CONSORZIO INTERUNIERSITARIO DI RICERCA IN CHIMICA DEI METALLI NEI SISTEMI BIOLOGICI ATTIVITA’ SCIENTIFICA SVOLTA DALLE UNITA’ DI RICERCA ANNO 2009 PRESENTAZIONE PRESENTAZIONE Le conoscenze scientifiche e tecnologiche e la disponibilità di risorse umane qualificate costituiscono il differenziale che distingue il grado di sviluppo dei diversi sistemi paese. Essere in posizione avanzata su questi temi, poter partecipare alla cooperazione internazionale in forma non subalterna, accrescere ed innovare la propria capacità produttiva e la disponibilità e diffusività di servizi determinano la possibilità dei sistemi nazionali di essere protagonisti e competitivi nei processi di crescita economica, culturale e sociale. Si parla comunemente di “economia della conoscenza e dell'apprendimento” e di “sistemi nazionali di innovazione” per indicare una nuova fase di sviluppo in cui non è più possibile tenere separata la funzione di produzione di idee, progetti e prodotti scientifici e tecnologici da quella di un loro impiego per il soddisfacimento di una domanda diffusa generata dalle complesse esigenze della società moderna. In questo contesto il Consorzio Interuniversitario di Ricerca in Chimica dei Metalli nei Sistemi Biologici (C.I.R.C.M.S.B.), con sede legale a Bari e 21 Università consorziate, promuove e coordina le proprie ricerche con l’obiettivo di formare e valorizzare i ricercatori ed i risultati da essi ottenuti con la consapevolezza del valore strategico della ricerca come vantaggio competitivo nella Società della Conoscenza e nella convinzione che le infrastrutture di ricerca e alta formazione siano leve strategiche per il rilancio dell’economia nazionale. A tale scopo le attività del C.I.R.C.M.S.B. si articolano in macro aree di ricerca scientifica e tecnologica a carattere interdisciplinare, che riguardano i settori dell’ambiente, delle biotecnologie, dei farmaci e ei materiali. Tali aree di intervento attualmente oggetto di ricerca del Consorzio si articolano nelle seguenti tematiche: a) b) c) d) e) f) g) Biomineralizzazione e biocristallografia; Biosensori e biostrumentazione; Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari; Ioni metallici nelle patologie degenerative croniche; Metallo-proteine come catalizzatori biologici; Nuovi farmaci inorganici in oncologia; Radiofarmaci nella diagnostica e radioterapia tumorale. Il C.I.R.C.M.S.B. è presente in tutta Italia attraverso una rete di Unità Locali di Ricerca, al fine di favorire una diffusione capillare delle proprie competenze su tutto il territorio nazionale ed agevolare i contatti e le collaborazioni con enti ed industrie locali. Quello di seguito riportato è un riassunto dei risultati acquisiti nell’anno 2009 da ciascuna delle Unità di Ricerca del C.I.R.C.M.S.B. A tutti coloro che vi hanno partecipato va rivolto il mio più profondo e sentito ringraziamento. Prof. Giovanni Natile INDICE 7 8 UNITA’DI RICERCA Bari Pag. 13 Bologna Pag. 19 Camerino Pag. 39 Catania Pag. 43 Ferrara Pag. 51 Firenze Pag. 57 Insubria Pag. 61 Messina Pag. 65 Napoli Pag. 67 Padova Pag. 73 Palermo Pag. 89 Para Pag. 93 Pavia Pag. 99 Piemonte Orientale Pag. 103 Politecnica delle Marche Pag. 111 Roma “La Sapienza” Pag. 113 Roma “Tor Vergata” Pag. 119 Salento Pag. 121 Siena Pag. 131 Torino Pag. 135 Trieste Pag. 139 Pubblicazioni e Brevetti Pag. 143 Strumentazione Pag. 175 Personale Afferente Pag. 187 9 10 ATTIVITA’ DI RICERCA 11 12 UNITA’ DI RICERCA DI BARI Direttore Scientifico: Prof. Giovanni Natile L’attività scientifica dell’unità di ricerca di Bari ha riguardato le seguenti tematiche: 1. Sintesi e caratterizzazione di nuovi complessi di platino quali potenziali farmaci antitumorali; 2. Aspetti molecolari del meccanismo d’azione di farmaci a base di platino. 1. Sintesi e caratterizzazione di nuovi complessi di platino quali potenziali farmaci antitumorali L’utilizzo di leganti carrier in grado di favorire l’accumulo di nuovi farmaci a base di platino nelle cellule e/o negli organi bersaglio riveste un ruolo strategico nel superamento di quelli che sono gli effetti indesiderati dell’utilizzo del cisplatino. In questo contesto l’UR di Bari ha studiato complessi dinucleari di platino legati a ponte con bifosfonati geminali quali pro farmaci con potenziale attività nei confronti dei tumori ossei, a seguito adsorbimento in matrice inorganica ed impianto nella sede del tumore. In questo ambito l’UR di Bari ha proceduto alla sintesi e caratterizzazione di quattro nuovi complessi di platino con 2-ammono-1-idrossietano-1,1-diyl-bisfosfonato (AHBP-H) e 3-ammonio1-idrossipropano-1,1-diyl-bisfosfonato (PAM-H) che agiscono come leganti a ponte tra due unità di platino (cis-[Pt(NH3)2]2+, direttamente correlato al cisplatino, e [Pt(cis-1,4-DACH)]2+, in grado di superare la cisplatino resistenza). Preliminarmente è stata valutata la citotossicità in vitro dei complessi su un una serie di 13 linee cellulari di tumori umani comprendenti due paia di linee cellulari sensibili e resistenti al cisplatino e 3 paia di linee cellulari con e senza multi–drug resi stenze. Nessuno dei quattro complessi ha mostrato attività antitumorale superiore al cisplatino. Questo perché, almeno nelle ipotesi, potrebbe non essere il cisplatino il composto di riferimento ma bensì il carboplatino che, come i quattro complessi sintetizzati, contiene come legante uscente un chelato ossigeno donatore. Infatti i dati preliminari indicano che i nuovi complessi hanno attività molto simile o migliore del carboplatino. 13 O O H 3N CH2 Pt H 3N + H3 N O O P C OH P O NH 2 NH 3 Pt Pt NH 3 O O O H 2N P CH2 C O P OH Pt + H3N NH2 H 2N O O O [{cis-Pt(NH 3)2 }2(AHBP-H)] [{Pt(cis-1,4-DACH)}2(AHBP-H)] 1B 1A O O H 3N Pt CH2 H3 N +H N 3 P CH 2 O OH P O Pt CH 2 Pt C NH 2 O O NH 2 NH 3 NH 3 +H N 3 O O CH2 P C O P OH O H2 N Pt H2 N O O [{Pt(cis-1,4-DACH)}2(PAM-H)] [{cis-Pt(NH 3) 2} 2(PAM-H)] 2B 2A Ulteriori studi sul trattamento in situ dei tumori ossei hanno riguardato il ruolo dei nanocristalli biomimetici di idrossiapatite quali sostituti della matrice ossea. In particolare sono state analizzate le cinetiche di assorbimento e di rilascio del bis-{etilendiamminoplatino(II)}-2-ammino-1idrossietano-1,1-diyl-bisfosfonato e del bis-{etilendiamminoplatino(II)}medronato su due specie di nanocristalli di idrossiapatite aventi diversa morfologia, grado di cristallinità ed area superficiale. É stato evidenziato come la differente struttura chimica dei due complessi di platino condiziona apprezzabilmente non solo l’affinità verso le due specie di idrossiapatiti ma anche il loro rilascio. In particolare il caricamento del complesso di platino è leggermente più grande per l’idrossiapatite caratterizzata da minore cristallinità e maggiore area superficiale. É stata inoltre testata la citotossicità dei complessi di platino rilasciati dall’idrossisapatite nei confronti di cellule di carcinoma umano della cervice ed è stato riscontrato che, cosa molto interessante, sono più citotossici dei rispettivi complessi non modificati. Le specie attive rilasciate sono quindi il dicloroetilendiamminoplatino(II) o relative specie solvatate formatesi per rottura del legame Ptbisfosfonato. 2. Aspetti molecolari del meccanismo d’azione di farmaci a base di platino La scoperta di attività antitumorale per complessi di platino con geometria trans ha aperto un nuovo campo di ricerca nella lotta ai tumori. Fra i diversi complessi, il trans-EE (trans-[PtCl2{EHN=C(OCH3)CH3}2]) ha suscitato un particolare interesse a causa della sua alta citotossicità rispetto agli isomeri cis e per la sua attività nei confronti di cellule tumorali resistenti al cisplatino. Diversi studi hanno mostrato che il trans-EE si lega al DNA in maniera diversa rispetto al cisplatino, sebbene le velocità di reazione siano simili. Il DNA legato al trans-EE non viene riconosciuto da proteine della famiglia delle HMG coinvolte nei meccanismi di riparazione del DNA modificato dal cisplatino, mentre la proteina istonica H1 riconosce l’addotto DNA-trans-EE e inibisce la polimerizzazione del DNA e la sua riparazione. 14 Studi recenti hanno indicato che la metionina è il sito di legame preferito dal trans-EE nella reazione con il citocromo c. In questo contesto l’UR di Bari ha dimostrato come le velocità di reazione con GMP e DNA siano notevolmente aumentate nel caso di addotti del trans-EE con metionina. In più dettaglio, è stato osservato che la formazione di un addotto con metionina è circa sette volte più veloce della formazione di addotti con basi guaniniche e che la formazione di un intermedio con la metionina accelera di molto la platinazione del DNA. Si è visto infine che le reazioni di platinazione sono altamente dipendenti dal pH, la qual cosa potrebbe rivestire notevole importanza dato il diverso pH di vari tessuti tumorali rispetto ai tessuti sani. E’ stato anche dimostrato che la formazione di addotti trans-EE/metionina avviene anche in sistemi cellulari. Su questa base è stata avanzata l’ipotesi che il meccanismo d’azione del trans-EE potrebbe essere sostanzialmente diverso da quello dei composti analoghi del cisplatino. I risultati ottenuti hanno anche evidenziato come le molecole S-donatrici possano giocare ruoli completamente differenti nei processi cellulari del indotti da composti di platino a geometria trans rispetto a quelli a geometria cis. L’UR di Bari ha inoltre condotto studi sull’attività biologica di complessi di Pt(II) monodentati (con un solo gruppo uscente), che in precedenti studi erano stati considerati biologicamente inattivi. Infatti i complessi di Pt(II) monodentati modificano la conformazione del DNA in maniera molto marginale ed il loro impatto sui processi cellulari è, di conseguenza, notevolmente minore rispetto a quello di complessi di platino(II) bifunzionali. Tuttavia è stato trovato che alcuni complessi di Pt(II) monodentati hanno significativi effetti biologici, soprattutto nel caso in cui i leganti amminici son stericamente ingombranti. L’effetto dell’aumento dell’ingombro sterico è stato studiato in una serie di composti del tipo [Pt(NO3)(dien)]+ nel quale il legante dien aveva un diverso grado di metilazione. È stato trovato un notevole effetto della metilazione del legante dien sulle proprietà biofisiche (termodinamiche, termiche e conformazionali) del DNA e sui processi biochimici (polimerizzazione del DNA e riparazione degli addotti) che ne conseguono. L’UR di Bari, da tempo impegnata nello studio della stereochimica degli addotti formati da complessi di platino con DNA, ha recentemente scoperto un riarrangiamento spontaneo del legame crociato intracatena G5G6 (generato per reazione del DNA a doppio filamento d(CCTTG5G6T7C8TC)-d(G11AGACCAAGG) con [Pt(S,S-diamminocicloesano)(H2O)2]2+) a formare un insolito legame crociato intercatena G6G11. Il prodotto finale costituisce un raro esempio di auto-intercalazione intramolecolare del DNA. 15 In un altro lavoro, attraverso l’utilizzo di modelli di oligonucleotidi a singola catena (ss) si è cercato di comprendere le cause dell’importante ed inaspettata distorsione della coppia di basi (bp) XG*, dove G* rappresenta una guanina platinata all’N7 da un composto di platino mono- o di-funzionale. I modelli XG*G* (G*G* indica due basi guaniniche adiacenti legate da cisplatino) mostrano generalmente conformazione testa-testa (HH1, head-to-head), ed inclinazione R (atomo H8 di 3’G* girato verso 5’-G*) nel caso di DNA a doppio filamento ed inclinazione S (atomo H8 di 5’-G* girato verso 3’-G*) nel caso di DNA a singolo filamento. Purtroppo il movimento dinamico in soluzione impedisce la definizione delle caratteristiche dei modelli ss. Per ovviare a questi inconvenienti sono stati impiegati modelli meno dinamici quali (R,S,S,R)-BipPt(d(TG*G*)) e (R,S,S,R)-BipPt(d(pG*G*TTT)) (Bip = 2,2'-bipiperidina). In questo modo si è avuto il primo esempio di un conformero HH1 con inclinazione R per un oligonucleotide ss più grande del d(GpG). I composti antitumorali di platino possono anche avere come bersaglio substrati biologici diversi dal DNA, per esempio enzimi coinvolti nella progressione del tumore. Già in passato l’UR di Bari aveva riportato come alcuni complessi di platino con tre leganti labili inibiscono in maniera selettiva l’attività di metalloproteinasi di matrice (MMP). Successivamente lo studio è stato esteso ad una serie di complessi di platino aventi come leganti uscenti tre cloruri oppure un cloruro ed un metilmalonato. Tutti i composti testati si sono dimostrati forti inibitori delle MMP-3 con meccanismo non competitivo, cosa che non succede con i farmaci a base platino utilizzati in terapia (cisplatino, carboplatino ed ossaliplatino). Gli studi strutturali hanno evidenziato come i complessi di platino 16 perdono solo due leganti labili, che sono sostituiti da un azoto imidazolico e da un gruppo idrossilico, mentre mantengono un legante cloruro. Un cloruro ed un gruppo idrossilico sono anche presenti nel complesso di zinco che inibisce la carbossipeptidasi A il cui sito attivo ha forti analogie con quello della MMP-3. L’UR di Bari ha infine portato avanti lo studio dei domini fosfatasici delle proteine di Menkes (ATP7A) e Wilson (ATP7B), due ATP-asi umane di tipo P(1B) che rivestono un ruolo cruciale nel mantenimento dell’omeostasi del rame(I) ed inoltre regolano l’accumulo in cellula e l’esporto di farmaci antitumorali di platino. Tra i vari domini dell’enzima uno, chiamato Attuatore o dominio A, ha funzioni regolatrici ed è richiesto per la fase fosfatasica del ciclo catalitico (defosforilazione dell’intermedio formato durante l’idrolisi dell’ATP). Attraverso la spettroscopia NMR è stata risolta la struttura in soluzione del dominio A di entrambe le proteine, ed inoltre è stata caratterizzata la dinamica del dominio A di ATP7A. E’ stato osservato che il loop TGE, cataliticamente importante, si estende fuori della struttura, pronto per l’interazione con il sito fosforilato del dominio di legame dell’ATP. Il loop è rigido e questo suggerisce che la fase catalitica non richiede sostanziale flessibilità strutturale o riarrangiamenti. L’attività dell’UR di Bari nel corso del 2009 ha anche riguardato lo studio delle capacità di sopravvivenza ed adattamento di Rhodobacter sphaeroides ad elevate concentrazioni di cobalto e a come tali concentrazioni influenzino l’apparato fotosintetico del batterio. Cellule di R. sphaeroides cresciute anaerobicamente in presenza di concentrazioni 5 mM di Co2+ sono state studiate attraverso lo studio del proteoma solubile e dal confronto di questo con quello delle cellule di controllo sono state individuate 43 proteine differentemente espresse ed in particolare 35 di queste sopraespresse. Queste proteine sopraespresse appartengono principalmente alla categoria degli enzimi degradativi del DNA e delle proteine, suggerendo che parte dei prodotti del catabolismo cellulare possano consentire la sopravvivenza del microrganismo anche quando l’esposizione al cobalto deprime l’espressione dell’apparato fotosintetico. Quest’ultima risposta al Co2+ è legata alla notevole inibizione della porfobilinogeno deamminasi, un enzima chiave nella via biosintetica delle batterioclorofille. 17 Proteoma solubile di R. sphaeroides in presenza di Co2+ 5 mM Proteoma solubile controllo di R. sphaeroides 18 UNITA’ DI RICERCA DI BOLOGNA Direttore Scientifico: Prof. Norberto Roveri L’ attività dell’ Unità di Ricerca di Bologna si è sviluppata principalmente su nove linee di ricerca nell’ ambito della tematica “ biomineralizzazione e biocristallografia” oltre ad una attività di divulgazione scientifica : 1) Biomateriali inorganici biomimetici nanostrutturati 2) Scaffolds biomimetici per la rigenerazione ossea 3) Cristallizzazione del carbonato di calcio in sistemi di interesse ambientale biologico e industriale 4) Biomineralizzazione: Sintesi di idrossiapatite da cristalli singoli biogenici di calcite in soluzioni di fosfato di calcio in condizioni ambientali. 5) Organizzazione strutturale dei lipidi e della cheratina nello strato corneo della pelle dei serpenti. 6) Studio Struttura/Funzione di due Ribosome Inactivating Proteins: bouganin e Lichnin 7) Ruolo dei metalli nella citotossicità di nanocristalli d’interesse ambientale 8) Sistemi autoassemblanti di porfirine su nanotubi inorganici 9) Sintesi di nanoparticelle metalliche di interesse biologico 10) Studi e ricerche di storia della chimica 1) Biomateriali inorganici biomimetici nanostrutturati I materiali sintetici possono risultare biomimetici per composizione, struttura, morfologia e struttura chimico-fisica superficiale ed “in bulk”. Mimando la natura si possono sintetizzare biomateriali che risultano reattivi verso i tessuti biologici ed in grado di rilasciare molecole bioattive mediante una cinetica controllata dalle caratteristiche del materiale e dall’”environment” biologico in cui essi vengono situati . In questo ambito, una delle linee di ricerca dell’unità operativa di Bologna è focalizzata sulla sintesi di biomateriali inorganici nanostrutturati che possono avere applicazioni in ambito biomedico come osseo sostitutivi nella chirurgia ortopedica, odontoiatrica e maxillofacciale oltre ad agire come trasportatori di farmaci e come scaffolds ingegnerizzati alla crescita cellulare per l'ingegneria tissutale. Per raggiungere questo obiettivo nel 2009 il lavoro dell’unità di Bologna si è articolato nei seguenti punti: a) Sintesi di nanocristalli biomimetici di idrossiapatite. L’ attività di ricerca del 2009 ha previsto la sintesi di biomateriali inorganici e nanostrutturati che possono agire come trasportatori di farmaci e come scaffolds ingegnerizzati alla crescita cellulare per l'ingegneria tissutale. Le funzioni dei tessuti biologici, che sono strutturati gerarchicamente, non possono esser comprese e quindi riprodotte senza andare a studiare la loro struttura a tutti i livelli sino ad arrivare ad una scala dimensionale dell’ordine dei nanometri. La nanodimensione dei componenti strutturali più piccoli dei tessuti biologici è una delle basi delle loro capacità di autoorganizzarsi ed auto-assemblarsi, per cui deve esser riprodotta ai fini della sintesi di strutture con organizzazione controllata. 1) Uno dei risultati raggiunti durante il 2009 è stata la sintesi di nuove apatiti nano-dimensionate che rappresentano una delle classi più importanti di materiali biogenici. Sono state usate oltre alla classica sintesi in “batch” anche altre due tecniche di cristallizzazione sviluppate in collaborazione il gruppo di ricerca del Prof. Juan Manuel Garcia Ruiz dell’università di Granada La prima tecnica ha previsto la sintesi di nanoapatiti tramite diffusione di vapore usando il “crystallization mushroom” (Figura 1). 19 Figura 1. Schema del “crystallization mushroom”. I cristalli di carbonato-idrossiapatite sono stati fatti crescere in gocce poste nei microbridges nel piatto in alto. I vapori di NH3(g) e CO2(g) diffondono lentamente dalla soluzione riserva alle gocce attraverso il piccolo foro posto nel piatto in basso. Il metodo consiste nel far diffonder vapori NH3 and CO2 da una soluzione di NH4HCO3 attraverso gocce contenenti miscele acquose di (CH3COO)2Ca e (NH4)2HPO4 in modo da far aumentare il pH delle gocce grazie a NH3 e a drogare l’idrossiapatite precipitata con ioni di CO32- grazie al vapore di CO2. I cristalli di carbonato-apatite ottenuti sono stati caratterizzati tramite diffrazione di raggi X, spettroscopia infrarossa microscopia a trasmissione di elettroni. Le caratterizzazioni hanno evidenziato che i cristalli hanno dimensioni nanometriche (Figura 2), morfologia a piattine e basso grado di cristallinità, caratteristiche che li rendono molto simili a quelli della fase naturale dell’osso. Questo nuovo metodo è adatto principalmente per lo studio di interazioni e o co-cristalizzazioni di apatite con piccole quantità di biomolecole come proteine, polimeri, cellule o farmaci in modo da poter studiare i processi chimici della formazione dell’apatite nel campo della biomineralizzazione e testare i nanocristalli come possibili carrier di farmaci nel campo della nanomedicina. Figura 2. Immagine di microscopia a trasmissione eletronica (TEM) di idrossiapatite cristallizata dopo una settimana da vapori di NH4HCO3 40 mM. (Scale bar 200 nm). 2) Un diverso metodo di sintesi utilizzato ha previsto la cristallizzazione di idrossiapatite in un gel di meta silicato. Questo metodo di sintesi si basa sulla diffusione di una soluzione di cloruro di calcio attraverso un gel di silice attivato con acido fosforico. Sono state effettuate caratterizzazioni sul composito calcio fosfato/silice sintetizzato in gel variando il pH e la densità della soluzione di 20 silice. Si è trovato che in funzione del pH vengono cristallizzati diverse fasi di calcio fosfato: bruscite, ottacalcio fosfato, idrossiapatite e monetite, mentre cambiando la densità della soluzione di silice i cristalli sono ricoperti da un diverso ammontare di silice a diversa struttura. Questi materiali sono stati caratterizzati tramite diffrazione di raggi X, calorimetria a scansione differenziale, spettroscopia infrarossa, microscopia a trasmissione di elettroni e microscopia a scansione di elettroni. L’idrossiapatite è stata cristallizzata a usando una soluzione di metasilicato a pH superiore a 9 e la caratterizzazione ha mostrato cristalli con morfologia ad aghiforme di circa 100 nm che hanno la tendenza ad aggregarsi lungo l’asse c. (Figura 3) Figura 3. Immagine di microscopia a trasmissione elettronica (TEM) di idrossiapatite cristallizzata a pH 9.4. (Scale bar 200 nm). b)Sintesi di idrossiapatiti biomimetiche porose Per preparare biomateriali idonei ad essere utilizzati come protesi nell’ implantologia ortopedica e nella chirurgia maxillofacciale è necessario ottenere materiali non solo biocompatibili e bioriassorbibili, ma anche in grado di stimolare una reazione cellulare. Per poter esplicare questa ultima proprietà i nuovi sostituti ossei debbono possedere una nanoporosità in grado di permettere la permeabilità ai liquidi fisiologici, una microporosità in grado di ospitare la componente cellulare e di favorirne la proliferazione ed una macroporosità che consenta la vascolarizzazione del tessuto osseo neoformato. Per preparare un nuovo biomateriale in grado di esibire una nano, micro e macro porosità corrispondente alle esigenze richieste dall’ implantologia ossea ci si è rivolti al legno in quanto ogni legno presenta una diversa morfologia, dimensione e distribuzione dei pori e dei canali interni costituenti le celle di lignina e cellulosa che lo compongono. L’ idea fondamentale è stata quella di selezionare i tipi di legno che esibivano la più idonea porosità interna e le proprietà meccaniche maggiormente corrispondenti alle esigenze meccaniche richieste per reggere agli anisotropi carichi e tensioni a cui è sottoposto il tessuto osseo e poi di trasformare il legno in un biomateriale impiantabile. Questa idea è stata alla base del progetto TEMPLANT coordinato dalla Dr.ssa A. Tampieri dell’ ISTEC-CNR di Faenza con cui il LEBSC ha collaborato come sottounità dell’ ISTEC. Questa proficua collaborazione ha portato alla pubblicazione “ From wood to bone: multi-step process to convert wood hierarchical structures into biomimetic hydroxyapatite scaffolds for bone tissue engineering”A. Tampieri, S. Sprio, A. Ruffini, G. Celotti, I.G. Lesci and N. Roveri. J. Mater. Chem., 2009, 19, 4973–4980. in cui sono stati descritti i 5 processi chimici (Figura 4) con i quali è stato possibile trasformare il legno in carbonato idrossiapatite avente la stessa morfologia, dimensione e distribuzione dei pori e dei canali del legno di partenza (Figura 5). 21 Figura 4 Schema del processo per convertire le strutture gerarchiche del legno in nuovi “scaffolds” di idrossiapatite biomimetica Figura 5 Immagine SEM dei fasci di microtubi di idrossiapatite derivati dalla trasformazione chimica di un campione di legno di pino. La copertina del J. Mater. Chem., 2009, 19 è stata dedicata al sopraccitato lavoro(Figura 6): Figura 6 copertina del J. Mater. Chem. 2009, 19 : Showcasing research from the Institute of Science andTechnology for Ceramics - Italian National Research Council, Faenza, and the Laboratory of Environmental and Biological Structural Chemistry (LEBSC), Universityof Bologna 22 Il lavoro è stato inoltre oggetto di una gratificante recensione su Chemical Technology (Figura 7): Trees take on tissue engineering - 16 June 2009 Italian scientists have turned wood into bone mimics that could be used to repair damaged limbs. Chemical technology news from across RSC Publishing. Figura 7 Infine il lavoro è stato incluso al trentesimo posto tra - The 50 Best Inventions of 2009 – TIME (Figura 8) The 50 Best Inventions of 2009 > The Best Inventions Wooden Bones - 30 of 52 View All Figura della sezione di osso “It's odd to think of putting sticks of wood inside people as a revolutionary medical procedure, but that's exactly what a group of Italian scientists is working on. They're using wood — red oak, rattan and sipo work best — to create an artificial bone replacement called carbonated hydroxyapatite. Because of the sponginess of the wood, live bones are expected to grow into the structure faster than with traditional titanium or ceramic implants, decreasing the time it takes to mend a broken bone. The procedure isn't quite ready for human testing, so sheep are currently testing the artificial bones. Researchers say that with the bone substitute, which takes approximately one week to process, they can create virtually any size or shape” SEARCH TIME.COM Wooden Bones - The 50 Best Inventions of 2009 – TIME http://www.time.com/time/specials/packages/article/0,28804,1934027... Figura 8 pagina del sito TIME riguardante “Wooden Bones” c) Sintesi di nanocristalli biomimetici di idrossiapatite funzionalizzati superficialmente Il passo successivo alla messa a punto in laboratorio di biomateriali è il conferimento ad essi di bioattivà specifiche. Questo scopo può essere ottenuto con la sintesi di strutture composite materiale-molecola funzionale, dove la molecola funzionale sia in grado di veicolare le informazioni stimolanti specifiche risposte cellulari[4]. In molti casi le suddette informazioni vengono veicolate mediante il rilascio controllato di farmaci. Convenzionalmente la somministrazione di principi attivi nell’organismo avviene ad intervalli regolari per via orale o endovenosa. Gli svantaggi che ne derivano sono che l’agente terapeutico circoli in tutto l’organismo e venga spesso degradato prima di raggiungere il sito di azione e che la sua concentrazione raggiunga livelli superiori alla quantità terapeutica e vicini a quella tossica. Al contrario, i sistemi per il rilascio controllato realizzano l’obiettivo di rilasciare la molecola bioattiva vicino al sito di azione al momento giusto e in quantità terapeutica corretta. 1) Il lavoro di ricerca si è indirizzato verso la sintesi di apatiti nanocristalline funzionalizzate con biomolecole che possano esser rilasciate con cinetica controllata nel sito dell’impianto. Sono stati realizzati compositi d’apatite e complessi di platino ad attività citotossica. La reattività fra i nanocristalli di idrossiapatite e le molecole di farmaco esaminate è stata modulata variando le dimensioni e la composizione superficiale dei cristalli in modo tale da realizzare coniugati di apatite-antitumorale finalizzati alle specifiche applicazioni terapeutiche. In particolare sono stati esaminati l’ adsorbimento e il rilascio di bis{ethylenediamineplatinum(II)}-2-amino-1-hydroxyethane-1,1-diyl-bisphosphonate e bis{ethylenediamineplatinum(II)}medronate (Figura 9), sintetizzati dal laboratorio del Prof. Giovanni 23 Natile presso l’Università di Bari, su due tipi di idrossiapatiti aventi diversa morfologia, cristallinità, e area superficiale. Figura 9. Struttura chimica di bis-{ethylenediamineplatinum(II)}-2-amino-1-hydroxyethane-1,1-diyl-bisphosphonate (A) e bis-{ethylenediamineplatinum(II)}medronate (B) Le differenze chimiche dei due complessi di platino influenzano apprezzabilmente sia l’affinità che il loro rilascio dai due diversi tipi di idrossiapatite. E’ stato verificato che i complessi di platino si legano più saldamente all’apatite caratterizzata da un minor grado di cristallinità. In più la citotossicità dei complessi di platino rilasciati dall’idrossiapatite è stata testata verso cellule tumorali, in collaborazione con il gruppo di ricerca della Prof. Cristina Marzano dell’Università di Padova. Si è visto che i complessi rilasciati sono risultati essere più citotossici di quelli non legati. Tramite spettrofotometria UV-Vis (Figura 10.) è stato verificato che la molecole rilasciate sono le più attive dichloridoethylenediamineplatinum(II) o le relative specie solvatate formate a causa della rottura del legame platino- bisfosfonato durante la fase di adsorbimento. Figura 10. Spettri UV-Vis dei complessi bis-{ethylenediamineplatinum(II)}-2-amino-1-hydroxyethane-1,1-diylbisphosphonate (a), bis-{ethylenediamineplatinum(II)}medronate (e), [PtCl2(en)] (c), e della specie rilasciata and dall’apatite (d). Il lavoro con cui sono stati presentati questi risultati: Smart delivery of antitumoral platinum complexes from biomimetic hydroxyapatite nanocrystals. Iafisco, Michele; Palazzo, Barbara; Marchetti, Marco; Margiotta, Nicola; Ostuni, Rosa; Natile, Giovanni; Morpurgo, Margherita; Gandin È stato recensito in Highlights in Chemical Science (figura 11) 24 Cancer-fighting bone implants - 01 October 2009 “Bone-like materials can be used both as bone fillers and drug delivery vehicles for targeting bone cancers, claim Italian scientists. The materials release the drugs over a prolonged period and make them work better than the free drug. Norberto Roveri, at the University of Bologna, Italy, and colleagues combined a synthetic bone substitute called hydroxyapatite (HA) with anticancer platinum complexes to produce implantable devices that can control the drugs' release and improve their cytotoxicity. The team hope that by releasing drugs only at target areas, they will be able to avoid the side effects common with anticancer medication”. Figura 11 recensione su Highlights in Chemical Science “The group examined the adsorption and release kinetics of platinum complexes on two types of HA nanocrystals, with different sizes, shapes and crystallinities. They found that the nanocrystals absorbed and released the complexes at different rates and in different amounts. 'The HA nanocrystals are able to release antitumoral platinum drugs right on the site of an osteosarcoma [bone cancer] in a slow and controlled manner,' Roveri explains, adding that the HAdrug conjugate is more effective than the free platinum complex. 'This is a fascinating study that shows the power of combining nanomineralogy and organometallic chemistry, in this case designed for an antitumoral application,' enthuses Michael Hochella, an expert in nanoscience at Virginia Tech, Blacksburg, US. 'It is the next stage that will be critical, and where many current drug delivery systems fail,' cautions Martin Garnett, an expert on drug-delivery systems at the University of Nottingham, UK. 'Can enough drug be loaded into the system to have a therapeutic effect?' Roveri is confident that the system will be effective. 'The large surface area of the nanosized HA particles allows loading of a lot of Pt complex,' he says. Combined with their higher toxicity compared to the non-adsorbed complexes, this smart drug release mechanism should allow a very strong therapeutic effect in situ for a long time, he adds”. 2) In collaborazione con GHIMAS s.p.a. sono state preparate nanoapatiti biomimetiche attivate superficialmente con un polipeptide (polilisina), dimostrando la possibilità di trasformare la morfologia dell’apatite da plate-like a needle like, nonché di modularne le proprietà e la carica superficiale e di conseguenza le performance biologiche. Nella sequenza di quattro immagini TEM di seguito riportata nella Figura 12 si può osservare come il poliamminoacido sia in grado di trasformare la morfologia dell’apatite da plate-like a needle like. Eseguendo poi le osservazioni ad un più elevato ingrandimento si osserva come i needle siano costituiti da cristallini di circa 10 nm i quali si allineano unidirezionalmente grazie al poliamminoacido che si dispone a ponte fra di essi. 25 Figura 12. Immagini TEM di nanocompositi HA-Polilevolisina 3) Le nanoparticelle metalliche, ed in particolare quelle di oro, hanno elevate potenzialità in campo diagnostico e terapeutico. La particolare capacità d’interazione con la luce delle nanoparticelle di oro conferisce loro delle straordinarie proprietà ottiche, che le rende di gran lunga più efficaci dei coloranti convenzionalmente usati in biologia molecolare e nanomedicina. La coniugazione delle nanoparticelle a leganti che possano esser targettati su marker tumorali permette di utilizzarle per l’imaging molecolare e la diagnosi del tumore. D’altro canto le nanoparticelle di oro convertono la luce fortemente assorbita in calore localizzato, che può essere utilizzato per una terapia “laser photothermal” localizzata. Data la possibilità di utilizzare le nanoparticelle già di per sè come agenti antitumorali, la progettazione di materiali biomimetici/nano-particelle ha un elevatissimo potenziale nel trattamento localizzato dei tumori. Il trattamento dei tumori mediante nanoparticelle, infatti, diviene più complicato nel caso del trattamento dei tumori ossei, dove dopo la rimozione chirurgica del tessuto malato si rende necessaria la sua sostituzione con un bone-filler. E’ inoltre indispensabile procedere ad un successivo trattamento antitumorale per evitarne la ricorrenza. La preparazione di materiali osseosostitutivi funzionalizzati con nanoparticelle è un metodo innovativo per raggiungere ambedue gli scopi. La coniugazione di nanoparticelle di metalli nobili a nanocristalli di idrossiapatite dovrebbe consentire di ottenere un materiale multifunzionale, che unisca alle ben note proprietà bioattive delle nano-apatiti, la responsività ottica delle nanoparticelle utile per il trattamento localizzato e non invasivo dei tumori. In un primo approccio, nanoparticelle di oro ed argento, cappate con differenti leganti sono state legate superficialmente a nanocristalli di apatite. (Figura 13) 26 Figura 13 Immagini TEM del composito HA-nanoparticella ottenuto per interazione dei nanocristalli con sospensioni colloidali di NP a diversa concentrazione. Alternativamente, si è utilizzata la tecnica di cristallizzazione in micelle inverse, laddove la micella di acqua ha rappresentato il sito di nucleazione di tali nanomateriali. Questa sorta di “constrained environment “ ha permesso di controllare la dimensione, la forma e l’organizzazione strutturale non soltanto dei singoli componenti (ovvero della nanoapatite e delle nanoparticelle), ma anche del composito HA-nanoparticella risultante (Fig. 14). Fig.14 Immagini TEM di nanocompositi HAnanoparticella ottenuti per cristallizzazione in micelle inverse. d) Interazione di nanocristalli di idrossiapatite sintetica in ambito biologico 1) La realizzazione di biomateriali e di device biomedici non può essere effettuata senza una ottima conoscenza di come queste strutture interagiscano con l’organismo e i suoi componenti. Diventa perciò fondamentale lo studio dell’interazione di questi materiali con le proteine. In particolare l’attenzione si è concentrata verso l’albumina e la lattoferrina. Sono stati studiati le isoterme di adsorbimento a 37 °C e a pH 7.4 delle proteine su nanocristalli biomimetici di idrossiapatite, trovando che entrambe le proteine hanno un comportamento di tipo Langmuiriano. Inoltre attraverso l’uso di tecniche quali la spettroscopia infrarossa e la spettroscopia Raman si è messo in evidenza come il substrato inorganico va a modificare la struttura secondaria della proteina. 27 Negli ultimi anni la chirurgia estetica e in particolare quella rivolta alle correzioni delle imperfezioni del volto è in fase di sviluppo crescente. Questi ritocchi (p.e. zigomi) possono essere effettuati attraverso un aumento di volume che può essere ottenuto mediante iniezione, previa anestesia locale, di un filler (riempitivo) di tipo riassorbibile oppure sostanze lipidiche (lipofilling). Allo stato dell’arte nel primo caso la scelta può cadere su due prodotti: l’acido ialuronico del tipo ad altissimo peso molecolare, sui fosfati di calcio e sulla miscela dei due (Atlean βTCP e RadiesseTM). In questo caso l’idrossiapatite assolve il compito di filler e viene utilizzata sotto forma di sferule sospese in un gel acquoso (carbossimetilcellulosa di sodio) (RadiesseTM). L’obiettivo della ricerca è quella di sintetizzare e caratterizzare un iniettabile di riempimento a base di idrossiapatite completamente e parzialmente riassorbibile per applicazioni in campo medicochirurgico. Per questo scopo due tipi di idrossiapatite sono stati studiati come filler sottocutaneo in modo da poter verificare come il grado di cristallinità e le dimensioni in influenzano il riassorbimento in vivo. Cambiando le temperature di sintesi sono stati sintetizzati due tipi di cluster di idrossiapatite a bassa cristallinità e ad alta cristallinità. A parità di tempo di maturazione del precipitato durante la sintesi, i cluster di HA a bassa cristallinità si aggregano di più di quelli ad alta cristallinità con dimensioni di 30 e 3 micrometri rispettivamente. Queste apatiti sono state inoculate sotto cute in 10 topi femmine di sei mesi in collaborazione con il gruppo di ricerca della Prof. Lia Rimondini dell’Università del Piemonte Orientale. Si è trovato che l’apatite ad alta cristallinità si riassorbe completamente dopo 4 settimane dall’impianto invece quella a bassa cristallinità è ancora presente anche dopo 8 settimane. Questo fatto è stato imputato alla differente dimensione e morfologia dei cluster. Quindi è stato verificato che la dimensione è un fattore predominante per il riassorbimento delle apatiti nei tessuti molli cosa che contraria a ciò che accade invece nei tessuti duri dove il grado di cristallinità riveste un ruolo fondamentale. e) Nanocristalli biomimetici di idrossiapatite per la rimineralizzazione dello smalto dentale 1) Lo smalto dentale è continuamente e fisiologicamente sottoposto ad un processo di usura e demineralizzazione superficiale a causa del processo di masticazione e per l’ azione dei cibi e bevande acide. Infatti la causa principale delle aree parzialmente demineralizzate dello smalto è imputabile alla solubilizzazione dell’ idrossiapatite che è favorita a bassi valori di pH.(Figura 15) Figura 15 Micrografia SEM (Original magnification: 4000X) di smalto dentale sano con aree demineralizzate ed abrasioni meccaniche superficiali. Al contrario di altri tessuti mineralizzati, quali ad esempio l'osso, lo smalto non è in grado di autoripararsi, per mancanza di cellule, quando viene intaccato ed eroso da specifiche patologie, come le carie, la demineralizzazione, l'abrasione o fratturato (Figura 15) l'unica metodologia per ripararlo è quella di usare un materiale di natura sintetica. Lo scopo di questo studio è quello di caratterizzare l'effetto dei nano e micro cristalli biomimetici di idrossiapatite sulla remineralizzazione dello smalto umano. Campioni di smalto (3x3mm) sono stati tagliati con dischi a lame diamantate da premolari umani estratti per ragioni ortodontiche e trattati con nanocristalli sintetici di idrossiapatite biomimetica I difrattogrammi registrati su i campioni trattati con nanocristalli biomimetici mostrano lo spettro tipico della fase apartitica biomimetica, rivelandone la presenza sulla superficie dello smalto trattato (Figura 16). All’ indagine SEM la struttura interprismatica e prismatica dello smalto risulta 28 completamente ricoperta da uno strato apatitico omogeneo la cui permanenza è stato dimostrato superare le 24 ore in ambito fisiologico con test in vivo. 2 0 3 0 P o s it i o n 4 0 5 0 6 0 [° 2 T h e t a ] Figura 16 Spettri di diffrazione di raggi X registrati su campioni di smalto trattati con : acqua (1° DRX dall’ alto), pastadentifricia con fluoro(2° DRX dall’ alto),pasta dentifricia con microcristalli di idrossiapatite biomimetica(3° DRX dall’ alto). Spettro DRX dei microcristalli di idrossiapatite biomimetica (Ultimo DRX in basso) 2) Scaffolds biomimetici per la rigenerazione ossea I tessuti biologici sono i soli sistemi in grado di agire come veri “materiali funzionali”, Recentemente si comincia ad essere in grado di preparare “ bio-inspired materioals” capaci di riprodurre seppure in parte le specifiche funzionalità dei tessuti biologici per l’ ingegneria tissutale. Un settore di ricerca innovativo nel campo dei biomateriali è appunto quello rivolto all’ingegneria dei tessuti, il cui obiettivo è quello di ricostruire tessuti biologici coltivando le cellule su supporti artificiali chiamati "scaffold". Essi sono costituiti da biomateriali che devono consentire la proliferazione cellulare sia in vitro che in vivo. Una volta impiantati, gli scaffold possono essere riassorbiti mediante processi metabolici oppure rimanere in loco e continuare a fornire un supporto meccanico. 1)In collaborazione con GHIMAS s.p.a. sono stati realizzati scaffold porosi a base di chitosano, agarosio e polivinilpirrolidone. All’ interno della porosità degli scaffold è stata indotta la nucleazione di idrossiapatite, che in queste condizioni cristallizza con proprietà morfologiche strutturali simili a quelle dell’apatite presente in ossa e dentina. Di conseguenza le performances osteoinduttive degli scaffold cosi’ realizzati dovrebbero risultare esaltate. Si riporta come esempio la micrografia SEM di uno scaffold chitosanico e le diffrattometrie a raggi X dell’idrossiapatite in esso nucleata (Figura 17). [ Palazzo Barbara, Guglielmi Mariangela, Gallo Anna Lucia, Foltran Ismaela, Battistella Elisa, Mele Silvia, Rimondini Lia. Self-mineralizing polymer based porous scaffolds for bone tissue engineering. Workshop "Stem Cells for Bone Regeneration" October 7-10, Bertinoro, Italy] 15 20 25 30 35 P osition [°2Theta] Figura 17 Immagine SEM di uno scaffold chitosanico e diffrattometrie a raggi X dell’idrossiapatite in esso nucleata 29 2) L’ elettrofilatura di collageno di tipo I è stata utilizzata per realizzare la deposizione continua di fibre nanometriche su substrati di titanio ottenendo la formazione di una struttura cosiddetta di tessuto- non- tessuto in cui le fibre sono disposte con orientazioni completamente casuali. Dischi di titanio mordenzato e dischi di titanio ricoperti da fibre di collageno elettrodeposte sono stati sottoposti a test di cultura cellulare con cellule staminali mesenchimatiche epicardiali. Tale lavoro ha permesso di ottenere risultati di notevole importanza sul processo di elettrofilatura come mezzo per funzionalizzare superfici impiantabili utilizzabili sia in campo ortopedico che odontoiatrico come sostituivo del tessuto osseo. Confrontando i dati ottenuti per i dischi di titanio tal quali rispetto ai dischi funzionalizzati si è potuto evincere come il collagene elettrofilato, promuova la differenziazione di MCS in celluleosteoblastiche. Il disco con collagene elettrofilato in terreno differenziativo presenta una crescita cellulare più uniforme e completa rispetto al disco in titanio non trattato in terreno proliferativo. Si è rilevato inoltre che le cellule cresciute su terreno differenziativo hanno prodotto una maggiore quantità di matrice extracellulare e quindi una maggiore calcificazione rispetto a quelle cresciute su terreno proliferativi (Tabella I ). DISCO TERRENO 550 nm INCREMENTI Titanio Proliferativo 0,186 100% Differenziativo 0,361 194% T. + Collagene Proliferativo 0,154 100% Differenziativo 0,710 461% Tabella 1: Valori di assorbanza dopo colorazione con Alizarin Red Inoltre i dischi di titanio funzionalizzati con il collagene elettrofilato e terreno differenziativo, hanno generato fibre prive di difetti morfologici e con un diametro sub micrometrico, ottimali per la realizzazione degli scaffolds biomimetici per la rigenerazione ossea. [I. Foltran, N. Quirici, F. Denarosi, E. Battistella, L. Rimondini SIB Convegno Nazionale Biomateriali 2009.] 3) Conversione di Carbonati in Idrossiapatite per la produzione di scaffolds per l’ ingegneria tissutale. La realizzazione di scaffolds porosi di idrossiapatite (HA) è attualmente una delle maggiori richieste in campo medico poiché per molti aspetti risulta essere la risposta adatta a quelle che sono le necessità nel campo dell'ingegneria tissutale. Diverse tecniche sono state impiegate per la realizzazione di scaffolds porosi, come ad esempio l'utilizzo di agenti porosi, ma oltre a richiedere l'impiego di apparecchiature molto costose, sono risultate essere tecniche che non permettono di avere un sufficiente controllo della porosità interna dello scaffold. La trasformazione idrotermale (HT) dell'aragonite (CaCO3) dei coralli che provengono dall'Oceano Pacifico in HA è stata di grande interesse a partire dal 1970 perchè permetteva di ottenere scaffolds porosi, con una composizione e una microstruttura del tutto simile a quella della componente minerale dell'osso naturale. Tuttavia lo sfruttamento dei coralli presentava un problema legato alla conservazione ambientale: il problema è stato superato utilizzando l'osso di seppia che ha le medesime proprietà chimiche e cristallografiche del corallo ma non è una specie protetta bensì un materiale di risulta nella lavorazione ittica. In questo studio ci si è preposti di sviluppare e caratterizzare nuovi scaffolds per l'ingegneria tissutale dell'osso a partire da materiali di derivazione biologica. E' stata poi indagata la loro biocompatibilità allestendo colture cellulari utilizzando gli scaffolds oggetti di studio e 30 comparandoli a biomateriali di riferimento come il titanio nelle sue varie preparazioni, ampiamente usati in campo biomedico. La conversione dell’aragonite dell'osso di seppia in idrossiapatite, attraverso la sintesi idrotermale, è stata confermata tramite XRD (Figura 18). Figura 18 XRD di osso di seppia naturale (a) e dopo trattamento idrotermale (b) I risultati sperimentali dimostrano che l'aragonite costituente l'osso di seppia è stata completamente convertita in idrossiapatite, mantenendo la tipica struttura a camere interconnesse (Figura 19). Figura 19 Micrografie SEM di osso di seppia naturale a) e dopo trattamento idrotermale b) Magnification 500x 3)Biomineralizzazione: Cristallizzazione del carbonato di calcio in sistemi di interesse ambientale biologico e industriale a)Cristallizzazione di carbonato di calcio in presenza di ioni presenti nell’acqua di mare e acidi umici. Il sistema acqua di mare è supersaturo rispetto al carbonato di calcio, tuttavia tutti i depositi carbonatici presenti nei fondali marini sono di origine biogenica. Questa osservazione implica che la precipitazione “inorganica” del carbonato di calcio in acqua di mare sia inibita. In questo studio la precipitazione del carbonato di calcio è stata indotta in presenza dei vari ioni che costituiscono l’acqua di mare: sodio, potassio, magnesio, solfato e cloruro. Questi ioni sono stati utilizzati singolarmente, in coppia o tutti insieme a diverse concentrazioni relative. I risultati hanno mostrato come l’inibizione della precipitazione, in assenza di acidi umici, sia principalmente dovuta agli ioni magnesio e solfato. Inoltre, lo ione potassio e lo ione magnesio hanno un ruolo importante nel controllare la morfologia dei cristalli precipitati, mentre lo ione solfato favorisce il processo di aggregazione dei cristalli. Solo lo ione magnesio e lo ione solfato sono in grado di variare la struttura del carbonato di calcio. Gli acidi umici hanno un ruolo primario Cristalli di carbonato di calcio cresciuti in presenza di ioni dell’acqua di mare e acidi umici. 31 nell’inibizione della precipitazione, in modo molto più marcato rispetto agli ioni magnesio e solfato. La loro presenza, a livelli superiori ai 6 ppm, è in grado di inibire completamente. Essi inoltre riducono l’influenza delle specie ioniche sulle variazioni morfologiche e strutturali dei precipitati di carbonato di calcio. b)Cristallizzazione di carbonato di calcio in presenza polipeptidi carichi di rilevanza per lo studio della biomineralizzazione. In questo studio, acido poly-glutammico (pGlu) e poliaspartico (pAsp), come analoghi sintetici delle macromolecole solubili coinvolte nel controllo dei processi di biomineralizzazione, e polylisina (pLys) sono stati utilizzati per comprendere la cinetica della crescita della calcite come una funzione dell’interazione tra i polipeptidi carichi e la superficie della calcite. La cinetica della crescita della calcite è stata determinate in un sistema modello si precipitazione semplificato mediante incubazione di seeds di calcite in una soluzione di moderata supersaturazione contenente i polipeptidi. La legge di velocità parabolica è stata applicata con successo per descrivere la crescita dei cristalli di calcite, dimostrando che la velocità di crescita dei cristalli è determinata dall’adorbimento degli ioni sugli steps a spirale presenti sulla superficie della calcite. Piccole quantità di pGlu o pAsp causavano una inibizione della crescita della calcite e la dipendenza esponenziale della velocità di crescita dalla supersaturazione confermava the la nucleazione superficiale era il meccanismo dei controllo della crescita. La p-Lys dava deboli interazioni elettrostatiche non selettive con la superficie dei cristalli di calcite, favorendo la crescita a basse concentrazioni ed avendo un effetto inibitivo ad alte concentrazioni. La più forte interazione tra polypeptidi e cristalli di calcite è stata osservata per il sistema calcite/pAsp. Questo potrebbe essere dovuto alle interazioni di tipo coordinativo che si generano tra le regioni in struttura beta del polipeptide e la superficie del cristallo. c)Cristallizzazione di carbonato di calcio in presenza di additivi polimerici di utilizzo nell’industria dei cementi. Lo scopo di questa ricerca è stato quello di comprendere il meccanismo mediante il quale gli additivi polimerici utilizzati nell’industria dei cementi aumentano la plasticità della malta cementizia. Questi additivi sono dei “comb-polymers” la cui applicazione si base solo su osservazioni sperimentali, ma il cui meccanismo di azione non è ancora conosciuto. Nel cercare di raggiungere questo goal è stato utilizzato il carbonato di calcio come sistema modello. Gli studi di cristallizzazione del carbonato di calcio sono stati effettuati in presenza degli additivi polimerici commerciali più comuni utilizzati dall’industria dei cementi ed in presenza dei silicati che costituiscono il cemento stesso. I risultati hanno dimostrato come la morfologia e l’aggregazione dei Cristalli di carbonato di calcio cresciuti in presenza di additivi cristalli di carbonato di calcio (solo polimerici utilizzati nell’industria dei cementi. calcite) dipendano in modo specifico dal tipo di additivo utilizzato e dalla presenza dei silicati dei cementi. Questa specificità nel riconoscimento molecolare tra additivo e fase inorganica ha permesso di costruire dei modelli di interazione di potenziale utilizzo per la progettazione di nuovi additivi polimerici. 32 4)Biomineralizzazione: Sintesi di idrossiapatite da cristalli singoli biogenici di calcite in soluzioni di fosfato di calcio in condizioni ambientali. In questo studio cristalli singoli di calcite biogenica da Atrina rigida, Paracentrotus lividus e Heterocentrotus mammillatus sono stati trattati in soluzioni di fosfato di calcio aventi diverse concentrazioni per due mesi. Dopo questo periodo si è osservata la conversione del carbonato biogenico di calcio in idrossiapatite. Il processo di conversione è influenzato sia del tipo di cristallo biogenico utilizzato che dalla chimica delle soluzioni di fosfato. Nelle stesse condizioni sperimentali i cristalli di calcite di origine sintetica non subivano alcun processo di conversione. Questo diverso comportamento è ascrivibile alle macromolecole intra-cristalline presenti nei cristalli biogenici, le quali aumentano la solubilità del carbonato e agiscono come centri di nucleazione e crescita per l’idrossiapatite. Cristalli biogenici di calcite sui quali si è avuta la crescita di idrossiapatite. 5)Biocristallografia: Organizzazione strutturale dei lipidi e della cheratina nello strato corneo della pelle dei serpenti. La pelle dei serpenti è costituita da quattro diversi strati. I due più esterni contengono essenzialmente cheratina di tipo beta e vengono strutturalmente considerati come un unico strato. Quello seguente, conosciuto come meso layer, è simile allo strato corneo umano, ed è formato da cellule circondate da lipidi intracellulari. Ad esso è ascritta la funzione di controllo della permeabilità della pelle all’acqua. L’ultimo strato contiene cheratina alfa. In questo studio, l’assemblaggio molecolare di cheratine e lipidi è stato analizzato nella pelle di due specie di serpenti, l’elapide Tiger snake (Notechis scutatus) e il viperide Gabon viper (Bitis gabonica). Esperimenti di microdiffrazione di raggi X in scansione, spettroscopie FTIR and Raman, analisi termiche e microscopia elettronica hanno confermato la presenza dei tre strati principale nel pelle del Gabon viper, mentre nel Tiger snake lo stato di cheratina alfa appare assente. In entrambe le pelli le fibrille di cheratina appaiono disordinate, mentre lo strato lipidico 33 Struttura della bouganin (A) e lichnin (B) mostra un elevato grado di ordine. Questa organizzazione strutturale potrebbe essere il fattore che determina l’elevato grado di controllo nel rilascio di acqua da parte di questi organismi in diverse condizioni ambientali. 6)Studio Struttura/Funzione di due Ribosome Inactivating Proteins: bouganin e lichnin In questo studio la struttura tridimensionale di due RIPs di tipo 1, bouganin and lychnin, è stata risolta. La loro attività enzimatica è stata anche valutata in confronto con altre RIPs di struttura nota, quali: dianthin 30, PAP-R, momordin I, ricin A chain e saporin-S6. La Saporin-S6 rilascia il più alto numero di molecole di adenina dal ribosoma del ratto e dal poly(A), mentre la sua efficienza è simile alla dianthin 30, bouganin and PAP-R sul DNA da sperma. Le misure di inibizione della sintesi proteica hanno dimostrato che la saporin-S6 è la più attiva. La struttura della bouganin e della lychnin è simile a quella delle altre RIPs studiate e il tipico RIP fold è conservato. La sovrapposizione degli atomi C delle strutture mostra solo alcune differenze nei domini Nterminal e C-terminal. Una dettagliata analisi strutturale indica che l’efficienza della saporin-S6 su vari polinucleotidi potrebbe essere dovuta al potenziale elettrostatico superficiale sul sito attivo ed a vari residui carichi positivamente esposti nelle vicinanze del sito catalitico. Queste due condizioni, non presenti contemporaneamente nelle altre RIPs, potrebbero garantire una efficiente interazione con il substrato ed una efficiente catalisi. 7) Ruolo dei metalli nella citotossicità di nanocristalli d’interesse ambientale Nell'ambito dello studio del rischio per la salute umana di composti nanometrici a base di silicio, di provenienza sia naturale che industriale, fondamentale è l'individuazione del meccanismo chimico di interazione della fase inorganica con il sistema biologico, per valutarne la tossicità. I composti inorganici a base di silicio, che hanno implicazioni ambientali, sono costituiti quasi esclusivamente da silice e silicati che rappresentano un rischio ambientale diverso in funzione della loro struttura, morfologia e caratteristiche chimico-fisiche.Tra i silicati, gli asbesti presentano un elevato impatto ambientale e la loro tossicità è stata ampiamente studiata, in particolare modo quella degli anfiboli. Invece, la tossicità del crisotilo, che rappresenta oltre il 95% dell'amianto utilizzato commercialmente, non è stata esaurientemente chiarita e non è ancora noto se sia in un qualche modo diversa rispetto alle fibre nanometriche. La struttura del c! risotilo (Mg3Si2O5(OH)4) consiste in un avvolgimento concentrico di foglietti di strati sovrapposti di silicio tetraedrico e di magnesio ottaedrico con un diametro esterno di 22-27 nm, che varia considerevolmente al variare della fonte minerale.Le fibre sono contaminate da diversi metalli in tracce come Al, Ni, Fe, Cr, che possono sostituire Mg e/o Si, sviluppando difetti strutturali e modificando fortemente le caratteristiche chimico-fisiche, la morfologia e le interazioni delle fibre con i sistemi biologici modello. La capacità degli asbesti di produrre ROS è legata alle loro caratteristiche chimico-fisiche e morfologiche. Infatti sono proprio le loro proprietà chimico-fisiche a condizionare la solubilità, biodurabilità e biopersistenza delle fibre. E’ stata portata a termine una completa caratterizzazione chimico-fisica e strutturale di fibre di crisotilo stechiometrico sintetizzato in condizioni di pressione e temperatura controllate. L’indagine strutturale si è basata non solo sui dati ottenuti con diffrazione di raggi X col metodo delle polveri (Rietveld), ma anche dei dati di diffrazione elettronica al TEM. Questi risultati sono stati fondamentali per la corretta interpretazione della caratterizzazione chimico-fisica e morfologica, che in modo esaustivo è stata condotta sui cristalli di crisotilo stechiometrico sintetizzato con morfologia controllata. I cristalli hanno morfologia tubo in tubo, con una cavità interna avente un diametro di 7 nm ed una parete avente uno spessore di 7 nm, corrispondenti a circa 10 strati ottaedrici-tetraedrici con spacing di 7,3 nm. I cristalli risultano costituiti di 2 o 3 strutture tubolari compenetrate, con un diametro complessivo variabile da circa 20 nm. 34 Queste caratterizzazioni morfologiche e strutturali oltre a quelle spettroscopiche e di caratterizzazione termica sono state fondamentali per intraprendere uno studio mirante a caratterizzare l’attività superficiale del materiale. Si è anzitutto studiato l’effetto della presenza di ioni estranei, quali Fe e Al, verificando come essi siano in grado non solo di modificare strutturalmente le fibre, ma, in determinate concentrazioni, indurre il passaggio da una morfologia cilindrica a quella planare tipica della lizardite. Un risultato originale e di notevole importanza per gli studi futuri, è stata la sintesi di cristalli di crisotilo geoinspired contenenti quantità controllate di ferro. Dall’analisi di campioni con concentrazioni crescenti di Fe mediante spettroscopia (FTIR) combinata con studi strutturali (DRX) e morfologici (SEM-TEM) è stato verificato il ruolo svolto dalla presenza di Fe3+ nel modificare non solo superficialmente le fibre, ma anche la morfologia e la struttura cristallina attraverso una sostituzione del Fe al Mg nel sito ottaedrico. Le valutazioni genotossica e citotossica effettuate sul crisotilo geoinspired Fe-sostituito hanno messo in evidenza che la produzione di specie reattive dell'ossigeno e di altri radicali è potenziato quando ioni Fe sostituiscono specifici siti cristallografici nel crisotilo. L’indagine spettroscopica all’infrarosso e al Raman, mediante lo studio delle bande caratteristiche di assorbimento del crisotilo, ci ha permesso di valutare la sostituzione del Mg e del Si con ioni Fe. Il crisotilo geoinspired sintetizzato a diverse concentrazioni di Fe è stato ottenuto come unica fase mediante l’utilizzo di un reattore idrotermico in presenza o meno di Fe metallico. I risultati evidenziano che il Fe può sostituire sia il Mg nell’ottaedro sia il Si nel tetraedro o entrambi. La contemporanea sostituzione di ferro negli strati ottaedrici e tetraedrici rivela un sensibile aumento della temperatura di deidrossilazione che avviene a temperatura più elevata rispetto al crisotilo stechiometrico. Una dettagliata indagine chimico-fisica della superficie del crisotilo mediante ATR-FTIR, XPS e potenziale zeta in funzione della quantità di Fe aggiunto durante la sintesi, in presenza o meno di Fe metallico, ci ha permesso di valutare l’effetto della sostituzione del Fe nella struttura del crisotilo quando il Fe sostituisce Mg e/o Si. I risultati mostrano che la sostituzione del Fe nella struttura del crisotilo porta ad una modifica per quanto riguarda la composizione della superficie, la distribuzione delle cariche e quindi la sua reattività. E’ stata inoltre condotta una indagine mediante EPR, spettroscopia UV/VIS a riflettenza diffusa (DRS) e misure di suscettibilità magnetica allo scopo di chiarire la struttura e la nuclearità dei siti sostituiti dal Fe. I dati ottenuti mettono ancora in evidenza che il Fe aggiunto durante la sintesi del crisotilo può andare in entrambi i siti, sia ottaedrici che tetraedrici, e nel caso della contemporanea presenza nei due strati si osserva Fe3+ in una configurazione ad alto spin (3d5) ed un Fe3+ formante un cluster. Senza questa conoscenza è impossibile ottenere una chiara correlazione tra citotossicità e proprietà chimico-fisiche delle fibre di crisotilo drogate con il Fe. Infatti, la superficie del crisotilo è direttamente responsabile delle interazioni nell’interfaccia tra le fibre di amianto e sistema biologico. 35 8) Sistemi autoassemblanti di porfirine su nanotubi inorganici Le porfirine costituiscono un’attraente classe di molecole, data la loro semplicità di sintesi e le buone proprietà fotofisiche, che possono essere facilmente modulate modificando la sostituzione periferica o per coordinazione con ioni metallici. Numerose porfirine, contenenti legami covalenti e non-covalenti, sono state sintetizzate allo scopo di imitare sistemi naturali. Derivate dal nucleo della porfina, esse sono costituite strutturalmente da quattro unità pirroliche legate da ponti metilenici. Gli atomi di idrogeno interni sono localizzati su due atomi di azoto pirrolici e, sono normalmente soggetti ad equilibri di tipo tautomerico. L’esteso grado di delocalizzazione elettronica, insieme alla planarità della struttura, conferisce loro un’elevata aromaticità. Lo spettro UV-Vis della maggior parte delle porfirine è dominato da due gruppi di bande: (i) la prima molto intensa (coefficienti di estinzione molare dell’ordine di 105 M-1 cm-1), nella regione del visibile centrata intorno a 400 nm che solitamente si indica come banda B o banda di Soret; (ii) un secondo gruppo di bande d’intensità più bassa (coefficienti di estinzione molare dell’ordine di 104 M-1cm-1) e posizionate nella regione spettrale tra 500 e 700 nm, denominate bande Q. L’emissione di fluorescenza che origina dalle bande Q (Q(0-0) e Q(0-1)), si ritrova normalmente nella regione tra 600 e 700 nm. L’organizzazione spaziale di cromofori quali le porfirine è di notevole interesse per lo sviluppo di sistemi che possano riprodurre il comportamento di sistemi naturali responsabili dei processi fotosintetici, o dar luogo a fenomeni di trasporto di carica in dispositivi elettronici a base organica. In questo contesto si sono studiate le interazioni tra le porfirine e nanocristalli inorganici sintetici con struttura costituita da strati tetraedrici (T) centrati sul silicio in un network pseudo-esagonale e da strati ottaedrici (O) di idrossidi di magnesio. Il Lebsc ha messo a punto una metodologia di sintesi idrotermale altamente riproducibile che permette di ottenere nanocristalli di crisotilo sintetici come unica fase, con morfologia definita a nanotubo aventi il diametro esterno è pari a 21±1nm e il diametro interno 7±1nm, lo spessore della parete di ogni tubo singolo 7±1nm. I nanotubi di crisotilo si comportano da template su cui le porfirine, come la TPPS, possono auto-assemblarsi dando luogo a strutture fortemente organizzate (aggregati di tipo J) Questi ultimi presentano fenomeni di eccitazione di tipo coerente che portano a fenomeni ottici non lineari (assorbimento di 2 fotoni di una certa energia e la remissione di un fotone di energia doppia). Gli elevati valori di oscillator strenght e le rapide risposte degli elettroni degli aggregati J sono di interesse in molti campi, nei quali appunto la modellazione del trasferimento energetico nei sistemi fotosintetici, o conversione fotochimica dell’energia. I risultati di questo studio sono stati pubblicati nel 2009. 9) Sintesi di nanoparticelle metalliche di interesse biologico a)Nanoparticelle di selenio con superficie protetta da floroglucinolo Il selenio è un micronutriente essenziale per gli esseri viventi ed è tossico negli stati di ossidazione IV, VI mentre non lo è nello stato di ossidazione 0. La selenocisteina è presente nella glutatione perossidasi, un enzima che elimina il perossido di idrogeno e che quindi blocca la formazione di radicali liberi responsabili dello stress ossidativo delle cellule. E’ presente anche in diverse proteine (selenoproteine). 36 L’obbiettivo è stato quello di ottenere nanoparticelle di selenio bloccandone i processi di aggregazione mediante una protezione superficiale con floroglucinolo (1,3,5 triidrossibenzene). Il floroglucinolo è presente in molti flavonoidi ed altro polifenoli dotati di proprietà antinfiammatorie, antiossidanti ed in alcuni casi antitumorali. Alcuni esempi sono la quercetina, la epigallocatechina, la teaflavina(queste ultime presenti nel thè verde). La quercetina in particolare è già stata utilizzata come riducente per ottenere nanoparticelle d’argento. La notevole reattività del floroglucinolo è dovuta alla forte attivazione degli elettroni pe rl apr e s e nz adit r egr uppiO—H i n pos i z i onia l t e r n a t en e l l ’ a n e l l oa r oma t i c o. I lf l or ogl uc i n ol oa gi s c es i adac a ppa n t epe rl en a n opa r t i c e l l edis e l e ni oc h edar i duc e n t en e i c onf r on t ide l l ’ a ni dr i des e l e ni os a . Len a n opa r t i c e l l edis e l e ni oc ons upe r f i c i epr ot e t t adaf l or ogl uc i n ol oh a nn odi me ns i oniomoge ne e di23nm.L’ a na l i s iFTI Rpe r me t t edii pot i z z a r ec h el emol e c ol edif l or ogl uc i n ol oi mpe gni n odue de it r egr uppiO—H i nr e a z i onidipol i c on de n s a z i on ef or ma n do un r e t i c ol o pr ot e t t i v os ul l a s upe r f i c i ede l l en a n opa r t i c e l l ediSe . B)Nanoparticelle di Au, Ag, Au4/Ag1, Au1/Ag4 con superficie protetta da acido11-Mercaptoundecanoico E’s t a t ame s s aapun t ol as i n t e s idin a n opa r t i c e l l ean uc l e ome t a l l i c o(Au,Agel or ol e gh e )c on s upe r f i c i epr ot e t t adamon os t r a t imol e c ol a r idime r c a pt a nic onc a t e n ea l c hi l i c hediv a r i al un gh e z z a ( c i s t e r n a ,a c i dot i oma l i c oe da c i do11me r c a pt ou n de c a n oi c o)modi f i c a n doopp or t un a me n t ei lb e n n ot o me t od o diBr us t .Suc e s s i va me n t es on os t a t er i s i n t e t i z z a t en a n opa r t i c e l l e diAu4/ Ag1, Au1/ Ag4c ons upe r f i c i epr ot e t t adaa c i do11Me r c a pt oun de c a n oi c oa v e n t ef un z i onic a r b os s i l i c h ei n gr a dodil e ga r s iac a t i onime t a l l i c ic omeCaeMgpr e s e n t in e it e s s ut ibi ol ogi c ic a l c i f i c a t i .Que s t e n a n opa r t i c e l l es on opois t a t eut i l i z z a t epe rs t udidii n t e r a z i on ec onn a n oc r i s t a l l ibi omi me t i c idi i dr os s i a pa t i t eef i br er i c os t i t ui t edic ol l a ge n o. 10) Studi e ricerche di storia della chimica a)La ricerca chimica di pubblica utilità 1) L’opera di Anselme Payen Fr i e dr i c h Kl e mm n e l l ab e nn ot aStoria della tecnica,h ae vi de n z i a t oc h eque l l af r a nc e s eè c on t r a ddi s t i n t ada l l ’ a ppl i c a z i on ede ipr i n c i pis c i e nt i f i c ia l l ar i s ol uz i on edipr obl e mipr a t i c i.L’ ope r a diAn s e l mePa y e nn ons ol on ec os t i t ui s c eune s e mpi omar i f l e t t el adupl i c ef un z i on ede l l as c i e n z a a ppl i c a t a ,i npa r t i c ol a r ede l l ac hi mi c a ,c h eès i ar e t r os pe t t i v ac hei nn ov a t i v a .Daunl a t oe s s age t t a l uc es uc i òc h eda lpun t odivi s t ama n uf a t t ur i e r oèn ot odat e mpo,c on t r i b ue n doape r f e z i ona r e s e mpr epi ùl apr a t i c aope r a t i v a ,da l l ’ a l t r oa pr ec on t i n ua me n t en uov es t r a de“ c r e a n do”i nqua l c h e modon uov ea r t iet e c n ol ogi e .An s e l mePa y e nc ont r i b uì ,f or s epi ùdiognia l t r oc hi mi c of r a n c e s edi que lpe r i odo,n ons ol oadi f f on de r el ec on os c e n z ec hi mi c h ec onun ae f f i c a c eope r adidi vul ga z i one 37 maa n c h ear i c a v a r n eque ibe n e f i c ipe rl epopol a z i on ec h e ,mut a n dogl iobi e t t i vior i gi na l ide gl i e r e dide l l aRi v ol uz i on e ,c on s ol i da v a n ol apa c ei nve c edii nc r e me n t a r el apot e n z ami l i t a r e . 2)Arnaudon, pioniere italiano del riciclaggio dei rifiuti Fr ail a v or iac a r a t t e r edi v ul ga t i v odiGi a nGi a c omoAr na udon( 18291893)èt or n a t odivi va a t t ua l i t ài ls a ggi os ul l ’ ut i l i z z a z i on ede ir e s i dui( oggidi r e mmor i f i ut i ) .Fupubbl i c a t ope rl apr i ma v ol t ane gl iAnna l ide lRe gi oI s t i t u t oTe c ni c odiTor i n on e l1878e de bb eunas e c on dae di z i on ene l 1881.Pe rc on os c e r ei lgr a dodipr ogr e s s oi n dus t r i a l ediunpa e s eoc c or r e v ai nf or ma r s i ,s e c on do Ar n a udon,de lmodoc onc uie s s out i l i z z a vagl ia v a n z ididi ve r s ema ni f a t t ur e .Se c on doAr n a udon l ’ I t a l i ae r ae c on omi c a me n t ei nr i t a r do e dov e v as upe r a r e gr a vidi f f i c ol t àf i na n z i a r i ee d a mmi ni s t r a t i v ec hee s i ge v a n os t udii n t e n s i ,s e ve r iepe r s e v e r a n t i .Ma n c a n do i nI t a l i ar i s or s e a de gua t eoc c or r e v at r ov a r ea l t r it e s or in a s c os t idas f r ut t a r e .Tr aque s t iir e s i duidiv a r i an a t ur ae pr ov e ni e n z ac he ,un av ol t ame gl i out i l i z z a t i ,pot e v a n ot r a s f or ma r s ii nn uov es or ge n t idil a v or oedi r i c c h e z z a . b)Paolo Tassinari : riscoperta di un chimico italiano. Be n c h èi lc hi mi c oPa ol oTa s s i n a r i( Ca s t e lBol ogne s e1829–Sol a r ol o1909)a b bi apubbl i c a t op oc hi a r t i c ol is c i e n t i f i c ies i ar i c or da t os op r a t t u t t oc omea ut or edipr e ge v ol iope r edi da t t i c h ef ude f i ni t o daNa s i ni« uno dei migliori chimici analisti che abbia avuto l’Italia » . Si distinse per alcune importanti consulenze, una delle quali riguardò la ricerca del piombo. Avvenne dopo il ferimento di Garibaldi in Aspromonte, per localizzare il proiettile conficcato sopra il malleolo del Generale. Ci si rivolse a Tassinari, il quale ancora una volta fu all’altezza della sua fama di provetto chimico analista. Per individuare la posizione esatta del proiettile e procedere all’estrazione s’impiegò uno specillo inventato da Auguste Nélaton, costituito da una sonda d’argento che recava in punta una sferetta di porcellana grezza. Introdotto nella ferita, quando la sferetta strisciava contro il piombo, questi lasciava una traccia nerastra sulla superficie. Tassinari fu incaricato innanzitutto di esaminare il liquido che fuoriusciva dalla ferita per cercarvi tracce del metallo. Il risultato fu negativo, ma lo specillo localizzò finalmente il proiettile e, per averne ulteriore conferma, a Tassinari fu richiesto di analizzare la striscia nerastra sulla pallina di ceramica. Riconobbe il piombo con un saggio al solfuro. 38 UNITA’ DI RICERCA DI CAMERINO Direttore Scientifico: Prof. Alfredo Burini L’attività di ricerca dell’unità operativa di Camerino è stata sviluppata secondo cinque linee di lavoro principali: 1) sintesi di nuovi sistemi chelanti N-, O-, S-, -C e/o P-donatori; 2) sviluppo dei relativi complessi di rame(II), rame(I), argento(I) e oro(I), valutati sulla base delle loro caratteristiche strutturali e delle proprietà redox; 3) marcatura con rame-64 di alcuni dei derivati sintetizzati; 4) sintesi di molecole a potenziale attività antitumorale; 5) stesura di reviews su invito. Tre nuovi sistemi leganti macrociclici degli acidi 1,10-ditio-4,7-diazaciclododecano-3,8dicarbossilico (NEC-SE), 1,10-ditio-4,7-diazaciclotridecano-3,8-dicarbossilico (NEC-SP) e 1,10ditio-4,7-diazaciclotetradecano-3,8-dicarbossilico (NEC-SB) derivati della L,L-etilendicisteina sono stati sintetizzati ed impiegati nella sintesi dei relativi complessi di Cu(II) (Fig. 1). HOOC C OOH NH HN (R) (R) + SH HS H Br Br 1) Base - OOC N+ H H N+ H COO - (CH2) n 2) HCl, pH = 2 S S (CH 2)n n = 2: 12-membered NEC-SE, 1 n = 3: 13-membered NEC-SP, 2 n = 4: 14-membered NEC-SB, 3 H - OOC N+ H H N+ H S COO - S HN Cu(CH3 COO)2 H 2O O O Cu O S (CH2)n NH O S (CH2) n n = 2: 12-membered NEC-SE, 1 n = 3: 13-membered NEC-SP, 2 n = 2: Cu(NEC-SE), 4 n = 3: Cu(NEC-SP), 5 n = 4: 14-membered NEC-SB, 3 n = 4: Cu(NEC-SB), 6 Fig. 1. Schema di reazione della sintesi degli acidi 1,10-ditio-4,7-diazaciclododecano-3,8dicarbossilico (NEC-SE), 1,10-ditio-4,7-diazaciclotridecano-3,8-dicarbossilico (NEC-SP) e 1,10ditio-4,7-diazaciclotetradecano-3,8-dicarbossilico (NEC-SB) e dei relativi complessi Cu(NEC-SE) (4), Cu(NEC-SP) (5) e Cu(NEC-SB) (6). La marcatura di tali sistemi con l’isotopo 64-Cu(II) ha permesso di preparare le corrispondenti specie [64Cu(NEC-SE)], [64Cu(NEC-SP)] e [64Cu(NEC-SB)], con purezza radiochimica maggiore del 98%. Sono stati effettuati studi di biodistribuzione, condotti in vivo su ratti maschi del tipo Lewis, al fine di confrontarne la biocinetica con quella di analoghi sistemi 64Cu-tetrazamacrociclici, quali 64Cu-cyclam, 64Cu-TETA e 64Cu-DOTA. Tali studi hanno mostrato una ritenzione di attività nei tessuti simile a quella del 64Cu-cyclam; tuttavia si è osservata una non ottimale clearance dopo le 24 ore, probabilmente attribuibile alla cinetica di tali complessi idrofilici e quindi ad una rapida dissociazione del rame-64 dai chelati in vivo (Fig. 2). 39 Fig. 2. Confronto tra I dati di biodistribuzione (%ID/organ) di [64Cu(NEC-SE)] (7), [64Cu(NECSP)] (8) e [64Cu(NEC-SB)] (9) e alcuni complessi di rame-64 di tetraazamacrocicli, registrati 24 h dopo la somministrazione. I dati relativi ai complessi 7, 8 e 9 sono stati ottenuti su ratti maschi del tipo Lewis, mentre i dati relativi a 64Cu-Cyclam, 64Cu-TETA, 64Cu-DOTA and 64Cu-CB-TE2A sono stati ottenuti su ratti femmine del tipo Sprague-Dawley. Non essendo stato possibile ottenere strutture cristalline di tali derivati, sono stati effettuati studi DFT di modellistica molecolare al fine di chiarire le proprietà e la geometria di legame nei complessi, la quale probabilmente risulta alla base della loro relativa instabilità in vivo. Nuovi complessi carbenici di argento(I) sono stati ottenuti a partire dai precursori {[HB(RImH)3]Br2} (R = Me, Bn, Mes e tBu) e {[HC(MeBImH)3](BF4)3}, mediante reazione del sale di imidazolio con Ag2O (Fig. 3) H H B N N H H N B N N a N K Br Ag Bn N Bn Bn [HB(BnImH)2]Br2 Bn N Au Br Bn N N N N N N B B H H Ag3 [HB(BnIm) 3]2 Br Bn Bn Au Au Bn N N N Br Bn N N K[HB(Im)3 ] Ag N N Bn c Bn Ag N Bn N N N N N b N Bn Br N N Bn N N B N N N B N Bn Au 3[HB(BnIm)3 ]2Br Fig. 3. Condizioni di reazione: (a) temperatura ambiente, benzilbromuro, CHCl3; (b) temperatura ambiente, Ag2O, CH2Cl2; (c) temperatura ambiente, Au(SMe2)Cl, CH2Cl2. H H B B N H N N R a N B N b R N Br R R N R = Mesityl or t-Butyl c Ag Br R N N N Au Au R R N N R R N N [HB(RImH) 2]Br2 Ag Ag N R N N N N N R N N N N N N R Br R N Br R N N R R Au N N N B B H H Ag3 [HB(RIm)3 ]2 Br Au3 [HB(RIm)3]2 Br R = Mesityl or t-Butyl R = Mesityl or t-Butyl Fig. 4. Condizioni di reazione: (a) riflusso, (CH3)2S:BHBr2, CH2Cl2; (b) temperatura ambiente, Ag2O, CH2Cl2; (c) temperatura ambiente, Au(SMe2)Cl, CH2Cl2. 40 H C N N N H C N N N Me b C 3BF4 N N N Me N Ag Me N N N Me 3BF 4 Me Me Ag Ag Me N Me N N N N H a N N N Me N N N C H [HC(BIm) 3] {[HC(M eBIm H) 3](BF4)3 } {Ag 3[HC(MeBIm) 3] 2 (BF4 )3} Fig. 5. Condizioni di reazione: (a) temperatura ambiente, (Me3O)(BF4), CH2Cl2; (b) temperatura ambiente, Ag2O, CH2Cl2/CH3CN. Complessi trimetallici stabili di formula generale {Ag3[HB(RIm)3]2}Br sono stati ottenuti e impiegati con successo in reazioni di transmetallazione, quali agenti di trasferimento carbenico per la sintesi dei corrispondenti complessi di rame(I) e oro(I). I complessi di argento hanno mostrato un’attività catalitica in reazioni di accoppiamento del tipo Sonogashira tra ioduri arilici e alchini terminali. Un limite all’utilizzo di tali complessi in studi di citotossicità è rappresentato dalla scarsa solubilità e stabilità in acqua. Tale limite è stato da noi superato mediante la funzionalizzazione degli anelli imidazolici e triazolici con gruppi carbossilato e solfonato. La sintesi dei nuovi leganti pre-carbenici N-eterociclici {H2C(HTzR)2} e {H2C(HImR)2} (HTz = 1,2,4-triazolo; HIm = imidazolo; R = PrSO3o EtCOO-) è stata condotta a partire dal bis(1,2,4- triazolil)metano e dal bis(imidazolil)metano (Fig. 6). O O S O N Ac etone, reflux , 5 days O S - O N N H CH2Cl2, NaOH 60% N Bu4 NBr N N N N N 2C S O S O N N N N N - N N N N Ac etone, reflux, 5 days N O S O- N . 2 H2 O . 2 H 2O C O2 - O O CH2Cl2 , NaOH 60% N O N -O O H N O C O2H Toluene, reflux, 3 days N N N N Br N N N O O S O O- N Bu4 NBr CO 2H Br N N a) T oluene, r ef lux, 3 h b) Na2CO 3 , H2O, ref lu x -O N N 2C CO 2- Fig. 6. Sintesi dei nuovi leganti pre-carbenici {H2C(HTzR)2} e {H2C(HImR)2}. I relativi complessi carbenici {Na2[H2C(TzR)2]2Ag2} e {Na2[H2C(ImR)2]2Ag2} sono stati ottenuti da soluzione acquosa trattando il sale di triazolio o imidazolio con Ag2O (Fig. 7). Tali metallacicli sono di particolare interesse in considerazione dell’elevata solubilità e stabilità in acqua e del loro utilizzo in reazioni di transmetallazione per la sintesi dei corrispondenti complessi di rame e oro. 41 -O 3S Na+ SO 3 - CO 2N X N N N X X N Ag N X 1 ) Ag2O , H2O N 2) NaCl - - SO 3 O 3S N N N N X X . X - N N N Ag X N N N Ag X O 2C N X N - Na+ CO2 - O2C 2 H 2O N 1) Ag 2O , H2 O 2) Na Cl N N X Ag X N X = N or C - O3 S Na+ X = N or C SO 3- N Na+ CO2 - - O 2C Fig. 7. Sintesi dei complessi carbenici di Ag(I). Una nuova classe di leganti pirazolilborati di formula generale [H3B(pzx)]- è stata ottenuta attraverso l’interazione di MBH4 (M = Na o K) con pirazoli caratterizzati dalla presenza di gruppi elettronattrattori, in condizioni di reazione non termolitiche. Nuovi complessi di rame(I) sono stati sintetizzati attraverso la reazione dei leganti sodio triidro(5-CF3-pirazolil)borato e potassio diidrobis(3-trifluorometil-pirazolil)borato con [Cu(CH3CN)4]PF6 o CuI e coleganti fosfinici o isonitrilici (Fig. 8). (a) (b) (c) Fig. 8. Struttura cristallina dei complessi {[H3B(5-(CF3)pz)]Cu[P(C6H5)3]2} (a), {[H2B(3(CF3)pz)2]Cu(CNtBu)2} (b) e {[H2B(3-(CF3)pz)2]Cu(CNCy)2} (c). La tecnica X-ray Absorption Spectroscopy (XAS) è stata impiegata per studiare l’intorno di coordinazione del metallo in complessi di rame(I) che hanno mostrato un’elevata attività citotossica nei confronti di un ampio panel di linee cellulari tumorali. In particolare sono stati investigati complessi fosfinici dei leganti diidrobis(3-nitro-1,2,4-triazolil)borato e bis(1,2,4-triazolil)acetato, per i quali l’analisi EXAFS ha permesso di individuare una tetracoordinazione del centro metallico, caratterizzata dalla presenza di due interazioni Cu-P e due interazioni Cu-N con l'ottenimento di una struttura quasi planare. Nel derivato {[HC(CO2)(pzMe2)2]Cu(thp)2} è stata riscontrata una coordinazione addizionale dovuta all’interazione del rame con il gruppo acetato del legante scorpionato. 42 UNITA’ DI RICERCA DI CATANIA Direttore Scientifico: Prof. Raffaele Pietro Bonomo Complessi di rame(II) con le proteine di interesse(Amilina (IAPP), alfa-cristallina, A beta Amiloide, Alfa-sinucleina, Insulisina, Proteina prionica). Le molecole studiate sono: Amilina (IAPP), alfa-cristallina, A beta Amiloide, Alfa-sinucleina, Insulisina, Proteina prionica. Inoltre sono state investigate alcuni inibitori della fibrillogenesi quali beta-sheet breaker e loro glicoconiugati. Sono state effettuate le sintesi di frammenti peptidici presenti nel dominio N-terminale del prione umano, del peptide ß-amiloide e frammenti relativi alla proteina amilina caratterizzandone anche la complessazione con ioni metallici. Per quanto riguarda gli studi relativi alla proteina prione sono stati studiati i seguenti frammenti: HuPrP(76-114) e HuPrP(59-91). Il frammento HuPrP(59-91) è stato anche modificato legando una catena di Polietilenglicole (PEG) all'estremità N-terminale della catena polipeptidica, al fine di aumentare la solubilità dei relativi complessi con il rame (II) e permettere uno studio potenziometrico. I peptidi sono stati caratterizzati da un punto di vista conformazionale presso il CNR-IBB facendo uso di tecniche spettroscopiche quali il dicroismo circolare (CD) ed NMR. Allo stesso tempo sono stati intrapresi, gli studi potenziomentrici e spettroscopici dei complessi del rame(II) formati con questi peptidi. I primi risultati indicano che, a differenza dei precedenti studi condotti su altri frammenti correlati, è presente un chiaro fenomeno di cooperatività nel frammnento HuPrP(59-91), mentre lo stesso appare solamente accennato nel frammento HuPrP(76-114). In relazione agli studi in corso sui peptidi correlati al b-amiloide, la coniugazione del frammento peptidico Ab(1-16) con una catena di polietilenglicole (PEG), ha reso possibile l'esecuzione di misure potenziometriche in soluzione acquosa, in eccesso di ioni metallici ed a concentrazioni relativamente elevate. I leganti studiati nell'ambito del progetto sono stati i seguenti: Aß(1-4), Aß(1-6), AcAß(1-6), AcAß(816)Y10A, Aß(1-16), Aß(1-16Y10A), Aß(1-16)-PEG. Lo studio di questi leganti ha reso possibile ottenere informazioni sulle capacità di legame dell'intero peptide [Aß(1-16) e Aß(1-16)PEG], i suoi frammenti N-terminali [Aß(1-4), Aß(1-6) e Ac-Aß(1-16)] ed anche sul ruolo dei residui adiacenti di istidina [Aß(8-16)] e tirosina [Aß(1-16)Y10A ]. I risultati ottenuti indicano che la regione Nterminale comprendente i residui 1-16 è in grado di legare fino a 4 ioni rameici. Inoltre l'analisi dei dati potenziometrici e spettroscopici indica che i complessi polinucleari sono presenti anche a pH fisiologico ed il gruppo ammino terminale può essere considerato come il sito a più alta affinità per il rame(II). Analoghi studi sono stati condotti con lo ione zinco dove per la prima volta è stato possibile ottenere un quadro dettagliato delle specie complesse esistenti a diversi pH ed a diversi rapporti metallo legante. I risultati indicano che il frammento peptidico Ab(1-16)-PEG riesce a coordinare sino a tre ioni zinco. Inoltre l'analisi dei dati potenziometrici ed NMR suggeriscono che il sito a più alta affinità per lo zinco è localizzato fra le istidine in posizione 13 e 14 a valori di pH leggermente acidi, mentre il gruppo ammino terminale diventa competitivo a valori di pH fisiologici. Gli studi precedentemente intrapresi sul frammento dell'amilina umana hIAPP17-29 sono stati approfonditi tramite esperimenti di light-scattering dinamico che hanno permesso di monitorare le cinetiche e i meccanismi di aggregazione di questo peptide omologo alla sequenza umana e confrontarlo con le proprietà del frammento murino rIAPP17-29. Più in particolare è stato valutato il ruolo del pH nel processo di aggregazione del frammento hIAPP17-29 individuando nella protonazione dell'istidina 18 un fattore critico nel determinare i meccanismi di aggregazione del frammento in soluzione acquosa. Inoltre, studi spettroscopici finalizzati alla caratterizzazione del polimorfismo conformazionale del frammento, sono stati condotti su suoi derivati coniugati con PEG che presentano una solubilità più elevata dei frammenti non-peghilati. Sono stati sintetizzati e caratterizzati nuovi derivati peptidici appartenenti alla classe dei "beta-sheet breaker" ottenuti legando covalentemente una molecola di trealosio al pentapeptide LPFFD. Il trealosio dovrebbe garantire: a) una maggiore stabilità nei confronti della degradazione enzimatica, proprietà che presentano molti peptidi glicosilati; b) promuovere il trasporto attraverso la barriera ematoencefalica, grazie ad un trasportatore specifico; c) possedere un'attività anti-fibrillogenica potenziata 43 dal sinergismo delle componenti glucidica e peptidica. Tutti i peptidi sintetizzati sono stati caratterizzati mediante spettrometria ESI-MS. Gli studi CD in differenti condizioni sperimentali (pH, TFE, SDS) hanno permesso di valutare le preferenze conformazionali di ciascun sistema peptidico. I risultati indicano che la presenza del trealosio non influisce in maniera determinante sulle proprietà conformazionali della catena peptidica, tuttavia gli spettri Cd suggeriscono che il trealosio promuove la strutturazione della catena polipeptidic in un ambiente più idrofobico. Un aspetto interessante emerge dagli esperimenti di stabilità nei fluidi biologici. I dati in nostro possesso indicano che la coniugazione del peptide LPFFD con il trealosio conferisce un'aumentata stabilità nei confronti della degradazione proteolitica in omogenati di cervello di ratto. Tutti i sistemi sintetizzati sono stati testati in relazione alla loro capacità di inibire la fibrillogenesi del peptide Abeta(1-42) nonchè della sua attività citotossica in colture primarie di neuroni corticali di ratto. Le misure di attività antifibrillogenica sono state condotte in differenti tamponi (PBS o Netilmorfolina (NEM) cloridrato, pH 7.4) utilizzando il saggio di fluorescenza con ThT, mentre la morfologia delle fibrille è stata studiata mediante indagini AFM. I saggi di fluorescenza, condotti in NEM, indicano che i coniugati sono in grado di interferire con il processo di fibrillogenesi dell'Ab(1-42). Le indagini AFM sono in accordo con i dati di fluorescenza evidenziando che la coincubazione con i glicoderivati statisticamente riduce la grandezza e lo spessore delle fibrille. Non è stato possibile riprodurre questi risultati in tampone fosfato dove non si evidenzia alcuna attività antifibrillogenica. Inoltre gli esperimenti di citotossicità eseguiti in tampone PBS non hanno messo in evidenza una significativa inibizione di tossicità da Ab(1-42). E' stata studiata l'interazione dell'IDE (Insulin-Degrading Enzyme) con diverse molecole substrato al variare delle condizioni sperimentali. In particolare, è stato possibile dimostrare che alte concentrazioni di Ubiquitina alterano drammaticamente la capacità dell'IDE di interagire e degradare molecole di Insulina. D'altra parte, l'Insulina sembra avere un importante ruolo regolatore sull'interazione IDEUbiquitina, suggerendo l'ipotesi che essa abbia quindi una importante funzione regolatrice sull'attività proteosomica dell'IDE. L'interazione IDE-Amiloide ß è stata studiata tramite diversi approcci di spettrometria di massa (MALDI, AP MALDI e ESI) ed i risultati hanno identificato nuovi siti di taglio dell'enzima su tali molecole. Il ruolo della Somatostatina è stato studiato tramite diversi approcci sperimentali, dimostrando da un lato la capacità dell'IDE di degradare tale molecola e, dall'altro, l'effetto della Somatostatina sull'interazione IDE-Amiloide ß. L'effetto dei diversi fattori ambientali (concentrazione enzimatica, tempi di reazione, presenza di metalli, etc.) sulla degradazione dell'Insulina da parte dell'IDE è stato accuratamente studiato tramite AP/MALDI MS. Esperimenti effettuati nel caso del sistema IDE-Insulina hanno dimostrato la presenza di un cambio conformazionale delle molecole di IDE ancorate sulla superficie durante l'interazione con le molecole di insulina. La simulazione delle curve sperimentali ottenuta adottando il modello del cambio conformazionale ha permesso di stimare alcuni dei parametri cinetici coinvolti con la suddetta interazione. Sono stati investigati gli effetti della L- e D-carnosina sugli aggregati fibrillari beta amiloidi di alpha-cristallina. In particolare è stato studiato il loro ruolo sulla tolleranza allo stress termico , attività chaperone e stabilità termica dell' alpha-cristallina. Nel lavoro oggetto degli ultimi due poster abbiamo osservato che, sia considerando come modello l'alpha-cristallina da sola che il sistema più complesso di cristallini di ratto in organo-cultura, la presenza delle carnosine previene la formazione di fibrille amiloidi, preserva l'attività chaperone dell'alpha-cristallina e disassembla le fibrille già preformate, restituendo parte della trasparenza della lente. Processi di riconoscimento molecolare. Le porfirine sono tra le molecole più studiate dai chimici. Le ragioni di tale interesse dipendono non solo dal fatto che esse svolgono un ruolo fondamentale in diversi sistemi biologici, ma anche dalla facilità con cui esse possono essere studiate grazie alle peculiari proprietà spettroscopiche. Esse presentano, infatti, proprietà spettroscopiche notevoli (quali l’elevato coefficiente di estinzione molare e l’alta resa di emissione di fluorescenza) che possono essere facilmente modulate inserendo sia diversi ioni metallici (al centro dell’anello), sia diversi sostituenti (alla periferia, per esempio in posizione meso-). In particolare, l’introduzione di gruppi carichi in posizione meso- ha reso 44 possibile l’ottenimento di porfirine solubili in acqua. E’ importante sottolineare a questo punto che, in funzione del numero e/o della disposizione dei vari gruppi carichi, le porfirine presentano in acqua una naturale tendenza verso la auto-aggregazione. I gruppi carichi rendono, infatti, tali molecole solubili in acqua, ma non idrofiliche. Del resto, la stessa struttura di queste molecole (un ampia superficie planare, elettron-ricca) favorisce interazioni tipo van der Waals anche in solventi meno polari dell’acqua. Chiaramente le porfirine con un alto numero di cariche sono quelle che restano monomeriche per un più ampio intervallo di concentrazione e forza ionica. In relazione a ciò, vi era in letteratura la diffusa convinzione che l’aggregazione su matrici di carica opposta a quella delle porfirine fosse una prerogativa specifica di porfirine con una forte tendenza verso l’auto-aggregazione. poiché in acqua, in presenza di una matrice, sono guidate da specifici processi di riconoscimento molecolare. Ciò è vero anche per porfirine tetra-cariche che non mostrano alcuna tendenza ad auto-aggregare (in assenza di una specifica matrice) anche ad ‘alte’ concentrazioni (104 M) e forze ioniche. La specificità di queste interazioni insieme alla inerente presenza di cooperatività dei processi di aggregazione, indirizzerà la nostra ricerca verso settori applicativi come quello dei sensori. Infatti, sia la specificità che la cooperatività sono dei requisiti essenziali per ottenere, rispettivamente, una buona selettività ed una elevata sensibilità. In particolare sono state studiate le interazioni tra le porfirine e templati di carica opposta la cui funzione è quella di organizzare e modulare il numero di porfirine aggregate. I templati investigati sono stati sinora biopolimeri chirali quali polipeptidi recanti in catena laterale gruppi ionizzabili al variare del pH. La variazione della densità di carica sul polipeptide è stata sfruttata per modulare con il pH il numero di porfirine aggregate. Questo ha consentito di ottenere tutta una serie di sensori per pH, ioni metallici, DNA o RNA. Grazie alle peculiarità elettroniche e coordinative dei metalli coordinati nel core della porfirina è stato inoltre dimostrato che è possibile controllare la geometria di aggregazione. Comunque, sia in presenza che in assenza di templati non è stato ancora acquisito il controllo sulle dimensioni degli aggregati. Infatti, l’auto-aggregazione delle porfirine porta alla formazione di specie in cui il rapporto stechiometrico non coincide con la reale stechiometria delle specie che sono di dimensioni notevoli e variabili. In questo progetto si propone il disegno, la formazione e la caratterizzazione in soluzione acquosa di aggregati di porfirine aventi stechiometria determinata e modulabile utilizzando le interazioni elettrostatiche tra cariche nette di segno opposto quale forze guida dei processi di self-assembly. Questi complessi saranno progettati in maniera tale da renderli attivi verso processi di trasferimento elettronico fotoattivati o per essere utilizzati come sensori. Il progetto prevede due approcci diversi, uno in presenza e l’altro in assenza di templati. Nel primo caso si propone l’ottenimento di aggregati di porfirine di carica opposta utilizzando metallo-porfirine penta-coordinate per limitare la crescita dei complessi supramolecolari alle dimensioni desiderate. Infatti, a differenza delle porfirine planari, i derivati pentacoordinati hanno una sola faccia disponibile all’aggregazione e quindi fungono da “stopper”. Nel secondo caso verranno studiati complessi calixarene-porfirina in cui i calixareni esplichino una funzione di templato organizzatore per l’ottenimento di aggregati a stechiometria nota e modulabile. Infatti, dati preliminari indicano che i calixareni carbossilati inducono l’aggregazione di un numero discreto e modulabile di porfirine poiché il numero di siti disponibili per la complessazione varia con il pH. L’uso di queste molecole come templati presenta anche altri vantaggi. Infatti: i) possono essere variamente funzionalizzate variando sia il numero che la natura (cationica, anionica, chirale etc.) dei siti complessanti, consentendo il disegno di specifiche specie supramolecolari, e ii) sono particolarmente adatti ad essere utilizzati quali sensori. Si propongono anche una serie di esperimenti sulle interazioni tra porfirine e la forma sinistrorsa del DNA, la forma Z. Dati preliminari mostrano infatti che alcune metallo-porfirine riconoscono la forma B dalla forma Z Caratterizzazione chimico-fisica di complessi di rame(II) con leganti correlati alle proteine prione da mammiferi o uccelli e loro interazione con ossido di azoto Lo studio della proteina prione (PrP) si inserisce nel contesto delle malattie provocate da modifiche conformazionali delle proteine, e dei fattori ambientali che ne determinano l’eziopatologia. Come 45 glicoproteina si trova principalmente sulla membrana plasmatica dei neuroni e delle cellule gliali dei mammiferi. L’isoforma conformazionale della PrPC, la proteina PrP(scrapie), è il fattore responsabile delle encefalopatie spongiformi finora identificato. Il protein misfolding può essere indotto da cambiamenti dell'omeostasi degli ioni metallici, dalla presenza di proteine chaperon patologiche, da modifiche di pH e da stress ossidativi. E’ stato dimostrato che la proteina prione ha un ruolo come trasportatore del rame all’interno della cellula (per endocitosi), e potrebbe avere attività SOD-like, anche se questa evidenza è oggetto di grandi controversie in letteratura. La regione N-terminale del prione umano, costituita dai residui 60-91, possiede quattro sequenze octapeptidiche, altamente ripetitive, PHGGGWGQ. Studi spettroscopici hanno dimostrato che il Cu(II) induce la formazione di strutture ordinate in questa regione; infatti, utilizzando peptidi sintetici corrispondenti a tali sequenze, alcuni autori hanno dimostrato che il legarsi del Cu(II) a PrP sia necessario a fare assumere la corretta conformazione che consente alla proteina di espletare la sua funzione antiossidante. Allo scopo di comprendere il tipo di interazione tra metalli e le specifiche sequenze della PrP, sono stati effettuati numerosi studi utilizzando frammenti peptidici della proteina PrP, che possono essere considerati un modello semplificato, ma rappresentativo. Determinare, quindi, la precisa coordinazione del rame(II) all'interno del dominio octarepeat è stato un obiettivo primario per comprendere il ruolo della PrP come "copper protein". A tale scopo, sono stati effettuati studi spettroscopici e spettrofotometrici dei complessi di Cu(II) con i peptidi AcHGGG-NH2 e Ac-PHGGGWGQ-NH2 , in soluzione acquosa, variando il pH da 4 a 11 per avere una chiara conoscenza di tutte le specie che si formano in questo intervallo di pH, delle loro relative percentuali, della loro stechiometria e delle loro caratterstiche geometriche. Successivamente, per verificare la presenza di molecole d'acqua nella sfera di coordinazione, come riportato nella struttura cristallografica del Cu-Ac-HGGGW-NH2 , sono stati effettuati studi di ESI-MS nei complessi di rame a pH neutro e basico. Spettri EPR in banda X a temperatura ambiente e a bassa temperatura hanno consentito di determinare il numero di atomi di azoto direttamente legati al rame nel piano equatoriale. In particolare, a pH fisiologico, i complessi di rame(II) con i peptidi AcHGGG-NH2 ed Ac-PHGGGWGQ-NH2 danno luogo alla specie [Cu(L)H-2] (dove con L si indica uno dei generici peptidi ed H-2 indica la deprotonazione di due atomi di azoto ammidici, in conseguenza della complessazione), che presenta una geometria piramidale a base quadrata, con tre atomi di azoto donatori nel piano equatoriale, provenienti dall’imidazolo e dai gruppi ammidici, ed un atomo di ossigeno carbonilico. Negli spettri EPR a bassa temperatura si è ottenuto sia un basso valore di g|| che della costante di accoppiamento iperfine. Il basso valore della costante di accoppiamento parallela implica una forte interazione apicale e, quindi, la presenza di un forte legame con il rame lungo la direzione perpendicolare al piano equatoriale, mentre, la struttura superiperfine a 7 righe, dovuta all'interazione dell'elettrone spaiato nell'orbitale dx2-y2, o dxy, centrato sul rame, indica la presenza di tre atomi di azoto nel piano equatoriale. Questi fatti indicano che la stereochimica del complesso si avvicina di più ad una piramide a base quadrata. In una seconda fase, viste le elevate potenzialità dell’ossido di azoto come probe per lo studio strutturale e redox dei centri metallici, è stata valutata il tipo di interazione con NO da parte dei complessi Cu- Ac-HGGG-NH2, Cu- Ac-PHGGGWGQ-NH2, come precedentemente fatto con metalloproteine. In particolare, in questo studio sono state impiegate molecole di NO-donors che rilasciano ossido di azoto in maniera controllata. Recenti evidenze, inoltre, hanno mostrato che la PrP influenza l’attività enzimatica della nNOS (neuronal nitric oxide synthase), l’enzima deputato alla sintesi dell’ossido di azoto nei neuroni. E’ stato dimostrato che la PrP e la nNOS sono colocalizzate ed entrambe sono associate a microdomini membranosi ricchi in colesterolo, insolubili nei detergenti, detti rafts. La nNOS è alterata negli encefali di topi infettati con la proteina scrapie, e la riduzione della sua attività è dovuta all’assenza della nNOS dalla sua consueta localizzazione di membrana, a causa della sua dissociazione dai rafts. La nNOS solubile, infatti, è parzialmente attiva; sembra, inoltre, che la PrP possa determinare la corretta localizzazione della nNOS o comunque, che entrambe facciano parte dello stesso sistema funzionale, che può in qualche modo essere responsabile dell’attivazione di altre proteine, alcune delle quali capaci di indurre i sintomi della scrapie. Questi risultati suggeriscono quindi un ruolo della PrP nella regolazione 46 dell’efficienza catalitica della nNOS, mentre non è noto come l’attività dell’enzima neuronale, o del suo prodotto NO, possa influenzare la stabilità delle diverse isoforme della PrP. In questo tipo di misure, si realizzerebbe un modello mimetico della condizione in vivo in cui la presenza dei due sistemi proteici, il prione e la nNOS, sono colocalizzati. Sperimentalmente, in seguito all’interazione del monossido di azoto con questi complessi si osserva una notevole riduzione del Cu(II), che lascerebbe pensare ad un processo di electron transfer mediato dalla formazione di un legame debole tra il rame e l’NO (probabilmente nitrito, cioè la forma ossidata), con successivo trasferimento dell’elettrone al centro metallico. Gli shifts spettroscopici osservati sia negli spettri visibili che nei parametri magnetici, suggeriscono un’espansione della sfera di coordinazione del rame(II) che cambia da una piramide a base quadrata ad una geometria pseudo-ottaedrica. La formazione dell'addotto potrebbe coinvolgere la posizione apicale libera. In presenza di ossigeno, gli spettri UV-Vis ed EPR (RT) dei due sistemi mostrano le stesse caratteristiche del complesso originario. Comunque, non si può escludere la possibilità che lo scambio elettronico avvenga anche a sfera esterna supponendo che la reazione non sia sotto un controllo termodinamico, ma cinetico. Molti sono gli studi effettuati sulle interazioni del rame con la proteina prione PrPC espressa nei mammiferi, (topo, criceto e uomo), mentre sono pochi gli studi (e contrastanti fra di loro) riguardanti la proteina prione delle specie volatili e la sua interazioni con lo ione rameico. L’omologia della sequenza con la proteina espressa nei mammiferi è solamente del 30 %, (44% nel caso del pollo), ma comunque vi sono delle forti e significative analogie. Sono ambedue proteine Nglicosilate e possiedono, nella regione N-terminale, dei “repeats” [(PHGGGWGQ)6 per i mammiferi e (PHNPGY)8 per i volatili]. La presenza del prione, ma la mancanza di malattie neurodegenerative nei volatili ha indotto a studiare gli esarepeats della parte N-terminale, in modo da verificare se essi siano in grado di complessare il rame e di paragonare i dati ottenuti con quelli dell’octarepeat dei mammiferi per avere informazioni sul ruolo fisiologico della proteina prione. Sono stati sintetizzati gli esapeptidi Ac-NPGYPH-NH2 (ESA), Ac-PHNPGY-NH2 (ESAPY), AcHNPGYP-NH2 (ESAHP), ed il dodecapeptide Ac-(PHNPGY)2-NH2 (DodecaPY)per studiare in maggiore dettaglio come le differenti posizioni delle due unità di prolina possano influire sulla conformazione dei peptidi stessi e sull’intorno di coordinazione dello ione rameico. I rispettivi complessi rameici sono stati caratterizzati mediante misure di potenziometria, spettroscopia elettronica UV-Vis, dicroismo circolare ed EPR. Poiché i primi dati spettroscopici hanno evidenziato che la tirosina nel caso del dodecapeptide possa essere direttamente coinvolta nella coordinazione dello ione rameico sono stati sintetizzati i corrispondenti frammenti sostituendo il residuo tirosinico con la fenilalanina, Ac-NPGFPH-NH2 (ESAF), Ac-PHNPGF-NH2 (ESAPF), Ac-HNPGFP-NH2 (ESAHF) ed i dodecapeptidi Ac(PHNPGF)2-NH2 (DodecaF), Ac-PHNPGFPHNPGY-NH2 (DodecaF1) e Ac-PHNPGYPHNPGFNH2 (DodecaF2). La speciazione è analoga da un punto di vista qualitativo, con piccole differenze nelle costanti di stabilità delle specie 11-1 e 11-2, e non si hanno evidenze spettroscopiche di un diretto coinvolgimento della tirosina nella di coordinazione al rame(II). Esiste una specie [CuL2] non riscontrata per l’octarepeat, che possiede una costante di formazione pari al doppio della specie [CuL] dell’octarepeat, segno che in questa specie il rame è coordinato da due anelli imidazoloici. La speciazione dei complessi rameici coi dodecapeptidi indica notevoli differenze . Fino a pH 6 la specie principale è quella in cui lo ione rameico è coordinato da due azoti imidazolici. All’aumentare del pH, nel dodecaPY si hanno le specie complesse Cu2LH-1 e Cu2LH-2. Gli spettri elettronici e CD indicano la presenza di una banda a trasferimento di carica a circa 380 nm indice della coordinazione diretta del tirosinato con lo ione rameico. Il dodecaF forma invece solo la specie 11-1 in cui si ha la deprotonazione di un solo azoto ammidico. Sostituendo una sola tirosina non si osservano specie complesse binucleari. 47 Meccanismi fotochimici di farmaci I risultati ottenuti negli ultimi anni hanno permesso di ottenere ulteriori informazioni sui meccanismi fotochimici, fotofisici e di fotosensibilizzazione di vari farmaci, come la Rufloxacina (RFX), il Naprossene (NAP) e il Blu di Metilene (BM), indotti sulle proteine e sull’aminoacido isolato triptofano. La RFX è usata come farmaco ad ampio spettro nelle terapie antibatteriche delle infezioni urinarie, urogenitali, respiratorie ecc. Fa parte dei fluorochinoloni di terza generazione, definiti long-acting per la loro emivita notevolmente prolungata (> 8 ore). In studi “in vitro” è stato in parte studiato il suo meccanismo di fotodegradazione e sono stati parzialmente chiariti i meccanismi di fotosensibilizzazione, sempre “in vitro”, nei riguardi di alcuni target biologici. Il NAP appartiene alla classe dei farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS). I FANS sono comunemente utilizzati nel trattamento del dolore e dell’infiammazione di numerose malattie. Questi farmaci, comunemente usati nei trattamenti di artriti, possono indurre reazioni allergiche cutanee. Per determinare l’origine di questi fenomeni, è stata studiata la fotosensibilizzazione di target biologici indotta da FANS. Alcuni di questi composti sono stati ampiamente studiati in vitro riguardo le loro proprietà di fotosensibilizzatori in presenza di substrati biologici. Diversi studi sono stati fatti su DNA, proteine, eritrociti e componenti di membrane. Il blu di metilene (BM) è molto utilizzato in campo biologico come colorante, la sua azione antimetaemoglobinica e di antidoto (cianuro) vengono sfruttate in medicina, così come antisettico e disinfettante in campo veterinario. In combinazione alla luce visibile questo farmaco viene utilizzato per la foto-inattivazione di molti virus (HIV, HBV, ecc.). In fotochimica, la sua relativa stabilità alla luce lo rende un importante generatore di ossigeno singoletto, ET=142,1 kJ/mol con ΦΔ= 0,60 in acqua. Infatti, questo colorante viene sfruttato in molte reazioni chimiche dove serve la forma reattiva dell’ossigeno. Riguardo la fotosensibilizzazione, il BM si considera un buon modello di fotosensibilizzatore di tipo II. In letteratura si citano molti esempi sulla azione fotoindotta dal BM, in questi lavori si riporta la fotoossidazione di diversi target come membrane, proteine e DNA; sulla base di questi studi il BM è fototossico in vitro e potenzialmente fototossico in vivo. Il triptofano è uno degli amminoacidi più studiati in campo fotochimico, assorbe nella regione UVC-UVB ed è uno dei tre residui aminoacidici aromatici, insieme alla tirosina e alla fenilalanina, responsabili dell’assorbimento delle proteine nella zona ultravioletta. La sua struttura aromatica lo rende particolarmente suscettibile a diverse modificazioni chimiche e in particolare alle fotoossidazioni dalle quali si formano diversi prodotti. Alcuni prodotti di fotoossidazione, a loro volta, sono in grado di agire da fotosensibilizzatori e quindi di generare delle specie nocive come l’anione superossido, l’H2O2 (attraverso un meccanismo di tipo I) e l’1O2 (attraverso un meccanismo di tipo II). Se queste ossidazioni avvengono sui residui peptidici di importanti proteine come enzimi e fattori di regolazione del DNA, si rivelano citotossiche. In effetti tutte le molecole descritte in precedenza sono responsabili di manifestazioni fototossiche, fotoallergiche in vivo e in vitro. In particolare, essi hanno proprietà fotosensibilizzanti verso vari elementi biologici, quali acidi nucleici, membrane, proteine e aminoacidi. E’ importante rilevare che alcuni di questi farmaci sono responsabili anche di reazioni cutanee pericolose, mentre altri possono essere considerati agenti di fotomutagenesi e fotocarcinogenesi. Le proprietà fotosensibilizzanti vengono attribuite alla formazione dei ROS o specie reattive dell’ossigeno, come radicale idrossilico, anione superossido, perossido d’idrogeno e ossigeno singoletto, responsabili di modificazioni di macromolecole cellulari [1-5]. Questo tipo di modificazioni rappresentano una delle classi maggiori di danno cellulare, con implicazione nei processi di varie malattie e d’invecchiamento. La fotodegradazione di queste molecole può essere riassunta in due processi principali: a)fotoionizzazione dallo stato di singoletto eccitato del farmaco b)generazione di ossigeno singoletto dallo stato tripletto eccitato. La scelta del Cu(II) a basse concentrazioni come agente di scavenging è suggerita dalla ricerca di un efficente device fotoprotettivo nei sistemi farmaco-biomodelli. Si è visto, infatti, che il rame riesce a modulare le vie fotochimiche coinvolte nella fotodegradazione di farmaci e la 48 fotosensibilizzazione su una base del DNA con la capacità di limitare la fotodegradazione e la formazione dei prodotti diagnostici per le reazioni di tipo II (via ossigeno singoletto). In questo contesto la scelta di ioni rameici, come agenti di scavenging, è ragionevole. L’uso di ioni metallici a basse concentrazioni può rappresentare un valido strumento per inibire gli effetti tossici fotoindotti dal farmaco e lo ione Cu2+ esercita, appunto, una buona azione fotoprotettiva attraverso: a) la riduzione della fotodegradazione dovuta all’azione di scavenging degli elettroni solvatati formatisi per fotoionizzazione del farmaco]. b) la diminuzione della fotoossidazione dei residui aminoacidici, quale l’aminoacido triptofano, attraverso un quenching del tripletto eccitato del farmaco via electron transfer . Si è proceduto recentemente ad estendere gli studi sulla fotosensibilizzazione su biomodelli a struttura proteica (enzimi di lievito), il che è risultato un buon approccio iniziale per studiare il danno ossidativo e danno strutturale nelle proteine: è stato mostrato che il farmaco è capace di indurre fotoossidazione sulle proteine. Inoltre è stato provato come il danno ossidativo o strutturale sull’enzima possa essere indice di disfunzione metabolica cellulare. Gli effetti del rame (II) sulla fotosensibilizzazione dell’ADH isolato di lievito indotta da RFX sono differenti per ciò che riguarda l’attività enzimatica in vitro ed in vivo. Esperienze di fotosensibilizzazione su lievito hanno mostrato effetti contraddittori di questi ioni sulla sopravvivenza cellulare. Questi risultati sono il frutto di un bilancio fra il meccanismo di trasferimento elettronico dalla RFX al rame(II) e la qualità, la quantità e la posizione del rame combinato al target oltre alle reazioni che il rame potrebbe innescare con le specie reattive prodotte dall’irradiazione della RFX. I risultati complessivi forniscono un modello estensivo in cui è dimostrato come un oligoelemento bio-compatibile possa influenzare efficacemente non solo la biodisponibilità di un farmaco ma anche il suo meccanismo molecolare di fotodegradazione e di fotosensibilizzazione. Progettazione di sistemi molecolari, film nanostrutturati e nanoparticelle a base metallica in grado di sviluppare ossido di azoto (NO) L’attività scientifica svolta nell’anno 2008 relativa a tematiche inerenti gli obiettivi del consorzio è stata incentrata sulla progettazione e realizzazione di sistemi molecolari, film nanostrutturati e nanoparticelle a base metallica in grado di sviluppare ossido di azoto (NO) sotto l’esclusivo controllo di stimoli di luce, dalle potenziali applicazioni nel campo delle terapie non invasive di tipo mono e multimodale. Tali obiettivi trovano le loro radici sui recenti studi riguardanti le proprietà dell’NO che hanno evidenziato il suo ruolo fondamentale oltre che nella bioregolazione di importanti funzioni come la neurotrasmissione, la vasodilatazione e secrezione ormonale, anche nell’inibire processi di tipo tumorale e ossidativi. In questo contesto le sostanze che rilasciano NO sotto stimoli luminosi sono, ovviamente, molto più interessanti di quelli basati sulla spontanea termolisi, data la possibilità di poter controllare il dosaggio di NO con estrema accuratezza mediante le condizioni di illuminazione. Il primo sistema realizzato è rappresentato da un coniugato molecolare multifunzionale idrosolubile in grado di rilasciare NO in prossimità del DNA, il principale target riguardo l’attività antitumorale di questo radicale libero. Il coniugato in oggetto è costituito da un fotodonatore di NO, recentemente brevettato dal gruppo di ricerca , legato covalentemente ad un’unità antracenica, un tipico intercalante del DNA. Il sistema è stato progettato in modo da potersi legare efficacemente al DNA, grazie alla presenza del cromoforo antracenico, e di sviluppare NO in prossimità del biopolimero stesso. Inoltre, tale sistema offre il vantaggio di permettere una notevole amplificazione della quantità di NO fotorilasciato grazie ad un efficiente trasferimento di energia tra il gruppo antracenico e il fotodonatore di NO . Un secondo sistema realizzato è quello rappresentato da film multistrato nanostrutturati per il rilascio fotocontrollato di NO dalle potenziali applicazioni per via topica. A tale riguardo l’NO fotodonatore è stato funzionalizzato opportunamente in modo da conferirgli caratteristiche anfifiliche. Il derivato ottenuto si è rivelato particolarmente adatto alla preparazione di multistrati fotoattivi mediante la tecnica di deposizione Langmuir-Shaefer. Sono stati pertanto ottenuti film sottili su substrati di quarzo in grado di generare NO sotto eccitazione di luce visibile che 49 presentano i seguenti importanti vantaggi in vista di applicazioni di tipo biomedico: i) grande capacità di cattura della luce grazie all’elevato numero di cromofori presenti, ii) possibilità di modulare la riserva di NO mediante l’accurato controllo del numero di strati, iii) soppressione dei rilevanti effetti di quenching tipicamente osservato nel caso di superfici metalliche, iv) possibilità di irradiare il sistema dal basso grazie al substrato di quarzo permettendone una più facile integrazione con fibre ottiche. Il lavoro iniziato lo scorso anno e riguardante la preparazione di nanoparticelle di platino idrosolubili fotoemettenti NO è stato opportunamente completato mediante dei test biologici effettuati su cellule tumorali di tipo HeLa. E’ stato dimostrato che le nanoparticelle fotoattive esibiscono una eccellente biocompatibilità anche a concentrazioni molto elevate. In seguito ad irradiamento con luce visibile, tali nanoparticelle sono in grado indurre un considerevole livello di mortalità cellulare strettamente correlato alla loro concentrazione e al tempo di illuminazione. Questi risultati si rivelano particolarmente promettenti in vista di applicazioni in vivo del sistema ibrido realizzato. Al fine di permettere una loro facile localizzazione in un ambiente biologico, le nanoparticelle di platino fotoattive sono state rese fluorescenti mediante l’opportuna introduzione di unità porfiriniche. E’ stato dimostrato come le nanoparticelle bicromoforiche ottenute preservano una buona solubilità in mezzo acquoso, continuano a rilasciare NO con buone rese quantiche in seguito ad illuminazione ed esibiscono proprietà fluorescenti visibili ad occhio nudo . L’attenzione è stata infine focalizzata sulla progettazione e sintesi di nanoparticelle a base metallica mirate ad applicazioni nel campo delle cosiddette terapie bimodali. In tale contesto, nanoparticelle di oro o magnetite sono state decorate con l’NO-fotodonatore in modo da accoppiare agli effetti fotochimici derivanti dal rilascio di NO dalla superfice nanoparticellare, gli effetti foto-termici e magneto-termici derivanti dal cuore della particella. Per la realizzazione delle nanoparticelle dagli effetti foto-termici, si è sfruttata una elegante strategia che l’UR di Catania ha recentemente messo a punto e che ha permette di fabbricare nanoparticelle di oro idrosolubili funzionalizzate con opportune unità fotoattivabili, mediante un approccio supramolecolare basato sull’impiego di ciclodestrine non funzionalizzate . Questi macrocicli, oltre che ad impartire all’intero sistema una buona solubilità in acqua, hanno l’importante funzione di aumentare sensibilmente la sua biocompatibilità . Per quanto riguarda lo sviluppo di nanoparticelle con effetti foto-magnetotermici, l’NOfotodonatore è stato opportunamente funzionalizzato con unità di tipo dopaminico terminali in modo sia da permettere l’efficace ancoraggio su nanoparticelle di magnetite che di aumentare la loro biocompatibilità . 50 UNITA’ DI RICERCA DI FERRARA Direttore Scientifico: Prof.ssa Paola Bergamini L’attività 2009 dell’Unità di Ferrara ha riguardato tre tematiche: 1) Progettazione e sintesi di nuovi leganti idrosolubili derivati dal PTA (1,3,5-triaza-7fosfaadamantano) e studio della loro chimica di coordinazione a Pt, Ru, Au. 2) I metalli in matrici complesse: studio di equilibri di complesso-formazione in soluzione (responsabile: M. Remelli) 3) Fotocatalisi biomimetica con Ferro-porfirine immobilizzate su matrici solide (responsabile: A. Maldotti) 1) PROGETTAZIONE E SINTESI DI NUOVI LEGANTI IDROSOLUBILI DERIVATI DAL PTA (1,3,5-TRIAZA-7-FOSFAADAMANTANO) E STUDIO DELLA LORO CHIMICA DI COORDINAZIONE A Pt, Ru, Au. Uno dei limiti più importanti all’affermazione di nuovi farmaci metal-based è la loro scarsa compatibilità con gli ambienti acquosi quali sono tutti gli organismi viventi. Il lavoro di ricerca sul design e messa a punto di leganti idro-compatibili è quindi oltremodo vivace. In particolare grande interesse sta suscitando la fosfine idrosolubile PTA (1,3,5-triaza-7-fosfaadamantano), per le sue proprietà chimico-fisiche N N N P PTA (1,3,5-triaza-7-fosfaadamantano) E’ stata dimostrata la biocompatibilità del PTA ma, benchè alcuni complessi di Ru, Cu, Au e Pt si trovino oggi in vari stadi di sperimentazione come antitumorali, molte aspettative sono state deluse dall’osservazione che la grande idrosolubilità del PTA viene, con poche eccezioni, persa in seguito a coordinazione. Questo ha spinto la ricerca nella direzione di progettare derivati del PTA che da un lato ne mantengano le proprietà favorevoli e dall’altro producano complessi solubili in acqua e chiaramente caratterizzabili. Con questo obiettivo abbiamo preparato una serie di derivati difosfinici del tipo 2XN N N organic spacer N N N P P dove lo spaziatore organico è una catena alchilica di varia lunghezza o anche contenente un anello aromatico, con l’idea che la ionizzazione degli azoti aumentasse la solubilità in acqua. Ancora una volta, questo aumento si verifica nei leganti, ma non è poi conservato nei complessi. Attualmente stiamo perfezionando la sintesi e la caratterizzazione di bis-PTA contenenti eteroatomi nello spacer, col duplice obiettivo di aumentare la solubilità in acqua e di introdurre un terzo atomo, oltre ai due fosfori fosfinici, che possa partecipare alla coordinazione. 51 2IN N N N X N N P P X = O, S, NH. Abbiamo inoltre preparato il derivato δ solfonato zwitterionico PTA+(CH2)3SO3-, che è il primo esempio di legante che unisce le caratteristiche del PTA a quelle delle fosfine solfonate. N N SO3- N P La chimica di coordinazione di questi nuovi derivati del PTA con metalli di interesse farmaceutico (Pt, Ru, Au) è in corso di studio. 2) I METALLI IN MATRICI COMPLESSE: STUDIO DI EQUILIBRI DI COMPLESSOFORMAZIONE IN SOLUZIONE Interazione tra ioni metallici e proteina prionica La proteina prionica umana (hPrPC) è in grado di legare fino a sei ioni Cu2+: quattro di loro trovano posto nel dominio denominato octarepeat, una porzione della proteina (60-91), appartenente alla regione N-terminale, che contiene quattro successive ripetizioni della sequenza PHGGGWGQ. È ampiamente accettato che ulteriori siti di legame si trovino in corrispondenza dei residui His-96 e His-111. Tuttavia, la letteratura più recente non è d'accordo sul ruolo e sul comportamento di tali siti nella complessazione di Cu2+ da parte di hPrPC. Al fine di far luce su questo argomento, sono stati sintetizzati alcuni analoghi peptidici del frammento hPrP92-113: (H96A)hPrP92-113, (H111A)hPrP92-113, (H96Nτ-Me-His)hPrP92-113, (H111Nτ-Me-His)hPrP92-113, (H96Nτ-MeHis)hPrP92-100, (H111Nt-Me-His)hPrP106-113, in cui un’alanina o un’istidina metilata all’atomo di azoto τ del suo anello imidazolico sono state sostituite a His-96 o His-111 [ Remelli et al., New J. Chem., (2009)]. I primi due leganti hanno permesso di confermare che il sito di legame localizzato nell’intorno di His-111 è più forte di quello in His-96: essi agiscono come siti indipendenti anche a basse concentrazioni di Cu2+. A pH neutro non è stata rilevata la formazione né di complessi multiistidinici né di bis- complessi. La metilazione di Nτ ha dimostrato che azoti in τ di residui imidazolici possono partecipare alla formazione dei complessi solo a pH acido, dove lo spostamento di protoni ammidici da parte di Cu2+ è sfavorito. Infine, la lunghezza del frammento non sembra avere alcuna influenza significativa sul comportamento dei due siti di legame His-96 e His-111, dal punto di vista della geometria di coordinazione e della forza di legame. Un secondo progetto ha riguardato l’impiego combinato metodi potenziometrico, calorimetrico e spettroscopici per studiare il comportamento di alcuni frammenti peptidici derivati dalla regione neurotossica della proteina prionica degli uccelli (chPrP), sempre nei confronti dello ione CuII [Gralka et al., Mol. Biosys., (2009)]. I sistemi studiati sono stati i Regione aromatica degli spettri 1HNMR di seguenti: chPrP106-114, chPrP119-126, chPrP108-127, chPrP105-127 hPrP92-113 (traccia superiore) e (H96Nτ-Mee chPrP105-133. La formazione di complessi inizia intorno a His)hPrP92-113 (traccia inferiore); 2.5 mM, pH 4 con l’ancoraggio di un azoto imidazolico, seguito poi pH 6.5, T = 298 K. dalla deprotonazione di azoti ammidici dello scheletro peptidico. La geometria di coordinazione preferita a pH neutro è {Nim, 3N-}. Il confronto dei dati 52 termodinamici per i due dominî corrispondenti ai residui His-110 e His-124 indica chiaramente che il primo ha una capacità di coordinazione maggiore, sebbene entrambi complessino Cu2+ allo stesso modo. Questo risultato è l’opposto di quanto precedentemente trovato per la proteina prionica umana. La sintesi dei peptidi è stata eseguita presso il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università di Ferrara, gli studi potenziometrici, calorimetrici e spettrofotometrici sono stati eseguiti presso i nostri laboratori, mentre le analisi spettroscopiche mediante tecniche EPR e CD sono state compiute presso il laboratorio di Chimica Bioinorganica e Biomedica della Facoltà di Chimica dell’Università Wroclaw (Polonia) e le misure NMR ed ESI-MS presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Siena. Ipotesi di struttura per il complesso di Cu2+ con chPrP106–114 a pH = 6.5. Rappresentazione schematica della deprotonazione di una molecola d’acqua assiale nel complesso {Ln[Cu5L5H-5](OH2)3+ (Arancio = Cu2+; Magenta = Eu3+ o Gd3+) Metallacrown I complessi macrociclici denominati metallacrown hanno una struttura analoga a quella di corrispondenti eteri corona in cui gli atomi di carbonio dello scheletro vengano sostituiti con unità di coordinazione metallo-eteroatomo. Così, ad esempio, l’analogo del 15-crown-5 (15-C-5) è il 15metallacrown-5 (15-MC-5); la sua cavità, in cui sono presenti 5 atomi di ossigeno, è in grado di incapsulare uno ione metallico di dimensioni opportune, quali ad es. Ca2+, Eu3+, Gd3+, ecc… Nell’ultimo decennio, sono stati sintetizzati numerosi metallacrown di CuII, utilizzando come legan ti gli acidi ammino-idrossammici, che possono agire da bis-chelanti a ponte (O,O-)-(NH2,N-). In collaborazione con l’Università di Parma è stato compiuto lo studio in soluzione acquosa degli equilibri di formazione dei complessi 15-MC-5 tra Eu3+ o Gd3+, Cu2+ e acido alaninaidrossammico [Tegoni et al., Inorg. Chem., in stampa]. È stata anche verificata e studiata in dettaglio la formazione di un idrosso-15-MC-5, (Ln [Cu5L5H-5](OH))2+, analogo ad altre specie già descritte in precedenza allo stato solido. I modelli di speciazione sono stati affiancati da misure ESI-MS, tentando una correlazione quantitativa tra i dati di spettrometria di massa e la speciazione in soluzione. I dati termodinamici disponibili hanno anche permesso una re-interpretazione quantitativa dei risultati di indagini precedenti sull'integrità del 15-MC-5 in presenza di leganti concorrenti (come EDTA, DOTA, transferrina o albumina), ioni metallici (Zn2+) o anioni che formano sali poco solubili, quali carbonato o fosfato. 53 Potenziali farmaci chelanti del ferro da impiegare per una terapia orale La progettazione e sintesi di nuovi chelanti per il trattamento clinico di malattie che coinvolgono gli ioni di metalli trivalenti, quali FeIII e AlIII, è oggetto di ricerca del nostro gruppo da alcuni anni, in collaborazione con l’Università di Cagliari. Nel corso del 2009 sono stati studiati gli equilibri di acido cogico e del suo derivato 6-[5idrossi-2-idrossimetil-piran-4one]-5-idrossi-2-idrossimetilpiran-4-one con questi due ioni metallici [Nurchi et al., J. Inorg. Biochem., accettato]. Le tecniche strumentali utilizzate sono state potenziometria e spettrofotometria per il ferro, potenziometria e 1HNMR per l'alluminio, supportate da diffrazione ai raggi X, ESI-MS, calorimetria e calcoli quantomeccanici. L’acido cogico forma in soluzione complessi di stechiometria MeL, MeL2 e MeL3, con entrambi gli ioni metallici; la struttura del complesso FeL3 è stata confermata per diffrazione ai raggi X. Per quanto riguarda invece il 6-[5-idrossi-2-idrossimetil-piran-4-one]-5-idrossi-2 -idrossimetilpiran-4-one, è stata verificata la formazione di specie del tipo Me2L2 e MeL2, variamente protonate. L’alto valore di pFe (23.1) per questo legante incoraggia a proseguire la ricerca di nuovi derivati dell'acido cogico come leganti di Fe3+ e Al3+. Struttura cristallografica del complesso [FeL3] dell’acido cogico. 3) FOTOCATALISI BIOMIMETICA CON FERRO-PORFIRINE IMMOBILIZZATE SU MATRICI SOLIDE Nel corso dell’anno 2009, l’attività di ricerca del nostro gruppo nell’ambito della fotocatalisi biomimetica si è concentrata sul sistema fotocatalitico costituito dal complesso Fe(III)-mesotetrakis (2,6 diclorofenil) porfirina (FeTDCPP) supportato su un materiale mesoporoso del tipo MCM-41, dato che esso aveva dato risultati molto interessanti nella fotoossidazione dell’1,4 pentandiolo. Uno degli obiettivi principali è comprendere meglio l’effetto della matrice solida mesoporosa sulla efficienza e sulla selettività di questo processo. Indagine spettroscopica uv-visibile in riflettanza diffusa ha permesso di verificare che il complesso porfirinico supportato sul materiale mesoporoso manteneva la sua struttura, in quanto il nuovo materiale presentava una banda di assorbimento nella tipica zona dei complessi ferro-porfirinici. Le proprietà fotocatalitiche di MCM41-FeTDCPP sono state confrontate anche con altri sistemi eterogenei: SiO2-FeTDCPP in cui la ferro porfirina era ancorata su silice amorfa e Mont-FeP in cui la ferro porfirina era immobilizzata su montmorillonite. I risultati riportati in tabella sono relativi a irradiazioni di 120 minuti (λ> 350 nm) in acetonitrile contenente 1,4 pentandiolo 3% v/v. 54 O OH OH Sistema fotocatalitico M x 104 (resa %) M x 104 (resa CHO %) MCM41-FeTDCPP 5.2 (37) 8.7 (63) SiO2-FeTDCPP 2.3 (67) 1.1 (33) Mont-FeTDCPP 5.5 (70) 2.5 (30) Dalla tabella si osserva che i sistemi SiO2-FeTDCPP e Mont-FeTDCPP hanno una selettività molto diversa dal sistema mesoporoso e allo stesso tempo molto simile a quanto si ottiene irradiando la ferro porfirina in fase omogenea. Ciò porta a concludere che la eterogeneizzazione della ferro porfirina non è sufficiente di per sé per controllare la selettività nell’ossidazione dell’1,4 pentandiolo attraverso la ossidazione preferenziale della funzionalità alcolica primaria. Pensiamo che debba essere la struttura tridimensionale del materiale ad avere un effetto nell’orientare la molecola di substrato e non semplicemente un fenomeno di adsorbimento preferenziale. Indagini di area superficiale sono in corso al momento sui materiali. Inoltre per investigare in modo più approfondito il processo fotochimico primario è in fase di svolgimento un’indagine epr-spin trapping sul materiale MCM41-FeTDCPP. L’obiettivo è di poter discriminare tra i radicali che si formano nell’ossidazione dell’OH primario e secondario e se possibile valutarne le velocità di formazione. Al termine delle indagini in corso riteniamo che ci sia materiale sufficiente per elaborare la stesura di un articolo. 55 56 UNITA’ DI RICERCA DI FIRENZE Direttore Scientifico: Prof. Luigi Messori L’attività scientifica dell’Unità di Ricerca di Firenze del CIRCMSB, nel corso dell’anno 2009, condotta principalmente presso il Laboratorio Metalli in Medicina (lab METMED, Dip. Chimica, Università di Firenze), si è focalizzata sulle seguenti tematiche: • • • Metallofarmaci Antitumorali Metalli e Processi Neurodegenerativi Composti Metallici per il trattamento della Malaria. I maggiori risultati conseguiti nei vari ambiti di ricerca, nel corso del 2009, e le relative pubblicazioni scientifiche sono, di seguito, analiticamente descritti. - Metallofarmaci antitumorali Le attività svolte all’interno di tale tematica, a loro volta, possono essere così suddivise: 1. Sviluppo di Composti dell’ Oro come Agenti Citotossici ed Antitumorali. 2. Composti di Platino e Proteine. 3. Interazioni di Antitumorali Metallici con Proteine. 1. Sviluppo di Composti dell’ Oro come Agenti Citotossici ed Antitumorali Presso il Laboratorio METMED è attiva, da oltre 10 anni, una linea di ricerca diretta a valutare le proprietà chimiche e biologiche di numerosi composti dell’oro come possibili agenti antitumorali. I complessi di oro(III), isolettronici ed isostrutturali con i complessi di platino(II), sono infatti interessanti candidati come possibili agenti antiproliferative ed antitumorali. Parimenti, anche alcuni composti di oro(I) mostrano significative proprietà citotossiche, come già ampiamente documentato. In anni recenti, abbiamo dimostrato che certi complessi di oro(III), opportunamente sostituiti, mostrano una accettabile stabilità in ambiente fisiologico e sono, al contempo, dotati di significative proprietà antitumorali in vitro. I risultati più significativi di questa linea di ricerca, da noi ottenuti nel corso dell’anno 2009, sono riportati di seguito. - Estesa valutazione delle proprietà antiproliferative dei composti dell’oro in collaborazione con ONCOTEST In collaborazione con l’azienda Oncotest (Freiburg, Germania) abbiamo condotto una estesa valutazione delle proprietà antiproliferative di 13 selezionati composti dell’oro, appartenenti alla nostra collezione. In particolare, sono stati valutati, in maniera comparativa, gli effetti antiproliferativi su 36 linee cellulari tumorali del panel interno Oncotest. E’ stata così definita la potenza citotossica e la selettività dei vari composti metallici. Inoltre, sulla base di una analisi tipo COMPARE dei profili di citotossicità acquisiti sono state formulate nuove ipotesi riguardo ai possibili meccanismi di azione dei composti dell’oro. Sono emersi alcuni ben definiti target biomolecolari quali HDAC e varie chinasi. Tali ipotesi saranno sottoposte ad accurata validazione nel corso dei prossimi mesi. 57 Il panel dei composti di oro testati - La Tioredossina Reduttasi come possibile target per i composti citotossici a base di oro. In collaborazione con un ben noto gruppo di ricerca di Padova (Dr. Bindoli e Dr. Rigobello) abbiamo approfondito lo studio dell’enzima tioredossina reduttasi come possibile target per i composti citotossici a base di oro. Questi studi ci hanno condotto alla scrittura di un ampio lavoro di review sull’argomento. Tale articolo contiene anche alcuni nuovi dati sperimentali ottenuti in collaborazione con il gruppo padovano. Sulla base di numerose evidenze sperimentali, si ipotizza che l’inibizione dell' enzima Tioredossina reduttasi sia l’evento decisivo nel determinare stress ossidativo, severe alterazioni mitocondriali ed in ultima analisi indurre morte cellulare di tipo apoptotico. 2. Composti di Platino e Proteine. E’ stato condotto uno studio in collaborazione con il gruppo di ricerca delle prof. Ranninger/Quiroga dell’UAM di Madrid. Questo studio si è focalizzato sull’analisi di nuovi composti del platino con proprietà antiproliferative e sull’analisi delle loro interazioni con la proteina modello citocromo c. Grazie a metodiche di tipo NMR ed ESI MS gli addotti che si formano nella reazione fra i composti di platino e la proteina sono stati caratterizzati in dettaglio; questo ha permesso di definire in maggiore dettaglio la reattività di metallofarmaci a base di platino con target proteici. 58 3. Interazioni di antitumorali metallici con proteine. Abbiamo messo a punto delle specifiche metodologie di indagine per valutare le interazioni di complessi di platino(II), oro(III) e rutenio(III) con alcune proteine modello. Avvalendoci della spettometria di massa come metodo principale di indagine abbiamo messo a punto un sistema sufficientemente raffinato per studiare il binding simultaneo di metallofarmaci a tre proteine modello. Uno spettro ESI MS rappresentativo di un addotto metallofarmaco- proteina. Metalli e processi neurodegenerativi. Nel corso del 2009, abbiamo potuto sviluppare ulteriormente gli sforzi della nostra ricerca in questo settore. In particolare, abbiamo cercato di mettere a punto nuove metodologie di indagine come pure di organizzare i risultati e le conoscenze ottenuti in specifiche proposte interpretative. Risulta particolarmente significativo uno studio da noi condotto in collaborazione con il gruppo della prof. Casamenti, Dip di Farmacologia, Università di Firenze. Mediante l’utilizzo di svariate metodologie di indagine si è proceduto a valutare gli effetti del cliochinolo su un modello murino di AD. I dati incoraggianti ottenuti in vivo dimostrano un effettivo miglioramento del quadro cognitivo in seguito al trattamento con questo farmaco. A tali risultati abbiamo potuto associare delle precise ipotesi meccanicistiche. D’altro canto, è stato fornito un quadro esteso ed aggiornato sulle potenzialità e le prospettive della terapia di chelazione nel trattamento delle malattie neurodegenerative. Tali studi sono il risultato di una proficua e pluriennale collaborazione con il gruppo del prof. Zatta, CNR, Padova. Altri studi sono condotti in collaborazione con il gruppo dell'Università di Wroclaw sulle interazioni dello ione rame con oligopeptidi sintetici. Composti metallici per il trattamento della Malaria. In collaborazione con il gruppo di ricerca dei prof. Vincieri e Bilia, dell’Università di Firenze e con alcuni ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità abbiamo completato una serie di esperimenti finalizzati a stabilire se alcuni metallofarmaci, inizialmente sviluppati per altri fini terapeutici, potessero dimostrare rilevanti azioni antimalariche. Gli studi erano motivati dall’osservazione che alcuni complessi metallici, ed in particolare alcuni composti dell’oro, sono capaci di inibire fortemente la tioredossina reduttasi e di indurre una condizione di severo stress ossidativo intracellulare. Siccome è noto che il plasmodio della malaria è un organismo particolarmente sensibile allo stress ossidativo si è pensato che tali composti metallici potessero funzionare da efficaci farmaci antimalarici. Gli studi sono stati condotti in vitro secondo procedure ben collaudate. I primi risultati che abbiamo già potuto pubblicare confermano, in maniera esemplare, la sostanziale correttezza della nostra ipotesi di lavoro. E’ stato anche effettuato uno studio su sostanze naturali potenzialmente antimalariche. 59 60 UNITA’ DI RICERCA DELL’INSUBRIA Direttore Scientifico: Prof. Giovanni Palmisano La ricerca dell’U.R. Insubria (Palmisano, Sisti, Tollari) si è focalizzata sulla sintesi e la caratterizzazione di complessi derivanti 1) da leganti DOTA-like e 2) da leganti multimerici. Data la migliore risoluzione spaziale e la sensibilità associata con alti campi, la tendenza attuale per ovviare ai problemi di sensibilità insiti nella tecnica MRI è quella di utilizzare strumenti che lavorano a campi compresi tra 1.5 e 3 T. Inoltre, per studi sperimentali su animali, vengono spesso utilizzati campi ancora più elevati (fino a 9.4 T). Un parametro chiave da utilizzare è il τR della sonda , che deve assumere un valore preciso dipendente dallo scanner MRI. Attualmente, si ritiene che gli agenti di contrasto (CA) di peso molecolare intermedio (2-6 kDa) forniscono i risultati migliori sugli strumenti ad alto campo che stanno rimpiazzando gli scanners di prima generazione. A tal fine, occorre realizzare sistemi multimerici basati su complessi di Gd(III) multipli (ca. 2-16) legati ad uno scaffold centrale. Questi dovrebbero presentare valori di τR dell’ordine di ca. 2001000 ps al fine di ottenere la massima efficacia ad elevate frequenze (40-100 MHz). Nell’ambito dei leganti DOTA-like sono stati sintetizzati leganti macrociclici contenenti un nucleo piridinico, tre atomi di azoto amminici e tre unità acetiche. In questo modo si ottiene un legante eptadentato [ con un complesso di Gd(III) in grado di coordinare due molecole di acqua]. Inoltre il nucleo della piridina conferisce al complesso una notevole rigidità, proprietà spesso associata alla stabilità termodinamica. La strategia di sintesi prevede di utilizzare come prodotto di partenza l’acido chelidamico 1 facilmente accessibile da acetone e ossalato di etile, che viene trasformato nell’intermedio macrociclico 2. O O O H3C CH3 + - + COOEt 1) EtO Na COOEt 2) HCl NH 3 HOOC O N N H COOH N Ts Br NH Ts N N HOOC COOH EtOOC N COOEt Ts HN Ts 1) PBr5 2) EtOH 1 Br N Br Br Ts NaBH4 PBr3 K2 CO 3 N Br N Br OH OH Ts 2 La tris(tosilammide) 2 è stata quindi convertita in ottime rese nei leganti reazione di Suzuki e successive trasformazioni. 61 L1 e L2 mediante Ts N B(OH)2 N H N Ts PhOH N 1) ClCH2COOH/KOH N CH3COOH/HBr(33%) N N H HOOC N 2) H+ H Ts . nHBr COOH N N N N COOH L1 PdCl2(PPh3)2 Cs2CO3 Br N Ts N N Ts N PdCl2(PPh3)2 Ts Cs2CO3 2 B(OH)2 Ts H N N Ts N N PhOH N 1) ClCH2COOH/KOH N CH3COOH/HBr(33%) N H HOOC N 2) H + N N H Ts . nHBr N COOH N COOH L2 Il legante multimerico L3 è stato sintetizzato mediante una reazione di omo-accoppiamento di Negishi dell’intermedio macrociclico 2, successivo sblocco delle tosilammidi ed alchilazione degli atomi di azoto amminici. H Ts N N Ts N N H Ts N N H N N Br CH3COOH/HBr(33%) NiCl2 . 6 H2O / PPh3 N Ts . nHBr PhOH Zn N N Ts N N N Ts Ts N N H Ts N N H N N H Ts COOH COOtBu N HOOC N N N tBuOOC COOH N N N COOtBu N BrCH2COOtBu CF3COOH NEt3 N HOOC N N N COOH tBuOOC N N HOOC N COOtBu N tBuOOC L3 In collaborazione con l’U.R. Piemonte Orientale (Botta) sono state valutate le caratteristiche rilassometriche dei complessi di Gd(III) dei leganti L1 , L2 ed L3 . La complessazione è stata effettuata per aggiunta di GdCl3 alla soluzione acquosa dei leganti, mantenendo il pH neutro mediante aggiunte di NaOH 1M. I valori di relassività dei complessi Gd- L1 e Gd- L3 sono rispettivamente di 9.2 mM-1s-1 e 12.3 mM-1s-1 a 20MHz e 25 °C. La determinazione della relassività del complesso Gd- L2 è tuttora in corso di studio. 62 La presenza di un residuo naftalenico nel complesso Gd- L1 risulta importante per una valutazione dell’interazione reversibile del complesso stesso con l’albumina da siero umano(HSA). In effetti, in presenza di HSA, la relassività dell’addotto Gd- L1/HSA raggiunge il valore 53 ± 3 mM-1 s-1. Questo ottimo risultato permette di valutare il complesso Gd- L1 come un nuovo potenziale CA nel campo dell’MRI angiografico. 63 64 UNITA’ DI RICERCA DI MESSINA Direttore Scientifico: Prof. Luigi Monsù Scolaro Composizione e settore di indagine L’unità di ricerca di Messina è costituita da cinque diversi gruppi di ricerca, ciascuno dei quali con specifiche competenze in settori di interesse del Consorzio. Obiettivi e Metodi Gruppo di Ricerca del Prof. Luigi Monsù Scolaro. Questo gruppo di ricerca si occupa ormai da lungo tempo di fenomeni di auto-aggregazione e di organizzazione supramolecolare a carico di molecole planari (porfirine e relativi metallo-derivati, ed alcuni complessi planari di platino(II) con leganti aromatici) su biomolecole o su sistemi polimerici di rilevanza biologica. Il gruppo vanta anche una consolidata esperienza nel campo degli studi meccanicistici su complessi di platino(II). Nell’ambito dell’organizzazione di sistemi supramolecolari, è stata sviluppata una metodologia per preparare un addotto non-covalente tra crisotilo e porfirine tetraanioniche solubili in acqua (tetrakis(4-solfonatofenil)porfirina, TPPS4). Su questo tipo di materiale inorganico, in funzione del pH della soluzione le porfirine sono in grado di auto-organizzarsi per formare aggregati di tipo J (geometria edge-to-edge) ed di tipo H (geometria face-to-face). Studi preliminari hanno mostrato che la matrice inorganica si presta come ottimo supporto per l’immobilizzazione di acidi nucleici, la cui visualizzazione può essere effettuata mediante fluorofori opportunamente selezionati. Aggregati J della stessa porfirina sono stati ottenuti ed ampiamente studiati in una serie di alcoli. E’ stato dimostrato come soluzioni acquose di metanolo forniscano un ambiente simile a quello generato da tensioattivi, conducendo ad una varietà di comportamenti aggregativi riscontrati precedentemente per sistemi confinati all’interno di micelle e/o microemulsioni. Aggregati vescicolari di particolari ciclodestrine anfifiliche (CDs) sono degli efficienti sistemi di trasporto intracellulare per molecole ospite. La coniugazione di questi aggregati con nanoparticelle di oro è alla base dello sviluppo di interessanti sistemi per applicazioni di tipo photothermal therapy (PTT), da impiegare in combinazione con la photodynamic therapy (PDT), già ampiamente dimostrata nel caso della porfirina TPPS4. Il sistema bioconiugato tra aggregati vescicolari e nanoparticelle di oro è stato indagato mediante l’impiego combinato di tecniche di microscopia elettronica e spettroscopia fotoelettronica XPS. Uno studio combinato di natura sperimentale (spettroscopia UV/Vis, IR ed NMR, fluorescenza statica e risolta nel tempo) e teorica (Density Functional Theory e Time-dependent Density Functional Theory) è stato condotto sull’interazione di cationi metallici con porfirine in ambiente apolare, evidenziando la formazione di specie particolari, denominate sitting-atop, nelle quali il catione si lega al centro del macrociclo senza l’espulsione dei due idrogeni pirrolici. Tali specie rivestono un’importanza fondamentale, in quanto sono state proposte più volte in letteratura come intermedi reattivi nel processo di metallazione delle porfirine. Gruppo di Ricerca del Prof. Matteo Cusumano. Questo gruppo si dedica allo studio delle proprietà di intercalazione di una serie di complessi planari quadrati di platino(II) e palladio(II) contenenti leganti aromatici nei confronti di acidi nucleici ed alle variazioni di reattività indotte dal microambiente specifico. Gruppo di ricerca dei Proff. Giuseppe Bruno ed Enrico Rotondo. Questi ricercatori si occupano essenzialmente della determinazione strutturale di composti inorganici ed organici di potenziale interesse farmacologico tramite l’impiego di tecniche di diffrazione di raggi-X e di risonanza magnetica nucleare. 65 Gruppo di Ricerca del Prof. Giuseppe Teti. Questo gruppo di ricerca opera nel settore della microbiologia, sviluppando sia attività di ricerca indipendente che di supporto ai vari gruppi dell’Unità di ricerca. Gruppo di Ricerca della Dr. Lo Passo. Questi ricercatori svolgono della ricerca indipendente nei settori della biologia molecolare e genetica, fornendo attività di supporto al gruppo del Prof. Monsù. 66 UNITA’ DI RICERCA DI NAPOLI Direttore Scientifico: Prof. Carlo Pedone L’attività scientifica dell’Unità operativa di Ricerca di Napoli è stata rivolta, per l'anno 2009, principalmente alla veicolazione di mezzi contrasto e farmaci mediante peptidi nell’ambito delle seguenti tematiche: 1) Sonde per la diagnosi in medicina nucleare basate su peptidi antagonisti dell’integrina αvβ3 Da alcuni anni l’unità di Napoli è coinvolta nella progettazione di coniugati peptidici per la diagnosi e la terapia mediante le tecniche di medicina nucleare. E’ noto che i peptidi opportunamentemente progettati possono veicolare centri metallici radioattivi su cellule tumorali che sovraesprimono recettori, facilitando l’accumulo di mezzi di contrasto su tessuti tumorali. Negli anni precedenti sono stati utilizzati come vettori peptidi per il riconoscimento dei recettori delle colecistochinine, della somatostatina e delle integrine. Nell’ultimo anno è stato approfondito lo studio di sistemi per il riconoscimento dei recettori delle integrine al fine dell’ottenimento di nuove sonde di minori dimensioni. In particolare sono stati sintetizzati nuovi analoghi del peptide RGDechi (lead compound) (figura 1) la cui progettazione e sintesi era stata messa a punto nell’anno precedente. Met-Asp-Asp-Pro-Gly-Arg-Asn-Pro-His-Lys-Gly-Pro-Ala-Thr19 Lys1-Arg-Gly-Asp-DGlu Figura 1 Sequenza del peptide RGDechi I peptidi sono stati progettati eliminando, uno alla volta, i cinque residui presenti sull’estremità C terminale allo scopo di individuare la minima sequenza in grado di conservare l’elevata attività e la selettività del lead compound nei confronti dell’integrina αvβ3. Sono stati quindi marcati con 18F per gli studi di imaging molecolare mediante PET e è stato legato un chelante polidentato per la complessazione di metalli radioattvi quali l’Indio 111 e il tecnezio 99m. Partendo dalla sequenza peptidica RGDechi successivamente sono stati progettati e sintetizzati analoghi del peptide RGDechi al fine di ottimizzare le proprietà farmacocinetiche e di determinare la minima sequenza aminoacidica che conserva l’attività e la selettività del prodotto di partenza. In parallelo sono stati allestiti esperimenti per valutare l’attività antiangiogenica di RGDechi in vitro ed in vivo. Studi di immunoistochimica hanno evidenziato un’azione antiangiogenica ed antinfiammatoria del peptide RGDechi rispetto al tessuto non trattato, il che rende il composto in esame un buon candidato per un applicazione in campo terapeutico. 2) Aggregati supramolecolari peptidi-chelanti come tools per la diagnosi oncologica mediante la tecnica della risonanza magnetica imaging (MRI) e la veicolazione di farmaci. Questa attività in collaborazione con l’UO di Torino si articola nella progettazione, sintesi e caratterizzazione di nuovi mezzi di contrasto selettivi per la visualizzazione di patologie oncologiche mediante la tecnica della Risonanza Magnetica Imaging (RMI). Questa tecnica fornisce immagini ad altissima risoluzione, ma a causa della bassa sensibilità, richiede un elevato accumulo di mezzi contrasto sul tessuto che si intende visualizzare. Pertanto è in corso da diversi anni un progetto per la messa a punto opportuni agenti di contrasto (ACs) selettivi capaci di accumularsi sull’organo bersaglio ad una concentrazione almeno dell’ordine di 10-4M. In particolare sono stati preparati sistemi supramolecolari, come micelle miste o selfassembling, liposomi che espongono sulla loro superficie un vettore peptidico il frammento CCK8 dell’ormone colecistochinina in grado di selettivamente riconoscere i recettori sovraespressi dalle cellule tumorali. 67 Recentemente sono stati sintetizzati e caratterizzati strutturalmente aggregati supramolecolari ottenuti per aggregazione di due molecole di nuova sintesi (gemini). Entrambi i monomeri sono costituiti da una porzione idrofobica e da una porzione idrofilica. La prima è rappresentata da due catene alchiliche a 18 atomi di carbonio, la seconda invece è rappresentata, in uno dei due monomeri, dal peptide bioattivo CCK8, nell’altro, dall’agente di contrasto Gd coordinato al chelante DTPAGlu o dalla base libera (Figura 2). Nella sequenza dei monomeri è presente un residuo di cisteina che permette la formazione di un ponte disolfuro intercatena, mediante semplice ossidazione all’aria in ambiente alcalino. Il ponte disolfuro inoltre può essere idrolizzato enzimaticamente “in vivo” e pertanto l’aggregato può essere più facilmente secreto. L’aggregazione in soluzione dei monomeri, guidata dalla tendenza delle code idrofobiche ad interagire tra di loro mediante forze di Van der Waals, è stata seguita mediante tecniche spettroscopiche quali fluorescenza e dicroismo circolare (CD) e mediante misure di SmallAngle Neutron Scattering (SANS). H N O O CH2 S O N H O O 5 N H N O COO COO N S CH2 O N Gly CCK8 H O O H N Gly CCK8 O 5 O COO COO COO COO COO N HN [C18CysL5CCK8]2 O (CH2)4 O H N CH2 N H N NH2 O S S CH2 O N H O O H N NH2 (CH2)4 HN N N COO O [C18CysDTPAGlu]2 N COO COO Figura 2: Rappresentazione schematica dei monomeri [C18CysCCK8]2 e [C18CysDTPAGlu]2 I valori delle concentrazione micellare critica (CMC) ottenuti per i sistemi supramolecolari autoassemblanti [C18CysDTPAGlu]2 [C18CysCCK8]2, e per i sistemi misti [C18CysDTPAGlu]2 / [C18CysDTPAGlu]2 in un rapporto molare 70/30 (nella forma complessata con gadolinio e come basi libere) sono dell’ordine di 10 -6÷10-5 mol kg-1. Tali valori sono in linea con le CMC ottenute per gli aggregati a due code idrofobiche con diciotto atomi di carbonio. Questo risultato ci consente di concludere che nei monomeri gemini studiati come basi libere, sui quali sono presenti 10 cariche negative anziché 5 dei monomeri fino a questo momento sintetizzati, le cariche negative, pur influenzando il valore della CMC, non impediscono l’aggregazione a concentrazioni relativamente basse. In condizioni fisiologiche pertanto è garantita l’esistenza degli aggregati. Misure di fluorescenza del residuo di triptofano hanno permesso di stabilire che il peptide è ben esposto sulla superficie esterna dell’aggregato. Gli aggregati ottenuti sono stati stutturalmente caratterizzati mediante misure di SANS. La forma e le dimensioni delle micelle sono influenzate dalla temperatura: a basse temperature presentano forma elongata con stuttura cilindrica; mentre a più alte temperature forma ellissoidale. Pertanto l’aumento della temperatura porta ad un progressivo accorciamento della lunghezza delle micelle. Analogamente, anche la conformazione del peptide 68 CCK8 esposto sulla superficie esterna dell’aggregato cambia all’aumentare della temperatura, passando da una conformazione β-sheet ad una random coil. Le misure di relassività condotte sugli aggregati, forniscono valori confrontabili (r1p = 21.5 mM-1 s-1 at 20 MHz and 25°C), con sistemi supramolecolari simili ad altri aggregati finora studiati. Per allargare il numero di bersagli da raggiungere selettivamente sono stati inoltre progettati e sintetizzati aggregati supramolecolari costituiti da uno o due unità monomeriche anfifiliche selettivi per i recettori bombesina. Queste unità contengono una parte idrofobica costituita da due catene di tipo idrocarburico a diciotto atomi di carbonio e una testa idrofilica costituita dal peptide bombesina e/o da un agente chelante in grado di complessare il Gd per la risonanza magnetica o il 68Ga per la PET o 111In per la medicina nucleare. Il chelante prescelto è il DOTA che fornisce per la coordinazione un set di quattro atomi di azoto e tre gruppi carbossilici. Nell’altro monomero la testa idrofilica è costituita dalla sequenza attiva della bombesina. C). - (A) O O N O N O O H N (CH2)4 O NH2 N N N H O N - O O O (B) O O H N N O O O (C) O H N N O - N 5H Peptide O O 68 N H Peptide [7-14]BN sequence: Gln-Trp-Ala-Val-Gly-His-Leu-Met-Amide scrBN sequence: Trp-Gln-Met-Leu-His-Gly-Val-Ala-Amide Fig. 3 Monomeri anfifilici: A) (C18)2DOTA; B) (C18)2L5-[7-14]BN; C) (C18)2Peg3000[7-14]BN Il peptide [7-14]BN è il frammento C-terminale del peptide bombesina capace di riconoscere il gastrin-releasing peptide receptor (GRPR), sovraespresso da linee cellulari di tumori umani di varia origine (cancro dell’ovaio, cancro al seno e cancro della prostata). Numerosi studi strutturali hanno dimostrato che modificazioni all’estremità N-terminale con complessi metallici non alterano l’affinità del peptide verso il recettore target. Per aumentare l’idrofilicità sono stati inseriti residui etossilici di diversa lunghezza. (figura 3 B e C) Miscelando il monomero A con i monomeri B e C nel rapporto 90:10 seguendo procedure messe a punto per altri aggregati, sono stati ottenuti aggregati misti, la cui natura, è stata determinata mediante metologie chimico fisiche basate sul SANS e sul dinamic light scattering (DLS). Queste indagini hanno permesso di stabilire che gli aggregati hanno natura liposomiale e raggio idrodinamico intorno a 200 nm, mentre lo spessore del doppio strato è di 4 nm. (figura 4). 69 Fig. 4: Visione schematica degli aggregati ottenuti selettivi per i recettori della bombesina Gli aggregati marcati con Indio radioattivo sono stati quindi testati in vitro su cellule PC3 sovraesprimenti recettori della bombesina. I risultati di binding e internalizzazione sono stati paragonati a quelli ottenuti con aggregati analoghi in cui il peptide bioattivo è sostituito da una sequenza scramble. Il sistema contenente il monomero B (111In-(C18)2DOTA/(C18)2L5-[7-14]BN 90/10) ha dato risultati migliori rispetto a quello contenente il monomero C (111In(C18)2DOTA/(C18)2Peg3000-[7-14]BN 90/10). Questo risultato può essere imputato alla presenza dell’unità di Peg3000 sulla superficie che potrebbe nascondere il peptide e impedire il binding con il recettore. Gli aggregati misti contenenti il monomero B e l’analogo, in cui il peptide wild-type è sostituito dal peptide scramble, sono stati testi su topi nudi, nei quali era stato precedentemente inoculato e cresciuto il tumore. I risultati ottenuti per entrambi i peptidi mostrano che l’aggregato rimane il circolo nel sangue per tempi molto lunghi (> 48 h), permettendo di migliorare l’accumulo dell’aggregato nell’organo target rispetto a quello non target. Inoltre l’aggregato misto contenente il peptide wild-type si accumula maggiormente nel tumore rispetto a quello contenente il peptide scramble e rispetto all’aggregato ottenuto da autoassemblaggio del solo chelante. 3) Complessi di Platino veicolati da peptidi E’ ben nota l’attività chemioterapica di complessi di platino, ma anche i molti problemi relativi agli effetti collaterali. Per direzionare i complessi verso il tessuto di interesse, negli ultimi anni, sono state messe a punto delle metodologie per la veicolazione mediante aggregati liposomiali o strategie per legare il complesso a peptidi. Scopo di questa linea di ricerca è la veicolazione target spetifica di complessi di platino mediante l’uso di peptidi bioattvi capaci di riconoscere recettori sovraespressi da cellule tumorali. L’innovazione consiste nella messa a punto di una strategia sintetica in fase solida in grado di superare i problemi di solubilità, che spesso si presentano nella coordinazione del platino a cheltanti ancorati a molecole bioattive e la concorrenza di più basi di Lewis nei confronti del centro metallico. L’attività di ricerca esplorativa ha previsto la sintesi di diverse sequenze peptidiche bioattive, quali il peptide CCK8, che interagisce con i recettori della colecistochinina, e peptidi contenenti la sequenza RGD per l’interazioni con i recettori delle integrine. Attualmente sono in corso test in vitro per verificare la citossicità della sonda 4) Studio del meccanismo di penetrazione e fuoriuscita del virus Herpes simplex di tipo 1 utilizzando nanocristalli. Questa linea di ricerca ha riguardato lo studio in vitro dei meccanismi di penetrazione e di fuoriuscita della glicoproteina gH del Herpes Simpex virus tipo I dalla cellula sfruttando metodi di 70 imaging molecolare. Dall’analisi dettagliata della glicoproteina gH è stato identificata la sequenza peptidica gH 626-644 da utilizzare. Quest’ultima è stata opportunamente modificata mediante molecole fluorescenti (NBD) e Qdots per l’ottenimento di sistemi da visualizzare in microscopia cofocale. I Qdots sono stati scelti per le loro proprietà ottiche ed elettroniche che li rendono dei fluorofori unici sia in vitro per seguire un’ampia varietà di esperimenti biologici, che in vivo. Essi posseggono, rispetto alle tradizionali molecole organiche, elevata stabilità e la capacità di identificare contemporaneamente segnali multipli. Inoltre nella regione del vicino infrarosso (700– 900 nm) la maggior parte delle biomolecole non presenta uno spettro di assorbimento, il che permette di usare i QDs per l’imaging in vivo. Notevoli successi sono stati ottenuti nell’utilizzo dei Qdots per la marcatura extracellulare; al contrario il delivery intracellulare presenta numerosi problemi ed ancora non esistono protocolli generali per riuscire ad effettuarlo. I coniugati peptidici NBD-gH 626-644, e QDot-gH 626 -644 sono stati sintetizzati mediante sintesi in fase solida con chimica Fmoc. Inoltre è stato sintetizzato il peptide NBD-Tat come peptide controllo. Dall’analisi al microscopio confocale (Figura 5) si evince che nonostante entrambi i peptidi gH626644 e Tat (peptide utilizzato come controllo) siano in grado di entrare all’interno delle cellule, il peptide Tat mostra una maggiore localizzazione all’interno degli endosomi. Viceversa il peptide NBD-gH 626-644è in grado di attraversare le membrane senza essere intrappolato negli endosomi. Il peptide gH626-644 è anche in grado di trasportare i Qdots attraverso la membrana plasmatica e di posizionarsi largamente nella frazione citoplasmatica della cellula, essenzialmente per via non endosomica, come è possibile vedere nelle foto di seguito riportate. Alla luce dei risultati ottenuti, risulta molto interessante sviluppare ulteriormente questo progetto al fine di verificare la possibilità di indirizzare in maniera specifica i Qdots verso dei target specifici all’interno della cellula target. (A) Peptide NBD-gH626-644 (B) Peptide NBD-TAT Figura 5: Immagini di microscopia cofocale di (A) peptide NBD-gH626-644; (B) peptide TATgH626-644. In alto a sinistra ed in basso a destra sono riportate le cellule trattate con il peptide, in alto a destra il nucleo come controllo, e in basso a sinitra il citoscheletro. 71 72 UNITA’ DI RICERCA DI PADOVA Direttore Scientifico: Prof. Ulderico Mazzi 1. Tematica 6: “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale” Parte 1. Sviluppo di radiofarmaci target-specifici marcati con 99mtecnezio e 186/188renio. Elena Zangoni, Laura Melendez Alafort, Ulderico Mazzi I metalli di transizione possono avere isotopi emettitori di radiazioni ionizzanti utilizzabili in ambito diagnostico e terapeutico. Tra di essi il tecnezio-99m ed il renio-186/188 giocano un ruolo molto importante nello sviluppo di radiofarmaci in entrambe gli ambiti sopradetti. A differenza di isotopi di atomi naturalmente presenti nelle molecole biologiche (O, C, N), che possono essere incorporati nelle molecole direzionatrici attraverso la formazione di un legame covalente, gli isotopi di natura metallica per essere incorporati nelle biomolecole devono essere stabilizzati da un sistema chelante in un complesso di coordinazione. Nell’ultimo decennio è stata sviluppata un’ampia gamma di tecniche per la marcatura di biomolecole con radiometalli, ma la metodica più ampiamente studiata e impiegata consiste nell’approccio del chelante bifunzionale (Bifunctional Chelating Agent, BFCA). Il chelante bifunzionale presenta da un lato un set coordinativo in grado di stabilizzare il metallo, dall’altro un gruppo funzionale per l’ancoraggio covalente della biomolecola, che può essere diretto oppure mediato da uno spaziatore (linker), a dare il derivato BFCA(-linker)-BM. La scelta accurata del BFCA è uno degli aspetti fondamentali nella progettazione di radiofarmaci target-specifici. Targeting biomolecule BM Metal radioisotope BFCA Targeting biomolecule Metal radioisotope Linker Figura. Rappresentazione schematica della marcatura diretta (sopra) e indiretta (sotto). Un BFCA ideale dovrebbe garantire la formazione di un complesso con alta resa e a concentrazioni molto basse del coniugato BFCA-BM. Tale complesso non dovrebbe sottostare a reazioni di ossidoriduzione, dovrebbe essere termodinamicamente stabile e cineticamente inerte e presentare un basso numero di isomeri, in quanto tutte questi parametri possono influenzare notevolmente le caratteristiche biologiche e farmacocinetiche del coniugato BFCA-BM. Infine, l’attacco del BFCA alla biomolecola dovrebbe essere facilmente realizzabile. La selezione del BFCA dipende dal tipo di radiometallo e dal suo stato di ossidazione. Il core [M=O]3+ viene largamente impiegato per la marcatura di biomolecole con 99mTc- e 186/188Re e negli ultimi 15 anni sono stati sintetizzati e valutati molti chelanti bifunzionali, la maggior parte dei quali possiede un set coordinativo di tipo NxS(4-x). Questi chelanti, sebbene abbiano trovato applicazione, soffrono di alcune limitazioni quali l’elevata lipofilia, una scarsa flessibilità strutturale, più forme isomeriche spesso difficili da separare e limitata stabilità in vivo. Inoltre la loro marcatura richiede spesso condizioni drastiche. Lo sviluppo di BFCA più efficienti resta quindi uno degli interessi 73 principali nell’ambito della medicina nucleare. Il nostro gruppo di ricerca ha proposto alla ricerca internazionale il BFCA N-(N-(3-diphenylphosphino propionyl) glycyl)-S-tritylcysteine methyl ester (PN2S) sinora utilizzato con il gruppo centrale Tc(V)O3+. Negli ultimi anni molti gruppi hanno orientato le loro ricerche verso lo sviluppo di BFCA tridentati al fine di ottenere una set coordinativo tripodale per il core fac-[M(CO)3]+ (M = Tc, Re),. Tuttavia la tricoordinazione del core può essere ottenuta anche utilizzando due leganti distinti, uno bidentato L2 e uno monodentato L1, in quello che viene definito approccio “[2+1] mixed ligand]. Nel tentativo di sviluppare questo filone di ricerca precedenti studi nel nostro gruppo hanno evidenziato come si possa impiegare un semplice N,N-dimetilditiocarbamato (mdtc) come legante bidentato e una fosfina funzionalizzata come legante monodentato, per ottenere un sistema chelante di tipo (SS)(P) per la stabilizzazione del core fac-[M(CO)3]+. L’impiego di Na-mdtc e di una fosfina con la strategia [2+1] ha il potenziale vantaggio di produrre complessi tricoordinati neutri e monomerici. La derivatizzazione del gruppo fosfinico è stata la prima procedura utilizzata perchè già stata usata con successo con leganti BFCA sul core 99m Tc(V)O3+. Una delle biomolecole più studiate per la marcatura con l’approccio con BFCA è l’octreotide.[5] Però, la maggiore difficoltà che si incontra nel marcare tale molecola con Tc o Re è dovuta al fatto che presenta un ponte disolfuro, molto importante per la sua biospecificità, facilmente rotto durante la reazione di riduzione del MO4- (M = Tc o Re) indispensabile per ottenere la formazione del complesso di marcatura. Figura: PN2S-CIF Quindi, la marcatura con 99mTc dell’octreotide e dei suoi derivati non ha ottenuto notevoli successi, fino a quando, studi biologici su derivati dell’octrotide privi del ponte a zolfo non hanno mostrato alta specificità per i sottotipi recettoriali sstr2 e sstr5 della somatostatina. Gli analoghi indicati in figura sono stati da noi studiati per essere marcati con la metodologia tricarbonilica [2+1] per poi essere studiati dal punto di vista biologico allo scopo di determinare il mantenimento in vivo della loro alta specificità. I risultati sono stati soddisfacenti, con produzione in ‘one step’ di un composto marcato (PN2S-CIF) con resa superiore al 90% e con alta attività specifica. Il prodotto è pronto per gli studi di specificità su cellule o in vivo. Al momento la ricerca si è fermata per difficoltà del gruppo di Basilea collaborante con il nostro gruppo di Padova di crescere cellule specifiche per i suddetti carrier. 74 1.Tematica 6: “Radiofarmaci nella diagnostica e terapia tumorale” Parte2. Studi di marcatura, biodistribuzione ed efficacia radioterapeutica di Ialuronico) Laura Melendez Alafort, Elena Zangoni, Ulderico Mazzi 188 Re-HA (Acido Nel 2009 sono proseguiti gli studi sull’acido ialuronico, utilizzando i risultati precedentemente ottenuti ed ottimizzando sia le procedure di marcatura che le caratteristiche dell’acido ialuronico soprattutto in funzione della diversa dimensione del polimero. L'acido ialuronico (HA) è uno dei componenti fondamentali dei tessuti connetivi dell'uomo e degli altri mammiferi. Chimicamente è definibile come un glicosaminoglicano dalla catena polisaccaridica non ramificata prodotta dall'aggregazione di migliaia di unità disaccaridiche formate a loro volta da residui di acido glucuronico (un derivato del glucosio) e Nacetiglucosamina. Entra nella costituzione della sostanza fondamentale del tessuto connettivo della pelle, il quale contiene il 63% di acqua, il 32% di collagene e l'1% di acido ialuronico. E' contenuto in concentrazioni elevate nell' umor vitreo, nel cordone ombelicale, nei liquidi delle articolazioni. Si presenta come una sostanza amorfa, solubile in acqua. Regola il contenuto idrico della sostanza intracellulare e la permeabilità del tessuto connettivo. Funge da sostanza cementante dei tessuti ai quali conferisce la tipica plasticità. E' contenuto nel collagene, nel quale ha la funzione di catturare e trattenere l' acqua. Per costruire il collagene le cellule impiegano molta vitamina C. Ha proprietà antinfiammatorie. Oltre che idratare la pelle possiede anche la proprietà di cicatrizzare le ferite. Nel derma ha un' azione plastica e permette una migliore diffusione delle sostanze. Inoltre l'acido ialuronico lega con dei recettori cellulari denominati CD44, ben conosciuti dagli studiosi del sistema immunitario per la loro presenza nella pelle, tra l'altro sulla superficie delle cellule cheratiniche, inclusi i follicoli piliferi. I CD44 sono anche sovraespressi in diversi tipi di tumore e ciò ha sviluppato l’impiego dell’HA quale veicolo di chemioterapici per tali tipi di tumore. Nel 2007 il metodo di marcatura con Tc-99m dell’HA già descritto nelle precedenti relazioni è stato trasferito al Re-188, con lo scopo di utilizzare le proprietà veicolanti dell’HA per trasportare il radionuclide Re-188 sul tumore affinché esplichi la sua azione radioterapica. Studi di biodistribuzione in topi sani dell’analogo 99mTc-HA hanno mostrato che 25 minuti dopo la somministrazione intravenosa, più dell’80% del radiofarmaco si trova nel fegato e nella milza in seguito al binding selettivo dell’HA su recettori specifici. Basandoci su tali indicazioni, cellule di carcinoma epatocellulare sono state indotte nel fegato del topo e trattati con HA marcato direttamente con 188Re. L’acido ialuronico (∼70 kDalton) è stato marcato semplicemente aggiungendo 100 µl of 188Reperrenato con attività pari a 20 Mbq ad una fiala contenente HA ed una soluzione di SnCl2 aggiustando il pH al valore di 4. La biodistribuzione di 188Re-HA è stata studiata in femmine sane di topi neri C57BL/6 trattati con 50 µL (3 MBq) di marcato purificato con iniezione nella vena caudale. Trenta minuti dopo l’iniezione le dosi accumulate nel fegato e nella milza hanno raggiunto il valore massimo e rimangono poi costanti per più di 72 h senza clearance renale. Gli studi di biodistribuzione hanno dimostrato che il complesso188Re-HA è stabile e, somministrato per semplice iniezione intravenosa, è rapidamente concentrato nel fegato e nella milza, senza eliminazione, riducendo così il rischio di danno agli atri organi. Il trattamento delle metastasi al fegato nei topi ha rivelato che il coniugato mostra un forte effetto terapeutico anche in presenza di bassa attività. E’ inoltre importante notare che le attività qui usate sono simili a quelle già in uso nei trial clinici. Infine l’efficacia terapeutica del trattamento è anche confermata in un modello di topo xenogenico con metastasi al fegato di coloncarcinoma umano usando cellule tumorali HT-29 impiantate in topi SCID, e non associate con rilevante tossicità al fegato ed al midollo spinale. Per poter impiegare l’188Re-HA in altre patologie tumorali è stato improntato uno studio sulla marcatura e sugli studi di biodistribuzione di HA con MM che vanno da 5000 a 500000 Da. Gli studi di marcatura hanno evidenziato che, pur riuscendo ad ottenere per tutti i sistemi studiati una buona resa di marcatura, si è osservato che la stabilità dei prodotti marcati scendeva al diminuire 75 della MM. A tal punto, si sono sospesi gli studi di biodistribuzione e si è deciso di adottare un metodo di marcatura indiretto utilizzando il BFCA di tipo PN2S, già richiamato in questa relazione, che mantenga il più possibile inalterata la struttura dell’HA e che consenta una stabilità del marcato indipendente dalla MM del polimero. Sono in corso studi in questo senso. 2. Tematica 5 “Nuovi Farmaci inorganici in oncologia” Parte 1. Prof. Dolores Fregona, Dott. Luca Ronconi, Dott. Chiara Nardon L’attività svolta in questo anno dal nostro gruppo si è sviluppata in tre filoni principali: 1) Agenti antitumorali di Au(III) con leganti ditiocarbammici di- e tripeptidici per l’indirizzo selettivo verso la cellula tumorale. 2) “Design, sintesi e caratterizzazione chimica e biologica in vitro di complessi di Ru(III), con leganti S-metil pirrolidina-/dimethyl-ditiocarbammato. 3) Sviluppo di nuovi biosensori per la rilevazione precoce di marker tumorali. 1)COMPLESSI DITIOCARBAMMICI DI AU(III) CON DI- E TRIPEPTIDI Negli ultimi anni, nel nostro gruppo di ricerca sono stati sintetizzati alcuni nuovi complessi ditiocarbammici di Au(III), aventi una formula generale del tipo [AuX2(dtc)] (X = Cl, Br; dtc = legante ditiocarbammico), ideati in modo da riprodurre il più fedelmente possibile le caratteristiche strutturali principali del cisplatino. Tali composti hanno mostrato una attività in vitro, da una a quattro volte maggiore del cisplatino, nei confronti di cellule tumorali umane sia sensibili che resistenti al cisplatino, escludendo l’insorgenza di resistenza crociata con il chemioterapico di riferimento. Inoltre, gli studi biologici intesi al chiarimento dei processi biochimici che stanno alla base dell'elevata attività dei nostri composti di oro, sono stati estesi alla valutazione del danno mitocondriale e all'inibizione dell'enzima tioredossina reduttasi. Date le loro proprietà di elevata stabilità in soluzione, riproducibilità di sintesi e di promettente attività antineoplastica, tali composti sono stati sottoposti anche a studi di attività antitumorale, tossicità sistemica e nefrotossicità in vivo, portando a dei risultati estremamente positivi. Si è cercato anche di comprendere il meccanismo di induzione di morte cellulare di tali complessi studiando la loro influenza sul funzionamento della caspasi-3 e sulla formazione di ROS (specie radicaliche attive), coinvolti in diverse fasi del meccanismo di morte cellulare e nelle alterazioni di alcune proteine mitocondriali. L’attività pro-apoptotica di alcuni complessi è stata anche testata in base all’attivazione delle caspasi-3, una classe di cistein-proteasi che, con meccanismo a cascata, vengono attivate in numerosi modelli di apoptosi. Tale misura è stata rilevata attraverso la percentuale di clivaggio del PARP (poli-ADP-ribosio-polimerasi) che viene operato dalle caspasi-3 attivate. Tale valutazione ha evidenziato che, contrariamente a quanto avviene per il cisplatino (usato come riferimento), il trattamento con i complessi di oro non registrata una corrispondenza diretta tra la morte cellulare e la percentuale di clivaggio. L’attivazione della caspasi-3 pertanto, non sembra essere l’unico meccanismo che porta alla morte cellulare, ma tali composti di oro devono esercitare la loro capacità citotossica attraverso un qualche meccanismo alternativo. Gli studi per chiarire tale meccanismo sono stati indirizzati verso la valutazione della formazione di ROS, l’interazione con proteine mitocondriali e citosoliche e l’effetto sul potenziale di membrana mitocondriale ed hanno messo in evidenza una notevole inibizione della tioredossina reduttasi accompagnata da uno swelling della membrana mitocondriale. La valutazione delle proprietà citotossiche in vitro e di tossicità sistemica in vivo sono tuttora in corso presso il National Cancer Institute di Bethesda. Gli studi di inibizione del proteasoma eseguiti presso il Dipartimento di Patologia del Barbara Ann Karmanos Cancer Institute, Wayne State University di Detroit, su estratti cellulari di tumore mammario, hanno evidenziato come tali derivati di oro siano in grado di inibirne l’attività già a concentrazioni nell’ordine di 10 µM. Inoltre per uno di tali complessi è stato identificato il proteasoma come target primario sia in vitro che in vivo ed è stata riscontrata una capacità di inibizione della crescita tumorale di circa il 50%, su tumori xerografici umani dopo trattamento per 76 29 giorni con il composto in esame. Infine, gli studi condotti su leucemie mieloidi acute, in collaborazione con il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, hanno messo in evidenza come i nostri composti inducano solo modeste perturbazioni del ciclo cellulare a sostegno dell’ipotesi che il meccanismo d’azione sia diverso da quello presentato dai classici complessi di Pt(II). In seguito ai risultati così promettenti ottenuto con i complessi ditiocarbammici di Au(III) abbiamo esteso il progetto di ricerca allo studio di derivati di Au(III) con piccoli peptidi funzionalizzati per migliorare l’uptake cellulare mantenendo immutate le caratteristiche chemioterapiche dei nostri complessi a base di zolfo. Tale progetto si propone di utilizzare derivati ditiocarbammici di- e tripeptidici di Au(III) come sistemi cooperativi con proteine di trasporto per l’indirizzo selettivo verso la cellula tumorale, al fine di ottenere potenziali agenti antitumorali dotati di una elevata biodisponibilità mediata dai leganti peptidici stessi. Il fondamento logico sul quale si basa tale progetto è quello di disegnare complessi metallici in grado di conservare le proprietà antitumorali già mostrate da analoghi derivati precedentemente testati e, contemporaneamente, che siano dotati di una maggiore biodisponibilità mediata dai trasportatori di- e tripeptidici. L’interesse di questa nuova classe di chemioterapici si basa sulla possibilità di trasportare il farmaco direttamente all’interno della cellula tumorale incrementando l’uptake cellulare e minimizzando l’insorgenza degli effetti collaterali che in genere accompagnano le terapie antitumorali Risultati: Sono stati sintetizzati e caratterizzati alcuni dipeptidi, con catene laterali diverse, e i relativi complessi con Au(III). I peptidi sono stati preparati con classiche metodiche di sintesi in soluzione utilizzando vari gruppi N- e C-protettori (o bloccanti). In particolare, i dipeptidi sintetizzati e studiati hanno formula del tipo Sar-Xxx (Sar = sarcosina o N-metilglicina), dove Xxx è Gly, Aib (acido α-amminoisobutirrico) o Phe. L’estremità N-terminale dei peptidi è stata poi funzionalizzata con una unità ditiocarbammica in grado di chelare efficacemente il centro metallico di Au(III). Gli amminoacidi Gly e Aib sono entrambi achirali, ma il secondo ha la proprietà di impartire una forte rigidità conformazionale ai peptidi in cui viene inserito. Questa caratteristica potrebbe essere la ragione dell’interessante bioattività osservata per i complessi contenenti come legante il dipeptide Sar-Aib. Inoltre, va ricordato che peptidi contenenti Aib sono più resistenti alla degradazione enzimatica. Il residuo di Phe invece, è stato sintetizzato per stimare l’importanza della idrofobicità/idrofilicità sull’attività biologica. Infine, i due diversi gruppi C-protettori impiegati hanno consentito di stabilire che anch’essi esercitano un’influenza sull’azione antitumorale. Sembra infatti che il gruppo –COOH libero ostacoli l’efficacia dell’azione biologica dei complessi di Au(III). Essendo i complessi insolubili in acqua, sono state eseguite anche delle cinetiche in DMSO (attraverso spettroscopia 1H-NMR) al fine di accertare la stabilità dei complessi sintetizzati in tale solvente e di garantire che essi possono giungere intatti a contatto con le cellule tumorali Una volta effettuata la caratterizzazione chimico-fisica e, soprattutto, verificatane la stabilità in soluzione, tali complessi peptide-dtc/Au(III) sono stati sottoposti ad un primo “screening” di citotossicità in vitro su alcune linee cellulari tumorali umane. Sono quindi stati sintetizzati e caratterizzati altri sei complessi di Au (III), aventi leganti della serie dipeptidica (Sar-Xxx; Xxx =Gly, Aib e Phe), ma con un tipo diverso di estere (tert-butilico) all’estremità C-terminale. Inoltre, sono stati preparati i dipeptidi Sar-Ser-OR (R = Me, tBu) con l’intenzione di verificare se l’idrofilicità, impartita dal gruppo idrossilico in catena laterale alla Ser, potesse migliorare l’attività di questi nuovi potenziali agenti chemioterapici. Gli studi preliminari in vitro effettuati sui composti hanno mostrato che tutti hanno una citotossicità maggiore rispetto al cisplatino. Inoltre due di questi si sono rivelati più attivi degli analoghi complessi ditiocarbammici di Au(III) già studiati. In base ai risultati ottenuti, si è pensato anche di estendere il progetto alla sintesi e caratterizzazione di un tri- (-Sar-Aib2-OtBu), un tetra- (-Sar-Aib3-OtBu) e un pentapeptide (-Sar-Aib3-Gly-OEt) e, ovviamente, dei corrispondenti complessi di Au(III). Il residuo di Gly all’estremità C-terminale è stato scelto per ridurre l’idrofobicità, supponendo come fattore importante la veicolazione del complesso in ambiente acquoso. Inoltre, essendo la prolina un 77 amminoacido proteico N,N-disostituito, come la Sar, si è pensato di sintetizzare e caratterizzare il di- e il tripeptide di formula -Pro-Aibn-OtBu (n = 1, 2) e i corrispondenti complessi ditiocarbammici di Au(III), tenendo presente che la Pro, a differenza della Sar, è chirale. E’ stata valutata la vitalità delle cellule metastatiche PC3 del carcinoma della prostata umana esposte a concentrazioni crescenti dei complessi in esame e sono stati calcolati i valori di IC50. I risultati mostrano che l’esposizione a concentrazioni crescenti di alcuni di questi complessi provoca l’inibizione della crescita in funzione della concentrazione iniettata con valori di IC50 inferiori a quelli del cisplatino. Si è inoltre valutata l’induzione di apoptosi precoce e di necrosi attraverso il test dell’annessinaV in presenza di propidio ioduro. E’ stato infine valutato l’effetto citotossico in vitro nei confronti delle cellule MDA-MB-231 di carcinoma mammario evidenziando che questi composti inibiscono efficacemente la crescita delle cellule tumorali e sono in grado di inibire l’attività chimotriptica del proteasoma sia in presenza del proteasoma purificato 20S, sia sugli estratti cellulari con una attività più pronunciata rispetto ai derivati ditiocarbammici di Au(III) precedentemente testati. Inoltre le prove in vivo sul tumore xenografico MDA-MB-231,con uno dei composti più attivi hanno evidenziato una inibizione della crescita tumorale del 90%. 2) “DESIGN, SINTESI, CARATTERIZZAZIONE CHIMICA E TEST DI ATTIVITÀ BIOLOGICA IN VITRO DI COMPLESSI DI RU(III), CON. S-METIL PIRROLIDINA/DIMETIL-DITIOCARBAMMATO Nella ricerca di potenziali antitumorali con attività superiore a quella del cisplatino e minore tossicità, una grande attenzione viene attualmente rivolta ai complessi di rutenio. Due sono i composti di rutenio più promettenti, entrambi in fase di sperimentazione clinica: il (HInd)trans[RuIIICl4(Ind)2] (KP1019) e il (ImH) trans-[RuIIICl4(Im)(DMSO)] (NAMI-A). Questi composti sono simili strutturalmente, ma hanno uno spettro d’azione differente: il primo ha una buona attività citotossica verso i tumori primari, mentre il secondo è un potente agente antimetastatico. Entrambi i composti agiscono come pro-farmaci e subiscono, solo nelle cellule tumorali, un’attivazione per riduzione: la specie ridotta può legarsi al DNA, ma sembra che questo non sia il principale meccanismo d’azione. Di grande interesse sono anche i composti del tipo ruthenium arene compounds che creano una lesione bifunzionale (di coordinazione e idrofobica) sul DNA che è alla base della loro elevata attività. Sulla base di queste considerazioni, sono stati sintetizzati quattro nuovi complessi di Ru(III) del tipo [Ru(PDT)3], α-[Ru2(PDT)5]Cl, (PDT= piridina ditiocarbammato) mer-[RuCl3(DMSO)(PDTM)] (PDTM = piridina,S-metil-ditiocarbammato) mer-[RuCl3(DMSO)(DMDTM)] (DMDTM= dimetilditiocarbammato di metile) che sono stati completamente caratterizzati tramite IR, NMR, massa, termogravimetria e cristallografia ai raggiX. I composti ottenuti sono stati poi sottoposti ad uno screening di attività citotossica su varie linee cellulari di tumori umani: i test hanno dimostrato una buona attività per il dimero ionico α-[Ru2(PDT)5]Cl. E’ interessante notare che i due composti mer-[RuCl3(DMSO)(PDTM)] e mer-[RuCl3(DMSO)(DMDTM)] non presentano attività in vitro sui tumori primar, come atteso per composti con struttura analoga al Nami-A e sarà quindi interessante valutarne l’attività antimetastatica in vivo. 3) SVILUPPO DI NUOVI BIOSENSORI PER LA RILEVAZIONE PRECOCE DI MARKER TUMORALI. Lo scopo di questo progetto di ricerca è lo sviluppo di nuovi biosensori per applicazioni cliniche ed in particolare per la rilevazione precoce di marker tumorali presenti nel sangue o nelle urine dei pazienti affetti da cancro al colon-retto. Tale forma di neoplasia è infatti molto comune e rappresenta la quarta causa di morte nel mondo; la diagnosi del tumore agli stadi iniziali è di fondamentale importanza e permette di ottenere risultati terapeutici migliori e di diminuirne i costi. Il nostro gruppo di ricerca sta cercando di mettere a punto un nuovo sistema diagnostico sfruttando test immunologici basati sulla chemiluminescenza (CHIA=Chemiluminescence ImmunoAssays). I protagonisti di questi test sono due partners proteici: l’antigene specifico (Ag) da 78 un lato, legato al tumore in esame, e il relativo anticorpo monoclonale (mAb) dall’altro. Ciò che ci aspettiamo è di ottenere una variazione nel segnale di luminescenza (∆λ o ∆I) emesso dal campione (mAb+Ag) in seguito alla reazione di riconoscimento supramolecolare tra mAb e Ag. Dal momento che siamo interessati alla diagnosi precoce del cancro colon-rettale abbiamo scelto di lavorare con l’anticorpo monoclonale CA19-9, estratto dalle cellule della milza di topi immunodepressi portatori dell’adenocarcinoma del colon SW1116. Gli anticorpi sono immunoglobuline che consistono di due identiche catene polipeptidiche pesanti di circa 100kDa e due identiche catene leggere di circa 50 kDa, legate insieme da ponti disolfuro. Solo una regione della macromolecola è coinvolta nel legame con l’antigene mentre una diversa regione funge da mediatore per le cosiddette funzioni effettrici; la prima regione è chiamata “regione variabile”, mentre l’altra è la “regione costante”. Nel presente progetto prevediamo di inserire uno o più complessi di lantanidi specificatamente nella regione variabile dell’anticorpo. I lantanidi e i loro composti offrono molti vantaggi rispetto alle molecole organiche comunemente usate come sonde fluorescenti (es. fluoresceina). Per esempio, essi presentano un sensibile spostamento di Stoke e una luminescenza persistente nell’ordine dei ms e µs. Noi ci aspettiamo che ci sia una alterazione delle proprietà di luminescenza dopo la formazione del complesso tra Ag e mAb dovuta a un cambiamento nell’interazione tra lo ione delle terre rare coinvolto e gli amminoacidi circostanti della macromolecola. Da un punto di vista chimico-fisico questa interazione è definita come Förster (o Fluorescenza) resonance energy transfer (FRET). Il FRET, che nel nostro caso chiameremo LRET (Luminescence resonance energy transfer), è un trasferimento di energia da un donatore (D) eccitato ad un accettore (A). La molecola del donatore eccitato può rilasciare l’energia di eccitazione attraverso varie vie per ritornare nel suo stato fondamentale: l’energia può essere dissipata nell’ambiente sotto forma di calore o luce o trasferita direttamente alla seconda molecola di accettore, promuovendo quest’ultimo ad uno stato eccitato. Tale processo è un’interazione dipendente dalla distanza tra gli stati elettronici eccitati delle due molecole senza emissione fotonica. È di fatto il risultato di un’interazione dipolo-dipolo a lungo raggio fra il donatore e l’accettore. La molecola donatrice emette normalmente a piccole lunghezze d’onda (es. nell’ UV) che si sovrappongono a quelle caratteristiche dello spettro di assorbimento dell’accettore. Un’altra idea che portiamo avanti nelle nostre ricerche è legata alla sintesi di nuovi complessi di lantanidi intrinsecamente luminescenti a causa di un trasferimento di energia intramolecolare dal legante allo ione lantanidico centrale (Ln3+) per utilizzarli nei saggi LIA (Luminescence immunoassays) come bioconiugati agli Ab secondari. Anche in questo caso i vantaggi dell’impiego dei lantanidi sopra menzionati possono risultare di fondamentale importanza in quanto vi è la possibilità di aumentare la sensibilità del test (aumento del segnale/rumore) grazie al loro caratteristico tempo di decadimento dallo stato eccitato piuttosto lungo (>100ns). Attualmente i tipi di immunotest più utilizzati in diagnostica oncologica sono i test ELISA (Enzyme-linked immunosorbent assay) il cui limite di rilevabilità (d.l.) è < 1U/mL e i cui risultati vengono ottenuti in circa quattro ore. In conclusione, l’obiettivo della nostra ricerca, sia attraverso il primo approccio (CHIA) che il secondo (LIA), è quello di mettere a punto dei processi di rilevazione di marker tumorali caratterizzati da un d.l. inferiore ad 1U/mL oppure comunque basso ma ottenibile tramite una metodica più facile, meno costosa e più rapida. Risultati La nostra ricerca è iniziata con la sintesi di complessi di lantanidi con diversi leganti. Ci siamo innanzitutto rivolti verso il samario (Sm3+) e il praseodimio (Pr3+) in quanto poco studiati e pressoché non utilizzati nei saggi LIA ove notoriamente vi trova impiego l’europio (Eu3+). Il praseodimio, inoltre, è interessante per le sue proprietà di emissione nella regione del vicino IR, regione adatta alla trasmissione attraverso fibre ottiche che permettono il trasferimento a distanza di dati ad alta velocità. 79 Di seguito sono riportati i diversi tipi di leganti usati nelle sintesi: 1. Derivati ditiocarbammici S N S 2. Derivati dall’estere etilico della sarcosina S O H2 C N S H3CH2 CO 3. Derivati dalla 3-ciano-7-idrossi-4-metil cumarina 5 4 3 10 6 CN 9 7 HO 2 O 8 O 1 7-hydroxy-4-methyl-2-oxo-2H-chromene-3-carbonitrile 4. Derivati dell’acido 3- cumarinico 5 4 10 COOH 3 6 2 7 9 8 O O 1 2-oxo-2H-chromene-3-carboxylic acid I composti sono stati sintetizzati, purificati e caratterizzati con tecniche di spettroscopia 1HNMR, FT-IR, analisi elementare ed analisi termogravimetrica. Con il legante 4 sono state seguite due vie di sintesi: nella prima abbiamo usato il sale sodico dell’acido cumarinico ottenendo i complessi Na2[Pr(CCA)5] e Na[Sm(CCA)4], nei quali la coordinazione avviene attraverso il gruppo carbossilato in una coordinazione simmetrica bidentata caratterizzata da un marcato carattere ionico; nella seconda si è partiti dall’acido tal quale (HCCA) ottenendo dei complessi a maggior carattere covalente nei quali anche l’ossigeno lattonico è coinvolto nel legame con il metallo. Le due classi di complessi hanno mostrato una diversa stabilità in acqua: gli spettri UV-Vis dei complessi con il sale sodico del legante si decompongono rapidamente dopo solubilizzazione, mentre i composti con l’acido non salificato sono stabili in acqua, ma alla loro alta stabilità non corrisponde una adeguata fotoluminescenza che è invece osservabile in solventi non acquosi come l’acetonitrile e il DMSO. 80 La sintesi templata dei derivati del legante 2 è invece risultata piuttosto complessa per la formazione di composti cineticamente labili; i complessi metallici ottenuti sono stati comunque caratterizzati e gli studi in soluzione hanno evidenziato la scarsa stabilità in mezzo acquoso per la presenza di un legame fra un donatore allo zolfo di tipo soft ed uno ione metallico molto hard. Di tali complessi sono stati eseguiti anche gli spettri di fluorescenza in acetonitrile. Abbiamo inoltre studiato a fondo la struttura e la sequenza dell’anticorpo CA19-9 a livello biochimico. Sono state condotte numerose ricerche bibliografiche per risalire alla precisa sequenza dell’anticorpo in esame ed è stata progettata una strategia di bioconiugazione. Attraverso il metodo di sintesi in fase solida (metodica di Sheppard) è stata sintetizzata una sequenza tetrapeptidica (SLSS, H2N-Ser-Leu-Ser-Ser-OH) con lo scopo di mimare il sito di binding dell’anticorpo. Il peptide sintetizzato è di aiuto nella razionalizzazione delle condizioni di reazione più favorevoli alla bioconiugazione del complesso lantanidico alla biomolecola. Abbiamo progettato un metodo semplice per condurre la reazione sotto controllo cinetico, monitorando contestualmente l’evoluzione della bioconiugazione attraverso l’uso di un cromoforo in grado di attivare la reazione nucleofilica di binding. Esperimenti in corso Studi di stabilità cinetica dei complessi in condizioni fisiologiche (presenza di tampone fosfato). • Sintesi e caratterizzazione di complessi di Sm, Pr, Dy, Tb and Eu. con leganti macrociclici. • Sintesi di un decapeptide riproducente la specifica regione di interesse dell’anticorpo. • Digestione con ficina per ottenere i frammenti Fab or F(ab')2 dell’anticorpo monoclonale di topo IgG1 per diminuire il numero di residui in grado di reagire durante la reazione di bioconiugazione e successiva caratterizzazione attraverso elettroforesi, cromatografia ad esclusione dimensionale e spettrometria di massa. • Bioconiugazione dei complessi all’anticorpo a 37°C in condizioni di catalisi acida. 3. Studio delle proprietà di luminescenza dopo il legame fra CA 19-9 mAb ed il corrispondente antigene Ag. • 2. Tematica 5 “Nuovi Farmaci inorganici in oncologia”. Parte 2. Studio dell’attività biologica di complessi di metalli di transizione quali potenziali agenti antitumorali Cristina Marzano, Valentina Gandin, Nell’ambito della ricerca di nuovi complessi contenenti metalli diversi dal platino, che possiedano un’attività antitumorale paragonabile al cis-platino accompagnata però da una minore tendenza allo sviluppo di farmacoresistenza e di effetti collaterali indesiderati, da tempo, in collaborazione con l’ICIS-CNR di Padova, ci si è orientati verso lo sviluppo e l’analisi delle proprietà biologiche di nuovi complessi fosfinici idrosolubili di Cu(I). Tra i vari composti sintetizzati il complesso [Cu(thp)4][PF6] è stato individuato come più attivo rispetto al farmaco di riferimento (cis-platino) nell’inibire la proliferazione cellulare anche nei confronti di particolari linee cellulari tumorali selezionate per la loro resistenza al cis-platino e/o di tipo MDR. Da esperimenti di cell growth recovery condotti a diversa temperatura e di monitoraggio dell’uptake cellulare eseguiti anche in co-presenza di cationi monovalenti e bivalenti è emerso che il meccanismo di accumulo intracellulare di [Cu(thp)4][PF6] va facilmente incontro a saturazione, suggerendo l’intervento di un trasporto di tipo ATP-dipendente che appare selettivo per cationi monovalenti, caratteristiche tipiche del trasportatore transmembrana hCtr1 del rame endogeno. Questo risultato appare di grande interesse alla luce di recenti osservazioni che indicano come tale trasportatore sia particolarmente espresso in molti tipi di tumore umano, soprattutto di prostata e colon. Mediante impiego di vari test colorimetrici abbiamo evidenziato come la citotossicità indotta da [Cu(thp)4][PF6] sia dovuta ad un danno precoce al lisosoma, il quale porta poi all’interno 81 dell’ambiente cellulare una serie di perturbazioni osmotiche cui consegue la morte cellulare. Studi di citometria a flusso indicano che il complesso fosfinico di rame(I) è in grado di indurre un elevato decremento tempo-dipendente della popolazione cellulare in fase G1 concomitante ad un incremento della fase G2/M, provocando, in tal modo, un arresto del ciclo cellulare in fase G2/M. Non vi sono, invece, sostanziali modificazioni della fase sub-G1. In particolare, i risultati ottenuti dal calcolo dell’indice mitotico di cellule trattate attestano che il complesso di rame(I) riduce notevolmente, ed in maniera tempo dipendente, il numero di cellule capaci di completare la mitosi suggerendo l’induzione di uno specifico blocco del ciclo cellulare in fase G2. Inoltre, sempre mediante studi di citometria a flusso, è stato possibile osservare come [Cu(thp)4][PF6] promuova nella popolazione cellulare un notevole aumento delle dimensioni e della granulometria cellulari. Studi di colorazione ematossilina-eosina confermano quanto verificato dagli studi di citometria, ovvero come le cellule trattate con il complesso di Cu(I) presentino una forma nettamente rotondeggiante e dimensioni decisamente maggiori rispetto alle cellule di controllo, con presenza di una intensa vacuolizzazione citoplasmatica. Mediante misure di variazione del potenziale mitocondriale di membrana è stato verificato che il trattamento con [Cu(thp)4][PF6] induce una consistente iperpolarizzazione del potenziale mitocondriale che appare stabile fino alla fase finale del processo di morte cellulare impedendo, in tal modo, il rilascio di citocromo c. Inoltre, non si assiste ad alcuna attivazione della caspasi-3 e della frammentazione internucleosomica del DNA nucleare, processi tipicamente imputabili all’attivazione della cascata apoptotica di morte cellulare. Tutti i dati raccolti portano a concludere che [Cu(thp)4][PF6] sia in grado di indurre selettivamente in cellule neoplastiche un caratteristico meccanismo di morte cellulare programmata (PCD) di tipo non apoptotico definito paraptosi (di tipo III B). Inoltre, gli studi fin ora effettuati indicano che Cu(thp)4][PF6] induce un accumulo delle proteine poli-coniugate all’ubiquitina come conseguenza del blocco delle attività proteolitiche del proteasoma 26S. E’ noto che tale evento rappresenta un nodo cruciale per l’induzione dello stress del reticolo endoplasmatico. Le alterazioni della funzione del reticolo endoplasmico portano ad una conseguente attivazione dell’Unfolded Protein Response (UPR), avviato nel tentativo di ricondurre l’ER al suo normale stato fisiologico. In risposta allo stress del reticolo, infatti, si assiste ad una transitoria attenuazione della trascrizione volta a ridurre il carico proteico cellulare, mediata dalla auto-fosforilazione di PERK (doublestranded RNAactivated Protein Kinase-like ER kinase), all’attivazione di geni che codificano per componenti dell’apparato molecolare responsabile del folding e della degradazione delle proteine, mediata della auto-fosforilazione di IRE1 (Inositol-Requiring Kinase 1) e all’induzione della PCD. Quest’ultima, in particolare, viene attivata al fine di eliminare cellule fatalmente danneggiate da Cu(thp)4][PF6] e si manifesta con swelling del reticolo stesso e massiva vacuolizzazione citoplasmatica quale premessa per l’avvio del processo caspasi-indipendente di morte cellulare paraptotica. Interessante risulta, quindi, l’approfondimento di una possibile correlazione tra questo tipo di morte cellulare non apoptotica e l’inattivazione del proteasoma, anche in relazione agli effetti che tale strategia ha di recente dimostrato nel superamento dei fenomeni di chemoresistenza. Sempre allo scopo di individuare importanti relazioni struttura-attività riguardanti la classe dei complessi fosfinici di Cu(I), sono state studiate le proprietà biologiche di nuovi complessi di rame(I) contenenti fosfine terziarie, solubili e stabili in acqua, del tipo: P P N N P N N N N PTA PTAH + H N N + CH3 N mPTA Nel programma di lavoro era anche prevista la derivatizzazione del legante PTA ad un azoto amminico in modo da introdurre un gruppo funzionale adatto alla coniugazione con biomolecole. E’stato dimostrato che è possibile introdurre piccoli gruppi alchilici senza intaccare la stabilità del legante nei vari ambienti di reazione utilizzati. L’incorporazione di frammenti più complicati è 82 altresì possibile: sono stati infatti introdotti gruppi come –CH2CH2SO3(-) e -CH2CH2COOH. Però i nuovi leganti sono risultati poco stabili e quindi non adatti alla coniugazione con biomolecole. Sono stati anche studiati complessi di Cu(I) con tris(cyanoethyl)phosphine (PCN). I test di citotossicità condotti nei confronti di un ampio panel di linee cellulari di origine umana hanno evidenziato che il complesso [Cu(MeCN)4][BF4] presenta valori di IC50 migliori rispetto al farmaco metal-based di riferimento. Studi sulla funzionalità mitocondriale di cellule tumorali hanno evidenziato che tale complesso induce una notevole permeabilità di membrana e, di conseguenza, swelling mitocondriale oltre che perdita del potenziale di membrana. D’altra parte, il trattamento con concentrazioni micromolari determina una inibizione diretta della catena respiratoria. Inoltre, tali complesso induce il disaccoppiamento fra la catena respiratoria e la fosforilazione ossidativa. Infine, è stata anche intrapresa la sintesi di una nuova classe di composti di Cu(I) a sfera di coordinazione mista. Viste le interessanti proprietà biologiche mostrate dai complessi fosfinici di Cu(I), con attività citotossiche nel range micro-submicro molare, e le attività ugualmente interessanti mostrate da complessi di rame contenenti diimine quali bipiridina (bipy) e soprattutto ofenantrolina (o-phen), sono state studiate le proprietà biologiche di complessi di rame(I) contenenti entrambe le tipologie di leganti. I primi risultati indicano che complessi del tipo [Cu(X)(PR3)(N∩N)] (X= Cl, N∩N= dimethyl-o-phen, R= CH2OH, PTA) manifestano una marcata azione antiproliferativa soprattutto nei confronti di cellule tumorali di origine mesenchimale e che, a differenza di quanto riscontrato a seguito di trattamento con Cu(thp)4][PF6], la morte cellulare avviene attraverso l’attivazione di un processo di tipo apoptotico. Infine, sempre nell’ambito dello studio di nuovi farmaci metal-based, in collaborazione con alcuni ricercatori del Dipartimento dei Processi Chimici dell’Ingegneria dell’Università di Padova, è stato ampliato lo studio inerente i complessi a base di Pt(II) progettando complessi di platino a geometria trans. Recentemente, infatti, è emerso un crescente interesse anche verso complessi di platino con geometria trans, come ampiamente dimostrato dalla letteratura riguardante complessi di Pt con imminoeteri, ammine aromatiche, cicloexilammina, e ammine alifatiche ramificate. Il complesso di platino con imminoeteri, trans-[PtCl2{E-HN=C(OMe)Me}2], è stato il primo esempio di un complesso di platino a geometria trans dotato di attività antitumorale in vivo, e le principali proprietà farmacologiche di questa classe di complessi sono state recentemente descritte. I nostri studi hanno avuto come principale obiettivo lo sviluppo razionale dei complessi-guida di platino con ammidine trans-[PtCl2{HN=C(R)NR’R’’}2] contenenti gruppi R e R’ di varia idrofilia. In particolare sono stati preparati complessi acetonitrilici e benzonitrilici con ammine alifatiche primarie (di forma ZZ) e secondarie (di forma EE). I risultati ottenuti hanno indicato che alcuni derivati benzonitrilici promuovono effetti antiproliferativi superiori al cisplatino, non presentano resistenza crociata con il tale chemioterapico di riferimento e che l’effetto antiproliferativo di tali derivati dipende da peculiari proprietà di interazione con il DNA, rappresentate dalla formazione di addotti monofunzionali su residui purinici con regioselettività diversa da quella del cis-platino. In via preliminare è stata infine valutata l’attività antitumorale in vivo di un nuovo complesso imminoetereo, cis-[PtCl2{Z-NH=(OMe)CH2Ph}2], su alcuni tumori trapiantabili murini determinando gli effetti del trattamento chemioterapico sia sulla crescita del tumore che sul prolungamento dell’aspettativa di vita dell’ospite portatore. Si è potuto verificare come il trattamento con il complesso imminoetereo di Pt(II) sia in grado, oltre che di rallentare lo sviluppo del tumore aumentando così i tempi di sopravvivenza dell’ospite, anche di comportare la guarigione degli animali in misura più efficace rispetto al cis-platino, e tutto questo a fronte di una ridotta tossicità sistemica. Più di recente è stata valutata l’attività biologica di una nuova serie di composti del tipo trans- [Pt (ammina)2 (ammidina)2][Cl]2 derivati dalla reazione del trans-[PtCl2(NCCH3)2] e varie ammine ciclice alifatiche (ciclopropil-, ciclopentil-, cicloesil-ammina, etc.). E’ stato indagato il comportamento in soluzione dei nuovi complessi di Pt(II) in differenti solventi come l’acqua, il dimetilsolfossido, il polietilene glicole (PEG 400) e il dimetiletere di polietilene glicole (PEG-DME 500). 83 I risultati indicano il PEG 400 come il migliore tra i solventi usati e il complesso dicationico trans-[Pt(NH2CH(CH2)4CH2)2{N(H)=C(CH3)N(H)CH(CH2)4CH2}2]2+[Cl-]2 come quello dotato di Schema 1 3+ L (6)N Pt N( 1) L L H N( 1) L Pt 9-MeAd L N( 6) (1)N 2+ H O L Me CN Pt Pt L O H L 1-MeCy Me N( 6) N - M eCN L N + N Me C N N( 4) Pt L C Pt L (1)N 3 H L Me CN Pt L 2 L N(6) + Me N N( 3) O N 1 Me 4 migliori caratteristiche, capace di indurre nelle cellule tumorali apoptosi mediata dalla p53. 2. Tematica 5 “Nuovi Farmaci inorganici in oncologia”. Parte 3. Ruolo dei leganti ancillari nella interazione di complessi analoghi al cisplatino con nucleobasi modello Longato Bruno, Montagner Diego Nell’ambito dello studio delle interazioni di componenti del DNA con complessi fosfinici di Pt(II), strutturalmente analoghi al cisplatino, sono stati caratterizzati una serie di addotti platinonucleobase la cui nuclearità dipende dalla natura della fosfina utilizzata. Per esempio, la deprotonazione dell’1-MeCy promossa dall’idrosso complesso cis-[L2Pt(µ-OH)]2(NO3)2 porta alla formazione della specie trinucleare ciclica cis-[L2Pt{1-MeCy(-H),N3N4}]3(NO3)3 o della specie mononucleare cis-[L2Pt{1-MeCy(-H),N4}(1-MeCy,N3)]NO3 quando L = PMe2Ph e PPh3, rispettivamente. Analogamente, la deprotonazione della 9-MeAd forma la specie trinucleare ciclica cis-[L2Pt{9-MeAd(-H),N1N6}]3(NO3)3 quando L è PMePh2 e quella mononucleare cis-[L2Pt{9MeAd(-H),N6N7}]NO3, quando L = PPh3. Abbiamo recentemente riportato che, se le reazioni di condensazione vengono condotte in soluzione di acetonitrile si forma una nuova classe di azametallocicli risultante dalla formale inserzione di una molecola di solvente in uno dei legami platino-nucleobase, come appare nello Schema 1, relativo all’interazione dell’idrosso complesso stabilizzato dalla fosfina PMePh2 (1). La reazione con 9-MeAd decorre attraverso la formazione dell’intermedio cis-[L2Pt{9-MeAd(H)}]3(NO3)3 (2) in cui la nucleobase deprotonata agisce da legante a ponte attraverso gli atomi N1 e N6. A temperatura ambiente, 2 reagisce lentamente con il solvente formando il complesso cis[L2PtNH=C(Me){9-MeAd(-2H)}]NO3 (L = PMePh2, 3). Una simile reazione avviene con la nucleobase 1-MeCy formando direttamente la specie cis-[L2PtNH=C(Me){1-MeCy(-2H)}]NO3 (L = PPh3, 4). Tali complessi appaiono stabili solo in presenza di CH3CN. In DMSO e solventi clorurati essi rilasciano lentamente la molecola di CH3CN. Abbiamo ora trovato che il benzonitrile dà inserzione irreversibile nei legami Pt-N4 e Pt-N6 dei leganti 1-metilcitosinato e 9-metiladeninato formando gli azametallocicli cis[L2PtNH=C(Ph){1-MeCy(-2H)}]NO3 (L=PPh3, 5; PMePh2, 6; ½ dppe, 7) e cis-[L2PtNH=C(Ph){9MeAd(-2H)}]NO3 (L=PPh3, 8; PMePh2, 9) che sono stati isolati e caratterizzati come composti puri. E’ stato dimostrato che la reazione di cis-[(PPh3)2Pt(µ-OH)]2(NO3)2 con 1-MeCy in PhCN è veloce a temperatura ambiente e forma quantitativamente il prodotto di inserzione 5. Il monitoraggio della reazione mediante spettroscopia 31P NMR non mostra la formazione di intermedi. L’analoga reazione con la 9-MeAd, invece, forma la specie intermedia cis-[(PPh3)2Pt{9-MeAd(-H),N6N7}]+ 84 precedentemente caratterizzata. Questa, in alcune ora a temperatura ambiente, reagisce con il solvente generando quantitativamente il complesso 8. Tali trasformazioni sono evidenziate nello spettro 31P NMR della miscela di reazione ottenuto immediatamente dopo la dissoluzione dei reagenti e dopo varie ore (Figura 1). Figura 1. Spettro {1H}31P NMR (parte centrale) della soluzione ottenuta per reazione di cis-[(PPh3)2Pt(µ-OH)]2(NO3)2 (*) e 9MeAd in PhCN a 27 °C: (a) dopo 2 ore; (b) dopo 48 ore. < complesso intermedio cis-[(PPh3)2Pt{9-MeAd(-H),N6N7}]NO3; = prodotto di inserzione cis-[(PPh3)2PtNH=C(Ph){9-MeAd(2H)}]NO3 (8). Le strutture molecolari dei composti 6 e 8 sono riportate in figura 2. Figura 2. Struttura del catione cis[L2PtNH=C(Ph){1-MeCy(-2H)}]+ presente in 6 (sinistra) e del catione cis-[(PPh3) + 2PtNH=C(Ph){9-MeAd(-2H)}] presente in 8. Le lunghezze di legame Pt-N(nucleobase) sono 2.112(7) e 2.116(6)Å in 6 e 8 rispettivamente, mentre le distanze Pt-N2 risultano essere 2.043(6) e 2.010(6) Å, valori simili a quelli trovati negli analoghi derivati dell’acetonitrile. In figura 3 è riportata una vista laterale dei complessi dalla quale è evidenziata la conformazione assunta dal legante nucleobase-benzimidamide rispetto al piano di coordinazione del platino. Figura 3. Veduta laterale dei complessi cationici in 6 (sinistra) e 8. 85 I complessi isolati sono stati ulteriormente caratterizzati in soluzione mediante NMR multinucleare, in CDCl3. L’attribuzione delle risonanze H2 e H8 dell’adenina in 8 è supportata da esperimenti 1H,15N HMBC, come appare dalla figura 4. Figura 4. Spettro 1H,15N HMBC NMR di 8 in CDCl3. Le numerazioni degli atomi di azoto è la stessa usata per la struttura ai raggi X. La risonanza H2 a δ 8.28 correla con le risonanze 15N a δ -202 e –143, mentre il protone H8 (a δ 7.95) correla con gli azoti a δ -136 e –224. Quest’ultima risonanza a sua volta correla con i protoni metilici del sostituente N9. La risonanza del protone NH (segnale largo a δ 6.32), correla con l’azoto N2 del nitrile a δ -242 (non riportato in figura), con una 1JNH di circa 80 Hz. I complessi 3-9 contengono pertanto, quale legante anionico, la forma deprotonata delle amidine R riportate nello schema a lato. R I complessi 5-9, a differenza degli analoghi con l’acetonitrile, sono indefinitamente stabili in N(4) H(2)N N(6) H(2)N DMSO o solventi clorurati; la più alta stabilità (7) termodinamica dei prodotti di inserzione del H(3)N N H(1)N benzonitrile è stata attribuita a una più estesa delocalizzazione elettronica di tipo π del legante N N O N organico. E’ da notare che reazioni di accoppiamento (3) Me Me di nitrili con l’azoto esociclico di 9-MeAd e 1-MeCy del tipo qui riportato, hanno solo un precedente in R = Me, Ph letteratura. + + H H R N H (7) N N (3) H H N (1)N R N H N Me N NO3 NO3 (3)N O N Me La protonazione dei complessi 3-9 con soluzione acquosa di HCl ha permesso di isolare i composti amidinici nella loro forma cationica riportata a lato, recuperando il platino come cis-L2PtCl2. Queste nucleobasi funzionalizzate sono state caratterizzate spettroscopicamante in H2O e DMSO e in solido, per la benzamidina contenente la citosina, mediante diffrazione ai raggi X (Figura 5). 86 Figura 5. Struttura molecolare del composto [H2N=C(Ph){1-MeCy(-H)}]NO3. N(4)-C(3) 1.360(3) Å N(4)-C(4) 1.398(2) Å C(3)-N(4)-C(4) 127.54(17)° Le potenziali proprietà di citotossicità dei complessi 5-9, indefinitamente stabili in soluzione di DMSO, e quella dei leganti amidinici, solubili in acqua nella loro forma cationica, verranno valutate nei confronti di appropriate linee cellulari in collaborazione con la Prof. Marzano del Dipartimento di Scienza Farmaceutiche. 87 88 UNITA’ DI RICERCA DI PALERMO Direttore Scientifico: Prof. Lorenzo Pellerito L'attività scientifica dell’unità locale di Palermo, come conseguenza della sua composizione, si è svolta nell’ambito di quattro differenti tematiche di ricerca: 1. Sintesi, struttura allo stato solido ed in soluzione di complessi di ioni metallici ed organometallici con molecole presenti nei sistemi biologici, e loro attività citotossica in vitro ed in vivo. 2. Proprietà termodinamiche standard per la formazione di complessi. 3.Termodinamica di sistemi acquosi copolimero/tensioattivo convenzionale. 4. Indagini Archeometriche. 1. Sintesi, struttura allo stato solido ed in soluzione di complessi di ioni metallici ed organometallici con molecole presenti nei sistemi biologici, e loro attività citotossica in vitro ed in vivo. Nell'ambito del progetto di ricerca proposto dall'unità di Palermo dal titolo "Nuovi complessi metallici ed organometallici con potenziale attività antiproliferativa: metodologie integrate di valutazione", l'attività di ricerca si è sviluppata lungo due diverse linee. La prima, preliminare al progetto, ha riguardato la sintesi, le indagini configurazionali allo stato solido ed in soluzione, mentre la seconda linea di ricerca ha riguardato l'attività citotossica di nuovi complessi metallici ed organometallici nei confronti di organismi modello. E’ stato da noi dimostrato che due complessi della mesotetra(4-sulfonatofenil) porfinato (TPPS) , in particolare (Bu2Sn)2TPPS e (Bu3Sn)4TPPS, inducono apoptosi su cellule umane A375. Per capire come questi composti attivino tale meccanismo su cellule di melanoma abbiamo indagato uptake cellulare di MAPKs e di (Bu2Sn)2TPPS e (Bu3Sn)4TPPS. Esperimenti di Western blotting hanno mostrato l’attivazione della proteina kinases ERK 1/2, JNK e p38 in cellule di melanoma trattate con 10 μM (Bu2Sn)2TPPS- e 1 μM (Bu3Sn)4TPPS, il che suggerisce che le tre MAP kinases sono coinvolte nella morte apoptotica delle cellule A375-trattate. Sono stati inoltre sintetizzati e caratterizzati con metodi spettroscopici (1H, 13C e 119Sn NMR, FTIR, 119 Sn Mössbauer) complessi di dibutilstagno(IV) di composizione Bu2Sn(LH)2, in cui LH è un residuo carbossilato derivato dal 2-[(E)-(5-tert-butil-2-idrossofenil)diazenil] benzoato (L1H) con una molecola di acqua (1), dal 4-[(E)-(5-tert-butil-2-idrossifenil)diazenil]benzoato (L2H) (2) e dal 4-[(E)-(4-idrossi-5-metilfenil)diazenil]benzoato (L3H) (3). Il complesso (1) è stato inoltre caratterizzato determinandone la struttura cristallina. La struttura molecolare e la geometria dei complessi (1) (senza molecola di acqua) e (3) sono state ottimizzate mediante metodi quanto meccanici (PM6). I complessi (1) e (3) mostrano attività citotossica in vitro nei confronti di linee cellulari di tumori umani quali A498, EVSA-T, H226, IGROV, M19 MEL, MCF-7 e WIDR. Il composto (3) è quattro volte più attivo del CCDP nei confronti delle linee cellulari A498, EVSA-T e MCF-7. E’ inoltre quattro, otto e sedici volte più attivo di ETO nei confronti delle linee cellulari A498, H226 and MCF-7. Inoltre sono stati sintetizzati ed indagati, con analoghe tecniche spettroscopiche, complessi di trifenilstano con composizione Triphenyltin(IV) complexes of composition [Ph3SnL1H]n e [Ph3SnL2H]n (L1H= 2-[(E)-2-(3-formil-4-idrossifenil)-1-diazenil]benzoato e L2H = 2-[(E)-2-(4-idrossifenil-5-metilfenil)-1-diazenil]benzoato) e la loro struttura molecolare e la loro geometria ancora una volta ottimizzate con metodi quanto meccanici (PM3). Anche questi complessi mostrano attività antitumorali nei confronti delle linee cellulari A498, EVSA-T, H226, IGROV, M19 MEL, MCF-7 e WIDR superiori al CCDP, al 5-FU ed all’ETO. La loro attività è ben 22 volte (A498), 33 volte (H226) maggiore del CCDP , e ben 13 volte (A498), 39 volte(H226) e 33 volte (MCF-7) rispetto all’ETO. 89 Sono stati inviati per la pubblicazione su Journal of Organometallic Chemistry e sul Journal of Inorganic Biochemistry due lavori concernenti la sintesi , la caratterizzazione strutturale ed indagini citotossiche nei riguardi di cellule cancerogene epatiche di derivati tri e diorganostagno(IV). In particolare, i diorganostagno derivati della N-acetl-L-cisteina sono stati oggetto di un brevetto. 2. Proprietà termodinamiche standard per la formazione di complessi. Coerentemente con la linea di ricerca condotta negli ultimi anni, le indagini condotte nel 2009 sono state indirizzate allo studio delle proprietà acido base di sistemi di interesse ambientale e biologico. In particolare: a) è stato messo a punto un modello di protonazione di leganti polielettrolitici di sintesi (poliacrilati e polimetacrilati e poliallilammina) e di origine naturale (acidi fulvici, acidi umici, chitosano, pectina, etc.) secondo il quale l’unità monometrica di ogni polielettrolita viene considerata come una unità diprotica le cui proprietà acido base possono essere definite semplicemente da due costanti di protronazione KH1 e KH2 nellintero intervallo di pH acido. Questo modello, testato su un elevato numero di polielettroliti, ha fornito risultati molto simili a quelli ottenibili dalle classiche equazioni di Henderson-Hasselbach e di Hogfeldt, dimostrando di potere essere utilizzato con notevole riduzione di difficoltà nei calcoli (nota 1). Sulla base dei risultati ottenuti dalle indagini di cui al punto a) sono state definite le proprietà acido base e la capacità di interazione dei singoli sistemi b) la stabilità di specie complesse formatesi dalla interazione di policarbossilati di sintesi (poliacrilati e polimetacrilati) con ioni rame (II) e cadmio (II); lo studio, condotto mediante potenziometrica ISE-H+ e ISE Me2+, è stato finalizzato alla possibilità di uso di detti polilettroliti come agenti sequestranti nei confronti di ioni metallici; (nota 2) c) sono state definite le proprietà acido-base, la solubilità in soluzione acquosa e i coefficienti di attività del sistema chitosano (nota 3) per il quale è stata anche messa in evidenza la capacità di interazione come catione di poliammonio nei confronti di ioni e molecole con caratteristiche di basi di Lewis; d) In relazione al punto c) è stata studiata, in particolare, la capacità di interazione del chitosano (nella sua forma protonata) nei confronti di leganti carbossilici a basso e ad alto peso molecolare (nota 4) e fosforici inorganici (fosfati e pirosfofati) e organici (ATP) (nota 5). I risultati sono stati messi in relazione all’interesse spesso riportato in letteratura per l’uso del chitosano nel settore biomedico. 3. Termodinamica di sistemi acquosi copolimero/tensioattivo convenzionale L’attività scientifica è stata indirizzata allo studio di macromolecole interagenti con fasi disperse in ambiente acquoso e in matrice solida basandosi su studi termodinamici, strutturali e spettroscopiche. L’attività scientifica può essere così riassunta: 1) Sistemi auto-organizzati di nuovi idrogelators - E’ stata effettuata una dettagliata caratterizzazione chimico-fisica di un nuovo tensioattivo fluorurato che forma gels a concentrazione molto diluita. A tal fine, sono state adoperate diverse tecniche quali la calorimetria differenziale a scansione (DSC), la termo gravimetria (TGA), la spettroscopia di fluorescenza, la densità, la diffusione dinamica della luce, la viscosità e la microscopia ottica. 2) Nanocompositi costituiti da copolimeri biocompatibili - I nanocompositi sono materiali che esibiscono strutture uniche e proprietà straordinarie assenti nei tradizionali compositi (stabilità termica e meccanica, ridotta infiammabilità, proprietà di barriera, ecc.) caratterizzati dalla presenza di nanofillers. L’attività di ricerca nel campo dei nanocompositi ha riguardato la sintesi e la caratterizzazione di nanomateriali costituiti da nanoargille e nanosilice e macromolecole. Gli studi si sono basati sulle tecniche di DSC, diffrazione a raggi X (XRD) e SANS. Studi di DSC e TGA a velocità variabili di riscaldamento/raffreddamento hanno permesso di studiare la cinetica del processo di cristallizzazione/degradazione dei nanocompositi. Esperimenti SANS hanno 90 mostrato che la presenza di strutture frattali che determinano il comportamento macroscopico dei nanocompositi. 4. Indagini Archeometriche. Una delle caratteristiche irrinunciabili delle tecniche di indagine di reperti di interesse archeologico è quella di essere non invasive e quindi non distruttive. Altra caratteristica importante è di essere in grado, se necessario, di investigare materiali di varia natura (pietre, metalli, legni) e talvolta anche di grande spessore e/o dimensioni. Fra le varie tecniche che di recente abbiamo usato per investigare reperti di interesse archeologico o per sviluppare metodi di recupero di beni culturali, quelle tomografiche e radiografiche ci hanno fornito risultati interessanti. Infatti l'utilizzo delle tecniche tomografiche, già ampiamente sperimentate in campo diagnostico e medico, permette l'analisi approfondita di campioni di interesse culturale senza intaccarne l'integrità. In alcuni casi abbiamo applicato solo la tomografia neutronica, scelta per la debole capacità di interazione del neutrone con i nuclei atomici, con conseguente basso coefficiente di assorbimento in relazione alle specie ad alto numero atomico (p.e. i metalli), in genere completamente opachi ad altri tipi di tecniche simili. Ciò consente quindi l'ispezione di campioni di massa notevolmente più grande rispetto a quanto altre sonde permettono di fare. Nel caso di materiali lignei, che abbiamo iniziato ad investigare nell’ottica di confrontare l’efficacia dei processi di restauro ad essi applicati, abbiamo anche applicato la tecnica della Tomografia X. Le caratteristiche complementari delle due tecniche tomografiche, sembrano essere molto promettenti. Figura 1- Ricostruzione (a destra) di un Figura 2 - Ricostruzione di reperto di nave affondata. L’immagine del chiodo è stata estratta dalla ricostruzione. reperto di relitto di nave del IV secolo La figura 1 mostra la ricostruzione tomografica di un reperto fortemente concrezionato recuperato da una nave affondata presumibilmente fra il IV ed il V secolo D.C. Si tratta di una forcella ricoperta di uno strato di calcare spesso. La notevole penetrabilità dei neutroni ha consentito di individuare l'oggetto. La figura 2 mostra una campione (foto a sinistra), la ricostruzione tomografica (immagine al centro) e l'immagine dell'oggetto contenuto all'interno del reperto. Anche in questo caso la notevole penetrabilità dei neutroni ha consentito di individuare l'oggetto. Diverso è il caso di materiali legnosi consolidati con materiali vari. In questo caso l'uso combinato di Tomografia X (TX) e Tomografia N (TN) consente di sfruttare le caratteristiche complementari che hanno le due sonde. Le immagini di TX sono a più elevata risoluzione spaziale, ma non riescono a mettere in evidenza la migrazione del materiale consolidante (tipicamente formato da tomi leggeri), al contrario dei neutroni che forniscono immagini di risoluzione spaziale inferiore, ma mettono in evidenza chiaramente la distribuzione spaziale del materiale consolidante. 91 Tutti i reperti investigati, tranne i materiali lignei, ci sono stati gentilmente forniti dalla Soprintendenza del Mare della Regione Sicilia, ed appartengono a relitti di navi naufragate vicino alla costa Siciliana. 92 UNITA’ DI RICERCA DI PARMA Direttore Scientifico: Prof.ssa Marisa Ferrari Belicchi Sono di seguito descritti i risultati ottenuti nell’anno 2009 relativamente all’attività svolta nell’ambito della tematica “Nuovi farmaci inorganici in oncologia”. Approfondimento del meccanismo di morte cellulare programmata non apoptotica attivata da complessi di Cu(II). Il progresso nelle terapie antitumorali richiede una migliore comprensione di come le cellule tumorali sono indotte a morire. Benchè in passato il meccanismo apoptotico sia stato considerato come l’unico processo in grado di uccidere le cellule tumorali, il ruolo di altri tipi di morte programmata inizia ad essere riconosciuto come risposta alla terapia antitumorale. Un tipo di morte cellulare caratterizzato da una specifica morfologia cellulare si è osservato durante lo sviluppo embrionale ma anche in malattie neurodegenerative. Quest’ultimo processo di morte cellulare è caratterizzato da una massiva vacuolizzazione citoplasmatica ed è noto come paraptosi. Molti studi hanno riportato questo tipo di morte cellulare, ma il meccanismo di azione che lo caratterizza a livello molecolare non è ancora stato ben chiarito. Una serie di composti triazolici complessati con Cu(II) sono stati sintetizzati e tra questi il più efficace nei confronti di diverse linee cellulari è risultato essere [CuCl2(H2L)]Cl dove HL = 4-ammino-1,4-diidro-3-(2-piridil)-1,2,4-triazolo-5-tione (A0). Sulla linea cellulare HT1080, A0 e il cisplatino hanno mostrato attività antitumorale comparabile, ma il tipo di morte indotta dai due composti è diversa. Mentre il cisplatino induce la tipica apoptosi caspasi-dipendente, A0 inibisce l’attività della caspasi-3 e dà origine a un processo di morte programmata che non presenta i tipici tratti apoptotici. In particolare, grossi vacuoli derivanti dal reticolo endoplasmatico sono la caratteristica morfologica più evidente del processo di morte indotto da A0. In seguito al trattamento con A0 si ha un notevole incremento di rame intracellulare e un incremento della concentrazione del glutatione ossidato. Come confermato da altri complessi di Cu(II), è possibile che A0 possa espletare la sua funzione in seguito all’inibizione del proteasoma, fatto che porta all’accumulo di proteine “misfolded” che risultano essere tossiche per la cellula. Durante questo anno sono state confrontate le differenti risposte da parte di diverse linee cellulari trattate sia con A0 che con cisplatino e si è approfondito il meccanismo di azione di A0. Tale studio ha mostrato una ben definita risposta trascrizionale e traduzionale che è alla base del meccanismo di morte paraptotico. Uno studio effettuato su un pannello di 48000 geni mediante microarray e l’analisi delle caratteristiche morfologiche delle cellule trattate con A0 e cisplatino hanno mostrato che la risposta cellulare dei due composti è effettivamente differente, in accordo con il diverso meccanismo di morte cellulare, apoptotico per il cisplatino e paraptotico per A0. Inoltre non si è osservata resistenza incrociata tra A0 e cisplatino in due coppie di linee cellulari resistenti e sensibili al cisplatino: C13*(cisplatino-resistenti)/2008(cisplatino-sensibili) e HT1080PTR(resistenti)/HT1080(sensibili). L’analisi mediante microarray ha confermato che l’attività del cisplatino si manifesta per arresto del ciclo cellulare in seguito all’espressione del gene p53, mentre A0 ha mostrato una più ampia risposta trascrizionale. In particolare le due principali categorie di geni che sono attivate da A0 ma non da cisplatino sono quelle legate a 1) stress del reticolo endoplasmatico e 2) geni regolati da presenza di metalli. La dilatazione del reticolo endoplasmatico e la vacuolizzazione sono processi che caratterizzano a livello morfologico la morte paraptotica e, recentemente, è stato osservato un rapporto tra questo tipo di morte cellulare e lo stress del reticolo indotta dagli inibitori del proteasoma. In particolare, lo stress da reticolo è spesso associato alla presenza di proteine “misfolded”, il cui accumulo deriva da una inibizione dell’attività del proteasoma. La risposta che la cellula attiva quando sono presenti grandi quantità di proteine “misfolded” è nota come “unfolded protein response” (UPR). Un legame tra la morte paraptotica indotta da A0 ed UPR è stato ottenuto mediante l’utilizzo della mappa di connettività. In particolare, il set di geni che sono attivati o inibiti solo da A0 e non da cisplatino ha una notevole 93 somiglianza con le risposte a ben noti induttori di UPR e che sono inibitori del proteasoma: geldanamycin, 17-allylamino-geldanamycin e MG-132. È interessante notare che il punteggio più alto di somiglianza è stato ottenuto per il 15-delta-prostaglandin J2 che ha dimostrato indurre una morte cellulare paraptotica sorprendentemente simile a quella provocata da A0. Inoltre, l'analisi microarray effettuata su cellule di tumore trattate con un putativo inibitore del proteasoma, ha identificato una serie di 28 geni up-regolati, 21 dei quali sono stati anche up-regolati da A0. Queste osservazioni, insieme con la capacità di A0 di aumentare la quantità di proteine poli-ubiquitinate, ci ha spinto a valutare se A0 inibisce direttamente l'attività del proteasoma. I risultati dimostrano che il complesso di rame inibisce significativamente l'attività chimotripsinica del proteasoma. Tuttavia, nonostante la parziale sovrapposizione di attività di A0 e di inibitori del proteasoma, solo questi ultimi eseguono la morte cellulare attivando la caspasi, mentre il complesso di rame inibisce la caspasi-3 e attiva un programma di morte caspasi-indipendente. Pertanto, la morte cellulare paraptotica può essere un percorso di backup di morte delle cellule che si verifica quando è raggiunta una quantità critica di proteine “misfolded” e, contemporaneamente, la macchina apoptotica è ostacolata. Proponiamo un modello per il meccanismo d'azione di A0, sulla base sia delle prove sperimentali che dei dati riportati in letteratura. Secondo questo modello, il trattamento delle cellule tumorali sensibili con il complesso di rame provoca un sovraccarico della quantità di metallo intracellulare, evento ritenuto la causa primaria del danno cellulare. Di conseguenza, le proteine poli-ubiquitinate si accumulano, a causa di 1) perturbazione del folding delle proteine, 2) danno selettivo ossidativo delle proteine e 3) danno diretto al proteasoma. Il nostro modello suggerisce inoltre che l'accumulo di proteine misfolded sia alla base dello stress del reticolo endoplasmatico e di UPR. Coerentemente, le cellule trattate con A0 mostrano una morfologia alterata del reticolo endoplasmatico caratterizzata da una massiccia vacuolizzazione. L’inibizione del proteasoma mediata dal rame impedisce la degradazione delle proteine “misfolded”, determinando l’attivazione del meccanismo di morte programmata dipendente da UPR. La capacità di A0 di provocare un notevole stress al reticolo endoplasmatico, e al tempo stesso, di inibire la caspasi-3, spinge la cellula verso il tipo di morte cellulare paraptotico. Modulazione di UPR in cellule tumorali HT1080 operata da A0. a, immunoblot analysis of the expression of GADD34, CHOP, and BIP. GAPDH was used as loading control. b, analysis of XBP-1 mRNA splicing. qRT-PCR analysis was performed with primers designed to recognize selectively the spliced form of XBP-1 mRNA. c, detection of ubiquitinylated proteins. The immunoblot analysis was performed with an antiubiquitin antibody. Molecular weights (kDa) were indicated, and α-tubulin was used as loading control. d, effect of A0 on proteasome activity. Dose response curves for the inhibitory effect of A0 and CuCl2 on the chymotrypsin-like activity were obtained incubating HT1080 cell extracts with the fluorogenic proteasome substrate in the absence (control) or in the presence of the compounds at indicated concentrations. The effect of 2.5 µM MG132 is shown for comparison. e, influence of A0 on changes in cell viability induced by the proteasome inhibitor MG132. Cells were incubated for 24 h with the indicated concentrations of MG132 in the presence (black bars) or absence (white bars) of 20 µM A0. g, effect of protein synthesis inhibition on the A0-induced cell death. HT1080 cells were left untreated or treated for 24 h with A0 25 µM, 94 cycloheximide (2 µg/ml), or both. After treatment, the activity of lactate dehydrogenase released in the medium was assessed and reported as arbitrary units. h, effect of protein synthesis inhibition on the A0-induced accumulation of ubiquitinylated proteins. Cells were incubated under the same condition adopted for LDH assay. Molecular weights (kDa) are indicated and α-tubulin reported as loading control. Sintesi, caratterizzazione, attività antiproliferativa e citotossica di complessi di rame e nichelio con tiosemicarbazoni. Proseguendo nello studio di complessi di nichelio e di rame con tiosemicarbazoni, SN ed SNO chelanti, è emerso che il complesso di nichelio con il tiosemicarbazone del citronellale (H-S-tcitr), nella sua forma S, ([Ni(S-tcitr)2]), entra nella cellula in quantità significativa, inibisce la proliferazione cellulare, induce apoptosi e influenza il ciclo cellulare su linee cellulari leucemiche umane. Successivamente, per verificare l’effetto biologico cooperativo di due diverse specie chimiche e per cercare di migliorare la solubilità in acqua, abbiamo modificato il tiosemicarbazone del citronellale (H-S-tcitr) funzionalizzando l’atomo di azoto terminale con il radicale etilmorfolinico. I nostri studi si sono quindi indirizzati alla sintesi ed alla caratterizzazione chimica/biologica del legante S O + N NH H2N NH NH S NH N O N O S-citronellal etilmorfolinotiosemicarbazone (EtMorfH-S-tcitr) e dei relativi complessi di rame e di nichelio [Cu(EtMorf-S-tcitr)2] e [Ni(EtMorf-S-tcitr)2]. L’analisi ai raggi X dei complessi ha dimostrato che sono isomorfi, con lo ione metallico su un centro di simmetria. La geometria di coordinazione è quadrata planare ed è determinata da due molecole di legante che si comporta da SN bidentato in forma deprotonata. Data l’importanza dello studio del meccanismo di trasporto di chemioterapici a base metallica nella cellula fra membrana del plasma e membrana del nucleo, per il legante ed i complessi in esame è stato determinato il coefficiente di partizione fra un solvente idrofobico, ottanolo, e acqua. In generale composti con valori di log Pow minori di 1,5 tendono a mostrare una minima distribuzione in membrane lipidiche, mentre composti con valori compresi tra 2 e 4 mostrano un’ottima distribuzione nelle stesse membrane (ad es. il complesso CuKTSM2, un tiosemicarbazonato di rame, che ha una buona attività antitumorale, presenta un valore di log Pow >2 ed è stato verificato che tende ad essere distribuito attraverso il doppio strato lipidico). Nel nostro studio il legante libero presenta un log Pow di 3,55±0,61, mentre i due complessi metallici [Cu(EtMorf-S-tcitr)2] e [Ni(EtMorf-S-tcitr)2] mostrano un valore di log Pow rispettivamente di 3,14±0,44 e 3,27±0,39. Si può osservare quindi che il legante ed i relativi complessi hanno coefficienti di partizione simili. Questo comportamento può essere giustificato dal fatto che nei due complessi a natura molecolare con la chelazione metallica viene mascherata la parte polare del legante e privilegiato il ruolo delle lunghe catene alifatiche apolari. 95 % of inhibition Sono state poi studiate le proprietà antiossidanti dei complessi in esame nei confronti di specie radicaliche; in particolare abbiamo eseguito alcuni saggi di “scavenging” verso i radicali: NO e DPPH. (diphenylpycrilhydrazide). Particolarmente importanti sono le prove come “scavanger” nei confronti di NO, se si considera che la sovraproduzione di NO è implicata in un’ampia varietà di malattie. Risulta quindi rilevante poter regolare l’eccesso di NO prodotto. Lo “scavenging” di NO è stato valutato mettendo in incubazione nitroprussiato di sodio con diverse concentrazioni dei due complessi a 25°C. Negli esperimenti è stata misurata la quantità di nitrito prodotto da NO nel mezzo di reazione utilizzando il reattivo di Griess. Ad una concentrazione 1µM entrambi i complessi distruggono circa il 40% di NO prodotto e ad Cu(II) complex (2) Ni(II) complex (3) una concentrazione 10 µM [Cu(EtMorf-S70 tcitr)2] e [Ni(EtMorf-S-tcitr)2] distruggono rispettivamente circa il 45% e 55% di NO 60 prodotto (Figura a lato). Successivamente è stata 50 valutata l’attività di “scavenging” nei confronti 40 del radicale DPPH. riportata nella figura 30 sotto. Per il complesso di rame nessuna attività 20 si presenta fino ad una concentrazione 10 µM e 10 a 50 µM è distrutto solo il 25% di radicale 0 prodotto. Il complesso di nichelio invece non 0 1 10 50 mostra alcuna attività a qualsiasi livello di Complex ( M) concentrazione usato. E’ da notare che la generale scarsa attività antiossidante di questi complessi metallici a bloccare radicali ossidanti monoelettronici potrebbe essere attribuita all’impossibilità a donare o ricevere un elettrone a causa della loro stabilità redox. La più alta attività di ”scavenging” verso NO potrebbe essere giustificata dal piccolo ingombro sterico, rispetto al radicale DPPH., che permette un miglior avvicinamento al centro metallico. 30 % of inhibition 25 20 15 10 5 0 Per quanto riguarda la valutazione di proprietà biologiche sono state eseguite prove di inibizione della proliferazione sulla linea cellulare di linfoma istiocitico U937 mediante saggio MTS, un metodo colorimetrico per determinare il numero di cellule in proliferazione. Le cellule sono state trattate con differenti concentrazioni dei composti (0,5, 1,5, 10, 50 µM) per 24 h. Nel range delle dosi usate, il legante non induce nessuna alterazione di proliferazione, mentre i due complessi metallici mostrano significativa attività biologica. La più alta inibizione dose-dipendente della crescita confrontata con il controllo (DMSO 5%) di cellule non trattate era rilevata dopo trattamento con il complesso di rame. La concentrazione che inibisce del 50% la crescita delle cellule (GI50) o 100% (TGI) era 2,3 µM e 4,6 µM per il complesso di rame e 12,3 µM e 26,5 µM per il complesso di nichelio. Inoltre una forte attività citotossica è stata rilevata e il livello di effetto LC50 (50% di concentrazione letale) è stato raggiunto a 7,0 µM e 40,7 µM rispettivamente per il complesso di rame e quello di nichelio. I saggi biologici mostrano che l’attività antiproliferativa dei complessi in esame è influenzata positivamente dalla presenza del frammento 0,1 1 10 50 Complex ( M) 96 morfolinico, essendo più elevata di quella osservata per gli analoghi complessi senza sostituenti studiati in precedenza e saggiati alla stessa concentrazione. In parallelo sono stati fatti studi per valutare l’influenza dello stato di ossidazione del rame sulle proprietà biologiche di complessi con derivati tiosemicarbazonici. In particolare sono stati studiati tiosemicarbazoni di rame(I) in relazione anche alla loro stabilizzazione in soluzione acquosa. I reagenti utilizzati sono stati l’acetato e il nitrato di bis(trifenilfosfina)rame(I), scelti per la presenza della trifenilfosfina che stabilizza il rame nel suo più basso stato di ossidazione e che, in analogia a quanto riportato in letteratura per complessi di rame(I) con tioamidi, potrebbe influenzare positivamente la solubilità. Questi sali sono stati fatti reagire con una serie di derivati del tiosemicarbazone del piruvato di metile (Hmpt), legante potenzialmente SNO tridentato, contenenti sull’azoto terminale sostituenti di diversa natura e dimensione: etile, fenile, metilfenile (Et-Hmpt, Ph-Hmpt, MePh-Hmpt). S NH S N NH S NH NH N NH N NH O O O O O O Variando sia il solvente che il controione del sale di rame, siamo riusciti ad imporre ai leganti un comportamento chelante NS. Sono stati caratterizzati mediante spettroscopia IR, 1H NMR, EPR e analisi diffrattometrica ai raggi X i complessi: [Cu(PPh3)2(Et-Hmpt)]2(NO3)2, [Cu(PPh3)2(PhHmpt)]NO3 , [Cu(PPh3)2(MePh-Hmpt)]NO3, [Cu2(O2CCH3)(Et-pt)(PPh3)2].H2O, [Cu(Phmpt)(PPh3)] e [Cu2(MePh-mpt)2(PPh3)2]. I complessi ottenuti dai nitrati sono cationici con il nitrato come controione, mentre quelli derivati dall’acetato presentano leganti deprotonati e alcune caratteristiche strutturali inattese. In particolare il composto . [Cu2(O2CCH3)(Et-pt)(PPh3)2] H2O è risultato essere un complesso dinucleare a valenza mista con un atomo di ossigeno dell’acetato e un atomo di zolfo del tiosemicarbazone disposti a ponte fra i due ioni Cu(I) e Cu(II) con geometrie di coordinazione rispettivamente tetraedrica e quadrata planare (vedi figura a lato). Il complesso [Cu2(MePh-mpt)2(PPh3)2] si presenta invece come un cluster dinucleare con l’atomo di zolfo a ponte tra due atomi Cu(I). 97 98 UNITA’ DI RICERCA DI PAVIA Direttore Scientifico: Prof. Luigi Casella Gruppo di Ricerca del Prof. Luigi Casella Attività scientifica L’attività del gruppo di Pavia si è focalizzata sullo studio della modificazione chimica di proteine indotta enzimaticamente in seguito a stress ossidativo e nitrativo e per effetto di chinoni reattivi. Sono state in particolare studiate le conseguenze strutturali e funzionali di tali modificazioni sui membri principali della famiglia delle globine, mioglobina, emoglobina e neuroglobina, e sono stati identificati i residui coinvolti. Dopo aver studiato in modo esteso gli effetti della modificazione da parte della dopammina, il neurotrasmettitore utilizzato dai neuroni della substantia nigra, che risultano selettivamente danneggiati nel corso della malattia di Parkinson, nel corso dell’ultimo anno gli studi di modificazione di proteine sono stati estesi alla noradrenalina. Questa catecolammina viene infatti utilizzata come neurotrasmettitore in altri distretti cerebrali della zona mediana del cervello, come il locus coeruleus; anche se la presenza di quantità minori di neuromelanina in questo tipo di neuroni risulta inferiore a quella della substantia nigra la reattività dei chinoni prodotti dalla noradrenalina in seguito a stress ossidativo può potenzialmente produrre effetti analoghi a quelli della dopammina. In effetti queste previsioni sono confermate dai nostri risultati preliminari. L’aspetto più generale che emerge sia dagli studi effettuati con dopammina sia da quelli effettuati utilizzando noradrenalina è che la modificazione di un numero limitato di residui produce già una significativa riduzione della stabilità delle proteine e induce una forte tendenza a formare aggregati. Nel campo dello studio dei rame enzimi si è affrontato lo studio a bassa temperatura dell’intermedio ternario della tirosinasi, costituito da enzima/ossigeno/fenolo, che rappresenta la specie chiave nel meccanismo di ossidrilazione dei fenoli (attività monofenolasica). Per condurre questo studio è stato necessario utilizzare un solvente misto acquoso-organico, nel quale l’enzima si comporta in maniera simile al mezzo acquoso, e individuando un substrato particolarmente lento dell’enzima quale il 3,5-difluorofenolo. L’attività dell’enzima su questo substrato è stata caratterizzata intercettando il prodotto chinonico con glutatione, che con il suo gruppo tiolico reattivo reagisce rapidamente con il chinone a mano a mano che si forma. Seguendo poi la reazione enzimatica alla temperatura di -30 °C tramite lo spettro caratteristico della forma ossigenata della proteina si è potuto stabilire che l’introduzione del fenolo e il successivo turnover dell’enzima avvengono senza alcun cambiamento significativo dello spettro, per cui la forma perossidica dell’addotto con ossigeno costituisce la specie ossidante dell’enzima. Nel campo dei modelli biomimetici della tirosinasi si è riprodotta l’attività ossidativa dell’enzima sui solfuri organici per dare i corrispondenti solfossidi in presenza di un opportuno co-substrato. Mentre nel caso della tirosinasi il co-substrato più efficace era un catecolo, la L-dopa, utilizzando complessi binucleari di rame si è trovato che il co-substrato più conveniente è l’idrossilammina. L’attività catalitica di complessi di rame nella solfossidazione è stata descritta qui per la prima volta utilizzando ossigeno molecolare e l’efficienza catalitica si dimostra paragonabile a quella dei migliori catalizzatori metallici fino ad oggi riportati. Gruppo di Ricerca del Prof. Luigi Fabbrizzi Attività scientifica L’attività di ricerca del progetto è stata rivolta alla sintesi di nuovi recettori e sensori per piccole molecole e anioni e allo studio delle interazioni tra recettore e substrato. Sono stati sintetizzati nuovi recettori per anioni basati su Criptati dimetallici con spaziatori attivi e cavità insolitamente ampie. In questi sistemi del tipo bistren, due subunità tetramminiche tripodali sono covalentemente connesse da spaziatori. La gabbia bistren, secondo un meccanismo a cascata, include prima due ioni metallici, es. CuII, che, coordinativamente insaturi, sono capaci di incapsulare anioni ambidentati, determinando una selettività geometrica. Tale selettività è 99 essenzialmente determinata dal tipo di spaziatore congiungente gli atomi di azoto amminici terminali delle due subunità tren. In particolare, sono stati considerati criptandi del tipo bistren nei quali lo spaziatore esercita un ruolo attivo, interagendo con l’anione incapsulato. E’ il caso dello spaziatore furano che è capace di stabilire interazioni con gli ioni cloruro e bromuro attraverso la donazione di densità elettronica dagli orbitali π di legame dei due legami C=C agli orbitali dπ vuoti dell’alogenuro. a: criptando bistren con spaziatori furanici; b: addotto del criptato dirameico con lo ione Br-. E’stato poi studiato il sistema bistren nel quale lo spaziatore è rappresentato da due subunità furaniche tra loro legate in 2, 2’ da un frammento –CH2−. Il criptato dirameico di questo legante è in grado di riconoscere selettivamente il guanosinmonofosfato (GMP) rispetto ad altri nucleosidi monofosfati (NMP) in soluzione di H2O/MeOH a pH=7. Il riconoscimento viene segnalato efficacemente tramite lo spostamento dell’indicatore 6-carbossifluoresceina legato al recettore, monitorandone l’emissione fluorescente nel giallo. Esperimenti di titolazione hanno messo in luce che sono simultaneamente presenti parecchi equilibri che coinvolgono i complessi 1:1 e 2:1 recettore/NMP e recettore/indicatore. E’ stato dimostrato che l’aggiunta di NMP sposta l’indicatore dal complesso 2:1 recettore/indicatore, formando il complesso di inclusione 1:1 recettore/substrato. La selettività nel riconoscimento èpertatnot da ascrivere alla natura degli atomi donatori del nucleotide coinvolti nella coordinazione e alla lorocapacità di coprire la distanza CuII-CuII all’interno del criptato. Ulteriori studi hanno riguardato la sintesi di recettori per anioni basati su complessi di rame con macrocicli della famiglia degli azacyclam. 100 I complessi 32+ e 42+ sono stati preparati per mezzo di una sintesi assistita dallo ione metallico, partendo dalla tetrammina lineare, formaldeide e una fenilurea come frammento di chiusura. Le interazioni tra complesso e anione coinvolgono sia il centro metallico che il gruppo ammidico NH. L’affinità dei complessi 32+ e 42+ nei confronti di anioni è stata valutata con studi spettrofotometrici in soluzionedi DMSO: si è osservato che in queste condizioni né il gruppo NH di un sistema ammidico modello né il complesso di rame del normale legante azacyclam sono in grado di interagire con anioni, mentre i complessi 32+ e 42+ stabiliscono forti interazioni con anioni ossigenati, profittando di un forte effetto cooperativo. In particolare, si formano gradualmente complessi stabili con lo ione H2PO4- con stechiometrie 1:1 e 1:2 in cui sono presenti sia interazioni di legame a ponte di idrogeno che interazioni coordinative metallo-legante. Inoltre, in presenza di un anione basico come CH3COO- i complessi presentano deprotonazione del gruppo NH ammidico e così profittano della coordinazione assiale dell’ossigeno carbonilico con parziale carica negativa in una modalità tipo scorpionato. 101 102 UNITA’ DI RICERCA DEL PIEMONTE ORIENTALE Direttore Scientifico: Prof. Domenico Osella L’attività di ricerca si inquadra nelle sezioni tematiche “a” (Diagnostici innovativi in oncologia e malattie cardiovascolari), “c” (Biomateriali e biocristallografia), ”d” (Biosensori e biostrumentazione) ed “e” (Nuovi farmaci inorganici in oncologia) del Consorzio CIRCMSB. Agenti di contrasto per MRI (tematica a). L’attività svolta in questo anno è stata indirizzata a: i) sintesi di nuovi leganti con caratteristiche ad hoc per la preparazione di complessi di Gd(III) con numero di idratazione pari a 2 ed atti alla coniugazione a substrati macromolecolari e/o nanosistemi; ii) sviluppo di sonde paramagnetiche ad elevata efficacia incorporate in strutture di tipo micellare, liposomico e nanosistemi mesoporosi; iii) studio di nuovi complessi della famiglia HOPO; iv) indagine sistematica su una serie omogenea di multimeri paramagnetici per uso ad alto campo e confronto della relassività ionica con simulazioni teoriche. Leganti AAZTA-like Il legante AAZTA, progettato e realizzato nei laboratori dell’unità di ricerca, è COOH COOH stato oggetto negli ultimi anni di numerose investigazioni. AAZTA forma N COOH infatti con Gd3+ un complesso paramagnetico le cui proprietà sono N estremamente interessanti dal punto di vista di una potenziale applicazione N come agente di contrasto per MRI. Un punto di forza di tale legante è AAZTA COOH rappresentato dalla significativa stabilità del relativo complesso con il lantanide nonostante la denticità ridotta (7 atomi/gruppi donatori). Per approfondire la conoscenza del comportamento coordinativo del legante è stato compiuto nell’anno 2009 uno studio dettagliato della stabilità dei complessi di tale legante con altri metalli, nel dettaglio metalli alcalino-terrosi, metalli di transizione di interesse biologico ed altri lantanidi. Ne emerge un quadro dal quale si evince che la stabilità dei complessi Ln-AAZTA aumenta al diminuire del raggio ionico e raggiunge nel caso degli ultimi rappresentanti della serie valori comparabili a quelli di classici leganti a denticità superiore. Sono stati inoltre condotti studi cinetici che hanno permesso di gettare luce sul meccanismo di decomplessazione/transmetallazione dei complessi lantanidi-AAZTA. Nell’anno in questione sono proseguiti studi applicativi di complessi di Gd3+ COOH COOH con leganti AAZTA-like lipofili. Tra essi, il complesso Gd-HDAAZTA N COOH caratterizzato da una lunga porzione alifatica è stato utilizzato per formare N C17H35 addotti non covalenti con HDL (High Density Lipoproteins). Le dimensioni N di queste ultime particelle sono tali da moltiplicare la rilassività del HDAAZTA COOH complesso paramagnetico, portandola a valori circa quattro volte superiori a quelle del complesso in forma monomolecolare e non associata. Analoghi sistemi formati da altri complessi paramagnetici lipofili in associazione con HDL mostrano valori di rilassività nettamente inferiori a quelli mostrati da addotti HDL-Gd-HDAAZTA e ciò è da ascrivere all’eptadenticità del legante, che permette a due molecole di acqua di far parte della prima sfera di coordinazione, aumentandone l’efficienza senza comprometterne la stabilità in condizioni fisiologiche. Al fine di sfruttare maggiormente le potenzialità dei complessi di AAZTA COOH COOH in sistemi biologici, è stato progettato un analogo bifunzionale del legante. N COOH Tale analogo (HMAAZTA) possiede un gruppo ossidrilico alcoolico non HO N impiegato per la coordinazione al centro metallico, è quindi sfruttabile per N la coniugazione covalente a biomolecole o altri target di interesse HMAAZTA COOH diagnostico. La sintesi di HMAAZTA, la caratterizzazione del relativo complesso e uno studio preliminare delle potenzialità di coniugazione sono state realizzate e pubblicate. 103 Altri agenti di contrasto La ricerca nell’anno 2009 è stata anche rivolta ad aspetti più prettamente esplorativi, rivolgendo l’attenzione alla preparazione ed alla caratterizzazione di nuovi leganti e nuovi sistemi paramagnetici da impiegare come agenti di contrasto. E’ stata realizzata una struttura legante originale basata su un nucleo triazindiidrazinotetraacetico. L’anello eterociclico, estremamente versatile dal punto di vista della reattività elettrofila, è stato utilizzato come base sulla quale impiantare residui coordinanti, profittando inoltre di uno degli atomi di azoto anulari per la coordinazione di ioni metallici. COOH I leganti così ottenuti (R-TDITA) sono stati impiegati per formare complessi HN N con lantanidi paramagnetici, i quali sono stati caratterizzati mediante misure N COOH rilassometriche, NMR e di fluorescenza, permettendo di determinarne i R N COOH principali parametri chimico-fisici. N HN N Rimanendo su leganti aciclici, in continuazione con studi effettuati gli anni COOH R-TDITA precedenti, è stato preso in considerazione il legante contenente l’anello benzenico sulla struttura dell’EGTA (acido etilenglicole tetra acetico). Con esso abbiamo riportato uno studio termodinamico in soluzione con ioni di metalli di transizione quali Cu2+ e Zn2+ e la struttura cristallografica del complesso di Cu(II). Un ulteriore ricerca è stata condotta a livello preparativo, ove l’impiego di reazioni multicomponente ha permesso l’assemblaggio di leganti e complessi paramagnetici in un unico passaggio. Nel caso specifico, la nota reazione di Ugi tra isonitrili, acidi carbossilici, ammine e composti carbonilici è stata sfruttata per la preparazione di leganti e complessi eteroditopici, il cui accesso sintetico è solitamente ostico. E’ stato inoltre sintetizzato un derivato DOTA-monopropionammide che ha il vantaggio, rispetto al DOTA-monoacetammide, di avere uno scambio della molecola di acqua coordinata due ordini di grandezza più rapido. La maggiore efficienza come agente di contrasto si evidenzia soprattutto nel momento in cui il complesso è legato/inserito in un sistema macromolecolare come abbiamo dimostrato sintetizzando un derivato contenente una catena lipofila atta a formare sistemi micellari. Infine, è stata messa a punto una via sintetica per ottenere derivati funzionalizzati dell’HP-DO3A (Acido 10-(2-idrossipropil)-1,4,7-tetraazaciclododecan-1,4,7-triacetico) per poi legarli a peptidi di interesse biologico. In questo caso è stato studiato il radiolabelling dei derivati dell’HP-DO3A con l’111In(III) che è un radioisotopo usato nella tecnica SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography) usata in medicina nucleare e che è in grado di visualizzare tumori anche con piccolissime dosi di agente di contrasto. Sviluppo di sonde per l’imaging molecolare La messa a punto di sonde per imaging molecolare consiste di due parti: l’ottimizzazione di sistemi ad elevata capacità contrastante nelle immagini di risonanza magnetica e la sintesi di vettori peptidici e non in grado di procedere al riconoscimento di molecole-reporter di alcune determinate patologie per diagnostica oncologica e/o cardiovascolare e. La coniugazione delle due parti permette la preparazione di una sonda per imaging molecolare. I target molecolari sono rappresentati da molecole che siano un’espressione caratteristica del tumore, possibilmente comune a più tipologie di tumore oppure molecole che siano espresse in eccesso o utilizzate in abbondanza nel corso di determinate patologie (ad es. la glutammina come nutriente cellulare). A questo scopo sono state preparate una serie di sonde contenenti il vettore glutammina (Gln) in cui l’unità GdDOTAMA-spaziatore alchilico è mantenuta fissa ma sono variati i siti di ancoraggio alla Gln e il tipo di legame coinvolto per valutare la funzionalità del vettore Gln legato in modo differente al complesso di Gd(III). Nei due casi in cui la sonda rimane con un gruppo amminico o primario o secondario (Gd-L1 e Gd-L3), è stata osservata la formazione di un ciclo ossopirrolidinico sia in ambiente acido che durante la complessazione con Gd3+. Dopo ottimizzazione del processo di sintesi e purificazione, le sonde sono state testate in vitro su colture cellulari tumorali e si è evidenziato che la sonda contenente la Gln legata al DOTAMA-spaziatore tramite il gruppo carbossilico (Gd-L1) viene captata avidamente dalle cellule tumorali, circa 70% in più rispetto alla sonda precedentemente studiata (Gd-DOTAMAC6Gln). 104 Figura 3. Strutture delle sonde contenenti Gln coniugata sfruttando i diversi gruppi funzionali. Infine la Gln è stata coniugata tramite il suo gruppo -NH2 ad un fosfolipide modificato e contenente una lunga catena polietilenglicolica per poi inserirla all’interno della membrana di liposomi con l’intento di renderli riconoscibili dalle cellule tumorali. Sono stati quindi preparati liposomi utilizzando la Gln come vettore legata ad un fosfolipide ed un complesso di Dy(III) del legante commerciale HP-DO3A inserito all’interno del liposoma. In questo caso buoni risultati sono stati ottenuti in vitro su colture cellulari tumorali, ma l’effetto di specificità dato dal vettore è stato perso in vivo a causa dell’uptake da parte di macrofagi associati al tumore sia dei liposomi contenenti il vettore sia di quelli aspecifici. Infine, con lo scopo di accumulare in particelle di dimensioni nanometriche un elevato numero di complessi di Gd(III), questi ultimi sono stati ancorati a due diversi tipi di silici mesoporose quali l’SBA-15 e MCM-41. La presenza di pori di notevoli dimensioni (85 Å nel caso dell’SBA-15 e 35 Å per le MCM-41) poteva supporre la possibilità di ancoraggio dei complessi anche nel loro interno. Questo è infatti ciò che è stato osservato nel caso dei pori di maggiore dimensione, sebbene questo non abbia portato a risultati soddisfacenti in termini di efficienza del mezzo di contrasto probabilmente a causa della limitata diffusione di acqua all’interno dei pori. Risultati migliori sono stati ottenuti ancorando i complessi di Gd sulla superficie esterna delle nanoparticelle di MCM-41 (diametro 20-50 nm). In questo caso una relassività per Gd di 27 e di 9700 mM-1 s-1 per particella è stata misurata considerando 360 unità di complesso legate a ciascuna particella. Nuovi farmaci inorganici in oncologia (tematica e) Farmaci antitumorali a base di Pt(IV) I complessi ottaedrici di Pt(IV) sono comunemente considerati pro-farmaci: la riduzione nell’ambiente ipossico del tessuto tumorale al corrispondente complesso planare-quadrato di Pt(II), cineticamente più labile, sembra essere alla base dell’attività antitumorale dei complessi di Pt(IV). . Pertanto sia la facilità con cui un complesso si riduce che l’efficacia dell’analogo complesso di Pt(II) ne influenzeranno l’attività biologica e la scelta dei leganti diventa un punto chiave nel design di nuovi complessi di Pt(IV) per modularne il potenziale redox e la lipofilia. E’ stata sintetizzata una serie di complessi di Pt(IV) utilizzando come base equatoriale complessi di Pt(II) di nota attività (es. cisplatino e nedaplatino) e variando invece i leganti assiali L (L = carbossilato, cloruro e L ossidrile). I complessi sintetizzati sono stati L' L' L" + 2 L- caratterizzati tramite l’utilizzo L" + 2 ePt Pt L' L' L" L" di RP-HPLC ed NMR multinucleare. La citotossicità L dei complessi è stata testata in vitro su linee cellulari A2780 (carcinoma ovarico umano) e HCT116 (coloncarcinoma umano); 105 inoltre sono stati misurati i potenziali di riduzione di tutti i complessi e sono stati determinati i coefficienti di partizione log Po/w mediante un metodo RP-HPLC. In accordo con altri autori, è stata trovata una correlazione tra i potenziali di riduzione e la citotossicità su linea A2780: i complessi con potenziale di riduzione più positivo (più facilmente riducibili) sono quelli che hanno un effetto citotossico maggiore. Su linea HCT116 tuttavia questa relazione non è sempre rispettata. Inoltre, se si considerano serie omologhe di complessi (cioè con la stessa base equatoriale e con diverso carbossilato assiale) si trova una correlazione tra i log P o/w e la citotossicità: più il complesso è lipofilo e più risulta attivo. Tuttavia se si considera l’insieme dei complessi in analisi, questa relazione non vale. Risulta evidente che un solo parametro non è in grado di spiegare la relazione tra la struttura e l’attività dei complessi. Per eseguire una più accurata analisi, è stato intrapreso uno studio QSAR (Quantitative Structure-Activity Relationship). Risultati preliminari sembrano confermare e completare i risultati della prima analisi qualitativa dei dati. Il ruolo della PSA nello studio delle proprietà dei complessi di platino(II). Il malonato è spesso usato come leaving group nei complessi di Pt usati come farmaci antitumorali. L’uso dei carbossilasi al posto dei cloruri (come nel cisplatino, 1) porta a complessi con maggior solubilità in acqua, minor tossicità sistemica e citotossicità paragonabile. Il malonato, inoltre, è molto usato come gruppo coordinante modificabile sull’atomo di carbonio centrale nelle strategie drug targeting and delivery. E’ stata studiata una serie di complessi di Pt(II) (2-8, figura) con leganti-malonato diversi per garantire un bilancio idrofilico/idrofobico (in termini di coefficiente di partizione log Po/w) e una buona solubilità in acqua. In generale, un aumento della lipofilicità molecolare è associato ad un miglior uptake intracellulare di platino, mentre un aumento della solubilità in acqua porta ad un miglior trasporto nei fluidi extracellulari. I complessi sono stati testati su linea cellulare A2780 (carcinoma ovarico umano) e ne è stato determinato anche l’uptake cellulare. Il complesso senza sostituenti sul malonato (2) ha mostrato un comportamento (attività citotossica ed uptake) simile (seppur inferiore) al cisplatino. O Cl Pt NH3 Cl O O O NH 3 Pt O NH3 NH3 HN O 1 O O NH 3 Pt O NH3 O 2 O NH 3 Pt O NH3 HN O O 3 4 O O NH O NH O O O O O NH 3 Pt NH 3 O HN O NH3 Pt O NH3 HN O O 6 5 H N O O N H O O Pt NH3 O NH3 7 O O N H O 8 O Pt NH3 O NH3 I composti 3-8 hanno mostrato un uptake cellulare scarso ed alquanto costante nella serie. Dai coefficienti di partizione log Po/w dei leganti (variabili entro la serie) ci si sarebbe aspettata invece una variazione nell’uptake dei corrispondenti complessi. Risulta pertanto evidente che l’iniziale design basato sul log Po/w dei leganti è fallito. La Polar Surface Area, PSA (superficie somma su tutti gli atomi polari, inclusi gli idrogeni legati), può essere usata come descrittore della componente polare della lipofilicità dei complessi. PSA sembra codificare molto bene le proprietà dei farmaci che giocano un ruolo importante nella penetrazione della membrana (es. polarità molecolare, legame a idrogeno e solubilità in acqua) e nella diffusione passiva. Composti con PSA ≥ 140 Å2 dovrebbero essere scarsamente assorbiti (≤ 10%), mentre composti con PSA ≤ 60 Å2 (come il cisplatino) dovrebbero essere maggiormente assorbiti (≥ 90%). 106 Per i composti 1-8 sono state calcolate sia l’area superficiale totale (CPK) che la PSA (Spartan). Il cisplatino ed il complesso con il malonato non sostituito hanno PSA minore rispetto ai complessi 3-8, che mostrano valori piuttosto costanti intorno a 140 Å2. Questi risultati sono coerenti con le proprietà biologiche (uptake e IC50) dei complessi. Pertanto PSA risulta un descrittore chiave per spiegare la scarsa attività biologica osservata per i composti studiati, che a sua volta è probabilmente legata allo scarso uptake cellulare dei complessi. Passive drug targeting: l’uso di nanosfere core-shell di PMMA come vettori per il platino Il tessuto tumorale in rapida crescita presenta vasi sanguigni permeabili e un sistema di drenaggio linfatico poco efficiente. Tutto ciò permette la fuoriuscita di macromolecole (≥ 60 KDa) dai vasi sanguigni, che raggiungono e si accumulano nell’ambiente peritumorale (effetto EPR, Enhanced Permeability and Retention). Complessi cisplatino-simili possono essere legati a macromolecole sintetiche, possibilmente solubili in acqua, biocompatibili e biodegradabili, che contengano un braccio spaziatore in grado di coordinare il metallo e diventarne vettori selettivi verso il tessuto tumorale. Tipicamente il braccio spaziatore termina con un legante bidentato di tipo amminico o dicarbossilico. Questo approccio di tipo covalente richiede sempre la presenza di un un legame idrolizzabile al pH delle cellule tumorali o di un legame ammidico idrolizzabile a seguito dell’attacco degli enzimi idrolitici per il rilascio del platino In alternativa, è possibile sfruttare un’interazione elettrostatica tra un complesso di Pt(II) carico ed i bracci del polimero aventi carica opposta, come quella tra il complesso anionico K[PtCl3(NH3)], PtA, e nanosfere core-shell di poli(metilmetacrilato) (ZN2) aventi carica opposta in virtù di gruppi ammonio esterni. L’attività del Cl NH3 risultante coniugato (PtA-ZN2, Figura), è stata testata su Pt melanoma murino B16, sia in vitro che in vivo.Per determinare Cl Cl N l’uptake cellulare delle nanosfere sono state anche sintetizzate delle nanosfere fluorescenti (F-ZN2). La crescita del tumore nei topi trattati con cisplatino o PtA-ZN2 è significativamente diminuita rispetto al controllo mentre il PtA-ZN2 trattamento con PtA si è dimostrato sostanzialmente inefficace. Alla fine del periodo di osservazione la massa del tumore è minore nei topi trattati con PtA-ZN2 rispetto al cisplatino e il contenuto di Pt nei tessuti indica una correlazione tra l’accumulo intra-tumorale di Pt e l’attività antitumorale. Per comprendere meglio il destino di PtA dopo la somministrazione è stata eseguita anche una serie di test in vitro. I test di citotossicità hanno dato i seguenti valori di IC50: 0.41 ± 0.14 µg Pt/ml per il cisplatino, 10.47 µg Pt/ml per PtA e 1.78 ± 0.79 µg Pt/ml per PtA-ZN2. Pertanto, nonostante la rapida dissociazione di PtA dalle nanosfere in presenza di un’alta concentrazione di cloruri (50% in 2h), PtA rilasciato extra-cellularmente da PtA-ZN2 non può essere l’unico agente citotossico in azione quando si somministra PtA-ZN2. L’uptake delle nanosfere aumenta fino a 6 ore e poi non varia più significativamente fino a 24 ore. Siccome entro 2 ore il 50% di PtA è ancora legato al polimero ed una considerevole quantità di ZN2 entra nelle cellule, allora PtA è in parte internalizzato insieme al polimero. Infine, è stato determinato l’uptake in vitro di cisplatino, PtA e PtA-ZN2. Per raggiungere il 50% di inibizione di crescita cellulare devono essere presenti simili quantità di Pt intra-cellulare per PtA e PtA-ZN2: per entrambi i composti è PtA ad essere causa dell’effetto citotossico. Tuttavia, è necessaria una maggiore concentrazione extra-cellulare di Pt per PtA che per PtA-ZN2 per ottenere gli stessi effetti citotossici e lo stesso uptake. Pertanto, l’uptake di Pt avviene in parte per endocitosi della forma coniugata (processo quantitativamente più efficace dell’uptake per diffusione passiva di PtA). Attività antiproliferativa di derivati polifenolici-ferrocenici su cellule di mesotelioma Il ferrocifen (Fc-OH-TAM), un derivato ferrocenico del 4-OH-tamoxifen (4-OH-TAM), il metabolita attivo del tamoxifen, ed il ferrocifenolo (Fc-diOH), sono in grado di inibire la proliferazione di cellule cellule tumorali a concentrazioni attorno 0.5-1 µM. Tuttavia, il meccanismo molecolare che sottende alle proprietà citotossiche dei due composti non è ancora stato 107 completamente delineato. Perciò, abbiamo testato questi composti in vitro su due linee cellulari di mesotelioma maligno (MM), che è una neoplasia strettamente correlata all'esposizione all'amianto. Si tratta di un tumore abbastanza raro, che si caratterizza per difficoltà di cura dovuta sia a problematiche di diagnosi sia alla infausta prognosi. Entrambi i composti Fc-diOH e Fc-OH-TAM sono risultati più potenti nell'inibizione della crescita rispetto al cisplatino (cis-diammini-dicloroplatino, CDDP), scelto come farmaco di riferimento. La cinetica di inibizione della crescita sembrava essere correlata con il numero di divisioni cellulari in coltura, così come avviene per il CDDP. Per verificare la genotossicità dei composti è stato eseguito un Comet Assay in condizioni alcaline. Fc-diOH ha indotto un marcato danno al DNA su entrambe le linee cellulari, come il CDDP, a differenza del composto Fc-OH-TAM. Come avviene in seguito a danno al DNA, la proteina p53 veniva stabilizzata dal trattamento con CDDP e Fc-diOH, ma non con Fc-HO-TAM. Pertanto, il composto Fc-diOH è risultato essere in grado di causare danno al DNA, probabilmente attraverso la trasformazione in chinone metide. L'ossidazione di composti ferrocenici a ferrocini è essenziale per mostrare effetto citotossico in vivo, fenomeno spiegato attraverso la produzione di ROS, attraverso un ciclo di tipo Fenton. Questi risultati sono stati pubblicati su Inorganica Chimica Acta . Biomateriali e biocristallografia (tematica c) Biosurfattanti I biosurfattanti sono molecule anfililiche con estremità sia idrofiliche che idrofobiche che si adsorbono ed alterano le condizioni prevalenti sulle interfaccie. Essi sono sintetizzati da un’ampia varietà di differenti microrganismi procariotici ed eucaristici. I quattro principali tipi di biosurfattanti sono: 1) glicolipidi, 2) fosfolipidi, 3) lipoproteine e lipopeptidi, 4) polimeri. I biosurfattanti hanno numerosi vantaggi rispetto ai surfattanti, quali la bassa tossicità, la più elevata biodegradabilità, la miglior compatibilità ambientale, la miglior attività anti-schiuma, selettività e specificità ad estreme temperature, pH e salinità e la capacità di essere sintetizzati da materiale rinnovabile. I biosurfattanti lipopeptidici quali la surfattina e la fengicina sono stati descritti assemblare e formare nanoparticelle. Il lipopeptide surfattina possiede una forte attività di superficie ed importanti proprietà biologiche incluse quelle antivirali e antibatteriche. L’attività biologica della surfattina dipende dalla sua interazione con le membrane. In condizione fisiologiche è stato visto che la surfattina è in grado di penetrare nelle membrane cellulari. L’autoassemblaggio della molecola è la base dell’attività di produzione di pori nelle membrane. Il lipopeptide può avere un elevata selettività basata sulla composizione della matrice lipidica della cellula bersaglio in particolare su membrane con elevato quantità di lipidi anionici quali le membrane batteriche ed alcuni tipi di cellule cancerose. Due ceppi batterici di Bacillus spp., V9T14 e V19T21, sono stati isolati ed i loro sopranatanti hanno evidenziato la presenza di biosurfattanti con elevata attività di superficie. L’estrazione e la purificazione hanno messo in evidenza che i ceppi producevano molecole la cui natura chimica era lipopeptidica (in particolare surfattina e fengicina per entrambi i ceppi). Le molecole purificate hanno dimostrato specifica attività anti-adesiva e sono state in grado di prevenire la formazione di biofilm di batteri patogeni umani. In particolare il biosurfattante V9T14 attivo verso un ceppo Gram-negativo era inefficace verso un ceppo Gram-positivo e viceversa per il V19T21. Questa attività si osservava sia pre-incubando superfici di polistirene che aggiungendo il biosurfattante all’inoculo. Si è dimostrato, inoltre, che la fengicina era responsabile dell’attività anti-adesiva verso il biofilm di entrambi i ceppi. Inoltre, il biosurfattante V9T14 in associazione ad alcuni antibiotici ha dimostrato un’efficace attività sinergica nei confronti di biofilm pre-formati di ceppi batterici uro-patogeni di origine ospedaliera. In studi successivi, è stata studiata l’attività del AgNO3 in associazione al biosurfattante lipopeptidico V9T14 nei confronti di un biofilm pre-formato di Escherichia coli. I risultati hanno indicato che l’attività dell’argento poteva essere sinergicamente aumentata dalla presenza di V9T14, portando sia ad una riduzione della quantità di argento utilizzata nell’associazione che ad una più 108 elevata attività microbicida. Questa è la prima volta che si osserva un’attività sinergica tra l’argento ed un biosurfattante lipopeptidico. Sulla base dei risultati ottenuti è stato depositato in data 25 novembre 2009 un brevetto internazionale PCT/IB2009/055334 dal titolo “Biosurfactant composition produced by a new Bacillus licheniformis strain, uses and products thereof” con inventori: Martinotti M.G., Rivardo F. Allegrone G., Ceri H., Turner R. 109 110 UNITA’ DI RICERCA POLITECNICA DELLE MARCHE Direttore Scientifico: Prof. Giorgio Tosi La microspettroscopia infrarossa è un versatile e potente strumento per lo studio di proprietà funzionali di campioni biomedici e di biomolecole. Viene resa possibile l’analisi della distribuzione delle varie componenti molecolari in una matrice. In questo contesto il mapping e l’imaging permettono allo spettroscopista operante nei settori biomedico e dei biomateriali, di sviluppare nuovi metodi di acquisizione delle immagini che permettano di studiare le caratteristiche composizionali, strutturali e morfologiche di svariati sistemi, primi fra tutti quelli biologici. Mediante tale tecnica e con l’ausilio di opportuni algoritmi, possono essere valutati numerosi parametri quali la natura molecolare, la quantità relativa, la distribuzione dei vari componenti. Ci si avvale di spettrometri a sorgente convenzionale, multidetectors o a luce di sincrotrone con risoluzione spaziale fino al limite di diffrazione. Il trattamento dati per l’analisi multivariata e per procedure di analisi delle bande (deconvoluzione, curve-fitting, ecc.) viene effettuato con i seguenti software: Spectrum 5.0 (Perkin Elmer), Pirouette 4.0 (Infometrix Corp.), Opus 5.5 (Bruker Corp.) e Grams AI (Galactic Corp.) Applicazione della Microspettroscopia Infrarossa per la caratterizzazione di biomateriali e di biomolecole. (collaborazione con il gruppo del prof. N. Roveri della UNIBO) Un’adeguata conoscenza spettroscopica della composizione dell’osso rende particolarmente utile l’applicazione dell’imaging infrarosso nello studio di materiali sintetici per operazioni di ricostruzione ossea. La spettroscopia FT-IR è stata anche usata per caratterizzare la fase minerale presente sui diversi materiali, per evidenziare, tra l’altro, che i tessuti artificiali possono mimare il tessuto osseo da sostituire, per studiare processi di biomineralizzazione con possibilità di individuare la formazione di idrossiapatite su bio-vetri nonché per delucidare le varie fasi di ricostruzione di tessuti ossei danneggiati. A tal proposito è continuata la collaborazione con il gruppo del prof. Roveri, mirante allo sviluppo di un nuovo metodo per la preparazione di biomateriali. E’ tuttora in atto lo studio del processo di elettrodeposizione su metallo ed di elettrofilatura del collagene e dell’HAP, per caratterizzare la morfologia, le proprietà termiche e la struttura del prodotto di rivestimento. Applicazione della Microspettroscopia Infrarossa per lo studio di biomateriali in campo odontoiatrico. (Collaborazione con il gruppo del prof. A. Putignano del Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed Odontostomatologiche della UNIVPM) Nel campo odontoiatrico, è continuato lo studio da parte dell’unità di Ancona della valutazione del grado di conversione e dell’invecchiamento di resine foto polimerizzabili, nonché lo studio dell’azione di gommini contenenti fluoro sulla superficie dentale. Nel secondo caso si è dimostrato che il trattamento induce un discreto grado di cristallinità sull’idrossiapatite. Microspettroscopia FT-IR imaging su cellule e tessuti umani. (collaborazione con il gruppo di istopatologia del Dipartimento di Neuroscienze della UNIVPM e Università di Atene) Abbiamo continuato lo studio FTIR di patologie della cavità orale. Le caratteristiche vibrazionali di campioni derivanti da operazioni chirurgiche sono state sfruttate per ottenere informazioni a livello molecolare e supramolecolare da affiancare ai dati provenienti dai più comuni mezzi diagnostici. Infatti, tramite le variazioni biochimiche e morfologiche che i tessuti subiscono durante la formazione di neoplasie, è stato possibile individuare nei vari campioni le zone sane da quelle tumorali. I risultati sono stati comparati con dati istopatologici evidenziando una più che soddisfacente attendibilità. Nel caso delle cisti odontogene, si è anche riusciti ad evidenziare alcune 111 zone, definite sane dall’analisi istopatologica, potenzialmente tumorigeniche con questo evidenziando la potenzialità applicativa di questa tecnica nella diagnostica clinica. Si è completata la prima fase della linea di ricerca sulle cellule staminali derivanti dalla polpa dentaria al fine di una loro caratterizzazione spettroscopica durante il processo di differenziazione che viene influenzato da vari fattori, come il tipo e l’età del paziente nonché le modalità di trattamento. Caratterizzazione tramite marker spettrali delle gonadi di Zebrafish durante la fase di maturazione (collaborazione con il Dipartimento di Scienze del mare di UNIVPM). Lo Zebrafish è considerato un eccellente modello per studi in campo genetico. L’ovario di tale pesce è asincrono e contiene al suo interno ovociti a diverso grado di maturazione. La Microspettroscopia FT-IR si è rivelata utile nell’evidenziare i cambiamenti biochimici che avvengono durante il processo di maturazione, permettendo una corretta classificazione degli ovociti, fino a ora basata solo sulla valutazione delle dimensioni. 112 UNITÀ DI RICERCA DI ROMA “La Sapienza” Direttore Scientifico: Prof.ssa Elena Borghi Nel corso del 2009 l’attività scientifica dell’unità di ricerca dell’Università "La Sapienza" di Roma ha riguardato le seguenti tematiche: 1. Aspetti inorganici e bioinorganici nella chimica di sistemi macrociclici tetrapirrolici ad alta delocalizzazione elettronica 2. Caratterizzazione strutturale di centri metallici di metalloproteine e composti modello 3. Caratterizzazione spettroscopica e magnetica del crisotilo sintetico drogato con Fe(III) 4. Sintesi e caratterizzazione di nanoparticelle metalliche superparamagnetiche per applicazioni biomediche di imaging e drug delivering 1. Aspetti inorganici e bioinorganici nella chimica di sistemi macrociclici tetrapirrolici ad alta delocalizzazione elettronica G. Moretti, M. P. Donzello, C. Ercolani, F. Monacelli, E. Viola, P. Moro, D. Vittori, G. De Mori La relazione riguarda il lavoro svolto dal gruppo nel campo della sintesi e caratterizzazione di sistemi macrociclici ad alta delocalizzazione elettronica, con l’attenzione rivolta ad aspetti applicativi di grande interesse nel settore biologico. Si propone un breve quadro su quanto di nuovo prodotto nel 2009 su alcune classi di macrocicli porfirazinici aventi sostituenti periferici di tipo eterociclico e caratterizzati pertanto da un forte carattere elettron-deficiente. (1) Tiadiazolporfirazine. La sintesi e caratterizzazione strutturale ed elettronica di tetrakis(tiadiazol)porfirazine di formule [TTDPzM] (M = metalli bivalenti di transizione e non) (Figura 1: struttura del legante libero [TTDPzH2]) e [TTDPzMX] (M = AlIII, GaIII, InIII e X = Cl-, Br-, CH3COO-) sono stati oggetto di una recente review (Donzello, M. P. et al., Coord. Chem. Rev. 2006, 250, 1530-1561). Facendo seguito a studi elettrochimici sulle specie [TTDPzMX] (Donzello, M. P. et al., Inorg. Chem. 2005, 44, 8539), è stato compiuto un esame delle proprietà redox della serie [TTDPzM] (M = 2HI, MgII(H2O), CuII, ZnII) e verificata, mediante voltammetria ciclica, la formazione di specie cariche [TTDPzM]-n (n = 1-4). Lo studio teorico, effettuato mediante calcoli di tipo DFT e TDDFT, delle proprietà elettroniche di stato fondamentale e degli stati eccitati dei complessi neutri [TTDPzM] (Donzello, M. P. et al., Inorg. Chem. 2007, 46, 4145) ha permesso di dare una chiara interpretazione degli spettri UV-visibile studiati in soluzione di dimetilsolfossido (DMSO), dimetilformammide (DMF) e piridina. In tempi recentissimi lo studio sperimentale e teorico è stato esteso all’interpretazione del comportamento spettroscopico delle specie anioniche dei complessi -1, -2, -3, -4. Trattandosi questi di processi riduttivi di tipo ligando-centrato, i calcoli sono stati effettuati sul complesso di ZnII [TTDPzZn], considerato come specie spettroscopicamente rappresentativa del comportamento ottico anche degli altri sistemi studiati [TTDPzM] (M = MgII(H2O), CuII, CdII) (Donzello, M. P. et al., Inorg. Chem., 2009, 48, 9890). S N N N N N N HN N N N NH N S S N N N N Figura 1 113 S (2) Piridinopirazinoporfirazine. Allo scopo di acquisire informazioni ed incrementare le conoscenze sulle proprietà coordinanti di gruppi dipiridinopirazinici presenti nelle tetrakis(dipiridinopirazino)porfirazine, largamente studiate dal gruppo di ricerca, è stato condotto uno studio dettagliato sul precursore di tali macrocicli, la 2,3-diciano-5,6-di(2-piridil)pirazina, [(CN)2Py2Pyz] (Schema 1-A) e sui suoi derivati metallici di PdII e PtII di formule [(CN)2Py2PyzPdCl2] e [(CN)2Py2PyzPtCl2] (Schema 1-B e C rispettivamente) (Donzello, M. P. et al., Inorg. Chem., 2009, 48, 7086). L’attenzione per queste specie è stata centrata sul loro comportamento elettrochimico e spettroelettrochimico in mezzi non acquosi. Informazioni utili di tipo strutturale sono state ottenute dalla risoluzione mediante raggi X della struttura del complesso di PtII [(CN)2Py2PyzPtCl2]. I dati riguardanti il precursore e relativi derivati metallici sono stati posti in relazione con quelli precedentemente acquisiti sulle specie mono- e dicationica [(CN)2Py(2-Mepy)Pyz]+ and [(CN)2(2-Mepy)2Pyz]2+(Schema 2-D ed E), specie derivate dal precursore [(CN)2Py2Pyz] mediante processi di mono- e diquaternarizzazione degli N atomi piridinici. I risultati di questo ampio studio hanno condotto ad una migliore interpretazione dell’effetto induttivo di tipo elettron-attrattore conseguente ai processi di metallazione e di quaternarizzazione degli N atomi piridinici periferici, del complesso [LPd] (L = dianione della tetrakis-2,3-[5,6-di(2-piridil)pirazino]porfirazina) processi risultanti, rispettivamente, nella formazione del complesso pentametallico neutro [(PdCl2)4LPd] e della specie ottacationica, [(2Mepy)8L’Pd]8+ (L’ = anione L ottaquaternarizzato). NC N NC N N N NC Cl N N Pd NC N N N NC [(CN)2Py2Pyz] A N Cl Pt Cl NC [(CN)2Py2PyzPdCl2] B N N Cl [(CN)2Py2PyzPtCl2] C CH 3 + N NC N NC N N NC N NC N N N CH 3 + + CH 3 [(CN)2Py(2-Mepy)Pyz]+ [(CN)2(2-Mepy)2Pyz]2+ Schema 1 D E Circa l’isolamento e caratterizzazione elettronica e strutturale della specie pentapalladata [(PdCl2)4LPd], si richiama qui che, sulla base di precedenti studi spettroscopici, elettrochimici e teorici di tipo DFT e TDDFT, la struttura assegnabile alla principale componente isomerica di stato solido è del tipo riportato in Figura 2 (Donzello M. P. et al., Inorg. Chem., 2008, 47, 3903). Figura 2 114 Per il complesso [(PdCl2)4LPd], interessanti sono stati anche i risultati ottenuti in campo applicativo e relativi alla fotoattività mostrata dal sistema nella produzione di ossigeno singoletto, 1 O2, il principale agente citotossico attivo nella Terapia Fotodinamica (Donzello M. P. et al. Inorg. Chem., 2008, 47, 8757). Tali risultati hanno spinto ad estendere l’indagine anche agli analoghi derivati eteropentametallici di formula [(PdCl2)4LM] (M = ZnII, CuII, MgII(H2O), CdII), dei quali è stata messa a punto la sintesi ed effettuata la caratterizzazione chimico-fisica e strutturale (Donzello, M. P. et. al., Inorg. Chem., 2010, 49, ASAP). E’ stato accertato che, anche per questa serie di complessi, l’isomero principale che si forma allo stato solido è del tipo riportato in Figura 2. L’esame elettrochimico (voltammetria ciclica e spettroelettrochimica in DMSO e DMF) ha messo in evidenza che l’aggancio periferico delle unità PdCl2 rende più facile la formazione delle specie [(PdCl2)4LM]-n (n = 1-4), derivanti da successive riduzioni monoelettroniche dei rispettivi complessi pentanucleari, come si può evidenziare confrontando i valori dei potenziali misurati per questi complessi con quelli dei corrispondenti sistemi molecolari monometallici [LM]. Ciò richiama da vicino i risultati precedentemente ottenuti per la specie omopentametallica [(PdCl2)4LPd]. Da notare infine che nei processi di formazione dei complessi [(PdCl2)4LM] per reazione delle corrispondenti specie [LM] con PdCl2, si possono avere reazioni di transmetallazione del tipo [(PdCl2)4LM] (M = MgII(H2O), CdII) → [(PdCl2)4LPd]. L’intera serie di specie omo- ed eteropentametalliche studiate [(PdCl2)4LM] (M = PdII, ZnII, CuII, MgII(H2O), CdII) ha un carattere di forte originalità per il fatto di presentare i quattro frammenti periferici disposti in in modo non coplanare con il macrociclo porfirazinico centrale. Da ciò possono derivare aspetti interessanti nell’ambito di tematiche quali quelle della chimica supramolecolare e della formazione di sistemi dendrimerici, oltrechè configurarsi ulteriori sviluppi nella direzione di una verifica delle loro proprietà di fotoattività in settori applicativi di grande interesse nel campo biologico. E’ stata intrapresa negli ultimi due anni una nuova linea di ricerca nella quale il macrociclo [LH2] (L = anione pirazinoporfirazinico sopra specificato) ed alcuni suoi derivati metallici [LM] (M = ZnII, CuII e PdII) sono stati adsorbiti su TiO2 (anatasio) ed i materiali formati sono stati studiati per la loro capacità di fotodegradazione del 4-nitrofenolo in sospensioni acquose, mediante radiazione UV (350-400 nm). Nel caso dei derivati di rame e zinco è stato osservato un aumento del potere catalitico rispetto all’anatasio puro di un fattore quattro e di più di un fattore due nel caso del complesso di Pd e del legante libero. Questi risultati, che sono stati riassunti in un lavoro in attesa di pubblicazione (Moro, P. et al., - Photooxidation of 4-Nitrophenol by Pyrazinoporphyrazine Sensitizers Adsorbed on TiO2 (anatase) - 2010, inviato per la pubblicazione), assumono un particolare significato se si rapportano ad analoghi studi effettuati con sistemi tetrapirrolici di tipo porfirinico e ftalocianinico. 2. Caratterizzazione strutturale di centri metallici di metalloproteine e composti modello E. Borghi È noto che la modulazione del segnale XANES (regione a bassa energia dello spettro XAS) può essere applicata usando differenti programmi di calcolo per estrarre complete informazioni strutturali di metalloproteine, catalizzatori, e composti biomimetici con struttura sconosciuta. Questa metodologia è stata applicata con successo, con varie strategie di minimizzazione, ma, usualmente, il cluster strutturale di partenza è scelto con dimensione più piccola possibile (circa la prima sfera di coordinazione). Questo sia per il contributo dominante della prima sfera del centro metallico assorbitore alla regione XANES, sia perché nell’analisi strutturale di metallo-cofattori di sistemi biologici e chimici sconosciuti è importante, almeno, arrivare all’identificazione strutturale dei donatori-leganti della prima sfera del centro metallico. La famiglia dei composti di rame mononucleari del legante poly(benzimidazolo) 2-BB, che ha proprietà strutturali e/o di reattività correlate a quelle dei derivati delle proteine emocianine (Hcs), essendo il legante 2-BB tridentato con due N-imidazolici ed un N-ammino modello strutturale del 115 motivo tris(imidazolo) presente nelle Hcs ed in altri sistemi biologici, è stata considerata per definire un approccio di analisi e modulazione del segnale XANES con il programma MXAN. Considerando il centro metallico Cu(2-BB) ed i leganti ancillari (N3-, NO2, MeOH, H2O rispettivamente), con clusters di atomi di ~ 6 Å per includere tutto il contributo strutturale del legante 2-BB strutturato e flessibile, è stato possibile sia risolvere le proprietà strutturali della prima sfera di coordinazione sia mappare l’intera struttura dei cationi complessi rame(II)-2.BB. Si è inoltre mostrata la complementarità ed i vantaggi della minimizzazione MXAN rispetto all’analisi tradizionale EXAFS (prima-sfera in approssimazione SS (singolo scattering) e MS (multiplo scattering). L’approccio seguito dimostra l’importanza di considerare un cluster strutturale di partenza con una dimensione maggiore (rispetto alla prima sfera) ed opportuna (rispetto alle caratteristiche del legante) per risolvere, con accuratezza, dettagli strutturali per le distanze e per gli angoli di legame nel sistema complesso di un legante strutturato e flessibile. Questo studio è stato considerato costituire un riferimento importante e significativo per studi XAS strutturali di bio-sistemi dal momento che per delucidare le relazioni biologiche struttura-funzione è necessario impiegare sistemi mimetici con leganti strutturati. “The importance of considering atom clusters of large size for structural XAS studies of biosystems employing structured and flexible ligands” 3. Caratterizzazione spettroscopica e magnetica del crisotilo sintetico drogato con Fe(III) E. Borghi In collaborazione con: M. Occhiuzzi - Dipartimento di Chimica, Università “La Sapienza” di Roma E. Foresti, I G. Lesci, N. Roveri - Dipartimento di Chimica, Università di Bologna Il crisotilo sintetico geomimetico, Mg3Si2O5(OH)4, drogato con Fe rappresenta uno standard di riferimento per investigare la tossicità associata alle fibre di asbesto e costituisce un interessante nanotubo inorganico per specifiche applicazioni tecnologiche. La caratterizzazione della sostituzione del Mg e/o Si con Fe nella struttura del crisotilo riveste una grande importanza, poiché la tossicità delle fibre di asbesto è catalizzata dalla presenza degli ioni Fe in specifici siti cristallografici ed il comportamento meccanico dei nanotubi del crisotilo sintetico è fortemente influenzato dalla quantità di ferro drogante. Per determinare la struttura e la nuclearità dei siti a Fe che sostituiscono Mg e/o Si, con un approccio combinato di spettroscopia EPR, DRS e misure magnetiche, sono stati investigati campioni di crisotilo sintetico geomimetico drogato con Fe(III), preparati con metodiche di sintesi diverse (presenza od assenza di Fe metallico durante il processo di drogaggio). Con la caratterizzazione spettroscopica e magnetica condotta si è messo in luce come la sostituzione del ferro avvenga ad entrambi i siti (Mg in simmetria Oh e Si in simmetria Td) e sia dipendente dalla quantità di Fe drogante e dal processo di drogaggio. È stata evidenziata la contemporanea presenza 116 sia di centri a Fe(III) isolati in entrambe le simmetrie Oh e Td in configurazione 3d5 ad alto-spin (S = 5 /2, 6A1(6S)), sia di specie aggregate intra-reticolo. Inoltre, è stato evidenziato come la concentrazione di questi FexOy clusters aumenti all’aumentare del contenuto di Fe. I risultati ottenuti con questo studio evidenziano le condizioni sperimentali più opportune per preparare nanocristalli di crisotilo drogato con Fe con proprietà morfologiche e strutturali adatte ad ottenere un materiale di riferimento per lo studio della tossicità dell’asbesto. Per conservare la cristallinità e la morfologia naturale del campione la presenza di Fe metallico deve essere esclusa durante la sintesi ed il contenuto (% wt) di Fe drogante deve essere basso. Inoltre, questi risultati sono fondamentali per la preparazione di nuovi nanotubi inorganici sintetici opportunamente drogati con ioni Fe al fine di ottenere materiali inorganici nanofibrosi con proprietà ottiche ed elettroniche adatte ad applicazioni tecnologiche innovative. “Synthetic Fe-doped chrysotile reference standard to study the magnetic behaviour in mineral asbestos” 4. Sintesi e caratterizzazione di nanoparticelle metalliche superparamagnetiche per applicazioni biomediche di imaging e drug delivering M. Barteri, F. A. Scaramuzzo, R. Salvati, F. Nepi, M. Liberatore, P. D’Elia Base concettuale della ricerca La sintesi e le potenziali applicazioni di specie metalliche con dimensioni nanometriche sono state intensamente studiate per le loro innovative e uniche proprietà ottiche, elettriche, magnetiche e catalitiche. Queste proprietà sono determinate dalle dimensioni, dalla forma, dalla composizione, dalla cristallinità e dalla struttura. Infatti, particelle di dimensioni 1-10 nm hanno proprietà elettroniche peculiari, che sono state utilizzate per la realizzazione di materiali innovativi. Poiché queste specie sono localizzate nella regione di transizione tra le dimensioni molecolari e le strutture micrometriche, esse sono troppo grandi per mostrare le caratteristiche delle molecole ma, se viste come materiali, hanno caratteristiche fisiche e chimiche peculiari. In particolare, le NPs metalliche forniscono una piattaforma altamente versatile, dimostrando che le loro proprietà uniche sono idonee alla realizzazione di un ampio spettro di applicazioni terapeutiche. L’utilità delle NPs in questo contesto deriva dalla possibilità di realizzare sistemi di dimensioni analoghe a quelle di strutture biologiche. In una scala dimensionale è possibile, infatti, realizzare NPs dello stesso ordine di grandezza di cellule (10-100 μm), virus (20-450 nm), proteine (5-50 nm), o geni (larghi 2 nm e lunghi 10-100 nm). Ricerche sperimentali svolte nel 2009 Tra i differenti tipi di nanostrutture, le NPs magnetiche sono di particolare interesse perché possono essere veicolate a distanza attraverso un campo magnetico esterno che permette di confinarle in vivo in organi target. Lo sviluppo e il trasferimento tecnologico nel campo della nano medicina, nascono dalle necessità dei medici di ottenere nuovi e specifici strumenti di prevenzione, diagnosi e cura. Il nostro piano delle ricerche sperimentali del 2009 ha 117 previsto la sintesi, la caratterizzazione e l’ impiego di superfici metalliche e nanoparticelle (NPs) super paramagnetiche attivate con biomolecole o farmaci per applicazioni “multitasking” nella diagnostica e nella terapia medica. Lo scopo principale di questi studi è stato quello di realizzare superfici metalliche attivate con molecole biologicamente attive per la realizzazione di sensori e nanostrutture con caratteristiche magnetiche tali che, sotto l’ azione di campi magnetici esterni, sia possibile confinarle “in vivo” in prossimità di un focus patologico. L’accumulo nei tessuti di nanoparticelle “core shell”, mediante campi magnetici statici esterni, può essere di grande utilità sia, per il potenziamento delle tecniche di diagnostica per immagini (i.e. PET e MRI) sia, per la realizzazione di trattamenti terapeutici localizzati nelle aree di alterazioni patologiche degli organi. Con il termine “core shell” s’intende una nanoparticella costituita da un nucleo metallico superparamagnetico rivestito da una o più “shell” di metalli diversi. L'obiettivo è stato quello di realizzare un sistema idoneo sia al trasporto di molecole biologicamente attive (per il trattamento localizzato di stati patologici), sia di esaltare il contrasto nell’acquisizione d’immagini in vivo. Ciò è stato ottenuto mediante la produzione di nanoparticelle con un nucleo centrale magnetico (Fe0 o Fe3O4) e da shell metalliche di Cu0 e/o Au0 ; la presenza del centro magnetico è finalizzata al confinamento di tali strutture all'interno di tessuti utilizzando un campo magnetico esterno focalizzato. Le shell metalliche hanno il ruolo di legare linker organici per l'ancoraggio successivo di molecole farmacologicamente attive e, nello stesso tempo di trasportare radionuclidi (64Cu, 18F ecc.), per il tracciamento mediante Positron Emission Tomography ( PET ). Applicazioni Biomediche in programma per il 2010 Possiamo classificare le applicazioni biomediche delle NPs magnetiche come interne (in vivo) ed esterno (in vitro) al campione biologico. Le applicazioni in vivo possono essere suddivise in: Terapeutiche: • Ipertemia che si realizza con l’applicazione di campi magnetici esterni oscillanti, per innalzare la temperatura del tessuto dove sono state confinate le NPs; • Drug targeting, per tracciare la biodistribuzione di farmaci somministrati per via sistemica; • Drug delivering, per verificare l’accumulazione del principio attivo realizzata con il confinamento delle NPs utilizzate come carriers; Diagnostiche: • MRI (magnetic resonance imaging). Lo sviluppo delle tecniche di diagnosi per immagini, ha ispirato la ricerca su nuovi farmaci con caratteristiche magnetiche. Questi farmaci sono somministrati per aumentare il contrasto tra tessuti sani e tessuti colpiti da patologie, per evidenziare lo stato di funzionamento di un organo o per verificare il flusso sanguigno nel sistema vascolare. • PET (positron emission tomography). In questo caso le NPs saranno utilizzate come carrier per molecole organiche derivate con 18F (fluoro uracile) o con 64Cu, entrambi isotopi β+emittenti. 118 UNITA’ DI RICERCA DI ROMA “Tor Vergata” Direttore Scientifico: Prof. Massimiliano Coletta Nel corso del 2009 l’Unità Operativa di Roma Tor Vergata ha effettuato una serie di ricerche sui seguenti argomenti. 1) Emoproteine 2) Metalloenzimi 3) Stress ossidativo 1) Emoproteine In questo campo le indagini sono proseguite su alcuni aspetti funzionali e strutturali di emoproteine battericche, quali la Protoglobina da Methanosarcina acetivorans e il sensore emo-globinico da Geobacter sulfurreducens. Per quanto riguarda la Protoglobina, l’indagine sulle proprietà funzionali sia termodinamiche che cinetiche con leganti della forma Fe(II), quali O2 e CO è stata estesa ad una serie di mutanti concernenti le immediate vicinanze della tasca dell’eme, dove è il centro attivo. Inoltre, si sono iniziate una serie di sperimentazioni sulla forma ferrica Fe(III), studiando sia la reattività con un legando anionico, quale l’azide (N3-), sia la dissociazione dell’anione CN-. L’indagine sul sensore emo-globinico di G. sulfurreducens, che ha portato ad una pubblicazione su Journal of Molecular Biology, ha riguardato le proprietà strutturali della forma Fe(III), che appare esa-coordinata con una coordinazione bis-istidinica, dovuta all’inusuale posizione in E11 di una istidina. Nella forma ridotta Fe(II) si evidenzia invece una mescolanza di forme esa- e pentacoordinate, con un’alta reattività per il legando CO. Accanto a questi studi sulle emoproteine batteriche, si sono effettuate delle indagini sull’emealbumina. Tale forma dell’Albumina ha infatti rilevanza fisiologica, poiché circa il 10% dell’Albumina circolante si trova nella forma legata all’eme. Ciò la trasforma in una emoproteina circolante, capace non solo di legare molecole quali O2, CO ed NO, ma in grado di modulare allostericamente il legame di altre molecole in siti distinti dall’eme. Tale indagine ha infatti permesso di evidenziare come il legame all’Albumina di un farmaco antiinfiammatorio, quale l’Ibuprofen, moduli allo stericamente la dissociazione del legando NO. Tale indagine, pubblicata su Biochemical Biophysical Research Communications, mostra come tale regolazione influenzi i tre siti putativi, dove l’Ibuprofen si lega con l’eme-Albumina, e conferma la possibilità di possibili alterazioni del trasporto di farmaci da parte dell’Albumina legate alla presenza della forma legata all’eme. Lo studio sull’eme-albumina si è anche esteso alle proprietà di “folding/unfolding”, che hanno permesso di evidenziare la presenza di una forma di “molten globule”, che viene modulata dall’interazione dell’eme-albumina con acidi grassi , ed in particolare da miristato. Lo studio, effettuato mediante tecniche di NMR e di dicroismo circolare, ha portato ad una pubblicazione su Journal of Biological Inorganic Chemistry. Inoltre, si è studiata la regolazione da parte di ATP della struttura del citocromo c, evidenziando il ruolo di questo nucleotide nell’indurre la comparsa di attività enzimatica del citocromo c. Tale studio, che ha portato ad una pubblicazione su Biochemistry, apre la possibilità di una regolazione ATP-dipendente del processo apoptotico. 2) Metalloenzimi Lo studio si è prevalentemente rivolto alla caratterizzazione del ruolo di alcune Metalloproteasi di matrice (MMPs, che sono delle endopeptidasi con un atomo di Zn++ nel sito attivo con un ruolo catalitico) in alcuni processi patologici, quali malattie della giunzione neuromuscolare. In particolare, si è studiato il meccanismo con cui alcune di queste MMPs, in particolare la MMP-2 e MMP-9, processano il β-distroglicano, che è un componente fondamentale della giunzione neuromuscolare. Tale indagine, che ha portato ad una pubblicazione su IUBMB Life, ha permesso anche di caratterizzare il sito di taglio da parte della MMP-9, che risulta essere unico, ma tale da inattivare la molecola. 119 Sempre nell’ambito delle MMPs, abbiamo effettuato uno studio su un meccanismo regolatorio estremamente interessante, che consiste nella modulazione reciproca da parte di due MMPs (la MMP-2 e la MMP-9) nei riguardi del processamento di collagene IV, il componente principale della membrana basale. Tale studio, che ha portato ad una pubblicazione su Journal of Molecular Biology, ha mostrato come l’interazione di una delle due MMPs (pur completamente inibita) favorisca il processamento del medesimo substrato da parte dell’altra MMP, prospettando un meccanismo accessorio, che rende problematico lo studio di inibitori specifici delle MMPs. Inoltre, si è iniziato uno studio sulle proprietà funzionali dell’Insulin-Degrading Enzyme (IDE), una metallo proteinasi capace di processare le proteine amiloidogeniche. Tale studio, che ha portato ad una pubblicazione su Journal of Molecular Biology, ha evidenziato come la somatostatina, un ormone associato alla crescita, sia un substrato dell’IDE, ma anche un modulatore della funzionalità enzimatica nei confronti di un peptide simile al β-amiloide. Tale studio ha anche permesso di individuare il sito di taglio della somatostatina da parte dell’IDE. Per quanto riguarda la superossido-dismutasi (SOD) si sono effettuati degli studi di tipo strutturale e funzionale nei confronti della Cu,ZnSOD da Haemophilus ducreyi, che hanno permesso di caratterizzare le proprietà di legame dell’eme da parte di questo enzima, trasformandolo anche in un enzima ad eme. Tale indagine, che ha portato ad una pubblicazione su Journal of Molecular Biology, ha mostrato che l’eme si lega all’interfaccia fra le sub unità senza perturbare significativamente l’attività originale dell’enzima. Tale possibilità estende le potenzialità di questa SOD ad un possibile ruolo protettivo nei confronti della tossicità da eme. Infine, si sono caratterizzate le proprietà ossido-riduttive e di stabilità termica di una CuSOD da Mycobacterium tuberculosis, che hanno portato ad una pubblicazione su Archives of Biochemistry and Biophysics. 3) Stress ossidativo Nell’ambito della tematica sullo stress ossidativo, l’Unità di Ricerca di Roma Tor Vergata ha concentrato l’interesse alla regolazione dell’attività enzimatica di emoproteine nei confronti del perossinitrito e del monossido di azoto (NO). In particolare, si è effettuata una rassegna sull’attività di sottrazione di NO e perossinitrito in presenza di perossido di idrogeno (H2O2). Tale rassegna, che ha portato ad una pubblicazione su IUBMB Life, ha prospettato la possibilità che NO, perossinitrito e H2O2 siano co-substrati per l’attività perossidasica di alcune emoproteine. Lo studio sul ruolo delle emoproteine come protettrici nei confronti del perossinitrito è stato esteso a vari tipi di emoproteine, quali l’emoglobina, la mioglobina, ma anche l’emoglobina troncata da Mycobacterium leprae, evidenziando come le proprietà catalitiche di questi processi siano compatibili con un ruolo importante anche nelle condizioni “in vivo”. Infine, un’indagine molto interessante è stata effettuata nei confronti del ruolo dell’eme-Albumina come elemento protettore nei riguardi del perossinitrito. Tale studio, che ha portato ad una pubblicazione su Journal of Biological Chemistry, ha mostrato come la capacità dell’eme-Albumina di inattivare il perossinitrito possa essere abolita dalla modulazione allosterica ad opera di una farmaco antiinfiammatorio, quale l’Ibuprofen, evidenziando la possibilità di effetti paradosso a seguito della somministrazione di farmaci. 120 UNITA’ DI RICERCA DEL SALENTO Direttore Scientifico: Prof. Francesco Paolo Fanizzi L’Unità di ricerca di Lecce è composta da chimici inorganici esperti di sintesi e da biologi, la cui attività di ricerca si sviluppa nel settore di nuovi farmaci inorganici in oncologia, nello studio del ruolo degli ioni metallici nelle patologie degenerative croniche e nel campo delle metalloproteine come catalizzatori biologici. Gruppo Prof. Francesco Paolo Fanizzi: Michele Benedetti, Antonella Ciccarese, Sandra Angelica De Pascali, Paride Papadia, Danilo Migoni, Laura Del Coco, Daniela Antonucci, Cosimo Ducani, Alessandro Caccioppola L’attività del gruppo di Chimica Generale ed Inorganica svolta nel contesto delle linee programmatiche C.I.R.C.M.S.B. si è articolata negli argomenti di ricerca di seguito riportati, inerenti principalmente la tematica “Nuovi farmaci inorganici in oncologia”. Sintesi e caratterizzazione strutturale di nuovi composti analoghi del cisplatino conformazionalmente stabilizzati, target selettivi e biomimetici Alchilazione regiospecifica di fenoli e sintesi di complessi organometallici a base di Pt con leganti N-donatori Sono stati sintetizzati e caratterizzati nuovi complessi del Platino del tipo [Pt(EtPh)(phen)] (1a) (EtPh = 2-(etan-2'-yl-kC1)-1-fenolato-kO1, phen = 1,10-fenanthrolina) e [Pt(MeOEtPh)(phen)] (1b) (MeOEtPh = 2-(etan-2’-yl-kC1)-4-(metossi)-1-fenolato-kO1) caratterizzati da un core di tipo metallo-cromano. Tali complessi, preparati facendo reagire derivati fenolici e [PtCl(η2C2H4)(N–N)] + o corrispondenti a derivati alcossilati del tipo [PtCl(η1-C2H4OR)(N–N)], R = alchile/arile, sono caratterizzati da alchilazione regiospecifica dell'anello aromatico e/o dalla coordinazione dell'ossigeno fenolico al Pt. Interessante è il fatto che tali complessi organometallici sono anche caratterizzati da una straordinaria similitudine strutturale con la Vitamina E. Sono stati effettuati test biologici e saggi di uptake cellulare sui complessi di Pt. Essi mostrano un'interessante correlazione struttura-attività per i nuovi metallo-cromani, in quanto i valori di citotossicità e uptake del Pt risultano considerevolmente maggiori per il complesso 1b che risulta essere più simile, dal punto di vista strutturale, alla Vitamina E, rispetto al complesso 1a. Gli ultimi sviluppi di questa ricerca hanno portato alla messa a punto di nuovi approcci sintetici per la sintesi di analoghi strutturali dei complessi 1a e 1b. Lo scopo è di avere un set abbastanza ampio di variazioni strutturali, in modo da poter valutare 121 come modifiche strutturali possano modificare l’uptake cellulare di questi complessi. Per comprendere meglio le modalità di uptake cellulare sono stati messi a punto degli esperimenti che valutano i meccanismi di trasporto, a livello di membrana cellulare, per questa classe di complessi. Un altro obiettivo che si è definito è di comprendere come i complessi sintetizzati, analoghi alla vitamina E, possano competere con essa nei confronti di specifici substrati. In questo senso si sta pensando di utilizzare tali molecole anche come inibitori di specifici enzimi che normalmente legano la Vitamina E. In questo modo si dovrebbero individuare delle nuove molecole farmacologicamente attive come antitumorali e/o antivirali basate sulla struttura del cromano modificato di tipo 1a e capaci di agire con un meccanismo non genomico. Possibile platinazione del DNA cellulare mediante inserimento di basi puriniche N-7 platinate da parte di una DNA polimerasi Questo lavoro di ricerca parte dall'ipotesi di un possibile meccanismo d'azione differente da quello ormai accettato per il cisplatino. Generalmente, infatti, la metallazione del DNA si realizza tramite reazioni dirette del substrato polinucleotidico con un complesso metallico. In questo lavoro di ricerca sono stati messi a punto esperimenti in grado di dimostrare che effettivamente un filamento di DNA di nuova sintesi può essere metallato, in vitro, anche indirettamente, mediante inserimento, da parte di una DNA polimerasi, di purine N7-platinate. Il complesso di Pt utilizzato per tali esperimenti, [Pt-(dien)(N7-5’-dGTP)] (dien = dietilenetriammina, 5’-dGTP=5’-(2’-deossi)guanosina trifosfato), opportunamente scelto come modello di monoaddotti di complessi di platino con derivati delle basi nucleiche, è incapace di dare sistemi chelati, come avviene invece per i derivati del cisplatino. La preventiva metallazione, in vivo, di basi libere da inserire successivamente nel DNA apre nuove prospettive sulla sintesi di nuovi farmaci antitumorali a base di metalli sia dal punto di vista di una migliore comprensione del meccanismo d'azione che di nuovi modelli molecolari. Per questo sono anche stati effettuati dei test di citotossicità su cellule tumorali, HeLa, che hanno dato risultati interessanti. Negli ultimi sviluppi di questa attività di ricerca stiamo cercando di estendere alla sintesi dell’RNA quanto dimostrato precedentemente, sulla possibile platinazione del DNA, ad opera delle DNA polimerasi, con complessi del tipo [Pt-(dien)(N7-5’-dGTP)]. Potenziali farmaci antitumorali: complessi cationici del tipo [PtCl(ç2-C2H4)(R,R ed S,SDACH)] + Il Cisplatino, cis-[Pt(NH3)2 Cl2], è il prototipo di una famiglia di farmaci a base di Platino con formula generale cis-[PtA2 X2 ] (A = ammina, X = legante labile). Nella “famiglia del cisplatino” solo l'oxaliplatino, [(R,R-1,2-diaminocycloesano) (ossalato-O,O’)platino(II)], mostra un largo spettro di attività, grazie alla minore resistenza mostrata da alcuni tumori nei confronti dell'oxaliplatino rispetto al cisplatino. Di recente è stato messo in evidenza che interazioni favorevoli tra la aquo-specie cationica dell'oxaliplatino e i Trasportatori umani di Cationi Organici, hOCT, sono in grado di incrementare l'attività antitumorale del farmaco. Per questa ragione abbiamo focalizzato l'attenzione sulla sintesi di nuovi complessi cationici di Pt(II), contenenti lo stesso legante carrier dell'oxaliplatino del tipo [PtCl(ç2 -C2 H4)(R,R- e S,SDACH)] +, 1 e 2 rispettivamente. Tali complessi cationici, solubili in acqua, vanno incontro a perdita dell'olefina coordinata e/o del cloruro, per dare mono-aquo e di-aquo specie cationiche, come l'oxaliplatino. Inoltre gli esperimenti di “time course” mostrano che la citotossicità di 1 e 2 aumenta considerevolmente nel tempo. Saggi clonogenici di sopravvivenza su diverse linee cellulari rivelano una più alta citotossicità in vitro, di cisplatino e oxaliplatino rispetto a 1 e 2 verso cellule epiteliali sane. D'altra parte la differenza di citotossicità tra 1/2 e cisplatino/oxaliplatino è fortemente ridotta nelle cellule MCF-7, resistenti al cisplatino, rispetto alle cellule HeLa, sensibili al cisplatino. Per confronto sono stati effettuati saggi di cittotossicità su cellule non tumorali quali le MCF-10. I complessi da noi sintetizzati e testati potrebbero avere applicazioni come pro-drugs e precursori di farmaci antitumorali. 122 Sono, inoltre, stati effettuati degli studi, attraverso l’applicazione di tecniche spettroscopiche NMR, di campioni biologici di interesse in campo agroalimentare, in particolare mediante la determinazione di profili metabolici atti a garantire caratteristiche di unicità di specifiche filiere produttive. Applicazioni della spettroscopia NMR alla discriminazione delle varietà di olive impiegate nella produzione di oli extravergini di oliva pugliesi L’olio extravergine di oliva è, nella realtà mediterranea, un prodotto cardine dell’economia, basato su varietà locali a forte tipizzazione regionale. Già precedentemente il nostro gruppo ha effettuato studi di caratterizzazione di campioni di olio extravergine di oliva, provenienti da differenti aree della Regione Puglia, utilizzando metodiche di indagine integrate, la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (1H e 13C NMR) in combinazione con l’analisi statistica multivariata dei dati ottenuti, finalizzati non solo all’ottenimento di parametri analitici convenzionali, ma anche alla loro tracciabilità. Sono state considerate, come caratteristiche discriminanti per i prodotti stessi, la loro origine geografica e le cultivar di appartenenza. Queste ultime sono state in prima analisi dichiarate dal produttore, poi in studi successivi, alla semplice identificazione del fenotipo è stata affiancata l’analisi del genotipo del materiale fogliare delle piante utilizzate. La necessità di una tale caratterizzazione si accompagna alla crescente attenzione da parte della comunità europea, attraverso le normative di regolamentazione, riguardo alle norme di etichettatura e indicazione della provenienza. (Reg. CEE 2081/92 del 14 luglio 1992, successivamente modificato con il Reg. CE 510/06). Nell’ambito di questa linea di ricerca, sono stati successivamente condotti studi specifici con reagenti di derivatizzazione inorganici, finalizzati a verificare le possibilità di incremento della capacità discriminante dei metodi NMR utilizzati. 123 Reagenti di derivatizzazione inorganici per la tracciabilità di prodotti alimentari Da tempo questa unità operativa si occupa della sintesi e caratterizzazione chimica di complessi di Platino. Nel 1995 sono state effettuate sintesi e caratterizzazione di complessi con 2,9-dimetil-1,10fenantrolina (Me2-phen), [PtX2(Me2-phen)], (X = alogeno), caratterizzati da evidenti distorsioni della geometria di coordinazione quadrato planare e da una reattività chimica ed elettrochimica differenti rispetto agli analoghi complessi con la fenantrolina priva di sostituenti metilici in posizione 2,9. Le interazioni steriche tra i sostituenti in posizione 2,9 della fenantrolina e gli alogeni in cis rendono instabile la specie quadrato-planare facilitando, in solventi clorurati, l’addizione di leganti esterni (legante = L) quali: alcheni, alchini, CO, PPh3, DMSO, DMS, Py o n-PrNH2 e formando complessi pentacoordinati bipiramidali trigonali più stabili con formula generale [PtX2(Me2-phen)(L)]. La formazione di un complesso pentacoordinato prevede che gli alogeni occupino la posizione assiale e che l’olefina sia π-legata sul piano trigonale insieme al legante bidentato. Tra i differenti complessi sintetizzati della serie [PtX2(Me2phen)], (X = alogeno), il complesso [PtI2(Me2phen)] è quello che mostra una maggiore capacità di dare prodotti di addizione e quindi la formazione di complessi pentacoordinati termodinamicamente stabili, a causa dell’ingombro sterico dovuto alla presenza dell’atomo di iodio nella geometria quadrato planare. Come riportato in letteratura (Spyros A., J. Agric. Food Chem., 2000; Vigli G., J. Agric. Food Chem., 2003), sono già state effettuate reazioni con l’olio extravergine di oliva che prevedono la derivatizzazione degli idrogeni labili di gruppi funzionali (ad esempio OH, COOH e CHO) delle molecole maggiormente presenti nell’olio (trigliceridi) con l’impiego di reagenti come il complesso 2-chloro-4,4,5,5-tetramethyldioxaphospholano. In seguito sono state effettuate delle indagini attraverso spettroscopia di risonanza del 31P per identificare lo spostamento del chemical shift del prodotto formatosi. Tale meccanismo di reazione è stato impiegato al fine di estendere e migliorare, attraverso nuovi e rapidi metodi, la caratterizzazione dell’olio d’oliva e per identificare eventuali adulterazioni ottenute con l’aggiunta di oli di qualità inferiore. In quest’ottica il nostro gruppo di ricerca ha effettuato una serie di esperimenti in tubo NMR per studiare la reazione tra il complesso [PtI2(Me2-phen)] ed una miscela biologica complessa contenente trigliceridi insaturi a composizione variabile. Nel tempo sono stati preliminarmente eseguiti esperimenti utilizzando diversi standard di esteri metilici delle catene di acidi grassi, come l’estere metilico dell’acido oleico, linoleico, linolenico e trigliceridi a composizione mista (glicerolo esterificato con acido oleico in posizione 1,3 e in posizione 2). Infine, la reazione di addizione al complesso quadrato planare è stata effettuata utilizzando olio extra vergine di oliva tal quale, in presenza di eccesso del complesso quadrato planare [PtI2(Me2-phen)]. L’obiettivo di questi esperimenti è la messa a punto di un nuovo metodo per la caratterizzazione di miscele di acidi grassi con diverso grado di insaturazione e lunghezza attraverso la risonanza magnetica nucleare, tramite l’aumento di risoluzione del profilo spettroscopico a seguito dell’avvenuta reazione di addizione tra il complesso quadrato-planare di Pt(II) e le catene degli acidi grassi esterificati. È noto peraltro che la reazione di addizione avviene preferenzialmente per le olefine cis quali quelle normalmente presenti nei residui degli acidi grassi insaturi. Sono stati effettuati degli esperimenti con esteri metilici di acidi grassi insaturi che, analogamente a quelli presenti nei trigliceridi dell’olio d’oliva, hanno una o più insaturazioni a livello degli atomi cis-9, cis-9,12 e cis-9,12,15 della catena dell’acido grasso. I dati NMR mostrano, dopo solo tre ore dall’aggiunta di oleato di metile al [PtI2(Me2phen)], la formazione di una nuova specie di Pt pentacoordinata, [PtI2(Me2phen)(MeOleato)], con gli alogeni in posizione ortogonale rispetto al piano di coordinazione del complesso. Gli spettri 1H-1H COSY, 1 H-1H NOESY, 1H{13C} HETCOR, 1H{13C} HETCOR long range ed 1H{195Pt} HETCOR hanno permesso la completa caratterizzazione della specie pentacoordinata [PtI2(Me2phen)(MeOleato)], la cui formazione è stata confermata anche dallo spettro NMR DOSY. La reazione di addizione tra il complesso [PtI2(Me2phen)] e l’estere metilico dell’acido linoleico, un acido grasso avente due doppi legami coniugati in posizione cis-∆9 e cis,cis-∆9, ∆12, porta alla formazione di più specie pentacoordinate, la specie I (monoaddotto) e la specie II (bis addotto), in funzione della diversa coordinazione ai due doppi legami (cis-∆9 e cis,cis-∆9, ∆12). 124 Strutture delle specie monoaddotto [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)] e bisaddotto [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)]. Gli alogeni si trovano in posizione ortogonale rispetto al piano di coordinazione del Platino. Lo studio degli spettri 1H-1H COSY ed 1H-1H NOESY, che mostrano la formazione iniziale della specie pentacoordinata in cui il Pt è legato presumibilmente al doppio legame in posizione cis-∆9, ha consentito la completa caratterizzazione delle specie I e II. Gli spettri 1H-1H COSY, 1H-1H NOESY ed 1H{13C} HETCOR ed 1H{195Pt} HETCOR hanno evidenziato la formazione in tempi successivi di una terza specie contenente Pt. Anche in questo caso la spettroscopia NMR DOSY ha confermato la presenza di più specie pentacoordinate che hanno coefficienti di diffusione differenti rispetto a quelli osservati per le molecole [PtI2(Me2phen)] e metil linoleato. log(m2/s) -9.4 log(m 2/s) -9.4 specie II specie I -9.2 M eL -9.0 -9.2 -9.0 5. 5 5.0 4.5 4 .0 3.5 3. 0 pp m 5.5 4.5 ppm log( m2/s ) - 9.4 - 9.2 - 9.0 8.5 7.5 6.5 5.5 4.5 3.5 2 .5 1 .5 ppm Espansioni dello spettro NMR DOSY (Diffusion Ordered Spectroscopy) dei segnali vinilici e bisallilici delle specie monoaddotto [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)] e bisaddotto [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)]. Coordinazione di [PtI2 (Me2phen)] all’olio extravergine di oliva. La reazione tra [PtI2(Me2phen)] ed esteri metilici degli acidi grassi (con differenti gradi di insaturazione) è stata ripetuta con l’olio extravergine d’oliva, aggiunto nell’ambiente di reazione senza alcun processo di trasformazione o derivatizzazione. Il meccanismo di coordinazione della 125 specie [PtI2(Me2-phen)] con l’olio extravergine di oliva avviene mediante addizione del complesso quadrato planare ai vari acidi grassi insaturi (trigliceridi). Da spettri acquisiti in momenti successivi (la reazione è stata monitorata per un tempo di circa 30h) si osservano inoltre dei cambiamenti in alcune zone dello spettro protonico, indice dell’avvenuta coordinazione. Conducendo la reazione in difetto di olio si osserva che il segnale a circa 5.30 ppm corrispondente ai protoni vinilici liberi degli acidi grassi a catena lunga presenti nell’olio diminuisce di intensità man mano che la reazione prosegue, fino alla completa scomparsa del segnale. Contemporaneamente a ciò si osserva la comparsa del segnale dei protoni olefinici delle specie pentacoordinate a 4.45 ppm con il caratteristico effetto di schermatura dovuto alla coordinazione al platino. ppm -3770 -3760 -3750 -3740 5.0 4.5 4.0 3.0 3.5 2.5 2.0 ppm Espansione dello spettro bidimensionale 1H {195Pt} HETCOR del complesso [PtI2(Me2phen)(MeLinoleate)] in CDCl3 Lo studio dello spettro bidimensionale 1H{195Pt} HETCOR indica la presenza delle diverse specie pentacoordinate che si formano in momenti successivi dalla reazione di addizione. Infatti, è possibile osservare differenti chemical shift di segnali di atomi legati al Pt. (figura 13). I segnali relativi alla prima specie mostrano nello spettro 2D 1H{195Pt} HETCOR un chemical shift a -3761 ppm, comparabile a quello osservato per il [PtI2(Me2phen)(MeOleato)]. Lo spettro bidimensionale 1 H{195Pt} HETCOR mostra ulteriori segnali di Pt a valori di chemical shift di -3763 ppm (comparabile a quello osservato alla II specie, il bisaddotto, osservato nella reazione del PtI2(Me2phen) con il MeLinoleato). Si osservano inoltre anche due segnali a -3745 e -3736 ppm, comparabili a quelli osservati dopo prolungati tempi di reazione nella reazione di PtI2(Me2phen) con metil Linoleato (tabella 2). Si osservano inoltre altri segnali relativi a specie contenenti protoni accoppiati al Pt appartenti ad ulteriori specie che si formano in tempi più lunghi. In definitiva si può affermare che un complesso di Platino(II) come il [PtI2(Me2phen)] mostra la stessa reattività, già osservata in presenza di molecole organiche contenenti un doppio legame (olefine quali: etilene, propene, butene), nei confronti di un campione biologico, quale l’olio extravergine di oliva. È stato osservato che la reazione di coordinazione del doppio legame al Pt avviene nonostante il gruppo olefinico si trovi all’interno di lunghe catene esterificate al glicerolo nelle posizioni 1,3 e 2. Dati spettroscopici osservati sono comparabili con quelli già ipotizzati per olefine più semplici. Le differenze di coordinazione del complesso in rapporto ai vari acidi grassi insaturi presenti nella miscela potrebbero essere utilizzate come metodo di analisi della componente insatura degli oli vegetali. Nella miscela sono presenti, infatti, due diverse possibilità di distribuzione: la posizione 1,3, favorita statisticamente e cineticamente (perché parti più esposte della molecola dei trigliceridi), e la posizione 2, diversa per entrambi i fattori appena enunciati. Un altro parametro discriminante è il tipo di acido grasso insaturo presente. È atteso che acidi grassi insaturi di tipo trans (prodotti di degradazione) non diano facilmente prodotti di reazione con il complesso quadrato-planare [PtI2(Me2phen)], a differenza dei cis (che sono naturalmente presenti), in ogni caso portando a prodotti strutturalmente differenti e facilmente caratterizzabili tramite le loro proprietà spettroscopiche. Ulteriori studi sono in corso al fine di caratterizzare le miscele di specie pentacoordinate che si formano, in particolare nei casi degli esteri metilici di acidi grassi polinsaturi 126 e delle miscele di di- e trigliceridi contenenti più acidi grassi insaturi nelle diverse posizioni di esterificazione. Gruppo Prof. Santo Marsigliante: Muscella Antonella, Calabriso Nadia, Vetrugno Carla La risposta cellulare a molecole a base di Pt(II) L’unità coordinata dal prof. Marsigliante ha continuato la caratterizzazione biologica di [Pt(O,O’acac)(γ-acac)(DMS)]. Questo complesso ha una ridottissima reattività con le nucleobasi e una specifica reattività con ligandi solforati, suggerendo che i bersagli cellulari preferiti possano essere i tioli proteici. Ne avevamo ipotizziamo l’efficacia anche verso tumori cisplatino-resistenti/refrattari sulla base della possibile presenza di bersagli proteici tumore-specifici. Lo studio è continuato anche nell'anno 2009 e ha avuto come obiettivo l'esame dell'ipotesi che [Pt (O,O'-acac)(γ-acac)(DMS)] fosse anche in grado di esercitare l'anoikia (una forma di morte programmata cellulare indotta dalla perdita di ancoraggio delle cellule, cioè una forma di apoptosi dovuta al distacco dalla matrice extracellulare circostante) e di alterare la capacità di migrazione delle cellule MCF-7. I risultati hanno mostrato che concentrazioni sub-citotossiche di [Pt(O,O’acac)(γ-acac)(DMS)] diminuiscono: (a) l'ancoraggio indipendenza e la crescita cellulare, (b) la capacità di migrazione e (c) l'espressione e l'attività delle metalloproteasi MMP-2 e MMP-9. Questi effetti macroscopici sono dovuti alla produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS), e all'attivazione delle chinasi p38MAPK, Src e PKC-ε. In conclusione, concentrazioni sub-letali di [Pt (O,O'-acac)(γ-acac)(DMS)] inducono l'anoikia e limitano alcuni degli eventi che portano alla metastatizzazione. Quindi, ancora una volta i risultati suggeriscono che [Pt (O,O'-acac)(γacac)(DMS)] è un promettente agente terapeutico in grado di prevenire la crescita e le metastasi del cancro al seno. Questa unità ha continuato anche per il 2009 gli studi sul cisplatino seguendo tre differenti aspetti della ricerca dettagliati di seguito: (a) studio dell'effetto del cisplatino sulla migrazione delle cellule endoteliali, un processo essenziale per il rimodellamento vascolare e la rigenerazione in diverse situazioni fisiologiche e patologiche. Abbiamo dimostrato che il cisplatino provoca la riduzione della migrazione di cellule endoteliali, effetto indipendente dalla sua ben nota attività citotossica. Inoltre, il cisplatino riduce l'attività della metalloproteasi MMP2 utilizzando due vie di trasduzione del segnale indipendenti: la via di JNK e quella di p38MAPK. (b) studio degli effetti del cisplatino sull'attivazione del fattore di trascrizione c-fos e valutazione delle vie di trasduzione del segnale che mettono capo a questa attivazione in cellule di tiroide. Abbiamo dimostrato che il cisplatino provoca l'induzione di c-fos e l'attivazione delle proteine chinasi PKC-beta, PKC-delta e PKC-epsilon. Concludiamo che nelle cellule tiroidee, nelle vie di segnalamento intracellulare che portano alla resistenza al cisplatino, la PKC-delta controlla l'attività di ERK e, insieme con la PKC-beta, anche l'induzione di c-fos, il quale ha il ruolo protettivo più importante. (c) studio delle funzioni del recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR) negli effetti esercitati dal cisplatino in cellule tiroidee. Si è constatato che il cisplatino provoca (1) l'attivazione (fosforilazione) e l'internalizzazione di EGFR, (2) la fosforilazione delle chinasi p38MAPK e PKCepsilon, (3) l'aumento dell'espressione delle metalloproteinasi della matrice MMP-2, (4) la produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e (5) l'attivazione del pathway apoptotico intrinseco. In conclusione, i risultati sono a favore di un modello nel quale il cisplatino provoca la genesi di ROS che transattivano EGFR, con successiva induzione dell'apoptosi, un processo quest'ultimo ascrivibile alla PKC-epsilon e a p38MAPK, due vie di segnalamento intracellulare dipendenti da EGFR. 127 Gruppo Prof. T. Schettino: Maria Giulia Lionetto, Maria Elena Giordano, Roberto Caricato Nel corso dell’anno 2009 il gruppo di ricerca diretto dal prof. Schettino ha continuato lo studio del metalloenzima anidrasi carbonica e, in particolare, della sua sensibilità in vitro alle principali classi di contaminanti chimici ambientali, intrapreso negli anni precedenti. L’anidrasi carbonica è un metalloenzima che catalizza la reazione reversibile di idratazione dell’anidride carbonica a bicarbonato. Tale enzima ha un’ampia diffusione nel mondo vivente, essendo presente in alcuni batteri, nelle piante e negli animali. Il sito attivo dell’enzima è localizzato in una profonda tasca, situata nel centro della molecola in cui è alloggiato lo ione Zn2+ che si lega a tre residui di istidina della proteina. Nel corso del 2009, inoltre, il gruppo di ricerca del prof. Schettino ha proseguito lo studio, intrapreso negli anni precedenti, delle metallotioneine, proteine citoplasmatiche ad elevata affinità per i cationi dei metalli pesanti, su organismi sentinella della qualità del suolo, quali i lombrichi, ai fini dello studio della contaminazione del suolo da metalli pesanti. Gruppo Prof. Michele Maffia: Raffaele Acierno, Antonio Danieli, Antonia Rizzello, Emanuela Urso, Maria Luce Coluccia, Daniele Vergara Il rame è un micronutriente essenziale presente in tracce in tutti gli organismi. Le particolari proprietà ossido-riduttive di questo metallo ne giustificano il ruolo come cofattore catalitico per numerosi enzimi coinvolti in processi biochimici basilari (respirazione mitocondriale, difesa cellulare contro lo stress ossidativo). La stessa natura reattiva dello ione rame, se non opportunamente “gestita” dalla cellula, può dare origine alla formazione di radicali idrossilici, in grado di danneggiare irreversibilmente lipidi, proteine ed acidi nucleici. Per questo motivo, il metabolismo cellulare del rame è finemente regolato da una complessa rete di trasportatori e proteine “chaperon”. Il carrier Ctr1 media selettivamente l’ingresso degli ioni Cu(I) nelle cellule. Recentemente è stato, inoltre, dimostrato come anche la proteina DMT1 sia in grado di trasportare ioni rame in forma mono- e divalente. Tuttora controverso è il ruolo della Proteina Prionica Cellulare PrPC, che, localizzata sul versante extracellulare delle membrane cellulari e data l’elevata affinità di legame per gli ioni Cu(II), sembrerebbe potenzialmente in grado di mediare l’uptake cellulare del metallo. Non esistono, tuttavia, prove dirette e inconfutabili che questo avvenga. Nel compartimento citosolico, tre proteine “chaperon”, Atox1, CCS e Cox17 veicolano il rame verso specifici compartimenti subcellulari ed enzimi che lo richiedono come cofattore, rispettivamente le membrane dell’apparato di Golgi, la Superossido dismutasi citosolica e i mitocondri. L’efflusso cellulare dello ione avviene essenzialmente ad opera delle proteine di Menkes (ATP7A) e Wilson (ATP7B), ATPasi di tipo P localizzate a livello dell’apparato di Golgi, dove presiedono all’incorporazione del rame nella struttura dei cuproenzimi. In presenza di un eccesso del metallo nel citosol, entrambe si localizzano a livello della membrana plasmatica, mediandone l’efflusso. Sebbene sia ormai ben noto il coinvolgimento di dismetabolismi del rame nell’insorgenza di numerose patologie neurodegenerative, in ogni caso legate ad un ridotto assorbimento dello ione e/o ad una distribuzione tissutale deficitaria, i meccanismi che regolano l’omeostasi cellulare dello ione a livello nervoso sono ancora poco chiari. Per questa ragione, la presente Unità Operativa ha orientato la propria attività di ricerca alla ricostruzione dei meccanismi che sovrintendono all’omeostasi cellulare dello ione rame in un modello cellulare di origine nervosa, derivato dal Sistema Nervoso Centrale di ratto (linea cellulare B104). Lo studio delle strategie adattative messe in atto dalle cellule in risposta ad una condizione di carenza di rame ha fornito prove convincenti del ruolo chiave rivestito dalla proteina prionica nel trasporto cellulare di quest’elemento. Per verificare con quali modalità e in che misura questa proteina intervenga nel mediare l’uptake cellulare di rame, sono stati realizzati dei saggi di trasporto basati sull’utilizzo di un metodo d’indagine fluorimetrica. L’ingresso di rame nelle cellule pre-caricate con l’indicatore fluorescente 128 Cu-sensibile Phen Green SK è stato quantificato nelle seguenti condizioni sperimentali: (1) controllo; (2) inibizione dei processi di trasporto endocitotico mediante shock ipertonico; (3) inibizione dei processi di trasporto PrPC-mediati mediante rimozione enzimatica delle proteine ancorate alla membrana plasmatica attraverso un residuo di GPI; (4) simultanea inibizione dei processi di trasporto endocitotici e PrPC-mediati [(2) + (3)]. La percentuale di inibizione del trasporto di rame è risultata invariata nelle tre condizioni sperimentali e pari all’incirca al 30%. Se ne deduce che in condizioni standard la proteina prionica media solo in parte i processi di uptake dello ione rame, con modalità esclusivamente endocitotiche. Inoltre, i processi di endocitosi finalizzati alla captazione di rame sono esclusivamente PrPC-dipendenti. L’affidabilità dei risultati ottenuti in questo studio è stata dimostrata valutando gli effetti delle condizioni sperimentali sopra citate su un sistema di trasporto non endocitotico (scambiatore Na+/H+) mediante l’uso di una tecnica fluorimetrica utile a rilevare variazioni di pH intracellulare (indicatore fluorescente BCECF), quali indici di un’attività di trasporto H+-dipendente. Come atteso, le condizioni sperimentali utilizzate non hanno prodotto variazioni significative dei processi di trasporto. In riferimento ad un possibile coinvolgimento della PrPC nei processi di trasmissione sinaptica, si è deciso di eseguire mediante spettroscopia SERS (Surface-enhanced Raman Spectroscopy) un’analisi puntuale dei livelli di espressione di questa proteina nei vari distretti della membrana plasmatica delle cellule B104. Precedenti studi hanno consentito la messa a punto di un protocollo SERS di rivelazione e quantificazione della PrPC basato sulle variazioni dei profili Raman ottenuti da colture controllo prima e dopo una breve esposizione ad un sale di rame. Per rendere le condizioni sperimentali il più possibile idonee ad un’indagine di tipo quantitativo, sono stati acquisiti gli spettri Raman da monostrati cellulari posti in presenza di concentrazioni crescenti di rame (Cu 10-50-200 µM), ad intervalli di tempo regolari (0-10 min). Sulla base dei dati ottenuti, si è scelto di esporre le colture cellulari per 2 min alla presenza di CuCl2 200 µM, condizione che consente di ottenere un chiaro segnale della presenza della proteina prionica cellulare. L’analisi puntuale ha, quindi, evidenziato una ridotta localizzazione della proteina prionica a livello del corpo cellulare. Una presenza marcata è stata osservata, invece, nel cono d’emergenza neuronale (o zona d’innesco del potenziale d’azione), a testimoniare un possibile coinvolgimento della PrPC nei processi cellulari elettrofisiologici. In questo momento, sono in corso degli esperimenti di caratterizzazione dei meccanismi di trasporto dello ione rame in modelli cellulari di origine epatica (BRL3A) ed intestinale (Caco-2, HT-29) attraverso l’utilizzo di opportuni substrati di crescita (filtri in Teflon trattati con collagene) e di un metodo d’indagine fluorimetrica applicato ad un sistema di perfusione. 129 130 UNITA’ DI RICERCA DI SIENA Direttore Sientifico: Prof. Piero Zanello Come ormai tradizionale, l'Unità di Ricerca di Siena nel corso del 2009 ha proseguito ricerche e studi su molecole di interesse biomedico e farmacologico avvalendosi delle competenze specifiche dei diversi gruppi componenti l’unità, competenze che spaziano dalla sintesi alla caratterizzazione chimico-fisica (strutture molecolari mediante tecniche a Raggi X e mediante tecniche spettroscopiche, proprietà elettro- e spettroelettro-chimiche e capacità complessante di metalloleganti mediante misure calorimetriche), alla caratterizzazione farmaco-bio-medicale. Gran parte di tali indagini sono state condotte in collaborazione con gruppi di ricerca sia nazionali, che internazionali. 1. Gruppo di ricerca del Professore Piero Zanello Nel corso dell'anno 2009 sono proseguite collaborazioni pluriennali col gruppo del Professor L. Messori (Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze) e col gruppo del Prof. D. Fregona (Dipartimento di Scienze Chimiche dell'Università di Padova) mirate alla determinazione della capacità ossido-riduttiva di molecole di potenziale interesse bio-medico. In particolare, nel corso del 2009 si è privilegiato lo studio dell’interazione tra molecole potenziali pro-farmaci e proteine. In questo quadro, in collaborazione con l’Unità di Firenze sono state studiate per via elettrochimica e spettroelettrochimica le interazioni tra: - il complesso di Ru(III) [HIm][trans-RuCl4(DMSO)(Im)] (NAMI-A) e il Citocromo C; - il NAMI A e il Lisozima; - il complesso di Ru(III) trans-[bis(2-amino-5-methylthiazole)RuCl4] (PMRU27) e il Citocromo C La collaborazione con l’Unità di Padova ha riguardato indagini elettrochimiche e spettroelettrochimiche su complessi di Cu(II) con leganti ad attività citotossica nei confronti di un ampio numero di linee tumorali umane. In tale ottica, sono state studiate per via elettrochimica e spettroelettrochimica le interazioni tra complessi ditiocarbammici di Cu(II) e il glutatione. 2. Gruppo di ricerca dei Professori Vomero, Anzini, Cappelli, Giuliani. L’attività scientifica svolta nel 2009 dal gruppo di ricerca dei Prof. Vomero, Anzini, Cappelli e Giuliani ha riguardato: a) la sintesi, caratterizzazione e lo studio delle potenziali applicazioni nel rilascio controllato di farmaci di matrici polimeriche innovative; b) la progettazione la sintesi, la caratterizzazione strutturale, e farmacologica di composti eterociclici di interesse farmaceutico; c) la sintesi di nuovi substrati delle luciferasi. 3. Gruppo di ricerca del Professore Gianni Valensin Nel corso del 2009 il gruppo del Prof. Gianni Valensin ha proseguito alcune linee di ricerca iniziate negli anni precedenti e sono continuate le collaborazioni con i gruppi di ricerca del Prof. Henrik Kozlowski (Università di Wroclaw, Polonia), della Prof. Malgorzata Jezowska-Bojczuk (Università di Wroclaw, Polonia) e con quello del Prof. Maurizio Remelli (Università di Ferrara). Le linee di ricerca possono essere così riassunte: - Studi spettroscopici (NMR, EPR e UV-Vis) e potenziometrici delle interazioni tra ioni metallici (Cu, Zn, Fe, Mn) e sequenze di proteine coinvolte in alcuni processi neurodegenerativi (Alzheimer’s e prioni). - Studi spettroscopici e cristallografici di metallo-proteine e metallo-peptidi. Studi NMR paramagnetici di metallo-peptidi. - Folding e aggregazione di proteine: metalli e biomolecole nelle malattie conformazionali. - Studio dell’interazione tra antibiotici amino glicosidici, ioni Cu(II) e frammenti di RNA, mediante NMR e dicroismo circolare. 131 4. Gruppo di ricerca del Professore Giuseppe Campiani Nel corso del 2009, in linea con le esperienze di ricerca del gruppo in oggetto, sono proseguite le ricerche chimico-farmaceutiche nei settori delle malattie neurodegenerative, delle malattie neuropsichiatriche, nel campo dei farmaci antienzimatici, nel settore dei farmaci antimalarici, antivirali, anti-HIV ed anti-HCV, nel settore dei farmaci antitumorali a struttura taxanica o a struttura eterociclica e nel campo dei diagnostici per malattie causate da prione e amiloide. 5. Gruppo di ricerca del dott. Mario Casolaro Durante l’anno 2009 l’attività di ricerca ha riguardato fondamentalmente la sintesi di nuovi polimeri vinilici reticolati (idrogeli), con vario contenuto di agente reticolante. In particolare sono stati sintetizzati tre idrogeli contenenti residui di L-valina e successivamente fatti complessare con cisplatino. Tali materiali diventano così sensibili al pH ed alla temperatura, essendo la struttura del polimero simile a quella del ben noto poli(N-isopropilacrilammide) termosensibile. E’ stato studiato il rilascio di Pt(II) dagli idrogeli caricati e la loro tossicità in vitro. I risultati sembrano più promettenti di quelli in precedenza riportati e sono stati presentati al XXIII Congresso Nazionale della SCI. Un’ulteriore ricerca, sempre nel campo del rilascio controllato di farmaci, ha riguardato la sintesi e lo studio di interazione di un nuovo polimero contenente β-ciclodestrine, ed è in fase di studio l’interazione con la luteina per applicazioni cosmetiche. 6. Gruppo di ricerca del Professore Renzo Cini Nel corso dell’anno 2009 è continuata la ricerca su complessi metallici come potenziali farmaci. La strategia di ottenere farmaci multivalenti grazie alla combinazione delle attività farmacologiche dei leganti con quelle del metallo ha dato promettenti risultati nel caso di complessi Rutenio-tiobasi. Come in passato, è stata curata la sintesi dei complessi, la loro caratterizzazione strutturale mediante metodi diffrattometrici e di chimica computazionale. Sono stati effettuati studi funzionali di densità su complessi metallici. In cooperazione con il gruppo del professor Zanello è stata effettuata la caratterizzazione strutturale mediante diffrattometria a Raggi X e metodi funzionali di densità di un complesso di Rame(II) con un nuovo legante “base di Schiff” prodotto per sintesi elettrochimica a partire da altro complesso di Rame(II). Lo studio computazionale ha permesso di ottenere importanti contributi al meccanismo di reazione per la trasformazione del legante fino a dare il nuovo complesso. Questo gruppo di ricerca ha curato lo studio diffrattometrico e computazionale, mentre il gruppo del Professor Zannello si è occupato della sintesi per via elettrochimica del composto. Nel corso di questo anno è proseguito lo studio sulla qualità delle bevande attraverso la messa a punto di un metodo analitico per la determinazione dei solfati nelle acque e nei vini, attraverso un metodo indiretto basato sulla spettroscopia di assorbimento atomico. Lo studio è proseguito con la determinazione di metalli nei vini Chianti di alta qualità. È stato dimostrato che l’esistenza di una correlazione lineare fra il contenuto di solfati ed il contenuto di rame per vini ottenuti da uve provenienti dallo stesso terroir costituisce un modo affidabile per l’accertamento di trattamenti con solfato di rame alla vite o al vino stesso. Per valori alti dei due analiti è possibile ipotizzare un trattamento massiccio ad indicare una bassa qualità dell’uva. È continuato e si è intensificato lo studio di carico e rilascio dei complessi di platino su e da idrogeli di sintesi preparati e caratterizzati dal collega Mario Casolaro nell’ambito della cooperazione all’interno del CIRCMSB-Unità di Siena. Lo scopo di questo studio è quello di realizzare delle vie di somministrazione di farmaci a base di metalli, che siano efficaci ed in grado di ridurre gli eventuali effetti collaterali indesiderati dei farmaci stessi. Nel corso di questo anno è stato studiato il cisplatino, il capostipite dei metallo farmaci contro il cancro, ancora oggi molto usato per la cura di certi tumori umani in tutto il mondo. Nell’ambito della cooperazione con la Emory University di Atlanta, Georgia, USA, ed in particolare con il famoso Emerson Center diretto dal Professor Keiji Morokuma, è proseguito lo 132 studio sperimentale e funzionale di densità sui meccanismi della reazione che per attivazione del legame Sb-C porta alla formazione di composti organo-metallici stabili di Rodio(III) in un solo step di sintesi, in ambiente alcolico ed a temperature di 50-80°C. La cooperazione e la ricerca sperimentale e computazionale è stata curata dalla Dottoressa Gabriella Tamasi sia durante il semestre da lei trascorso ad Emory (nel 2006) che durante la Summer School Emory-Unisi Advanced Methods in Chemistry (nel 2008) di cui la Tamasi è stata docente ad Emory. Il lavoro è stato completato nel corso del 2009 usufruendo in remoto sia delle risorse di calcolo dell’Emerson Center di Emory che del Cineca. Infine è proseguito lo studio di sintesi e di caratterizzazione strutturale di complessi di Platino(II) con olefine in cooperazione con il gruppo dei Professori Maresca e Natile dell’Università di Bari. In particolare il gruppo di Siena ha effettuato lo studio diffrattometrico a raggi-X su cristalli di composti preparati e caratterizzati dal gruppo di Bari. 133 134 UNITA’ DI RICERCA DI TORINO Direttore Scientifico: Prof. Silvio Aime L’attivita’ di ricerca dell’Unita’ di Torino si e’ articolata lungo le seguenti linee e i risultati ottenuti sono stati oggetto di 29 pubblicazioni a stampa. Complessi paramagnetici per applicazioni MRI Nel settore degli agenti paramagnetici a base di Gd(III) si è continuato lo studio per approfondire la comprensione dei fenomeni che ottimizzati possono portare ad aumentare l’efficienza del composto come agente di contrasto per applicazioni MRI. In particolare, in uno studio condotto in collaborazione con il dipartimento di Chimica dell’Università di Durham, si è scoperto che all’interno della classe di composti derivati dal Gd-AAZTA c’è una differenza molto grande (sei volte) nella velocità di scambio delle molecole di acqua coordinate al Gd(III) tra i disteroisomeri RR- e RS- del derivato dell’acido di-glutarico dell’AAZTA. Nell’ottica di una maggiore conoscenza della stabilità termodinamica e soprattutto cinetica di questa importante classe di composti derivati dal Gd-AAZTA si sono inoltre calcolate le costanti di stabilità del legante capostipite con tutti i lantanidi della serie e alcuni metalli divalenti di interesse biologico (Cu e Ca). Sempre nell’ambito dei chelati di Gd(III) ad elevata stabilita’ termodinamica e cinetica e caratterizzati dal possedere due molecole di acqua nella loro sfera di coordinazione, si e’ proceduto con l’ottimizzazione dei leganti della serie HOPO (in collaborazione con L’Unita’ di Ricerca del Piemonte Orientale e con il Dipartimento di Chimica dell’Universita’ di Berkeley). Nell’ambito della ricerca di sistemi caratterizzati da una maggiore efficienza in termini di relassività e biodistribuzione si sono sintetizzati e caratterizzati ( la sintesi è stata condotta dal gruppo di ricerca del Prof. G. Cravotto dell’Università di Torino) nuovi dimeri e trimeri di beta-ciclodestrina che hanno dimostrato di poter dare composi di inclusione con complessi di Gd(III) funzionalizzati con residui idrofobici 2-3 ordini di grandezza più stabili rispetto a quelli con la normale betaciclodestrina. Sistemi caratterizzati da valori di relassività molto elevati sono inoltre stati messi a punto attraverso l’incorporazione in LDL (Low density Lipoprotein) di un derivato liofilo del Gd-AAZTA. Il sistema così ottenuto è caratterizzato dall’avere due molecole di acqua coordinate nella sfera di coordinazione interna del Gd(III) e questo garantisce un valore di relassività molto più elevato rispetto a sistemi analoghi costituiti con complessi di Gd(III) con q=1. Per quel che riguarda l’importante classe di composti definiti “smart”, perché in grado di essere responsivi di un determinato parametro caratteristico dell’ambiente in cui l’agente si distribuisce (es. pH, temperatura, concentrazione di ioni, ecc…), si è messo a punto un sistema costituito da una piattaforma a base di Policiclodestrina per la mappatura del pH tramite un metodo raziometrico basato su misure 1H/19F-MRI. La policiclodestrina è un carrier in grado di trasportare contemporaneamente il complesso di Gd(III) la cui relassività dipende dal pH e una molecola contenente 19F, dal cui segnale è possibile estrarre la concentrazione in ogni distretto in cui il sistema si distribuisce. Entrambe le molecole sono state funzionalizzate con un residuo di adamantano per assicurare un binding elevato verso il carrier policiclodestrinico. Sempre nell’ambito degli agenti di contrasto “smart” (in collaborazione con il dip. di Chimica dell’Università di Berkeley) si è poi studiata una nuova classe di complessi responsivi agli ioni Cu+/Cu2+ costituiti da una gabbia di coordinazione basata sul DO3A accoppiata con diverse funzioni ricche di gruppi tioetere con una particolare tendenza alla coordinazione per il Cu. In presenza di Cu+/Cu2+ si osserva una variazione di relassività dovuta ad un cambiamento nella sfera di coordinazione del Gd(III); tale variazione è altamente selettiva per la presenza dello ione rame rispetto alla competizione di altri ioni metallici alle concentrazioni cellulari, compreso lo Zn2+ in un eccesso di dieci volte. 135 Nell’ambito della sintesi e caratterizzazione di sistemi in grado di targettare selettivamente le cellule tumorali, si sono studiate tre nuove sonde in cui la gabbia di coordinazione del Gd-DOTA è stata funzionalizzata, attraverso uno spaziatore costituito da una catena di sei atomi di carbonio, con il vettore glutammina legato in tre modi diversi e cioè attraverso le funzioni alfa-carbossilica, gamma-carbossiammidica e alfa-amminica. I risultati di uptake cellulare in una linea di epatocarcinoma (HTC) e in epatociti sani di ratto hanno permesso di concludere che il sistema in cui il vettore è coniugato attraverso la funzione alfa-carbossilica ha un’affinità marcatamente più alta per le cellule tumorali; questo comportamento è stato razionalizzato sulla base dell’utilizzo da parte di questo sistema di un trasportatore aggiuntivo presente nelle cellule epatiche tumorali. Un altro sistema preso in considerazione è quello costituito da un derivato del Gd-DTPA coniugato alla Vitamina B12 attraverso l’esterificazione del gruppo 5-OH dell’unità di ribosio della vitamina stessa. Questo sistema è in grado di rilasciare, in modo specifico verso le cellule tumorali, grandi quantità di ione Gd(III) che risulta citotossico per le cellule stesse. Per quanto riguarda lo sviluppo nel settore degli agenti CEST, la ricerca svolta si è principalmente focalizzata sullo studio del comportamento in vivo di sistemi liposomiali (LipoCEST). Come riportato nella relazione dello scorso anno, la peculiarità di questi agenti risiede nella loro elevata sensibilità che deriva dalla saturazione del segnale 1H-NMR dell’intero pool di molecole di acqua intrappolate nelle nanovescicole liposomiali ed opportunamente shiftate dal segnale di bulk mediante opportuni reagenti paramagnetici di shift incapsulati nella cavità o incorporati nella membrana. Poichè la persistenza del contrasto CEST in questi sistemi è vincolata all’integrità della vescicola, particolare interesse è stato rivolto all’interazione tra questi agenti e i tessuti con i quali tali sistemi possono interagire in vivo. Come sistema modello si è scelto di iniettare l’agente direttamente in una lesione tumorale murina (melanoma) generato per inoculo sottocutaneo di cellule tumorali B16. Il contrasto CEST è stato monitorato nel tempo al fine di valutare la sua persistenza. Per ampliare le informazioni circa il destino delle nanovescicole nell’ambiente tumorale, oltre al contrasto CEST è stata misurata l’evoluzione cinetica anche del contrasto T2, sfruttando la capacità posseduta da questi agenti di ridurre il tempo di rilassamento trasversale dell’acqua per effetti di suscettività magnetica. Inoltre, sostituendo il reagente di shift incapsulato nell’agente LipoCEST con un analogo complesso di Gd(III), è stato possibile seguire anche il contrasto T1 senza modificare le interazioni biologiche del nanosistema. I dati raccolti sono stati analizzati mediante un modello cinetico sviluppato al fine di desc rivere l’uptake cellulare delle vescicole e la compartimentalizzazione e trafficking intracellulare dell’agente paramagnetico. Un altro importante risultato nel settore degli agenti CEST è stato raggiunto utilizzando lo iopamidolo, un agente diagnostico approvato per l’uso clinico nella tomografia CT. Questi studi hanno evidenziato la capacità di questo agente di fornire un contrasto CEST dipendente dal pH ed inoltre, poichè la molecola presenta due diversi set di protoni mobili con frequenze di risonanza e velocità di scambio diverse. Queste caratteristiche sono state sfruttate per rendere questo agente un probe MRI per la misura del pH in modo indipendente dalla concentrazione locale di agente. Poichè lo iopamidolo viene escreto totalmente per via renale, è stato sviluppato un protocollo MR-CEST in vivo su un modello murino per la misurazione in vivo del pH nelle diverse strutture renali (corteccia, medulla, calice). Molecole-paraidrogenate In seguito all’addizione di una molecola di para-idrogeno (iperpolarizzata in quanto le popolazioni dei livelli di spin sono sbilanciate rispetto alla situazione di equilibrio) a substrati insaturi, l’iperpolarizzazione viene mantenuta anche nei prodotti, che di conseguenza presentano spettri NMR caratterizzati da un’elevatissima intensità di segnale, di diversi ordini di grandezza superiore a quella ottenibile dallo stesso campione idrogenato con normal-idrogeno, o dopo il ripristino (tramite i processi di rilassamento) delle popolazioni di equilibrio dei livelli di spin nucleare. L’ordine di spin del para-idrogeno può essere trasferito agli eteronuclei della stessa molecola tramite accoppiamento scalare o interazione dipolare, rendendo così possibile l’acquisizione di 136 immagini MR basate sull’osservazione diretta dell’eteronucleo, col vantaggio della completa assenza di rumore di fondo nell’immagine, e la possibilità di seguire – anche in vivo – le eventuali trasformazioni metaboliche cui le molecole iperpolarizzate vanno incontro mediante l’osservazione dei prodotti del metabolismo (non visibili con altre metodologie). Lo svantaggio risiede nel breve tempo a disposizione per la misura, dato che l’iperpolarizzazione decade secondo il rilassamento longitudinale del nucleo in questione, ragione per cui è necessario selezionare molecole nelle quali sia possibile trasferire l’effetto del paraidrogeno ad un nucleo caratterizzato da un lungo T1, oltre che naturalmente caratterizzate da buona solubilità in acqua e bassa tossicità. Nel corso dell’anno 2009 abbiamo proseguito con la messa a punto dell’intera metodologia, con particolare attenzione all’ottimizzazione del reattore per la reazione di idrogenazione e del processo di purificazione del prodotto iperpolarizzato (mediante rimozione del solvente organico e del catalizzatore di idrogenazione). In particolare, si sono studiati due diversi metodi di purificazione: 1) eliminazione di solvente e catalizzatore mediante trasferimento di fase, in continuità col lavoro dell’anno precedente, e 2) para-idrogenazione in fase acquosa e successiva eliminazione del catalizzatore mediante scambio ionico. Sono stati inoltre preparati e testati diversi substrati arricchiti in 13C o 15N come potenziali candidati per future applicazioni MRI in vivo. Tra questi, alcuni derivati del glucosio, che sono risultati particolarmente promettenti in quanto facilmente idrogenabili anche in acqua, con elevati livelli di polarizzazione raggiungibili, e velocemente internalizzati da cellule tumorali. 137 138 UNITA’ DI RICERCA DI TRIESTE Direttore Scientifico: Prof. Ennio Zangrando COMPOSTI ANTITUMORALI DI RUTENIO Enzo Alessio, Ioannis Bratsos, Teresa Gianferrara, Ennio Zangrando Strategie di sintesi di coniugati rutenio-porfirina con attività antitumorale La sintesi che porta a legare anelli porfirinici a frammenti metallici è una strategia per la preparazione di nuovi composti che presentano sia proprietà di fototossicità e di localizzazione del tumore da parte delle porfirine, sia proprietà citotossiche del complesso metallico per un effetto antitumorale combinato. Nel 2009 abbiamo riportato una nuova classe di coniugati rutenio-porfirina con potenziali applicazioni biomediche. La scelta del rutenio è dovuta al fatto che parecchi dei suoi composti (alcuni sviluppati nei nel nostro gruppo) presentano promettenti attività anticancro. La coniugazione con il macrociclo di porfirine è ottenuto con l’uso di anelli piridinici periferici (ad es. meso-4'-tetrapiridilporfirina, 4'TPyP) o con unità bipiridilici (ad es. meso-(p-bipy-fenil)porfirina, Bpyn-PPs, n = 1-4). Il numero di frammenti metallici di Ru attaccati alla porfirina varia da 1 a 4 e la corrispondente carica dell’addotto da -4 a +8. Son stati utilizzati differenti tipi di frammenti di Ru periferici sia con numero di ossidazione +3 che +2. In alcuni casi questi sono strutturalmente simili a ben noti composti antitumorali, come ad es. il [Na]4[4'TPyP{trans-RuCl4(dmso-S)}4], contenente quattro frammenti del tipo NAMI., o [4'TPyP{Ru([9]aneS3)(en)}4][CF3SO3]8 e [Bpy4PP{Ru([9]aneS3) (dmso-S)}4][CF3SO3]8 (nei quali en = 1,2-diaminoetano, [9]aneS3 = 1,4,7tritiaciclononano) che comprendono quattro gruppi di Ru(II) “half-sandwich”. I frammenti di Ru possono contenere sia uno o più leganti labili o essere coordinativamente saturi e inerti alla sostituzione. Due esempi sono riportati in Figura. 8+ S H2 N Ru N H2 N 8+ S S Ru N S H3C H3C N O S S S O CH3 NH H3C CH3 NH2 H2N S Ru S NH S N N N N S HN N S H2N S Ru S NH2 S N S Ru N S S O CH3 CH3 S N N O HN HN H3C N H2 S S Ru N S S H3C O H3C N NH H2 N Ru S NH HN O O N N S Ru S S S CH3 CH3 O La maggior parte dei coniugati rutenio porfirina sono solubili, almeno moderatamente, in soluzione acquosa e risultano pertanto adatti per applicazioni e studi biologici. In particolare test di citotossicità e di foto citotossicità sono in corso di studio. 139 BIOCRISTALLOGRAFIA L. Randaccio, S. Geremia, N. Demitri, M. De March Cristallizzazione della variante mutata del peptide biomimetico KE1(His16) Tramite diffrazione a raggi X è stata risolta la struttura trigonale geminata (gruppo spaziale P3 e P32) del peptide KE1 wild type. La presenza in cella di una molecola indipendente con una struttura secondaria ad α-elica lineare, e le relative relazionate per simmetria, individua la formazione di un trimero di tipo parallelo con un motivo supersecondario chiamato three helix bundle che genera al suo interno una cavità idrofobica in cui si localizza un residuo di fenilalanina. Si è proceduto quindi alla cristallizzazione e la determinazione della struttura a raggi X di una variante mutata del peptide KE1. La scelta della mutazione è stata decisa sulla base di uno studio di modeling (Figura 1) in cui si è ipotizzato che la sostituzione del residuo di fenilalanina con istidina generasse nella cavità idrofobica del polipeptide un possibile sito di coordinazione per uno specifico ione metallico, quale lo zinco. Questa ipotesi è supportata dal fatto che la strutturazione del peptide KE1(his16) fosse la stessa della forma wild type, ossia che una volta introdotta la mutazione ed una volta effettuato un esperimento di co-cristallizzazione il peptide assumesse una struttura ad α-elica completa generando quindi nella cella elementare il motivo tipo three helix bundle parallelo già incontrato. A supporto di ciò vi erano numerosi studi di dicroismo circolare in cui si dimostra che metalli quali zinco, rame e cadmio presentano la capacità di indurre in peptidi di nuova sintesi questo caratteristico folding (A.F.A.P. at all. 2009). L’analisi cristallografica di questa nuova molecola è utile per la comprensione della strutturazione di un sito di coordinazione metallico all’interno di peptidi artificiali il cui ruolo è quello di mimare la funzione catalitica di numerose metalloproteine naturali e diventa rilevante in numerose applicazioni riguardanti settori come la biochimica o la chimica farmaceutica, per lo sviluppo di nuove biomolecole che presentano specificità e selettività sempre maggiori verso determinate sostanze. E’ stata quindi avviata la procedura di sintesi e preparazione della variante KE1 (His16), effettuata dal Dott. G. Fontanive in collaborazione con il gruppo del Prof. R. Marzari. Dopo il processo di riduzione (protocollo di M.Vilaseca at all. 1998), sono stati utilizzati numerosi composti organici e il risultato positivo è stato confermato da una analisi di spettrometria di massa che non esclude però la presenza di altre forme chimiche nel campione (figura 1e), il peptide è stato solubilizzato in tampone K2PO4 50 mM a pH 6.5, e successivamente purificato tramite cromatografia di esclusione per eliminare i composti organici in eccesso, monitorando il tutto via UV. Il peptide purificato (10 mg) è stato liofilizzato e successivamente solubilizzato in acqua a concentrazioni variabili (~2-3 mM) e sono stati effettuati esperimenti di co-cristallizzazione con soluzioni di CuSO4, ZnCl2 e CdAc in rapporti molari diversi. Gli esperimenti di diffrazione sono stati così effettuati alla linea di diffrazione XRD1 ad Elettra Trieste, ma dalle analisi preliminari è stato rilevato che la presenza di pochi spots associata ad una cella elementare di volume molto piccolo corrispondente alla cristallizzazione di Sali o piccole molecole usate durante il processo di riduzione. Espressione, purificazione e cristallizzazione del mutante PDE4B2 S487D Le proteine PDE4 sono enzimi che idrolizzano il legame 3’-5’ fosfodiestereo che si trova nel nucleotide ciclico purinico cAMP e che svolgono importanti azioni sul metabolismo dei nucleotidi e sulla cascata di trasduzione del segnale mediato da questi. I farmaci inibitori delle PDEs sono molecole che mimano gli anelli purinici e che sono in grado di legare in modo competitivo questa classe di proteine nel loro sito catalitico inibendone l’attività. Le rilevanti implicazioni biologiche di questa importante classe di inibitori sintetici interessano lo studio di alcuni processi patologici di tipo infiammatorio fra cui in particolare quello dell’asma allergica e della schizofrenia di tipo ereditario. 140 Le difficoltà riscontrate durante questi anni nel tentativo di produrre una quantità apprezzabile di proteina wild-type con un grado di purezza e stabilità tali da poter effettuare esperimenti di cristallizzazione e diffrazione hanno confermato le peculiari caratteristiche di questa proteina; il costrutto della PDE4B2, fuso alla proteina Glutatione S-Transferasi o ad una coda di istidina, infatti tende facilmente a degradarsi e denaturarsi oltre che a formare complessi multiproteici che ne impediscono una completa purificazione tramite metodiche cromatografiche. Per far fronte a queste problematiche è stata proposta una nuova strategia basata sulla produzione di una forma mutata S487D della PDE4B2; questo può influire sulla stabilità relativa della proteina sia durante il processo di purificazione che in quelli di folding e successiva cristallizzazione, aumentandone la capacità di binding verso gli inibitori di nuova sintesi e aumentando le probabilità di successo nelle cristallizzazioni. I dati di letteratura su cui si basa quest’assunzione provengono da strutture a raggi X già risolte della forma wild-type nelle quali l’interpretazione della densità elettronica in corrispondenza dei residui dell’ α-elica in cui si trova il sito di fosforilazione (sito PQSP) risulta spesso associata a disordine locale a causa dei moti termici; inoltre, in un precedente studio su questo mutante si osserva che la fosforilazione del residuo di serina presente nel dominio catalitico viene mimata in senso funzionale dalla sostituzione con un residuo di aspartato. E’ stata fatta un’analisi computazionale partendo dalla sequenza della proteina e usando alcuni programmi disponibili on-line per determinarne le caratteristiche chimico-fisiche, fra cui spicca il valore significativo del parametro di instabilità relativa pari ad 83.7%. Partendo da queste premesse quindi per la produzione della proteina con la specifica mutazione puntiforme (S→D) è stata utilizzata la tecnica della PCR (polymerase chain reaction), che prevede l’amplificazione esponenziale di frammenti di DNA di lunghezza variabile fino a qualche decina di kilobasi. Dati gli scarsi risultati ottenuti negli esperimenti di cristallizzazione, allo scopo di ottenere informazioni più dettagliate sull’identità della proteina espressa e sulla qualità della purificazione, usando lo strumento Electron Spry-Ion Trap è stata effettuata infine una massa (figura 8. c) del campione di PDE4B2 S487D che dall’analisi SDS-Page (figura 8. b) ha mostrato il maggior grado di purificazione. Non è stato possibile determinare con esattezza l’identità della proteina presente nel campione poichè sono presenti picchi con masse probabilmente attribuibili a possibili prodotti di degradazione della proteina stessa. È in corso uno studio di digestione triptica associato a spettrometria di massa per verificare l’identità della proteina. Analisi SDS-Page di un campione purificato tramite cromatografia a scambio anionico HiTrap e Spettro di massa ESIQuadrupolo della frazione 2 141 142