in tracce come Al, Ni, Fe, Cr, che
possono sostituire Mg e/o Si, sviluppando difetti strutturali e modificando fortemente le
caratteristiche chimico-fisiche, la morfologia e le interazioni delle fibre con i sistemi biologici
modello. La capacità degli asbesti di produrre ROS è legata alle loro caratteristiche chimico-fisiche
e morfologiche. Infatti sono proprio le loro proprietà chimico-fisiche a condizionare la solubilità,
biodurabilità e biopersistenza delle fibre.
E’ stata portata a termine una completa caratterizzazione chimico-fisica e strutturale di fibre di
crisotilo stechiometrico sintetizzato in condizioni di pressione e temperatura controllate. L’indagine
strutturale si è basata non solo sui dati ottenuti con diffrazione di raggi X col metodo delle polveri
(Rietveld), ma anche dei dati di diffrazione elettronica al TEM. Questi risultati sono stati
fondamentali per la corretta interpretazione della caratterizzazione chimico-fisica e morfologica,
che in modo esaustivo è stata condotta sui cristalli di crisotilo stechiometrico sintetizzato con
morfologia controllata. I cristalli hanno morfologia tubo in tubo, con una cavità interna avente un
diametro di 7 nm ed una parete avente uno spessore di 7 nm, corrispondenti a circa 10 strati
ottaedrici-tetraedrici con spacing di 7,3 nm. I cristalli risultano costituiti di 2 o 3 strutture tubolari
compenetrate, con un diametro complessivo variabile da circa 20 nm.
34
Queste caratterizzazioni morfologiche e strutturali oltre a quelle spettroscopiche e di
caratterizzazione termica sono state fondamentali per intraprendere uno studio mirante a
caratterizzare l’attività superficiale del materiale. Si è anzitutto studiato l’effetto della presenza di
ioni estranei, quali Fe e Al, verificando come essi siano in grado non solo di modificare
strutturalmente le fibre, ma, in determinate concentrazioni, indurre il passaggio da una morfologia
cilindrica a quella planare tipica della lizardite.
Un risultato originale e di notevole importanza per gli studi futuri, è stata la sintesi di cristalli di
crisotilo geoinspired contenenti quantità controllate di ferro. Dall’analisi di campioni con
concentrazioni crescenti di Fe mediante spettroscopia (FTIR) combinata con studi strutturali (DRX)
e morfologici (SEM-TEM) è stato verificato il ruolo svolto dalla presenza di Fe3+ nel modificare
non solo superficialmente le fibre, ma anche la morfologia e la struttura cristallina attraverso una
sostituzione del Fe al Mg nel sito ottaedrico.
Le valutazioni genotossica e citotossica effettuate sul crisotilo geoinspired Fe-sostituito hanno
messo in evidenza che la produzione di specie reattive dell'ossigeno e di altri radicali è potenziato
quando ioni Fe sostituiscono specifici siti cristallografici nel crisotilo. L’indagine spettroscopica
all’infrarosso e al Raman, mediante lo studio delle bande caratteristiche di assorbimento del
crisotilo, ci ha permesso di valutare la sostituzione del Mg e del Si con ioni Fe.
Il crisotilo geoinspired sintetizzato a diverse concentrazioni di Fe è stato ottenuto come unica fase
mediante l’utilizzo di un reattore idrotermico in presenza o meno di Fe metallico.
I risultati evidenziano che il Fe può sostituire sia il Mg nell’ottaedro sia il Si nel tetraedro o
entrambi. La contemporanea sostituzione di ferro negli strati ottaedrici e tetraedrici rivela un
sensibile aumento della temperatura di deidrossilazione che avviene a temperatura più elevata
rispetto al crisotilo stechiometrico.
Una dettagliata indagine chimico-fisica della superficie del crisotilo mediante ATR-FTIR, XPS e
potenziale zeta in funzione della quantità di Fe aggiunto durante la sintesi, in presenza o meno di Fe
metallico, ci ha permesso di valutare l’effetto della sostituzione del Fe nella struttura del crisotilo
quando il Fe sostituisce Mg e/o Si. I risultati mostrano che la sostituzione del Fe nella struttura del
crisotilo porta ad una modifica per quanto riguarda la composizione della superficie, la
distribuzione delle cariche e quindi la sua reattività. E’ stata inoltre condotta una indagine mediante
EPR, spettroscopia UV/VIS a riflettenza diffusa (DRS) e misure di suscettibilità magnetica allo
scopo di chiarire la struttura e la nuclearità dei siti sostituiti dal Fe. I dati ottenuti mettono ancora in
evidenza che il Fe aggiunto durante la sintesi del crisotilo può andare in entrambi i siti, sia ottaedrici
che tetraedrici, e nel caso della contemporanea presenza nei due strati si osserva Fe3+ in una
configurazione ad alto spin (3d5) ed un Fe3+ formante un cluster. Senza questa conoscenza è
impossibile ottenere una chiara correlazione tra citotossicità e proprietà chimico-fisiche delle fibre
di crisotilo drogate con il Fe. Infatti, la superficie del crisotilo è direttamente responsabile delle
interazioni nell’interfaccia tra le fibre di amianto e sistema biologico.
35
8) Sistemi autoassemblanti di porfirine su nanotubi inorganici
Le porfirine costituiscono un’attraente classe di molecole, data la loro semplicità di sintesi e le
buone proprietà fotofisiche, che possono essere facilmente modulate modificando la sostituzione
periferica o per coordinazione con ioni metallici.
Numerose porfirine, contenenti legami covalenti e non-covalenti, sono state sintetizzate allo scopo
di imitare sistemi naturali. Derivate dal nucleo della porfina, esse sono costituite strutturalmente da
quattro unità pirroliche legate da ponti metilenici. Gli atomi di idrogeno interni sono localizzati su
due atomi di azoto pirrolici e, sono normalmente soggetti ad equilibri di tipo tautomerico. L’esteso
grado di delocalizzazione elettronica, insieme alla planarità della struttura, conferisce loro
un’elevata aromaticità. Lo spettro UV-Vis della maggior parte delle porfirine è dominato da due
gruppi di bande: (i) la prima molto intensa (coefficienti di estinzione molare dell’ordine di 105 M-1
cm-1), nella regione del visibile centrata intorno a 400 nm che solitamente si indica come banda B o
banda di Soret; (ii) un secondo gruppo di bande d’intensità più bassa (coefficienti di estinzione
molare dell’ordine di 104 M-1cm-1) e posizionate nella regione spettrale tra 500 e 700 nm,
denominate bande Q. L’emissione di fluorescenza che origina dalle bande Q (Q(0-0) e Q(0-1)), si
ritrova normalmente nella regione tra 600 e 700 nm. L’organizzazione spaziale di cromofori quali le
porfirine è di notevole interesse per lo sviluppo di sistemi che possano riprodurre il comportamento
di sistemi naturali responsabili dei processi fotosintetici, o dar luogo a fenomeni di trasporto di
carica in dispositivi elettronici a base organica. In questo contesto si sono studiate le interazioni tra
le porfirine e nanocristalli inorganici sintetici con struttura costituita da strati tetraedrici (T) centrati
sul silicio in un network pseudo-esagonale e da strati ottaedrici (O) di idrossidi di magnesio. Il
Lebsc ha messo a punto una metodologia di sintesi idrotermale altamente riproducibile che permette
di ottenere nanocristalli di crisotilo sintetici come unica fase, con morfologia definita a nanotubo
aventi il diametro esterno è pari a 21±1nm e il diametro interno 7±1nm, lo spessore della parete di
ogni tubo singolo 7±1nm. I nanotubi di crisotilo si comportano da template su cui le porfirine, come
la TPPS, possono auto-assemblarsi dando luogo a strutture fortemente organizzate (aggregati di tipo
J)
Questi ultimi presentano fenomeni di eccitazione di tipo coerente che portano a fenomeni ottici non
lineari (assorbimento di 2 fotoni di una certa energia e la remissione di un fotone di energia doppia).
Gli elevati valori di oscillator strenght e le rapide risposte degli elettroni degli aggregati J sono di
interesse in molti campi, nei quali appunto la modellazione del trasferimento energetico nei sistemi
fotosintetici, o conversione fotochimica dell’energia. I risultati di questo studio sono stati pubblicati
nel 2009.
9) Sintesi di nanoparticelle metalliche di interesse biologico
a)Nanoparticelle di selenio con superficie protetta da floroglucinolo
Il selenio è un micronutriente essenziale per gli esseri viventi ed è tossico negli stati di ossidazione
IV, VI mentre non lo è nello stato di ossidazione 0. La selenocisteina è presente nella glutatione
perossidasi, un enzima che elimina il perossido di idrogeno e che quindi blocca la formazione di
radicali liberi responsabili dello stress ossidativo delle cellule. E’ presente anche in diverse proteine
(selenoproteine).
36
L’obbiettivo è stato quello di ottenere nanoparticelle di selenio bloccandone i processi di
aggregazione mediante una protezione superficiale con floroglucinolo (1,3,5 triidrossibenzene).
Il floroglucinolo è presente in molti flavonoidi ed altro polifenoli dotati di proprietà
antinfiammatorie, antiossidanti ed in alcuni casi antitumorali. Alcuni esempi sono la quercetina, la
epigallocatechina, la teaflavina(queste ultime presenti nel thè verde). La quercetina in particolare è
già stata utilizzata come riducente per ottenere nanoparticelle d’argento. La notevole reattività del
floroglucinolo è dovuta alla forte attivazione degli elettroni pe
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B)Nanoparticelle di Au, Ag, Au4/Ag1, Au1/Ag4 con superficie protetta da acido11-Mercaptoundecanoico
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10) Studi e ricerche di storia della chimica
a)La ricerca chimica di pubblica utilità
1) L’opera di Anselme Payen
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b)Paolo Tassinari : riscoperta di un chimico italiano.
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importanti consulenze, una delle quali riguardò la ricerca del piombo. Avvenne dopo
il ferimento di Garibaldi in Aspromonte, per localizzare il proiettile conficcato sopra il malleolo del
Generale. Ci si rivolse a Tassinari, il quale ancora una volta fu all’altezza della sua fama di
provetto chimico analista. Per individuare la posizione esatta del proiettile e procedere
all’estrazione s’impiegò uno specillo inventato da Auguste Nélaton, costituito da una sonda
d’argento che recava in punta una sferetta di porcellana grezza. Introdotto nella ferita, quando la
sferetta strisciava contro il piombo, questi lasciava una traccia nerastra sulla superficie. Tassinari fu
incaricato innanzitutto di esaminare il liquido che fuoriusciva dalla ferita per cercarvi tracce del
metallo. Il risultato fu negativo, ma lo specillo localizzò finalmente il proiettile e, per averne
ulteriore conferma, a Tassinari fu richiesto di analizzare la striscia nerastra sulla pallina di ceramica.
Riconobbe il piombo con un saggio al solfuro.
38
UNITA’ DI RICERCA DI CAMERINO
Direttore Scientifico: Prof. Alfredo Burini
L’attività di ricerca dell’unità operativa di Camerino è stata sviluppata secondo cinque linee di
lavoro principali: 1) sintesi di nuovi sistemi chelanti N-, O-, S-, -C e/o P-donatori; 2) sviluppo dei
relativi complessi di rame(II), rame(I), argento(I) e oro(I), valutati sulla base delle loro
caratteristiche strutturali e delle proprietà redox; 3) marcatura con rame-64 di alcuni dei derivati
sintetizzati; 4) sintesi di molecole a potenziale attività antitumorale; 5) stesura di reviews su invito.
Tre nuovi sistemi leganti macrociclici degli acidi 1,10-ditio-4,7-diazaciclododecano-3,8dicarbossilico (NEC-SE), 1,10-ditio-4,7-diazaciclotridecano-3,8-dicarbossilico (NEC-SP) e 1,10ditio-4,7-diazaciclotetradecano-3,8-dicarbossilico (NEC-SB) derivati della L,L-etilendicisteina sono
stati sintetizzati ed impiegati nella sintesi dei relativi complessi di Cu(II) (Fig. 1).
HOOC
C OOH
NH
HN
(R)
(R)
+
SH
HS
H
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OOC
N+
H
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N+
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(CH2) n
2) HCl, pH = 2
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n = 3: 13-membered NEC-SP, 2
n = 4: 14-membered NEC-SB, 3
H
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S
(CH2) n
n = 2: 12-membered NEC-SE, 1
n = 3: 13-membered NEC-SP, 2
n = 2: Cu(NEC-SE), 4
n = 3: Cu(NEC-SP), 5
n = 4: 14-membered NEC-SB, 3
n = 4: Cu(NEC-SB), 6
Fig. 1. Schema di reazione della sintesi degli acidi 1,10-ditio-4,7-diazaciclododecano-3,8dicarbossilico (NEC-SE), 1,10-ditio-4,7-diazaciclotridecano-3,8-dicarbossilico (NEC-SP) e 1,10ditio-4,7-diazaciclotetradecano-3,8-dicarbossilico (NEC-SB) e dei relativi complessi Cu(NEC-SE)
(4), Cu(NEC-SP) (5) e Cu(NEC-SB) (6).
La marcatura di tali sistemi con l’isotopo 64-Cu(II) ha permesso di preparare le corrispondenti
specie [64Cu(NEC-SE)], [64Cu(NEC-SP)] e [64Cu(NEC-SB)], con purezza radiochimica maggiore
del 98%. Sono stati effettuati studi di biodistribuzione, condotti in vivo su ratti maschi del tipo
Lewis, al fine di confrontarne la biocinetica con quella di analoghi sistemi 64Cu-tetrazamacrociclici,
quali 64Cu-cyclam, 64Cu-TETA e 64Cu-DOTA. Tali studi hanno mostrato una ritenzione di attività
nei tessuti simile a quella del 64Cu-cyclam; tuttavia si è osservata una non ottimale clearance dopo
le 24 ore, probabilmente attribuibile alla cinetica di tali complessi idrofilici e quindi ad una rapida
dissociazione del rame-64 dai chelati in vivo (Fig. 2).
39
Fig. 2. Confronto tra I dati di biodistribuzione (%ID/organ) di [64Cu(NEC-SE)] (7), [64Cu(NECSP)] (8) e [64Cu(NEC-SB)] (9) e alcuni complessi di rame-64 di tetraazamacrocicli, registrati 24 h
dopo la somministrazione. I dati relativi ai complessi 7, 8 e 9 sono stati ottenuti su ratti maschi del
tipo Lewis, mentre i dati relativi a 64Cu-Cyclam, 64Cu-TETA, 64Cu-DOTA and 64Cu-CB-TE2A sono
stati ottenuti su ratti femmine del tipo Sprague-Dawley.
Non essendo stato possibile ottenere strutture cristalline di tali derivati, sono stati effettuati studi
DFT di modellistica molecolare al fine di chiarire le proprietà e la geometria di legame nei
complessi, la quale probabilmente risulta alla base della loro relativa instabilità in vivo.
Nuovi complessi carbenici di argento(I) sono stati ottenuti a partire dai precursori
{[HB(RImH)3]Br2} (R = Me, Bn, Mes e tBu) e {[HC(MeBImH)3](BF4)3}, mediante reazione del
sale di imidazolio con Ag2O (Fig. 3)
H
H
B
N
N
H
H
N
B
N
N
a
N
K
Br
Ag
Bn
N
Bn
Bn
[HB(BnImH)2]Br2
Bn
N
Au
Br
Bn
N
N
N
N
N
N
B
B
H
H
Ag3 [HB(BnIm) 3]2 Br
Bn
Bn
Au
Au
Bn
N
N
N
Br
Bn
N
N
K[HB(Im)3 ]
Ag
N
N
Bn
c
Bn
Ag
N
Bn
N
N
N
N
N
b
N
Bn Br
N
N
Bn
N
N
B
N
N
N
B
N
Bn
Au 3[HB(BnIm)3 ]2Br
Fig. 3. Condizioni di reazione: (a) temperatura ambiente, benzilbromuro, CHCl3; (b) temperatura
ambiente, Ag2O, CH2Cl2; (c) temperatura ambiente, Au(SMe2)Cl, CH2Cl2.
H
H
B
B
N
H
N
N
R
a
N
B
N
b
R
N
Br
R
R
N
R = Mesityl or t-Butyl
c
Ag
Br
R
N
N
N
Au
Au
R
R
N
N
R
R
N
N
[HB(RImH) 2]Br2
Ag
Ag
N
R
N
N
N
N
N
R
N
N
N
N
N
N
R Br
R
N
Br
R
N
N
R
R
Au
N
N
N
B
B
H
H
Ag3 [HB(RIm)3 ]2 Br
Au3 [HB(RIm)3]2 Br
R = Mesityl or t-Butyl
R = Mesityl or t-Butyl
Fig. 4. Condizioni di reazione: (a) riflusso, (CH3)2S:BHBr2, CH2Cl2; (b) temperatura ambiente,
Ag2O, CH2Cl2; (c) temperatura ambiente, Au(SMe2)Cl, CH2Cl2.
40
H
C
N
N
N
H
C
N
N
N
Me
b
C
3BF4
N
N
N
Me
N
Ag
Me
N
N
N
Me
3BF 4
Me
Me
Ag
Ag
Me
N
Me
N
N
N
N
H
a
N
N
N
Me
N
N
N
C
H
[HC(BIm) 3]
{[HC(M eBIm H) 3](BF4)3 }
{Ag 3[HC(MeBIm) 3] 2 (BF4 )3}
Fig. 5. Condizioni di reazione: (a) temperatura ambiente, (Me3O)(BF4), CH2Cl2; (b) temperatura
ambiente, Ag2O, CH2Cl2/CH3CN.
Complessi trimetallici stabili di formula generale {Ag3[HB(RIm)3]2}Br sono stati ottenuti e
impiegati con successo in reazioni di transmetallazione, quali agenti di trasferimento carbenico per
la sintesi dei corrispondenti complessi di rame(I) e oro(I). I complessi di argento hanno mostrato
un’attività catalitica in reazioni di accoppiamento del tipo Sonogashira tra ioduri arilici e alchini
terminali.
Un limite all’utilizzo di tali complessi in studi di citotossicità è rappresentato dalla scarsa solubilità
e stabilità in acqua. Tale limite è stato da noi superato mediante la funzionalizzazione degli anelli
imidazolici e triazolici con gruppi carbossilato e solfonato. La sintesi dei nuovi leganti pre-carbenici
N-eterociclici {H2C(HTzR)2} e {H2C(HImR)2} (HTz = 1,2,4-triazolo; HIm = imidazolo; R = PrSO3o EtCOO-) è stata condotta a partire dal bis(1,2,4- triazolil)metano e dal bis(imidazolil)metano (Fig.
6).
O
O
S
O
N
Ac etone, reflux , 5 days
O
S
-
O
N
N
H
CH2Cl2, NaOH 60%
N
Bu4 NBr
N
N
N
N
N
2C
S
O
S
O
N
N
N
N
N
-
N
N
N
N
Ac etone, reflux, 5 days
N
O
S
O-
N
.
2 H2 O
.
2 H 2O
C O2 -
O
O
CH2Cl2 , NaOH 60%
N
O
N
-O
O
H
N
O
C O2H
Toluene, reflux, 3 days
N
N
N
N
Br
N
N
N
O
O
S
O
O-
N
Bu4 NBr
CO 2H
Br
N
N
a) T oluene, r ef lux, 3 h
b) Na2CO 3 , H2O, ref lu x
-O
N
N
2C
CO 2-
Fig. 6. Sintesi dei nuovi leganti pre-carbenici {H2C(HTzR)2} e {H2C(HImR)2}.
I relativi complessi carbenici {Na2[H2C(TzR)2]2Ag2} e {Na2[H2C(ImR)2]2Ag2} sono stati ottenuti da
soluzione acquosa trattando il sale di triazolio o imidazolio con Ag2O (Fig. 7). Tali metallacicli
sono di particolare interesse in considerazione dell’elevata solubilità e stabilità in acqua e del loro
utilizzo in reazioni di transmetallazione per la sintesi dei corrispondenti complessi di rame e oro.
41
-O
3S
Na+
SO 3 -
CO 2N
X N
N
N
X
X
N
Ag
N
X
1 ) Ag2O , H2O
N
2) NaCl
-
-
SO 3
O 3S
N
N
N
N
X
X
.
X
-
N
N
N
Ag
X
N
N
N
Ag
X
O 2C
N
X
N
-
Na+
CO2 -
O2C
2 H 2O
N
1) Ag 2O , H2 O
2) Na Cl
N
N
X
Ag
X
N
X = N or C
-
O3 S
Na+
X = N or C
SO 3-
N
Na+
CO2 -
-
O 2C
Fig. 7. Sintesi dei complessi carbenici di Ag(I).
Una nuova classe di leganti pirazolilborati di formula generale [H3B(pzx)]- è stata ottenuta
attraverso l’interazione di MBH4 (M = Na o K) con pirazoli caratterizzati dalla presenza di gruppi
elettronattrattori, in condizioni di reazione non termolitiche. Nuovi complessi di rame(I) sono stati
sintetizzati attraverso la reazione dei leganti sodio triidro(5-CF3-pirazolil)borato e potassio
diidrobis(3-trifluorometil-pirazolil)borato con [Cu(CH3CN)4]PF6 o CuI e coleganti fosfinici o
isonitrilici (Fig. 8).
(a) (b)
(c)
Fig. 8. Struttura cristallina dei complessi {[H3B(5-(CF3)pz)]Cu[P(C6H5)3]2} (a), {[H2B(3(CF3)pz)2]Cu(CNtBu)2} (b) e {[H2B(3-(CF3)pz)2]Cu(CNCy)2} (c).
La tecnica X-ray Absorption Spectroscopy (XAS) è stata impiegata per studiare l’intorno di
coordinazione del metallo in complessi di rame(I) che hanno mostrato un’elevata attività citotossica
nei confronti di un ampio panel di linee cellulari tumorali. In particolare sono stati investigati
complessi fosfinici dei leganti diidrobis(3-nitro-1,2,4-triazolil)borato e bis(1,2,4-triazolil)acetato,
per i quali l’analisi EXAFS ha permesso di individuare una tetracoordinazione del centro metallico,
caratterizzata dalla presenza di due interazioni Cu-P e due interazioni Cu-N con l'ottenimento di una
struttura quasi planare. Nel derivato {[HC(CO2)(pzMe2)2]Cu(thp)2} è stata riscontrata una
coordinazione addizionale dovuta all’interazione del rame con il gruppo acetato del legante
scorpionato.
42
UNITA’ DI RICERCA DI CATANIA
Direttore Scientifico: Prof. Raffaele Pietro Bonomo
Complessi di rame(II) con le proteine di interesse(Amilina (IAPP), alfa-cristallina, A beta
Amiloide, Alfa-sinucleina, Insulisina, Proteina prionica).
Le molecole studiate sono: Amilina (IAPP), alfa-cristallina, A beta Amiloide, Alfa-sinucleina,
Insulisina, Proteina prionica. Inoltre sono state investigate alcuni inibitori della fibrillogenesi quali
beta-sheet breaker e loro glicoconiugati. Sono state effettuate le sintesi di frammenti peptidici
presenti nel dominio N-terminale del prione umano, del peptide ß-amiloide e frammenti relativi alla
proteina amilina caratterizzandone anche la complessazione con ioni metallici. Per quanto riguarda
gli studi relativi alla proteina prione sono stati studiati i seguenti frammenti: HuPrP(76-114) e
HuPrP(59-91). Il frammento HuPrP(59-91) è stato anche modificato legando una catena di
Polietilenglicole (PEG) all'estremità N-terminale della catena polipeptidica, al fine di aumentare la
solubilità dei relativi complessi con il rame (II) e permettere uno studio potenziometrico. I peptidi
sono stati caratterizzati da un punto di vista conformazionale presso il CNR-IBB facendo uso di
tecniche spettroscopiche quali il dicroismo circolare (CD) ed NMR. Allo stesso tempo sono stati
intrapresi, gli studi potenziomentrici e spettroscopici dei complessi del rame(II) formati con questi
peptidi. I primi risultati indicano che, a differenza dei precedenti studi condotti su altri frammenti
correlati, è presente un chiaro fenomeno di cooperatività nel frammnento HuPrP(59-91), mentre lo
stesso appare solamente accennato nel frammento HuPrP(76-114). In relazione agli studi in corso
sui peptidi correlati al b-amiloide, la coniugazione del frammento peptidico Ab(1-16) con una
catena di polietilenglicole (PEG), ha reso possibile l'esecuzione di misure potenziometriche in
soluzione acquosa, in eccesso di ioni metallici ed a concentrazioni relativamente elevate. I leganti
studiati nell'ambito del progetto sono stati i seguenti: Aß(1-4), Aß(1-6), AcAß(1-6), AcAß(816)Y10A, Aß(1-16), Aß(1-16Y10A), Aß(1-16)-PEG. Lo studio di questi leganti ha reso possibile
ottenere informazioni sulle capacità di legame dell'intero peptide [Aß(1-16) e Aß(1-16)PEG], i suoi
frammenti N-terminali [Aß(1-4), Aß(1-6) e Ac-Aß(1-16)] ed anche sul ruolo dei residui adiacenti di
istidina [Aß(8-16)] e tirosina [Aß(1-16)Y10A ]. I risultati ottenuti indicano che la regione Nterminale comprendente i residui 1-16 è in grado di legare fino a 4 ioni rameici. Inoltre l'analisi dei
dati potenziometrici e spettroscopici indica che i complessi polinucleari sono presenti anche a pH
fisiologico ed il gruppo ammino terminale può essere considerato come il sito a più alta affinità per
il rame(II). Analoghi studi sono stati condotti con lo ione zinco dove per la prima volta è stato
possibile ottenere un quadro dettagliato delle specie complesse esistenti a diversi pH ed a diversi
rapporti metallo legante. I risultati indicano che il frammento peptidico Ab(1-16)-PEG riesce a
coordinare sino a tre ioni zinco. Inoltre l'analisi dei dati potenziometrici ed NMR suggeriscono che
il sito a più alta affinità per lo zinco è localizzato fra le istidine in posizione 13 e 14 a valori di pH
leggermente acidi, mentre il gruppo ammino terminale diventa competitivo a valori di pH
fisiologici. Gli studi precedentemente intrapresi sul frammento dell'amilina umana hIAPP17-29
sono stati approfonditi tramite esperimenti di light-scattering dinamico che hanno permesso di
monitorare le cinetiche e i meccanismi di aggregazione di questo peptide omologo alla sequenza
umana e confrontarlo con le proprietà del frammento murino rIAPP17-29. Più in particolare è stato
valutato il ruolo del pH nel processo di aggregazione del frammento hIAPP17-29 individuando
nella protonazione dell'istidina 18 un fattore critico nel determinare i meccanismi di aggregazione
del frammento in soluzione acquosa. Inoltre, studi spettroscopici finalizzati alla caratterizzazione
del polimorfismo conformazionale del frammento, sono stati condotti su suoi derivati coniugati con
PEG che presentano una solubilità più elevata dei frammenti non-peghilati. Sono stati sintetizzati e
caratterizzati nuovi derivati peptidici appartenenti alla classe dei "beta-sheet breaker" ottenuti
legando covalentemente una molecola di trealosio al pentapeptide LPFFD. Il trealosio dovrebbe
garantire: a) una maggiore stabilità nei confronti della degradazione enzimatica, proprietà che
presentano molti peptidi glicosilati; b) promuovere il trasporto attraverso la barriera ematoencefalica, grazie ad un trasportatore specifico; c) possedere un'attività anti-fibrillogenica potenziata
43
dal sinergismo delle componenti glucidica e peptidica. Tutti i peptidi sintetizzati sono stati
caratterizzati mediante spettrometria ESI-MS. Gli studi CD in differenti condizioni sperimentali
(pH, TFE, SDS) hanno permesso di valutare le preferenze conformazionali di ciascun sistema
peptidico. I risultati indicano che la presenza del trealosio non influisce in maniera determinante
sulle proprietà conformazionali della catena peptidica, tuttavia gli spettri Cd suggeriscono che il
trealosio promuove la strutturazione della catena polipeptidic in un ambiente più idrofobico. Un
aspetto interessante emerge dagli esperimenti di stabilità nei fluidi biologici. I dati in nostro
possesso indicano che la coniugazione del peptide LPFFD con il trealosio conferisce un'aumentata
stabilità nei confronti della degradazione proteolitica in omogenati di cervello di ratto. Tutti i
sistemi sintetizzati sono stati testati in relazione alla loro capacità di inibire la fibrillogenesi del
peptide Abeta(1-42) nonchè della sua attività citotossica in colture primarie di neuroni corticali di
ratto. Le misure di attività antifibrillogenica sono state condotte in differenti tamponi (PBS o Netilmorfolina (NEM) cloridrato, pH 7.4) utilizzando il saggio di fluorescenza con ThT, mentre la
morfologia delle fibrille è stata studiata mediante indagini AFM. I saggi di fluorescenza, condotti in
NEM, indicano che i coniugati sono in grado di interferire con il processo di fibrillogenesi
dell'Ab(1-42). Le indagini AFM sono in accordo con i dati di fluorescenza evidenziando che la coincubazione con i glicoderivati statisticamente riduce la grandezza e lo spessore delle fibrille. Non è
stato possibile riprodurre questi risultati in tampone fosfato dove non si evidenzia alcuna attività
antifibrillogenica. Inoltre gli esperimenti di citotossicità eseguiti in tampone PBS non hanno messo
in evidenza una significativa inibizione di tossicità da Ab(1-42). E' stata studiata l'interazione
dell'IDE (Insulin-Degrading Enzyme) con diverse molecole substrato al variare delle condizioni
sperimentali. In particolare, è stato possibile dimostrare che alte concentrazioni di Ubiquitina
alterano drammaticamente la capacità dell'IDE di interagire e degradare molecole di Insulina.
D'altra parte, l'Insulina sembra avere un importante ruolo regolatore sull'interazione IDEUbiquitina, suggerendo l'ipotesi che essa abbia quindi una importante funzione regolatrice
sull'attività proteosomica dell'IDE. L'interazione IDE-Amiloide ß è stata studiata tramite diversi
approcci di spettrometria di massa (MALDI, AP MALDI e ESI) ed i risultati hanno identificato
nuovi siti di taglio dell'enzima su tali molecole. Il ruolo della Somatostatina è stato studiato tramite
diversi approcci sperimentali, dimostrando da un lato la capacità dell'IDE di degradare tale
molecola e, dall'altro, l'effetto della Somatostatina sull'interazione IDE-Amiloide ß. L'effetto dei
diversi fattori ambientali (concentrazione enzimatica, tempi di reazione, presenza di metalli, etc.)
sulla degradazione dell'Insulina da parte dell'IDE è stato accuratamente studiato tramite AP/MALDI
MS. Esperimenti effettuati nel caso del sistema IDE-Insulina hanno dimostrato la presenza di un
cambio conformazionale delle molecole di IDE ancorate sulla superficie durante l'interazione con le
molecole di insulina. La simulazione delle curve sperimentali ottenuta adottando il modello del
cambio conformazionale ha permesso di stimare alcuni dei parametri cinetici coinvolti con la
suddetta interazione. Sono stati investigati gli effetti della L- e D-carnosina sugli aggregati fibrillari
beta amiloidi di alpha-cristallina. In particolare è stato studiato il loro ruolo sulla tolleranza allo
stress termico , attività chaperone e stabilità termica dell' alpha-cristallina. Nel lavoro oggetto degli
ultimi due poster abbiamo osservato che, sia considerando come modello l'alpha-cristallina da sola
che il sistema più complesso di cristallini di ratto in organo-cultura, la presenza delle carnosine
previene la formazione di fibrille amiloidi, preserva l'attività chaperone dell'alpha-cristallina e
disassembla le fibrille già preformate, restituendo parte della trasparenza della lente.
Processi di riconoscimento molecolare.
Le porfirine sono tra le molecole più studiate dai chimici. Le ragioni di tale interesse dipendono non
solo dal fatto che esse svolgono un ruolo fondamentale in diversi sistemi biologici, ma anche dalla
facilità con cui esse possono essere studiate grazie alle peculiari proprietà spettroscopiche. Esse
presentano, infatti, proprietà spettroscopiche notevoli (quali l’elevato coefficiente di estinzione
molare e l’alta resa di emissione di fluorescenza) che possono essere facilmente modulate inserendo
sia diversi ioni metallici (al centro dell’anello), sia diversi sostituenti (alla periferia, per esempio in
posizione meso-). In particolare, l’introduzione di gruppi carichi in posizione meso- ha reso
44
possibile l’ottenimento di porfirine solubili in acqua. E’ importante sottolineare a questo punto che,
in funzione del numero e/o della disposizione dei vari gruppi carichi, le porfirine presentano in
acqua una naturale tendenza verso la auto-aggregazione. I gruppi carichi rendono, infatti, tali
molecole solubili in acqua, ma non idrofiliche. Del resto, la stessa struttura di queste molecole (un
ampia superficie planare, elettron-ricca) favorisce interazioni tipo van der Waals anche in solventi
meno polari dell’acqua. Chiaramente le porfirine con un alto numero di cariche sono quelle che
restano monomeriche per un più ampio intervallo di concentrazione e forza ionica. In relazione a
ciò, vi era in letteratura la diffusa convinzione che l’aggregazione su matrici di carica opposta a
quella delle porfirine fosse una prerogativa specifica di porfirine con una forte tendenza verso
l’auto-aggregazione. poiché in acqua, in presenza di una matrice, sono guidate da specifici processi
di riconoscimento molecolare. Ciò è vero anche per porfirine tetra-cariche che non mostrano alcuna
tendenza ad auto-aggregare (in assenza di una specifica matrice) anche ad ‘alte’ concentrazioni (104 M) e forze ioniche. La specificità di queste interazioni insieme alla inerente presenza di
cooperatività dei processi di aggregazione, indirizzerà la nostra ricerca verso settori applicativi
come quello dei sensori. Infatti, sia la specificità che la cooperatività sono dei requisiti essenziali
per ottenere, rispettivamente, una buona selettività ed una elevata sensibilità.
In particolare sono state studiate le interazioni tra le porfirine e templati di carica opposta la cui
funzione è quella di organizzare e modulare il numero di porfirine aggregate. I templati investigati
sono stati sinora biopolimeri chirali quali polipeptidi recanti in catena laterale gruppi ionizzabili al
variare del pH. La variazione della densità di carica sul polipeptide è stata sfruttata per modulare
con il pH il numero di porfirine aggregate. Questo ha consentito di ottenere tutta una serie di sensori
per pH, ioni metallici, DNA o RNA. Grazie alle peculiarità elettroniche e coordinative dei metalli
coordinati nel core della porfirina è stato inoltre dimostrato che è possibile controllare la geometria
di aggregazione. Comunque, sia in presenza che in assenza di templati non è stato ancora acquisito
il controllo sulle dimensioni degli aggregati. Infatti, l’auto-aggregazione delle porfirine porta alla
formazione di specie in cui il rapporto stechiometrico non coincide con la reale stechiometria delle
specie che sono di dimensioni notevoli e variabili.
In questo progetto si propone il disegno, la formazione e la caratterizzazione in soluzione acquosa
di aggregati di porfirine aventi stechiometria determinata e modulabile utilizzando le interazioni
elettrostatiche tra cariche nette di segno opposto quale forze guida dei processi di self-assembly.
Questi complessi saranno progettati in maniera tale da renderli attivi verso processi di trasferimento
elettronico fotoattivati o per essere utilizzati come sensori. Il progetto prevede due approcci diversi,
uno in presenza e l’altro in assenza di templati. Nel primo caso si propone l’ottenimento di
aggregati di porfirine di carica opposta utilizzando metallo-porfirine penta-coordinate per limitare la
crescita dei complessi supramolecolari alle dimensioni desiderate. Infatti, a differenza delle
porfirine planari, i derivati pentacoordinati hanno una sola faccia disponibile all’aggregazione e
quindi fungono da “stopper”. Nel secondo caso verranno studiati complessi calixarene-porfirina in
cui i calixareni esplichino una funzione di templato organizzatore per l’ottenimento di aggregati a
stechiometria nota e modulabile. Infatti, dati preliminari indicano che i calixareni carbossilati
inducono l’aggregazione di un numero discreto e modulabile di porfirine poiché il numero di siti
disponibili per la complessazione varia con il pH. L’uso di queste molecole come templati presenta
anche altri vantaggi. Infatti: i) possono essere variamente funzionalizzate variando sia il numero che
la natura (cationica, anionica, chirale etc.) dei siti complessanti, consentendo il disegno di
specifiche specie supramolecolari, e ii) sono particolarmente adatti ad essere utilizzati quali sensori.
Si propongono anche una serie di esperimenti sulle interazioni tra porfirine e la forma sinistrorsa del
DNA, la forma Z. Dati preliminari mostrano infatti che alcune metallo-porfirine riconoscono la
forma B dalla forma Z
Caratterizzazione chimico-fisica di complessi di rame(II) con leganti correlati alle proteine
prione da mammiferi o uccelli e loro interazione con ossido di azoto
Lo studio della proteina prione (PrP) si inserisce nel contesto delle malattie provocate da modifiche
conformazionali delle proteine, e dei fattori ambientali che ne determinano l’eziopatologia. Come
45
glicoproteina si trova principalmente sulla membrana plasmatica dei neuroni e delle cellule gliali
dei mammiferi. L’isoforma conformazionale della PrPC, la proteina PrP(scrapie), è il fattore
responsabile delle encefalopatie spongiformi finora identificato. Il protein misfolding può essere
indotto da cambiamenti dell'omeostasi degli ioni metallici, dalla presenza di proteine chaperon
patologiche, da modifiche di pH e da stress ossidativi. E’ stato dimostrato che la proteina prione ha
un ruolo come trasportatore del rame all’interno della cellula (per endocitosi), e potrebbe avere
attività SOD-like, anche se questa evidenza è oggetto di grandi controversie in letteratura. La
regione N-terminale del prione umano, costituita dai residui 60-91, possiede quattro sequenze
octapeptidiche, altamente ripetitive, PHGGGWGQ. Studi spettroscopici hanno dimostrato che il
Cu(II) induce la formazione di strutture ordinate in questa regione; infatti, utilizzando peptidi
sintetici corrispondenti a tali sequenze, alcuni autori hanno dimostrato che il legarsi del Cu(II) a PrP
sia necessario a fare assumere la corretta conformazione che consente alla proteina di espletare la
sua funzione antiossidante. Allo scopo di comprendere il tipo di interazione tra metalli e le
specifiche sequenze della PrP, sono stati effettuati numerosi studi utilizzando frammenti peptidici
della proteina PrP, che possono essere considerati un modello semplificato, ma rappresentativo.
Determinare, quindi, la precisa coordinazione del rame(II) all'interno del dominio octarepeat è stato
un obiettivo primario per comprendere il ruolo della PrP come "copper protein". A tale scopo, sono
stati effettuati studi spettroscopici e spettrofotometrici dei complessi di Cu(II) con i peptidi AcHGGG-NH2 e Ac-PHGGGWGQ-NH2 , in soluzione acquosa, variando il pH da 4 a 11 per avere
una chiara conoscenza di tutte le specie che si formano in questo intervallo di pH, delle loro relative
percentuali, della loro stechiometria e delle loro caratterstiche geometriche. Successivamente, per
verificare la presenza di molecole d'acqua nella sfera di coordinazione, come riportato nella
struttura cristallografica del Cu-Ac-HGGGW-NH2 , sono stati effettuati studi di ESI-MS nei
complessi di rame a pH neutro e basico. Spettri EPR in banda X a temperatura ambiente e a bassa
temperatura hanno consentito di determinare il numero di atomi di azoto direttamente legati al rame
nel piano equatoriale. In particolare, a pH fisiologico, i complessi di rame(II) con i peptidi AcHGGG-NH2 ed Ac-PHGGGWGQ-NH2 danno luogo alla specie [Cu(L)H-2] (dove con L si indica
uno dei generici peptidi ed H-2 indica la deprotonazione di due atomi di azoto ammidici, in
conseguenza della complessazione), che presenta una geometria piramidale a base quadrata, con tre
atomi di azoto donatori nel piano equatoriale, provenienti dall’imidazolo e dai gruppi ammidici, ed
un atomo di ossigeno carbonilico. Negli spettri EPR a bassa temperatura si è ottenuto sia un basso
valore di g|| che della costante di accoppiamento iperfine. Il basso valore della costante di
accoppiamento parallela implica una forte interazione apicale e, quindi, la presenza di un forte
legame con il rame lungo la direzione perpendicolare al piano equatoriale, mentre, la struttura
superiperfine a 7 righe, dovuta all'interazione dell'elettrone spaiato nell'orbitale dx2-y2, o dxy,
centrato sul rame, indica la presenza di tre atomi di azoto nel piano equatoriale. Questi fatti indicano
che la stereochimica del complesso si avvicina di più ad una piramide a base quadrata.
In una seconda fase, viste le elevate potenzialità dell’ossido di azoto come probe per lo studio
strutturale e redox dei centri metallici, è stata valutata il tipo di interazione con NO da parte dei
complessi Cu- Ac-HGGG-NH2, Cu- Ac-PHGGGWGQ-NH2, come precedentemente fatto con
metalloproteine. In particolare, in questo studio sono state impiegate molecole di NO-donors che
rilasciano ossido di azoto in maniera controllata. Recenti evidenze, inoltre, hanno mostrato che la
PrP influenza l’attività enzimatica della nNOS (neuronal nitric oxide synthase), l’enzima deputato
alla sintesi dell’ossido di azoto nei neuroni. E’ stato dimostrato che la PrP e la nNOS sono
colocalizzate ed entrambe sono associate a microdomini membranosi ricchi in colesterolo, insolubili
nei detergenti, detti rafts. La nNOS è alterata negli encefali di topi infettati con la proteina scrapie, e
la riduzione della sua attività è dovuta all’assenza della nNOS dalla sua consueta localizzazione di
membrana, a causa della sua dissociazione dai rafts. La nNOS solubile, infatti, è parzialmente
attiva; sembra, inoltre, che la PrP possa determinare la corretta localizzazione della nNOS o
comunque, che entrambe facciano parte dello stesso sistema funzionale, che può in qualche modo
essere responsabile dell’attivazione di altre proteine, alcune delle quali capaci di indurre i sintomi
della scrapie. Questi risultati suggeriscono quindi un ruolo della PrP nella regolazione
46
dell’efficienza catalitica della nNOS, mentre non è noto come l’attività dell’enzima neuronale, o del
suo prodotto NO, possa influenzare la stabilità delle diverse isoforme della PrP. In questo tipo di
misure, si realizzerebbe un modello mimetico della condizione in vivo in cui la presenza dei due
sistemi proteici, il prione e la nNOS, sono colocalizzati.
Sperimentalmente, in seguito all’interazione del monossido di azoto con questi complessi si osserva
una notevole riduzione del Cu(II), che lascerebbe pensare ad un processo di electron transfer
mediato dalla formazione di un legame debole tra il rame e l’NO (probabilmente nitrito, cioè la
forma ossidata), con successivo trasferimento dell’elettrone al centro metallico. Gli shifts
spettroscopici osservati sia negli spettri visibili che nei parametri magnetici, suggeriscono
un’espansione della sfera di coordinazione del rame(II) che cambia da una piramide a base quadrata
ad una geometria pseudo-ottaedrica. La formazione dell'addotto potrebbe coinvolgere la posizione
apicale libera. In presenza di ossigeno, gli spettri UV-Vis ed EPR (RT) dei due sistemi mostrano le
stesse caratteristiche del complesso originario. Comunque, non si può escludere la possibilità che lo
scambio elettronico avvenga anche a sfera esterna supponendo che la reazione non sia sotto un
controllo termodinamico, ma cinetico.
Molti sono gli studi effettuati sulle interazioni del rame con la proteina prione PrPC espressa nei
mammiferi, (topo, criceto e uomo), mentre sono pochi gli studi (e contrastanti fra di loro)
riguardanti la proteina prione delle specie volatili e la sua interazioni con lo ione rameico.
L’omologia della sequenza con la proteina espressa nei mammiferi è solamente del 30 %, (44% nel
caso del pollo), ma comunque vi sono delle forti e significative analogie. Sono ambedue proteine Nglicosilate e possiedono, nella regione N-terminale, dei “repeats” [(PHGGGWGQ)6 per i
mammiferi e (PHNPGY)8 per i volatili].
La presenza del prione, ma la mancanza di malattie neurodegenerative nei volatili ha indotto a
studiare gli esarepeats della parte N-terminale, in modo da verificare se essi siano in grado di
complessare il rame e di paragonare i dati ottenuti con quelli dell’octarepeat dei mammiferi per
avere informazioni sul ruolo fisiologico della proteina prione.
Sono stati sintetizzati gli esapeptidi Ac-NPGYPH-NH2 (ESA), Ac-PHNPGY-NH2 (ESAPY), AcHNPGYP-NH2 (ESAHP), ed il dodecapeptide Ac-(PHNPGY)2-NH2 (DodecaPY)per studiare in
maggiore dettaglio come le differenti posizioni delle due unità di prolina possano influire sulla
conformazione dei peptidi stessi e sull’intorno di coordinazione dello ione rameico. I rispettivi
complessi rameici sono stati caratterizzati mediante misure di potenziometria, spettroscopia
elettronica UV-Vis, dicroismo circolare ed EPR.
Poiché i primi dati spettroscopici hanno evidenziato che la tirosina nel caso del dodecapeptide possa
essere direttamente coinvolta nella coordinazione dello ione rameico sono stati sintetizzati i
corrispondenti frammenti sostituendo il residuo tirosinico con la fenilalanina, Ac-NPGFPH-NH2
(ESAF), Ac-PHNPGF-NH2 (ESAPF), Ac-HNPGFP-NH2 (ESAHF) ed i dodecapeptidi Ac(PHNPGF)2-NH2 (DodecaF), Ac-PHNPGFPHNPGY-NH2 (DodecaF1) e Ac-PHNPGYPHNPGFNH2 (DodecaF2). La speciazione è analoga da un punto di vista qualitativo, con piccole differenze
nelle costanti di stabilità delle specie 11-1 e 11-2, e non si hanno evidenze spettroscopiche di un
diretto coinvolgimento della tirosina nella di coordinazione al rame(II). Esiste una specie [CuL2]
non riscontrata per l’octarepeat, che possiede una costante di formazione pari al doppio della specie
[CuL] dell’octarepeat, segno che in questa specie il rame è coordinato da due anelli imidazoloici.
La speciazione dei complessi rameici coi dodecapeptidi indica notevoli differenze . Fino a pH 6 la
specie principale è quella in cui lo ione rameico è coordinato da due azoti imidazolici.
All’aumentare del pH, nel dodecaPY si hanno le specie complesse Cu2LH-1 e Cu2LH-2. Gli spettri
elettronici e CD indicano la presenza di una banda a trasferimento di carica a circa 380 nm indice
della coordinazione diretta del tirosinato con lo ione rameico. Il dodecaF forma invece solo la
specie 11-1 in cui si ha la deprotonazione di un solo azoto ammidico. Sostituendo una sola tirosina
non si osservano specie complesse binucleari.
47
Meccanismi fotochimici di farmaci
I risultati ottenuti negli ultimi anni hanno permesso di ottenere ulteriori informazioni sui
meccanismi fotochimici, fotofisici e di fotosensibilizzazione di vari farmaci, come la Rufloxacina
(RFX), il Naprossene (NAP) e il Blu di Metilene (BM), indotti sulle proteine e sull’aminoacido
isolato triptofano.
La RFX è usata come farmaco ad ampio spettro nelle terapie antibatteriche delle infezioni urinarie,
urogenitali, respiratorie ecc. Fa parte dei fluorochinoloni di terza generazione, definiti long-acting
per la loro emivita notevolmente prolungata (> 8 ore). In studi “in vitro” è stato in parte studiato il
suo meccanismo di fotodegradazione e sono stati parzialmente chiariti i meccanismi di
fotosensibilizzazione, sempre “in vitro”, nei riguardi di alcuni target biologici.
Il NAP appartiene alla classe dei farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS). I FANS sono
comunemente utilizzati nel trattamento del dolore e dell’infiammazione di numerose malattie.
Questi farmaci, comunemente usati nei trattamenti di artriti, possono indurre reazioni allergiche
cutanee. Per determinare l’origine di questi fenomeni, è stata studiata la fotosensibilizzazione di
target biologici indotta da FANS. Alcuni di questi composti sono stati ampiamente studiati in vitro
riguardo le loro proprietà di fotosensibilizzatori in presenza di substrati biologici. Diversi studi
sono stati fatti su DNA, proteine, eritrociti e componenti di membrane.
Il blu di metilene (BM) è molto utilizzato in campo biologico come colorante, la sua azione antimetaemoglobinica e di antidoto (cianuro) vengono sfruttate in medicina, così come antisettico e
disinfettante in campo veterinario. In combinazione alla luce visibile questo farmaco viene
utilizzato per la foto-inattivazione di molti virus (HIV, HBV, ecc.). In fotochimica, la sua relativa
stabilità alla luce lo rende un importante generatore di ossigeno singoletto, ET=142,1 kJ/mol con
ΦΔ= 0,60 in acqua. Infatti, questo colorante viene sfruttato in molte reazioni chimiche dove serve la
forma reattiva dell’ossigeno. Riguardo la fotosensibilizzazione, il BM si considera un buon modello
di fotosensibilizzatore di tipo II. In letteratura si citano molti esempi sulla azione fotoindotta dal
BM, in questi lavori si riporta la fotoossidazione di diversi target come membrane, proteine e DNA;
sulla base di questi studi il BM è fototossico in vitro e potenzialmente fototossico in vivo.
Il triptofano è uno degli amminoacidi più studiati in campo fotochimico, assorbe nella regione
UVC-UVB ed è uno dei tre residui aminoacidici aromatici, insieme alla tirosina e alla fenilalanina,
responsabili dell’assorbimento delle proteine nella zona ultravioletta. La sua struttura aromatica lo
rende particolarmente suscettibile a diverse modificazioni chimiche e in particolare alle
fotoossidazioni dalle quali si formano diversi prodotti. Alcuni prodotti di fotoossidazione, a loro
volta, sono in grado di agire da fotosensibilizzatori e quindi di generare delle specie nocive come
l’anione superossido, l’H2O2 (attraverso un meccanismo di tipo I) e l’1O2 (attraverso un
meccanismo di tipo II). Se queste ossidazioni avvengono sui residui peptidici di importanti proteine
come enzimi e fattori di regolazione del DNA, si rivelano citotossiche.
In effetti tutte le molecole descritte in precedenza sono responsabili di manifestazioni fototossiche,
fotoallergiche in vivo e in vitro. In particolare, essi hanno proprietà fotosensibilizzanti verso vari
elementi biologici, quali acidi nucleici, membrane, proteine e aminoacidi. E’ importante rilevare
che alcuni di questi farmaci sono responsabili anche di reazioni cutanee pericolose, mentre altri
possono essere considerati agenti di fotomutagenesi e fotocarcinogenesi. Le proprietà
fotosensibilizzanti vengono attribuite alla formazione dei ROS o specie reattive dell’ossigeno, come
radicale idrossilico, anione superossido, perossido d’idrogeno e ossigeno singoletto, responsabili di
modificazioni di macromolecole cellulari [1-5]. Questo tipo di modificazioni rappresentano una
delle classi maggiori di danno cellulare, con implicazione nei processi di varie malattie e
d’invecchiamento.
La fotodegradazione di queste molecole può essere riassunta in due processi principali:
a)fotoionizzazione dallo stato di singoletto eccitato del farmaco
b)generazione di ossigeno singoletto dallo stato tripletto eccitato.
La scelta del Cu(II) a basse concentrazioni come agente di scavenging è suggerita dalla ricerca di un
efficente device fotoprotettivo nei sistemi farmaco-biomodelli. Si è visto, infatti, che il rame riesce
a modulare le vie fotochimiche coinvolte nella fotodegradazione di farmaci e la
48
fotosensibilizzazione su una base del DNA con la capacità di limitare la fotodegradazione e la
formazione dei prodotti diagnostici per le reazioni di tipo II (via ossigeno singoletto).
In questo contesto la scelta di ioni rameici, come agenti di scavenging, è ragionevole. L’uso di ioni
metallici a basse concentrazioni può rappresentare un valido strumento per inibire gli effetti tossici
fotoindotti dal farmaco e lo ione Cu2+ esercita, appunto, una buona azione fotoprotettiva attraverso:
a) la riduzione della fotodegradazione dovuta all’azione di scavenging degli elettroni solvatati
formatisi per fotoionizzazione del farmaco].
b) la diminuzione della fotoossidazione dei residui aminoacidici, quale l’aminoacido triptofano,
attraverso un quenching del tripletto eccitato del farmaco via electron transfer .
Si è proceduto recentemente ad estendere gli studi sulla fotosensibilizzazione su biomodelli a
struttura proteica (enzimi di lievito), il che è risultato un buon approccio iniziale per studiare il
danno ossidativo e danno strutturale nelle proteine: è stato mostrato che il farmaco è capace di
indurre fotoossidazione sulle proteine. Inoltre è stato provato come il danno ossidativo o strutturale
sull’enzima possa essere indice di disfunzione metabolica cellulare.
Gli effetti del rame (II) sulla fotosensibilizzazione dell’ADH isolato di lievito indotta da RFX sono
differenti per ciò che riguarda l’attività enzimatica in vitro ed in vivo.
Esperienze di fotosensibilizzazione su lievito hanno mostrato effetti contraddittori di questi ioni
sulla sopravvivenza cellulare. Questi risultati sono il frutto di un bilancio fra il meccanismo di
trasferimento elettronico dalla RFX al rame(II) e la qualità, la quantità e la posizione del rame
combinato al target oltre alle reazioni che il rame potrebbe innescare con le specie reattive prodotte
dall’irradiazione della RFX. I risultati complessivi forniscono un modello estensivo in cui è
dimostrato come un oligoelemento bio-compatibile possa influenzare efficacemente non solo la
biodisponibilità di un farmaco ma anche il suo meccanismo molecolare di fotodegradazione e di
fotosensibilizzazione.
Progettazione di sistemi molecolari, film nanostrutturati e nanoparticelle a base metallica in
grado di sviluppare ossido di azoto (NO)
L’attività scientifica svolta nell’anno 2008 relativa a tematiche inerenti gli obiettivi del consorzio è
stata incentrata sulla progettazione e realizzazione di sistemi molecolari, film nanostrutturati e
nanoparticelle a base metallica in grado di sviluppare ossido di azoto (NO) sotto l’esclusivo
controllo di stimoli di luce, dalle potenziali applicazioni nel campo delle terapie non invasive di tipo
mono e multimodale. Tali obiettivi trovano le loro radici sui recenti studi riguardanti le proprietà
dell’NO che hanno evidenziato il suo ruolo fondamentale oltre che nella bioregolazione di
importanti funzioni come la neurotrasmissione, la vasodilatazione e secrezione ormonale, anche
nell’inibire processi di tipo tumorale e ossidativi. In questo contesto le sostanze che rilasciano NO
sotto stimoli luminosi sono, ovviamente, molto più interessanti di quelli basati sulla spontanea
termolisi, data la possibilità di poter controllare il dosaggio di NO con estrema accuratezza
mediante le condizioni di illuminazione. Il primo sistema realizzato è rappresentato da un coniugato
molecolare multifunzionale idrosolubile in grado di rilasciare NO in prossimità del DNA, il
principale target riguardo l’attività antitumorale di questo radicale libero. Il coniugato in oggetto è
costituito da un fotodonatore di NO, recentemente brevettato dal gruppo di ricerca , legato
covalentemente ad un’unità antracenica, un tipico intercalante del DNA. Il sistema è stato progettato
in modo da potersi legare efficacemente al DNA, grazie alla presenza del cromoforo antracenico, e
di sviluppare NO in prossimità del biopolimero stesso. Inoltre, tale sistema offre il vantaggio di
permettere una notevole amplificazione della quantità di NO fotorilasciato grazie ad un efficiente
trasferimento di energia tra il gruppo antracenico e il fotodonatore di NO .
Un secondo sistema realizzato è quello rappresentato da film multistrato nanostrutturati per il
rilascio fotocontrollato di NO dalle potenziali applicazioni per via topica. A tale riguardo l’NO
fotodonatore è stato funzionalizzato opportunamente in modo da conferirgli caratteristiche
anfifiliche. Il derivato ottenuto si è rivelato particolarmente adatto alla preparazione di multistrati
fotoattivi mediante la tecnica di deposizione Langmuir-Shaefer. Sono stati pertanto ottenuti film
sottili su substrati di quarzo in grado di generare NO sotto eccitazione di luce visibile che
49
presentano i seguenti importanti vantaggi in vista di applicazioni di tipo biomedico: i) grande
capacità di cattura della luce grazie all’elevato numero di cromofori presenti, ii) possibilità di
modulare la riserva di NO mediante l’accurato controllo del numero di strati, iii) soppressione dei
rilevanti effetti di quenching tipicamente osservato nel caso di superfici metalliche, iv) possibilità di
irradiare il sistema dal basso grazie al substrato di quarzo permettendone una più facile integrazione
con fibre ottiche. Il lavoro iniziato lo scorso anno e riguardante la preparazione di nanoparticelle di
platino idrosolubili fotoemettenti NO è stato opportunamente completato mediante dei test biologici
effettuati su cellule tumorali di tipo HeLa. E’ stato dimostrato che le nanoparticelle fotoattive
esibiscono una eccellente biocompatibilità anche a concentrazioni molto elevate. In seguito ad
irradiamento con luce visibile, tali nanoparticelle sono in grado indurre un considerevole livello di
mortalità cellulare strettamente correlato alla loro concentrazione e al tempo di illuminazione.
Questi risultati si rivelano particolarmente promettenti in vista di applicazioni in vivo del sistema
ibrido realizzato. Al fine di permettere una loro facile localizzazione in un ambiente biologico, le
nanoparticelle di platino fotoattive sono state rese fluorescenti mediante l’opportuna introduzione di
unità porfiriniche. E’ stato dimostrato come le nanoparticelle bicromoforiche ottenute preservano
una buona solubilità in mezzo acquoso, continuano a rilasciare NO con buone rese quantiche in
seguito ad illuminazione ed esibiscono proprietà fluorescenti visibili ad occhio nudo .
L’attenzione è stata infine focalizzata sulla progettazione e sintesi di nanoparticelle a base metallica
mirate ad applicazioni nel campo delle cosiddette terapie bimodali. In tale contesto, nanoparticelle
di oro o magnetite sono state decorate con l’NO-fotodonatore in modo da accoppiare agli effetti
fotochimici derivanti dal rilascio di NO dalla superfice nanoparticellare, gli effetti foto-termici e
magneto-termici derivanti dal cuore della particella. Per la realizzazione delle nanoparticelle dagli
effetti foto-termici, si è sfruttata una elegante strategia che l’UR di Catania ha recentemente messo a
punto e che ha permette di fabbricare nanoparticelle di oro idrosolubili funzionalizzate con
opportune unità fotoattivabili, mediante un approccio supramolecolare basato sull’impiego di
ciclodestrine non funzionalizzate . Questi macrocicli, oltre che ad impartire all’intero sistema una
buona solubilità in acqua, hanno l’importante funzione di aumentare sensibilmente la sua
biocompatibilità .
Per quanto riguarda lo sviluppo di nanoparticelle con effetti foto-magnetotermici, l’NOfotodonatore è stato opportunamente funzionalizzato con unità di tipo dopaminico terminali in
modo sia da permettere l’efficace ancoraggio su nanoparticelle di magnetite che di aumentare la
loro biocompatibilità .
50
UNITA’ DI RICERCA DI FERRARA
Direttore Scientifico: Prof.ssa Paola Bergamini
L’attività 2009 dell’Unità di Ferrara ha riguardato tre tematiche:
1) Progettazione e sintesi di nuovi leganti idrosolubili derivati dal PTA (1,3,5-triaza-7fosfaadamantano) e studio della loro chimica di coordinazione a Pt, Ru, Au.
2) I metalli in matrici complesse: studio di equilibri di complesso-formazione in soluzione
(responsabile: M. Remelli)
3) Fotocatalisi biomimetica con Ferro-porfirine immobilizzate su matrici solide
(responsabile: A. Maldotti)
1) PROGETTAZIONE E SINTESI DI NUOVI LEGANTI IDROSOLUBILI DERIVATI DAL
PTA (1,3,5-TRIAZA-7-FOSFAADAMANTANO) E STUDIO DELLA LORO CHIMICA DI
COORDINAZIONE A Pt, Ru, Au.
Uno dei limiti più importanti all’affermazione di nuovi farmaci metal-based è la loro scarsa
compatibilità con gli ambienti acquosi quali sono tutti gli organismi viventi. Il lavoro di ricerca sul
design e messa a punto di leganti idro-compatibili è quindi oltremodo vivace. In particolare grande
interesse sta suscitando la fosfine idrosolubile PTA (1,3,5-triaza-7-fosfaadamantano), per le sue
proprietà chimico-fisiche
N
N
N
P
PTA (1,3,5-triaza-7-fosfaadamantano)
E’ stata dimostrata la biocompatibilità del PTA ma, benchè alcuni complessi di Ru, Cu, Au e Pt si
trovino oggi in vari stadi di sperimentazione come antitumorali, molte aspettative sono state deluse
dall’osservazione che la grande idrosolubilità del PTA viene, con poche eccezioni, persa in seguito
a coordinazione.
Questo ha spinto la ricerca nella direzione di progettare derivati del PTA che da un lato ne
mantengano le proprietà favorevoli e dall’altro producano complessi solubili in acqua e
chiaramente caratterizzabili.
Con questo obiettivo abbiamo preparato una serie di derivati difosfinici del tipo
2XN
N
N
organic spacer
N
N
N
P
P
dove lo spaziatore organico è una catena alchilica di varia lunghezza o anche contenente un anello
aromatico, con l’idea che la ionizzazione degli azoti aumentasse la solubilità in acqua. Ancora una
volta, questo aumento si verifica nei leganti, ma non è poi conservato nei complessi.
Attualmente stiamo perfezionando la sintesi e la caratterizzazione di bis-PTA contenenti eteroatomi
nello spacer, col duplice obiettivo di aumentare la solubilità in acqua e di introdurre un terzo atomo,
oltre ai due fosfori fosfinici, che possa partecipare alla coordinazione.
51
2IN
N
N
N
X
N
N
P
P
X = O, S, NH.
Abbiamo inoltre preparato il derivato δ solfonato zwitterionico PTA+(CH2)3SO3-, che è il primo
esempio di legante che unisce le caratteristiche del PTA a quelle delle fosfine solfonate.
N
N
SO3-
N
P
La chimica di coordinazione di questi nuovi derivati del PTA con metalli di interesse farmaceutico
(Pt, Ru, Au) è in corso di studio.
2) I METALLI IN MATRICI COMPLESSE: STUDIO DI EQUILIBRI DI COMPLESSOFORMAZIONE IN SOLUZIONE
Interazione tra ioni metallici e proteina prionica
La proteina prionica umana (hPrPC) è in grado di legare fino a sei ioni Cu2+: quattro di loro trovano
posto nel dominio denominato octarepeat, una porzione della proteina (60-91), appartenente alla
regione N-terminale, che contiene quattro successive ripetizioni della sequenza PHGGGWGQ. È
ampiamente accettato che ulteriori siti di legame si trovino in corrispondenza dei residui His-96 e
His-111. Tuttavia, la letteratura più recente non è d'accordo sul ruolo e sul comportamento di tali
siti nella complessazione di Cu2+ da parte di hPrPC. Al fine di far luce su questo argomento, sono
stati sintetizzati alcuni analoghi peptidici del frammento hPrP92-113: (H96A)hPrP92-113,
(H111A)hPrP92-113,
(H96Nτ-Me-His)hPrP92-113,
(H111Nτ-Me-His)hPrP92-113,
(H96Nτ-MeHis)hPrP92-100, (H111Nt-Me-His)hPrP106-113, in cui un’alanina o un’istidina metilata all’atomo di
azoto τ del suo anello imidazolico sono state sostituite a His-96 o His-111 [ Remelli et al., New J. Chem.,
(2009)]. I primi due leganti hanno permesso di confermare che il sito di legame localizzato
nell’intorno di His-111 è più forte di quello in His-96: essi agiscono come siti indipendenti anche a
basse concentrazioni di Cu2+. A pH neutro non è stata rilevata la formazione né di complessi multiistidinici né di bis- complessi. La metilazione di Nτ ha dimostrato che azoti in τ di residui
imidazolici possono partecipare alla formazione dei complessi solo a pH acido, dove lo spostamento
di protoni ammidici da parte di Cu2+ è sfavorito. Infine, la lunghezza del frammento non sembra
avere alcuna influenza significativa sul comportamento dei
due siti di legame His-96 e His-111, dal punto di vista della
geometria di coordinazione e della forza di legame.
Un secondo progetto ha riguardato l’impiego combinato
metodi potenziometrico, calorimetrico e spettroscopici per
studiare il comportamento di alcuni frammenti peptidici
derivati dalla regione neurotossica della proteina prionica
degli uccelli (chPrP), sempre nei confronti dello ione CuII
[Gralka et al., Mol. Biosys., (2009)]. I sistemi studiati sono stati i
Regione aromatica degli spettri 1HNMR di
seguenti: chPrP106-114, chPrP119-126, chPrP108-127, chPrP105-127
hPrP92-113 (traccia superiore) e (H96Nτ-Mee chPrP105-133. La formazione di complessi inizia intorno a
His)hPrP92-113 (traccia inferiore); 2.5 mM,
pH 4 con l’ancoraggio di un azoto imidazolico, seguito poi
pH 6.5, T = 298 K.
dalla deprotonazione di azoti ammidici dello scheletro
peptidico. La geometria di coordinazione preferita a pH neutro è {Nim, 3N-}. Il confronto dei dati
52
termodinamici per i due dominî corrispondenti ai residui His-110 e His-124 indica chiaramente che
il primo ha una capacità di coordinazione maggiore, sebbene
entrambi complessino Cu2+ allo stesso modo. Questo
risultato è l’opposto di quanto precedentemente trovato per
la proteina prionica umana.
La sintesi dei peptidi è stata eseguita presso il Dipartimento
di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara, gli
studi potenziometrici, calorimetrici e spettrofotometrici sono
stati eseguiti presso i nostri laboratori, mentre le analisi
spettroscopiche mediante tecniche EPR e CD sono state
compiute presso il laboratorio di Chimica Bioinorganica e
Biomedica della Facoltà di Chimica dell’Università
Wroclaw (Polonia) e le misure NMR ed ESI-MS presso il
Dipartimento di Chimica dell’Università di Siena.
Ipotesi di struttura per il complesso di Cu2+
con chPrP106–114 a pH = 6.5.
Rappresentazione schematica della deprotonazione di una molecola d’acqua assiale
nel complesso {Ln[Cu5L5H-5](OH2)3+ (Arancio = Cu2+; Magenta = Eu3+ o Gd3+)
Metallacrown
I complessi macrociclici denominati metallacrown hanno una struttura analoga a quella di
corrispondenti eteri corona in cui gli atomi di carbonio dello scheletro vengano sostituiti con unità
di coordinazione metallo-eteroatomo. Così, ad esempio, l’analogo del 15-crown-5 (15-C-5) è il 15metallacrown-5 (15-MC-5); la sua cavità, in cui sono presenti 5 atomi di ossigeno, è in grado di
incapsulare uno ione metallico di dimensioni opportune, quali ad es. Ca2+, Eu3+, Gd3+, ecc…
Nell’ultimo decennio, sono stati sintetizzati numerosi metallacrown di CuII, utilizzando come legan
ti gli acidi ammino-idrossammici, che possono agire da bis-chelanti a ponte (O,O-)-(NH2,N-).
In collaborazione con l’Università di Parma è stato compiuto lo studio in soluzione acquosa degli
equilibri di formazione dei complessi 15-MC-5 tra Eu3+ o Gd3+, Cu2+ e acido alaninaidrossammico
[Tegoni et al., Inorg. Chem., in stampa]. È stata anche verificata e studiata in dettaglio la formazione di un
idrosso-15-MC-5, (Ln [Cu5L5H-5](OH))2+, analogo ad altre specie già descritte in precedenza allo
stato solido. I modelli di speciazione sono stati affiancati da misure ESI-MS, tentando una
correlazione quantitativa tra i dati di spettrometria di massa e la speciazione in soluzione. I dati
termodinamici disponibili hanno anche permesso una re-interpretazione quantitativa dei risultati di
indagini precedenti sull'integrità del 15-MC-5 in presenza di leganti concorrenti (come EDTA,
DOTA, transferrina o albumina), ioni metallici (Zn2+) o anioni che formano sali poco solubili, quali
carbonato o fosfato.
53
Potenziali farmaci chelanti del ferro da impiegare per una terapia orale
La progettazione e sintesi di nuovi chelanti per il trattamento clinico di malattie che coinvolgono gli
ioni di metalli trivalenti, quali FeIII
e AlIII, è oggetto di ricerca del
nostro gruppo da alcuni anni, in
collaborazione con l’Università di
Cagliari. Nel corso del 2009 sono
stati studiati gli equilibri di acido
cogico e del suo derivato 6-[5idrossi-2-idrossimetil-piran-4one]-5-idrossi-2-idrossimetilpiran-4-one con questi due ioni metallici [Nurchi et al., J. Inorg. Biochem., accettato]. Le tecniche
strumentali utilizzate sono state potenziometria e spettrofotometria per il ferro, potenziometria e 1HNMR per l'alluminio, supportate da diffrazione ai raggi X, ESI-MS, calorimetria e calcoli
quantomeccanici. L’acido cogico forma in soluzione complessi di stechiometria MeL, MeL2 e
MeL3, con entrambi gli ioni metallici; la struttura del complesso FeL3 è stata confermata per
diffrazione ai raggi X.
Per quanto riguarda invece il 6-[5-idrossi-2-idrossimetil-piran-4-one]-5-idrossi-2 -idrossimetilpiran-4-one, è stata verificata la formazione di specie del tipo Me2L2 e MeL2, variamente protonate.
L’alto valore di pFe (23.1) per questo legante incoraggia a proseguire la ricerca di nuovi derivati
dell'acido cogico come leganti di Fe3+ e Al3+.
Struttura cristallografica
del complesso [FeL3] dell’acido cogico.
3) FOTOCATALISI BIOMIMETICA CON FERRO-PORFIRINE IMMOBILIZZATE SU
MATRICI SOLIDE
Nel corso dell’anno 2009, l’attività di ricerca del nostro gruppo nell’ambito della fotocatalisi
biomimetica si è concentrata sul sistema fotocatalitico costituito dal complesso Fe(III)-mesotetrakis (2,6 diclorofenil) porfirina (FeTDCPP) supportato su un materiale mesoporoso del tipo
MCM-41, dato che esso aveva dato risultati molto interessanti nella fotoossidazione dell’1,4
pentandiolo. Uno degli obiettivi principali è comprendere meglio l’effetto della matrice solida
mesoporosa sulla efficienza e sulla selettività di questo processo.
Indagine spettroscopica uv-visibile in riflettanza diffusa ha permesso di verificare che il complesso
porfirinico supportato sul materiale mesoporoso manteneva la sua struttura, in quanto il nuovo
materiale presentava una banda di assorbimento nella tipica zona dei complessi ferro-porfirinici.
Le proprietà fotocatalitiche di MCM41-FeTDCPP sono state confrontate anche con altri sistemi
eterogenei: SiO2-FeTDCPP in cui la ferro porfirina era ancorata su silice amorfa e Mont-FeP in cui
la ferro porfirina era immobilizzata su montmorillonite. I risultati riportati in tabella sono relativi a
irradiazioni di 120 minuti (λ> 350 nm) in acetonitrile contenente 1,4 pentandiolo 3% v/v.
54
O
OH
OH
Sistema fotocatalitico
M x 104 (resa %)
M x 104 (resa CHO
%)
MCM41-FeTDCPP
5.2 (37)
8.7 (63)
SiO2-FeTDCPP
2.3 (67)
1.1 (33)
Mont-FeTDCPP
5.5 (70)
2.5 (30)
Dalla tabella si osserva che i sistemi SiO2-FeTDCPP e Mont-FeTDCPP hanno una selettività molto
diversa dal sistema mesoporoso e allo stesso tempo molto simile a quanto si ottiene irradiando la
ferro porfirina in fase omogenea. Ciò porta a concludere che la eterogeneizzazione della ferro
porfirina non è sufficiente di per sé per controllare la selettività nell’ossidazione dell’1,4
pentandiolo attraverso la ossidazione preferenziale della funzionalità alcolica primaria. Pensiamo
che debba essere la struttura tridimensionale del materiale ad avere un effetto nell’orientare la
molecola di substrato e non semplicemente un fenomeno di adsorbimento preferenziale. Indagini di
area superficiale sono in corso al momento sui materiali.
Inoltre per investigare in modo più approfondito il processo fotochimico primario è in fase di
svolgimento un’indagine epr-spin trapping sul materiale MCM41-FeTDCPP. L’obiettivo è di poter
discriminare tra i radicali che si formano nell’ossidazione dell’OH primario e secondario e se
possibile valutarne le velocità di formazione.
Al termine delle indagini in corso riteniamo che ci sia materiale sufficiente per elaborare la stesura
di un articolo.
55
56
UNITA’ DI RICERCA DI FIRENZE
Direttore Scientifico: Prof. Luigi Messori
L’attività scientifica dell’Unità di Ricerca di Firenze del CIRCMSB, nel corso dell’anno 2009,
condotta principalmente presso il Laboratorio Metalli in Medicina (lab METMED, Dip. Chimica,
Università di Firenze), si è focalizzata sulle seguenti tematiche:
•
•
•
Metallofarmaci Antitumorali
Metalli e Processi Neurodegenerativi
Composti Metallici per il trattamento della Malaria.
I maggiori risultati conseguiti nei vari ambiti di ricerca, nel corso del 2009, e le relative
pubblicazioni scientifiche sono, di seguito, analiticamente descritti.
- Metallofarmaci antitumorali
Le attività svolte all’interno di tale tematica, a loro volta, possono essere così suddivise:
1. Sviluppo di Composti dell’ Oro come Agenti Citotossici ed Antitumorali.
2. Composti di Platino e Proteine.
3. Interazioni di Antitumorali Metallici con Proteine.
1. Sviluppo di Composti dell’ Oro come Agenti Citotossici ed Antitumorali
Presso il Laboratorio METMED è attiva, da oltre 10 anni, una linea di ricerca diretta a
valutare le proprietà chimiche e biologiche di numerosi composti dell’oro come possibili agenti
antitumorali. I complessi di oro(III), isolettronici ed isostrutturali con i complessi di platino(II),
sono infatti interessanti candidati come possibili agenti antiproliferative ed antitumorali. Parimenti,
anche alcuni composti di oro(I) mostrano significative proprietà citotossiche, come già ampiamente
documentato.
In anni recenti, abbiamo dimostrato che certi complessi di oro(III), opportunamente sostituiti,
mostrano una accettabile stabilità in ambiente fisiologico e sono, al contempo, dotati di significative
proprietà antitumorali in vitro. I risultati più significativi di questa linea di ricerca, da noi ottenuti
nel corso dell’anno 2009, sono riportati di seguito.
- Estesa valutazione delle proprietà antiproliferative dei composti dell’oro in collaborazione
con ONCOTEST
In collaborazione con l’azienda Oncotest (Freiburg, Germania) abbiamo condotto una estesa
valutazione delle proprietà antiproliferative di 13 selezionati composti dell’oro, appartenenti alla
nostra collezione. In particolare, sono stati valutati, in maniera comparativa, gli effetti
antiproliferativi su 36 linee cellulari tumorali del panel interno Oncotest. E’ stata così definita la
potenza citotossica e la selettività dei vari composti metallici. Inoltre, sulla base di una analisi tipo
COMPARE dei profili di citotossicità acquisiti sono state formulate nuove ipotesi riguardo ai
possibili meccanismi di azione dei composti dell’oro. Sono emersi alcuni ben definiti target
biomolecolari quali HDAC e varie chinasi. Tali ipotesi saranno sottoposte ad accurata validazione
nel corso dei prossimi mesi.
57
Il panel dei composti di oro testati
- La Tioredossina Reduttasi come possibile target per i composti citotossici a base di oro.
In collaborazione con un ben noto gruppo di ricerca di Padova (Dr. Bindoli e Dr. Rigobello)
abbiamo approfondito lo studio dell’enzima tioredossina reduttasi come possibile target per i
composti citotossici a base di oro. Questi studi ci hanno condotto alla scrittura di un ampio lavoro di
review sull’argomento. Tale articolo contiene anche alcuni nuovi dati sperimentali ottenuti in
collaborazione con il gruppo padovano. Sulla base di numerose evidenze sperimentali, si ipotizza
che l’inibizione dell' enzima Tioredossina reduttasi sia l’evento decisivo nel determinare stress
ossidativo, severe alterazioni mitocondriali ed in ultima analisi indurre morte cellulare di tipo
apoptotico.
2. Composti di Platino e Proteine.
E’ stato condotto uno studio in collaborazione con il gruppo di ricerca delle prof.
Ranninger/Quiroga dell’UAM di Madrid. Questo studio si è focalizzato sull’analisi di nuovi
composti del platino con proprietà antiproliferative e sull’analisi delle loro interazioni con la
proteina modello citocromo c. Grazie a metodiche di tipo NMR ed ESI MS gli addotti che si
formano nella reazione fra i composti di platino e la proteina sono stati caratterizzati in dettaglio;
questo ha permesso di definire in maggiore dettaglio la reattività di metallofarmaci a base di platino
con target proteici.
58
3. Interazioni di antitumorali metallici con proteine.
Abbiamo messo a punto delle specifiche metodologie di indagine per valutare le interazioni di
complessi di platino(II), oro(III) e rutenio(III) con alcune proteine modello. Avvalendoci della
spettometria di massa come metodo principale di indagine abbiamo messo a punto un sistema
sufficientemente raffinato per studiare il binding simultaneo di metallofarmaci a tre proteine
modello.
Uno spettro ESI MS rappresentativo di un addotto metallofarmaco- proteina.
Metalli e processi neurodegenerativi.
Nel corso del 2009, abbiamo potuto sviluppare ulteriormente gli sforzi della nostra ricerca in
questo settore. In particolare, abbiamo cercato di mettere a punto nuove metodologie di indagine
come pure di organizzare i risultati e le conoscenze ottenuti in specifiche proposte interpretative.
Risulta particolarmente significativo uno studio da noi condotto in collaborazione con il
gruppo della prof. Casamenti, Dip di Farmacologia, Università di Firenze. Mediante l’utilizzo di
svariate metodologie di indagine si è proceduto a valutare gli effetti del cliochinolo su un modello
murino di AD. I dati incoraggianti ottenuti in vivo dimostrano un effettivo miglioramento del
quadro cognitivo in seguito al trattamento con questo farmaco. A tali risultati abbiamo potuto
associare delle precise ipotesi meccanicistiche.
D’altro canto, è stato fornito un quadro esteso ed aggiornato sulle potenzialità e le prospettive della
terapia di chelazione nel trattamento delle malattie neurodegenerative. Tali studi sono il risultato di
una proficua e pluriennale collaborazione con il gruppo del prof. Zatta, CNR, Padova.
Altri studi sono condotti in collaborazione con il gruppo dell'Università di Wroclaw sulle
interazioni dello ione rame con oligopeptidi sintetici.
Composti metallici per il trattamento della Malaria.
In collaborazione con il gruppo di ricerca dei prof. Vincieri e Bilia, dell’Università di Firenze
e con alcuni ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità abbiamo completato una serie di
esperimenti finalizzati a stabilire se alcuni metallofarmaci, inizialmente sviluppati per altri fini
terapeutici, potessero dimostrare rilevanti azioni antimalariche. Gli studi erano motivati
dall’osservazione che alcuni complessi metallici, ed in particolare alcuni composti dell’oro, sono
capaci di inibire fortemente la tioredossina reduttasi e di indurre una condizione di severo stress
ossidativo intracellulare. Siccome è noto che il plasmodio della malaria è un organismo
particolarmente sensibile allo stress ossidativo si è pensato che tali composti metallici potessero
funzionare da efficaci farmaci antimalarici. Gli studi sono stati condotti in vitro secondo procedure
ben collaudate. I primi risultati che abbiamo già potuto pubblicare confermano, in maniera
esemplare, la sostanziale correttezza della nostra ipotesi di lavoro. E’ stato anche effettuato uno
studio su sostanze naturali potenzialmente antimalariche.
59
60
UNITA’ DI RICERCA DELL’INSUBRIA
Direttore Scientifico: Prof. Giovanni Palmisano
La ricerca dell’U.R. Insubria (Palmisano, Sisti, Tollari) si è focalizzata sulla sintesi e la
caratterizzazione di complessi derivanti 1) da leganti DOTA-like e 2) da leganti multimerici. Data
la migliore risoluzione spaziale e la sensibilità associata con alti campi, la tendenza attuale per
ovviare ai problemi di sensibilità insiti nella tecnica MRI è quella di utilizzare strumenti che
lavorano a campi compresi tra 1.5 e 3 T. Inoltre, per studi sperimentali su animali, vengono spesso
utilizzati campi ancora più elevati (fino a 9.4 T). Un parametro chiave da utilizzare è il τR della
sonda , che deve assumere un valore preciso dipendente dallo scanner MRI. Attualmente, si ritiene
che gli agenti di contrasto (CA) di peso molecolare intermedio (2-6 kDa) forniscono i risultati
migliori sugli strumenti ad alto campo che stanno rimpiazzando gli scanners di prima generazione.
A tal fine, occorre realizzare sistemi multimerici basati su complessi di Gd(III) multipli (ca. 2-16)
legati ad uno scaffold centrale. Questi dovrebbero presentare valori di τR dell’ordine di ca. 2001000 ps al fine di ottenere la massima efficacia ad elevate frequenze (40-100 MHz).
Nell’ambito dei leganti DOTA-like sono stati sintetizzati leganti macrociclici contenenti un nucleo
piridinico, tre atomi di azoto amminici e tre unità acetiche. In questo modo si ottiene un legante
eptadentato [ con un complesso di Gd(III) in grado di coordinare due molecole di acqua]. Inoltre il
nucleo della piridina conferisce al complesso una notevole rigidità, proprietà spesso associata alla
stabilità termodinamica.
La strategia di sintesi prevede di utilizzare come prodotto di partenza l’acido chelidamico 1
facilmente accessibile da acetone e ossalato di etile, che viene trasformato nell’intermedio
macrociclico 2.
O
O
O
H3C
CH3
+
-
+
COOEt
1) EtO Na
COOEt
2) HCl
NH 3
HOOC
O
N
N
H
COOH
N
Ts
Br
NH
Ts
N
N
HOOC
COOH
EtOOC
N
COOEt
Ts
HN
Ts
1) PBr5
2) EtOH
1
Br
N
Br
Br
Ts
NaBH4
PBr3
K2 CO 3
N
Br
N
Br
OH
OH
Ts
2
La tris(tosilammide) 2 è stata quindi convertita in ottime rese nei leganti
reazione di Suzuki e successive trasformazioni.
61
L1 e L2
mediante
Ts
N
B(OH)2
N
H
N
Ts
PhOH
N
1) ClCH2COOH/KOH
N
CH3COOH/HBr(33%)
N
N
H
HOOC
N
2) H+
H
Ts
. nHBr
COOH
N
N
N
N
COOH
L1
PdCl2(PPh3)2
Cs2CO3
Br
N
Ts
N
N
Ts
N
PdCl2(PPh3)2
Ts
Cs2CO3
2
B(OH)2
Ts
H
N
N
Ts
N
N
PhOH
N
1) ClCH2COOH/KOH
N
CH3COOH/HBr(33%)
N
H
HOOC
N
2) H +
N
N
H
Ts
. nHBr
N
COOH
N
COOH
L2
Il legante multimerico L3 è stato sintetizzato mediante una reazione di omo-accoppiamento di
Negishi dell’intermedio macrociclico 2, successivo sblocco delle tosilammidi ed alchilazione degli
atomi di azoto amminici.
H
Ts
N
N
Ts
N
N
H
Ts
N
N
H
N
N
Br
CH3COOH/HBr(33%)
NiCl2 . 6 H2O / PPh3
N
Ts
. nHBr
PhOH
Zn
N
N
Ts
N
N
N
Ts
Ts
N
N
H
Ts
N
N
H
N
N
H
Ts
COOH
COOtBu
N
HOOC
N
N
N
tBuOOC
COOH
N
N
N
COOtBu
N
BrCH2COOtBu
CF3COOH
NEt3
N
HOOC
N
N
N
COOH
tBuOOC
N
N
HOOC
N
COOtBu
N
tBuOOC
L3
In collaborazione con l’U.R. Piemonte Orientale (Botta) sono state valutate le caratteristiche
rilassometriche dei complessi di Gd(III) dei leganti L1 , L2 ed L3 . La complessazione è stata
effettuata per aggiunta di GdCl3 alla soluzione acquosa dei leganti, mantenendo il pH neutro
mediante aggiunte di NaOH 1M.
I valori di relassività dei complessi Gd- L1 e Gd- L3 sono rispettivamente di 9.2 mM-1s-1 e 12.3
mM-1s-1 a 20MHz e 25 °C. La determinazione della relassività del complesso Gd- L2 è tuttora in
corso di studio.
62
La presenza di un residuo naftalenico nel complesso Gd- L1 risulta importante per una valutazione
dell’interazione reversibile del complesso stesso con l’albumina da siero umano(HSA). In effetti, in
presenza di HSA, la relassività dell’addotto Gd- L1/HSA raggiunge il valore 53 ± 3 mM-1 s-1. Questo
ottimo risultato permette di valutare il complesso Gd- L1 come un nuovo potenziale CA nel campo
dell’MRI angiografico.
63
64
UNITA’ DI RICERCA DI MESSINA
Direttore Scientifico: Prof. Luigi Monsù Scolaro
Composizione e settore di indagine
L’unità di ricerca di Messina è costituita da cinque diversi gruppi di ricerca, ciascuno dei quali con
specifiche competenze in settori di interesse del Consorzio.
Obiettivi e Metodi
Gruppo di Ricerca del Prof. Luigi Monsù Scolaro.
Questo gruppo di ricerca si occupa ormai da lungo tempo di fenomeni di auto-aggregazione e di
organizzazione supramolecolare a carico di molecole planari (porfirine e relativi metallo-derivati,
ed alcuni complessi planari di platino(II) con leganti aromatici) su biomolecole o su sistemi
polimerici di rilevanza biologica. Il gruppo vanta anche una consolidata esperienza nel campo degli
studi meccanicistici su complessi di platino(II).
Nell’ambito dell’organizzazione di sistemi supramolecolari, è stata sviluppata una metodologia per
preparare un addotto non-covalente tra crisotilo e porfirine tetraanioniche solubili in acqua (tetrakis(4-solfonatofenil)porfirina, TPPS4). Su questo tipo di materiale inorganico, in funzione del pH della
soluzione le porfirine sono in grado di auto-organizzarsi per formare aggregati di tipo J (geometria
edge-to-edge) ed di tipo H (geometria face-to-face). Studi preliminari hanno mostrato che la matrice
inorganica si presta come ottimo supporto per l’immobilizzazione di acidi nucleici, la cui
visualizzazione può essere effettuata mediante fluorofori opportunamente selezionati.
Aggregati J della stessa porfirina sono stati ottenuti ed ampiamente studiati in una serie di alcoli. E’
stato dimostrato come soluzioni acquose di metanolo forniscano un ambiente simile a quello
generato da tensioattivi, conducendo ad una varietà di comportamenti aggregativi riscontrati
precedentemente per sistemi confinati all’interno di micelle e/o microemulsioni.
Aggregati vescicolari di particolari ciclodestrine anfifiliche (CDs) sono degli efficienti sistemi di
trasporto intracellulare per molecole ospite. La coniugazione di questi aggregati con nanoparticelle
di oro è alla base dello sviluppo di interessanti sistemi per applicazioni di tipo photothermal therapy
(PTT), da impiegare in combinazione con la photodynamic therapy (PDT), già ampiamente
dimostrata nel caso della porfirina TPPS4. Il sistema bioconiugato tra aggregati vescicolari e
nanoparticelle di oro è stato indagato mediante l’impiego combinato di tecniche di microscopia
elettronica e spettroscopia fotoelettronica XPS.
Uno studio combinato di natura sperimentale (spettroscopia UV/Vis, IR ed NMR, fluorescenza
statica e risolta nel tempo) e teorica (Density Functional Theory e Time-dependent Density
Functional Theory) è stato condotto sull’interazione di cationi metallici con porfirine in ambiente
apolare, evidenziando la formazione di specie particolari, denominate sitting-atop, nelle quali il
catione si lega al centro del macrociclo senza l’espulsione dei due idrogeni pirrolici. Tali specie
rivestono un’importanza fondamentale, in quanto sono state proposte più volte in letteratura come
intermedi reattivi nel processo di metallazione delle porfirine.
Gruppo di Ricerca del Prof. Matteo Cusumano.
Questo gruppo si dedica allo studio delle proprietà di intercalazione di una serie di complessi
planari quadrati di platino(II) e palladio(II) contenenti leganti aromatici nei confronti di acidi
nucleici ed alle variazioni di reattività indotte dal microambiente specifico.
Gruppo di ricerca dei Proff. Giuseppe Bruno ed Enrico Rotondo.
Questi ricercatori si occupano essenzialmente della determinazione strutturale di composti
inorganici ed organici di potenziale interesse farmacologico tramite l’impiego di tecniche di
diffrazione di raggi-X e di risonanza magnetica nucleare.
65
Gruppo di Ricerca del Prof. Giuseppe Teti.
Questo gruppo di ricerca opera nel settore della microbiologia, sviluppando sia attività di ricerca
indipendente che di supporto ai vari gruppi dell’Unità di ricerca.
Gruppo di Ricerca della Dr. Lo Passo.
Questi ricercatori svolgono della ricerca indipendente nei settori della biologia molecolare e
genetica, fornendo attività di supporto al gruppo del Prof. Monsù.
66
UNITA’ DI RICERCA DI NAPOLI
Direttore Scientifico: Prof. Carlo Pedone
L’attività scientifica dell’Unità operativa di Ricerca di Napoli è stata rivolta, per l'anno 2009,
principalmente alla veicolazione di mezzi contrasto e farmaci mediante peptidi nell’ambito delle
seguenti tematiche:
1) Sonde per la diagnosi in medicina nucleare basate su peptidi antagonisti dell’integrina αvβ3
Da alcuni anni l’unità di Napoli è coinvolta nella progettazione di coniugati peptidici per la diagnosi
e la terapia mediante le tecniche di medicina nucleare. E’ noto che i peptidi opportunamentemente
progettati possono veicolare centri metallici radioattivi su cellule tumorali che sovraesprimono
recettori, facilitando l’accumulo di mezzi di contrasto su tessuti tumorali. Negli anni precedenti
sono stati utilizzati come vettori peptidi per il riconoscimento dei recettori delle colecistochinine,
della somatostatina e delle integrine. Nell’ultimo anno è stato approfondito lo studio di sistemi per il
riconoscimento dei recettori delle integrine al fine dell’ottenimento di nuove sonde di minori
dimensioni. In particolare sono stati sintetizzati nuovi analoghi del peptide RGDechi (lead
compound) (figura 1) la cui progettazione e sintesi era stata messa a punto nell’anno precedente.
Met-Asp-Asp-Pro-Gly-Arg-Asn-Pro-His-Lys-Gly-Pro-Ala-Thr19
Lys1-Arg-Gly-Asp-DGlu
Figura 1 Sequenza del peptide RGDechi
I peptidi sono stati progettati eliminando, uno alla volta, i cinque residui presenti sull’estremità C
terminale allo scopo di individuare la minima sequenza in grado di conservare l’elevata attività e la
selettività del lead compound nei confronti dell’integrina αvβ3. Sono stati quindi marcati con 18F
per gli studi di imaging molecolare mediante PET e è stato legato un chelante polidentato per la
complessazione di metalli radioattvi quali l’Indio 111 e il tecnezio 99m. Partendo dalla sequenza
peptidica RGDechi successivamente sono stati progettati e sintetizzati analoghi del peptide
RGDechi al fine di ottimizzare le proprietà farmacocinetiche e di determinare la minima sequenza
aminoacidica che conserva l’attività e la selettività del prodotto di partenza.
In parallelo sono stati allestiti esperimenti per valutare l’attività antiangiogenica di RGDechi in
vitro ed in vivo. Studi di immunoistochimica hanno evidenziato un’azione antiangiogenica ed
antinfiammatoria del peptide RGDechi rispetto al tessuto non trattato, il che rende il composto in
esame un buon candidato per un applicazione in campo terapeutico.
2) Aggregati supramolecolari peptidi-chelanti come tools per la diagnosi oncologica mediante
la tecnica della risonanza magnetica imaging (MRI) e la veicolazione di farmaci.
Questa attività in collaborazione con l’UO di Torino si articola nella progettazione, sintesi e
caratterizzazione di nuovi mezzi di contrasto selettivi per la visualizzazione di patologie
oncologiche mediante la tecnica della Risonanza Magnetica Imaging (RMI). Questa tecnica fornisce
immagini ad altissima risoluzione, ma a causa della bassa sensibilità, richiede un elevato accumulo
di mezzi contrasto sul tessuto che si intende visualizzare. Pertanto è in corso da diversi anni un
progetto per la messa a punto opportuni agenti di contrasto (ACs) selettivi capaci di accumularsi
sull’organo bersaglio ad una concentrazione almeno dell’ordine di 10-4M. In particolare sono stati
preparati sistemi supramolecolari, come micelle miste o selfassembling, liposomi che espongono
sulla loro superficie un vettore peptidico il frammento CCK8 dell’ormone colecistochinina in grado
di selettivamente riconoscere i recettori sovraespressi dalle cellule tumorali.
67
Recentemente sono stati sintetizzati e caratterizzati strutturalmente aggregati supramolecolari
ottenuti per aggregazione di due molecole di nuova sintesi (gemini). Entrambi i monomeri sono
costituiti da una porzione idrofobica e da una porzione idrofilica. La prima è rappresentata da due
catene alchiliche a 18 atomi di carbonio, la seconda invece è rappresentata, in uno dei due
monomeri, dal peptide bioattivo CCK8, nell’altro, dall’agente di contrasto Gd coordinato al
chelante DTPAGlu o dalla base libera (Figura 2).
Nella sequenza dei monomeri è presente un residuo di cisteina che permette la formazione di un
ponte disolfuro intercatena, mediante semplice ossidazione all’aria in ambiente alcalino. Il ponte
disolfuro inoltre può essere idrolizzato enzimaticamente “in vivo” e pertanto l’aggregato può essere
più facilmente secreto. L’aggregazione in soluzione dei monomeri, guidata dalla tendenza delle
code idrofobiche ad interagire tra di loro mediante forze di Van der Waals, è stata seguita mediante
tecniche spettroscopiche quali fluorescenza e dicroismo circolare (CD) e mediante misure di SmallAngle Neutron Scattering (SANS).
H
N
O
O
CH2
S
O
N
H
O
O
5
N
H
N
O
COO COO
N
S
CH2
O
N Gly CCK8
H
O
O
H
N Gly CCK8
O 5
O
COO
COO
COO
COO
COO
N
HN
[C18CysL5CCK8]2
O
(CH2)4
O
H
N
CH2
N
H
N
NH2
O
S
S
CH2
O
N
H
O
O
H
N
NH2
(CH2)4
HN
N
N
COO
O
[C18CysDTPAGlu]2
N
COO COO
Figura 2: Rappresentazione schematica dei monomeri [C18CysCCK8]2 e [C18CysDTPAGlu]2
I valori delle concentrazione micellare critica (CMC) ottenuti per i sistemi supramolecolari autoassemblanti [C18CysDTPAGlu]2 [C18CysCCK8]2, e per i sistemi misti [C18CysDTPAGlu]2 /
[C18CysDTPAGlu]2 in un rapporto molare 70/30 (nella forma complessata con gadolinio e come
basi libere) sono dell’ordine di 10 -6÷10-5 mol kg-1. Tali valori sono in linea con le CMC ottenute per
gli aggregati a due code idrofobiche con diciotto atomi di carbonio. Questo risultato ci consente di
concludere che nei monomeri gemini studiati come basi libere, sui quali sono presenti 10 cariche
negative anziché 5 dei monomeri fino a questo momento sintetizzati, le cariche negative, pur
influenzando il valore della CMC, non impediscono l’aggregazione a concentrazioni relativamente
basse. In condizioni fisiologiche pertanto è garantita l’esistenza degli aggregati. Misure di
fluorescenza del residuo di triptofano hanno permesso di stabilire che il peptide è ben esposto sulla
superficie esterna dell’aggregato. Gli aggregati ottenuti sono stati stutturalmente caratterizzati
mediante misure di SANS. La forma e le dimensioni delle micelle sono influenzate dalla
temperatura: a basse temperature presentano forma elongata con stuttura cilindrica; mentre a più
alte temperature forma ellissoidale. Pertanto l’aumento della temperatura porta ad un progressivo
accorciamento della lunghezza delle micelle. Analogamente, anche la conformazione del peptide
68
CCK8 esposto sulla superficie esterna dell’aggregato cambia all’aumentare della temperatura,
passando da una conformazione β-sheet ad una random coil. Le misure di relassività condotte sugli
aggregati, forniscono valori confrontabili (r1p = 21.5 mM-1 s-1 at 20 MHz and 25°C), con sistemi
supramolecolari simili ad altri aggregati finora studiati.
Per allargare il numero di bersagli da raggiungere selettivamente sono stati inoltre progettati e
sintetizzati aggregati supramolecolari costituiti da uno o due unità monomeriche anfifiliche selettivi
per i recettori bombesina. Queste unità contengono una parte idrofobica costituita da due catene di
tipo idrocarburico a diciotto atomi di carbonio e una testa idrofilica costituita dal peptide bombesina
e/o da un agente chelante in grado di complessare il Gd per la risonanza magnetica o il 68Ga per la
PET o 111In per la medicina nucleare. Il chelante prescelto è il DOTA che fornisce per la
coordinazione un set di quattro atomi di azoto e tre gruppi carbossilici. Nell’altro monomero la testa
idrofilica è costituita dalla sequenza attiva della bombesina. C).
-
(A)
O
O
N
O
N
O
O
H
N
(CH2)4
O
NH2
N
N
N
H
O
N
-
O
O
O
(B)
O
O
H
N
N
O
O
O
(C)
O
H
N
N
O
-
N
5H
Peptide
O
O
68
N
H
Peptide
[7-14]BN sequence: Gln-Trp-Ala-Val-Gly-His-Leu-Met-Amide
scrBN sequence: Trp-Gln-Met-Leu-His-Gly-Val-Ala-Amide
Fig. 3 Monomeri anfifilici: A) (C18)2DOTA; B) (C18)2L5-[7-14]BN; C) (C18)2Peg3000[7-14]BN
Il peptide [7-14]BN è il frammento C-terminale del peptide bombesina capace di riconoscere il
gastrin-releasing peptide receptor (GRPR), sovraespresso da linee cellulari di tumori umani di varia
origine (cancro dell’ovaio, cancro al seno e cancro della prostata). Numerosi studi strutturali hanno
dimostrato che modificazioni all’estremità N-terminale con complessi metallici non alterano
l’affinità del peptide verso il recettore target. Per aumentare l’idrofilicità sono stati inseriti residui
etossilici di diversa lunghezza. (figura 3 B e C)
Miscelando il monomero A con i monomeri B e C nel rapporto 90:10 seguendo procedure messe a
punto per altri aggregati, sono stati ottenuti aggregati misti, la cui natura, è stata determinata
mediante metologie chimico fisiche basate sul SANS e sul dinamic light scattering (DLS). Queste
indagini hanno permesso di stabilire che gli aggregati hanno natura liposomiale e raggio
idrodinamico intorno a 200 nm, mentre lo spessore del doppio strato è di 4 nm. (figura 4).
69
Fig. 4: Visione schematica degli aggregati ottenuti selettivi per i recettori della bombesina
Gli aggregati marcati con Indio radioattivo sono stati quindi testati in vitro su cellule PC3
sovraesprimenti recettori della bombesina. I risultati di binding e internalizzazione sono stati
paragonati a quelli ottenuti con aggregati analoghi in cui il peptide bioattivo è sostituito da una
sequenza scramble. Il sistema contenente il monomero B (111In-(C18)2DOTA/(C18)2L5-[7-14]BN
90/10) ha dato risultati migliori rispetto a quello contenente il monomero C (111In(C18)2DOTA/(C18)2Peg3000-[7-14]BN 90/10). Questo risultato può essere imputato alla presenza
dell’unità di Peg3000 sulla superficie che potrebbe nascondere il peptide e impedire il binding con
il recettore. Gli aggregati misti contenenti il monomero B e l’analogo, in cui il peptide wild-type è
sostituito dal peptide scramble, sono stati testi su topi nudi, nei quali era stato precedentemente
inoculato e cresciuto il tumore. I risultati ottenuti per entrambi i peptidi mostrano che l’aggregato
rimane il circolo nel sangue per tempi molto lunghi (> 48 h), permettendo di migliorare l’accumulo
dell’aggregato nell’organo target rispetto a quello non target. Inoltre l’aggregato misto contenente il
peptide wild-type si accumula maggiormente nel tumore rispetto a quello contenente il peptide
scramble e rispetto all’aggregato ottenuto da autoassemblaggio del solo chelante.
3) Complessi di Platino veicolati da peptidi
E’ ben nota l’attività chemioterapica di complessi di platino, ma anche i molti problemi relativi agli
effetti collaterali. Per direzionare i complessi verso il tessuto di interesse, negli ultimi anni, sono
state messe a punto delle metodologie per la veicolazione mediante aggregati liposomiali o strategie
per legare il complesso a peptidi. Scopo di questa linea di ricerca è la veicolazione target spetifica di
complessi di platino mediante l’uso di peptidi bioattvi capaci di riconoscere recettori sovraespressi
da cellule tumorali. L’innovazione consiste nella messa a punto di una strategia sintetica in fase
solida in grado di superare i problemi di solubilità, che spesso si presentano nella coordinazione del
platino a cheltanti ancorati a molecole bioattive e la concorrenza di più basi di Lewis nei confronti
del centro metallico. L’attività di ricerca esplorativa ha previsto la sintesi di diverse sequenze
peptidiche bioattive, quali il peptide CCK8, che interagisce con i recettori della colecistochinina, e
peptidi contenenti la sequenza RGD per l’interazioni con i recettori delle integrine. Attualmente
sono in corso test in vitro per verificare la citossicità della sonda
4) Studio del meccanismo di penetrazione e fuoriuscita del virus Herpes simplex di tipo 1
utilizzando nanocristalli.
Questa linea di ricerca ha riguardato lo studio in vitro dei meccanismi di penetrazione e di
fuoriuscita della glicoproteina gH del Herpes Simpex virus tipo I dalla cellula sfruttando metodi di
70
imaging molecolare. Dall’analisi dettagliata della glicoproteina gH è stato identificata la sequenza
peptidica gH 626-644 da utilizzare. Quest’ultima è stata opportunamente modificata mediante
molecole fluorescenti (NBD) e Qdots per l’ottenimento di sistemi da visualizzare in microscopia
cofocale. I Qdots sono stati scelti per le loro proprietà ottiche ed elettroniche che li rendono dei
fluorofori unici sia in vitro per seguire un’ampia varietà di esperimenti biologici, che in vivo. Essi
posseggono, rispetto alle tradizionali molecole organiche, elevata stabilità e la capacità di
identificare contemporaneamente segnali multipli. Inoltre nella regione del vicino infrarosso (700–
900 nm) la maggior parte delle biomolecole non presenta uno spettro di assorbimento, il che
permette di usare i QDs per l’imaging in vivo.
Notevoli successi sono stati ottenuti nell’utilizzo dei Qdots per la marcatura extracellulare; al
contrario il delivery intracellulare presenta numerosi problemi ed ancora non esistono protocolli
generali per riuscire ad effettuarlo.
I coniugati peptidici NBD-gH 626-644, e QDot-gH 626 -644 sono stati sintetizzati mediante sintesi
in fase solida con chimica Fmoc. Inoltre è stato sintetizzato il peptide NBD-Tat come peptide
controllo.
Dall’analisi al microscopio confocale (Figura 5) si evince che nonostante entrambi i peptidi gH626644 e Tat (peptide utilizzato come controllo) siano in grado di entrare all’interno delle cellule, il
peptide Tat mostra una maggiore localizzazione all’interno degli endosomi. Viceversa il peptide
NBD-gH 626-644è in grado di attraversare le membrane senza essere intrappolato negli endosomi.
Il peptide gH626-644 è anche in grado di trasportare i Qdots attraverso la membrana plasmatica e di
posizionarsi largamente nella frazione citoplasmatica della cellula, essenzialmente per via non
endosomica, come è possibile vedere nelle foto di seguito riportate. Alla luce dei risultati ottenuti,
risulta molto interessante sviluppare ulteriormente questo progetto al fine di verificare la possibilità
di indirizzare in maniera specifica i Qdots verso dei target specifici all’interno della cellula target.
(A)
Peptide NBD-gH626-644
(B)
Peptide NBD-TAT
Figura 5: Immagini di microscopia cofocale di (A) peptide NBD-gH626-644; (B) peptide TATgH626-644. In alto a sinistra ed in basso a destra sono riportate le cellule trattate con il peptide, in
alto a destra il nucleo come controllo, e in basso a sinitra il citoscheletro.
71
72
UNITA’ DI RICERCA DI PADOVA
Direttore Scientifico: Prof. Ulderico Mazzi
1. Tematica 6: “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale”
Parte 1. Sviluppo di radiofarmaci target-specifici marcati con 99mtecnezio e 186/188renio.
Elena Zangoni, Laura Melendez Alafort, Ulderico Mazzi
I metalli di transizione possono avere isotopi emettitori di radiazioni ionizzanti utilizzabili in ambito
diagnostico e terapeutico. Tra di essi il tecnezio-99m ed il renio-186/188 giocano un ruolo molto
importante nello sviluppo di radiofarmaci in entrambe gli ambiti sopradetti. A differenza di isotopi
di atomi naturalmente presenti nelle molecole biologiche (O, C, N), che possono essere incorporati
nelle molecole direzionatrici attraverso la formazione di un legame covalente, gli isotopi di natura
metallica per essere incorporati nelle biomolecole devono essere stabilizzati da un sistema chelante
in un complesso di coordinazione.
Nell’ultimo decennio è stata sviluppata un’ampia gamma di tecniche per la marcatura di
biomolecole con radiometalli, ma la metodica più ampiamente studiata e impiegata consiste
nell’approccio del chelante bifunzionale (Bifunctional Chelating Agent, BFCA). Il chelante
bifunzionale presenta da un lato un set coordinativo in grado di stabilizzare il metallo, dall’altro un
gruppo funzionale per l’ancoraggio covalente della biomolecola, che può essere diretto oppure
mediato da uno spaziatore (linker), a dare il derivato BFCA(-linker)-BM. La scelta accurata del
BFCA è uno degli aspetti fondamentali nella progettazione di radiofarmaci target-specifici.
Targeting
biomolecule
BM
Metal
radioisotope
BFCA
Targeting
biomolecule
Metal
radioisotope
Linker
Figura. Rappresentazione schematica della marcatura diretta (sopra) e indiretta (sotto).
Un BFCA ideale dovrebbe garantire la formazione di un complesso con alta resa e a concentrazioni
molto basse del coniugato BFCA-BM. Tale complesso non dovrebbe sottostare a reazioni di
ossidoriduzione, dovrebbe essere termodinamicamente stabile e cineticamente inerte e presentare un
basso numero di isomeri, in quanto tutte questi parametri possono influenzare notevolmente le
caratteristiche biologiche e farmacocinetiche del coniugato BFCA-BM. Infine, l’attacco del BFCA
alla biomolecola dovrebbe essere facilmente realizzabile.
La selezione del BFCA dipende dal tipo di radiometallo e dal suo stato di ossidazione. Il core
[M=O]3+ viene largamente impiegato per la marcatura di biomolecole con 99mTc- e 186/188Re e negli
ultimi 15 anni sono stati sintetizzati e valutati molti chelanti bifunzionali, la maggior parte dei quali
possiede un set coordinativo di tipo NxS(4-x). Questi chelanti, sebbene abbiano trovato applicazione,
soffrono di alcune limitazioni quali l’elevata lipofilia, una scarsa flessibilità strutturale, più forme
isomeriche spesso difficili da separare e limitata stabilità in vivo. Inoltre la loro marcatura richiede
spesso condizioni drastiche. Lo sviluppo di BFCA più efficienti resta quindi uno degli interessi
73
principali nell’ambito della medicina nucleare. Il nostro gruppo di ricerca ha proposto alla ricerca
internazionale il BFCA N-(N-(3-diphenylphosphino propionyl) glycyl)-S-tritylcysteine methyl ester
(PN2S) sinora utilizzato con il gruppo centrale Tc(V)O3+.
Negli ultimi anni molti gruppi hanno orientato le loro ricerche verso lo sviluppo di BFCA tridentati
al fine di ottenere una set coordinativo tripodale per il core fac-[M(CO)3]+ (M = Tc, Re),. Tuttavia
la tricoordinazione del core può essere ottenuta anche utilizzando due leganti distinti, uno bidentato
L2 e uno monodentato L1, in quello che viene definito approccio “[2+1] mixed ligand].
Nel tentativo di sviluppare questo filone di ricerca precedenti studi nel nostro gruppo hanno
evidenziato come si possa impiegare un semplice N,N-dimetilditiocarbamato (mdtc) come legante
bidentato e una fosfina funzionalizzata come legante monodentato, per ottenere un sistema chelante
di tipo (SS)(P) per la stabilizzazione del core fac-[M(CO)3]+.
L’impiego di Na-mdtc e di una fosfina con la strategia [2+1] ha il potenziale vantaggio di
produrre complessi tricoordinati neutri e monomerici. La derivatizzazione del gruppo fosfinico è
stata la prima procedura utilizzata perchè già stata usata con successo con leganti BFCA sul core
99m
Tc(V)O3+.
Una delle biomolecole più studiate per la marcatura con l’approccio con BFCA è l’octreotide.[5]
Però, la maggiore difficoltà che si incontra nel marcare tale molecola con Tc o Re è dovuta al fatto
che presenta un ponte disolfuro, molto importante per la sua biospecificità, facilmente rotto durante
la reazione di riduzione del MO4- (M = Tc o Re) indispensabile per ottenere la formazione del
complesso di marcatura.
Figura: PN2S-CIF
Quindi, la marcatura con 99mTc dell’octreotide e dei suoi derivati non ha ottenuto notevoli successi,
fino a quando, studi biologici su derivati dell’octrotide privi del ponte a zolfo non hanno mostrato
alta specificità per i sottotipi recettoriali sstr2 e sstr5 della somatostatina.
Gli analoghi indicati in figura sono stati da noi studiati per essere marcati con la metodologia
tricarbonilica [2+1] per poi essere studiati dal punto di vista biologico allo scopo di determinare il
mantenimento in vivo della loro alta specificità.
I risultati sono stati soddisfacenti, con produzione in ‘one step’ di un composto marcato (PN2S-CIF)
con resa superiore al 90% e con alta attività specifica. Il prodotto è pronto per gli studi di specificità
su cellule o in vivo. Al momento la ricerca si è fermata per difficoltà del gruppo di Basilea
collaborante con il nostro gruppo di Padova di crescere cellule specifiche per i suddetti carrier.
74
1.Tematica 6: “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale”
Parte2. Studi di marcatura, biodistribuzione ed efficacia radioterapeutica di
Ialuronico)
Laura Melendez Alafort, Elena Zangoni, Ulderico Mazzi
188
Re-HA (Acido
Nel 2009 sono proseguiti gli studi sull’acido ialuronico, utilizzando i risultati
precedentemente ottenuti ed ottimizzando sia le procedure di marcatura che le caratteristiche
dell’acido ialuronico soprattutto in funzione della diversa dimensione del polimero.
L'acido ialuronico (HA) è uno dei componenti fondamentali dei tessuti connetivi dell'uomo e
degli altri mammiferi. Chimicamente è definibile come un glicosaminoglicano dalla catena
polisaccaridica non ramificata prodotta dall'aggregazione di migliaia di unità disaccaridiche
formate a loro volta da residui di acido glucuronico (un derivato del glucosio) e Nacetiglucosamina. Entra nella costituzione della sostanza fondamentale del tessuto connettivo della
pelle, il quale contiene il 63% di acqua, il 32% di collagene e l'1% di acido ialuronico. E' contenuto
in concentrazioni elevate nell' umor vitreo, nel cordone ombelicale, nei liquidi delle articolazioni. Si
presenta come una sostanza amorfa, solubile in acqua. Regola il contenuto idrico della sostanza
intracellulare e la permeabilità del tessuto connettivo. Funge da sostanza cementante dei tessuti ai
quali conferisce la tipica plasticità. E' contenuto nel collagene, nel quale ha la funzione di catturare
e trattenere l' acqua. Per costruire il collagene le cellule impiegano molta vitamina C. Ha proprietà
antinfiammatorie. Oltre che idratare la pelle possiede anche la proprietà di cicatrizzare le ferite. Nel
derma ha un' azione plastica e permette una migliore diffusione delle sostanze.
Inoltre l'acido ialuronico lega con dei recettori cellulari denominati CD44, ben conosciuti dagli
studiosi del sistema immunitario per la loro presenza nella pelle, tra l'altro sulla superficie delle
cellule cheratiniche, inclusi i follicoli piliferi. I CD44 sono anche sovraespressi in diversi tipi di
tumore e ciò ha sviluppato l’impiego dell’HA quale veicolo di chemioterapici per tali tipi di tumore.
Nel 2007 il metodo di marcatura con Tc-99m dell’HA già descritto nelle precedenti relazioni è stato
trasferito al Re-188, con lo scopo di utilizzare le proprietà veicolanti dell’HA per trasportare il
radionuclide Re-188 sul tumore affinché esplichi la sua azione radioterapica.
Studi di biodistribuzione in topi sani dell’analogo 99mTc-HA hanno mostrato che 25 minuti dopo la
somministrazione intravenosa, più dell’80% del radiofarmaco si trova nel fegato e nella milza in
seguito al binding selettivo dell’HA su recettori specifici.
Basandoci su tali indicazioni, cellule di carcinoma epatocellulare sono state indotte nel fegato del
topo e trattati con HA marcato direttamente con 188Re.
L’acido ialuronico (∼70 kDalton) è stato marcato semplicemente aggiungendo 100 µl of 188Reperrenato con attività pari a 20 Mbq ad una fiala contenente HA ed una soluzione di SnCl2
aggiustando il pH al valore di 4.
La biodistribuzione di 188Re-HA è stata studiata in femmine sane di topi neri C57BL/6 trattati con
50 µL (3 MBq) di marcato purificato con iniezione nella vena caudale. Trenta minuti dopo
l’iniezione le dosi accumulate nel fegato e nella milza hanno raggiunto il valore massimo e
rimangono poi costanti per più di 72 h senza clearance renale.
Gli studi di biodistribuzione hanno dimostrato che il complesso188Re-HA è stabile e, somministrato
per semplice iniezione intravenosa, è rapidamente concentrato nel fegato e nella milza, senza
eliminazione, riducendo così il rischio di danno agli atri organi. Il trattamento delle metastasi al
fegato nei topi ha rivelato che il coniugato mostra un forte effetto terapeutico anche in presenza di
bassa attività. E’ inoltre importante notare che le attività qui usate sono simili a quelle già in uso nei
trial clinici. Infine l’efficacia terapeutica del trattamento è anche confermata in un modello di topo
xenogenico con metastasi al fegato di coloncarcinoma umano usando cellule tumorali HT-29
impiantate in topi SCID, e non associate con rilevante tossicità al fegato ed al midollo spinale.
Per poter impiegare l’188Re-HA in altre patologie tumorali è stato improntato uno studio sulla
marcatura e sugli studi di biodistribuzione di HA con MM che vanno da 5000 a 500000 Da. Gli
studi di marcatura hanno evidenziato che, pur riuscendo ad ottenere per tutti i sistemi studiati una
buona resa di marcatura, si è osservato che la stabilità dei prodotti marcati scendeva al diminuire
75
della MM. A tal punto, si sono sospesi gli studi di biodistribuzione e si è deciso di adottare un
metodo di marcatura indiretto utilizzando il BFCA di tipo PN2S, già richiamato in questa relazione,
che mantenga il più possibile inalterata la struttura dell’HA e che consenta una stabilità del marcato
indipendente dalla MM del polimero. Sono in corso studi in questo senso.
2. Tematica 5 “Nuovi Farmaci inorganici in oncologia”
Parte 1.
Prof. Dolores Fregona, Dott. Luca Ronconi, Dott. Chiara Nardon
L’attività svolta in questo anno dal nostro gruppo si è sviluppata in tre filoni principali:
1) Agenti antitumorali di Au(III) con leganti ditiocarbammici di- e tripeptidici per l’indirizzo
selettivo verso la cellula tumorale.
2) “Design, sintesi e caratterizzazione chimica e biologica in vitro di complessi di Ru(III), con
leganti S-metil pirrolidina-/dimethyl-ditiocarbammato.
3) Sviluppo di nuovi biosensori per la rilevazione precoce di marker tumorali.
1)COMPLESSI DITIOCARBAMMICI DI AU(III) CON DI- E TRIPEPTIDI
Negli ultimi anni, nel nostro gruppo di ricerca sono stati sintetizzati alcuni nuovi complessi
ditiocarbammici di Au(III), aventi una formula generale del tipo [AuX2(dtc)] (X = Cl, Br; dtc =
legante ditiocarbammico), ideati in modo da riprodurre il più fedelmente possibile le caratteristiche
strutturali principali del cisplatino. Tali composti hanno mostrato una attività in vitro, da una a
quattro volte maggiore del cisplatino, nei confronti di cellule tumorali umane sia sensibili che
resistenti al cisplatino, escludendo l’insorgenza di resistenza crociata con il chemioterapico di
riferimento. Inoltre, gli studi biologici intesi al chiarimento dei processi biochimici che stanno alla
base dell'elevata attività dei nostri composti di oro, sono stati estesi alla valutazione del danno
mitocondriale e all'inibizione dell'enzima tioredossina reduttasi. Date le loro proprietà di elevata
stabilità in soluzione, riproducibilità di sintesi e di promettente attività antineoplastica, tali composti
sono stati sottoposti anche a studi di attività antitumorale, tossicità sistemica e nefrotossicità in
vivo, portando a dei risultati estremamente positivi. Si è cercato anche di comprendere il
meccanismo di induzione di morte cellulare di tali complessi studiando la loro influenza sul
funzionamento della caspasi-3 e sulla formazione di ROS (specie radicaliche attive), coinvolti in
diverse fasi del meccanismo di morte cellulare e nelle alterazioni di alcune proteine mitocondriali.
L’attività pro-apoptotica di alcuni complessi è stata anche testata in base all’attivazione delle
caspasi-3, una classe di cistein-proteasi che, con meccanismo a cascata, vengono attivate in
numerosi modelli di apoptosi. Tale misura è stata rilevata attraverso la percentuale di clivaggio del
PARP (poli-ADP-ribosio-polimerasi) che viene operato dalle caspasi-3 attivate. Tale valutazione ha
evidenziato che, contrariamente a quanto avviene per il cisplatino (usato come riferimento), il
trattamento con i complessi di oro non registrata una corrispondenza diretta tra la morte cellulare e
la percentuale di clivaggio. L’attivazione della caspasi-3 pertanto, non sembra essere l’unico
meccanismo che porta alla morte cellulare, ma tali composti di oro devono esercitare la loro
capacità citotossica attraverso un qualche meccanismo alternativo. Gli studi per chiarire tale
meccanismo sono stati indirizzati verso la valutazione della formazione di ROS, l’interazione con
proteine mitocondriali e citosoliche e l’effetto sul potenziale di membrana mitocondriale ed hanno
messo in evidenza una notevole inibizione della tioredossina reduttasi accompagnata da uno
swelling della membrana mitocondriale. La valutazione delle proprietà citotossiche in vitro e di
tossicità sistemica in vivo sono tuttora in corso presso il National Cancer Institute di Bethesda.
Gli studi di inibizione del proteasoma eseguiti presso il Dipartimento di Patologia del Barbara Ann
Karmanos Cancer Institute, Wayne State University di Detroit, su estratti cellulari di tumore
mammario, hanno evidenziato come tali derivati di oro siano in grado di inibirne l’attività già a
concentrazioni nell’ordine di 10 µM. Inoltre per uno di tali complessi è stato identificato il
proteasoma come target primario sia in vitro che in vivo ed è stata riscontrata una capacità di
inibizione della crescita tumorale di circa il 50%, su tumori xerografici umani dopo trattamento per
76
29 giorni con il composto in esame. Infine, gli studi condotti su leucemie mieloidi acute, in
collaborazione con il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, hanno messo in evidenza come i
nostri composti inducano solo modeste perturbazioni del ciclo cellulare a sostegno dell’ipotesi che
il meccanismo d’azione sia diverso da quello presentato dai classici complessi di Pt(II).
In seguito ai risultati così promettenti ottenuto con i complessi ditiocarbammici di Au(III)
abbiamo esteso il progetto di ricerca allo studio di derivati di Au(III) con piccoli peptidi
funzionalizzati per migliorare l’uptake cellulare mantenendo immutate le caratteristiche
chemioterapiche dei nostri complessi a base di zolfo.
Tale progetto si propone di utilizzare derivati ditiocarbammici di- e tripeptidici di Au(III) come
sistemi cooperativi con proteine di trasporto per l’indirizzo selettivo verso la cellula tumorale, al
fine di ottenere potenziali agenti antitumorali dotati di una elevata biodisponibilità mediata dai
leganti peptidici stessi. Il fondamento logico sul quale si basa tale progetto è quello di disegnare
complessi metallici in grado di conservare le proprietà antitumorali già mostrate da analoghi
derivati precedentemente testati e, contemporaneamente, che siano dotati di una maggiore
biodisponibilità mediata dai trasportatori di- e tripeptidici. L’interesse di questa nuova classe di
chemioterapici si basa sulla possibilità di trasportare il farmaco direttamente all’interno della cellula
tumorale incrementando l’uptake cellulare e minimizzando l’insorgenza degli effetti collaterali che
in genere accompagnano le terapie antitumorali
Risultati:
Sono stati sintetizzati e caratterizzati alcuni dipeptidi, con catene laterali diverse, e i relativi
complessi con Au(III). I peptidi sono stati preparati con classiche metodiche di sintesi in soluzione
utilizzando vari gruppi N- e C-protettori (o bloccanti). In particolare, i dipeptidi sintetizzati e
studiati hanno formula del tipo Sar-Xxx (Sar = sarcosina o N-metilglicina), dove Xxx è Gly, Aib
(acido α-amminoisobutirrico) o Phe.
L’estremità N-terminale dei peptidi è stata poi funzionalizzata con una unità ditiocarbammica in
grado di chelare efficacemente il centro metallico di Au(III). Gli amminoacidi Gly e Aib sono
entrambi achirali, ma il secondo ha la proprietà di impartire una forte rigidità conformazionale ai
peptidi in cui viene inserito. Questa caratteristica potrebbe essere la ragione dell’interessante
bioattività osservata per i complessi contenenti come legante il dipeptide Sar-Aib. Inoltre, va
ricordato che peptidi contenenti Aib sono più resistenti alla degradazione enzimatica. Il residuo di
Phe invece, è stato sintetizzato per stimare l’importanza della idrofobicità/idrofilicità sull’attività
biologica. Infine, i due diversi gruppi C-protettori impiegati hanno consentito di stabilire che
anch’essi esercitano un’influenza sull’azione antitumorale. Sembra infatti che il gruppo –COOH
libero ostacoli l’efficacia dell’azione biologica dei complessi di Au(III).
Essendo i complessi insolubili in acqua, sono state eseguite anche delle cinetiche in DMSO
(attraverso spettroscopia 1H-NMR) al fine di accertare la stabilità dei complessi sintetizzati in tale
solvente e di garantire che essi possono giungere intatti a contatto con le cellule tumorali
Una volta effettuata la caratterizzazione chimico-fisica e, soprattutto, verificatane la stabilità in
soluzione, tali complessi peptide-dtc/Au(III) sono stati sottoposti ad un primo “screening” di
citotossicità in vitro su alcune linee cellulari tumorali umane.
Sono quindi stati sintetizzati e caratterizzati altri sei complessi di Au (III), aventi leganti della serie
dipeptidica (Sar-Xxx; Xxx =Gly, Aib e Phe), ma con un tipo diverso di estere (tert-butilico)
all’estremità C-terminale. Inoltre, sono stati preparati i dipeptidi Sar-Ser-OR (R = Me, tBu) con
l’intenzione di verificare se l’idrofilicità, impartita dal gruppo idrossilico in catena laterale alla Ser,
potesse migliorare l’attività di questi nuovi potenziali agenti chemioterapici. Gli studi preliminari in
vitro effettuati sui composti hanno mostrato che tutti hanno una citotossicità maggiore rispetto al
cisplatino. Inoltre due di questi si sono rivelati più attivi degli analoghi complessi ditiocarbammici
di Au(III) già studiati. In base ai risultati ottenuti, si è pensato anche di estendere il progetto alla
sintesi e caratterizzazione di un tri- (-Sar-Aib2-OtBu), un tetra- (-Sar-Aib3-OtBu) e un pentapeptide
(-Sar-Aib3-Gly-OEt) e, ovviamente, dei corrispondenti complessi di Au(III). Il residuo di Gly
all’estremità C-terminale è stato scelto per ridurre l’idrofobicità, supponendo come fattore
importante la veicolazione del complesso in ambiente acquoso. Inoltre, essendo la prolina un
77
amminoacido proteico N,N-disostituito, come la Sar, si è pensato di sintetizzare e caratterizzare il
di- e il tripeptide di formula -Pro-Aibn-OtBu (n = 1, 2) e i corrispondenti complessi ditiocarbammici
di Au(III), tenendo presente che la Pro, a differenza della Sar, è chirale.
E’ stata valutata la vitalità delle cellule metastatiche PC3 del carcinoma della prostata umana
esposte a concentrazioni crescenti dei complessi in esame e sono stati calcolati i valori di IC50. I
risultati mostrano che l’esposizione a concentrazioni crescenti di alcuni di questi complessi provoca
l’inibizione della crescita in funzione della concentrazione iniettata con valori di IC50 inferiori a
quelli del cisplatino. Si è inoltre valutata l’induzione di apoptosi precoce e di necrosi attraverso il
test dell’annessinaV in presenza di propidio ioduro.
E’ stato infine valutato l’effetto citotossico in vitro nei confronti delle cellule MDA-MB-231 di
carcinoma mammario evidenziando che questi composti inibiscono efficacemente la crescita delle
cellule tumorali e sono in grado di inibire l’attività chimotriptica del proteasoma sia in presenza del
proteasoma purificato 20S, sia sugli estratti cellulari con una attività più pronunciata rispetto ai
derivati ditiocarbammici di Au(III) precedentemente testati. Inoltre le prove in vivo sul tumore
xenografico MDA-MB-231,con uno dei composti più attivi hanno evidenziato una inibizione della
crescita tumorale del 90%.
2) “DESIGN, SINTESI, CARATTERIZZAZIONE CHIMICA E TEST DI ATTIVITÀ
BIOLOGICA IN VITRO DI COMPLESSI DI RU(III), CON. S-METIL PIRROLIDINA/DIMETIL-DITIOCARBAMMATO
Nella ricerca di potenziali antitumorali con attività superiore a quella del cisplatino e minore
tossicità, una grande attenzione viene attualmente rivolta ai complessi di rutenio. Due sono i
composti di rutenio più promettenti, entrambi in fase di sperimentazione clinica: il (HInd)trans[RuIIICl4(Ind)2] (KP1019) e il (ImH) trans-[RuIIICl4(Im)(DMSO)] (NAMI-A). Questi composti sono
simili strutturalmente, ma hanno uno spettro d’azione differente: il primo ha una buona attività
citotossica verso i tumori primari, mentre il secondo è un potente agente antimetastatico. Entrambi i
composti agiscono come pro-farmaci e subiscono, solo nelle cellule tumorali, un’attivazione per
riduzione: la specie ridotta può legarsi al DNA, ma sembra che questo non sia il principale
meccanismo d’azione. Di grande interesse sono anche i composti del tipo ruthenium arene
compounds che creano una lesione bifunzionale (di coordinazione e idrofobica) sul DNA che è alla
base della loro elevata attività.
Sulla base di queste considerazioni, sono stati sintetizzati quattro nuovi complessi di Ru(III) del tipo
[Ru(PDT)3], α-[Ru2(PDT)5]Cl, (PDT= piridina ditiocarbammato) mer-[RuCl3(DMSO)(PDTM)]
(PDTM = piridina,S-metil-ditiocarbammato) mer-[RuCl3(DMSO)(DMDTM)] (DMDTM=
dimetilditiocarbammato di metile) che sono stati completamente caratterizzati tramite IR, NMR,
massa, termogravimetria e cristallografia ai raggiX. I composti ottenuti sono stati poi sottoposti ad
uno screening di attività citotossica su varie linee cellulari di tumori umani: i test hanno dimostrato
una buona attività per il dimero ionico α-[Ru2(PDT)5]Cl. E’ interessante notare che i due composti
mer-[RuCl3(DMSO)(PDTM)] e mer-[RuCl3(DMSO)(DMDTM)] non presentano attività in vitro sui
tumori primar, come atteso per composti con struttura analoga al Nami-A e sarà quindi interessante
valutarne l’attività antimetastatica in vivo.
3) SVILUPPO DI NUOVI BIOSENSORI PER LA RILEVAZIONE PRECOCE DI MARKER
TUMORALI.
Lo scopo di questo progetto di ricerca è lo sviluppo di nuovi biosensori per applicazioni
cliniche ed in particolare per la rilevazione precoce di marker tumorali presenti nel sangue o nelle
urine dei pazienti affetti da cancro al colon-retto. Tale forma di neoplasia è infatti molto comune e
rappresenta la quarta causa di morte nel mondo; la diagnosi del tumore agli stadi iniziali è di
fondamentale importanza e permette di ottenere risultati terapeutici migliori e di diminuirne i costi.
Il nostro gruppo di ricerca sta cercando di mettere a punto un nuovo sistema diagnostico
sfruttando test immunologici basati sulla chemiluminescenza (CHIA=Chemiluminescence
ImmunoAssays). I protagonisti di questi test sono due partners proteici: l’antigene specifico (Ag) da
78
un lato, legato al tumore in esame, e il relativo anticorpo monoclonale (mAb) dall’altro. Ciò che ci
aspettiamo è di ottenere una variazione nel segnale di luminescenza (∆λ o ∆I) emesso dal campione
(mAb+Ag) in seguito alla reazione di riconoscimento supramolecolare tra mAb e Ag.
Dal momento che siamo interessati alla diagnosi precoce del cancro colon-rettale abbiamo
scelto di lavorare con l’anticorpo monoclonale CA19-9, estratto dalle cellule della milza di topi
immunodepressi portatori dell’adenocarcinoma del colon SW1116.
Gli anticorpi sono immunoglobuline che consistono di due identiche catene polipeptidiche
pesanti di circa 100kDa e due identiche catene leggere di circa 50 kDa, legate insieme da ponti
disolfuro. Solo una regione della macromolecola è coinvolta nel legame con l’antigene mentre una
diversa regione funge da mediatore per le cosiddette funzioni effettrici; la prima regione è chiamata
“regione variabile”, mentre l’altra è la “regione costante”.
Nel presente progetto prevediamo di inserire uno o più complessi di lantanidi
specificatamente nella regione variabile dell’anticorpo. I lantanidi e i loro composti offrono molti
vantaggi rispetto alle molecole organiche comunemente usate come sonde fluorescenti (es.
fluoresceina). Per esempio, essi presentano un sensibile spostamento di Stoke e una luminescenza
persistente nell’ordine dei ms e µs. Noi ci aspettiamo che ci sia una alterazione delle proprietà di
luminescenza dopo la formazione del complesso tra Ag e mAb dovuta a un cambiamento
nell’interazione tra lo ione delle terre rare coinvolto e gli amminoacidi circostanti della
macromolecola.
Da un punto di vista chimico-fisico questa interazione è definita come Förster (o
Fluorescenza) resonance energy transfer (FRET). Il FRET, che nel nostro caso chiameremo LRET
(Luminescence resonance energy transfer), è un trasferimento di energia da un donatore (D) eccitato
ad un accettore (A). La molecola del donatore eccitato può rilasciare l’energia di eccitazione
attraverso varie vie per ritornare nel suo stato fondamentale: l’energia può essere dissipata
nell’ambiente sotto forma di calore o luce o trasferita direttamente alla seconda molecola di
accettore, promuovendo quest’ultimo ad uno stato eccitato. Tale processo è un’interazione
dipendente dalla distanza tra gli stati elettronici eccitati delle due molecole senza emissione
fotonica. È di fatto il risultato di un’interazione dipolo-dipolo a lungo raggio fra il donatore e
l’accettore. La molecola donatrice emette normalmente a piccole lunghezze d’onda (es. nell’ UV)
che si sovrappongono a quelle caratteristiche dello spettro di assorbimento dell’accettore.
Un’altra idea che portiamo avanti nelle nostre ricerche è legata alla sintesi di nuovi complessi
di lantanidi intrinsecamente luminescenti a causa di un trasferimento di energia intramolecolare dal
legante allo ione lantanidico centrale (Ln3+) per utilizzarli nei saggi LIA (Luminescence
immunoassays) come bioconiugati agli Ab secondari. Anche in questo caso i vantaggi dell’impiego
dei lantanidi sopra menzionati possono risultare di fondamentale importanza in quanto vi è la
possibilità di aumentare la sensibilità del test (aumento del segnale/rumore) grazie al loro
caratteristico tempo di decadimento dallo stato eccitato piuttosto lungo (>100ns).
Attualmente i tipi di immunotest più utilizzati in diagnostica oncologica sono i test ELISA
(Enzyme-linked immunosorbent assay) il cui limite di rilevabilità (d.l.) è < 1U/mL e i cui risultati
vengono ottenuti in circa quattro ore. In conclusione, l’obiettivo della nostra ricerca, sia attraverso il
primo approccio (CHIA) che il secondo (LIA), è quello di mettere a punto dei processi di
rilevazione di marker tumorali caratterizzati da un d.l. inferiore ad 1U/mL oppure comunque basso
ma ottenibile tramite una metodica più facile, meno costosa e più rapida.
Risultati
La nostra ricerca è iniziata con la sintesi di complessi di lantanidi con diversi leganti.
Ci siamo innanzitutto rivolti verso il samario (Sm3+) e il praseodimio (Pr3+) in quanto poco studiati
e pressoché non utilizzati nei saggi LIA ove notoriamente vi trova impiego l’europio (Eu3+). Il
praseodimio, inoltre, è interessante per le sue proprietà di emissione nella regione del vicino IR,
regione adatta alla trasmissione attraverso fibre ottiche che permettono il trasferimento a distanza di
dati ad alta velocità.
79
Di seguito sono riportati i diversi tipi di leganti usati nelle sintesi:
1. Derivati ditiocarbammici
S
N
S
2. Derivati dall’estere etilico della sarcosina
S
O
H2
C
N
S
H3CH2 CO
3. Derivati dalla 3-ciano-7-idrossi-4-metil cumarina
5
4
3
10
6
CN
9
7
HO
2
O
8
O
1
7-hydroxy-4-methyl-2-oxo-2H-chromene-3-carbonitrile
4. Derivati dell’acido 3- cumarinico
5
4
10
COOH
3
6
2
7
9
8
O
O
1
2-oxo-2H-chromene-3-carboxylic acid
I composti sono stati sintetizzati, purificati e caratterizzati con tecniche di spettroscopia 1HNMR, FT-IR, analisi elementare ed analisi termogravimetrica. Con il legante 4 sono state seguite
due vie di sintesi: nella prima abbiamo usato il sale sodico dell’acido cumarinico ottenendo i
complessi Na2[Pr(CCA)5] e Na[Sm(CCA)4], nei quali la coordinazione avviene attraverso il gruppo
carbossilato in una coordinazione simmetrica bidentata caratterizzata da un marcato carattere
ionico; nella seconda si è partiti dall’acido tal quale (HCCA) ottenendo dei complessi a maggior
carattere covalente nei quali anche l’ossigeno lattonico è coinvolto nel legame con il metallo. Le
due classi di complessi hanno mostrato una diversa stabilità in acqua: gli spettri UV-Vis dei
complessi con il sale sodico del legante si decompongono rapidamente dopo solubilizzazione,
mentre i composti con l’acido non salificato sono stabili in acqua, ma alla loro alta stabilità non
corrisponde una adeguata fotoluminescenza che è invece osservabile in solventi non acquosi come
l’acetonitrile e il DMSO.
80
La sintesi templata dei derivati del legante 2 è invece risultata piuttosto complessa per la
formazione di composti cineticamente labili; i complessi metallici ottenuti sono stati comunque
caratterizzati e gli studi in soluzione hanno evidenziato la scarsa stabilità in mezzo acquoso per la
presenza di un legame fra un donatore allo zolfo di tipo soft ed uno ione metallico molto hard. Di
tali complessi sono stati eseguiti anche gli spettri di fluorescenza in acetonitrile.
Abbiamo inoltre studiato a fondo la struttura e la sequenza dell’anticorpo CA19-9 a livello
biochimico. Sono state condotte numerose ricerche bibliografiche per risalire alla precisa sequenza
dell’anticorpo in esame ed è stata progettata una strategia di bioconiugazione. Attraverso il metodo
di sintesi in fase solida (metodica di Sheppard) è stata sintetizzata una sequenza tetrapeptidica
(SLSS, H2N-Ser-Leu-Ser-Ser-OH) con lo scopo di mimare il sito di binding dell’anticorpo. Il
peptide sintetizzato è di aiuto nella razionalizzazione delle condizioni di reazione più favorevoli alla
bioconiugazione del complesso lantanidico alla biomolecola.
Abbiamo progettato un metodo semplice per condurre la reazione sotto controllo cinetico,
monitorando contestualmente l’evoluzione della bioconiugazione attraverso l’uso di un cromoforo
in grado di attivare la reazione nucleofilica di binding.
Esperimenti in corso
Studi di stabilità cinetica dei complessi in condizioni fisiologiche (presenza di
tampone fosfato).
•
Sintesi e caratterizzazione di complessi di Sm, Pr, Dy, Tb and Eu. con leganti
macrociclici.
• Sintesi di un decapeptide riproducente la specifica regione di interesse dell’anticorpo.
•
Digestione con ficina per ottenere i frammenti Fab or F(ab')2 dell’anticorpo
monoclonale di topo IgG1 per diminuire il numero di residui in grado di reagire durante la
reazione di bioconiugazione e successiva caratterizzazione attraverso elettroforesi,
cromatografia ad esclusione dimensionale e spettrometria di massa.
• Bioconiugazione dei complessi all’anticorpo a 37°C in condizioni di catalisi acida.
3. Studio delle proprietà di luminescenza dopo il legame fra CA 19-9 mAb ed il corrispondente
antigene Ag.
•
2. Tematica 5 “Nuovi Farmaci inorganici in oncologia”.
Parte 2. Studio dell’attività biologica di complessi di metalli di transizione quali potenziali
agenti antitumorali
Cristina Marzano, Valentina Gandin,
Nell’ambito della ricerca di nuovi complessi contenenti metalli diversi dal platino, che possiedano
un’attività antitumorale paragonabile al cis-platino accompagnata però da una minore tendenza allo
sviluppo di farmacoresistenza e di effetti collaterali indesiderati, da tempo, in collaborazione con
l’ICIS-CNR di Padova, ci si è orientati verso lo sviluppo e l’analisi delle proprietà biologiche di
nuovi complessi fosfinici idrosolubili di Cu(I). Tra i vari composti sintetizzati il complesso
[Cu(thp)4][PF6] è stato individuato come più attivo rispetto al farmaco di riferimento (cis-platino)
nell’inibire la proliferazione cellulare anche nei confronti di particolari linee cellulari tumorali
selezionate per la loro resistenza al cis-platino e/o di tipo MDR.
Da esperimenti di cell growth recovery condotti a diversa temperatura e di monitoraggio dell’uptake
cellulare eseguiti anche in co-presenza di cationi monovalenti e bivalenti è emerso che il
meccanismo di accumulo intracellulare di [Cu(thp)4][PF6] va facilmente incontro a saturazione,
suggerendo l’intervento di un trasporto di tipo ATP-dipendente che appare selettivo per cationi
monovalenti, caratteristiche tipiche del trasportatore transmembrana hCtr1 del rame endogeno.
Questo risultato appare di grande interesse alla luce di recenti osservazioni che indicano come tale
trasportatore sia particolarmente espresso in molti tipi di tumore umano, soprattutto di prostata e
colon. Mediante impiego di vari test colorimetrici abbiamo evidenziato come la citotossicità indotta
da [Cu(thp)4][PF6] sia dovuta ad un danno precoce al lisosoma, il quale porta poi all’interno
81
dell’ambiente cellulare una serie di perturbazioni osmotiche cui consegue la morte cellulare. Studi
di citometria a flusso indicano che il complesso fosfinico di rame(I) è in grado di indurre un elevato
decremento tempo-dipendente della popolazione cellulare in fase G1 concomitante ad un
incremento della fase G2/M, provocando, in tal modo, un arresto del ciclo cellulare in fase G2/M.
Non vi sono, invece, sostanziali modificazioni della fase sub-G1. In particolare, i risultati ottenuti
dal calcolo dell’indice mitotico di cellule trattate attestano che il complesso di rame(I) riduce
notevolmente, ed in maniera tempo dipendente, il numero di cellule capaci di completare la mitosi
suggerendo l’induzione di uno specifico blocco del ciclo cellulare in fase G2. Inoltre, sempre
mediante studi di citometria a flusso, è stato possibile osservare come [Cu(thp)4][PF6] promuova
nella popolazione cellulare un notevole aumento delle dimensioni e della granulometria cellulari.
Studi di colorazione ematossilina-eosina confermano quanto verificato dagli studi di citometria,
ovvero come le cellule trattate con il complesso di Cu(I) presentino una forma nettamente
rotondeggiante e dimensioni decisamente maggiori rispetto alle cellule di controllo, con presenza di
una intensa vacuolizzazione citoplasmatica. Mediante misure di variazione del potenziale
mitocondriale di membrana è stato verificato che il trattamento con [Cu(thp)4][PF6] induce una
consistente iperpolarizzazione del potenziale mitocondriale che appare stabile fino alla fase finale
del processo di morte cellulare impedendo, in tal modo, il rilascio di citocromo c. Inoltre, non si
assiste ad alcuna attivazione della caspasi-3 e della frammentazione internucleosomica del DNA
nucleare, processi tipicamente imputabili all’attivazione della cascata apoptotica di morte cellulare.
Tutti i dati raccolti portano a concludere che [Cu(thp)4][PF6] sia in grado di indurre selettivamente
in cellule neoplastiche un caratteristico meccanismo di morte cellulare programmata (PCD) di tipo
non apoptotico definito paraptosi (di tipo III B). Inoltre, gli studi fin ora effettuati indicano che
Cu(thp)4][PF6] induce un accumulo delle proteine poli-coniugate all’ubiquitina come conseguenza
del blocco delle attività proteolitiche del proteasoma 26S. E’ noto che tale evento rappresenta un
nodo cruciale per l’induzione dello stress del reticolo endoplasmatico. Le alterazioni della funzione
del reticolo endoplasmico portano ad una conseguente attivazione dell’Unfolded Protein Response
(UPR), avviato nel tentativo di ricondurre l’ER al suo normale stato fisiologico. In risposta allo
stress del reticolo, infatti, si assiste ad una transitoria attenuazione della trascrizione volta a ridurre
il carico proteico cellulare, mediata dalla auto-fosforilazione di PERK (doublestranded RNAactivated Protein Kinase-like ER kinase), all’attivazione di geni che codificano per componenti
dell’apparato molecolare responsabile del folding e della degradazione delle proteine, mediata della
auto-fosforilazione di IRE1 (Inositol-Requiring Kinase 1) e all’induzione della PCD. Quest’ultima,
in particolare, viene attivata al fine di eliminare cellule fatalmente danneggiate da Cu(thp)4][PF6] e
si manifesta con swelling del reticolo stesso e massiva vacuolizzazione citoplasmatica quale
premessa per l’avvio del processo caspasi-indipendente di morte cellulare paraptotica. Interessante
risulta, quindi, l’approfondimento di una possibile correlazione tra questo tipo di morte cellulare
non apoptotica e l’inattivazione del proteasoma, anche in relazione agli effetti che tale strategia ha
di recente dimostrato nel superamento dei fenomeni di chemoresistenza.
Sempre allo scopo di individuare importanti relazioni struttura-attività riguardanti la classe dei
complessi fosfinici di Cu(I), sono state studiate le proprietà biologiche di nuovi complessi di
rame(I) contenenti fosfine terziarie, solubili e stabili in acqua, del tipo:
P
P
N
N
P
N
N
N
N
PTA
PTAH
+
H
N
N
+
CH3
N
mPTA
Nel programma di lavoro era anche prevista la derivatizzazione del legante PTA ad un azoto
amminico in modo da introdurre un gruppo funzionale adatto alla coniugazione con biomolecole.
E’stato dimostrato che è possibile introdurre piccoli gruppi alchilici senza intaccare la stabilità del
legante nei vari ambienti di reazione utilizzati. L’incorporazione di frammenti più complicati è
82
altresì possibile: sono stati infatti introdotti gruppi come –CH2CH2SO3(-) e -CH2CH2COOH. Però i
nuovi leganti sono risultati poco stabili e quindi non adatti alla coniugazione con biomolecole.
Sono stati anche studiati complessi di Cu(I) con tris(cyanoethyl)phosphine (PCN). I test di
citotossicità condotti nei confronti di un ampio panel di linee cellulari di origine umana hanno
evidenziato che il complesso [Cu(MeCN)4][BF4] presenta valori di IC50 migliori rispetto al farmaco
metal-based di riferimento. Studi sulla funzionalità mitocondriale di cellule tumorali hanno
evidenziato che tale complesso induce una notevole permeabilità di membrana e, di conseguenza,
swelling mitocondriale oltre che perdita del potenziale di membrana. D’altra parte, il trattamento
con concentrazioni micromolari determina una inibizione diretta della catena respiratoria. Inoltre,
tali complesso induce il disaccoppiamento fra la catena respiratoria e la fosforilazione ossidativa.
Infine, è stata anche intrapresa la sintesi di una nuova classe di composti di Cu(I) a sfera di
coordinazione mista. Viste le interessanti proprietà biologiche mostrate dai complessi fosfinici di
Cu(I), con attività citotossiche nel range micro-submicro molare, e le attività ugualmente
interessanti mostrate da complessi di rame contenenti diimine quali bipiridina (bipy) e soprattutto ofenantrolina (o-phen), sono state studiate le proprietà biologiche di complessi di rame(I) contenenti
entrambe le tipologie di leganti. I primi risultati indicano che complessi del tipo
[Cu(X)(PR3)(N∩N)] (X= Cl, N∩N= dimethyl-o-phen, R= CH2OH, PTA) manifestano una marcata
azione antiproliferativa soprattutto nei confronti di cellule tumorali di origine mesenchimale e che, a
differenza di quanto riscontrato a seguito di trattamento con Cu(thp)4][PF6], la morte cellulare
avviene attraverso l’attivazione di un processo di tipo apoptotico.
Infine, sempre nell’ambito dello studio di nuovi farmaci metal-based, in collaborazione con alcuni
ricercatori del Dipartimento dei Processi Chimici dell’Ingegneria dell’Università di Padova, è stato
ampliato lo studio inerente i complessi a base di Pt(II) progettando complessi di platino a geometria
trans. Recentemente, infatti, è emerso un crescente interesse anche verso complessi di platino con
geometria trans, come ampiamente dimostrato dalla letteratura riguardante complessi di Pt con
imminoeteri, ammine aromatiche, cicloexilammina, e ammine alifatiche ramificate. Il complesso di
platino con imminoeteri, trans-[PtCl2{E-HN=C(OMe)Me}2], è stato il primo esempio di un
complesso di platino a geometria trans dotato di attività antitumorale in vivo, e le principali
proprietà farmacologiche di questa classe di complessi sono state recentemente descritte. I nostri
studi hanno avuto come principale obiettivo lo sviluppo razionale dei complessi-guida di platino
con ammidine trans-[PtCl2{HN=C(R)NR’R’’}2] contenenti gruppi R e R’ di varia idrofilia. In
particolare sono stati preparati complessi acetonitrilici e benzonitrilici con ammine alifatiche
primarie (di forma ZZ) e secondarie (di forma EE). I risultati ottenuti hanno indicato che alcuni
derivati benzonitrilici promuovono effetti antiproliferativi superiori al cisplatino, non presentano
resistenza crociata con il tale chemioterapico di riferimento e che l’effetto antiproliferativo di tali
derivati dipende da peculiari proprietà di interazione con il DNA, rappresentate dalla formazione di
addotti monofunzionali su residui purinici con regioselettività diversa da quella del cis-platino. In
via preliminare è stata infine valutata l’attività antitumorale in vivo di un nuovo complesso
imminoetereo, cis-[PtCl2{Z-NH=(OMe)CH2Ph}2], su alcuni tumori trapiantabili murini
determinando gli effetti del trattamento chemioterapico sia sulla crescita del tumore che sul
prolungamento dell’aspettativa di vita dell’ospite portatore. Si è potuto verificare come il
trattamento con il complesso imminoetereo di Pt(II) sia in grado, oltre che di rallentare lo sviluppo
del tumore aumentando così i tempi di sopravvivenza dell’ospite, anche di comportare la guarigione
degli animali in misura più efficace rispetto al cis-platino, e tutto questo a fronte di una ridotta
tossicità sistemica.
Più di recente è stata valutata l’attività biologica di una nuova serie di composti del tipo trans- [Pt
(ammina)2 (ammidina)2][Cl]2 derivati dalla reazione del trans-[PtCl2(NCCH3)2] e varie ammine
ciclice alifatiche (ciclopropil-, ciclopentil-, cicloesil-ammina, etc.). E’ stato indagato il
comportamento in soluzione dei nuovi complessi di Pt(II) in differenti solventi come l’acqua, il
dimetilsolfossido, il polietilene glicole (PEG 400) e il dimetiletere di polietilene glicole (PEG-DME
500).
83
I risultati indicano il PEG 400 come il migliore tra i solventi usati e il complesso dicationico
trans-[Pt(NH2CH(CH2)4CH2)2{N(H)=C(CH3)N(H)CH(CH2)4CH2}2]2+[Cl-]2 come quello dotato di
Schema 1
3+
L
(6)N
Pt
N( 1)
L
L
H
N( 1)
L
Pt
9-MeAd
L
N( 6)
(1)N
2+
H
O
L
Me CN
Pt
Pt
L
O
H
L
1-MeCy
Me
N( 6)
N
- M eCN
L
N
+
N
Me
C
N
N( 4)
Pt
L
C
Pt
L (1)N
3
H
L
Me CN
Pt
L
2
L
N(6)
+
Me
N
N( 3)
O
N
1
Me
4
migliori caratteristiche, capace di indurre nelle cellule tumorali apoptosi mediata dalla p53.
2. Tematica 5 “Nuovi Farmaci inorganici in oncologia”.
Parte 3. Ruolo dei leganti ancillari nella interazione di complessi analoghi al cisplatino con
nucleobasi modello
Longato Bruno, Montagner Diego
Nell’ambito dello studio delle interazioni di componenti del DNA con complessi fosfinici di
Pt(II), strutturalmente analoghi al cisplatino, sono stati caratterizzati una serie di addotti platinonucleobase la cui nuclearità dipende dalla natura della fosfina utilizzata. Per esempio, la
deprotonazione dell’1-MeCy promossa dall’idrosso complesso cis-[L2Pt(µ-OH)]2(NO3)2 porta alla
formazione della specie trinucleare ciclica cis-[L2Pt{1-MeCy(-H),N3N4}]3(NO3)3 o della specie
mononucleare cis-[L2Pt{1-MeCy(-H),N4}(1-MeCy,N3)]NO3 quando L = PMe2Ph e PPh3,
rispettivamente. Analogamente, la deprotonazione della 9-MeAd forma la specie trinucleare ciclica
cis-[L2Pt{9-MeAd(-H),N1N6}]3(NO3)3 quando L è PMePh2 e quella mononucleare cis-[L2Pt{9MeAd(-H),N6N7}]NO3, quando L = PPh3.
Abbiamo recentemente riportato che, se le reazioni di condensazione vengono condotte in
soluzione di acetonitrile si forma una nuova classe di azametallocicli risultante dalla formale
inserzione di una molecola di solvente in uno dei legami platino-nucleobase, come appare nello
Schema 1, relativo all’interazione dell’idrosso complesso stabilizzato dalla fosfina PMePh2 (1).
La reazione con 9-MeAd decorre attraverso la formazione dell’intermedio cis-[L2Pt{9-MeAd(H)}]3(NO3)3 (2) in cui la nucleobase deprotonata agisce da legante a ponte attraverso gli atomi N1 e
N6. A temperatura ambiente, 2 reagisce lentamente con il solvente formando il complesso cis[L2PtNH=C(Me){9-MeAd(-2H)}]NO3 (L = PMePh2, 3). Una simile reazione avviene con la
nucleobase 1-MeCy formando direttamente la specie cis-[L2PtNH=C(Me){1-MeCy(-2H)}]NO3 (L
= PPh3, 4). Tali complessi appaiono stabili solo in presenza di CH3CN. In DMSO e solventi
clorurati essi rilasciano lentamente la molecola di CH3CN.
Abbiamo ora trovato che il benzonitrile dà inserzione irreversibile nei legami Pt-N4 e Pt-N6
dei leganti 1-metilcitosinato e 9-metiladeninato formando gli azametallocicli cis[L2PtNH=C(Ph){1-MeCy(-2H)}]NO3 (L=PPh3, 5; PMePh2, 6; ½ dppe, 7) e cis-[L2PtNH=C(Ph){9MeAd(-2H)}]NO3 (L=PPh3, 8; PMePh2, 9) che sono stati isolati e caratterizzati come composti puri.
E’ stato dimostrato che la reazione di cis-[(PPh3)2Pt(µ-OH)]2(NO3)2 con 1-MeCy in PhCN è veloce
a temperatura ambiente e forma quantitativamente il prodotto di inserzione 5. Il monitoraggio della
reazione mediante spettroscopia 31P NMR non mostra la formazione di intermedi. L’analoga
reazione con la 9-MeAd, invece, forma la specie intermedia cis-[(PPh3)2Pt{9-MeAd(-H),N6N7}]+
84
precedentemente caratterizzata. Questa, in alcune ora a temperatura ambiente, reagisce con il
solvente generando quantitativamente il complesso 8. Tali trasformazioni sono evidenziate nello
spettro 31P NMR della miscela di reazione ottenuto immediatamente dopo la dissoluzione dei
reagenti e dopo varie ore (Figura 1).
Figura 1. Spettro {1H}31P NMR (parte centrale) della soluzione
ottenuta per reazione di cis-[(PPh3)2Pt(µ-OH)]2(NO3)2 (*) e 9MeAd in PhCN a 27 °C: (a) dopo 2 ore; (b) dopo 48 ore. <
complesso intermedio cis-[(PPh3)2Pt{9-MeAd(-H),N6N7}]NO3;
= prodotto di inserzione cis-[(PPh3)2PtNH=C(Ph){9-MeAd(2H)}]NO3 (8).
Le strutture molecolari dei composti 6 e 8 sono riportate in figura 2.
Figura 2. Struttura del catione cis[L2PtNH=C(Ph){1-MeCy(-2H)}]+
presente in 6 (sinistra) e del
catione cis-[(PPh3)
+
2PtNH=C(Ph){9-MeAd(-2H)}]
presente in 8.
Le lunghezze di legame Pt-N(nucleobase) sono 2.112(7) e 2.116(6)Å in 6 e 8 rispettivamente,
mentre le distanze Pt-N2 risultano essere 2.043(6) e 2.010(6) Å, valori simili a quelli trovati negli
analoghi derivati dell’acetonitrile. In figura 3 è riportata una vista laterale dei complessi dalla quale
è evidenziata la conformazione assunta dal legante nucleobase-benzimidamide rispetto al piano di
coordinazione del platino.
Figura 3. Veduta laterale dei complessi cationici in 6 (sinistra) e 8.
85
I complessi isolati sono stati ulteriormente caratterizzati in soluzione mediante NMR
multinucleare, in CDCl3. L’attribuzione delle risonanze H2 e H8 dell’adenina in 8 è supportata da
esperimenti 1H,15N HMBC, come appare dalla figura 4.
Figura 4. Spettro 1H,15N HMBC NMR di 8 in CDCl3. Le
numerazioni degli atomi di azoto è la stessa usata per la
struttura ai raggi X.
La risonanza H2 a δ 8.28 correla con le risonanze 15N a δ -202 e –143, mentre il protone H8 (a δ
7.95) correla con gli azoti a δ -136 e –224. Quest’ultima risonanza a sua volta correla con i protoni
metilici del sostituente N9. La risonanza del protone NH (segnale largo a δ 6.32), correla con
l’azoto N2 del nitrile a δ -242 (non riportato in figura), con una 1JNH di circa 80 Hz.
I complessi 3-9 contengono pertanto, quale legante anionico, la forma deprotonata delle amidine
R
riportate nello schema a lato.
R
I complessi 5-9, a differenza degli analoghi
con l’acetonitrile, sono indefinitamente stabili in
N(4)
H(2)N
N(6)
H(2)N
DMSO o solventi clorurati; la più alta stabilità
(7)
termodinamica dei prodotti di inserzione del
H(3)N
N
H(1)N
benzonitrile è stata attribuita a una più estesa
delocalizzazione elettronica di tipo π del legante
N
N
O
N
organico. E’ da notare che reazioni di accoppiamento
(3)
Me
Me
di nitrili con l’azoto esociclico di 9-MeAd e 1-MeCy
del tipo qui riportato, hanno solo un precedente in
R = Me, Ph
letteratura.
+
+
H
H
R
N
H
(7)
N
N
(3)
H
H
N
(1)N
R
N
H
N
Me
N
NO3
NO3
(3)N
O
N
Me
La protonazione dei complessi 3-9 con soluzione
acquosa di HCl ha permesso di isolare i composti
amidinici nella loro forma cationica riportata a lato,
recuperando il platino come cis-L2PtCl2. Queste
nucleobasi funzionalizzate sono state caratterizzate
spettroscopicamante in H2O e DMSO e in solido,
per la benzamidina contenente la citosina,
mediante diffrazione ai raggi X (Figura 5).
86
Figura 5. Struttura molecolare del composto
[H2N=C(Ph){1-MeCy(-H)}]NO3.
N(4)-C(3)
1.360(3) Å
N(4)-C(4)
1.398(2) Å
C(3)-N(4)-C(4) 127.54(17)°
Le potenziali proprietà di citotossicità dei complessi 5-9, indefinitamente stabili in soluzione
di DMSO, e quella dei leganti amidinici, solubili in acqua nella loro forma cationica, verranno
valutate nei confronti di appropriate linee cellulari in collaborazione con la Prof. Marzano del
Dipartimento di Scienza Farmaceutiche.
87
88
UNITA’ DI RICERCA DI PALERMO
Direttore Scientifico: Prof. Lorenzo Pellerito
L'attività scientifica dell’unità locale di Palermo, come conseguenza della sua composizione, si è
svolta nell’ambito di quattro differenti tematiche di ricerca:
1. Sintesi, struttura allo stato solido ed in soluzione di complessi di ioni metallici ed
organometallici con molecole presenti nei sistemi biologici, e loro attività citotossica in
vitro ed in vivo.
2. Proprietà termodinamiche standard per la formazione di complessi.
3.Termodinamica di sistemi acquosi copolimero/tensioattivo
convenzionale.
4. Indagini Archeometriche.
1. Sintesi, struttura allo stato solido ed in soluzione di complessi di ioni metallici ed
organometallici con molecole presenti nei sistemi biologici, e loro attività citotossica in vitro
ed in vivo.
Nell'ambito del progetto di ricerca proposto dall'unità di Palermo dal titolo "Nuovi complessi
metallici ed organometallici con potenziale attività antiproliferativa: metodologie integrate di
valutazione", l'attività di ricerca si è sviluppata lungo due diverse linee. La prima, preliminare al
progetto, ha riguardato la sintesi, le indagini configurazionali allo stato solido ed in soluzione,
mentre la seconda linea di ricerca ha riguardato l'attività citotossica di nuovi complessi metallici ed
organometallici nei confronti di organismi modello.
E’ stato da noi dimostrato che due complessi della mesotetra(4-sulfonatofenil) porfinato (TPPS) ,
in particolare (Bu2Sn)2TPPS e (Bu3Sn)4TPPS, inducono apoptosi su cellule umane A375. Per capire
come questi composti attivino tale meccanismo su cellule di melanoma abbiamo indagato uptake
cellulare di MAPKs e di (Bu2Sn)2TPPS e (Bu3Sn)4TPPS. Esperimenti di Western blotting hanno
mostrato l’attivazione della proteina kinases ERK 1/2, JNK e p38 in cellule di melanoma trattate
con 10 μM (Bu2Sn)2TPPS- e 1 μM (Bu3Sn)4TPPS, il che suggerisce che le tre MAP kinases sono
coinvolte nella morte apoptotica delle cellule A375-trattate.
Sono stati inoltre sintetizzati e caratterizzati con metodi spettroscopici (1H, 13C e 119Sn NMR, FTIR,
119
Sn Mössbauer) complessi di dibutilstagno(IV) di composizione Bu2Sn(LH)2, in cui LH è un
residuo carbossilato derivato dal 2-[(E)-(5-tert-butil-2-idrossofenil)diazenil] benzoato (L1H) con
una molecola di acqua (1), dal 4-[(E)-(5-tert-butil-2-idrossifenil)diazenil]benzoato (L2H) (2) e dal
4-[(E)-(4-idrossi-5-metilfenil)diazenil]benzoato (L3H) (3). Il complesso (1) è stato inoltre
caratterizzato determinandone la struttura cristallina. La struttura molecolare e la geometria dei
complessi (1) (senza molecola di acqua) e (3) sono state ottimizzate mediante metodi quanto
meccanici (PM6). I complessi (1) e (3) mostrano attività citotossica in vitro nei confronti di linee
cellulari di tumori umani quali A498, EVSA-T, H226, IGROV, M19 MEL, MCF-7 e WIDR. Il
composto (3) è quattro volte più attivo del CCDP nei confronti delle linee cellulari A498, EVSA-T
e MCF-7. E’ inoltre quattro, otto e sedici volte più attivo di ETO nei confronti delle linee cellulari
A498, H226 and MCF-7.
Inoltre sono stati sintetizzati ed indagati, con analoghe tecniche spettroscopiche, complessi di
trifenilstano con composizione Triphenyltin(IV) complexes of composition
[Ph3SnL1H]n e [Ph3SnL2H]n (L1H= 2-[(E)-2-(3-formil-4-idrossifenil)-1-diazenil]benzoato
e L2H = 2-[(E)-2-(4-idrossifenil-5-metilfenil)-1-diazenil]benzoato) e la loro struttura molecolare e la
loro geometria ancora una volta ottimizzate con metodi quanto meccanici (PM3). Anche questi
complessi mostrano attività antitumorali nei confronti delle linee cellulari A498, EVSA-T,
H226, IGROV, M19 MEL, MCF-7 e WIDR superiori al CCDP, al 5-FU ed all’ETO. La loro attività
è ben 22 volte (A498), 33 volte (H226) maggiore del CCDP , e ben 13 volte (A498), 39
volte(H226) e 33 volte (MCF-7) rispetto all’ETO.
89
Sono stati inviati per la pubblicazione su Journal of Organometallic Chemistry e sul Journal of
Inorganic Biochemistry due lavori concernenti la sintesi , la caratterizzazione strutturale ed indagini
citotossiche nei riguardi di cellule cancerogene epatiche di derivati tri e diorganostagno(IV). In
particolare, i diorganostagno derivati della N-acetl-L-cisteina sono stati oggetto di un brevetto.
2. Proprietà termodinamiche standard per la formazione di complessi.
Coerentemente con la linea di ricerca condotta negli ultimi anni, le indagini condotte nel 2009 sono
state indirizzate allo studio delle proprietà acido base di sistemi di interesse ambientale e biologico.
In particolare:
a) è stato messo a punto un modello di protonazione di leganti polielettrolitici di sintesi (poliacrilati
e polimetacrilati e poliallilammina) e di origine naturale (acidi fulvici, acidi umici, chitosano,
pectina, etc.) secondo il quale l’unità monometrica di ogni polielettrolita viene considerata come
una unità diprotica le cui proprietà acido base possono essere definite semplicemente da due
costanti di protronazione KH1 e KH2 nellintero intervallo di pH acido. Questo modello, testato su un
elevato numero di polielettroliti, ha fornito risultati molto simili a quelli ottenibili dalle classiche
equazioni di Henderson-Hasselbach e di Hogfeldt, dimostrando di potere essere utilizzato con
notevole riduzione di difficoltà nei calcoli (nota 1).
Sulla base dei risultati ottenuti dalle indagini di cui al punto a) sono state definite le proprietà acido
base e la capacità di interazione dei singoli sistemi
b) la stabilità di specie complesse formatesi dalla interazione di policarbossilati di sintesi
(poliacrilati e polimetacrilati) con ioni rame (II) e cadmio (II); lo studio, condotto mediante
potenziometrica ISE-H+ e ISE Me2+, è stato finalizzato alla possibilità di uso di detti polilettroliti
come agenti sequestranti nei confronti di ioni metallici; (nota 2)
c) sono state definite le proprietà acido-base, la solubilità in soluzione acquosa e i coefficienti di
attività del sistema chitosano (nota 3) per il quale è stata anche messa in evidenza la capacità di
interazione come catione di poliammonio nei confronti di ioni e molecole con caratteristiche di basi
di Lewis;
d) In relazione al punto c) è stata studiata, in particolare, la capacità di interazione del chitosano
(nella sua forma protonata) nei confronti di leganti carbossilici a basso e ad alto peso molecolare
(nota 4) e fosforici inorganici (fosfati e pirosfofati) e organici (ATP) (nota 5). I risultati sono stati
messi in relazione all’interesse spesso riportato in letteratura per l’uso del chitosano nel settore
biomedico.
3. Termodinamica di sistemi acquosi copolimero/tensioattivo convenzionale
L’attività scientifica è stata indirizzata allo studio di macromolecole interagenti con fasi disperse in
ambiente acquoso e in matrice solida basandosi su studi termodinamici, strutturali e
spettroscopiche. L’attività scientifica può essere così riassunta:
1) Sistemi auto-organizzati di nuovi idrogelators - E’ stata effettuata una dettagliata
caratterizzazione chimico-fisica di un nuovo tensioattivo fluorurato che forma gels a concentrazione
molto diluita. A tal fine, sono state adoperate diverse tecniche quali la calorimetria differenziale a
scansione (DSC), la termo gravimetria (TGA), la spettroscopia di fluorescenza, la densità, la
diffusione dinamica della luce, la viscosità e la microscopia ottica.
2) Nanocompositi costituiti da copolimeri biocompatibili - I nanocompositi sono materiali che
esibiscono strutture uniche e proprietà straordinarie assenti nei tradizionali compositi (stabilità
termica e meccanica, ridotta infiammabilità, proprietà di barriera, ecc.) caratterizzati dalla presenza
di nanofillers. L’attività di ricerca nel campo dei nanocompositi ha riguardato la sintesi e la
caratterizzazione di nanomateriali costituiti da nanoargille e nanosilice e macromolecole.
Gli studi si sono basati sulle tecniche di DSC, diffrazione a raggi X (XRD) e SANS. Studi di
DSC e TGA a velocità variabili di riscaldamento/raffreddamento hanno permesso di studiare la
cinetica del processo di cristallizzazione/degradazione dei nanocompositi. Esperimenti SANS hanno
90
mostrato che la presenza di strutture frattali che determinano il comportamento macroscopico dei
nanocompositi.
4. Indagini Archeometriche.
Una delle caratteristiche irrinunciabili delle tecniche di indagine di reperti di interesse archeologico
è quella di essere non invasive e quindi non distruttive. Altra caratteristica importante è di essere in
grado, se necessario, di investigare materiali di varia natura (pietre, metalli, legni) e talvolta anche
di grande spessore e/o dimensioni.
Fra le varie tecniche che di recente abbiamo usato per investigare reperti di interesse archeologico o
per sviluppare metodi di recupero di beni culturali, quelle tomografiche e radiografiche ci hanno
fornito risultati interessanti. Infatti l'utilizzo delle tecniche tomografiche, già ampiamente
sperimentate in campo diagnostico e medico, permette l'analisi approfondita di campioni di
interesse culturale senza intaccarne l'integrità.
In alcuni casi abbiamo applicato solo la tomografia neutronica, scelta per la debole capacità di
interazione del neutrone con i nuclei atomici, con conseguente basso coefficiente di assorbimento
in relazione alle specie ad alto numero atomico (p.e. i metalli), in genere completamente opachi ad
altri tipi di tecniche simili. Ciò consente quindi l'ispezione di campioni di massa notevolmente più
grande rispetto a quanto altre sonde permettono di fare.
Nel caso di materiali lignei, che abbiamo iniziato ad investigare nell’ottica di confrontare l’efficacia
dei processi di restauro ad essi applicati, abbiamo anche applicato la tecnica della Tomografia X. Le
caratteristiche complementari delle due tecniche tomografiche, sembrano essere molto promettenti.
Figura 1- Ricostruzione (a destra) di un
Figura 2 - Ricostruzione di reperto di
nave affondata. L’immagine del chiodo
è stata estratta dalla ricostruzione.
reperto di relitto di nave del IV secolo
La figura 1 mostra la ricostruzione tomografica di un reperto fortemente concrezionato recuperato
da una nave affondata presumibilmente fra il IV ed il V secolo D.C. Si tratta di una forcella
ricoperta di uno strato di calcare spesso. La notevole penetrabilità dei neutroni ha consentito di
individuare l'oggetto. La figura 2 mostra una campione (foto a sinistra), la ricostruzione tomografica
(immagine al centro) e l'immagine dell'oggetto contenuto all'interno del reperto. Anche in questo
caso la notevole penetrabilità dei neutroni ha consentito di individuare l'oggetto.
Diverso è il caso di materiali legnosi consolidati con materiali vari. In questo caso l'uso combinato
di Tomografia X (TX) e Tomografia N (TN) consente di sfruttare le caratteristiche complementari
che hanno le due sonde. Le immagini di TX sono a più elevata risoluzione spaziale, ma non
riescono a mettere in evidenza la migrazione del materiale consolidante (tipicamente formato da
tomi leggeri), al contrario dei neutroni che forniscono immagini di risoluzione spaziale inferiore,
ma mettono in evidenza chiaramente la distribuzione spaziale del materiale consolidante.
91
Tutti i reperti investigati, tranne i materiali lignei, ci sono stati gentilmente forniti dalla
Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia, ed appartengono a relitti di navi naufragate vicino
alla costa Siciliana.
92
UNITA’ DI RICERCA DI PARMA
Direttore Scientifico: Prof.ssa Marisa Ferrari Belicchi
Sono di seguito descritti i risultati ottenuti nell’anno 2009 relativamente all’attività svolta
nell’ambito della tematica “Nuovi farmaci inorganici in oncologia”.
Approfondimento del meccanismo di morte cellulare programmata non apoptotica attivata da
complessi di Cu(II).
Il progresso nelle terapie antitumorali richiede una migliore comprensione di come le cellule
tumorali sono indotte a morire. Benchè in passato il meccanismo apoptotico sia stato considerato
come l’unico processo in grado di uccidere le cellule tumorali, il ruolo di altri tipi di morte
programmata inizia ad essere riconosciuto come risposta alla terapia antitumorale. Un tipo di morte
cellulare caratterizzato da una specifica morfologia cellulare si è osservato durante lo sviluppo
embrionale ma anche in malattie neurodegenerative. Quest’ultimo processo di morte cellulare è
caratterizzato da una massiva vacuolizzazione citoplasmatica ed è noto come paraptosi. Molti studi
hanno riportato questo tipo di morte cellulare, ma il meccanismo di azione che lo caratterizza a
livello molecolare non è ancora stato ben chiarito. Una serie di composti triazolici complessati con
Cu(II) sono stati sintetizzati e tra questi il più efficace nei confronti di diverse linee cellulari è
risultato essere [CuCl2(H2L)]Cl dove HL = 4-ammino-1,4-diidro-3-(2-piridil)-1,2,4-triazolo-5-tione
(A0). Sulla linea cellulare HT1080, A0 e il cisplatino hanno mostrato attività antitumorale
comparabile, ma il tipo di morte indotta dai due composti è diversa. Mentre il cisplatino induce la
tipica apoptosi caspasi-dipendente, A0 inibisce l’attività della caspasi-3 e dà origine a un processo
di morte programmata che non presenta i tipici tratti apoptotici. In particolare, grossi vacuoli
derivanti dal reticolo endoplasmatico sono la caratteristica morfologica più evidente del processo di
morte indotto da A0. In seguito al trattamento con A0 si ha un notevole incremento di rame
intracellulare e un incremento della concentrazione del glutatione ossidato. Come confermato da
altri complessi di Cu(II), è possibile che A0 possa espletare la sua funzione in seguito all’inibizione
del proteasoma, fatto che porta all’accumulo di proteine “misfolded” che risultano essere tossiche
per la cellula. Durante questo anno sono state confrontate le differenti risposte da parte di diverse
linee cellulari trattate sia con A0 che con cisplatino e si è approfondito il meccanismo di azione di
A0. Tale studio ha mostrato una ben definita risposta trascrizionale e traduzionale che è alla base
del meccanismo di morte paraptotico. Uno studio effettuato su un pannello di 48000 geni mediante
microarray e l’analisi delle caratteristiche morfologiche delle cellule trattate con A0 e cisplatino
hanno mostrato che la risposta cellulare dei due composti è effettivamente differente, in accordo
con il diverso meccanismo di morte cellulare, apoptotico per il cisplatino e paraptotico per A0.
Inoltre non si è osservata resistenza incrociata tra A0 e cisplatino in due coppie di linee cellulari
resistenti e sensibili al cisplatino: C13*(cisplatino-resistenti)/2008(cisplatino-sensibili) e
HT1080PTR(resistenti)/HT1080(sensibili). L’analisi mediante microarray ha confermato che
l’attività del cisplatino si manifesta per arresto del ciclo cellulare in seguito all’espressione del gene
p53, mentre A0 ha mostrato una più ampia risposta trascrizionale. In particolare le due principali
categorie di geni che sono attivate da A0 ma non da cisplatino sono quelle legate a 1) stress del
reticolo endoplasmatico e 2) geni regolati da presenza di metalli. La dilatazione del reticolo
endoplasmatico e la vacuolizzazione sono processi che caratterizzano a livello morfologico la morte
paraptotica e, recentemente, è stato osservato un rapporto tra questo tipo di morte cellulare e lo
stress del reticolo indotta dagli inibitori del proteasoma. In particolare, lo stress da reticolo è spesso
associato alla presenza di proteine “misfolded”, il cui accumulo deriva da una inibizione
dell’attività del proteasoma. La risposta che la cellula attiva quando sono presenti grandi quantità di
proteine “misfolded” è nota come “unfolded protein response” (UPR). Un legame tra la morte
paraptotica indotta da A0 ed UPR è stato ottenuto mediante l’utilizzo della mappa di connettività. In
particolare, il set di geni che sono attivati o inibiti solo da A0 e non da cisplatino ha una notevole
93
somiglianza con le risposte a ben noti induttori di UPR e che sono inibitori del proteasoma:
geldanamycin, 17-allylamino-geldanamycin e MG-132. È interessante notare che il punteggio più
alto di somiglianza è stato ottenuto per il 15-delta-prostaglandin J2 che ha dimostrato indurre una
morte cellulare paraptotica sorprendentemente simile a quella provocata da A0. Inoltre, l'analisi
microarray effettuata su cellule di tumore trattate con un putativo inibitore del proteasoma, ha
identificato una serie di 28 geni up-regolati, 21 dei quali sono stati anche up-regolati da A0. Queste
osservazioni, insieme con la capacità di A0 di aumentare la quantità di proteine poli-ubiquitinate, ci
ha spinto a valutare se A0 inibisce direttamente l'attività del proteasoma. I risultati dimostrano che il
complesso di rame inibisce significativamente l'attività chimotripsinica del proteasoma. Tuttavia,
nonostante la parziale sovrapposizione di attività di A0 e di inibitori del proteasoma, solo questi
ultimi eseguono la morte cellulare attivando la caspasi, mentre il complesso di rame inibisce la
caspasi-3 e attiva un programma di morte caspasi-indipendente. Pertanto, la morte cellulare
paraptotica può essere un percorso di backup di morte delle cellule che si verifica quando è
raggiunta una quantità critica di proteine “misfolded” e, contemporaneamente, la macchina
apoptotica è ostacolata. Proponiamo un modello per il meccanismo d'azione di A0, sulla base sia
delle prove sperimentali che dei dati riportati in letteratura. Secondo questo modello, il trattamento
delle cellule tumorali sensibili con il complesso di rame provoca un sovraccarico della quantità di
metallo intracellulare, evento ritenuto la causa primaria del danno cellulare. Di conseguenza, le
proteine poli-ubiquitinate si accumulano, a causa di 1) perturbazione del folding delle proteine, 2)
danno selettivo ossidativo delle proteine e 3) danno diretto al proteasoma. Il nostro modello
suggerisce inoltre che l'accumulo di proteine misfolded sia alla base dello stress del reticolo
endoplasmatico e di UPR. Coerentemente, le cellule trattate con A0 mostrano una morfologia
alterata del reticolo endoplasmatico caratterizzata da una massiccia vacuolizzazione. L’inibizione
del proteasoma mediata dal rame impedisce la degradazione delle proteine “misfolded”,
determinando l’attivazione del meccanismo di morte programmata dipendente da UPR. La capacità
di A0 di provocare un notevole stress al reticolo endoplasmatico, e al tempo stesso, di inibire la
caspasi-3, spinge la cellula verso il tipo di morte cellulare paraptotico.
Modulazione di UPR in cellule tumorali HT1080
operata da A0.
a, immunoblot analysis of the expression of GADD34,
CHOP, and BIP. GAPDH was used as loading control.
b, analysis of XBP-1 mRNA splicing. qRT-PCR
analysis was performed with primers designed to
recognize selectively the spliced form of XBP-1
mRNA. c, detection of ubiquitinylated proteins. The
immunoblot analysis was performed with an antiubiquitin antibody. Molecular weights (kDa) were
indicated, and α-tubulin was used as loading control.
d, effect of A0 on proteasome activity. Dose response
curves for the inhibitory effect of A0 and CuCl2 on the
chymotrypsin-like activity were obtained incubating
HT1080 cell extracts with the fluorogenic proteasome
substrate in the absence (control) or in the presence of
the compounds at indicated concentrations. The effect
of 2.5 µM MG132 is shown for comparison. e,
influence of A0 on changes in cell viability induced by
the proteasome inhibitor MG132. Cells were incubated
for 24 h with the indicated concentrations of MG132 in
the presence (black bars) or absence (white bars) of 20
µM A0. g, effect of protein synthesis inhibition on the
A0-induced cell death. HT1080 cells were left untreated or treated for 24 h with A0 25 µM,
94
cycloheximide (2 µg/ml), or both. After treatment, the activity of lactate dehydrogenase released in
the medium was assessed and reported as arbitrary units. h, effect of protein synthesis inhibition on
the A0-induced accumulation of ubiquitinylated proteins. Cells were incubated under the same
condition adopted for LDH assay. Molecular weights (kDa) are indicated and α-tubulin reported as
loading control.
Sintesi, caratterizzazione, attività antiproliferativa e citotossica di complessi di rame e nichelio
con tiosemicarbazoni.
Proseguendo nello studio di complessi di nichelio e di rame con tiosemicarbazoni, SN ed SNO
chelanti, è emerso che il complesso di nichelio con il tiosemicarbazone del citronellale (H-S-tcitr),
nella sua forma S, ([Ni(S-tcitr)2]), entra nella cellula in quantità significativa, inibisce la
proliferazione cellulare, induce apoptosi e influenza il ciclo cellulare su linee cellulari leucemiche
umane. Successivamente, per verificare l’effetto biologico cooperativo di due diverse specie
chimiche e per cercare di migliorare la solubilità in acqua, abbiamo modificato il tiosemicarbazone
del citronellale (H-S-tcitr) funzionalizzando l’atomo di azoto terminale con il radicale
etilmorfolinico. I nostri studi si sono quindi indirizzati alla sintesi ed alla caratterizzazione
chimica/biologica del legante
S
O
+
N
NH
H2N NH
NH
S
NH
N
O
N
O
S-citronellal etilmorfolinotiosemicarbazone (EtMorfH-S-tcitr) e dei relativi complessi di rame e di
nichelio [Cu(EtMorf-S-tcitr)2] e [Ni(EtMorf-S-tcitr)2]. L’analisi ai raggi X dei complessi ha
dimostrato che sono isomorfi, con lo ione
metallico su un centro di simmetria. La
geometria di coordinazione è quadrata planare
ed è determinata da due molecole di legante
che si comporta da SN bidentato in forma
deprotonata.
Data l’importanza dello studio del meccanismo
di trasporto di chemioterapici a base metallica
nella cellula fra membrana del plasma e
membrana del nucleo, per il legante ed i
complessi in esame è stato determinato il
coefficiente di partizione fra un solvente
idrofobico, ottanolo, e acqua. In generale
composti con valori di log Pow minori di 1,5
tendono a mostrare una minima distribuzione in membrane lipidiche, mentre composti con valori
compresi tra 2 e 4 mostrano un’ottima distribuzione nelle stesse membrane (ad es. il complesso
CuKTSM2, un tiosemicarbazonato di rame, che ha una buona attività antitumorale, presenta un
valore di log Pow >2 ed è stato verificato che tende ad essere distribuito attraverso il doppio strato
lipidico). Nel nostro studio il legante libero presenta un log Pow di 3,55±0,61, mentre i due
complessi metallici [Cu(EtMorf-S-tcitr)2] e [Ni(EtMorf-S-tcitr)2] mostrano un valore di log Pow
rispettivamente di 3,14±0,44 e 3,27±0,39. Si può osservare quindi che il legante ed i relativi
complessi hanno coefficienti di partizione simili. Questo comportamento può essere giustificato dal
fatto che nei due complessi a natura molecolare con la chelazione metallica viene mascherata la
parte polare del legante e privilegiato il ruolo delle lunghe catene alifatiche apolari.
95
% of inhibition
Sono state poi studiate le proprietà antiossidanti dei complessi in esame nei confronti di specie
radicaliche; in particolare abbiamo eseguito alcuni saggi di “scavenging” verso i radicali: NO e
DPPH. (diphenylpycrilhydrazide). Particolarmente importanti sono le prove come “scavanger” nei
confronti di NO, se si considera che la sovraproduzione di NO è implicata in un’ampia varietà di
malattie. Risulta quindi rilevante poter regolare l’eccesso di NO prodotto. Lo “scavenging” di NO è
stato valutato mettendo in incubazione nitroprussiato di sodio con diverse concentrazioni dei due
complessi a 25°C. Negli esperimenti è stata misurata la quantità di nitrito prodotto da NO nel mezzo
di reazione utilizzando il reattivo di Griess. Ad una concentrazione 1µM entrambi i complessi
distruggono circa il 40% di NO prodotto e ad
Cu(II) complex (2)
Ni(II) complex (3)
una
concentrazione
10 µM [Cu(EtMorf-S70
tcitr)2] e [Ni(EtMorf-S-tcitr)2] distruggono
rispettivamente circa il 45% e 55% di NO
60
prodotto (Figura a lato). Successivamente è stata
50
valutata l’attività di “scavenging” nei confronti
40
del radicale DPPH. riportata nella figura
30
sotto. Per il complesso di rame nessuna attività
20
si presenta fino ad una concentrazione 10 µM e
10
a 50 µM è distrutto solo il 25% di radicale
0
prodotto. Il complesso di nichelio invece non
0
1
10
50
mostra alcuna attività a qualsiasi livello di
Complex ( M)
concentrazione usato. E’ da notare che la
generale scarsa attività antiossidante di questi
complessi metallici a bloccare radicali ossidanti
monoelettronici
potrebbe
essere
attribuita
all’impossibilità a donare o ricevere un elettrone a
causa della loro stabilità redox. La più alta attività di
”scavenging” verso NO potrebbe essere giustificata dal
piccolo ingombro sterico, rispetto al radicale DPPH.,
che permette un miglior avvicinamento al centro
metallico.
30
% of inhibition
25
20
15
10
5
0
Per quanto riguarda la valutazione di proprietà
biologiche sono state eseguite prove di inibizione della
proliferazione sulla linea cellulare di linfoma istiocitico
U937 mediante saggio MTS, un metodo colorimetrico per determinare il numero di cellule in
proliferazione. Le cellule sono state trattate con differenti concentrazioni dei composti (0,5, 1,5, 10,
50 µM) per 24 h. Nel range delle dosi usate, il legante non induce nessuna alterazione di
proliferazione, mentre i due complessi metallici mostrano significativa attività biologica. La più alta
inibizione dose-dipendente della crescita confrontata con il controllo (DMSO 5%) di cellule non
trattate era rilevata dopo trattamento con il complesso di rame. La concentrazione che inibisce del
50% la crescita delle cellule (GI50) o
100% (TGI) era 2,3 µM e 4,6 µM per il
complesso di rame e 12,3 µM e 26,5 µM
per il complesso di nichelio. Inoltre una
forte attività citotossica è stata rilevata e
il livello di effetto LC50 (50% di
concentrazione letale) è stato raggiunto a
7,0 µM e 40,7 µM rispettivamente per il
complesso di rame e quello di nichelio.
I saggi biologici mostrano che l’attività
antiproliferativa dei complessi in esame è influenzata positivamente dalla presenza del frammento
0,1
1
10
50
Complex ( M)
96
morfolinico, essendo più elevata di quella osservata per gli analoghi complessi senza sostituenti
studiati in precedenza e saggiati alla stessa concentrazione.
In parallelo sono stati fatti studi per valutare l’influenza dello stato di ossidazione del rame sulle
proprietà biologiche di complessi con derivati tiosemicarbazonici. In particolare sono stati studiati
tiosemicarbazoni di rame(I) in relazione anche alla loro stabilizzazione in soluzione acquosa. I
reagenti utilizzati sono stati l’acetato e il nitrato di bis(trifenilfosfina)rame(I), scelti per la presenza
della trifenilfosfina che stabilizza il rame nel suo più basso stato di ossidazione e che, in analogia a
quanto riportato in letteratura per complessi di rame(I) con tioamidi, potrebbe influenzare
positivamente la solubilità. Questi sali sono stati fatti reagire con una serie di derivati del
tiosemicarbazone del piruvato di metile (Hmpt), legante potenzialmente SNO tridentato, contenenti
sull’azoto terminale sostituenti di diversa natura e dimensione: etile, fenile, metilfenile (Et-Hmpt,
Ph-Hmpt, MePh-Hmpt).
S
NH
S
N NH
S
NH
NH
N NH
N NH
O
O
O
O
O
O
Variando sia il solvente che il controione del sale di rame, siamo riusciti ad imporre ai leganti un
comportamento chelante NS. Sono stati caratterizzati mediante spettroscopia IR, 1H NMR, EPR e
analisi diffrattometrica ai raggi X i complessi: [Cu(PPh3)2(Et-Hmpt)]2(NO3)2, [Cu(PPh3)2(PhHmpt)]NO3 , [Cu(PPh3)2(MePh-Hmpt)]NO3, [Cu2(O2CCH3)(Et-pt)(PPh3)2].H2O, [Cu(Phmpt)(PPh3)] e [Cu2(MePh-mpt)2(PPh3)2]. I complessi ottenuti dai nitrati sono cationici con il nitrato
come controione, mentre quelli derivati dall’acetato presentano leganti deprotonati e alcune
caratteristiche strutturali inattese. In
particolare
il
composto
.
[Cu2(O2CCH3)(Et-pt)(PPh3)2] H2O
è
risultato essere un complesso dinucleare a
valenza mista con un atomo di ossigeno
dell’acetato e un atomo di zolfo del
tiosemicarbazone disposti a ponte fra i
due ioni Cu(I) e Cu(II) con geometrie di
coordinazione rispettivamente tetraedrica
e quadrata planare (vedi figura a lato). Il
complesso [Cu2(MePh-mpt)2(PPh3)2] si
presenta invece come un cluster
dinucleare con l’atomo di zolfo a ponte
tra due atomi Cu(I).
97
98
UNITA’ DI RICERCA DI PAVIA
Direttore Scientifico: Prof. Luigi Casella
Gruppo di Ricerca del Prof. Luigi Casella
Attività scientifica
L’attività del gruppo di Pavia si è focalizzata sullo studio della modificazione chimica di
proteine indotta enzimaticamente in seguito a stress ossidativo e nitrativo e per effetto di chinoni
reattivi. Sono state in particolare studiate le conseguenze strutturali e funzionali di tali
modificazioni sui membri principali della famiglia delle globine, mioglobina, emoglobina e
neuroglobina, e sono stati identificati i residui coinvolti. Dopo aver studiato in modo esteso gli
effetti della modificazione da parte della dopammina, il neurotrasmettitore utilizzato dai neuroni
della substantia nigra, che risultano selettivamente danneggiati nel corso della malattia di Parkinson,
nel corso dell’ultimo anno gli studi di modificazione di proteine sono stati estesi alla noradrenalina.
Questa catecolammina viene infatti utilizzata come neurotrasmettitore in altri distretti cerebrali
della zona mediana del cervello, come il locus coeruleus; anche se la presenza di quantità minori di
neuromelanina in questo tipo di neuroni risulta inferiore a quella della substantia nigra la reattività
dei chinoni prodotti dalla noradrenalina in seguito a stress ossidativo può potenzialmente produrre
effetti analoghi a quelli della dopammina. In effetti queste previsioni sono confermate dai nostri
risultati preliminari. L’aspetto più generale che emerge sia dagli studi effettuati con dopammina sia
da quelli effettuati utilizzando noradrenalina è che la modificazione di un numero limitato di residui
produce già una significativa riduzione della stabilità delle proteine e induce una forte tendenza a
formare aggregati.
Nel campo dello studio dei rame enzimi si è affrontato lo studio a bassa temperatura dell’intermedio
ternario della tirosinasi, costituito da enzima/ossigeno/fenolo, che rappresenta la specie chiave nel
meccanismo di ossidrilazione dei fenoli (attività monofenolasica). Per condurre questo studio è
stato necessario utilizzare un solvente misto acquoso-organico, nel quale l’enzima si comporta in
maniera simile al mezzo acquoso, e individuando un substrato particolarmente lento dell’enzima
quale il 3,5-difluorofenolo. L’attività dell’enzima su questo substrato è stata caratterizzata
intercettando il prodotto chinonico con glutatione, che con il suo gruppo tiolico reattivo reagisce
rapidamente con il chinone a mano a mano che si forma. Seguendo poi la reazione enzimatica alla
temperatura di -30 °C tramite lo spettro caratteristico della forma ossigenata della proteina si è
potuto stabilire che l’introduzione del fenolo e il successivo turnover dell’enzima avvengono senza
alcun cambiamento significativo dello spettro, per cui la forma perossidica dell’addotto con
ossigeno costituisce la specie ossidante dell’enzima.
Nel campo dei modelli biomimetici della tirosinasi si è riprodotta l’attività ossidativa dell’enzima
sui solfuri organici per dare i corrispondenti solfossidi in presenza di un opportuno co-substrato.
Mentre nel caso della tirosinasi il co-substrato più efficace era un catecolo, la L-dopa, utilizzando
complessi binucleari di rame si è trovato che il co-substrato più conveniente è l’idrossilammina.
L’attività catalitica di complessi di rame nella solfossidazione è stata descritta qui per la prima volta
utilizzando ossigeno molecolare e l’efficienza catalitica si dimostra paragonabile a quella dei
migliori catalizzatori metallici fino ad oggi riportati.
Gruppo di Ricerca del Prof. Luigi Fabbrizzi
Attività scientifica
L’attività di ricerca del progetto è stata rivolta alla sintesi di nuovi recettori e sensori per piccole
molecole e anioni e allo studio delle interazioni tra recettore e substrato.
Sono stati sintetizzati nuovi recettori per anioni basati su Criptati dimetallici con spaziatori attivi e
cavità insolitamente ampie. In questi sistemi del tipo bistren, due subunità tetramminiche tripodali
sono covalentemente connesse da spaziatori. La gabbia bistren, secondo un meccanismo a cascata,
include prima due ioni metallici, es. CuII, che, coordinativamente insaturi, sono capaci di
incapsulare anioni ambidentati, determinando una selettività geometrica. Tale selettività è
99
essenzialmente determinata dal tipo di spaziatore congiungente gli atomi di azoto amminici
terminali delle due subunità tren. In particolare, sono stati considerati criptandi del tipo bistren nei
quali lo spaziatore esercita un ruolo attivo, interagendo con l’anione incapsulato. E’ il caso dello
spaziatore furano che è capace di stabilire interazioni con gli ioni cloruro e bromuro attraverso la
donazione di densità elettronica dagli orbitali π di legame dei due legami C=C agli orbitali dπ vuoti
dell’alogenuro.
a: criptando bistren con spaziatori furanici; b: addotto del criptato dirameico con lo ione Br-.
E’stato poi studiato il sistema bistren nel quale lo spaziatore è rappresentato da due subunità
furaniche tra loro legate in 2, 2’ da un frammento –CH2−. Il criptato dirameico di questo legante è
in grado di riconoscere selettivamente il guanosinmonofosfato (GMP) rispetto ad altri nucleosidi
monofosfati (NMP) in soluzione di H2O/MeOH a pH=7. Il riconoscimento viene segnalato
efficacemente tramite lo spostamento dell’indicatore 6-carbossifluoresceina legato al recettore,
monitorandone l’emissione fluorescente nel giallo. Esperimenti di titolazione hanno messo in luce
che sono simultaneamente presenti parecchi equilibri che coinvolgono i complessi 1:1 e 2:1
recettore/NMP e recettore/indicatore. E’ stato dimostrato che l’aggiunta di NMP sposta l’indicatore
dal complesso 2:1 recettore/indicatore, formando il complesso di inclusione 1:1 recettore/substrato.
La selettività nel riconoscimento èpertatnot da ascrivere alla natura degli atomi donatori del
nucleotide coinvolti nella coordinazione e alla lorocapacità di coprire la distanza CuII-CuII
all’interno del criptato.
Ulteriori studi hanno riguardato la sintesi di recettori per anioni basati su complessi di rame con
macrocicli della famiglia degli azacyclam.
100
I complessi 32+ e 42+ sono stati preparati per mezzo di una sintesi assistita dallo ione metallico,
partendo dalla tetrammina lineare, formaldeide e una fenilurea come frammento di chiusura. Le
interazioni tra complesso e anione coinvolgono sia il centro metallico che il gruppo ammidico NH.
L’affinità dei complessi 32+ e 42+ nei confronti di anioni è stata valutata con studi spettrofotometrici
in soluzionedi DMSO: si è osservato che in queste condizioni né il gruppo NH di un sistema
ammidico modello né il complesso di rame del normale legante azacyclam sono in grado di
interagire con anioni, mentre i complessi 32+ e 42+ stabiliscono forti interazioni con anioni
ossigenati, profittando di un forte effetto cooperativo. In particolare, si formano gradualmente
complessi stabili con lo ione H2PO4- con stechiometrie 1:1 e 1:2 in cui sono presenti sia interazioni
di legame a ponte di idrogeno che interazioni coordinative metallo-legante. Inoltre, in presenza di
un anione basico come CH3COO- i complessi presentano deprotonazione del gruppo NH ammidico
e così profittano della coordinazione assiale dell’ossigeno carbonilico con parziale carica negativa
in una modalità tipo scorpionato.
101
102
UNITA’ DI RICERCA DEL PIEMONTE ORIENTALE
Direttore Scientifico: Prof. Domenico Osella
L’attività di ricerca si inquadra nelle sezioni tematiche “a” (Diagnostici innovativi in oncologia e
malattie cardiovascolari), “c” (Biomateriali e biocristallografia), ”d” (Biosensori e
biostrumentazione) ed “e” (Nuovi farmaci inorganici in oncologia) del Consorzio CIRCMSB.
Agenti di contrasto per MRI (tematica a).
L’attività svolta in questo anno è stata indirizzata a: i) sintesi di nuovi leganti con caratteristiche ad
hoc per la preparazione di complessi di Gd(III) con numero di idratazione pari a 2 ed atti alla
coniugazione a substrati macromolecolari e/o nanosistemi; ii) sviluppo di sonde paramagnetiche ad
elevata efficacia incorporate in strutture di tipo micellare, liposomico e nanosistemi mesoporosi; iii)
studio di nuovi complessi della famiglia HOPO; iv) indagine sistematica su una serie omogenea di
multimeri paramagnetici per uso ad alto campo e confronto della relassività ionica con simulazioni
teoriche.
Leganti AAZTA-like
Il legante AAZTA, progettato e realizzato nei laboratori dell’unità di ricerca, è
COOH
COOH
stato oggetto negli ultimi anni di numerose investigazioni. AAZTA forma
N
COOH infatti con Gd3+ un complesso paramagnetico le cui proprietà sono
N
estremamente interessanti dal punto di vista di una potenziale applicazione
N
come agente di contrasto per MRI. Un punto di forza di tale legante è
AAZTA
COOH
rappresentato dalla significativa stabilità del relativo complesso con il lantanide
nonostante la denticità ridotta (7 atomi/gruppi donatori). Per approfondire la conoscenza del
comportamento coordinativo del legante è stato compiuto nell’anno 2009 uno studio dettagliato
della stabilità dei complessi di tale legante con altri metalli, nel dettaglio metalli alcalino-terrosi,
metalli di transizione di interesse biologico ed altri lantanidi. Ne emerge un quadro dal quale si
evince che la stabilità dei complessi Ln-AAZTA aumenta al diminuire del raggio ionico e raggiunge
nel caso degli ultimi rappresentanti della serie valori comparabili a quelli di classici leganti a
denticità superiore. Sono stati inoltre condotti studi cinetici che hanno permesso di gettare luce sul
meccanismo di decomplessazione/transmetallazione dei complessi lantanidi-AAZTA.
Nell’anno in questione sono proseguiti studi applicativi di complessi di Gd3+
COOH
COOH
con leganti AAZTA-like lipofili. Tra essi, il complesso Gd-HDAAZTA
N
COOH caratterizzato da una lunga porzione alifatica è stato utilizzato per formare
N
C17H35
addotti non covalenti con HDL (High Density Lipoproteins). Le dimensioni
N
di queste ultime particelle sono tali da moltiplicare la rilassività del
HDAAZTA
COOH
complesso paramagnetico, portandola a valori circa quattro volte superiori a
quelle del complesso in forma monomolecolare e non associata. Analoghi sistemi formati da altri
complessi paramagnetici lipofili in associazione con HDL mostrano valori di rilassività nettamente
inferiori a quelli mostrati da addotti HDL-Gd-HDAAZTA e ciò è da ascrivere all’eptadenticità del
legante, che permette a due molecole di acqua di far parte della prima sfera di coordinazione,
aumentandone l’efficienza senza comprometterne la stabilità in condizioni fisiologiche.
Al fine di sfruttare maggiormente le potenzialità dei complessi di AAZTA
COOH
COOH
in sistemi biologici, è stato progettato un analogo bifunzionale del legante.
N
COOH Tale analogo (HMAAZTA) possiede un gruppo ossidrilico alcoolico non
HO
N
impiegato per la coordinazione al centro metallico, è quindi sfruttabile per
N
la coniugazione covalente a biomolecole o altri target di interesse
HMAAZTA
COOH
diagnostico. La sintesi di HMAAZTA, la caratterizzazione del relativo
complesso e uno studio preliminare delle potenzialità di coniugazione sono state realizzate e
pubblicate.
103
Altri agenti di contrasto
La ricerca nell’anno 2009 è stata anche rivolta ad aspetti più prettamente esplorativi, rivolgendo
l’attenzione alla preparazione ed alla caratterizzazione di nuovi leganti e nuovi sistemi
paramagnetici da impiegare come agenti di contrasto.
E’ stata realizzata una struttura legante originale basata su un nucleo triazindiidrazinotetraacetico.
L’anello eterociclico, estremamente versatile dal punto di vista della reattività elettrofila, è stato
utilizzato come base sulla quale impiantare residui coordinanti, profittando inoltre di uno degli
atomi di azoto anulari per la coordinazione di ioni metallici.
COOH I leganti così ottenuti (R-TDITA) sono stati impiegati per formare complessi
HN N
con lantanidi paramagnetici, i quali sono stati caratterizzati mediante misure
N
COOH
rilassometriche, NMR e di fluorescenza, permettendo di determinarne i
R
N
COOH principali parametri chimico-fisici.
N
HN N
Rimanendo su leganti aciclici, in continuazione con studi effettuati gli anni
COOH
R-TDITA
precedenti, è stato preso in considerazione il legante contenente l’anello
benzenico sulla struttura dell’EGTA (acido etilenglicole tetra acetico). Con esso abbiamo riportato
uno studio termodinamico in soluzione con ioni di metalli di transizione quali Cu2+ e Zn2+ e la
struttura cristallografica del complesso di Cu(II).
Un ulteriore ricerca è stata condotta a livello preparativo, ove l’impiego di reazioni
multicomponente ha permesso l’assemblaggio di leganti e complessi paramagnetici in un unico
passaggio. Nel caso specifico, la nota reazione di Ugi tra isonitrili, acidi carbossilici, ammine e
composti carbonilici è stata sfruttata per la preparazione di leganti e complessi eteroditopici, il cui
accesso sintetico è solitamente ostico.
E’ stato inoltre sintetizzato un derivato DOTA-monopropionammide che ha il vantaggio, rispetto al
DOTA-monoacetammide, di avere uno scambio della molecola di acqua coordinata due ordini di
grandezza più rapido. La maggiore efficienza come agente di contrasto si evidenzia soprattutto nel
momento in cui il complesso è legato/inserito in un sistema macromolecolare come abbiamo
dimostrato sintetizzando un derivato contenente una catena lipofila atta a formare sistemi micellari.
Infine, è stata messa a punto una via sintetica per ottenere derivati funzionalizzati dell’HP-DO3A
(Acido 10-(2-idrossipropil)-1,4,7-tetraazaciclododecan-1,4,7-triacetico) per poi legarli a peptidi di
interesse biologico. In questo caso è stato studiato il radiolabelling dei derivati dell’HP-DO3A con
l’111In(III) che è un radioisotopo usato nella tecnica SPECT (Single Photon Emission Computed
Tomography) usata in medicina nucleare e che è in grado di visualizzare tumori anche con
piccolissime dosi di agente di contrasto.
Sviluppo di sonde per l’imaging molecolare
La messa a punto di sonde per imaging molecolare consiste di due parti: l’ottimizzazione di sistemi
ad elevata capacità contrastante nelle immagini di risonanza magnetica e la sintesi di vettori
peptidici e non in grado di procedere al riconoscimento di molecole-reporter di alcune determinate
patologie per diagnostica oncologica e/o cardiovascolare e. La coniugazione delle due parti
permette la preparazione di una sonda per imaging molecolare. I target molecolari sono
rappresentati da molecole che siano un’espressione caratteristica del tumore, possibilmente comune
a più tipologie di tumore oppure molecole che siano espresse in eccesso o utilizzate in abbondanza
nel corso di determinate patologie (ad es. la glutammina come nutriente cellulare). A questo scopo
sono state preparate una serie di sonde contenenti il vettore glutammina (Gln) in cui l’unità GdDOTAMA-spaziatore alchilico è mantenuta fissa ma sono variati i siti di ancoraggio alla Gln e il
tipo di legame coinvolto per valutare la funzionalità del vettore Gln legato in modo differente al
complesso di Gd(III). Nei due casi in cui la sonda rimane con un gruppo amminico o primario o
secondario (Gd-L1 e Gd-L3), è stata osservata la formazione di un ciclo ossopirrolidinico sia in
ambiente acido che durante la complessazione con Gd3+. Dopo ottimizzazione del processo di
sintesi e purificazione, le sonde sono state testate in vitro su colture cellulari tumorali e si è
evidenziato che la sonda contenente la Gln legata al DOTAMA-spaziatore tramite il gruppo
carbossilico (Gd-L1) viene captata avidamente dalle cellule tumorali, circa 70% in più rispetto alla
sonda precedentemente studiata (Gd-DOTAMAC6Gln).
104
Figura 3. Strutture delle sonde contenenti Gln coniugata sfruttando i diversi gruppi funzionali.
Infine la Gln è stata coniugata tramite il suo gruppo -NH2 ad un fosfolipide modificato e contenente
una lunga catena polietilenglicolica per poi inserirla all’interno della membrana di liposomi con
l’intento di renderli riconoscibili dalle cellule tumorali. Sono stati quindi preparati liposomi
utilizzando la Gln come vettore legata ad un fosfolipide ed un complesso di Dy(III) del legante
commerciale HP-DO3A inserito all’interno del liposoma. In questo caso buoni risultati sono stati
ottenuti in vitro su colture cellulari tumorali, ma l’effetto di specificità dato dal vettore è stato perso
in vivo a causa dell’uptake da parte di macrofagi associati al tumore sia dei liposomi contenenti il
vettore sia di quelli aspecifici.
Infine, con lo scopo di accumulare in particelle di dimensioni nanometriche un elevato numero di
complessi di Gd(III), questi ultimi sono stati ancorati a due diversi tipi di silici mesoporose quali
l’SBA-15 e MCM-41. La presenza di pori di notevoli dimensioni (85 Å nel caso dell’SBA-15 e 35
Å per le MCM-41) poteva supporre la possibilità di ancoraggio dei complessi anche nel loro
interno. Questo è infatti ciò che è stato osservato nel caso dei pori di maggiore dimensione, sebbene
questo non abbia portato a risultati soddisfacenti in termini di efficienza del mezzo di contrasto
probabilmente a causa della limitata diffusione di acqua all’interno dei pori. Risultati migliori sono
stati ottenuti ancorando i complessi di Gd sulla superficie esterna delle nanoparticelle di MCM-41
(diametro 20-50 nm). In questo caso una relassività per Gd di 27 e di 9700 mM-1 s-1 per particella è
stata misurata considerando 360 unità di complesso legate a ciascuna particella.
Nuovi farmaci inorganici in oncologia (tematica e)
Farmaci antitumorali a base di Pt(IV)
I complessi ottaedrici di Pt(IV) sono comunemente considerati pro-farmaci: la riduzione
nell’ambiente ipossico del tessuto tumorale al corrispondente complesso planare-quadrato di Pt(II),
cineticamente più labile, sembra essere alla base dell’attività antitumorale dei complessi di Pt(IV). .
Pertanto sia la facilità con cui un complesso si riduce che l’efficacia dell’analogo complesso di
Pt(II) ne influenzeranno l’attività biologica e la scelta dei leganti diventa un punto chiave nel design
di nuovi complessi di Pt(IV) per modularne il potenziale redox e la lipofilia.
E’ stata sintetizzata una serie di complessi di Pt(IV) utilizzando come base equatoriale
complessi di Pt(II) di nota attività (es. cisplatino e nedaplatino) e variando invece i leganti assiali L
(L = carbossilato, cloruro e
L
ossidrile).
I
complessi
sintetizzati
sono
stati
L'
L'
L" + 2 L- caratterizzati tramite l’utilizzo
L" + 2 ePt
Pt
L'
L'
L"
L"
di RP-HPLC ed NMR
multinucleare. La citotossicità
L
dei complessi è stata testata in
vitro su linee cellulari A2780 (carcinoma ovarico umano) e HCT116 (coloncarcinoma umano);
105
inoltre sono stati misurati i potenziali di riduzione di tutti i complessi e sono stati determinati i
coefficienti di partizione log Po/w mediante un metodo RP-HPLC.
In accordo con altri autori, è stata trovata una correlazione tra i potenziali di riduzione e la
citotossicità su linea A2780: i complessi con potenziale di riduzione più positivo (più facilmente
riducibili) sono quelli che hanno un effetto citotossico maggiore. Su linea HCT116 tuttavia questa
relazione non è sempre rispettata. Inoltre, se si considerano serie omologhe di complessi (cioè con
la stessa base equatoriale e con diverso carbossilato assiale) si trova una correlazione tra i log P o/w e
la citotossicità: più il complesso è lipofilo e più risulta attivo. Tuttavia se si considera l’insieme dei
complessi in analisi, questa relazione non vale.
Risulta evidente che un solo parametro non è in grado di spiegare la relazione tra la struttura e
l’attività dei complessi. Per eseguire una più accurata analisi, è stato intrapreso uno studio QSAR
(Quantitative Structure-Activity Relationship). Risultati preliminari sembrano confermare e
completare i risultati della prima analisi qualitativa dei dati.
Il ruolo della PSA nello studio delle proprietà dei complessi di platino(II).
Il malonato è spesso usato come leaving group nei complessi di Pt usati come farmaci antitumorali.
L’uso dei carbossilasi al posto dei cloruri (come nel cisplatino, 1) porta a complessi con maggior
solubilità in acqua, minor tossicità sistemica e citotossicità paragonabile. Il malonato, inoltre, è
molto usato come gruppo coordinante modificabile sull’atomo di carbonio centrale nelle strategie
drug targeting and delivery. E’ stata studiata una serie di complessi di Pt(II) (2-8, figura) con
leganti-malonato diversi per garantire un bilancio idrofilico/idrofobico (in termini di coefficiente di
partizione log Po/w) e una buona solubilità in acqua. In generale, un aumento della lipofilicità
molecolare è associato ad un miglior uptake intracellulare di platino, mentre un aumento della
solubilità in acqua porta ad un miglior trasporto nei fluidi extracellulari.
I complessi sono stati testati su linea cellulare A2780 (carcinoma ovarico umano) e ne è stato
determinato anche l’uptake cellulare. Il complesso senza sostituenti sul malonato (2) ha mostrato un
comportamento (attività citotossica ed uptake) simile (seppur inferiore) al cisplatino.
O
Cl
Pt
NH3
Cl
O O
O NH
3
Pt
O NH3
NH3
HN
O
1
O
O NH
3
Pt
O NH3
O
2
O NH
3
Pt
O NH3
HN
O O
3
4
O
O
NH
O
NH
O O
O O
O NH
3
Pt
NH
3
O
HN
O NH3
Pt
O NH3
HN
O
O
6
5
H
N
O
O
N
H
O
O
Pt NH3
O
NH3
7
O
O
N
H
O
8
O
Pt NH3
O
NH3
I composti 3-8 hanno mostrato un uptake cellulare scarso ed alquanto costante nella serie. Dai
coefficienti di partizione log Po/w dei leganti (variabili entro la serie) ci si sarebbe aspettata invece
una variazione nell’uptake dei corrispondenti complessi. Risulta pertanto evidente che l’iniziale
design basato sul log Po/w dei leganti è fallito.
La Polar Surface Area, PSA (superficie somma su tutti gli atomi polari, inclusi gli idrogeni legati),
può essere usata come descrittore della componente polare della lipofilicità dei complessi. PSA
sembra codificare molto bene le proprietà dei farmaci che giocano un ruolo importante nella
penetrazione della membrana (es. polarità molecolare, legame a idrogeno e solubilità in acqua) e
nella diffusione passiva. Composti con PSA ≥ 140 Å2 dovrebbero essere scarsamente assorbiti (≤
10%), mentre composti con PSA ≤ 60 Å2 (come il cisplatino) dovrebbero essere maggiormente
assorbiti (≥ 90%).
106
Per i composti 1-8 sono state calcolate sia l’area superficiale totale (CPK) che la PSA (Spartan).
Il cisplatino ed il complesso con il malonato non sostituito hanno PSA minore rispetto ai complessi
3-8, che mostrano valori piuttosto costanti intorno a 140 Å2. Questi risultati sono coerenti con le
proprietà biologiche (uptake e IC50) dei complessi. Pertanto PSA risulta un descrittore chiave per
spiegare la scarsa attività biologica osservata per i composti studiati, che a sua volta è
probabilmente legata allo scarso uptake cellulare dei complessi.
Passive drug targeting: l’uso di nanosfere core-shell di PMMA come vettori per il platino
Il tessuto tumorale in rapida crescita presenta vasi sanguigni permeabili e un sistema di drenaggio
linfatico poco efficiente. Tutto ciò permette la fuoriuscita di macromolecole (≥ 60 KDa) dai vasi
sanguigni, che raggiungono e si accumulano nell’ambiente peritumorale (effetto EPR, Enhanced
Permeability and Retention). Complessi cisplatino-simili possono essere legati a macromolecole
sintetiche, possibilmente solubili in acqua, biocompatibili e biodegradabili, che contengano un
braccio spaziatore in grado di coordinare il metallo e diventarne vettori selettivi verso il tessuto
tumorale. Tipicamente il braccio spaziatore termina con un legante bidentato di tipo amminico o
dicarbossilico. Questo approccio di tipo covalente richiede sempre la presenza di un un legame
idrolizzabile al pH delle cellule tumorali o di un legame ammidico idrolizzabile a seguito
dell’attacco degli enzimi idrolitici per il rilascio del platino
In alternativa, è possibile sfruttare un’interazione elettrostatica tra un complesso di Pt(II) carico ed i
bracci del polimero aventi carica opposta, come quella tra il complesso anionico K[PtCl3(NH3)],
PtA, e nanosfere core-shell di poli(metilmetacrilato) (ZN2) aventi
carica opposta in virtù di gruppi ammonio esterni. L’attività del
Cl
NH3
risultante coniugato (PtA-ZN2, Figura), è stata testata su
Pt
melanoma murino B16, sia in vitro che in vivo.Per determinare
Cl
Cl
N
l’uptake cellulare delle nanosfere sono state anche sintetizzate
delle nanosfere fluorescenti (F-ZN2).
La crescita del tumore nei topi trattati con cisplatino o PtA-ZN2 è
significativamente diminuita rispetto al controllo mentre il
PtA-ZN2
trattamento con PtA si è dimostrato sostanzialmente inefficace.
Alla fine del periodo di osservazione la massa del tumore è minore
nei topi trattati con PtA-ZN2 rispetto al cisplatino e il contenuto di Pt nei tessuti indica una
correlazione tra l’accumulo intra-tumorale di Pt e l’attività antitumorale.
Per comprendere meglio il destino di PtA dopo la somministrazione è stata eseguita anche una serie
di test in vitro. I test di citotossicità hanno dato i seguenti valori di IC50: 0.41 ± 0.14 µg Pt/ml per il
cisplatino, 10.47 µg Pt/ml per PtA e 1.78 ± 0.79 µg Pt/ml per PtA-ZN2. Pertanto, nonostante la
rapida dissociazione di PtA dalle nanosfere in presenza di un’alta concentrazione di cloruri (50% in
2h), PtA rilasciato extra-cellularmente da PtA-ZN2 non può essere l’unico agente citotossico in
azione quando si somministra PtA-ZN2.
L’uptake delle nanosfere aumenta fino a 6 ore e poi non varia più significativamente fino a 24 ore.
Siccome entro 2 ore il 50% di PtA è ancora legato al polimero ed una considerevole quantità di ZN2
entra nelle cellule, allora PtA è in parte internalizzato insieme al polimero.
Infine, è stato determinato l’uptake in vitro di cisplatino, PtA e PtA-ZN2. Per raggiungere il 50% di
inibizione di crescita cellulare devono essere presenti simili quantità di Pt intra-cellulare per PtA e
PtA-ZN2: per entrambi i composti è PtA ad essere causa dell’effetto citotossico. Tuttavia, è
necessaria una maggiore concentrazione extra-cellulare di Pt per PtA che per PtA-ZN2 per ottenere
gli stessi effetti citotossici e lo stesso uptake. Pertanto, l’uptake di Pt avviene in parte per endocitosi
della forma coniugata (processo quantitativamente più efficace dell’uptake per diffusione passiva di
PtA).
Attività antiproliferativa di derivati polifenolici-ferrocenici su cellule di mesotelioma
Il ferrocifen (Fc-OH-TAM), un derivato ferrocenico del 4-OH-tamoxifen (4-OH-TAM), il
metabolita attivo del tamoxifen, ed il ferrocifenolo (Fc-diOH), sono in grado di inibire la
proliferazione di cellule cellule tumorali a concentrazioni attorno 0.5-1 µM. Tuttavia, il
meccanismo molecolare che sottende alle proprietà citotossiche dei due composti non è ancora stato
107
completamente delineato. Perciò, abbiamo testato questi composti in vitro su due linee cellulari di
mesotelioma maligno (MM), che è una neoplasia strettamente correlata all'esposizione all'amianto.
Si tratta di un tumore abbastanza raro, che si caratterizza per difficoltà di cura dovuta sia a
problematiche di diagnosi sia alla infausta prognosi. Entrambi i composti Fc-diOH e Fc-OH-TAM
sono risultati più potenti nell'inibizione della crescita rispetto al cisplatino (cis-diammini-dicloroplatino, CDDP), scelto come farmaco di riferimento. La cinetica di inibizione della crescita
sembrava essere correlata con il numero di divisioni cellulari in coltura, così come avviene per il
CDDP. Per verificare la genotossicità dei composti è stato eseguito un Comet Assay in condizioni
alcaline. Fc-diOH ha indotto un marcato danno al DNA su entrambe le linee cellulari, come il
CDDP, a differenza del composto Fc-OH-TAM. Come avviene in seguito a danno al DNA, la
proteina p53 veniva stabilizzata dal trattamento con CDDP e Fc-diOH, ma non con Fc-HO-TAM.
Pertanto, il composto Fc-diOH è risultato essere in grado di causare danno al DNA, probabilmente
attraverso la trasformazione in chinone metide. L'ossidazione di composti ferrocenici a ferrocini è
essenziale per mostrare effetto citotossico in vivo, fenomeno spiegato attraverso la produzione di
ROS, attraverso un ciclo di tipo Fenton. Questi risultati sono stati pubblicati su Inorganica Chimica
Acta .
Biomateriali e biocristallografia (tematica c)
Biosurfattanti
I biosurfattanti sono molecule anfililiche con estremità sia idrofiliche che idrofobiche che si
adsorbono ed alterano le condizioni prevalenti sulle interfaccie. Essi sono sintetizzati da un’ampia
varietà di differenti microrganismi procariotici ed eucaristici. I quattro principali tipi di
biosurfattanti sono: 1) glicolipidi, 2) fosfolipidi, 3) lipoproteine e lipopeptidi, 4) polimeri. I
biosurfattanti hanno numerosi vantaggi rispetto ai surfattanti, quali la bassa tossicità, la più elevata
biodegradabilità, la miglior compatibilità ambientale, la miglior attività anti-schiuma, selettività e
specificità ad estreme temperature, pH e salinità e la capacità di essere sintetizzati da materiale
rinnovabile. I biosurfattanti lipopeptidici quali la surfattina e la fengicina sono stati descritti
assemblare e formare nanoparticelle. Il lipopeptide surfattina possiede una forte attività di superficie
ed importanti proprietà biologiche incluse quelle antivirali e antibatteriche. L’attività biologica della
surfattina dipende dalla sua interazione con le membrane. In condizione fisiologiche è stato visto
che la surfattina è in grado di penetrare nelle membrane cellulari. L’autoassemblaggio della
molecola è la base dell’attività di produzione di pori nelle membrane. Il lipopeptide può avere un
elevata selettività basata sulla composizione della matrice lipidica della cellula bersaglio in
particolare su membrane con elevato quantità di lipidi anionici quali le membrane batteriche ed
alcuni tipi di cellule cancerose.
Due ceppi batterici di Bacillus spp., V9T14 e V19T21, sono stati isolati ed i loro sopranatanti hanno
evidenziato la presenza di biosurfattanti con elevata attività di superficie. L’estrazione e la
purificazione hanno messo in evidenza che i ceppi producevano molecole la cui natura chimica era
lipopeptidica (in particolare surfattina e fengicina per entrambi i ceppi). Le molecole purificate
hanno dimostrato specifica attività anti-adesiva e sono state in grado di prevenire la formazione di
biofilm di batteri patogeni umani. In particolare il biosurfattante V9T14 attivo verso un ceppo
Gram-negativo era inefficace verso un ceppo Gram-positivo e viceversa per il V19T21. Questa
attività si osservava sia pre-incubando superfici di polistirene che aggiungendo il biosurfattante
all’inoculo. Si è dimostrato, inoltre, che la fengicina era responsabile dell’attività anti-adesiva verso
il biofilm di entrambi i ceppi. Inoltre, il biosurfattante V9T14 in associazione ad alcuni antibiotici
ha dimostrato un’efficace attività sinergica nei confronti di biofilm pre-formati di ceppi batterici
uro-patogeni di origine ospedaliera.
In studi successivi, è stata studiata l’attività del AgNO3 in associazione al biosurfattante
lipopeptidico V9T14 nei confronti di un biofilm pre-formato di Escherichia coli. I risultati hanno
indicato che l’attività dell’argento poteva essere sinergicamente aumentata dalla presenza di V9T14,
portando sia ad una riduzione della quantità di argento utilizzata nell’associazione che ad una più
108
elevata attività microbicida. Questa è la prima volta che si osserva un’attività sinergica tra l’argento
ed un biosurfattante lipopeptidico.
Sulla base dei risultati ottenuti è stato depositato in data 25 novembre 2009 un brevetto
internazionale PCT/IB2009/055334 dal titolo “Biosurfactant composition produced by a new
Bacillus licheniformis strain, uses and products thereof” con inventori: Martinotti M.G., Rivardo
F. Allegrone G., Ceri H., Turner R.
109
110
UNITA’ DI RICERCA POLITECNICA DELLE MARCHE
Direttore Scientifico: Prof. Giorgio Tosi
La microspettroscopia infrarossa è un versatile e potente strumento per lo studio di proprietà
funzionali di campioni biomedici e di biomolecole. Viene resa possibile l’analisi della distribuzione
delle varie componenti molecolari in una matrice. In questo contesto il mapping e l’imaging
permettono allo spettroscopista operante nei settori biomedico e dei biomateriali, di sviluppare
nuovi metodi di acquisizione delle immagini che permettano di studiare le caratteristiche
composizionali, strutturali e morfologiche di svariati sistemi, primi fra tutti quelli biologici.
Mediante tale tecnica e con l’ausilio di opportuni algoritmi, possono essere valutati numerosi
parametri quali la natura molecolare, la quantità relativa, la distribuzione dei vari componenti. Ci si
avvale di spettrometri a sorgente convenzionale, multidetectors o a luce di sincrotrone con
risoluzione spaziale fino al limite di diffrazione.
Il trattamento dati per l’analisi multivariata e per procedure di analisi delle bande
(deconvoluzione, curve-fitting, ecc.) viene effettuato con i seguenti software: Spectrum 5.0 (Perkin
Elmer), Pirouette 4.0 (Infometrix Corp.), Opus 5.5 (Bruker Corp.) e Grams AI (Galactic Corp.)
Applicazione della Microspettroscopia Infrarossa per la caratterizzazione di biomateriali e di
biomolecole.
(collaborazione con il gruppo del prof. N. Roveri della UNIBO)
Un’adeguata conoscenza spettroscopica della composizione dell’osso rende particolarmente utile
l’applicazione dell’imaging infrarosso nello studio di materiali sintetici per operazioni di
ricostruzione ossea. La spettroscopia FT-IR è stata anche usata per caratterizzare la fase minerale
presente sui diversi materiali, per evidenziare, tra l’altro, che i tessuti artificiali possono mimare il
tessuto osseo da sostituire, per studiare processi di biomineralizzazione con possibilità di
individuare la formazione di idrossiapatite su bio-vetri nonché per delucidare le varie fasi di
ricostruzione di tessuti ossei danneggiati.
A tal proposito è continuata la collaborazione con il gruppo del prof. Roveri, mirante allo sviluppo
di un nuovo metodo per la preparazione di biomateriali. E’ tuttora in atto lo studio del processo di
elettrodeposizione su metallo ed di elettrofilatura del collagene e dell’HAP, per caratterizzare la
morfologia, le proprietà termiche e la struttura del prodotto di rivestimento.
Applicazione della Microspettroscopia Infrarossa per lo studio di biomateriali in campo
odontoiatrico.
(Collaborazione con il gruppo del prof. A. Putignano del Dipartimento di Scienze Cliniche
Specialistiche ed Odontostomatologiche della UNIVPM)
Nel campo odontoiatrico, è continuato lo studio da parte dell’unità di Ancona della valutazione del
grado di conversione e dell’invecchiamento di resine foto polimerizzabili, nonché lo studio
dell’azione di gommini contenenti fluoro sulla superficie dentale. Nel secondo caso si è dimostrato
che il trattamento induce un discreto grado di cristallinità sull’idrossiapatite.
Microspettroscopia FT-IR imaging su cellule e tessuti umani.
(collaborazione con il gruppo di istopatologia del Dipartimento di Neuroscienze della UNIVPM e
Università di Atene)
Abbiamo continuato lo studio FTIR di patologie della cavità orale. Le caratteristiche vibrazionali di
campioni derivanti da operazioni chirurgiche sono state sfruttate per ottenere informazioni a livello
molecolare e supramolecolare da affiancare ai dati provenienti dai più comuni mezzi diagnostici.
Infatti, tramite le variazioni biochimiche e morfologiche che i tessuti subiscono durante la
formazione di neoplasie, è stato possibile individuare nei vari campioni le zone sane da quelle
tumorali. I risultati sono stati comparati con dati istopatologici evidenziando una più che
soddisfacente attendibilità. Nel caso delle cisti odontogene, si è anche riusciti ad evidenziare alcune
111
zone, definite sane dall’analisi istopatologica, potenzialmente tumorigeniche con questo
evidenziando la potenzialità applicativa di questa tecnica nella diagnostica clinica.
Si è completata la prima fase della linea di ricerca sulle cellule staminali derivanti dalla polpa
dentaria al fine di una loro caratterizzazione spettroscopica durante il processo di differenziazione
che viene influenzato da vari fattori, come il tipo e l’età del paziente nonché le modalità di
trattamento.
Caratterizzazione tramite marker spettrali delle gonadi di Zebrafish durante la fase di maturazione
(collaborazione con il Dipartimento di Scienze del mare di UNIVPM).
Lo Zebrafish è considerato un eccellente modello per studi in campo genetico. L’ovario di tale
pesce è asincrono e contiene al suo interno ovociti a diverso grado di maturazione. La
Microspettroscopia FT-IR si è rivelata utile nell’evidenziare i cambiamenti biochimici che
avvengono durante il processo di maturazione, permettendo una corretta classificazione degli
ovociti, fino a ora basata solo sulla valutazione delle dimensioni.
112
UNITÀ DI RICERCA DI ROMA “La Sapienza”
Direttore Scientifico: Prof.ssa Elena Borghi
Nel corso del 2009 l’attività scientifica dell’unità di ricerca dell’Università "La Sapienza" di Roma
ha riguardato le seguenti tematiche:
1. Aspetti inorganici e bioinorganici nella chimica di sistemi macrociclici tetrapirrolici ad alta
delocalizzazione elettronica
2. Caratterizzazione strutturale di centri metallici di metalloproteine e composti modello
3. Caratterizzazione spettroscopica e magnetica del crisotilo sintetico drogato con Fe(III)
4. Sintesi e caratterizzazione di nanoparticelle metalliche superparamagnetiche per
applicazioni biomediche di imaging e drug delivering
1. Aspetti inorganici e bioinorganici nella chimica di sistemi macrociclici tetrapirrolici ad alta
delocalizzazione elettronica
G. Moretti, M. P. Donzello, C. Ercolani, F. Monacelli, E. Viola, P. Moro, D. Vittori, G. De Mori
La relazione riguarda il lavoro svolto dal gruppo nel campo della sintesi e caratterizzazione di
sistemi macrociclici ad alta delocalizzazione elettronica, con l’attenzione rivolta ad aspetti
applicativi di grande interesse nel settore biologico. Si propone un breve quadro su quanto di nuovo
prodotto nel 2009 su alcune classi di macrocicli porfirazinici aventi sostituenti periferici di tipo
eterociclico e caratterizzati pertanto da un forte carattere elettron-deficiente.
(1) Tiadiazolporfirazine. La sintesi e caratterizzazione strutturale ed elettronica di
tetrakis(tiadiazol)porfirazine di formule [TTDPzM] (M = metalli bivalenti di transizione e non)
(Figura 1: struttura del legante libero [TTDPzH2]) e [TTDPzMX] (M = AlIII, GaIII, InIII e X = Cl-,
Br-, CH3COO-) sono stati oggetto di una recente review (Donzello, M. P. et al., Coord. Chem. Rev.
2006, 250, 1530-1561). Facendo seguito a studi elettrochimici sulle specie [TTDPzMX] (Donzello,
M. P. et al., Inorg. Chem. 2005, 44, 8539), è stato compiuto un esame delle proprietà redox della
serie [TTDPzM] (M = 2HI, MgII(H2O), CuII, ZnII) e verificata, mediante voltammetria ciclica, la
formazione di specie cariche [TTDPzM]-n (n = 1-4). Lo studio teorico, effettuato mediante calcoli di
tipo DFT e TDDFT, delle proprietà elettroniche di stato fondamentale e degli stati eccitati dei
complessi neutri [TTDPzM] (Donzello, M. P. et al., Inorg. Chem. 2007, 46, 4145) ha permesso di
dare una chiara interpretazione degli spettri UV-visibile studiati in soluzione di dimetilsolfossido
(DMSO), dimetilformammide (DMF) e piridina. In tempi recentissimi lo studio sperimentale e
teorico è stato esteso all’interpretazione del comportamento spettroscopico delle specie anioniche
dei complessi -1, -2, -3, -4. Trattandosi questi di processi riduttivi di tipo ligando-centrato, i calcoli
sono stati effettuati sul complesso di ZnII [TTDPzZn], considerato come specie spettroscopicamente
rappresentativa del comportamento ottico anche degli altri sistemi studiati [TTDPzM] (M =
MgII(H2O), CuII, CdII) (Donzello, M. P. et al., Inorg. Chem., 2009, 48, 9890).
S
N
N
N
N
N
N
HN
N
N
N
NH
N
S
S
N
N
N
N
Figura 1
113
S
(2) Piridinopirazinoporfirazine. Allo scopo di acquisire informazioni ed incrementare le
conoscenze sulle proprietà coordinanti di gruppi dipiridinopirazinici presenti nelle
tetrakis(dipiridinopirazino)porfirazine, largamente studiate dal gruppo di ricerca, è stato condotto
uno studio dettagliato sul precursore di tali macrocicli, la 2,3-diciano-5,6-di(2-piridil)pirazina,
[(CN)2Py2Pyz] (Schema 1-A) e sui suoi derivati metallici di PdII e PtII di formule
[(CN)2Py2PyzPdCl2] e [(CN)2Py2PyzPtCl2] (Schema 1-B e C rispettivamente) (Donzello, M. P. et
al., Inorg. Chem., 2009, 48, 7086). L’attenzione per queste specie è stata centrata sul loro
comportamento elettrochimico e spettroelettrochimico in mezzi non acquosi. Informazioni utili di
tipo strutturale sono state ottenute dalla risoluzione mediante raggi X della struttura del complesso
di PtII [(CN)2Py2PyzPtCl2]. I dati riguardanti il precursore e relativi derivati metallici sono stati
posti in relazione con quelli precedentemente acquisiti sulle specie mono- e dicationica
[(CN)2Py(2-Mepy)Pyz]+ and [(CN)2(2-Mepy)2Pyz]2+(Schema 2-D ed E), specie derivate dal
precursore [(CN)2Py2Pyz] mediante processi di mono- e diquaternarizzazione degli N atomi
piridinici. I risultati di questo ampio studio hanno condotto ad una migliore interpretazione
dell’effetto induttivo di tipo elettron-attrattore conseguente ai processi di metallazione e di
quaternarizzazione degli N atomi piridinici periferici, del complesso [LPd] (L = dianione della
tetrakis-2,3-[5,6-di(2-piridil)pirazino]porfirazina) processi risultanti, rispettivamente, nella
formazione del complesso pentametallico neutro [(PdCl2)4LPd] e della specie ottacationica, [(2Mepy)8L’Pd]8+ (L’ = anione L ottaquaternarizzato).
NC
N
NC
N
N
N
NC
Cl
N
N
Pd
NC
N
N
N
NC
[(CN)2Py2Pyz]
A
N
Cl
Pt
Cl
NC
[(CN)2Py2PyzPdCl2]
B
N
N
Cl
[(CN)2Py2PyzPtCl2]
C
CH 3
+
N
NC
N
NC
N
N
NC
N
NC
N
N
N
CH 3
+
+
CH 3
[(CN)2Py(2-Mepy)Pyz]+
[(CN)2(2-Mepy)2Pyz]2+
Schema 1
D
E
Circa l’isolamento e caratterizzazione elettronica e strutturale della specie pentapalladata
[(PdCl2)4LPd], si richiama qui che, sulla base di precedenti studi spettroscopici, elettrochimici e
teorici di tipo DFT e TDDFT, la struttura assegnabile alla principale componente isomerica di stato
solido è del tipo riportato in Figura 2 (Donzello M. P. et al., Inorg. Chem., 2008, 47, 3903).
Figura 2
114
Per il complesso [(PdCl2)4LPd], interessanti sono stati anche i risultati ottenuti in campo
applicativo e relativi alla fotoattività mostrata dal sistema nella produzione di ossigeno singoletto,
1
O2, il principale agente citotossico attivo nella Terapia Fotodinamica (Donzello M. P. et al. Inorg.
Chem., 2008, 47, 8757). Tali risultati hanno spinto ad estendere l’indagine anche agli analoghi
derivati eteropentametallici di formula [(PdCl2)4LM] (M = ZnII, CuII, MgII(H2O), CdII), dei quali è
stata messa a punto la sintesi ed effettuata la caratterizzazione chimico-fisica e strutturale
(Donzello, M. P. et. al., Inorg. Chem., 2010, 49, ASAP). E’ stato accertato che, anche per questa
serie di complessi, l’isomero principale che si forma allo stato solido è del tipo riportato in Figura
2. L’esame elettrochimico (voltammetria ciclica e spettroelettrochimica in DMSO e DMF) ha
messo in evidenza che l’aggancio periferico delle unità PdCl2 rende più facile la formazione delle
specie [(PdCl2)4LM]-n (n = 1-4), derivanti da successive riduzioni monoelettroniche dei rispettivi
complessi pentanucleari, come si può evidenziare confrontando i valori dei potenziali misurati per
questi complessi con quelli dei corrispondenti sistemi molecolari monometallici [LM]. Ciò
richiama da vicino i risultati precedentemente ottenuti per la specie omopentametallica
[(PdCl2)4LPd]. Da notare infine che nei processi di formazione dei complessi [(PdCl2)4LM] per
reazione delle corrispondenti specie [LM] con PdCl2, si possono avere reazioni di transmetallazione
del tipo [(PdCl2)4LM] (M = MgII(H2O), CdII) → [(PdCl2)4LPd]. L’intera serie di specie omo- ed
eteropentametalliche studiate [(PdCl2)4LM] (M = PdII, ZnII, CuII, MgII(H2O), CdII) ha un carattere
di forte originalità per il fatto di presentare i quattro frammenti periferici disposti in in modo non
coplanare con il macrociclo porfirazinico centrale. Da ciò possono derivare aspetti interessanti
nell’ambito di tematiche quali quelle della chimica supramolecolare e della formazione di sistemi
dendrimerici, oltrechè configurarsi ulteriori sviluppi nella direzione di una verifica delle loro
proprietà di fotoattività in settori applicativi di grande interesse nel campo biologico.
E’ stata intrapresa negli ultimi due anni una nuova linea di ricerca nella quale il macrociclo
[LH2] (L = anione pirazinoporfirazinico sopra specificato) ed alcuni suoi derivati metallici [LM]
(M = ZnII, CuII e PdII) sono stati adsorbiti su TiO2 (anatasio) ed i materiali formati sono stati
studiati per la loro capacità di fotodegradazione del 4-nitrofenolo in sospensioni acquose, mediante
radiazione UV (350-400 nm). Nel caso dei derivati di rame e zinco è stato osservato un aumento
del potere catalitico rispetto all’anatasio puro di un fattore quattro e di più di un fattore due nel
caso del complesso di Pd e del legante libero. Questi risultati, che sono stati riassunti in un lavoro
in attesa di pubblicazione (Moro, P. et al., - Photooxidation of 4-Nitrophenol by
Pyrazinoporphyrazine Sensitizers Adsorbed on TiO2 (anatase) - 2010, inviato per la
pubblicazione), assumono un particolare significato se si rapportano ad analoghi studi effettuati
con sistemi tetrapirrolici di tipo porfirinico e ftalocianinico.
2. Caratterizzazione strutturale di centri metallici di metalloproteine e composti modello
E. Borghi
È noto che la modulazione del segnale XANES (regione a bassa energia dello spettro XAS) può
essere applicata usando differenti programmi di calcolo per estrarre complete informazioni
strutturali di metalloproteine, catalizzatori, e composti biomimetici con struttura sconosciuta.
Questa metodologia è stata applicata con successo, con varie strategie di minimizzazione, ma,
usualmente, il cluster strutturale di partenza è scelto con dimensione più piccola possibile (circa la
prima sfera di coordinazione). Questo sia per il contributo dominante della prima sfera del centro
metallico assorbitore alla regione XANES, sia perché nell’analisi strutturale di metallo-cofattori di
sistemi biologici e chimici sconosciuti è importante, almeno, arrivare all’identificazione strutturale
dei donatori-leganti della prima sfera del centro metallico.
La famiglia dei composti di rame mononucleari del legante poly(benzimidazolo) 2-BB, che ha
proprietà strutturali e/o di reattività correlate a quelle dei derivati delle proteine emocianine (Hcs),
essendo il legante 2-BB tridentato con due N-imidazolici ed un N-ammino modello strutturale del
115
motivo tris(imidazolo) presente nelle Hcs ed in altri sistemi biologici, è stata considerata per
definire un approccio di analisi e modulazione del segnale XANES con il programma MXAN.
Considerando il centro metallico Cu(2-BB) ed i leganti ancillari (N3-, NO2, MeOH, H2O
rispettivamente), con clusters di atomi di ~ 6 Å per includere tutto il contributo strutturale del
legante 2-BB strutturato e flessibile, è stato possibile sia risolvere le proprietà strutturali della prima
sfera di coordinazione sia mappare l’intera struttura dei cationi complessi rame(II)-2.BB. Si è
inoltre mostrata la complementarità ed i vantaggi della minimizzazione MXAN rispetto all’analisi
tradizionale EXAFS (prima-sfera in approssimazione SS (singolo scattering) e MS (multiplo
scattering).
L’approccio seguito dimostra l’importanza di considerare un cluster strutturale di partenza con una
dimensione maggiore (rispetto alla prima sfera) ed opportuna (rispetto alle caratteristiche del
legante) per risolvere, con accuratezza, dettagli strutturali per le distanze e per gli angoli di legame
nel sistema complesso di un legante strutturato e flessibile.
Questo studio è stato considerato costituire un riferimento importante e significativo per studi XAS
strutturali di bio-sistemi dal momento che per delucidare le relazioni biologiche struttura-funzione è
necessario impiegare sistemi mimetici con leganti strutturati.
“The importance of considering atom clusters of large size for structural XAS studies of biosystems
employing structured and flexible ligands”
3. Caratterizzazione spettroscopica e magnetica del crisotilo sintetico drogato con Fe(III)
E. Borghi
In collaborazione con:
M. Occhiuzzi - Dipartimento di Chimica, Università “La Sapienza” di Roma
E. Foresti, I G. Lesci, N. Roveri - Dipartimento di Chimica, Università di Bologna
Il crisotilo sintetico geomimetico, Mg3Si2O5(OH)4, drogato con Fe rappresenta uno standard di
riferimento per investigare la tossicità associata alle fibre di asbesto e costituisce un interessante
nanotubo inorganico per specifiche applicazioni tecnologiche.
La caratterizzazione della sostituzione del Mg e/o Si con Fe nella struttura del crisotilo riveste una
grande importanza, poiché la tossicità delle fibre di asbesto è catalizzata dalla presenza degli ioni Fe
in specifici siti cristallografici ed il comportamento meccanico dei nanotubi del crisotilo sintetico è
fortemente influenzato dalla quantità di ferro drogante.
Per determinare la struttura e la nuclearità dei siti a Fe che sostituiscono Mg e/o Si, con un
approccio combinato di spettroscopia EPR, DRS e misure magnetiche, sono stati investigati
campioni di crisotilo sintetico geomimetico drogato con Fe(III), preparati con metodiche di sintesi
diverse (presenza od assenza di Fe metallico durante il processo di drogaggio).
Con la caratterizzazione spettroscopica e magnetica condotta si è messo in luce come la sostituzione
del ferro avvenga ad entrambi i siti (Mg in simmetria Oh e Si in simmetria Td) e sia dipendente dalla
quantità di Fe drogante e dal processo di drogaggio. È stata evidenziata la contemporanea presenza
116
sia di centri a Fe(III) isolati in entrambe le simmetrie Oh e Td in configurazione 3d5 ad alto-spin (S =
5
/2, 6A1(6S)), sia di specie aggregate intra-reticolo. Inoltre, è stato evidenziato come la
concentrazione di questi FexOy clusters aumenti all’aumentare del contenuto di Fe.
I risultati ottenuti con questo studio evidenziano le condizioni sperimentali più opportune per
preparare nanocristalli di crisotilo drogato con Fe con proprietà morfologiche e strutturali adatte ad
ottenere un materiale di riferimento per lo studio della tossicità dell’asbesto. Per conservare la
cristallinità e la morfologia naturale del campione la presenza di Fe metallico deve essere esclusa
durante la sintesi ed il contenuto (% wt) di Fe drogante deve essere basso.
Inoltre, questi risultati sono fondamentali per la preparazione di nuovi nanotubi inorganici sintetici
opportunamente drogati con ioni Fe al fine di ottenere materiali inorganici nanofibrosi con proprietà
ottiche ed elettroniche adatte ad applicazioni tecnologiche innovative.
“Synthetic Fe-doped chrysotile
reference standard to study the magnetic behaviour in mineral
asbestos”
4. Sintesi e caratterizzazione di nanoparticelle metalliche superparamagnetiche per
applicazioni biomediche di imaging e drug delivering
M. Barteri, F. A. Scaramuzzo, R. Salvati, F. Nepi, M. Liberatore, P. D’Elia
Base concettuale della ricerca
La sintesi e le potenziali applicazioni di specie metalliche con dimensioni nanometriche sono
state intensamente studiate per le loro innovative e uniche proprietà ottiche, elettriche, magnetiche e
catalitiche. Queste proprietà sono determinate dalle dimensioni, dalla forma, dalla composizione,
dalla cristallinità e dalla struttura. Infatti, particelle di dimensioni 1-10 nm hanno proprietà
elettroniche peculiari, che sono state utilizzate per la realizzazione di materiali innovativi. Poiché
queste specie sono localizzate nella regione di transizione tra le dimensioni molecolari e le strutture
micrometriche, esse sono troppo grandi per mostrare le caratteristiche delle molecole ma, se viste
come materiali, hanno caratteristiche fisiche e chimiche peculiari.
In particolare, le NPs metalliche forniscono una piattaforma altamente versatile, dimostrando
che le loro proprietà uniche sono idonee alla realizzazione di un ampio spettro di applicazioni
terapeutiche. L’utilità delle NPs in questo contesto deriva dalla possibilità di realizzare sistemi di
dimensioni analoghe a quelle di strutture biologiche. In una scala dimensionale è possibile, infatti,
realizzare NPs dello stesso ordine di grandezza di cellule (10-100 μm), virus (20-450 nm), proteine
(5-50 nm), o geni (larghi 2 nm e lunghi 10-100 nm).
Ricerche sperimentali svolte nel 2009
Tra i differenti tipi di nanostrutture, le NPs magnetiche
sono di particolare interesse perché possono essere veicolate a
distanza attraverso un campo magnetico esterno che permette
di confinarle in vivo in organi target. Lo sviluppo e il
trasferimento tecnologico nel campo della nano medicina,
nascono dalle necessità dei medici di ottenere nuovi e specifici
strumenti di prevenzione, diagnosi e cura.
Il nostro piano delle ricerche sperimentali del 2009 ha
117
previsto la sintesi, la caratterizzazione e l’
impiego di superfici metalliche e nanoparticelle (NPs)
super paramagnetiche attivate con biomolecole o farmaci per applicazioni “multitasking” nella
diagnostica e nella terapia medica. Lo scopo principale di questi studi è stato quello di realizzare
superfici metalliche attivate con molecole biologicamente attive per la realizzazione di sensori e
nanostrutture con caratteristiche magnetiche tali che, sotto l’
azione di campi magnetici esterni, sia
possibile confinarle “in vivo” in prossimità di un focus patologico. L’accumulo nei tessuti di
nanoparticelle “core shell”, mediante campi magnetici statici esterni, può essere di grande utilità sia,
per il potenziamento delle tecniche di diagnostica per immagini (i.e. PET e MRI) sia, per la
realizzazione di trattamenti terapeutici localizzati nelle aree di alterazioni patologiche degli organi.
Con il termine “core shell” s’intende una nanoparticella costituita da un nucleo metallico
superparamagnetico rivestito da una o più “shell” di metalli diversi. L'obiettivo è stato quello di
realizzare un sistema idoneo sia al trasporto di molecole biologicamente attive (per il trattamento
localizzato di stati patologici), sia di esaltare il contrasto nell’acquisizione d’immagini in vivo. Ciò
è stato ottenuto mediante la produzione di nanoparticelle con un nucleo centrale magnetico (Fe0 o
Fe3O4) e da shell metalliche di Cu0 e/o Au0 ; la presenza del centro magnetico è finalizzata al
confinamento di tali strutture all'interno di tessuti utilizzando un campo magnetico esterno
focalizzato. Le shell metalliche hanno il ruolo di legare linker organici per l'ancoraggio successivo
di molecole farmacologicamente attive e, nello stesso tempo di trasportare radionuclidi (64Cu, 18F
ecc.), per il tracciamento mediante Positron Emission Tomography ( PET ).
Applicazioni Biomediche in programma per il 2010
Possiamo classificare le applicazioni biomediche delle NPs magnetiche come interne (in vivo)
ed esterno (in vitro) al campione biologico. Le applicazioni in vivo possono essere suddivise in:
Terapeutiche:
• Ipertemia che si realizza con l’applicazione di campi magnetici esterni oscillanti, per
innalzare la temperatura del tessuto dove sono state confinate le NPs;
• Drug targeting, per tracciare la biodistribuzione di farmaci somministrati per via
sistemica;
• Drug delivering, per verificare l’accumulazione del principio attivo realizzata con il
confinamento delle NPs utilizzate come carriers;
Diagnostiche:
• MRI (magnetic resonance imaging). Lo sviluppo delle tecniche di diagnosi per
immagini, ha ispirato la ricerca su nuovi farmaci con caratteristiche magnetiche.
Questi farmaci sono somministrati per aumentare il contrasto tra tessuti sani e tessuti
colpiti da patologie, per evidenziare lo stato di funzionamento di un organo o per
verificare il flusso sanguigno nel sistema vascolare.
• PET (positron emission tomography). In questo caso le NPs saranno utilizzate come
carrier per molecole organiche derivate con 18F (fluoro uracile) o con 64Cu, entrambi
isotopi β+emittenti.
118
UNITA’ DI RICERCA DI ROMA “Tor Vergata”
Direttore Scientifico: Prof. Massimiliano Coletta
Nel corso del 2009 l’Unità Operativa di Roma Tor Vergata ha effettuato una serie di ricerche sui
seguenti argomenti.
1) Emoproteine
2) Metalloenzimi
3) Stress ossidativo
1) Emoproteine
In questo campo le indagini sono proseguite su alcuni aspetti funzionali e strutturali di emoproteine
battericche, quali la Protoglobina da Methanosarcina acetivorans e il sensore emo-globinico da
Geobacter sulfurreducens. Per quanto riguarda la Protoglobina, l’indagine sulle proprietà funzionali
sia termodinamiche che cinetiche con leganti della forma Fe(II), quali O2 e CO è stata estesa ad una
serie di mutanti concernenti le immediate vicinanze della tasca dell’eme, dove è il centro attivo.
Inoltre, si sono iniziate una serie di sperimentazioni sulla forma ferrica Fe(III), studiando sia la
reattività con un legando anionico, quale l’azide (N3-), sia la dissociazione dell’anione CN-.
L’indagine sul sensore emo-globinico di G. sulfurreducens, che ha portato ad una pubblicazione su
Journal of Molecular Biology, ha riguardato le proprietà strutturali della forma Fe(III), che appare
esa-coordinata con una coordinazione bis-istidinica, dovuta all’inusuale posizione in E11 di una
istidina. Nella forma ridotta Fe(II) si evidenzia invece una mescolanza di forme esa- e pentacoordinate, con un’alta reattività per il legando CO.
Accanto a questi studi sulle emoproteine batteriche, si sono effettuate delle indagini sull’emealbumina. Tale forma dell’Albumina ha infatti rilevanza fisiologica, poiché circa il 10%
dell’Albumina circolante si trova nella forma legata all’eme. Ciò la trasforma in una emoproteina
circolante, capace non solo di legare molecole quali O2, CO ed NO, ma in grado di modulare
allostericamente il legame di altre molecole in siti distinti dall’eme. Tale indagine ha infatti
permesso di evidenziare come il legame all’Albumina di un farmaco antiinfiammatorio, quale
l’Ibuprofen, moduli allo stericamente la dissociazione del legando NO. Tale indagine, pubblicata su
Biochemical Biophysical Research Communications, mostra come tale regolazione influenzi i tre
siti putativi, dove l’Ibuprofen si lega con l’eme-Albumina, e conferma la possibilità di possibili
alterazioni del trasporto di farmaci da parte dell’Albumina legate alla presenza della forma legata
all’eme. Lo studio sull’eme-albumina si è anche esteso alle proprietà di “folding/unfolding”, che
hanno permesso di evidenziare la presenza di una forma di “molten globule”, che viene modulata
dall’interazione dell’eme-albumina con acidi grassi , ed in particolare da miristato. Lo studio,
effettuato mediante tecniche di NMR e di dicroismo circolare, ha portato ad una pubblicazione su
Journal of Biological Inorganic Chemistry. Inoltre, si è studiata la regolazione da parte di ATP della
struttura del citocromo c, evidenziando il ruolo di questo nucleotide nell’indurre la comparsa di
attività enzimatica del citocromo c. Tale studio, che ha portato ad una pubblicazione su
Biochemistry, apre la possibilità di una regolazione ATP-dipendente del processo apoptotico.
2) Metalloenzimi
Lo studio si è prevalentemente rivolto alla caratterizzazione del ruolo di alcune Metalloproteasi di
matrice (MMPs, che sono delle endopeptidasi con un atomo di Zn++ nel sito attivo con un ruolo
catalitico) in alcuni processi patologici, quali malattie della giunzione neuromuscolare. In
particolare, si è studiato il meccanismo con cui alcune di queste MMPs, in particolare la MMP-2 e
MMP-9, processano il β-distroglicano, che è un componente fondamentale della giunzione neuromuscolare. Tale indagine, che ha portato ad una pubblicazione su IUBMB Life, ha permesso anche
di caratterizzare il sito di taglio da parte della MMP-9, che risulta essere unico, ma tale da inattivare
la molecola.
119
Sempre nell’ambito delle MMPs, abbiamo effettuato uno studio su un meccanismo regolatorio
estremamente interessante, che consiste nella modulazione reciproca da parte di due MMPs (la
MMP-2 e la MMP-9) nei riguardi del processamento di collagene IV, il componente principale
della membrana basale. Tale studio, che ha portato ad una pubblicazione su Journal of Molecular
Biology, ha mostrato come l’interazione di una delle due MMPs (pur completamente inibita)
favorisca il processamento del medesimo substrato da parte dell’altra MMP, prospettando un
meccanismo accessorio, che rende problematico lo studio di inibitori specifici delle MMPs. Inoltre,
si è iniziato uno studio sulle proprietà funzionali dell’Insulin-Degrading Enzyme (IDE), una metallo
proteinasi capace di processare le proteine amiloidogeniche. Tale studio, che ha portato ad una
pubblicazione su Journal of Molecular Biology, ha evidenziato come la somatostatina, un ormone
associato alla crescita, sia un substrato dell’IDE, ma anche un modulatore della funzionalità
enzimatica nei confronti di un peptide simile al β-amiloide. Tale studio ha anche permesso di
individuare il sito di taglio della somatostatina da parte dell’IDE.
Per quanto riguarda la superossido-dismutasi (SOD) si sono effettuati degli studi di tipo
strutturale e funzionale nei confronti della Cu,ZnSOD da Haemophilus ducreyi, che hanno
permesso di caratterizzare le proprietà di legame dell’eme da parte di questo enzima,
trasformandolo anche in un enzima ad eme. Tale indagine, che ha portato ad una pubblicazione su
Journal of Molecular Biology, ha mostrato che l’eme si lega all’interfaccia fra le sub unità senza
perturbare significativamente l’attività originale dell’enzima. Tale possibilità estende le potenzialità
di questa SOD ad un possibile ruolo protettivo nei confronti della tossicità da eme. Infine, si sono
caratterizzate le proprietà ossido-riduttive e di stabilità termica di una CuSOD da Mycobacterium
tuberculosis, che hanno portato ad una pubblicazione su Archives of Biochemistry and Biophysics.
3) Stress ossidativo
Nell’ambito della tematica sullo stress ossidativo, l’Unità di Ricerca di Roma Tor Vergata ha
concentrato l’interesse alla regolazione dell’attività enzimatica di emoproteine nei confronti del
perossinitrito e del monossido di azoto (NO). In particolare, si è effettuata una rassegna sull’attività
di sottrazione di NO e perossinitrito in presenza di perossido di idrogeno (H2O2). Tale rassegna, che
ha portato ad una pubblicazione su IUBMB Life, ha prospettato la possibilità che NO, perossinitrito
e H2O2 siano co-substrati per l’attività perossidasica di alcune emoproteine. Lo studio sul ruolo
delle emoproteine come protettrici nei confronti del perossinitrito è stato esteso a vari tipi di
emoproteine, quali l’emoglobina, la mioglobina, ma anche l’emoglobina troncata da
Mycobacterium leprae, evidenziando come le proprietà catalitiche di questi processi siano
compatibili con un ruolo importante anche nelle condizioni “in vivo”.
Infine, un’indagine molto interessante è stata effettuata nei confronti del ruolo dell’eme-Albumina
come elemento protettore nei riguardi del perossinitrito. Tale studio, che ha portato ad una
pubblicazione su Journal of Biological Chemistry, ha mostrato come la capacità dell’eme-Albumina
di inattivare il perossinitrito possa essere abolita dalla modulazione allosterica ad opera di una
farmaco antiinfiammatorio, quale l’Ibuprofen, evidenziando la possibilità di effetti paradosso a
seguito della somministrazione di farmaci.
120
UNITA’ DI RICERCA DEL SALENTO
Direttore Scientifico: Prof. Francesco Paolo Fanizzi
L’Unità di ricerca di Lecce è composta da chimici inorganici esperti di sintesi e da biologi, la cui
attività di ricerca si sviluppa nel settore di nuovi farmaci inorganici in oncologia, nello studio del
ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche e nel campo delle metalloproteine
come catalizzatori biologici.
Gruppo Prof. Francesco Paolo Fanizzi: Michele Benedetti, Antonella Ciccarese, Sandra
Angelica De Pascali, Paride Papadia, Danilo Migoni, Laura Del Coco, Daniela Antonucci,
Cosimo Ducani, Alessandro Caccioppola
L’attività del gruppo di Chimica Generale ed Inorganica svolta nel contesto delle linee
programmatiche C.I.R.C.M.S.B. si è articolata negli argomenti di ricerca di seguito riportati,
inerenti principalmente la tematica “Nuovi farmaci inorganici in oncologia”.
Sintesi e caratterizzazione strutturale di nuovi composti analoghi del cisplatino
conformazionalmente stabilizzati, target selettivi e biomimetici
Alchilazione regiospecifica di fenoli e sintesi di complessi organometallici a base di Pt con
leganti N-donatori
Sono stati sintetizzati e caratterizzati nuovi complessi del Platino del tipo [Pt(EtPh)(phen)] (1a)
(EtPh = 2-(etan-2'-yl-kC1)-1-fenolato-kO1, phen = 1,10-fenanthrolina) e [Pt(MeOEtPh)(phen)]
(1b) (MeOEtPh = 2-(etan-2’-yl-kC1)-4-(metossi)-1-fenolato-kO1) caratterizzati da un core di
tipo metallo-cromano. Tali complessi, preparati facendo reagire derivati fenolici e [PtCl(η2C2H4)(N–N)] + o corrispondenti a derivati alcossilati del tipo [PtCl(η1-C2H4OR)(N–N)], R =
alchile/arile, sono caratterizzati da alchilazione regiospecifica dell'anello aromatico e/o dalla
coordinazione dell'ossigeno fenolico al Pt. Interessante è il fatto che tali complessi
organometallici sono anche caratterizzati da una straordinaria similitudine strutturale con la
Vitamina E.
Sono stati effettuati test biologici e saggi di uptake cellulare sui complessi di Pt. Essi mostrano
un'interessante correlazione struttura-attività per i nuovi metallo-cromani, in quanto i valori di
citotossicità e uptake del Pt risultano considerevolmente maggiori per il complesso 1b che
risulta essere più simile, dal punto di vista strutturale, alla Vitamina E, rispetto al complesso 1a.
Gli ultimi sviluppi di questa ricerca hanno portato alla messa a punto di nuovi approcci sintetici
per la sintesi di analoghi strutturali dei complessi 1a e 1b.
Lo scopo è di avere un set abbastanza ampio di variazioni strutturali, in modo da poter valutare
121
come modifiche strutturali possano modificare l’uptake cellulare di questi complessi. Per
comprendere meglio le modalità di uptake cellulare sono stati messi a punto degli esperimenti
che valutano i meccanismi di trasporto, a livello di membrana cellulare, per questa classe di
complessi. Un altro obiettivo che si è definito è di comprendere come i complessi sintetizzati,
analoghi alla vitamina E, possano competere con essa nei confronti di specifici substrati. In
questo senso si sta pensando di utilizzare tali molecole anche come inibitori di specifici enzimi
che normalmente legano la Vitamina E. In questo modo si dovrebbero individuare delle nuove
molecole farmacologicamente attive come antitumorali e/o antivirali basate sulla struttura del
cromano modificato di tipo 1a e capaci di agire con un meccanismo non genomico.
Possibile platinazione del DNA cellulare mediante inserimento di basi puriniche N-7
platinate da parte di una DNA polimerasi
Questo lavoro di ricerca parte dall'ipotesi di un possibile meccanismo d'azione differente da
quello ormai accettato per il cisplatino. Generalmente, infatti, la metallazione del DNA si
realizza tramite reazioni dirette del substrato polinucleotidico con un complesso metallico. In
questo lavoro di ricerca sono stati messi a punto esperimenti in grado di dimostrare che
effettivamente un filamento di DNA di nuova sintesi può essere metallato, in vitro, anche
indirettamente, mediante inserimento, da parte di una DNA polimerasi, di purine N7-platinate.
Il complesso di Pt utilizzato per tali esperimenti, [Pt-(dien)(N7-5’-dGTP)] (dien =
dietilenetriammina, 5’-dGTP=5’-(2’-deossi)guanosina trifosfato), opportunamente scelto come
modello di monoaddotti di complessi di platino con derivati delle basi nucleiche, è incapace di
dare sistemi chelati, come avviene invece per i derivati del cisplatino.
La preventiva metallazione, in vivo, di basi libere da inserire successivamente nel DNA apre
nuove prospettive sulla sintesi di nuovi farmaci antitumorali a base di metalli sia dal punto di
vista di una migliore comprensione del meccanismo d'azione che di nuovi modelli molecolari.
Per questo sono anche stati effettuati dei test di citotossicità su cellule tumorali, HeLa, che
hanno dato risultati interessanti.
Negli ultimi sviluppi di questa attività di ricerca stiamo cercando di estendere alla sintesi
dell’RNA quanto dimostrato precedentemente, sulla possibile platinazione del DNA, ad opera
delle DNA polimerasi, con complessi del tipo [Pt-(dien)(N7-5’-dGTP)].
Potenziali farmaci antitumorali: complessi cationici del tipo [PtCl(ç2-C2H4)(R,R ed S,SDACH)] +
Il Cisplatino, cis-[Pt(NH3)2 Cl2], è il prototipo di una famiglia di farmaci a base di Platino con
formula generale cis-[PtA2 X2 ] (A = ammina, X = legante labile). Nella “famiglia del cisplatino”
solo l'oxaliplatino, [(R,R-1,2-diaminocycloesano) (ossalato-O,O’)platino(II)], mostra un largo
spettro di attività, grazie alla minore resistenza mostrata da alcuni tumori nei confronti
dell'oxaliplatino rispetto al cisplatino. Di recente è stato messo in evidenza che interazioni
favorevoli tra la aquo-specie cationica dell'oxaliplatino e i Trasportatori umani di Cationi
Organici, hOCT, sono in grado di incrementare l'attività antitumorale del farmaco. Per questa
ragione abbiamo focalizzato l'attenzione sulla sintesi di nuovi complessi cationici di Pt(II),
contenenti lo stesso legante carrier dell'oxaliplatino del tipo [PtCl(ç2 -C2 H4)(R,R- e S,SDACH)] +, 1 e 2 rispettivamente. Tali complessi cationici, solubili in acqua, vanno incontro a
perdita dell'olefina coordinata e/o del cloruro, per dare mono-aquo e di-aquo specie cationiche,
come l'oxaliplatino. Inoltre gli esperimenti di “time course” mostrano che la citotossicità di 1 e
2 aumenta considerevolmente nel tempo. Saggi clonogenici di sopravvivenza su diverse linee
cellulari rivelano una più alta citotossicità in vitro, di cisplatino e oxaliplatino rispetto a 1 e 2
verso cellule epiteliali sane. D'altra parte la differenza di citotossicità tra 1/2 e
cisplatino/oxaliplatino è fortemente ridotta nelle cellule MCF-7, resistenti al cisplatino, rispetto
alle cellule HeLa, sensibili al cisplatino. Per confronto sono stati effettuati saggi di cittotossicità
su cellule non tumorali quali le MCF-10. I complessi da noi sintetizzati e testati potrebbero
avere applicazioni come pro-drugs e precursori di farmaci antitumorali.
122
Sono, inoltre, stati effettuati degli studi, attraverso l’applicazione di tecniche spettroscopiche
NMR, di campioni biologici di interesse in campo agroalimentare, in particolare mediante la
determinazione di profili metabolici atti a garantire caratteristiche di unicità di specifiche filiere
produttive.
Applicazioni della spettroscopia NMR alla discriminazione delle varietà di olive impiegate
nella produzione di oli extravergini di oliva pugliesi
L’olio extravergine di oliva è, nella realtà mediterranea, un prodotto cardine dell’economia, basato
su varietà locali a forte tipizzazione regionale. Già precedentemente il nostro gruppo ha effettuato
studi di caratterizzazione di campioni di olio extravergine di oliva, provenienti da differenti aree
della Regione Puglia, utilizzando metodiche di indagine integrate, la spettroscopia di risonanza
magnetica nucleare (1H e 13C NMR) in combinazione con l’analisi statistica multivariata dei dati
ottenuti, finalizzati non solo all’ottenimento di parametri analitici convenzionali, ma anche alla loro
tracciabilità. Sono state considerate, come caratteristiche discriminanti per i prodotti stessi, la loro
origine geografica e le cultivar di appartenenza. Queste ultime sono state in prima analisi dichiarate
dal produttore, poi in studi successivi, alla semplice identificazione del fenotipo è stata affiancata
l’analisi del genotipo del materiale fogliare delle piante utilizzate. La necessità di una tale
caratterizzazione si accompagna alla crescente attenzione da parte della comunità europea,
attraverso le normative di regolamentazione, riguardo alle norme di etichettatura e indicazione della
provenienza. (Reg. CEE 2081/92 del 14 luglio 1992, successivamente modificato con il Reg. CE
510/06).
Nell’ambito di questa linea di ricerca, sono stati successivamente condotti studi specifici con
reagenti di derivatizzazione inorganici, finalizzati a verificare le possibilità di incremento della
capacità discriminante dei metodi NMR utilizzati.
123
Reagenti di derivatizzazione inorganici per la tracciabilità di prodotti alimentari
Da tempo questa unità operativa si occupa della sintesi e caratterizzazione chimica di complessi di
Platino. Nel 1995 sono state effettuate sintesi e caratterizzazione di complessi con 2,9-dimetil-1,10fenantrolina (Me2-phen), [PtX2(Me2-phen)], (X = alogeno), caratterizzati da evidenti distorsioni
della geometria di coordinazione quadrato planare e da una reattività chimica ed elettrochimica
differenti rispetto agli analoghi complessi con la fenantrolina priva di sostituenti metilici in
posizione 2,9. Le interazioni steriche tra i sostituenti in posizione 2,9 della fenantrolina e gli alogeni
in cis rendono instabile la specie quadrato-planare facilitando, in solventi clorurati, l’addizione di
leganti esterni (legante = L) quali: alcheni, alchini, CO, PPh3, DMSO, DMS, Py o n-PrNH2 e
formando complessi pentacoordinati bipiramidali trigonali più stabili con formula generale
[PtX2(Me2-phen)(L)]. La formazione di un complesso pentacoordinato prevede che gli alogeni
occupino la posizione assiale e che l’olefina sia π-legata sul piano trigonale insieme al legante
bidentato. Tra i differenti complessi sintetizzati della serie [PtX2(Me2phen)], (X = alogeno), il
complesso [PtI2(Me2phen)] è quello che mostra una maggiore capacità di dare prodotti di addizione
e quindi la formazione di complessi pentacoordinati termodinamicamente stabili, a causa
dell’ingombro sterico dovuto alla presenza dell’atomo di iodio nella geometria quadrato planare.
Come riportato in letteratura (Spyros A., J. Agric. Food Chem., 2000; Vigli G., J. Agric. Food
Chem., 2003), sono già state effettuate reazioni con l’olio extravergine di oliva che prevedono la
derivatizzazione degli idrogeni labili di gruppi funzionali (ad esempio OH, COOH e CHO) delle
molecole maggiormente presenti nell’olio (trigliceridi) con l’impiego di reagenti come il complesso
2-chloro-4,4,5,5-tetramethyldioxaphospholano. In seguito sono state effettuate delle indagini
attraverso spettroscopia di risonanza del 31P per identificare lo spostamento del chemical shift del
prodotto formatosi. Tale meccanismo di reazione è stato impiegato al fine di estendere e migliorare,
attraverso nuovi e rapidi metodi, la caratterizzazione dell’olio d’oliva e per identificare eventuali
adulterazioni ottenute con l’aggiunta di oli di qualità inferiore.
In quest’ottica il nostro gruppo di ricerca ha effettuato una serie di esperimenti in tubo NMR per
studiare la reazione tra il complesso [PtI2(Me2-phen)] ed una miscela biologica complessa
contenente trigliceridi insaturi a composizione variabile. Nel tempo sono stati preliminarmente
eseguiti esperimenti utilizzando diversi standard di esteri metilici delle catene di acidi grassi, come
l’estere metilico dell’acido oleico, linoleico, linolenico e trigliceridi a composizione mista (glicerolo
esterificato con acido oleico in posizione 1,3 e in posizione 2). Infine, la reazione di addizione al
complesso quadrato planare è stata effettuata utilizzando olio extra vergine di oliva tal quale, in
presenza di eccesso del complesso quadrato planare [PtI2(Me2-phen)]. L’obiettivo di questi
esperimenti è la messa a punto di un nuovo metodo per la caratterizzazione di miscele di acidi
grassi con diverso grado di insaturazione e lunghezza attraverso la risonanza magnetica nucleare,
tramite l’aumento di risoluzione del profilo spettroscopico a seguito dell’avvenuta reazione di
addizione tra il complesso quadrato-planare di Pt(II) e le catene degli acidi grassi esterificati. È noto
peraltro che la reazione di addizione avviene preferenzialmente per le olefine cis quali quelle
normalmente presenti nei residui degli acidi grassi insaturi.
Sono stati effettuati degli esperimenti con esteri metilici di acidi grassi insaturi che, analogamente a
quelli presenti nei trigliceridi dell’olio d’oliva, hanno una o più insaturazioni a livello degli atomi
cis-9, cis-9,12 e cis-9,12,15 della catena dell’acido grasso.
I dati NMR mostrano, dopo solo tre ore dall’aggiunta di oleato di metile al [PtI2(Me2phen)], la
formazione di una nuova specie di Pt pentacoordinata, [PtI2(Me2phen)(MeOleato)], con gli alogeni
in posizione ortogonale rispetto al piano di coordinazione del complesso. Gli spettri 1H-1H COSY,
1
H-1H NOESY, 1H{13C} HETCOR, 1H{13C} HETCOR long range ed 1H{195Pt} HETCOR hanno
permesso la completa caratterizzazione della specie pentacoordinata [PtI2(Me2phen)(MeOleato)], la
cui formazione è stata confermata anche dallo spettro NMR DOSY.
La reazione di addizione tra il complesso [PtI2(Me2phen)] e l’estere metilico dell’acido linoleico, un
acido grasso avente due doppi legami coniugati in posizione cis-∆9 e cis,cis-∆9, ∆12, porta alla
formazione di più specie pentacoordinate, la specie I (monoaddotto) e la specie II (bis addotto), in
funzione della diversa coordinazione ai due doppi legami (cis-∆9 e cis,cis-∆9, ∆12).
124
Strutture delle specie monoaddotto [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)] e bisaddotto [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)]. Gli
alogeni si trovano in posizione ortogonale rispetto al piano di coordinazione del Platino.
Lo studio degli spettri 1H-1H COSY ed 1H-1H NOESY, che mostrano la formazione iniziale della
specie pentacoordinata in cui il Pt è legato presumibilmente al doppio legame in posizione cis-∆9,
ha consentito la completa caratterizzazione delle specie I e II. Gli spettri 1H-1H COSY, 1H-1H
NOESY ed 1H{13C} HETCOR ed 1H{195Pt} HETCOR hanno evidenziato la formazione in tempi
successivi di una terza specie contenente Pt. Anche in questo caso la spettroscopia NMR DOSY ha
confermato la presenza di più specie pentacoordinate che hanno coefficienti di diffusione differenti
rispetto a quelli osservati per le molecole [PtI2(Me2phen)] e metil linoleato.
log(m2/s)
-9.4
log(m 2/s)
-9.4
specie II
specie I
-9.2
M eL
-9.0
-9.2
-9.0
5. 5
5.0
4.5
4 .0
3.5
3. 0 pp m
5.5
4.5
ppm
log( m2/s )
- 9.4
- 9.2
- 9.0
8.5
7.5
6.5
5.5
4.5
3.5
2 .5
1 .5
ppm
Espansioni dello spettro NMR DOSY (Diffusion Ordered Spectroscopy) dei segnali vinilici e bisallilici delle specie
monoaddotto [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)] e bisaddotto [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)].
Coordinazione di [PtI2 (Me2phen)] all’olio extravergine di oliva.
La reazione tra [PtI2(Me2phen)] ed esteri metilici degli acidi grassi (con differenti gradi di
insaturazione) è stata ripetuta con l’olio extravergine d’oliva, aggiunto nell’ambiente di reazione
senza alcun processo di trasformazione o derivatizzazione. Il meccanismo di coordinazione della
125
specie [PtI2(Me2-phen)] con l’olio extravergine di oliva avviene mediante addizione del complesso
quadrato planare ai vari acidi grassi insaturi (trigliceridi). Da spettri acquisiti in momenti successivi
(la reazione è stata monitorata per un tempo di circa 30h) si osservano inoltre dei cambiamenti in
alcune zone dello spettro protonico, indice dell’avvenuta coordinazione. Conducendo la reazione in
difetto di olio si osserva che il segnale a circa 5.30 ppm corrispondente ai protoni vinilici liberi
degli acidi grassi a catena lunga presenti nell’olio diminuisce di intensità man mano che la reazione
prosegue, fino alla completa scomparsa del segnale. Contemporaneamente a ciò si osserva la
comparsa del segnale dei protoni olefinici delle specie pentacoordinate a 4.45 ppm con il
caratteristico effetto di schermatura dovuto alla coordinazione al platino.
ppm
-3770
-3760
-3750
-3740
5.0
4.5
4.0
3.0
3.5
2.5
2.0
ppm
Espansione dello spettro bidimensionale 1H {195Pt} HETCOR del complesso [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)] in CDCl3
Lo studio dello spettro bidimensionale 1H{195Pt} HETCOR indica la presenza delle diverse specie
pentacoordinate che si formano in momenti successivi dalla reazione di addizione. Infatti, è
possibile osservare differenti chemical shift di segnali di atomi legati al Pt. (figura 13). I segnali
relativi alla prima specie mostrano nello spettro 2D 1H{195Pt} HETCOR un chemical shift a -3761
ppm, comparabile a quello osservato per il [PtI2(Me2phen)(MeOleato)]. Lo spettro bidimensionale
1
H{195Pt} HETCOR mostra ulteriori segnali di Pt a valori di chemical shift di -3763 ppm
(comparabile a quello osservato alla II specie, il bisaddotto, osservato nella reazione del
PtI2(Me2phen) con il MeLinoleato). Si osservano inoltre anche due segnali a -3745 e -3736 ppm,
comparabili a quelli osservati dopo prolungati tempi di reazione nella reazione di PtI2(Me2phen)
con metil Linoleato (tabella 2). Si osservano inoltre altri segnali relativi a specie contenenti protoni
accoppiati al Pt appartenti ad ulteriori specie che si formano in tempi più lunghi. In definitiva si può
affermare che un complesso di Platino(II) come il [PtI2(Me2phen)] mostra la stessa reattività, già
osservata in presenza di molecole organiche contenenti un doppio legame (olefine quali: etilene,
propene, butene), nei confronti di un campione biologico, quale l’olio extravergine di oliva. È stato
osservato che la reazione di coordinazione del doppio legame al Pt avviene nonostante il gruppo
olefinico si trovi all’interno di lunghe catene esterificate al glicerolo nelle posizioni 1,3 e 2. Dati
spettroscopici osservati sono comparabili con quelli già ipotizzati per olefine più semplici. Le
differenze di coordinazione del complesso in rapporto ai vari acidi grassi insaturi presenti nella
miscela potrebbero essere utilizzate come metodo di analisi della componente insatura degli oli
vegetali. Nella miscela sono presenti, infatti, due diverse possibilità di distribuzione: la posizione
1,3, favorita statisticamente e cineticamente (perché parti più esposte della molecola dei
trigliceridi), e la posizione 2, diversa per entrambi i fattori appena enunciati. Un altro parametro
discriminante è il tipo di acido grasso insaturo presente. È atteso che acidi grassi insaturi di tipo
trans (prodotti di degradazione) non diano facilmente prodotti di reazione con il complesso
quadrato-planare [PtI2(Me2phen)], a differenza dei cis (che sono naturalmente presenti), in ogni
caso portando a prodotti strutturalmente differenti e facilmente caratterizzabili tramite le loro
proprietà spettroscopiche. Ulteriori studi sono in corso al fine di caratterizzare le miscele di specie
pentacoordinate che si formano, in particolare nei casi degli esteri metilici di acidi grassi polinsaturi
126
e delle miscele di di- e trigliceridi contenenti più acidi grassi insaturi nelle diverse posizioni di
esterificazione.
Gruppo Prof. Santo Marsigliante: Muscella Antonella, Calabriso Nadia, Vetrugno Carla
La risposta cellulare a molecole a base di Pt(II)
L’unità coordinata dal prof. Marsigliante ha continuato la caratterizzazione biologica di [Pt(O,O’acac)(γ-acac)(DMS)]. Questo complesso ha una ridottissima reattività con le nucleobasi e una
specifica reattività con ligandi solforati, suggerendo che i bersagli cellulari preferiti possano essere i
tioli proteici. Ne avevamo ipotizziamo l’efficacia anche verso tumori cisplatino-resistenti/refrattari
sulla base della possibile presenza di bersagli proteici tumore-specifici.
Lo studio è continuato anche nell'anno 2009 e ha avuto come obiettivo l'esame dell'ipotesi che [Pt
(O,O'-acac)(γ-acac)(DMS)] fosse anche in grado di esercitare l'anoikia (una forma di morte
programmata cellulare indotta dalla perdita di ancoraggio delle cellule, cioè una forma di apoptosi
dovuta al distacco dalla matrice extracellulare circostante) e di alterare la capacità di migrazione
delle cellule MCF-7. I risultati hanno mostrato che concentrazioni sub-citotossiche di [Pt(O,O’acac)(γ-acac)(DMS)] diminuiscono: (a) l'ancoraggio indipendenza e la crescita cellulare, (b) la
capacità di migrazione e (c) l'espressione e l'attività delle metalloproteasi MMP-2 e MMP-9. Questi
effetti macroscopici sono dovuti alla produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS), e
all'attivazione delle chinasi p38MAPK, Src e PKC-ε. In conclusione, concentrazioni sub-letali di [Pt
(O,O'-acac)(γ-acac)(DMS)] inducono l'anoikia e limitano alcuni degli eventi che portano alla
metastatizzazione. Quindi, ancora una volta i risultati suggeriscono che [Pt (O,O'-acac)(γacac)(DMS)] è un promettente agente terapeutico in grado di prevenire la crescita e le metastasi del
cancro al seno.
Questa unità ha continuato anche per il 2009 gli studi sul cisplatino seguendo tre differenti aspetti
della ricerca dettagliati di seguito:
(a) studio dell'effetto del cisplatino sulla migrazione delle cellule endoteliali, un processo essenziale
per il rimodellamento vascolare e la rigenerazione in diverse situazioni fisiologiche e patologiche.
Abbiamo dimostrato che il cisplatino provoca la riduzione della migrazione di cellule endoteliali,
effetto indipendente dalla sua ben nota attività citotossica. Inoltre, il cisplatino riduce l'attività della
metalloproteasi MMP2 utilizzando due vie di trasduzione del segnale indipendenti: la via di JNK e
quella di p38MAPK.
(b) studio degli effetti del cisplatino sull'attivazione del fattore di trascrizione c-fos e valutazione
delle vie di trasduzione del segnale che mettono capo a questa attivazione in cellule di tiroide.
Abbiamo dimostrato che il cisplatino provoca l'induzione di c-fos e l'attivazione delle proteine
chinasi PKC-beta, PKC-delta e PKC-epsilon. Concludiamo che nelle cellule tiroidee, nelle vie di
segnalamento intracellulare che portano alla resistenza al cisplatino, la PKC-delta controlla l'attività
di ERK e, insieme con la PKC-beta, anche l'induzione di c-fos, il quale ha il ruolo protettivo più
importante.
(c) studio delle funzioni del recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR) negli effetti
esercitati dal cisplatino in cellule tiroidee. Si è constatato che il cisplatino provoca (1) l'attivazione
(fosforilazione) e l'internalizzazione di EGFR, (2) la fosforilazione delle chinasi p38MAPK e PKCepsilon, (3) l'aumento dell'espressione delle metalloproteinasi della matrice MMP-2, (4) la
produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e (5) l'attivazione del pathway apoptotico
intrinseco. In conclusione, i risultati sono a favore di un modello nel quale il cisplatino provoca la
genesi di ROS che transattivano EGFR, con successiva induzione dell'apoptosi, un processo
quest'ultimo ascrivibile alla PKC-epsilon e a p38MAPK, due vie di segnalamento intracellulare
dipendenti da EGFR.
127
Gruppo Prof. T. Schettino: Maria Giulia Lionetto, Maria Elena Giordano, Roberto Caricato
Nel corso dell’anno 2009 il gruppo di ricerca diretto dal prof. Schettino ha continuato lo studio del
metalloenzima anidrasi carbonica e, in particolare, della sua sensibilità in vitro alle principali classi
di contaminanti chimici ambientali, intrapreso negli anni precedenti. L’anidrasi carbonica è un
metalloenzima che catalizza la reazione reversibile di idratazione dell’anidride carbonica a
bicarbonato. Tale enzima ha un’ampia diffusione nel mondo vivente, essendo presente in alcuni
batteri, nelle piante e negli animali. Il sito attivo dell’enzima è localizzato in una profonda tasca,
situata nel centro della molecola in cui è alloggiato lo ione Zn2+ che si lega a tre residui di istidina
della proteina.
Nel corso del 2009, inoltre, il gruppo di ricerca del prof. Schettino ha proseguito lo studio,
intrapreso negli anni precedenti, delle metallotioneine, proteine citoplasmatiche ad elevata affinità
per i cationi dei metalli pesanti, su organismi sentinella della qualità del suolo, quali i lombrichi, ai
fini dello studio della contaminazione del suolo da metalli pesanti.
Gruppo Prof. Michele Maffia: Raffaele Acierno, Antonio Danieli, Antonia Rizzello, Emanuela
Urso, Maria Luce Coluccia, Daniele Vergara
Il rame è un micronutriente essenziale presente in tracce in tutti gli organismi. Le particolari
proprietà ossido-riduttive di questo metallo ne giustificano il ruolo come cofattore catalitico per
numerosi enzimi coinvolti in processi biochimici basilari (respirazione mitocondriale, difesa
cellulare contro lo stress ossidativo). La stessa natura reattiva dello ione rame, se non
opportunamente “gestita” dalla cellula, può dare origine alla formazione di radicali idrossilici, in
grado di danneggiare irreversibilmente lipidi, proteine ed acidi nucleici. Per questo motivo, il
metabolismo cellulare del rame è finemente regolato da una complessa rete di trasportatori e
proteine “chaperon”. Il carrier Ctr1 media selettivamente l’ingresso degli ioni Cu(I) nelle cellule.
Recentemente è stato, inoltre, dimostrato come anche la proteina DMT1 sia in grado di trasportare
ioni rame in forma mono- e divalente. Tuttora controverso è il ruolo della Proteina Prionica
Cellulare PrPC, che, localizzata sul versante extracellulare delle membrane cellulari e data l’elevata
affinità di legame per gli ioni Cu(II), sembrerebbe potenzialmente in grado di mediare l’uptake
cellulare del metallo. Non esistono, tuttavia, prove dirette e inconfutabili che questo avvenga.
Nel compartimento citosolico, tre proteine “chaperon”, Atox1, CCS e Cox17 veicolano il
rame verso specifici compartimenti subcellulari ed enzimi che lo richiedono come cofattore,
rispettivamente le membrane dell’apparato di Golgi, la Superossido dismutasi citosolica e i
mitocondri. L’efflusso cellulare dello ione avviene essenzialmente ad opera delle proteine di
Menkes (ATP7A) e Wilson (ATP7B), ATPasi di tipo P localizzate a livello dell’apparato di Golgi,
dove presiedono all’incorporazione del rame nella struttura dei cuproenzimi. In presenza di un
eccesso del metallo nel citosol, entrambe si localizzano a livello della membrana plasmatica,
mediandone l’efflusso.
Sebbene sia ormai ben noto il coinvolgimento di dismetabolismi del rame nell’insorgenza di
numerose patologie neurodegenerative, in ogni caso legate ad un ridotto assorbimento dello ione e/o
ad una distribuzione tissutale deficitaria, i meccanismi che regolano l’omeostasi cellulare dello ione
a livello nervoso sono ancora poco chiari. Per questa ragione, la presente Unità Operativa ha
orientato la propria attività di ricerca alla ricostruzione dei meccanismi che sovrintendono
all’omeostasi cellulare dello ione rame in un modello cellulare di origine nervosa, derivato dal
Sistema Nervoso Centrale di ratto (linea cellulare B104). Lo studio delle strategie adattative messe
in atto dalle cellule in risposta ad una condizione di carenza di rame ha fornito prove convincenti
del ruolo chiave rivestito dalla proteina prionica nel trasporto cellulare di quest’elemento. Per
verificare con quali modalità e in che misura questa proteina intervenga nel mediare l’uptake
cellulare di rame, sono stati realizzati dei saggi di trasporto basati sull’utilizzo di un metodo
d’indagine fluorimetrica. L’ingresso di rame nelle cellule pre-caricate con l’indicatore fluorescente
128
Cu-sensibile Phen Green SK è stato quantificato nelle seguenti condizioni sperimentali: (1)
controllo; (2) inibizione dei processi di trasporto endocitotico mediante shock ipertonico; (3)
inibizione dei processi di trasporto PrPC-mediati mediante rimozione enzimatica delle proteine
ancorate alla membrana plasmatica attraverso un residuo di GPI; (4) simultanea inibizione dei
processi di trasporto endocitotici e PrPC-mediati [(2) + (3)]. La percentuale di inibizione del
trasporto di rame è risultata invariata nelle tre condizioni sperimentali e pari all’incirca al 30%. Se
ne deduce che in condizioni standard la proteina prionica media solo in parte i processi di uptake
dello ione rame, con modalità esclusivamente endocitotiche. Inoltre, i processi di endocitosi
finalizzati alla captazione di rame sono esclusivamente PrPC-dipendenti. L’affidabilità dei risultati
ottenuti in questo studio è stata dimostrata valutando gli effetti delle condizioni sperimentali sopra
citate su un sistema di trasporto non endocitotico (scambiatore Na+/H+) mediante l’uso di una
tecnica fluorimetrica utile a rilevare variazioni di pH intracellulare (indicatore fluorescente
BCECF), quali indici di un’attività di trasporto H+-dipendente. Come atteso, le condizioni
sperimentali utilizzate non hanno prodotto variazioni significative dei processi di trasporto.
In riferimento ad un possibile coinvolgimento della PrPC nei processi di trasmissione
sinaptica, si è deciso di eseguire mediante spettroscopia SERS (Surface-enhanced Raman
Spectroscopy) un’analisi puntuale dei livelli di espressione di questa proteina nei vari distretti della
membrana plasmatica delle cellule B104.
Precedenti studi hanno consentito la messa a punto di un protocollo SERS di rivelazione e
quantificazione della PrPC basato sulle variazioni dei profili Raman ottenuti da colture controllo
prima e dopo una breve esposizione ad un sale di rame. Per rendere le condizioni sperimentali il più
possibile idonee ad un’indagine di tipo quantitativo, sono stati acquisiti gli spettri Raman da
monostrati cellulari posti in presenza di concentrazioni crescenti di rame (Cu 10-50-200 µM), ad
intervalli di tempo regolari (0-10 min). Sulla base dei dati ottenuti, si è scelto di esporre le colture
cellulari per 2 min alla presenza di CuCl2 200 µM, condizione che consente di ottenere un chiaro
segnale della presenza della proteina prionica cellulare.
L’analisi puntuale ha, quindi, evidenziato una ridotta localizzazione della proteina prionica a livello
del corpo cellulare. Una presenza marcata è stata osservata, invece, nel cono d’emergenza neuronale
(o zona d’innesco del potenziale d’azione), a testimoniare un possibile coinvolgimento della PrPC
nei processi cellulari elettrofisiologici.
In questo momento, sono in corso degli esperimenti di caratterizzazione dei meccanismi di trasporto
dello ione rame in modelli cellulari di origine epatica (BRL3A) ed intestinale (Caco-2, HT-29)
attraverso l’utilizzo di opportuni substrati di crescita (filtri in Teflon trattati con collagene) e di un
metodo d’indagine fluorimetrica applicato ad un sistema di perfusione.
129
130
UNITA’ DI RICERCA DI SIENA
Direttore Sientifico: Prof. Piero Zanello
Come ormai tradizionale, l'Unità di Ricerca di Siena nel corso del 2009 ha proseguito
ricerche e studi su molecole di interesse biomedico e farmacologico avvalendosi delle competenze
specifiche dei diversi gruppi componenti l’unità, competenze che spaziano dalla sintesi alla
caratterizzazione chimico-fisica (strutture molecolari mediante tecniche a Raggi X e mediante
tecniche spettroscopiche, proprietà elettro- e spettroelettro-chimiche e capacità complessante di
metalloleganti mediante misure calorimetriche), alla caratterizzazione farmaco-bio-medicale. Gran
parte di tali indagini sono state condotte in collaborazione con gruppi di ricerca sia nazionali, che
internazionali.
1.
Gruppo di ricerca del Professore Piero Zanello
Nel corso dell'anno 2009 sono proseguite collaborazioni pluriennali col gruppo del Professor L.
Messori (Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze) e col gruppo del Prof. D. Fregona
(Dipartimento di Scienze Chimiche dell'Università di Padova) mirate alla determinazione della
capacità ossido-riduttiva di molecole di potenziale interesse bio-medico. In particolare, nel corso del
2009 si è privilegiato lo studio dell’interazione tra molecole potenziali pro-farmaci e proteine.
In questo quadro, in collaborazione con l’Unità di Firenze sono state studiate per via elettrochimica
e spettroelettrochimica le interazioni tra:
- il complesso di Ru(III) [HIm][trans-RuCl4(DMSO)(Im)] (NAMI-A) e il Citocromo C;
- il NAMI A e il Lisozima;
- il complesso di Ru(III) trans-[bis(2-amino-5-methylthiazole)RuCl4] (PMRU27) e il Citocromo C
La collaborazione con l’Unità di Padova ha riguardato indagini elettrochimiche e
spettroelettrochimiche su complessi di Cu(II) con leganti ad attività citotossica nei confronti di un
ampio numero di linee tumorali umane. In tale ottica, sono state studiate per via elettrochimica e
spettroelettrochimica le interazioni tra complessi ditiocarbammici di Cu(II) e il glutatione.
2.
Gruppo di ricerca dei Professori Vomero, Anzini, Cappelli, Giuliani.
L’attività scientifica svolta nel 2009 dal gruppo di ricerca dei Prof. Vomero, Anzini, Cappelli e
Giuliani ha riguardato:
a) la sintesi, caratterizzazione e lo studio delle potenziali applicazioni nel rilascio controllato
di farmaci di matrici polimeriche innovative;
b) la progettazione la sintesi, la caratterizzazione strutturale, e farmacologica di composti
eterociclici di interesse farmaceutico;
c) la sintesi di nuovi substrati delle luciferasi.
3.
Gruppo di ricerca del Professore Gianni Valensin
Nel corso del 2009 il gruppo del Prof. Gianni Valensin ha proseguito alcune linee di ricerca iniziate
negli anni precedenti e sono continuate le collaborazioni con i gruppi di ricerca del Prof. Henrik
Kozlowski (Università di Wroclaw, Polonia), della Prof. Malgorzata Jezowska-Bojczuk (Università
di Wroclaw, Polonia) e con quello del Prof. Maurizio Remelli (Università di Ferrara).
Le linee di ricerca possono essere così riassunte:
- Studi spettroscopici (NMR, EPR e UV-Vis) e potenziometrici delle interazioni tra ioni metallici
(Cu, Zn, Fe, Mn) e sequenze di proteine coinvolte in alcuni processi neurodegenerativi
(Alzheimer’s e prioni).
- Studi spettroscopici e cristallografici di metallo-proteine e metallo-peptidi. Studi NMR
paramagnetici di metallo-peptidi.
- Folding e aggregazione di proteine: metalli e biomolecole nelle malattie conformazionali.
- Studio dell’interazione tra antibiotici amino glicosidici, ioni Cu(II) e frammenti di RNA,
mediante NMR e dicroismo circolare.
131
4.
Gruppo di ricerca del Professore Giuseppe Campiani
Nel corso del 2009, in linea con le esperienze di ricerca del gruppo in oggetto, sono proseguite le
ricerche chimico-farmaceutiche nei settori delle malattie neurodegenerative, delle malattie
neuropsichiatriche, nel campo dei farmaci antienzimatici, nel settore dei farmaci antimalarici,
antivirali, anti-HIV ed anti-HCV, nel settore dei farmaci antitumorali a struttura taxanica o a
struttura eterociclica e nel campo dei diagnostici per malattie causate da prione e amiloide.
5.
Gruppo di ricerca del dott. Mario Casolaro
Durante l’anno 2009 l’attività di ricerca ha riguardato fondamentalmente la sintesi di nuovi polimeri
vinilici reticolati (idrogeli), con vario contenuto di agente reticolante. In particolare sono stati
sintetizzati tre idrogeli contenenti residui di L-valina e successivamente fatti complessare con cisplatino. Tali materiali diventano così sensibili al pH ed alla temperatura, essendo la struttura del
polimero simile a quella del ben noto poli(N-isopropilacrilammide) termosensibile. E’ stato studiato
il rilascio di Pt(II) dagli idrogeli caricati e la loro tossicità in vitro. I risultati sembrano più
promettenti di quelli in precedenza riportati e sono stati presentati al XXIII Congresso Nazionale
della SCI.
Un’ulteriore ricerca, sempre nel campo del rilascio controllato di farmaci, ha riguardato la sintesi e
lo studio di interazione di un nuovo polimero contenente β-ciclodestrine, ed è in fase di studio
l’interazione con la luteina per applicazioni cosmetiche.
6.
Gruppo di ricerca del Professore Renzo Cini
Nel corso dell’anno 2009 è continuata la ricerca su complessi metallici come potenziali farmaci. La
strategia di ottenere farmaci multivalenti grazie alla combinazione delle attività farmacologiche dei
leganti con quelle del metallo ha dato promettenti risultati nel caso di complessi Rutenio-tiobasi.
Come in passato, è stata curata la sintesi dei complessi, la loro caratterizzazione strutturale mediante
metodi diffrattometrici e di chimica computazionale. Sono stati effettuati studi funzionali di densità
su complessi metallici.
In cooperazione con il gruppo del professor Zanello è stata effettuata la caratterizzazione
strutturale mediante diffrattometria a Raggi X e metodi funzionali di densità di un complesso di
Rame(II) con un nuovo legante “base di Schiff” prodotto per sintesi elettrochimica a partire da altro
complesso di Rame(II). Lo studio computazionale ha permesso di ottenere importanti contributi al
meccanismo di reazione per la trasformazione del legante fino a dare il nuovo complesso. Questo
gruppo di ricerca ha curato lo studio diffrattometrico e computazionale, mentre il gruppo del
Professor Zannello si è occupato della sintesi per via elettrochimica del composto.
Nel corso di questo anno è proseguito lo studio sulla qualità delle bevande attraverso la
messa a punto di un metodo analitico per la determinazione dei solfati nelle acque e nei vini,
attraverso un metodo indiretto basato sulla spettroscopia di assorbimento atomico. Lo studio è
proseguito con la determinazione di metalli nei vini Chianti di alta qualità. È stato dimostrato che
l’esistenza di una correlazione lineare fra il contenuto di solfati ed il contenuto di rame per vini
ottenuti da uve provenienti dallo stesso terroir costituisce un modo affidabile per l’accertamento di
trattamenti con solfato di rame alla vite o al vino stesso. Per valori alti dei due analiti è possibile
ipotizzare un trattamento massiccio ad indicare una bassa qualità dell’uva.
È continuato e si è intensificato lo studio di carico e rilascio dei complessi di platino su e da
idrogeli di sintesi preparati e caratterizzati dal collega Mario Casolaro nell’ambito della
cooperazione all’interno del CIRCMSB-Unità di Siena. Lo scopo di questo studio è quello di
realizzare delle vie di somministrazione di farmaci a base di metalli, che siano efficaci ed in grado
di ridurre gli eventuali effetti collaterali indesiderati dei farmaci stessi. Nel corso di questo anno è
stato studiato il cisplatino, il capostipite dei metallo farmaci contro il cancro, ancora oggi molto
usato per la cura di certi tumori umani in tutto il mondo.
Nell’ambito della cooperazione con la Emory University di Atlanta, Georgia, USA, ed in
particolare con il famoso Emerson Center diretto dal Professor Keiji Morokuma, è proseguito lo
132
studio sperimentale e funzionale di densità sui meccanismi della reazione che per attivazione del
legame Sb-C porta alla formazione di composti organo-metallici stabili di Rodio(III) in un solo step
di sintesi, in ambiente alcolico ed a temperature di 50-80°C. La cooperazione e la ricerca
sperimentale e computazionale è stata curata dalla Dottoressa Gabriella Tamasi sia durante il
semestre da lei trascorso ad Emory (nel 2006) che durante la Summer School Emory-Unisi
Advanced Methods in Chemistry (nel 2008) di cui la Tamasi è stata docente ad Emory. Il lavoro è
stato completato nel corso del 2009 usufruendo in remoto sia delle risorse di calcolo dell’Emerson
Center di Emory che del Cineca.
Infine è proseguito lo studio di sintesi e di caratterizzazione strutturale di complessi di
Platino(II) con olefine in cooperazione con il gruppo dei Professori Maresca e Natile dell’Università
di Bari. In particolare il gruppo di Siena ha effettuato lo studio diffrattometrico a raggi-X su cristalli
di composti preparati e caratterizzati dal gruppo di Bari.
133
134
UNITA’ DI RICERCA DI TORINO
Direttore Scientifico: Prof. Silvio Aime
L’attivita’ di ricerca dell’Unita’ di Torino si e’ articolata lungo le seguenti linee e i risultati ottenuti
sono stati oggetto di 29 pubblicazioni a stampa.
Complessi paramagnetici per applicazioni MRI
Nel settore degli agenti paramagnetici a base di Gd(III) si è continuato lo studio per approfondire la
comprensione dei fenomeni che ottimizzati possono portare ad aumentare l’efficienza del composto
come agente di contrasto per applicazioni MRI. In particolare, in uno studio condotto in
collaborazione con il dipartimento di Chimica dell’Università di Durham, si è scoperto che
all’interno della classe di composti derivati dal Gd-AAZTA c’è una differenza molto grande (sei
volte) nella velocità di scambio delle molecole di acqua coordinate al Gd(III) tra i disteroisomeri
RR- e RS- del derivato dell’acido di-glutarico dell’AAZTA.
Nell’ottica di una maggiore conoscenza della stabilità termodinamica e soprattutto cinetica di questa
importante classe di composti derivati dal Gd-AAZTA si sono inoltre calcolate le costanti di
stabilità del legante capostipite con tutti i lantanidi della serie e alcuni metalli divalenti di interesse
biologico (Cu e Ca).
Sempre nell’ambito dei chelati di Gd(III) ad elevata stabilita’ termodinamica e cinetica e
caratterizzati dal possedere due molecole di acqua nella loro sfera di coordinazione, si e’ proceduto
con l’ottimizzazione dei leganti della serie HOPO (in collaborazione con L’Unita’ di Ricerca del
Piemonte Orientale e con il Dipartimento di Chimica dell’Universita’ di Berkeley).
Nell’ambito della ricerca di sistemi caratterizzati da una maggiore efficienza in termini di relassività
e biodistribuzione si sono sintetizzati e caratterizzati ( la sintesi è stata condotta dal gruppo di
ricerca del Prof. G. Cravotto dell’Università di Torino) nuovi dimeri e trimeri di beta-ciclodestrina
che hanno dimostrato di poter dare composi di inclusione con complessi di Gd(III) funzionalizzati
con residui idrofobici 2-3 ordini di grandezza più stabili rispetto a quelli con la normale betaciclodestrina.
Sistemi caratterizzati da valori di relassività molto elevati sono inoltre stati messi a punto attraverso
l’incorporazione in LDL (Low density Lipoprotein) di un derivato liofilo del Gd-AAZTA. Il
sistema così ottenuto è caratterizzato dall’avere due molecole di acqua coordinate nella sfera di
coordinazione interna del Gd(III) e questo garantisce un valore di relassività molto più elevato
rispetto a sistemi analoghi costituiti con complessi di Gd(III) con q=1.
Per quel che riguarda l’importante classe di composti definiti “smart”, perché in grado di essere
responsivi di un determinato parametro caratteristico dell’ambiente in cui l’agente si distribuisce
(es. pH, temperatura, concentrazione di ioni, ecc…), si è messo a punto un sistema costituito da una
piattaforma a base di Policiclodestrina per la mappatura del pH tramite un metodo raziometrico
basato su misure 1H/19F-MRI. La policiclodestrina è un carrier in grado di trasportare
contemporaneamente il complesso di Gd(III) la cui relassività dipende dal pH e una molecola
contenente 19F, dal cui segnale è possibile estrarre la concentrazione in ogni distretto in cui il
sistema si distribuisce. Entrambe le molecole sono state funzionalizzate con un residuo di
adamantano per assicurare un binding elevato verso il carrier policiclodestrinico.
Sempre nell’ambito degli agenti di contrasto “smart” (in collaborazione con il dip. di Chimica
dell’Università di Berkeley) si è poi studiata una nuova classe di complessi responsivi agli ioni
Cu+/Cu2+ costituiti da una gabbia di coordinazione basata sul DO3A accoppiata con diverse
funzioni ricche di gruppi tioetere con una particolare tendenza alla coordinazione per il Cu. In
presenza di Cu+/Cu2+ si osserva una variazione di relassività dovuta ad un cambiamento nella sfera
di coordinazione del Gd(III); tale variazione è altamente selettiva per la presenza dello ione rame
rispetto alla competizione di altri ioni metallici alle concentrazioni cellulari, compreso lo Zn2+ in un
eccesso di dieci volte.
135
Nell’ambito della sintesi e caratterizzazione di sistemi in grado di targettare selettivamente le
cellule tumorali, si sono studiate tre nuove sonde in cui la gabbia di coordinazione del Gd-DOTA è
stata funzionalizzata, attraverso uno spaziatore costituito da una catena di sei atomi di carbonio, con
il vettore glutammina legato in tre modi diversi e cioè attraverso le funzioni alfa-carbossilica,
gamma-carbossiammidica e alfa-amminica. I risultati di uptake cellulare in una linea di
epatocarcinoma (HTC) e in epatociti sani di ratto hanno permesso di concludere che il sistema in
cui il vettore è coniugato attraverso la funzione alfa-carbossilica ha un’affinità marcatamente più
alta per le cellule tumorali; questo comportamento è stato razionalizzato sulla base dell’utilizzo da
parte di questo sistema di un trasportatore aggiuntivo presente nelle cellule epatiche tumorali.
Un altro sistema preso in considerazione è quello costituito da un derivato del Gd-DTPA coniugato
alla Vitamina B12 attraverso l’esterificazione del gruppo 5-OH dell’unità di ribosio della vitamina
stessa. Questo sistema è in grado di rilasciare, in modo specifico verso le cellule tumorali, grandi
quantità di ione Gd(III) che risulta citotossico per le cellule stesse.
Per quanto riguarda lo sviluppo nel settore degli agenti CEST, la ricerca svolta si è principalmente
focalizzata sullo studio del comportamento in vivo di sistemi liposomiali (LipoCEST). Come
riportato nella relazione dello scorso anno, la peculiarità di questi agenti risiede nella loro elevata
sensibilità che deriva dalla saturazione del segnale 1H-NMR dell’intero pool di molecole di acqua
intrappolate nelle nanovescicole liposomiali ed opportunamente shiftate dal segnale di bulk
mediante opportuni reagenti paramagnetici di shift incapsulati nella cavità o incorporati nella
membrana. Poichè la persistenza del contrasto CEST in questi sistemi è vincolata all’integrità della
vescicola, particolare interesse è stato rivolto all’interazione tra questi agenti e i tessuti con i quali
tali sistemi possono interagire in vivo. Come sistema modello si è scelto di iniettare l’agente
direttamente in una lesione tumorale murina (melanoma) generato per inoculo sottocutaneo di
cellule tumorali B16. Il contrasto CEST è stato monitorato nel tempo al fine di valutare la sua
persistenza. Per ampliare le informazioni circa il destino delle nanovescicole nell’ambiente
tumorale, oltre al contrasto CEST è stata misurata l’evoluzione cinetica anche del contrasto T2,
sfruttando la capacità posseduta da questi agenti di ridurre il tempo di rilassamento trasversale
dell’acqua per effetti di suscettività magnetica. Inoltre, sostituendo il reagente di shift incapsulato
nell’agente LipoCEST con un analogo complesso di Gd(III), è stato possibile seguire anche il
contrasto T1 senza modificare le interazioni biologiche del nanosistema. I dati raccolti sono stati
analizzati mediante un modello cinetico sviluppato al fine di desc rivere l’uptake cellulare delle
vescicole e la compartimentalizzazione e trafficking intracellulare dell’agente paramagnetico.
Un altro importante risultato nel settore degli agenti CEST è stato raggiunto utilizzando lo
iopamidolo, un agente diagnostico approvato per l’uso clinico nella tomografia CT. Questi studi
hanno evidenziato la capacità di questo agente di fornire un contrasto CEST dipendente dal pH ed
inoltre, poichè la molecola presenta due diversi set di protoni mobili con frequenze di risonanza e
velocità di scambio diverse. Queste caratteristiche sono state sfruttate per rendere questo agente un
probe MRI per la misura del pH in modo indipendente dalla concentrazione locale di agente. Poichè
lo iopamidolo viene escreto totalmente per via renale, è stato sviluppato un protocollo MR-CEST in
vivo su un modello murino per la misurazione in vivo del pH nelle diverse strutture renali
(corteccia, medulla, calice).
Molecole-paraidrogenate
In seguito all’addizione di una molecola di para-idrogeno (iperpolarizzata in quanto le popolazioni
dei livelli di spin sono sbilanciate rispetto alla situazione di equilibrio) a substrati insaturi,
l’iperpolarizzazione viene mantenuta anche nei prodotti, che di conseguenza presentano spettri
NMR caratterizzati da un’elevatissima intensità di segnale, di diversi ordini di grandezza superiore
a quella ottenibile dallo stesso campione idrogenato con normal-idrogeno, o dopo il ripristino
(tramite i processi di rilassamento) delle popolazioni di equilibrio dei livelli di spin nucleare.
L’ordine di spin del para-idrogeno può essere trasferito agli eteronuclei della stessa molecola
tramite accoppiamento scalare o interazione dipolare, rendendo così possibile l’acquisizione di
136
immagini MR basate sull’osservazione diretta dell’eteronucleo, col vantaggio della completa
assenza di rumore di fondo nell’immagine, e la possibilità di seguire – anche in vivo – le eventuali
trasformazioni metaboliche cui le molecole iperpolarizzate vanno incontro mediante l’osservazione
dei prodotti del metabolismo (non visibili con altre metodologie). Lo svantaggio risiede nel breve
tempo a disposizione per la misura, dato che l’iperpolarizzazione decade secondo il rilassamento
longitudinale del nucleo in questione, ragione per cui è necessario selezionare molecole nelle quali
sia possibile trasferire l’effetto del paraidrogeno ad un nucleo caratterizzato da un lungo T1, oltre
che naturalmente caratterizzate da buona solubilità in acqua e bassa tossicità.
Nel corso dell’anno 2009 abbiamo proseguito con la messa a punto dell’intera metodologia, con
particolare attenzione all’ottimizzazione del reattore per la reazione di idrogenazione e del processo
di purificazione del prodotto iperpolarizzato (mediante rimozione del solvente organico e del
catalizzatore di idrogenazione). In particolare, si sono studiati due diversi metodi di purificazione:
1) eliminazione di solvente e catalizzatore mediante trasferimento di fase, in continuità col lavoro
dell’anno precedente, e 2) para-idrogenazione in fase acquosa e successiva eliminazione del
catalizzatore mediante scambio ionico.
Sono stati inoltre preparati e testati diversi substrati arricchiti in 13C o 15N come potenziali candidati
per future applicazioni MRI in vivo. Tra questi, alcuni derivati del glucosio, che sono risultati
particolarmente promettenti in quanto facilmente idrogenabili anche in acqua, con elevati livelli di
polarizzazione raggiungibili, e velocemente internalizzati da cellule tumorali.
137
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UNITA’ DI RICERCA DI TRIESTE
Direttore Scientifico: Prof. Ennio Zangrando
COMPOSTI ANTITUMORALI DI RUTENIO
Enzo Alessio, Ioannis Bratsos, Teresa Gianferrara, Ennio Zangrando
Strategie di sintesi di coniugati rutenio-porfirina con attività antitumorale
La sintesi che porta a legare anelli porfirinici a frammenti metallici è una strategia per la
preparazione di nuovi composti che presentano sia proprietà di fototossicità e di localizzazione del
tumore da parte delle porfirine, sia proprietà citotossiche del complesso metallico per un effetto
antitumorale combinato. Nel 2009 abbiamo riportato una nuova classe di coniugati rutenio-porfirina
con potenziali applicazioni biomediche. La scelta del rutenio è dovuta al fatto che parecchi dei suoi
composti (alcuni sviluppati nei nel nostro gruppo) presentano promettenti attività anticancro.
La coniugazione con il macrociclo di porfirine è ottenuto con l’uso di anelli piridinici periferici (ad
es. meso-4'-tetrapiridilporfirina, 4'TPyP) o con unità bipiridilici (ad es. meso-(p-bipy-fenil)porfirina,
Bpyn-PPs, n = 1-4). Il numero di frammenti metallici di Ru attaccati alla porfirina varia da 1 a 4 e la
corrispondente carica dell’addotto da -4 a +8. Son stati utilizzati differenti tipi di frammenti di Ru
periferici sia con numero di ossidazione +3 che +2. In alcuni casi questi sono strutturalmente simili
a ben noti composti antitumorali, come ad es. il [Na]4[4'TPyP{trans-RuCl4(dmso-S)}4], contenente
quattro frammenti del tipo NAMI., o [4'TPyP{Ru([9]aneS3)(en)}4][CF3SO3]8 e [Bpy4PP{Ru([9]aneS3) (dmso-S)}4][CF3SO3]8 (nei quali en = 1,2-diaminoetano, [9]aneS3 = 1,4,7tritiaciclononano) che comprendono quattro gruppi di Ru(II) “half-sandwich”.
I frammenti di Ru possono contenere sia uno o più leganti labili o essere coordinativamente saturi e
inerti alla sostituzione. Due esempi sono riportati in Figura.
8+
S
H2
N
Ru
N
H2
N
8+
S S
Ru
N
S
H3C
H3C N
O
S
S
S
O
CH3
NH
H3C
CH3
NH2
H2N
S
Ru
S
NH
S
N
N
N
N
S
HN
N
S
H2N
S
Ru
S
NH2
S
N
S Ru
N
S S
O
CH3
CH3
S
N
N
O
HN
HN
H3C
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NH
H2
N
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HN
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N
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Ru
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CH3
CH3
O
La maggior parte dei coniugati rutenio porfirina sono solubili, almeno moderatamente, in soluzione
acquosa e risultano pertanto adatti per applicazioni e studi biologici. In particolare test di
citotossicità e di foto citotossicità sono in corso di studio.
139
BIOCRISTALLOGRAFIA
L. Randaccio, S. Geremia, N. Demitri, M. De March
Cristallizzazione della variante mutata del peptide biomimetico KE1(His16)
Tramite diffrazione a raggi X è stata risolta la struttura trigonale geminata (gruppo spaziale P3 e
P32) del peptide KE1 wild type. La presenza in cella di una molecola indipendente con una struttura
secondaria ad α-elica lineare, e le relative relazionate per simmetria, individua la formazione di un
trimero di tipo parallelo con un motivo supersecondario chiamato three helix bundle che genera al
suo interno una cavità idrofobica in cui si localizza un residuo di fenilalanina.
Si è proceduto quindi alla cristallizzazione e la determinazione della struttura a raggi X di una
variante mutata del peptide KE1. La scelta della mutazione è stata decisa sulla base di uno studio di
modeling (Figura 1) in cui si è ipotizzato che la sostituzione del residuo di fenilalanina con istidina
generasse nella cavità idrofobica del polipeptide un possibile sito di coordinazione per uno specifico
ione metallico, quale lo zinco. Questa ipotesi è supportata dal fatto che la strutturazione del peptide
KE1(his16) fosse la stessa della forma wild type, ossia che una volta introdotta la mutazione ed una
volta effettuato un esperimento di co-cristallizzazione il peptide assumesse una struttura ad α-elica
completa generando quindi nella cella elementare il motivo tipo three helix bundle parallelo già
incontrato.
A supporto di ciò vi erano numerosi studi di dicroismo circolare in cui si dimostra che metalli quali
zinco, rame e cadmio presentano la capacità di indurre in peptidi di nuova sintesi questo
caratteristico folding (A.F.A.P. at all. 2009).
L’analisi cristallografica di questa nuova molecola è utile per la comprensione della strutturazione
di un sito di coordinazione metallico all’interno di peptidi artificiali il cui ruolo è quello di mimare
la funzione catalitica di numerose metalloproteine naturali e diventa rilevante in numerose
applicazioni riguardanti settori come la biochimica o la chimica farmaceutica, per lo sviluppo di
nuove biomolecole che presentano specificità e selettività sempre maggiori verso determinate
sostanze.
E’ stata quindi avviata la procedura di sintesi e preparazione della variante KE1 (His16), effettuata
dal Dott. G. Fontanive in collaborazione con il gruppo del Prof. R. Marzari.
Dopo il processo di riduzione (protocollo di M.Vilaseca at all. 1998), sono stati utilizzati numerosi
composti organici e il risultato positivo è stato confermato da una analisi di spettrometria di massa
che non esclude però la presenza di altre forme chimiche nel campione (figura 1e), il peptide è stato
solubilizzato in tampone K2PO4 50 mM a pH 6.5, e successivamente purificato tramite
cromatografia di esclusione per eliminare i composti organici in eccesso, monitorando il tutto via
UV.
Il peptide purificato (10 mg) è stato liofilizzato e successivamente solubilizzato in acqua a
concentrazioni variabili (~2-3 mM) e sono stati effettuati esperimenti di co-cristallizzazione con
soluzioni di CuSO4, ZnCl2 e CdAc in rapporti molari diversi. Gli esperimenti di diffrazione sono
stati così effettuati alla linea di diffrazione XRD1 ad Elettra Trieste, ma dalle analisi preliminari è
stato rilevato che la presenza di pochi spots associata ad una cella elementare di volume molto
piccolo corrispondente alla cristallizzazione di Sali o piccole molecole usate durante il processo di
riduzione.
Espressione, purificazione e cristallizzazione del mutante PDE4B2 S487D
Le proteine PDE4 sono enzimi che idrolizzano il legame 3’-5’ fosfodiestereo che si trova nel
nucleotide ciclico purinico cAMP e che svolgono importanti azioni sul metabolismo dei nucleotidi e
sulla cascata di trasduzione del segnale mediato da questi. I farmaci inibitori delle PDEs sono
molecole che mimano gli anelli purinici e che sono in grado di legare in modo competitivo questa
classe di proteine nel loro sito catalitico inibendone l’attività. Le rilevanti implicazioni biologiche di
questa importante classe di inibitori sintetici interessano lo studio di alcuni processi patologici di
tipo infiammatorio fra cui in particolare quello dell’asma allergica e della schizofrenia di tipo
ereditario.
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Le difficoltà riscontrate durante questi anni nel tentativo di produrre una quantità apprezzabile di
proteina wild-type con un grado di purezza e stabilità tali da poter effettuare esperimenti di
cristallizzazione e diffrazione hanno confermato le peculiari caratteristiche di questa proteina; il
costrutto della PDE4B2, fuso alla proteina Glutatione S-Transferasi o ad una coda di istidina, infatti
tende facilmente a degradarsi e denaturarsi oltre che a formare complessi multiproteici che ne
impediscono una completa purificazione tramite metodiche cromatografiche. Per far fronte a queste
problematiche è stata proposta una nuova strategia basata sulla produzione di una forma mutata
S487D della PDE4B2; questo può influire sulla stabilità relativa della proteina sia durante il
processo di purificazione che in quelli di folding e successiva cristallizzazione, aumentandone la
capacità di binding verso gli inibitori di nuova sintesi e aumentando le probabilità di successo nelle
cristallizzazioni.
I dati di letteratura su cui si basa quest’assunzione provengono da strutture a raggi X già risolte
della forma wild-type nelle quali l’interpretazione della densità elettronica in corrispondenza dei
residui dell’ α-elica in cui si trova il sito di fosforilazione (sito PQSP) risulta spesso associata a
disordine locale a causa dei moti termici; inoltre, in un precedente studio su questo mutante si
osserva che la fosforilazione del residuo di serina presente nel dominio catalitico viene mimata in
senso funzionale dalla sostituzione con un residuo di aspartato.
E’ stata fatta un’analisi computazionale partendo dalla sequenza della proteina e usando alcuni
programmi disponibili on-line per determinarne le caratteristiche chimico-fisiche, fra cui spicca il
valore significativo del parametro di instabilità relativa pari ad 83.7%. Partendo da queste premesse
quindi per la produzione della proteina con la specifica mutazione puntiforme (S→D) è stata
utilizzata la tecnica della PCR (polymerase chain reaction), che prevede l’amplificazione
esponenziale di frammenti di DNA di lunghezza variabile fino a qualche decina di kilobasi.
Dati gli scarsi risultati ottenuti negli esperimenti di cristallizzazione, allo scopo di ottenere
informazioni più dettagliate sull’identità della proteina espressa e sulla qualità della purificazione,
usando lo strumento Electron Spry-Ion Trap è stata effettuata infine una massa (figura 8. c) del
campione di PDE4B2 S487D che dall’analisi SDS-Page (figura 8. b) ha mostrato il maggior grado
di purificazione. Non è stato possibile determinare con esattezza l’identità della proteina presente
nel campione poichè sono presenti picchi con masse probabilmente attribuibili a possibili prodotti
di degradazione della proteina stessa. È in corso uno studio di digestione triptica associato a
spettrometria di massa per verificare l’identità della proteina.
Analisi SDS-Page di un campione purificato tramite cromatografia a scambio anionico HiTrap e Spettro di massa ESIQuadrupolo della frazione 2
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