La Villa ritrovata - Villa Romana del Casale

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LA VILLA RITROVATA
La Villa romana del Casale di Piazza Armerina, di recente inaugurata e riaperta al
pubblico, dopo circa sei anni di laboriosi restauri, presenta all’esterno, agli occhi
del visitatore che si appresta ad entrarvi, gli edifici dell’Atrium e della Basilica,
che, in tal modo, gli vengono incontro come doveva avvenire in antico. La nuova
copertura, progettata e realizzata dall’architetto Guido Meli, con la supervisione
dell’Alto Commissario Vittorio Sgarbi, presenta, chiaramente e sobriamente, i
contorni e le linee che definiscono i volumi dei locali suddetti, annessi al
Peristilium che circonda il giardino e la piscina - vero e proprio Hortus conclusus
- il cuore della Villa romana del Casale. Non violentemente imposte a chi guarda,
grazie al colore neutro che si adatta senza difficoltà alla luce dell’ambiente
naturale e nemmeno brutalmente giustapposte alle strutture murarie esistenti, le
volumetrie esterne, ad altezza crescente, mostrano l’originaria linea ascendente,
lungo la quale si dispongono gli ambienti della costruzione. L’intera planimetria
della Villa, caratterizzata da una «disarmonica armonia», come notato dal Settis,
rivela quasi “teofanicamente” l’edificio basilicale, effettivamente edificato su un
livello superiore a quello del Peristilium e dell’Atrium. L’effetto è amplificato dai
gradoni che introducono alla Basilica, il cui ingresso è posto in corrispondenza
della metà della lunghezza dell’Ambulacrum, detto Corridoio della grande caccia,
ma che, in realtà, riproduce un criptoportico. Parlare, quindi, di semplice
protezione o di semplice salvaguardia dei mosaici e delle vestigia architettoniche
che la nuova copertura intende perseguire, non rende del tutto giustizia al progetto
ed all’operazione, realizzate e in fase di completamento, sui resti cospicui e ben
conservati della Villa romana del Casale. Ricordiamo, infatti, come non ci
troviamo dinanzi ad una sola stanza con un pavimento musivo ben conservato, da
proteggere dalle intemperie, com’è il caso della Villa romana del Tellaro presso
Patti. Non si tratta, nemmeno, di tre stanze da salvaguardare, come nel caso della
Villa romana di Malvaccaro, in provincia di Potenza, con un pavimento musivo
aniconico, privo cioè di raffigurazioni o di immagini di pregiata fattura. Nel caso
della Villa romana del Casale, presso Piazza Armerina, ci troviamo dinanzi a più
edifici, di notevoli dimensioni, raccordati l’uno all’altro, attorno al grande
Peristilium. La pianta complessiva della Villa, in seguito ad una fortunosa
circostanza - quale la frana che l’ha pressoché sigillata per almeno cinquecento
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anni – si è quasi del tutto conservata, in alzato. Ricordiamo, dunque, che la Villa
romana del Casale non è soltanto la “Villa dei mosaici”, ma soprattutto, secondo
la felice definizione del Carandini, un «edificio pseudourbano», risalente al IV
secolo, comprensivo di fasi costruttive o di restauro che si prolungherebbero fino
al V secolo. Per la varietà e l’unicità delle sue tipologie architettoniche ben
conservate (Thermae, Apodyterium, Peristilium, Ambulacrum, Basilica, Diaeta,
Cubiculum, Oecus o Xystus, Trichorium o Triclinium), si è reso necessario avviare
e realizzare un iter progettuale che non realizzasse un puro e semplice
“contenitore” che proteggesse e salvaguardasse la Villa. La nuova copertura della
Villa romana del Casale, vista l’inadeguatezza della precedente, progettata e
realizzata dall’architetto Minissi, si è ispirata al criterio del minimo intervento,
ovvero il più possibile contenuto che comportasse la minima compromissione del
“testo”, nella sua valenza documentaria. Si apprezza, dunque, particolarmente,
l’appoggio degli elementi di sostegno su supporti in legno fissati alle murature
antiche, con malte non aggressive, a differenza degli elementi di sostegno della
precedente copertura che, invece, “offendevano” le murature antiche, con
l’intrusione in esse di supporti metallici e con la conseguente iniezione di cemento
al loro interno. Il “testo” della Villa romana del Casale è fatto non soltanto di
mosaici e tipologie architettoniche e costruttive, proprie dell’architettura
ellenistica e romana tardo-antica, ma anche di affreschi, rinvenuti sia sulle pareti
esterne dei muri della Villa sia su quelle interne delle stanze d’abitazione o di
rappresentanza, dalla valenza più o meno pubblica od ufficiale e di opus sectile,
rinvenuto e conservatosi, nonostante gli spogli dell’ ’800, sul piano di calpestio
della Basilica. Si rendeva necessario creare non semplicemente un “percorso” che
rendesse fruibile ai visitatori presenti all’interno la Villa, in specie i pavimenti
musivi, intento perseguito dalle passerelle metalliche di Minissi, che “seguivano”
i mosaici. Si rendeva necessario superare una semplice filosofia della
conservazione, che, giustamente, parte dalla scelta irrinunciabile di preservare nel
loro contesto originario l’apparato musivo, e dalla necessità di esporre i mosaici
ad un’agevole e corretta fruizione pubblica. Intento, peraltro, perseguito dalla
copertura di Minissi, nonostante le elevate temperature in estate ed il rigore delle
basse temperature in inverno - dovute all’“effetto serra” della copertura in
plexiglas - che compromettevano l’integrità delle tessere musive. Si rendeva
necessario, piuttosto, far entrare il visitatore nell’habitat “domestico” di questa
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Villa, i cui mosaici parlano continuamente dell’ “abitare urbano” e dello status di
vita di un importante personaggio dell’aristocrazia senatoria e della sua familia,
includente anche gli schiavi, posti al suo diretto servizio. Si comprendono,
dunque, in questa logica nuova, propria della new archeology, all’insegna della
conservazione e della valorizzazione del monumento, in vista di un approccio
nuovo all’antico, non predatorio né estetizzante, i passaggi più larghi, capienti ed
agevoli per i visitatori, rispetto alle passerelle metalliche precedenti, sospesi sopra
le murature delle pareti delle stanze interne alla Villa, ad un’altezza superiore,
rispetto ancora alle passerelle del Minissi, che consentono di apprezzare non
soltanto i pavimenti musivi, ma ora anche gli affreschi, conservati sulle pareti
delle stanze interne - mirabilmente evidenziati e restaurati - e gli elementi
architettonici delle stanze rimasti in loco, che aiutano a decifrare la tipologia
d’uso degli ambienti interni alla Villa. Inoltre, la copertura in legno ed in
materiale ultraleggero ricostruisce il soffitto a céntina come doveva essere in
antico, nonché le absidi alle estremità dell’Ambulacrum della grande caccia e
quella della Diaeta di Orfeo, non evidenziate minimamente né ricostruite con la
copertura precedente. Infine, l’effetto d’ombra e la luce soffusa, all’interno della
Villa, oltre che stabilizzarne la temperatura e riparare dalla luce solare, tentano di
riprodurre quell’habitat “domestico” che trova la sua deroga nell’illuminazione
della Basilica, dotata di un soffitto ligneo che ricostruisce e suggerisce i cassettoni
ed i lacunari di quello originale, in direzione della riproduzione e del compimento
di quell’effetto “teofanico” originario, richiamante la solennità del cerimoniale
imperiale di corte, come evidenziato dagli studi della Mac Cormack. L’effetto
scenografico che il Dominus intendeva perseguire, con la costruzione in elevato
della Basilica e con l’annessione dell’Oecus o Xysthus al Trichorium o
Triclinium, è stato riconosciuto e tenuto in considerazione dalla nuova copertura
dell’architetto Meli, naturalmente con i limiti e le condizioni di un progetto che
rimane unico al mondo e non ha finora eguali. Se, usando le parole di Cicerone,
proprio al riguardo della costruzione della Villa, questa, con la sua sontuosità,
doveva assicurare al Dominus, non solo commoditas ma anche dignitas, si può
affermare che, ora, la Villa romana del Casale, ha raggiunto la sua dignitas.
FRANCESCO ALEO
(SICILIANTICA PIAZZA ARMERINA)
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