CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV COLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA IA inCItalia La Organo g Ufficiale della Società Italiana di Colposcopia p p e Patologia g Cervico Vaginale ANNO XXIV - N. 1 SETTEMBRE 2011 Comitato di Redazione Coordinatore Scientifico Vecchione Aldo (Roma) Comitato Scientifico Carinelli Silvestro (Milano) Chiossi Giuseppe (Modena) Fidelbo Melchiorre (Catania) Gallia Laura (Asti) Giunta Antonio (Partinico, PA) Montanari Gioia (Torino) Ricci Maria Grazia (Siena) Tortolani Francesca (Modena) Visci Paolo (Pescara) Coordinamento Editoriale Perino Antonio (Palermo) Peroni Mario (Ascoli Piceno) Piccoli Roberto (Napoli) Sommario SCHEMI TERAPEUTICI PER IL CARCINOMA EPITELIALE DELL’OVAIO F. Sopracordevole, R. Sorio 3 CONIZZAZIONE E RISCHIO DI PARTO PRETERMINE C.A. Liverani, E. Monti, D. Puglia, F. Fanetti, S. Mangano 11 LSIL PERSISTENTI: L’ESPERIENZA DEL CENTRO DI GINECOLOGIA ONCOLOGICA PREVENTIVA DI VERONA P. Cattani, R. Colombari, D. Dalfior, B. Bertolin, M. T. Iannone 15 DIAGNOSTICA INFETTIVOLOGICA IN GRAVIDANZA: QUALI PROTOCOLLI A. Ciavattini, F. Mancioli, H. Frizzo, M.G. Piermartiri, L. Moriconi, A.L. Tranquilli 20 RUBRICHE Accreditamento professionale in colposcopia e fisiopatologia del tratto genitale inferiore a cura della SICPCV 31 Notiziario della Società 32 Direttore Responsabile Fausto Boselli Redazione 41043 Casinalbo (Mo) Via Brescia, 5 Tel. 059 551685 Fax 059 5160097 Autorizzazione del Tribunale di Ascoli Piceno Iscr. al Reg. Stampa n. 196 del 14-03-1983 Stampa/Pubblicità Tipolitografia F.G. snc Strada Provinciale 14, 230 Savignano sul Panaro (Mo) Tel. 059 796150 Fax 059 796202 Proprietario Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale Via dei Soldati, 25 00186 Roma Finito di stampare nel mese di Settembre 2011 SICPCV 1 2 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV SICPCV Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale affiliata alla International Federation for Cervical Pathology and Colposcopy (IFCPC) Consiglio Direttivo Presidente Aldo Vecchione Vice Presidenti Antonio Frega Giancarlo Mojana Roberto Piccoli Segretario Generale Tesoriere Fausto Boselli Segretario Aggiunto Stefano De Martis Consiglieri Maggiorino Barbero Paolo Cattani Andrea Ciavattini Carlo Penna Paolo Scirpa Francesco Sopracordevole Revisori dei Conti Fabrizio Fabiano Alberto Biamonti Emanuela Sampugnaro Revisori dei Conti supplenti Maria Antonietta Bova Marco Palomba Comitato Scientifico Permanente Coordinatore Antonio Perino Referente per gli screening Gioia Rita Montanari Referenti Studio HPV Il vaccino La diagnostica Massimo Moscarini Franco M. Buonaguro Deborah French Referenti protocolli terapeutici Alberto Agarossi Maria Grazia Fallani Brunella Guerra Forum per le attività didattiche e la formazione Bruno Ghiringhello Daria Minucci Roberto Zarcone Referente per lo studio della Patologia vulvare Mario Preti Forum per le linee guida Andrea Amadori Elisabetta Carico Paolo Cristoforoni Gian Piero Fantin Carlo Antonio Liverani Giovanni Miniello CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV Schemi terapeutici p per il carcinoma epiteliale dell’ovaio F. Sopracordevole°, R. Sorio* °SOC di Oncologia Ginecologica * SOC di Oncologia Medica C Centro di Riferimento Oncologico di Aviano - IRCCS La Colposcopia in Italia Anno XXIV – N. 1 pagg. 3 - 10 Introduzione L a conoscenza delle vie di diffusione metastatica dei tumori epiteliali dell’ovaio (TEO) è alla base delle metodiche di stadiazione e della programmazione terapeutica. Il carcinoma ovarico diffonde precocemente per via linfatica ai linfonodi pelvici e soprattutto lomboaortici, attraverso i linfatici che scorrono lungo i vasi ovarici (tanto che il 25% dei tumori apparentemente al I stadio ed il 50% di quelli apparentemente al II stadio vengono correttamente studiati allo stadio IIIC dopo lo studio chirurgico dei linfonodi retroperitoneali). La neoplasia può diffondere per continuità ai tessuti e agli organi pelvici, e, una volta infiltrata la superficie ovarica o la capsula della neoformazione, le cellule neoplastiche vengono liberate nella cavità celomatica, e vengono trasportate dalla corrente del fluido endocelomatico, stimolato dai movimenti respiratori, secondo un senso orario lungo la doccia paracolica destra fino al diaframma; le zone di più probabile insemenzamento metastatico saranno quindi l’omento infracolico, il peritoneo pelvico, delle docce paracoliche (a destra più che a sinistra), il peritoneo sottodiaframmatico, la glissoniana, e via via l’omento gastrocolico, il peritoneo dei mesi e dell’intestino, la superficie della milza, fino ad interessare la superficie di tutti gli organi endocelomatici. L’interessamento dei linfatici soprattutto diaframmatici è alla base della diminuzione del riassorbimento del liquido celomatico con la formazione dell’ascite, alla cui formazione contribuisce poi anche l’ipertrasudazione causata dagli impianti metastatici. Attraverso i linfatici diaframmatici la malattia raggiunge la pleura, e determina un versamento con citologia positiva, prevalentemente a destra. Per via ematica la malattia può raggiungere più raramente e più tardivamente il parenchima epatico, e può determinare metastasi polmonari e cerebrali. L’interessamento della parete intestinale comporta poi quadri di occlusione intestinale, sia a livello del sigma retto (più frequentemente) che a livello del piccolo intestino (1). La maggior parte dei casi viene riscontrata allo stadio III, e cioè con interessamento celomatico extrapelvico, o con interessamento dei linfonodi retroperitoneali, mentre solo il 10-15% dei casi viene diagnosticato negli stadi Tabella 1. – Carcinoma ovarico – Stadiazione FIGO Stadio I: Stadio II: MALATTIA CONFINATA ALL’OVAIO IA limitata ad un ovaio, capsula integra, washings negativi IB in entrambe le ovaie, capsula integra, washings negativi IC capsula NON integra o interessata, washings o free-fluid positivo MALATTIA LIMITATA ALLA PELVI IIA diffusione all’utero o alle tube IIB estensione ad altre strutture pelviche IIC capsula non integra o interessata, washings o free fluid positivi Stadio III: MALATTIA SOLO ENDOCELOMATICA IIIA positività microscopica peritoneale, LN retroperitoneali negativi IIIB positività macroscopica (impianti < 2 cm) LN retroperitoneali negativi IIIC positività macroscopica (impianti > 2 cm) O LN retroperitoneali positivi Stadio IV: MALATTIA EXTRACELOMATICA metastasi intraepatiche, intraspleniche, versamento pleurico positivo, metastasi cerebrali, parete addominale, vescica... 3 4 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV “early” (I e II FIGO), mentre la gran parte dei casi viene diagnosticata in stadio già avanzato (III e IV), quando la possibilità di cura è minore (2,3). La sopravvivenza a 5 anni negli stadi iniziali, in cui la malattia è confinata all’ovaio, può raggiungere il 70-90%, mentre in caso di malattia riscontrata negli stadi avanzati la sopravvivenza a 5 anni si riduce al 20-30% (4), di cui solo il 9% è senza malattia (5), malgrado terapie integrate molto costose (5,6). Tappe fondamentali della terapia sono stati il riconoscimento dell’importanza del primo sforzo chirurgico per il raggiungimento del residuo 0 (R0) o microscopico e l’introduzione nella chemioterapia dei composti del platino. Complessivamente è stata ottenuta una miglior sopravvivenza libera da malattia, anche se negli ultimi 20 anni di fatto non è cambiata la sopravvivenza totale. La stadiazione del carcinoma ovarico è riportata nella tabella 1. Principi di terapia Per poter impostare la terapia è necessario l’accertamento istologico preliminare, in grado di stabilire con certezza: a) la malignità della lesione; b) la sede di origine del processo neoplastico (il percorso terapeutico, sia chirurgico che chemioterapico, è ovviamente diverso per un carcinoma ovarico con disseminazione endocelomatica rispetto ad un cancro del colon o gastrico con la stessa estensione); c) nei casi iniziali l’eventuale grading istologico. Il vero test diagnostico è costituito dall’ovariectomia con esame istologico (7). Al fine di stabilire la diagnosi e di definire l’operabilità o meno del caso può essere utile un approccio laparoscopico preliminare: la laparoscopia sarebbe utile per definire i casi sicuramente non operabili, tutti gli altri casi andranno sottoposti a laparotomia (8). Accertata la diagnosi va eseguita una adeguata stadiazione, che non può prescindere da una esauriente ed adeguata esplorazione laparotomica del celoma e del retro peritoneo. Va ricordato che la sopravvivenza a 5 anni è complessivamente aumentata di circa il 20% da quando è stata introdotta la chirurgia di debulky, e la chemioterapia prima con platino e poi con taxani. La sopravvivenza è aumentata negli stadi IB e IC, in relazione alla miglior selezione delle pazienti in seguito al’impiego di una corretta stadiazione chirurgica, eliminando quindi casi di donne sottostadiate che facevano peggiorare la sopravvivenza in questi stadi (9). La successiva terapia, nei casi operabili, è in ogni caso volta alla rimozione di tutto il tessuto neoplastico, nelle diverse sedi in cui può essere presente, con intento di radicalità: il residuo di malattia è infatti correlato alla prognosi. È ovvio che il giudizio di operabilità dipende ovviamente dall’abilità e dall’esperienza del chirurgo (8). :[HKPHaPVULJOPY\YNPJH Lo stadio della malattia viene definito dalla valutazione antomopatologica postchirurgica. Indipendentemente dall’estensione endocelomatica della malattia, la stadiazione minima deve comprendere i seguenti tempi chirurgici, similmente a quanto consigliato dall’EORTC e dal GOG e dalla FIGO (9): - laparotomia longitudinale sovraombelico (xifo)- pubica; - washing endocelomatico; - esplorazione completa degli organi endocelomatici e del peritoneo, valutando il peritoneo sottodiaframmatico, lo spazio di Morrison, i mesi, la loggia splenica, l’omento anche gastrocolico, la glissoniana; - biopsie peritoneali “at random” nei casi iniziali, senza lesioni peritoneali visibili, preferenzialmente nelle zone di maggior probabile insemenzamento metastatico (docce paracoliche, peritoneo pelvico, peritoneo sottodiaframmatico dx, glissoniana, etc.), anche se non sembrano essere in grado di rivelare efficacemente casi in stadio più avanzato (10); - sampling linfonodale pelvico bilaterale e lomboaortico (linfoadenectomia sistematica in caso di grading e istotipo sfavorevoli (11)). Si ricorda che in centri adeguati in media il numero di linfonodi lombo aortici asportati è stato di 24 (stazioni laterocavali, intercavoaortiche, precavali, iliaci comuni) e 21 dalle stazioni pelviche (11). - resezione del tumore primitivo; - rimozione dell’ovaio/e restante/i, delle tube, dell’utero (possono essere lasciati in sede dopo consenso informato in caso di chirurgia conservativa negli stadi iniziali in donne giovani desiderose di prole); - omentectomia infracolica (gastrocolica in presenza di interessamento addominale diffuso o di metastasi all’omento infracolico); - appendicectomia almeno in gruppi selezionati di pazienti (tumori mucinosi). Tutte le lesioni sospette endocelomatiche dovranno essere asportate o almeno biopsiate; in presenza di versamento pleurico dovrà essere eseguita toracentesi con esame citologico (in passato era stata proposta anche la pleuroscopia (12). Gli esiti istologici, radiologici e clinici modificano lo stadio posto alla laparotomia e viceversa. Tra gli esami di stadiazione preoperatoria rientra la radiografia (o altra tecnica di imaging) del torace; altre tecniche di imaging o il dosaggio dei marcatori possono essere utili in fase preoperatoria ma non modificano di per sé la stadiazione. È concreto il rischio di sottostadiazione se la chirurgia di stadiazione iniziale è sub ottimale. Soprattutto in caso di malattia al I stadio l’accurata stadiazione risulta CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV essere un fattore indipendente per la prognosi (13). Tra i capitoli più discussi della stadiazione chirurgica è il tipo di linfoadenectomia nella valutazione del retro peritoneo. Non è stata riscontrata differenza significativa di complicanze maggiori tra sampling linfonodale (pelvico e lomboaortico) e linfoadenectomia sistemica, quando eseguita in centri di riferimento per la patologia (11), anche se la linfoadenectomia sistemica ovviamente comporta un allungamento del tempo chirurgico e una maggior perdita ematica, con una maggior frequenza del ricorso a trasfusioni. Va considerato che la frequenza di linfonodi positivi è in relazione alla diffusione endocelomatica della malattia ma anche del numero di linfonodi rimossi: in questo modo potranno essere più facilmente identificate donne realmente allo stadio IIIC, che altrimenti sarebbero sottostadiate. In realtà la linfoadenectomia sistematica eseguita negli stadi early comporta che circa un quarto delle pazienti vengano poi ristadiate correttamente allo stadio IIIC (11); in realtà molte di queste metastasi sono micrometastasi e non sappiamo quale possa essere il loro significato clinico. La percentuale di interessamento metastatico linfonodale in pazienti stadiate al I stadio sarebbe tra il 9 e il 25% (14). È ovvio che con la linfoadenectomia sistematica la stadiazione è ottimale. La frequenza di positività linfonodale correla con il grading e con il sottotipo istologico e poiché in genere la diagnosi istologica è disponibile prima della chirurgia di debulking è possibile pianificare una linfoadenectomia sistematica almeno nei tumori sierosi con grading G3 o indifferenziati (11). La positività linfonodale è un fattore prognostico indipendente per la sopravvivenza, sia negli stadi avanzati che in quelli early. massimo sforzo chirurgico con un debulking tendente a R0 - prima chirurgia -: è noto infatti che l’efficacia della chemioterapia è massima nei casi con citoriduzione ottimale o con residuo minimo. Tranne che in alcuni stadi iniziali, è prevista chemioterapia adiuvante con carboplatino e taxolo per sei cicli. Nei i casi inoperabili (evidenziabili con la laparoscopia in fase diagnostica, da eseguire ad esempio nei casi di malattia ascitogena o presumibilmente in stadio avanzato (8)) va eseguita la chirurgia di intervallo - con gli stessi principi della prima chirurgia - dopo tre cicli di chemioterapia neoadiuvante, seguiti da ulteriori 3 cicli di chemioterapia (19): ci sono dati però che dimostrano come la sopravvivenza sia migliore nei casi in cui si ottiene l’R0 durante la prima chirurgia rispetto a quando lo si raggiunge dopo la chirurgia di intervallo (8,20). La laparoscopia può essere utile nei casi sospetti per definire la diagnosi istologica e per dare un giudizio di operabilità: in presenza di lesioni miliariformi, diffuse o non resecabili la valutazione laparoscopica è in grado di indirizzare correttamente donne ad una chemioterapia neoadiuvante e ad una successiva chirurgia di intervallo e di indirizzare ad una chirurgia di debulky i casi operabili con una probabilità di raggiungere l’R0 nel 54% dei casi e R<2 cm fino al 77% dei casi (8). Identificare i casi non operabili ha il significato di evitare laparotomie con resezione sub ottimale e quindi inutili, che sono solo in grado di ritardare la chemioterapia e di intaccare le difese dell’organismo (8). Sono apparsi in letteratura score per definire l’operabilità o meno (in relazione all’estensione e alle sedi di disseminazione della malattia) in base ai risultati della laparoscopia (21). :[YH[LNPH[LYHWL\[PJHNLULYHSL 7YPTHJOPY\YNPH La strategia terapeutica deve tener conto che i principali fattori prognostici nei TEO sono: - lo stadio e l’estensione della malattia alla presentazione; - la possibilità o meno di ottenere un debulking ottimale senza residuo macroscopico di malattia, cioè R0 (15). Negli stadi avanzati le donne con debulking ottimale rispetto a quelle in cui la prima chirurgia ha lasciato malattia macroscopica hanno una sopravvivenza significativamente maggiore (30-40% vs 1520%) a 5 anni (4,9) e la possibilità di un debulky ottimale ovviamente è in relazione all’estensione della malattia all’esplorazione chirurgica (16) oltre che con il fatto che la prima chirurgia sia eseguita da un chirurgo esperto nella chirurgia del cancro ovario (17) in un centro di riferimento che abbia un alto volume di interventi di questo tipo (18); - la sensibilità della neoplasia alla chemioterapia con platino e il grading istologico della neoplasia. La strategia terapeutica prevede, per i casi operabili, il Dopo la diagnosi e la stadiazione, la chirurgia con un ottimale debulking è fattore determinante. Il debulking deve porsi l’obiettivo di essere radicale, con assenza di malattia alla fine dell’intervento, e in ogni caso deve essere rivolto alla maggior citoriduzione possibile. Al di fuori degli stadi iniziali, si tratta di una chirurgia aggressiva e complessa, non preventivamente definibile nella sua estensione, che deve “a domanda”, caso per caso a seconda della disseminazione della malattia, essere in grado di far fronte a innumerevoli aspetti della chirurgia addominale e pelvica, oltre che retroperitoneale. L’intervento è laparotomico e, al di fuori degli stadi iniziali dove può essere prevista una chirurgia conservativa dopo consenso informato, prevede l’annessiectomia bilaterale, l’isterectomia eventualmente extraperitoneale, l’omentectomia radicale, l’eventuale appendicectomia, la linfoadenectomia pelvica e lombo aortica (secondo la maggior parte degli autori la linfoadenectomia sistematica ha senso solo quando si sia raggiunta una 5 6 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV ottimale citoriduzione endocelomatica: in caso contrario, potrebbe avere senso una valutazione chirurgica stadiante per verificare la presenza di uno stadio IIIC). Il massimo sforzo chirurgico, che migliora la prognosi (22) può comportare l’asportazione di lesioni a livello del peritoneo diaframmatico (23,24,25), dell’addome superiore (24), la splenectomia (26), gli interventi sul retto sigma e sul colon (27,28), anche nell’ambito dell’esecuzione di exenteratio posteriore (29), sul tenue, sulle vie urinarie, l’asportazione del peritoneo pelvico (28), etc… Si tratta di una chirurgia molto costosa anche in termini economici (5,6) e gravata da un alto tasso di complicanze (deiscenze, fistole, etc.). *OPY\YNPHKPPU[LY]HSSV È la chirurgia che viene eseguita nei casi precedentemente giudicati inoperabili e sottoposti quindi a chemioterapia neoadiuvante, e che alla ristadiazione clinico-strumentale dopo 3 cicli dimostrano una risposta alla terapia tale da rientrare nell’operabilità. Oppure si tratta di casi con chirurgia citoriduttiva grossolanamente non ottimale (es.: stadio III B sottoposto solo ad annessiectomia). Uno studio randomizzato dell’EORTC ha concluso che la chirurgia di intervallo è in grado di aumentare la sopravvivenza, rispetto al fatto di eseguire la chirurgia dopo tutti i sei cicli di chemioterapia neoadiuvante. La chirurgia di intervallo, se riesce a portare la paziente a R0, darebbe le stesse possibilità di sopravvivenza come per le donne in cui l’R0 è stato ottenuto alla prima chirurgia (15). :LJVUKHJOPY\YNPH Nell’ambito della seconda chirurgia rientrano interventi tutti volti ad ottenere una citoriduzione ottimale, ma in situazioni eterogenee: vi rientrano la chirurgia di intervallo, la chirurgia della persistenza in presenza di primo intervento non ottimale, la chirurgia delle recidive. Nei casi in cui c’è persistenza di malattia dopo chirurgia inadeguata e chemioterapia di prima linea la malattia va trattata se possibile con nuova chirurgia, sempre con intento di radicalità, che va anche a completare la precedente chirurgia inadeguata. Anche la terapia delle recidive è ancora una volta principalmente chirurgica (30), anche in pazienti con recidiva solo retro peritoneale (31), con intento di radicalità, di citoriduzione e poi eventualmente di palliazione, va eseguita presso centri di riferimento. Si tratta spesso di una chirurgia complessa che può coinvolgente l’intestino e più raramente le vie urinarie, con ricostruzione della continuità delle stesse o con interventi di derivazione (32) su un terreno già provato dalla prima chirurgia e dalla malattia. In relazione alla frequente progressione intracelomatica con interessamento intestinale e conseguente occlusione intestinale può essere necessaria una chirurgia di salvataggio, con derivazioni intestinali (resezione con anastomosi, by-pass, derivazioni esterne). In quest’ottica non va dimenticata, nell’ambito della chirurgia palliativa, oltre all’esecuzione di derivazioni intestinali, la gastrostomia endoscopica percutanea a scopo decompressivo (33). 9LZ[HNPUN Non è più utilizzata di routine la rivalutazione chirurgica dopo la prima chirurgia e la chemioterapia di prima linea (second look), ma viene eseguita una rivalutazione clinico-strumentale (esame obiettivo ginecologico, marcatori, tecniche di imaging con valutazione dell’addome, del retroperitoneo, del torace). Infatti la rivalutazione chirurgica laparotomica è troppo invasiva in pazienti che hanno comunque davanti la possibilità di eseguire una nuova chirurgia per recidiva di malattia, e una valutazione laparoscopica non è indicata nella normale pratica clinica in relazione all’alta possibilità di falsi negativi: queste tecniche restano indicate solo nell’ambito di studi clinici controllati. *OLTPV[LYHWPHHKP\]HU[LVKPWYPTHSPULH La chemioterapia adiuvante è indicata in tutti i casi di TEO al di sopra dello stadio IA e IB grado 1 e istotipo non a cellule chiare o in caso di pazienti non adeguatamente stadiate. Il farmaco di uso corrente è il carboplatino AUC5, combinato con il taxolo 175mg/mq in tre ore, per 4-6 volte ogni 3 settimane in presenza di significativi fattori di rischio. Negli stadi avanzati la chemioterapia standard è ancora la combinazione carboplatino/taxolo per 6 cicli Non è dimostrato che l’aggiunta di un farmaco attivo o l’aumento del numero di cicli ne aumenti l’efficacia (34). Un’alternativa di pari efficacia al taxolo è rappresentata dalla doxorubicina liposomiale peghilata (caelix) come dimostrato dallo studio italiano MITO 2 (35,36). Recenti comunicazioni (GOG 218 collaborators, ASCO 2010, e ICON 17 collaborators, ESMO 2010) hanno evidenziato il ruolo positivo di bevacizumab associato e di mantenimento alla doppietta standard carboplatino-taxolo: il vantaggio in termini di sopravvivenza libera è statisticamente significativo e varia tra 2 e 4 mesi circa. *OLTPV[LYHWPHULVHKP\]HU[L È stato recentemente dimostrato, ma è opinione comune tra i più qualificati ginecologi-oncologi che vada data precedenza alla chirurgia con intento radicale (36) che l’approccio neoadiuvante può essere considerato un’alternativa alla chirurgia primaria. Nei casi non operabili, o sottoposti solo a laparotomia esplorativa o a chirur- CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV gia minima (es.: solo annessiectomia in caso di malattia grossolanamente diffusa nel celoma), le pazienti vengono trattate ugualmente con carboplatino e taxolo al fine di ottenere una riduzione di malattia che sia in grado di portare le pazienti all’operabilità. Tre cicli di chemioterapia sono quelli che ottengono i risultati migliori come riduzione della massa neoplastica, e la successiva chirurgia di intervallo è in grado di raggiungere la citoriduzione ottimale nel 60-80% dei casi (8,15,37). Dopo la chirurgia di intervallo vengono eseguiti gli altri tre cicli a scopo di consolidamento. Nei casi in cui per altri motivi (patologie intercorrenti, alto rischio operatorio) la paziente non possa essere sottoposta a chirurgia di intervallo, la paziente verrà trattata con sola chemioterapia palliativa, in genere non oltre sei cicli causa tossicità da accumulo invalidante la qualità di vita. *OLTPV[LYHWPHKPZLJVUKHSPULH Quando la malattia recidiva o va in progressione, ci si trova di fronte a quattro scenari possibili: - Farmacorefrattarietà: progressione durante il trattamento con JM8-taxolo; si utilizzano allora i farmaci attivi disponibili, (doxorubicina liposomiale pegilata, topotecan, gemcitabina…) in monochemioterapia. Ove disponibile valutare per un protocollo sperimentale; - Farmaco resistenza: ricaduta entro 6 mesi dalla fine della terapia primaria: l’approccio è simile al precedente; se possibile proporre una fase II di associazione con un prodotto biologico (in questo momento il più interessante è l’anticorpo antivascolare bevacizumab); - Media sensibilità: progressione tra i 6 e i 12 mesi dalla fine della terapia primaria; la paziente può essere trattata con un regime basato sul platino ma è la candidata ideale per uno studio di fase III di nuove combinazioni. La combinazione caelix-trabectedina ha avuto recentemente questa indicazione (38); - Farmacosensibilità: progressione dopo almeno 12 mesi dalla fine della terapia primaria; in questa situazione i casi operabili vanno operati; dopo la seconda chirurgia o nei casi inoperabili va ripresa la terapia con carboplatino-taxolo. Un recente studio ha dimostrato la possibilità di sostituire il taxolo con la doxorubicina liposomiale peghilata (39). (S[YP[YH[[HTLU[PKPJVUZVSPKHTLU[V Si tratta di terapie eseguite dopo l’esecuzione della chemioterapia di prima linea per mantenere e consolidare quindi la risposta ottenuta. Il successo della terapia di consolidamento sta nel migliorare la prognosi. Tra i vari tipi di trattamento vanno ricordati: - La radioterapia sull’addome: si è dimostrata utile solo nel sottogruppo di pazienti con R0 dopo la prima chirurgia, ma a prezzo di tossicità intestinale importante (40); - L’utilizzo di radionuclidi endocelomatici collegati o meno ad anticorpi non si sono dimostrati in grado di aumentare la sopravvivenza (40); - La chemioterapia prolungata con taxolo ha avuto un impatto solo sulla sopravvivenza libera da progressione a costi tossici elevati; - L’utilizzo di farmaci biologici: sono stati utilizzati diversi farmaci, tra cui gli interferoni alfa e gamma, il tanomastat, l’oregovomab (una sostanza che lega il CA125), senza che studi randomizzati abbiano dimostrato un aumento della sopravvivenza. Non ci sono ancora i dati definitivi sull’uso di erlotinib (piccola molecola anti EGFR) e di abagovomab (vaccino anti CA125). (S[YP[YH[[HTLU[P - Chemioterapia endocelomatica con cisplatino: già utilizzata in passato e proposta da alcune scuole anche in Italia (41). Alcuni studi randomizzati indicano un certo impatto dell’approccio i.p. sulla sopravvivenza(42), ma la complessità assistenziale ne ha di fatto limitato l’impiego di routine; l’alternativa con il carboplatino è tutt’ora oggetto di studio; - Platino e taxolo endocelomatico: un recente studio del GOG ha evidenziato che nei casi al III stadio trattati con chirurgia ottimale (R0 o lesioni residue fino a 1 cm di diametro) la chemioterapia con cisplatino e taxolo i.p. + taxolo endovenoso determina un aumento significativo (16 mesi) della sopravvivenza rispetto alla chemioterapia e.v. (43). I costi in termini di tossicità sono stati però giudicati eccessivi e ciò ha stimolato la produzione di protocolli tendenti a migliorarne la tollerabilità; - Chemioipertermia: eseguita intraoperatoriamente dopo l’esecuzione della citoriduzione / peritoneectomia ottimale nei casi recidivi con carcinomatosi diffusa; non vi sono studi di confronto con la chemioterapia standard, complessivamente la morbilità arriva al 40% e la mortalità al 10%. La tecnica è estremamente complessa e va riservata ad istituzioni di riferimento (44). :P[\HaPVUPWHY[PJVSHYP .SPZ[HKP¸,HYS`¹0L00Z[HKPV Dopo la stadiazione (che deve essere ottimale, eseguita per via laparotomia longitudinale) nell’ambito della prima chirurgia va eseguito quanto previsto dai protocolli FIGO EORTC e GOG, e cioè nelle donne alla fine del percorso riproduttivo l’annessiectomia bilaterale, l’isterectomia, l’omentectomia, la appendicectomia in caso di lesione mucinosa. Resta in discussione l’entità e le modalità della linfoadenectomia. Ricordiamo che a questo proposito NON sembra esserci differenza significativa, in genere negli stadi early, in termini di soprav- 7 8 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV vivenza e disease free survival tra la linfoadenectomia sistematica e il sampling linfonodale dei linfonodi retroperitoneale - pelvici e lombo aortici - (11), anche se la linfoadenectomia sistematica è in grado di individuare un maggior numero di donne con metastasi linfonodali e quindi di stadiare correttamente donne allo stadio IIIC che verrebbero sottostadiate - differenza statisticamente significativa - (11). In età fertile, quando la diagnosi di stadio IA sia affidabile, (lesione limitata ad un ovaio, con capsula integra, superficie non coinvolta, washings negativi), la terapia può limitarsi all’ovariectomia monolaterale, alla stadiazione chirurgica, alla linfoadenectomia retroperitoneale (45,46). La prognosi peggiora passando dallo stadio IA a quello IC (rottura della capsula o coinvolgimento della superficie ovarica o washings positivi) e il fattore prognostico più importante sarebbe la differenziazione cellulare, che peraltro non figura tra i parametri della stadiazione (47). La frequenza di recidive dopo il trattamento chirurgico che abbia completamente eradicato la malattia varia a seconda di diversi sottogruppi di pazienti e per questo motivo viene eseguita in alcuni di questi sottogruppi chemioterapia complementare. Poiché è stata dimostrata la superiorità degli schemi a base di platino negli stadi avanzati, questi regimi sono di prima scelta anche in caso di terapia adiuvante negli stadi early dopo chirurgia. La terapia adiuvante è indicata allo stadio IC, indipendentemente dal grading, è discussa negli stadi IA G2 e negli stadi IB G1-G2 non è indicata negli stadi IA G1 (48,49). In effetti la chemioterapia si è dimostrata utile anche nei sottogruppi di pazienti con staging subottimale (come ovvio attendersi) (48,50), alle quali dovrà essere proposta. Quindi, la chemioterapia deve essere proposta a tutti i casi in stadio IA e IB che non siano stati stadiati adeguatamente o che abbiano istologia G3 (48). Non ci sono dati adeguati oggi per dire che se le donne allo stadio IA e IB adeguatamente stadiate con grading G1 e G2 potrebbero avere un guadagno in termini di sopravvivenza o di disease free survival se sottoposte a chemioterapia adiuvante. Per quanto riguarda l’entità della chemioterapia, lo studio del GOG del 2006 ha dimostrato che non c’è differenza nell’eseguire 3 o 6 cicli di carboplatino e taxolo negli stadi IA e IB G3, I (A-B-C) a cellule chiare, IC e al secondo stadio completamente resecato (51). .LZ[PVULKLSSVZ[HKPV0= Una paziente può essere definita al IV stadio prima della prima chirurgia; in caso di IV stadio per positività del versamento pleurico è consigliabile eseguire prima la chirurgia di citoriduzione addominale e quindi inviare la paziente a chemioterapia con carboplatino-taxolo per 6 cicli. In caso di positività intraepatica (che va differen- ziata dalla positività alla glissoniana !!!) la sopravvivenza a 5 anni delle pazienti si avvicina allo 0. La strategia terapeutica in questi casi è di eseguire chemioterapia neoadiuvante con carboplatino e taxolo e quindi, solo in caso di risposta, inviare la paziente a chirurgia. Nel caso di identificazione del IV stadio dopo la chirurgia la paziente eseguirà come per il III stadio chemioterapia con carboplatino e taxolo e la prognosi sarà in relazione al residuo alla prima chirurgia. 0;,6IVYKLYSPUL;,6) I TEO-B presentano alcuni aspetti simili a quelli dei TEO maligni, hanno la possibilità di recidivare e di dare impianti metastatici endocelomatici (52), ma non danno invasione stromale nè in sede primitiva nè in sede di impianti in oltre il 90% dei casi. Il 6% dei TEOB presenta impianti invasivi, con prognosi molto scarsa, vicina a quella dei TEO invasivi allo stadio III (53). Non è chiaro se con il tempo siano in grado di evolvere verso la malignità: recentemente Kurman avrebbe identificato due vie carcinogenetiche per i TEO, di cui quella di tipo I associata a tumori a lento sviluppo e originatesi prevalentemente da TEO-B, mentre quella di tipo II è associata a mutazioni della TP53, ad alta instabilità genetica, veloce crescita e alta aggressività (54). I TEO-B rappresentano circa il 10% dei TEO, hanno un’ottima prognosi, 90 % circa di sopravvivenza a 5 anni (9), generalmente vengono diagnosticati allo stadio I. La diagnosi differenziale verso i TEO maligni è solo istologica, postchirurgica. La presenza di un TEO-B limitato all’ovaio o anche con impianti non invasivi non inficia la sopravvivenza e non ha conseguenze cliniche, se non legate alla possibilità di recidiva e quindi in età fertile la tendenza è conservativa, con escissione della lesione fino all’ovariectomia/annessiectomia monolaterale e alla rimozione degli impianti, dopo adeguato consenso informato da parte della paziente. In menopausa o alla fine del percorso riproduttivo è indicata l’annessiectomia bilaterale, oltre alla rimozione degli impianti: non ci sono evidenze che in questi casi l’isterectomia abbia significato (55). Ovviamente è necessaria una adeguata stadiazione con washings e biopsie, ed è auspicabile, secondo alcuni, una biopsia dell’ovaio controlaterale. Non c’è accordo sulla necessità o meno di asportare l’omento infracolico, ma chi non lo rimuove solitamente esegue una ampia biopsia (56). In caso di lesione mucinosa va asportata l’appendice, anche al fine di escludere metastasi ovariche da tumori appendicolari. L’esplorazione dei linfonodi retroperitoneali può comportare l’escissione di linfonodi palpabili e ingrossati (“bulky”), ma in genere la presenza di interessamento linfonodale nei TEO-B è rara e solitamente non invasiva CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV (55,57); per questo non è raccomandabile la linfoadenectomia sistematica, soprattutto in assenza di linfonodi “bulky”. In presenza di una lesione ovarica trattata conservativamente è indicato poi un attento follow-up, con valutazione ginecologica, ETV, CA125 ogni 3 mesi e, secondo alcuni, almeno una laparoscopia a 6-12 mesi per identificare forme con eventuale evoluzione (56). Non è indicata chemioterapia adiuvante, se non nei casi con fattori prognostici negativi quali la presenza di impianti invasivi o microinvasivi ed in questi casi solitamente si utilizza la terapia con carboplatino e taxani. La chemioterapia sarebbe indicata anche in presenza di neoplasia estesa non resecata completamente. In presenza di recidiva è indicata ancora in prima linea la radicalizzazione chirurgica. In realtà, il comportamento dei clinici non è uniforme (55,56,57,58) e restano molte aree grigie per cui non sono ancora presenti linee di trattamento uniformemente condivise. Conclusioni Il trattamento dei TEO necessita dell’integrazione tra le competenze del ginecologo e dell’oncologo medico. La preparazione chirurgica del ginecologo oncologo quale chirurgo pelvico e addominale “a tutto campo” è determinante poiché l’impatto della chirurgia di stadiazione e della prima chirurgia, con una citoriduzione ottimale, è in relazione alla prognosi della paziente. Gioca inoltre un ruolo fondamentale nel trattamento delle recidive e nella chirurgia palliativa. Il ruolo dell’oncologo medico è fondamentale non solo per l’identificazione degli schemi di chemioterapia più adatti al caso, soprattutto nelle recidive, ma anche per stabilire, in accordo con il ginecologo oncologo, lo specifico programma terapeutico e la successione delle scelte terapeutiche proprie di quel caso. Solo in questo modo è possibile dare alle donne affette da TEO le migliori chance di sopravvivenza con la migliore qualità di vita possibile. Bibliografia 1. Wheeler JE.: Pathology of malignant ovarian epithelial tumors and miscellaneous and rare ovarian and paraovarian neoplasms. In: Rubin SC, Sutton GP Eds: Ovarian Cancer. Mc Grow Hill, New York 1993, p 90-91. 2. Winter-Roach BA., Kitchener HC., Dickinson HO.: Adjuvant (post-surgery) chemotherapy for early stage epithelial ovarian cancer. Review. The Cochrane Collaboration. Published by John Wiley and Sons, Ldt, 2009. The Cochrane Library 2009, Issue 3. 3. Jemal A., Siegel R., Ward E., Hao Y., Xu J., Murray T et al.: A Cancer Journal for Clinicians 2008;58:71-96. 4. Ozols RF., Rubin SC., Thomas GM., Robboy S.: Epithelial ovarian cancer. In: Hoskins WJ., Perez CA., Young R., Barakat R. et al.: Principles and Practice of Gynaecologic Oncology. 4th ed, Philadelphia, Pa: Lippincot Williams & Wilkins; 2005:895-987. 5. Cooper AL., Nelsen DF., Doran S., Ueland FR., De Simone CP., DePriest PD., McDonald JM., et al.: Long term survival and cost of treatment in patients with stage IIIC epithelial Ovarian Cancer. Current Women’s Health Review 2009;5(1):44-50. 6. Aletti GD., Podratz KC., Moriarty JP., Cliby WA., Long KH.: Aggressive and complex surgery for advencad ovarian cancer: an economic analysis. Gynecol Oncol 2009;112(1):16-21. 7. Buys SS., Partridge E., Greene MH., Prorok PC., Reding D., Riley TL et al.: Ovarian cancer screening in the prostate, lung , colorectal and ovarian (PLCO) cancer screening trial: findings from the initial screen of a randomized trial. Am J Obstet Gynecol 205;193:1630-9. 8. Brun JL., Rouzier R., Selle F., Houry S., Uzan S., Darai E.: Neoadjuvant chemotherapy or primary surgery for stahe II/IV ovarian cancer: contributionj of diagnostic laparoscopy. BMC Cancer 2009;9:171-9. 9. Heintz APM., Odicino F., Maisonneuve P., Quinn MA., Benedet JL., Creasman WT., Ngan HYS., Pecorelli S., Beller U.: Carcinoma of the ovary: Int J Gynaecol Obstet 2006;95: suppl 1: S161-S192. 10. Powless CA., Bakkum-Gaemz JN., Aletti GD., Cliby WA.: Random peritoneal biopsies have limited value in staging of apparent early stage epithelial ovarian cancer after thorough exploration. Gynecol Oncol 2009;115:89-6. 11. Maggioni A., Benedetti Panici P., Dell’Anna T., Bandoni F., Lissoni A., Pellegrino A et al.: Randomized study of systematic linphadenectomyin patients with epithelial ovarian cancer macroscopicallyconfined to the pelvis. Br J Cancer 2006;95(6):699-704. 12. Scarabelli C., Campagnutta E., Ciarmiello G., Valenti S., Segato E., Perin A., Miotto E., SopracordevoleF.: The pleuroscopy in the staging and in the follow-up of ovarian carcinoma. In: New surgical trends and integrated therapies in gynaecologic oncology: cervical – ovarian and breast cancer. S.O.G. Ed, Padua, 1983, pp 374-379. 13. Zanetta G., Rota S., Chiari S., Bonazzi C., Bratina G., Torri V et al.: The accuracy of staging: an important prognostic determinator in stage I ovarian carcinoma. A multivariate analysis. Annali of Oncology 1998;9(10):1097-101. 14. Baiocco G., Grosso G., Di Re E., Fontanelli R., Raspaglieli F., Di Re F.: Systematic pelvic and paraaortic lymphadenectomy at second look laparotomy for ovarian cancer. Gynecol Oncol 1998;69:151-6. 15. Vergote I, Tropé CG, Amant F., Kristensen GB, Ehlen T, Johnson N, et al.: Neoadjuvant chemotherapy or 16. 17. 18. 19. primary surgery in stage IIIC or IV ovarian cancer. NEJM 2010;363:943-53. Hoskins WJ., Mc Guire WP., Brady MF et al.: The effect of diameter of largest residual disease on survival after primary cytoreductive surgery in patients with suboptimal residual epithelial ovarian carcinoma. Am J Obstet Gynecol 1994;170:974-979. Bristow RE., Tomacruz RS., Armstrong DK., Trimble EL., Montz FJ.: Survival effect of maximal cytoreductive surgery for advanced ovarian carcinoma during the platinum era: a meta analysis. J Clin Oncol 2002;20:1248-59. Kumpulainen S., Sankila R., Leminen A et al.: The effect of hiospital operative volume, residual tumor and first line chemotherapy on survival of ovarian cancer – A prospective nation-wide study in Finland. Gynecol Oncol 2009; (in attesa di pubblicazione). Vandenput I., Van calster B., capoen A. et al.: Neoadjuvant chemotherapy followed by interval debulking surgery in patients with serous endometrial cancer with transperitoneal spread (stage IV): a new preferred treatment? Br J Cancer 2009;101:244-9. 9 10 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV 20. Bristow RE., Helswenhauer EL., Santillan A., Chi DS.: Delayng the primary surgical effort for advances ovarian cancer: a systematic review of neoadjuvant chemotherapy and interval cytoreduction. Gynecol Oncol 2007;104:480-90. 21. Fagotti A., Ferrandina G., Fanfani F., Ercoli A., Lorusso D., Rossi M., Scambia G.: A laparoscopY based score to predict surgical out come in patients with advanced ovarian carcinoma: a pilot study. Am Surg Oncol 2006;13:115661. 22. Terauchi F., Nishi H., Moritake T. et al.: Prognostic factor on optimal debulking surgery by maximum effort for stage IIIC epithelial ovarian cancer. J Obstet Gynaecol Res 2009;35:315-9. 23. Chereau E., Ballester M., Selle F. et al.: Pulmunary morbidity of diaphragmatic surgery for stage II/IV ovarian cancer. BJOG 2009;116:1062-8. 24. Eisenhauer EL., Abu-Rustum NR., Sonoda Y. et al.: The addition of extensive upper abdominal surgery to achieve optimal cytoreduction improbe serviva in patients with stages IIIC-IV epithelial ovarian cancer. Gynecol Oncol 2006;103:1083-90. 25. Aletti GD., Dowdy SC., Po Po-dratz KC., Cliby WA.: Surgical treatment of diaphragm disease correlates with improved survival in optimally debulked advanced stage ovarian cancer. Gynecol Oncol 2006;100:283-7. 26. Maqtibay PM., Adams PB., Silverman MB., Cha SS., Podratz KC.: Splenectomy as part of cytoreductive surgery in ovarian cancer. Gynecol Oncol 2006:102:369-74. 27. Silver DF., Zgheib NB.: Extended left colon resection as part of completre cytoreduction for ovarian cancer: tipsw and considerations. Gynecol Oncol 2009;114:427-30. 28. Aletti GD., Podratz KC., Jones MB., Cliby WA.: Role of rectosigmoidectomy and stripping of pelvic peritoneum in aoucomes of patients with advanced ovarian cancer. J Am Coll Surg 2006;203:521-6. 29. Houveaeghel G., Gutowski M., Buttarelli M et al.: Modified posterior pelvic exentaration for ovarian cancer. Int J Gynecol Cancer 2009;968-73. 30. Bae J., Lim MC.,m Choi JH et al.: Prognostic factors of 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. secondary cytoreductive surgery for patients with recurrent epithelial ovarian cancer. J Gynecol Oncol 2009;20:101-106. Fotiou S., Aliki T., Petros Z. et al.: Secondary cytoreductive surgery in patients presenting with isolated nodal recurrence of epithelial ovarian cancer. Gynecol Oncol 2009;114:178-82. Bristoe RE., Peiretti M., Gerardi M. et al.: Secondary cytoreductive surgery including rectosigmoid coloectomy for recurrent ovarian cancer: operative technique and clinical out come. Gynecol Oncol 2009;114:173-7. Chi DS:, Phaeton R., Miner R et al.: A prospective outcomes analysis of palliative procedures percome for malignant intestinal obstrruction due to recfurrent ovarian cancer. Oncologist 2009;14:835-9. Bookmann MA, Brady MF, Mc Guired WP, Harper PG, Alberts DS et al: Evaluation of new platinum based treatment regimens in advanced stage ovarian cancer: a phase III trial of the Gynecologic cancer Intergroup. J Clin Oncol 2009;27(9):1419-25. Pignata S, Scambia G, Savarese A, Breda E, Sorio R, Pisano C et al. Carboplatin and pegylated liposomal doxorubicin for advenced ovarian cancer: preliminary activity results of the MITO-2 phase III trial. Oncology 2009;86(1):49-54. Vergote I, Tropè CG, Amant F, Kristensen GB, Ehlen T, Johnson et al. Neoadjuvant chemotherapy or primary surgery in stage IIIC or IV ovarian cancer. N Engl J Med 2010;363(10):943-53. Angioli R., Palaia I., Zullo MA., Muzzi L., Manci N., Calcagno M., Benedetti panici P: Diagnostic open laparoscopy in the management of advanced ovarian cancer. Gynecol Oncol 2006;100:45-61. Monk BJ, Herzog TJ, Kaye SB, Krasner CN, Vermorken JB et al. Trabectadin plus pegylated liposomal doxorubicin in recurrent ovarian cancer. J Clin Oncol 2010;28(19):3107-14. Pujade Lauraine E, Wagner U, Aavall-Lundqvist E, Gebski V, Heywood M, Vasey PA et al. Pegylated liposomal doxorubicin and carboplatin compared with paclitaxel and carboplatin for patients with platinum sensitive ovarian 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. cancer in late relapse. J Clin Oncol 2010;28(20):3323-9. Auranen A., Grenman S.: Radiation Therapy and biological compounds for con29-solidation therapy in advanced ovarian cancer. Int J gynecol cancer 2008;18 Suppl 1:44-6. Scarabelli C., Campagnutta E., Ciarmiello G., Sopracordevole F. et al.: Il cis-platino (DDP) nel trattamento endocelomatico con grande volume del carcinoma ovarico. Min Gin 1986;7-8:609-12. Fujiwara K., Markman M., Morgan M., Coleman RL.: Intraperitoneal carboplatinbased chemotherapy for epithelial ovarian cancer. Gynecol Oncol 2005;97:10-5. Armstrong DK., Bundy B., Wenzel L., Huang HQ., Beargen R., Shashikant L et al.: Intraperitoneal cisplatin and paclitaxel in ovarian cancer. NEJM 2006;354(1):34-42. Chua TC., Robertson G., Liauw W., Farrel R., yan TD., Morris DL.: Intraoperative hyperthermic intraperitoneal chemotherapy after cytoreductive surgery in ovarian cancer peritoneal carcinomatosis: systematic review of current results. J Cancer Res Clin Oncol 2009;23. In attesa di pubblicazione. Schilder JM., Thompson A.M., De Priest PD.,Ueland FR., Cibull ML., Kryscio RJ et al.:Outcome of reproductive age women with stage IA or IC invasive epithelial ovarian cancer treated with fertilitysparing therapy. Ginecol Oncol 2002;87(1):1-7. Kwon YS., Hahn HS., Kim TJ et al: fertility preservation in patients with early epithelial ovarian cancer. J Gynecol Oncol 2009;20:44-7. Vergote I., De Brabanter J., Fyles A., Bertelsen K., Einhorn N., Selvelda P et al.: Prognostic importance of degree of differentiation and cyst ropture in stage I invasive epithelial carcinoma. Lancet 2001;357:176-82. Sant M., Aareleid T., Berrino F.,Bielska Lasota M., Carli PM., Faivre J et al.: EUROCARE-3: survival of cancer patients diagnosed 1990-94- Results and commentary. Annal of Oncology 2003;14:v61-v118 Supplement 5. Trope C., Kaern J., Adjuvant chemotherapy for early stage ovarian cancer. Review of the literature. J Clin Oncol 2007; 25(20):2909-20. 50. Trimble JB., Vergote I., Bolis G. et al.: Impact of adjuvant chemotherapy and surgical staging in early stage ovarian carcinoma. European Organization for Research and Treattment of Cencer – Adjuvant ChemoTherapy In Ovarian Neoplasms trial. J Natl Cancer Inst 2003;95:113-25. 51. Bell J., Brady MF., Young RC. Et al.: Randomized phase III trial of three versus six cycles of adjuvant carboplatin and paclitaxel in early stage epithelial ovarian carcinoma. A Gynecologic OncologyGroup study. Gynecol Oncol 2006;102:432-39. 52. Zanetta G., Rota S., Chiari S., Bonazzi C., Bratina G., Mangioni C.: Behavior of borderline tumors with particolar interest to persistence, recurrence, and progression to invasive carcinoma: a prospective study. J Clin Oncol 2001;19:2658:64. 53. Longrace TA., Mc Kenney JK., Talezaar HD., Kempson RL., Hendrickson MR.: Ovarian serous tumors of low malignant potential (borderline tumors): outcomes –based study of 276 patients with long term follow-up. Am J Surg Pathol 2005;29:707-23. 54. Kurman RJ., Visvanathan K., Roden R., Wu TC., Shih IEM.: Early detection and treatment of ovarian cancer: shifting from early stage to minimal volume of disease based on a new model of carcinogenesis. Am J Obstet Gynecol 2008;198(4):351-356. 55. Cadron I., Leunen K., van Gorp T., Amant F., Neven P., Vergote I.: Management of borderline ovarian neoplasms. J Clin Oncol 2007;25:2928-37. 56. Coumbos A., Sehouli J., Chekerov R et al.: Clinical management of borderline tumours of the ovary: results of a multicentre survey of 323 clinics in Germany. Br J Cancer 2009;100:1731-38. 57. Chang SJ., Ryu HS., Chang KH., Yoo SC., Yoon JH.: Prognostic significance of the micropapillary pattern in patients with serous borderline ovarian tumors. Acta Obstet Gynecol Scand 2008;87:476-81. 58. Romagnolo C., Gadducci A., Sartori E., Zola P., Maggino T.: Management of borderline ovarian tumors: results of an Italian multicentric study. Gynecol Oncol 2006;101:25560. CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV Conizzazione e rischio di parto pretermine C.A. Liverani, E. Monti, D. Puglia, F. Fanetti, S. Mangano Oncologia Ginecologica Preventiva; Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico; Università degli Studi di Milano La Colposcopia in Italia Anno XXIV – N. 1 pagg. 11 - 14 Introduzione I l parto pretermine rappresenta la principale causa di morbilità e mortalità neonatale nei paesi industrializzati e qualsiasi intervento possa contribuire ad aumentarne il tasso deve essere attentamente valutato (1-5). La neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN) si verifica spesso in donne in età riproduttiva. Diverse procedure sono state utilizzate per trattare la CIN, compresa la conizzazione, la crioterapia, il laser e l’escissione con ansa termica (LLETZ o LEEP). Questa ultima metodica è stata introdotta nel 1989 ed è oggi ampiamente utilizzata sia in Italia come nel resto del mondo (6-8). I vantaggi della LEEP rispetto agli altri metodi di trattamento comprendono il fatto che possa essere eseguita in anestesia locale a livello ambulatoriale, che sia relativamente poco costosa, semplice e rapida da eseguire e che il tessuto escisso possa essere valutato istologicamente (9). Nonostante le donne sottoposte a chirurgia escissionale cervicale per lesioni preneoplastiche siano considerate a rischio aumentato di eventi avversi della gravidanza come appunto il parto pretermine, i dati della letteratura a questo proposito sono discordanti. Studi meno recenti avevano evidenziato come la conizzazione cervicale fosse associata a parto pretermine (meno di 37 settimane), basso peso alla nascita (meno di 2500 gr), incompetenza cervicale e stenosi cervicale (10-17). Due studi avevano osservato un tasso più elevato di basso peso alla nascita nei neonati di donne che erano state sottoposte a LEEP (18,19), ma non avevano identificato una differenza nel tasso di parti pretermine. Una review del 2003 aveva invece dimostrato esattamente il contrario: in questa analisi il parto pretermine ma non il basso peso alla nascita era significativamente aumentato nelle donne sottoposte a LEEP; secondo l’autore il fumo di sigaretta poteva rappresentare un fattore che contribuiva al basso peso alla nascita ma non spiegava la più alta incidenza di parto pretermine (20). Altri autori avevano ritrovato un rischio aumentato di rottura prematura delle membrane dopo queste procedure: Sadler non aveva riscontrato un aumento del rischio di parto pretermine ma solo di rottura prematura delle membrane (21), mentre Samson e Sjoborg avevano evidenziato un rischio aumentato per entrambi gli eventi (22,23). Studi più recenti hanno confermato il rischio aumentato di parto pretermine nelle donne sottoposte a LEEP (2431). In particolare Noehr ha rilevato un raddoppiamento del rischio di parto pretermine nelle donne sottoposte a LEEP anche dopo correzione per vari potenziali fattori di rischio, sia per quanto riguarda le gravidanze singole (27) che – anche se in minor misura – quelle gemellari (28). Jakobsson ha sottolineato come la LEEP aumentava il rischio di parto pretermine soprattutto nel sottogruppo di donne che non avevano avuto un parto pretermine in precedenza e tale rischio era più elevato dopo LEEP ripetute (30). Armarnik ha trovato un’associazione fra conizzazione (la maggioranza con LEEP) e parto prematuro al di sotto delle 34 settimane e questa associazione persisteva anche dopo controllo per vari fattori di confondi mento (31). Una metanalisi nel 2006 ha mostrato come la LEEP fosse significativamente associata al parto pretermine e alla rottura prematura delle membrane, ma non procedure ablative quali la laser vaporizzazione (32). Queste osservazioni venivano confermate nel medesimo anno da uno studio di Crane, che dimostrava come la LEEP e la conizzazione a lama fredda, ma non la crioterapia, fossero associate al parto pretermine (24). Al contrario Jakobsson nel 2007 dimostrava un rischio aumentato di parto pretermine anche dopo procedure ablative come la crioterapia, l’elettrocoagulazione e la laser vaporizzazione (33). Himes nel 2007 ha dimostrato che fra le donne trattate, quelle con parto pretermine avevano avuto un minore intervallo temporale fra procedura e gravidanza rispetto alle 11 12 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV donne con una successiva gravidanza a termine (34). In realtà – dopo un periodo sufficiente dall’intervento di LEEP (≥ 3 mesi) – la lunghezza della cervice uterina misurata con ecografia transvaginale non risulta diminuita (35). La maggioranza degli studi indica un rischio aumentato di parto pretermine con l’aumentare dell’altezza della conizzazione (12,14,16,18,22,29,30,32,33,36,37). Noehr ha mostrato un aumento stimato del 6% di rischio di parto pretermine per ogni millimetro di tessuto escisso. Il grado istologico della lesione su LEEP e il tempo trascorso dal momento dell’esecuzione dell’intervento non risultavano invece associati ad un aumento del rischio, mentre due o più LEEP aumentavano il rischio del quadruplo (29). Oltre all’altezza del cono cervicale, anche il quantitativo globale di tessuto escisso ha importanza nel determinismo di eventuali complicazioni. Infatti la gravidanza dopo trachelectomia è associata a vari esiti avversi della gravidanza, compresi l’aborto del secondo trimestre e il parto pretermine (37): rispetto ad un’incidenza di circa il 13% di parto pretermine negli Stati Uniti, le donne sottoposte a trachelectomia per carcinoma cervicale microinvasivo avevano una probabilità doppia di partorire prematuramente (38). A ciò contribuirebbero sia il diminuito supporto meccanico e la lunghezza della cervice uterina, che l’aumentata suscettibilità alle infezioni dopo la perdita di produzione del muco cervicale. Un’altra metanalisi ha mostrato come la LEEP, la crioterapia e la laser vaporizzazione non erano associate ad un rischio significativamente aumentato di complicanze della gravidanza, mentre la conizzazione a lama fredda e probabilmente tanto la laser conizzazione quanto coagulazioni diatermiche radicali erano associate ad un aumentato rischio di successiva mortalità perinatale ed altri esiti avversi della gravidanza (39). Infatti il volume di tessuto cervicale rimosso con una laser conizzazione è mediamente superiore rispetto a quello rimosso con una LEEP (40). Occorre considerare che in passato studi che non avevano ritrovato differenze statisticamente significative potrebbero non essere stati pubblicati, portando così ad un eccesso in letteratura di dati pubblicati per esiti sfavorevoli. Molto importante è anche controllare che tutti i possibili fattori di confondimento siano stati considerati, compresi lo stato socio-economico, un precoce inizio dell’attività sessuale, pregressi parti pretermine, profondità del campione tissutale e fumo di sigaretta (che potrebbero conferire indipendentemente un rischio più elevato di parto pretermine). Già Cruickshank aveva dimostrato che quando si andavano a controllare i fattori socio-epidemiologici associati con lo sviluppo della CIN, la LEEP non esercitava un effetto avverso indipendente sui successivi esiti ostetrici (41). Anche in uno studio di Tan, la LEEP non ha avuto effetti avversi sugli esiti della gravidanza (42). Infine Shanbhag ha fatto notare come le donne affette da CIN 3 abbiano tassi più elevati di parto pretermine spontaneo e rottura prematura delle membrane rispetto alla popolazione generale e la LEEP non alterava questi tassi di complicazioni della gravidanza. Secondo questo autore le donne andrebbero informate adeguatamente prima del trattamento, ma dovrebbero essere rassicurate riguardo il rischio di parto pretermine (43). Anche Bruinsma aveva riscontrato come le donne affette da CIN 3 fossero a rischio più elevato di parto pretermine indipendentemente dal fatto che fossero state sottoposte o meno a LEEP (44). Un’ulteriore conferma a questo proposito si deve recentemente ad uno studio di Werner, che ha mostrato come – rispetto alla popolazione ostetrica generale – non si sia osservato alcun rischio aumentato di parto pretermine (prima della 34 settimana, ma anche fra la 34 e la 36 settimana di gestazione) nelle donne che erano state sottoposte a LEEP prima o dopo una gravidanza (45). Ciononostante una recentissima revisione sistematica e metanalisi ha concluso che anche alcune metodiche ablative hanno un piccolo rischio di parto pretermine, mentre i trattamenti escissionali un rischio significativamente aumentato (46). La nostra esperienza Abbiamo analizzato gli esiti ostetrici dopo LEEP nella popolazione di donne che hanno partorito presso il Policlinico di Milano nell’arco di dieci anni. Tutte le pazienti studiate erano state sottoposte a LEEP cervicale per lesioni di alto grado (CIN 2 e CIN 3). Su un totale di 66.215 donne che hanno partorito nella nostra clinica fra il Gennaio 2000 e il Dicembre 2009, i parti singoli sono stati 61.730. Di queste pazienti 608 erano state sottoposte in precedenza a LEEP per CIN 2-3 all’interno della nostra unità di colposcopia. I parti pretermine sono stati 3.875 (6,3%) nella popolazione ostetrica generale e 15 (2,4%) nelle donne sottoposte a LEEP. Il volume mediano del tessuto escisso era di 2,8 cm3 e l’altezza mediana di 1,2 cm. Il calcolo del volume dell’emiellissoide ottenuto dopo LEEP è stato effettuato utilizzando la formula matematica: 1/2 x 4/3 x π x a/2 x b/2 x c (l’altezza è infatti un raggio dell’ellissoide piuttosto che un diametro) (40). Questi dati non sono confrontabili con quelli di altri studi che hanno inglobato differenti metodiche escissionali, ma sono da considerarsi “puri” in quanto si riferiscono esclusivamente a lesioni di alto grado trattate tutte con la medesima tecnica (LEEP con anse da 1,5 a 2 cm di diametro), rigorosamente sotto guida colposcopica, da quattro operatori con esperienza in patologia del tratto genitale inferiore. Il nostro studio non mostra alcun rischio di parto prematuro dopo LEEP per volumi di tessuto escisso fino a CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV 2,8 cm3 e altezze dell’emiellissoide fino a 1,2 cm, ma sembra anzi paradossalmente che la LEEP abbia conferito una sorta di effetto protettivo sul parto pretermine, forse a causa del tessuto cicatriziale che si è venuto a determinare dopo alcuni mesi dall’intervento. Il rischio di aborto spontaneo dopo LEEP è risultato ridotto quando la gravidanza era iniziata 12 o più mesi dopo la procedura. Questa ultima osservazione è dovuta al fatto che viene concesso al tessuto cervicale di rigenerarsi gradualmente. Conclusioni L’incidenza massima di lesioni cervicali di alto grado si ha in donne di età inferiore ai 35 anni. Poiché oggi l’età media della prima gravidanza è parecchio aumentata rispetto a pochi decenni fa, molto frequentemente capita che le donne possano essere state sottoposte ad un intervento escissionale per una lesione preneoplastica prima della gravidanza. Dato che il rischio di parto pretermine sembra essere direttamente correlato all’altezza della conizzazione e al quantitativo di tessuto cervicale rimosso, è molto importante evitare conizzazioni classiche senza controllo colposcopico, in cui spesso viene asportato anche tessuto cervicale sano. Altri fattori di rischio modificabili sono legati ad un improprio trattamento delle CIN. Infatti se da un lato una gestione inappropriata della CIN può aumentare il rischio di cancro cervicale, dall’altro lato un eccesso di trattamenti (per lesioni minori) può aumentare il rischio di eventuali complicazioni ostetriche. Un approccio più conservativo viene oggi raccomandato nelle adolescenti con CIN 2, in cui è sicuramente più appropriato un follow up ad intervalli semestrali piuttosto che un trattamento escissionale (47-51). Il trattamento delle lesioni CIN 1 non è mai raccomandabile (51-57). Benché il nostro studio non abbia dimostrato un rischio aumentato di parto prematuro nelle donne sottoposte a LEEP, non è pertanto consigliabile l’asportazione di lesioni di basso grado, sia per l’elevata percentuale di regressione spontanea, sia per l’alta probabilità di recidiva dopo un eventuale intervento escissionale. Il consiglio è di effettuare solo escissioni sotto controllo colposcopico e solo per lesioni di alto grado. Infine, dato che il concepimento entro 2-3 mesi da un intervento escissionale cervicale può associarsi ad un rischio aumentato di parto pretermine (34), si può raccomandare di procrastinare la gravidanza quando possibile di almeno 6-12 mesi dopo la procedura. Per il ginecologo è importante considerare una più stretta sorveglianza della gravidanza in donne sottoposte in precedenza a LEEP, anche se non esistono in questo senso raccomandazioni standardizzate. Lo screening delle infezioni vaginali non sembra tuttavia risultare utile, in quanto non è stata osservata alcuna associazione fra trattamenti antibiotici e riduzione dei parti pretermine. Lo screening della lunghezza cervicale fra la 16 e la 18 settimana di gravidanza può invece risultare di qualche utilità (58-61): cervicometrie ecografiche seriate possono aiutare a determinare il momento appropriato per la somministrazione di corticosteroidi per accelerare la maturità polmonare fetale o la prescrizione di farmaci tocolitici. In questo gruppo di pazienti si raccomanda anche di limitare le esplorazioni vaginali digitali durante il corso della gravidanza; in presenza di segni di ulteriore raccorciamento cervicale o altri segni di parto pretermine si può consigliare una restrizione dell’attività fisica e l’astinenza sessuale dopo la 20 settimana; infine può essere consigliato il riposo a letto precocemente nel secondo trimestre, quando indicato (61). Bibliografia 1. Goldenberg RL, Culhane JF, Iams JD, Romero R. Epidemiology and causes of preterm birth. Lancett 2008;371:75-84. 2. Romero R, Espinoza J, Kusanovic JP et al. The preterm parturition syndrome. BJOG 2006;113:17-42. 3. Slattery MM, Morrison JJ. Preterm delivery. Lancet 2002;360:1489-97. 4. Petersen ML, Sinisi SE, van der Laan MJ. Estimation of direct causal effects. Epidemiology 2006;17:276-84. 5. Ananth CV, Peltier MR, Getahun D, Kirby RS, Vintzileos AM. Primiparity: an “intermediate” risk group for spontane- ous and medically indicated preterm birth. J Matern Fetal Neonatal Med d 2007;20:60511. 6. Prendiville W, Cullimore S. Large loop excision of the transformation zone (LLETZ). A new method of management for women with cervical intraepithelial neoplasia. BJOG 1989;96:1054-60. 7. Prendiville W. Large loop excision of the transformation zone. Clin Obstet Gynecol 1995;38(3):622-39. 8. Wright TC Jr, Richart RM. Loop excision of the uterine cervix. Curr Opin Obstet Gynecol 1995;7:30-4. 9. Liverani CA, Monti E, Bolis G. Patologia Preneoplastica del Tratto Genitale Inferiore. In: Bolis G. - Manuale di Ginecologia e Ostetricia, Ed. EdiSES 2011;Capitolo 19:235-60. 10. Lee NH. The effect of cone biopsy on subsequent pregnancy outcome. Gynecol Oncol 1978;6:1-6. 11. Jones JM, Sweetnam P, Hibbard BM. The outcome of pregnancy after cone biopsy of the cervix - A case-control study. Br J Obstet Gynaecol 1979;86:913-6. 12. Leiman G, Harrison NA, Rubin A. Pregnancy following conization of the cervix - Complications related to cone size. Am J Obstet Gynecol 1980;136:14-8. 13. Ludviksson K, Sandstrom B. Outcome of pregnancy after cone biopsy - a case-control study. Eur J Obstet Gynaecol Reprod Bioll 1982;14:135-42. 14. Luesley DM, McCrum A, Terry PB et al. Complications of cone biopsy related to the dimensions of the cone and the influence of prior colposcopic assessment. Br J Obstet Gynaecoll 1985;92:158-64. 15. Kristensen J, Langhoff-Roos J, Kristensen FB. Increased risk of preterm birth in women with cervical conization. Obstet 13 14 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV Gynecoll 1993;81:1005-8. 16. Raio L, Ghezzi F, Di Naro E et al. Duration of pregnancy after carbon dioxide laser conization of the cervix - Influence of cone height. Obstet Gynecol 1997;90:978-82. 17. Suh-Burgmann EJ, Whall-Strojwas D, Chang Y et al. Risk factors for cervical stenosis after loop electrocautery excision procedure. Obstet Gynecol 2000;96(5 Pt 1):657-60. 18. Blomfield PI, Buxton J, Dunn J, Luesley DM. Pregnancy outcome after large loop excision of the cervical transformation zone. Am J Obstet Gynecol 1993;169:620-5. 19. Braet PG, Peel JM, Fenton DW. A case controlled study of the outcome of pregnancy following loop diathermy excision of the transformation zone. J Obstet Gynaecoll 1994;14:7982. 20. Crane JMG. Pregnancy outcome after loop electrosurgical excision procedure: a systematic review. Obstet Gynecoll 2003;102:1058-62. 21. Sadler L, Saftlas A, Wang W et al. Treatment for cervical intraepithelial neoplasia and risk of preterm delivery. JAMA 2004;291:2100-6. 22. Samson SL, Bentley JR, Fahey TJ, McKay DJ, Gill GH. The effect of loop electrosurgical excision procedure on future pregnancy outcome. Obstet Gynecoll 2005;105:325-32. 23. Sjoborg KD, Vistad I, Myhr SS, Svenningsen R, Herzog C, Kloster-Jensen A, et al. Pregnancy outcome after cervical cone excision: a case-control study. Acta Obstet Gynecol Scand 2007;86:423-8. 24. Crane JMG, Delaney T, Hutchens D. Transvaginal ultrasonography in the prediction of preterm birth after treatment for cervical intraepithelial neoplasia. Obstet Gynecol 2006;107:37-44. 25. Noehr B, Tabor A, Frederiksen K, Kjaer SK. Loop electrosurgical excision of the cervix and the subsequent risk of preterm delivery. Acta Obstet Gynecol Scand d 2007;86:596-603. 26. Albrechtsen S, Rasmussen S, Thoresen S et al. Pregnancy outcome in women before and after cervical conisation: population based cohort study. BMJJ 2008;337:a1343. 27. Noehr B, Jensen A, Frederiksen K et al. Loop electrosurgical excision of the cervix and subsequent risk for spontaneous preterm delivery: a population-based study of 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. singleton deliveries during a 9-year period. Am J Obstet Gynecoll 2009;201:33.e1-6. Noehr B, Jensen A, Frederiksen K et al. Loop electrosurgical excision of the cervix and risk for spontaneous preterm delivery in twin pregnancies. Obstet Gynecoll 2009;114(3):511-5. Noehr B, Jensen A, Frederiksen K et al. Depth of cervical cone removed by loop electrosurr gical excision procedure and subsequent risk of spontaneous preterm delivery. Obstet Gynecoll 2009;114(6):1232-8. Jakobsson M, Gissler M, Paavonen J, Tapper AM. Loop electrosurgical excision procedure and the risk of preterm birth. Obstet Gynecol 2009;114(3):504-10. Armarnik S, Sheiner E, Piura B et al. Obstetric outcome following cervical conization. Arch Gynecol Obstet 2011;283(4):765-9. Kyrgiou M, Koliopoulos G, Martin-Hirsch P et al. Obstetric outcomes after conservative treatment for intraepithelial or early invasive cervical lesions: systematic review and meta-analysis. Lancet 2006;367(9509):489-98. Jakobsson M, Gissler M, Sainio S et al. Preterm delivery after surgical treatment for cervical intraepithelial neoplasia. Obstet Gynecol 2007;109:309-13. Himes KP, Simhan HN. Time from cervical conization to pregnancy and preterm birth. Obstet Gynecol 2007;109:314-9. Gentry DJ, Baggish MS, Brady K et al. The effects of loop excision of the transformation zone on cervical lenght: Implications for pregnancy. Am J Obstet Gynecol 2000;182:516.-20. Acharya G, Kjeldberg I, Hansen SM et al. Pregnancy outcome after loop electrosurr gical excision procedure for the management of cervical intraepithelial neoplasia. Arch Gynecol Obstet 2005;272(2):109-12. Paraskevaidis E, Koliopoulos G, Lois E et al. Delivery outcomes following loop electrosurgical excision procedure for microinvasive (FIGO stage IA1) cervical cancer. Gynecol Oncoll 2002;86:10-3. Jolley JA, Battista L, Wing DA. Management of pregnancy after radical trachelectomy: case reports and systematic review of the literature. Am J Perinatol 2007;24:531-40. 39. Arbyn M, Kyrgiou M, Simoens C et al. Perinatal mortality and other severe adverse pregnancy outcomes associated with treatment of cervical intraepithelial neoplasia: meta-analysis. BMJJ 2008;337:a1284. 40. Phadnis SV, Atilade A, Young M et al. The volume perspective: a comparison of two excisional treatments for cervical intraepithelial neoplasia (LASER versus LLETZ). BJOG 2010;117:615-9. 41. Cruickshank ME, Flannelly G, Campbell DM, Kitchener HC. Fertility and pregnancy outcome following large loop excision of the cervical transformation zone. BJOG 1995;102:467-70. 42. Tan L, Pepra E, Haloob RK. The outcome of pregnancy after large loop excision of the transformation zone of the cervix. J Obstet Gynaecol 2004;24(1):25-7. 43. Shanbhag S, Clark H, Timmaraju V et al. Pregnancy outcome after treatment for cervical intraepithelial neoplasia. Obstet Gynecol 2009;114(4):727-35. 44. Bruinsma F, Lumley J, Tan J, Quinn M. Precancerous changes in the cervix and risk of subsequent preterm birth. BJOG 2007;114:70-80. 45. Werner CL, Lo JY, Heffernan T et al. Loop electrosurgical excision procedure and risk of preterm birth. Obstet Gynecol 2010;115(3):605-8. 46. Bruinsma F, Quinn M. The risk of preterm birth following treatment for precancerous changes in the cervix: a systematic review and meta-analysis. BJOG 2011;118:103141. 47. Wright TC Jr, Massad LS, Dunton CJ et al. 2006 consensus guidelines for the management of women with cervical intraepithelial neoplasia or adenocarcinoma in situ. Am J Obstet Gynecol 2007;197(4):340-5. Review. 48. Wright TC Jr, Massad LS, Dunton CJ et al. 2006 consensus guidelines for the management of women with abnormal cervical cancer screening tests. Am J Obstet Gynecol 2007;197(4):346-55. Review. 49. Fuchs K, Weitzen S, Wu L et al. Management of cervical intraepithelial neoplasia 2 in adolescent and young women. J Pediatr Adolesc Gynecol 2007;20(5):269-74. 50. Castle PE, Schiffman M, Wheeler CM, Solomon D. Evidence for frequent regres- 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. sion of cervical intraepithelial neoplasia-grade 2. Obstet Gynecoll 2009;113(1):18-25. CDC Atlanta - Sexually Transmitted Diseases Treatment Guidelines. MMWR 2010;59(No RR-12):69-78. Cox JT, Shiffman M, Solomon D. Prospective followup suggests similar risk of subsequent cervical intraepithelial neoplasia grade 2 or 3 among women with cervical intraepithelial neoplasia grade 1 or negative colposcopy and directed biopsy. Am J Obstet Gynecoll 2003;188:1406-12. Bansal N, Wright JD, Cohen CJ, Herzog TJ. Natural history of established low grade cervical intraepithelial (CIN 1) lesions. Anticancer Res 2008;28(3B):1763-6. Ahmed AS, Goumalatsos G, Akbar N et al. Outcome analysis of 4 years’ follow-up of patients referred for colposcopy with one smear showing mild dyskaryosis. Cytopatholl ogyy 2008;19(2):94-105. Dunn TS, Charnsangavej C, Wolf D. Are there predictors for failed expectant management of cervical intraepithelial neoplasia 1? J Reprod Med 2008;53(3):213-6. Day T, Weitzen S, Cooper AS, Boardman LA. Should unsatisfactory colposcopy necessitate treatment of cervical intraepithelial neoplasia 1? J Low Genit Tract Dis 2008;12(1):11-5. Moscicki AB, Shiboski S, Hills NK et al. Regression of lowgrade squamous intra-epithelial lesions in young women. Lancett 2004;364(9446):1678-83. Ricciotti HA, Burke L, Kobelin M, Slomovic B, Ludmir J. Ultrasound evaluation of cervical shortening after loop excision of the transformation zone (LETZ). Int J Gynaecol Obstet 1995;50:175-8. Mazouni C, Bretelle F, Blanc K, Heckenroth H, Haddad O, Agostini A, et al. Transvaginal sonographic evaluation of cervix length after cervical conization. J Ultrasound Med 2005;24:1483-6. Crane JM, Hutchens D. Transvaginal sonographic measurement of cervical length to predict preterm birth in asymptomatic women at increased risk: a systematic review. Ultrasound Obstet Gynecoll 2008;31:579-87. Jolley JA, Wing DA. Pregnancy management after cervical surgery. Curr Opin Obstet Gynecoll 2008;20(6):528-33. CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV LSIL p persistenti: l’esperienza p del Centro di Ginecologia Oncologica Preventiva di Verona P. Cattani, R. Colombari°, D. Dalfior°, B. Bertolin, M. T. Iannone Centro di Ginecologia Oncologica Preventiva ULSS 20 – Verona ° UOC Anatomia Patologica ULSS 20 - Verona La Colposcopia in Italia Anno XXIV – N. 1 pagg. 15 - 19 Introduzione L e lesioni intraepiteliali di basso grado rivelate dal pap test rappresentano le modificazioni dell’epitelio cervicale dovute alla presenza dell’infezione da Papilloma virus. Queste lesioni, indipendentemente dal tipo di virus HPV (ad alto o a basso rischio) cui sono correlate, sono destinate quasi sempre a regredire: per questo motivo la maggior parte degli autori è concorde nel non ritenere la L SIL una vera precancerosi ma solo l’espressione citologica della presenza dell’HPV con scarse probabilità di evolvere in una lesione ad alto rischio di degenerazione carcinomatosa (1-11). Coerentemente con questa premessa la gestione di questa classe di lesioni è spesso attendistica (12-24): risulta perciò evidente come sia indispensabile avere ragionevole cerr tezza che la diagnosi di lesione di basso grado sia corretta (25-27). Tale certezza diagnostica deriva innanzitutto dalla concordanza del quadro citologico con quello istologico della biopsia. Il problema più importante infatti nella gestione di una LSIL consiste proprio nel rischio di misconoscere una lesione di alto grado: ciò può accadere sia per le difficoltà diagnostiche insite nella lettura dei preparati istologici, sia per la possibilità che la biopsia non rappresenti correttamente la lesione più grave della cervice uterina (28-31). La probabilità che si verifichi questo evento è legata alle caratteristiche del quadro colposcopico (giunzione visibile o no, estensione delle lesioni, multifocalità….) che pertanto devono essere dal clinico accuratamente soppesate prima di ogni decisione gestionale. I fattori a noi noti che possono influenzare la progressione delle lesioni squamose intraepiteliali di basso grado sono molteplici ma spesso non a facile portata per il clinico che si trovi a gestire il caso: il tipo di virus, la carica virale, gli indicatori dell’integrazione del virus HPV nel genoma dell’ospite e quelli della replicazione virale sono alcuni di questi fattori (32-45). È noto ormai da tempo che esistono diversi tipi di virus HPV suddivisi in due grandi categorie ad alto rischio ed a basso rischio oncogeno, ma anche all’interno del gruppo ad alto rischio la presenza dell’HPV 16 rappresenta un fattore prognostico sfavorevole. La valutazione della carica virale (> 1000 RLU/PC) può essere predittiva della persistenza dell’infezione da HPV oltre che della persistenza o ricorrenza della displasia dopo il trattamento. La determinazione dell’mRNA virale consente di valutare l’attività replicativa del virus studiandone le regioni oncogeniche E6 e E7 responsabili del blocco delle proteine cellulari p53 e pRb, entrambe con funzione repressiva e di controllo sul ciclo cellulare e pertanto definite “antioncogeni”. Infine la proteina P16 è un oncosoppressore in grado di inibire la fosforilazione della pRb bloccando così la replicazione cellulare in fase G1. Essa è carente o inattivata in molteplici neoplasie mentre risulta sovraespressa nelle lesioni preneoplastiche e neoplastiche della cervice uterina. Nella realtà clinica queste indagini di laboratorio non sono di routinaria applicabilità sia per i costi sia per il carico di lavoro che esse comportano e risultano pertanto più spesso utilizzate in centri di terzo livello o nel corso di studi clinici. Il ginecologo colposcopista, tuttavia, anche in assenza di questi dati, ha la possibilità di modulare il proprio comportamento in base a considerazioni cliniche (46-55). L’età della paziente superiore ai cinquanta anni si associa ad un aumentato rischio di progressione della malattia forse per una minor efficienza immunologia, certamente per una maggior difficoltà diagnostica. Anche lo stato di immunocompetenza ha un ruolo importante: nelle pazienti HIV positive, ad esempio, vi è la prevalenza almeno doppia di infezione da parte di ceppi HPV ad alto rischio e di infezioni virali multiple. Inoltre la pre- 15 16 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV valenza della displasia cervicale è del 20-60% (invece del 3-10%), si ha una maggior persistenza dell’infezione da HPV (46%), con una maggiore progressione (8-38%) e una minor percentuale di regressione spontanea (27-31%). Gli idrocarburi policiclici aromatici specifici del fumo di sigaretta agiscono sulla regolazione del ciclo vitale del virus HPV aumentandone la sintesi di sette-otto volte: questo fattore, associato al calo delle difese immunitarie vaginali, spiegherebbe l’aumentata persistenza virale nelle donne fumatrici. Materiali e metodi Da quanto sopra esposto risulta evidente che la persistenza dell’HPV a livello della cervice è inequivocabilmente la maggior fonte di rischio per lo sviluppo del cervicocarcinoma (56-66): quanto è lecito ed opportuno insistere nell’atteggiamento attendistico in caso di persistenza della lesione virale di basso grado nelle pazienti che, dopo un’accurata valutazione degli altri fattori di rischio, si è deciso di seguire nel tempo? La letteratura internazionale a questo proposito non ci dà chiare indicazioni come confermato dalle European Guidelines for Quality Assurance in Cervical Cancer Screening: “…there is no reliable evidence on the optimal duration of follow-up... Patients with CIN1 can also be offered treatment, which can be ablative or excisional. In case of recurrent CIN1 excisional methods should be preferred” (9). Inoltre, quale è rischio di misconoscere una lesione di alto grado o addirittura un carcinoma invasivo in pazienti con LSIL persistente nel tempo anche se clinicamente selezionate ed affidabili? Proprio per rispondere a queste domande abbiamo deciso di sottoporre a trattamento le pazienti con diagnosi di LSIL confermata istologicamente alla biopsia cervicale e persistente da oltre 2 anni che sono afferite al Centro di Ginecologia Oncologica Preventiva dell’ULSS 20 – Verona dall’1 gennaio 2009 al 30 giugno 2010. I criteri che avevano permesso di includere queste pazienti nel programma di attesa, che in alcuni casi è stato anche di lunga durata, erano la concordanza cito-istologica, nessuna precedente CIN, normale immunocompetenza, quadro colposcopico soddisfacente con lesioni di grado minore interamente visualizzate, assenza di lesioni endocervicali, consenso della paziente e sua adesione al follow-up. Si è deciso di non includere in questo studio le pazienti con persistenze inferiori ai 24 mesi ritenendo questo un lasso di tempo ancora congruo per la clearance in accordo con l’ASCCP e con l’NHS – Cancer Screening Programmes - e secondo gli attuali indirizzi della SICPCV. Le pazienti presentatesi alla nostra osservazione sono state 32: dopo un esauriente colloquio informativo tutte hanno dato il consenso all’intervento che è stato sempre di tipo escissionale. I pezzi operatori, inviati a fresco orientati e distesi su tavoletta di polistirolo, dopo adeguata fissazione in formalina, sono stati marcati con inchiostro di china lungo il margine di resezione chirurgico, inclusi “in toto” in paraffina ed esaminati istologicamente su sezioni seriate. Dopo il trattamento chirurgico le pazienti sono state sottoposte a controlli semestrali con colposcopia e pap test secondo i protocolli da noi adottati. Risultati e conclusioni I risultati delle nostre osservazioni sono riportati nella Tabella 1. L’età media delle pazienti è risultata di 37 anni (25 – 49). È pertanto superiore (19 pazienti avevano più di 35 anni) a quella in cui di solito si manifesta l’infezione da HPV a conferma che all’età può essere legato il grado di rischio di persistenza dell’infezione. Di queste pazienti 13 erano fumatrici (oltre 6 sigarette al giorno). L’ Istituto Superiore di Sanità nel Rapporto Doxa 2010 stima che le fumatrici in Italia siano 5.200.000 e rappresentino il 19,7% della popolazione femminile: nel nostro campione le fumatrici risultano essere percentualmente più numerose (46,4%) come ci si può aspettare in un gruppo di pazienti con HPV persistente. Tra la diagnosi di LSIL (confermata all’istologia) ed il trattamento, le pazienti erano state sottoposte a controlli semestrali con colposcopia e citologia: 15 donne sono state seguite per 24 -36 mesi, 10 per 36 - 48 e 7 per oltre 48 mesi. L’ultima citologia prima del trattamento è stata LSIL in 29 casi ed HSIL in 3. Gli interventi effettuati sono stati 26 trattamenti escissionali e 6 trattamenti combinati ablativo – escissionali: nessuna paziente presentava lesioni vaginali per cui non Tabella 1. - 32 pazienti con LSIL persistente Età media 37 anni (25 Æ 49) Fumatrici 13 (46,4%) Follow up pre-trattamento Ultima citologia 24 - 36 mesi: 15 pazienti 36 - 48 mesi: 10 pazienti > 48 mesi: 7 pazienti LSIL: 29 pazienti HSIL: 3 pazienti CIN I: 16 pazienti (50%) Istologia definitiva CIN 2+: 13 pazienti (40,6% Negativa: 3 pazienti (9,4%) Follow up post trattamento (tutti negativi) 2 controlli: 13 pazienti 3 controlli: 11 pazienti 4 controlli: 8 pazienti CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV sono stati eseguiti interventi a livello di questo distretto. I risultati istologici sul tessuto escisso sono stati CIN 1 in 16 casi e CIN2+ in 13. Il margine profondo del pezzo anatomico è sempre risultato libero da malattia; 3 esami istologici sono risultati negativi in pazienti sottoposte a controlli da 31, 38 e 56 mesi. L’esiguità del numero non ci consente di stratificare, per la valutazione del rischio di progressione, le pazienti in fasce di durata di persistenza. Tuttavia la percentuale di CIN di alto grado (40,6%) ritrovata nel gruppo da noi osservato è nettamente superiore a quella riportata in letteratura per donne con diagnosi di CIN1 o di LSIL, ad ulteriore conferma che la persistenza dell’infezione virale rappresenta in assoluto un rischio importante di progressione: la mancata regressione evidenziata dal pap test potrebbe pertanto rappresentare il primo segnale dell’attivazione di quei meccanismi di integrazione del virus nel genoma dell’ospite responsabili del vero processo carcinogenetico. D’altro canto però il fatto di avere trovato 3 istologici negativi in pazienti con ripetute citologie LSIL indica comunque che la clearance dell’HPV può avvenire anche dopo una persistenza prolungata. Dopo il trattamento chirurgico tutte le pazienti (comprese le pazienti con esame istologico negativo) sono state sottoposte ad almeno 2 controlli semestrali; 11 ne hanno effettuati 3 e 8 ne hanno effettuati 4. Tutti gli esami citologici fin qui eseguiti sono stati negativi. Questi risultati, favorevoli forse oltre ogni previsione, possono essere limitati nel loro valore prognostico dalla brevità del periodo di follow up post-trattamento: suggeriscono tuttavia che l’efficacia della terapia chirurgica sia buona e non sia dovuta solo alla semplice escissione del tessuto colposcopicamente sede dell’infezione ma anche ad altri fattori quali l’attivazione di meccanismi di difesa immunitaria tessutale. Per concludere sono possibili due ulteriori considerazioni. La prima è che, nonostante il tempo estremamente lungo che in alcuni casi è intercorso tra la diagnosi ed il trattamento chirurgico, non è stato evidenziato alcun caso di microinvasione o di invasione franca in accordo con i quadri colposcopici che non hanno manifestato significativi peggioramenti. Questo fatto è per noi fonte di grande serenità nella decisione di seguire nel tempo lesioni cervicali di basso grado se la diagnosi è certa e la paziente è affidabile. Riteniamo infine importante sottolineare che tutte le pazienti interpellate hanno accondisceso, talora quasi con sollievo, al trattamento chirurgico proposto anche se adeguatamente informate sulla possibilità che l’intervento potesse non essere risolutivo. La consapevolezza infatti della presenza nel proprio corpo del papilloma virus con la nota possibilità, anche se recondita, di sviluppare un carcinoma della cervice rappresenta per la donna una spina emotiva difficilmente controllabile anche se viene data un’informazione tranquillizzante ed un buon supporto alla razionalizzazione del problema. Questa esperienza ci radica ancor più nella convinzione che nella gestione delle LSIL non sia utilizzabile una singola strategia: l’atteggiamento clinico forse più vantaggioso risulta essere il “see and select” che presuppone l’accurata valutazione di tutti i parametri clinici, colposcopici e di laboratorio senza però mai prescindere dal coinvolgimento informato della paziente che deve dare sempre la propria convinta adesione all’iter diagnosticoterapeutico scelto. Bibliografia 1. Saw HS, Lee JK, K Lee HL, Jee HJ, Hyun JJ. Natural history of low-grade squamous intraepithelial lesion. J Low Genit Tract Dis. 2001 Jul;5(3):153-8. 2. Schlecht NF, Platt RW, W DuarteFranco E, Costa MC, Sobrinho JP, Prado JC, Ferenczy A, Rohan TE, Villa LL, Franco EL. Human papillomavirus infection and time to progression and regression of cervical intraepithelial neoplasia. J Natl Cancer Inst. 2003 Sep 3;95(17):1336-43 3. Cantor SB, Atkinson EN, Cardenas-Turanzas M, Benedet JL, Follen M, MacAulay C. Natural history of cervical intraepithelial neoplasia: a meta-analysis. Acta Cytol. 2005; 49(4):405-15 4. Società italiana di Colposcopia e Patologia Cervico Vaginale. Gestione della paziente con pap test anormale. Linee guida edizione 2006. La Colposcopia in Italia. 2006 XXI, 1 5. Thomas C.Wright Jr, MD; L. Stewart Massad, MD; Charles J. Dunton, MD; Mark Spitzer, MD; Edward J.Wilkinson, MD; Diane Solomon, MD; for the 2006 American Society for Colposcopy and Cervical Pathology–sponsored Consensus Conference. 2006 consensus guidlines for the management of women with cervical intraepithelial neoplasia or adenocarcinoma in situ. American Journal of Obstetrics & Gynecology, october 2007 6. Thomas C.Wright Jr, MD; L. Stewart Massad, MD; Charles J. Dunton, MD; Mark Spitzer, MD; Edward J.Wilkinson, MD; Diane Solomon, MD, for the 2006 American Society for Colposcopy and Cervical Pathology–sponsored Consensus Conference. 2006 consensus guidelines for the management of women with abnormal cervical cancer screening tests. American Journal of Obstetrics & Gynecology, october 2007 7. Park K, Ellenson LH, Pirog EC. Low-grade squamous intraepithelial lesions of the cervix with marked cytological atypia-clinical follow-up and human papillomavirus genotyping. Int J Gynecol Pathol. 2007 Oct;26(4):457-62. 8. Bansal N, Wright JD, Cohen CJ, Herzog TJ. Natural history of established low grade cervical intraepithelial (CIN 1) lesions. Anticancer Res. 2008 May-Jun;28(3B):1763-6. 9. M. Arbyn, A. Anttila, J. Jordan G., Ronco U., Schenck N., Segnan H., G. Wiener A., Herbert , J. Daniel (technical editor, L. von Karsa. European guidelines for quality assurance in cervical cancer screening. Luxembourg: Office for Official Publications of the European Communities, 2008 10. Guidelines for the NHS Cervical Screening Programme. Colposcopy and Programme Management. Second edition NHSCSP, Publication No 20. May 2010. 11. Chen EY, Y Tran A, Raho CJ, 17 18 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV Birch CM, Crum CP, Hirsch MS. Histological ‘progression’ from low (LSIL) to high (HSIL) squamous intraepithelial lesion is an uncommon event and an indication for quality assurance review. Mod Pathol. 2010 Aug;23(8):1045-51. 12. Shafi MI, Luesley DM, Jordan JA, Dunn JA, Rollason TP, Yates M. Randomised trial of immediate versus deferred treatment strategies for the management of minor cervical cytological abnormalities. Br J Obstet Gynaecol. 1997 May;104(5):590-4 13. Hartz LE, Fenaughty AM. Management choice and adherence to follow-up after colposcopy in women with cervical intraepithelial neoplasia 1. Obstet Gynecol. 2001 Oct;98(4):674-9. 14. ASCUS-LSIL Traige Study (ALTS) Group. A randomized trial on the management of low-grade squamous intraepithelial lesion cytology interpretations. Am J Obstet Gynecol. 2003 Jun;188(6):1393400. 15. Santos AL, Derchain SF, Sarian LO, Martins MR, Morais SS, Syrjänen KJ. Performance of Pap smear and human papilloma virus testing in the follow-up of women with cervical intraepithelial neoplasia grade 1 managed conservatively. Acta Obstet Gynecol Scand. 2006;85(4):444-50. 16. Tarkkanen J, Auvinen E, Nieminen P, Malmi R, Vartiainen J, Timonen T, Laurila P, Räisänen I, Unnerus HA, Sakki A, Mattila P, Van Den Brule AV, Tapper AM. HPV DNA testing as an adjunct in the management of patients with low grade cytological lesions in Finland. Acta Obstet Gynecol Scand. 2007;86(3):367-72 17. Benard VB, Howe W, Saraiya M, Helsel W, Lawson HW. Assessment of follow-up for low-grade cytological abnormalities in the National Breast and Cervical Cancer Early Detection Program, 20002005. J Low Genit Tract Dis. 2008 Oct;12(4):300-6. Obstet Gynecol Clin North Am. 2008 Dec;35(4):599-614. 18. Boardman LA, Kennedy CM. Management of atypical squamous cells, low-grade squamous intraepithelial lesions, and cervical intrae- pithelial neoplasia 1. Asian Pac J Cancer Prev. 2008 AprJun;9(2):253-7. 19. Rouzier R. Management of CIN1. J Gynecol Obstet Biol Reprod (Paris). 2008 Feb;37 Suppl 1:S114-20. 20. Patel M, Guido R, Chang JC, Meyn LA What are patient preferences for follow-up after low-grade cervical intraepithelial neoplasia? J Low Genit Tract Dis. 2008 Apr;12(2):122-6. 21. Elit L, Levine MN, Julian JA, Sellors JW, Lytwyn A, Chong S, Mahony JB, Gu C, Finch T, Zeferino LC. Expectant management versus immediate treatment for lowgrade cervical intraepithelial neoplasia : a randomized trial in Canada and Brazil. Cancer. 2010 Nov 8 22. Insinga RP, Dasbach EJ, Elbasha EH. Epidemiologic natural history and clinical management of Human Papillomavirus (HPV) Disease: a critical and systematic review of the literature in the development of an HPV dynamic transmission model. BMC Infect Dis. 2009 Jul 29;9:119. 23. Yoost JL, Goetzl L, Hoda R, Soper DE, Barry A. Management of the low grade squamous intraepithelial lesion Pap smear in a crosssectional, observational cohort. J Reprod Med. 2009 Jul;54(7):421-4 24. Elit L, Levine MN, Julian JA, Sellors JW, Lytwyn A, Chong S, Mahony JB, Gu C, Finch T, Zeferino LC. Expectant management versus immediate treatment for lowgrade cervical intraepithelial neoplasia : A randomized trial in Canada and Brazil. Cancer. 2011 Apr 1;117(7):1438-45. 25. Khuakoonratt N, Tangjitgamol S, Manusirivithaya S, Khunnarong J, Pataradule K, K Thavaramara T, Suekwattana P. Prevalence of high grade squamous intraepithelial lesion (HSIL) and invasive cervical cancer in patients with low grade squamous intraepithelial lesion (LSIL) at cervical pap smear Asian Pac J Cancer Prev. 2008 AprJun;9(2):253-7. 26. Moore G, Fetterman B, Cox JT, Poitras N, Lorey T, Kinney W, Castle PE Lessons from practice: risk of CIN 3 or can- cer associated with an LSIL or HPV-positive ASC-US screening result in women aged 21 to 24. J Low Genit Tract Dis. 2010 Apr;14(2):97-102 27. Silfverdal L, Kemetli L, Andrae B, Sparén P, Ryd W, Dillner J, Strander B, Törnberg S. Risk of invasive cervical cancer in relation to management of abnormal Pap smear results. Am J Obstet Gynecol. 2009 Aug;201(2):188.e1-7. 28. Massad LS, Jeronimo J, Katki HA, Schiffman M; National Institutes of Health/American Society for Colposcopy and Cervical Pathology Research Group. The accuracy of colposcopic grading for detection of high-grade cervical intraepithelial neoplasia. J Low Genit Tract Dis. 2009 Jul;13(3):137-44. 29. TOMBOLA Group. Biopsy and selective recall compared with immediate large loop excision in management of women with low grade abnormal cervical cytology referred for colposcopy: multicentre randomised controlled trial. BMJ. 2009 Jul 28;339. 30. Nam K, Chung S, Kwak J, Cha S, Kim J, Jeon S, Bae D. Random biopsy after colposcopydirected biopsy improves the diagnosis of cervical intraepithelial neoplasia grade 2 or worse. J Low Genit Tract Dis. 2010 Oct;14(4):346-51 31. Bowring J, Strander B, Young M, Evans H, Walker P. The Swede score: evaluation of a scoring system designed to improve the predictive value of colposcopy. J Low Genit Tract Dis. 2010 Oct;14(4):301-5 32. Klaes R, Friedrich T, Spitkovsky D, Ridder R, Rudy W, Petry U, Dallenbach-Hellweg G, Schmidt D, von Knebel Doeberitz M. Overexpression of p16(INK4A) as a specific marker for dysplastic and neoplastic epithelial cells of the cervix uteri. Int J Cancer. 2001 Apr 15;92(2):276-84 33. Koskimaa HM, Kurvinen K, K Costa S, Syrjänen K, K Syrjänen S. Molecular markers implicating early malignant events in cervical carcinogenesis. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2010 Aug;19(8):2003-12. 34. Negri G, Vittadello F, Romano F, Kasal A, Rivasi F, Girlando S, Mian C, Egarter-Vigl E. p16INK4a expression and progression risk of low-grade intraepithelial neoplasia of the cervix uteri. Virchows Arch. 2004 Dec;445(6):616-20. Epub 2004 Oct 9Kruse AJ, Baak JP, Janssen EA, 35. Kjellevold KH, Fiane B, Lovslett K, Bergh J, Robboy S. Ki67 predicts progression in early CIN: validation of a multivariate progression-risk model. Cell Oncol. 2004;26(12):13-20 36. Syrjänen K. Mechanisms and predictors of high-risk human papillomavirus (HPV) clearance in the uterine cervix. Eur J Gynaecol Oncol. 2007;28(5):337-51. Review 37. Negri G, Bellisano G, Zannoni GF, Rivasi F, Kasal A, Vittadello F, Antoniazzi S, Faa G, Ambu R, Egarter-Vigl. E p16 ink4a and HPV L1 immunohistochemistry is helpful for estimating the behavior of low-grade dysplastic lesions of the cervix uteri. Am J Surg Pathol. 2008 Nov;32(11):171520 38. van Hamont D, Bulten J, Shirango H, Melchers WJ, Massuger LF, de Wilde PC. Biological behavior of CIN lesions is predictable by multiple parameter logistic regression models. Carcinogenesis. 2008 Apr;29(4):840-5. 39. Hilfrich R, Hariri J. Prognostic relevance of human papillomavirus L1 capsid protein detection within mild and moderate dysplastic lesions of the cervix uteri in combination with p16 biomarke Anal Quant Cytol Histol. 2008 Apr;30(2):78-82. 40. Rauber D, Mehlhorn G, Fasching PA, Beckmann MW, W Ackermann S. Prognostic significance of the detection of human papilloma virus L1 protein in smears of mild to moderate cervical intraepithelial lesions. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. 2008 Oct;140(2):258-62. 41. Matsumoto K, Oki A, Furuta R, Maeda H, Yasugi T, Takatsuka N, Mitsuhashi A, Fujii T, Hirai Y, Iwasaka T, Yaegashi N, Watanabe Y, Nagai Y, Kitagawa T, Yoshikawa H; for Japan HPV And Cervical Cancer (JHACC) Study Group. Predicting the progression of cervical precursor lesions by human papillomavirus CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV genotyping: A prospective cohort study. Int J Cancer. 2010 Aug 23 42. Galgano MT, Castle PE, Atkins KA, Brix WK, Nassau SR, Stoler MH. Using biomarkers as objective standards in the diagnosis of cervical biopsies. Am J Surg Pathol. 2010 Aug;34(8):1077-87 43. Woo YL, van den Hende M, Sterling JC, Coleman N, Crawford RA, Kwappenberg KM, Stanley MA, van der Burg SH. A prospective study on the natural course of low-grade squamous intraepithelial lesions and the presence of HPV16 E2-, E6- and E7-specific T-cell responses. Int J Cancer. 2010 Jan 1;126(1):133-41 44. Li Y Y, Zeng WJ, Ye F, Wang XY, Y Lü WG, Ma D, Wei LH, Xie X. Application of hTERC in thinprep samples with mild cytologic abnormality and HR-HPV positive. Gynecol Oncol. 2011 Jan;120(1):73-83. 45. Missaoui N, Hmissa S, Sankaranarayanan R, Deodhar K, Nene B, Budukh A, Malvi S, Chinoy R, Kelkar R, Kane S, Chauhan M, Kothai A, Kahate S, Fontanière B, Frappart L. p16INK4A overexpression is a useful marker for uterine cervix lesions]. Ann Biol Clin (Paris). 2010 Jul-Aug;68(4):409-14. 46. Quinlivan JA, Petersen RW, Gani L, Tan J. Demographic variables routinely collected at colposcopic examination do not predict who will default from conservative management of cervical intraepithelial neoplasia I. Aust N Z J Obstet Gynaecol. 2005 Feb;45(1):48-51 47. Dunn TS, Charnsangavej C, Wolf D. Are there predictors for failed expectant management of cervical intraepithelial neoplasia 1? J Reprod Med. 2008 Mar;53(3):213-6 48. Dunn TS, Charnsangavej C, Wolf D. Are there predictors for failed expectant management of cervical intraepithelial neoplasia 1? J Reprod Med. 2008 Mar;53(3):213-6 49. Syrjänen K. New concepts on risk factors of HPV and novel screening strategies for cervical cancer precursors. Eur J Gynaecol Oncol. 2008;29(3):205-21. 50. Syrjänen K, Kulmala SM, Shabalova I, Petrovichev N, Kozachenko V, Zakharova T, Pajanidi J, Podistov J, Chemeris G, Sozaeva L, Lipova E, Tsidaeva I, Ivanchenko O, Pshepurko A, Zakharenko S, Nerovjna R, Kljukina L, Erokhina O, Branovskaja M, Nikitina M, Grunjberga V, Grunjberg A, Juschenko A, Santopietro R, Cintorino M, Tosi P, Syrjänen S. Epidemiological, clinical and viral determinants of the increased prevalence of highrisk human papillomavirus (HPV) infections in elderly women. Eur J Gynaecol Oncol. 2008;29(2):114-22 51. Collins S, Rollason TP, Young LS, Woodman CB. Cigarette smoking is an independent risk factor for cervical intraepithelial neoplasia in young women: a longitudinal study. Eur J Cancer. 2010 Jan;46(2):405-11. 52. Guarisi R, Sarian LO, Hammes LS, Longatto-Filho A, Derchain SF, Roteli-Martins C, Naud P, Erzen M, Branca M, Tatti S, Costa S, Syrjänen S, Bragança JF, Syrjänen K. Smoking worsens the prognosis of mild abnormalities in cervical cytology. Acta Obstet Gynecol Scand. 2009;88(5):514-20. 53. Sarian LO, Hammes LS, Longatto-Filho A, Guarisi R, Derchain SF, Roteli-Martins C, Naud P, Erzen M, Branca M, Tatti S, de Matos JC, Gontijo R, Maeda MY, Lima T, Costa S, Syrjänen S, Syrjänen K. Increased risk of oncogenic human papillomavirus infections and incident high-grade cervical intraepithelial neoplasia among smokers: experience from the Latin American screening study. Sex Transm Dis. 2009 Apr;36(4):241-8. 54. Matsumoto K, Oki A, Furuta R, Maeda H, Yasugi T, Takatsuka N, Hirai Y, Mitsuhashi A, Fujii T, Iwasaka T, Yaegashi N, Watanabe Y, Nagai Y, Kitagawa T, Yoshikawa H; Japan HPV And Cervical Cancer (JHACC) Study Group. Tobacco smoking and regression of low-grade cervical abnormalities Cancer Sci. 2010 Sep;101(9):2065-73. doi: 10.1111/j.1349-7006.2010. 55. Strasak AM, Goebel G, Concin H, Pfeiffer RM, Brant LJ, Nagel G, Oberaigner W, Concin N, Diem G, Ruttmann E, Gruber-Moesenbacher U, Offner F, Pompella A, Pfeiffer KP, Ulmer H; VHM&PP Study Group. Prospective study of the association of serum gamma-glutamyltransferase with cervical intraepithelial neoplasia III and invasive cervical cancer. Cancer Res. 2010 May 1;70(9):3586-93. 56. Schlecht NF, Kulaga S, Robitaille J, Ferreira S, Santos M, Miyamura RA, Duarte-Franco E, Rohan TE, Ferenczy A, Villa LL, Franco EL. Persistent human papillomavirus infection as a predictor of cervical intraepithelial neoplasia. JAMA. 2001 Dec 26;286(24):3106-14. 57. Schiffman M, Kjaer SK. Chapter 2: Natural history of anogenital human papillomavirus infection and neoplasia. J Natl Cancer Inst Monogr. 2003;(31):14-9. 58. Moscicki AB, Schiffman M, Kjaer S, Villa LL. Chapter 5: Updating the natural history of HPV and anogenital cancer. Vaccine. 2006 Aug 31;24 Suppl 3:S3/42-51. 59. Koshiol J, Lindsay L, Pimenta JM, Poole C, Jenkins D, Smith JS. Persistent human papillomavirus infection and cervical neoplasia: a systematic review and metaanalysis. Am J Epidemiol. 2008 Jul 15;168(2):123-37. Epub 2008 May 15. 60. Koshiol J, Lindsay L, Pimenta JM, Poole C, Jenkins D, Smith JS. Persistent human papillomavirus infection and cervical neoplasia: a systematic review and metaanalysis. Am J Epidemiol. 2008 Jul 15;168(2):123-37. Epub 2008 May 15. Review. 61. Trottier H, Mahmud SM, Lindsay L, Jenkins D, Quint W, Wieting SL, Schuind A, Franco EL; GSK HPV-001 Vaccine Study Group. Persistence of an incident human papillomavirus infection and timing of cervical lesions in previously unexposed young women. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2009 Mar;18(3):854-62. 62. Bae J, Seo SS, Park YS, Dong SM, Kang S, Myung SK, Park SY. Natural history of persistent high-risk human papillomavirus infections in Korean women. Gynecol Oncol. 2009 Oct;115(1):75-80. 63. Trottier H, Mahmud SM, Lindsay L, Jenkins D, Quint W, Wieting SL, Schuind A, Franco EL; GSK HPV-001 Vaccine Study Group. Persistence of an incident human papillomavirus infection and timing of cervical lesions in previously unexposed young women. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2009 Mar;18(3):854-62. 64. Arbyn M, Martin-Hirsch P, Buntinx F, Van Ranst M, Paraskevaidis E, Dillner J. Triage of women with equivocal or low-grade cervical cytology results: a meta-analysis of the HPV test positivity rate. J Cell Mol Med. 2009 Apr;13(4):64859. 65. Guo YL, You K, Qiao J, Zhao YM, Liu CR, Geng L. Natural history of infections with high-risk HPV in Chinese women with abnormal cervical cytology findings at baseline. Int J Gynaecol Obstet. 2010 Aug;110(2):137-40. 66. Kjær SK, Frederiksen K, Munk C, Iftner T. Long-term absolute risk of cervical intraepithelial neoplasia grade 3 or worse following human papillomavirus infection: role of persistence. J Natl Cancer Inst. 2010 Oct 6;102(19):1478-88 19 20 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV Diagnostica g infettivologica g in gravidanza: quali protocolli A. Ciavattini, F. Mancioli, H. Frizzo, M.G. Piermartiri, L. Moriconi, A.L. Tranquilli Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed Odontostomatologiche Sezione Scienze della Salute della Donna Università Politecnica delle Marche La Colposcopia in Italia Anno XXIV – N. 1 pagg. 20 - 28 Introduzione L a gravidanza è una condizione fisiologica che induce nella gestante modificazioni degli organi genitali - organi bersaglio - nonché modificazioni endocrine e sistemiche aventi lo scopo di facilitare l’impianto dell’embrione ed il suo regolare accrescimento all’interno della cavità uterina per tutta la durata della gravidanza. Le infezioni sessualmente trasmesse (MST), virali e non, acquisite in gravidanza, possono avere ripercussioni sul feto o sul neonato determinando quadri clinici variabili. In particolare, la molteplicità delle interazioni tra difesa immunitaria materna notevolmente abbassata ed agente patogeno, la non completa conoscenza dei meccanismi patogenetici di alcune infezioni, le diverse modalità di trasmissione verticale ed il progressivo sviluppo del sistema immunitario fetale spiegano l’ampia varietà di manifestazioni dell’insulto infettivo. Se dal punto di vista della morbilità e mortalità perinatale il ruolo delle infezioni virali in gravidanza è prevalente rispetto a quello delle infezioni batteriche (6-8% dei nati vivi, di fronte al 2% di quelle batteriche), nel momento in cui parliamo d’incidenza e/o frequenza d’infezioni genitali in gravidanza, le infezioni batteriche sono nettamente superiori rispetto alle virali. L’affezione vaginale più comune in gravidanza è la vaginosi batterica (BV), seguita dalla candidosi vulvovaginale. Si ha quindi l’infezione da Streptococco Agalatiae, la tricomoniasi vaginale, l’infezione da Chlamydia Trachomatis (CT) e la Gonorrea; frequente è anche l’identificazione dei diversi Mycoplasmi. Tra le infezioni virali i patogeni maggiormente implicati sono l’Herpes Simplex Virus (HSV 1 e 2) e lo Human Papillomavirus (HPV). Non dobbiamo, tuttavia, dimenticare la Sifilide che negli ultimi anni sta tornando frequente anche alle nostre latitudini. Obiettivo del nostro lavoro è stato quello di cercare d’identificare, sulla base di evidenze di letteratura, quali fossero i protocolli di screening e diagnostici delle infezioni del basso tratto genitale in gravidanza. In tal senso, sono state prese come riferimento le linee guida dell’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG), del Center for Disease Control and Prevention (CDC), della Society of Obstetricians and Gynaecologists of Canada (SOGC), del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG), della US Preventive Services Task Force (USPSTF) e della Public Health Agency of Canada. =HNPUVZPIH[[LYPJH)= La vaginosi batterica (Bacterial Vaginosis, BV) è un’affezione del basso tratto genitale causata da uno sbilanciamento dell’ecosistema vaginale con abnorme crescita di batteri aerobi ed anaerobi (Gardnerella Vaginalis, Mycoplama Hominis, Bacteroides species, Peptostreptococcus species, Fusobacterium species, Prevotella species, Atopobium vaginae, Mobiluncus) a scapito dei lattobacilli con concomitante diminuzione della produzione di perossido di idrogeno. La BV rappresenta il 30% delle infezioni vaginali e, sebbene sia più frequente nelle donne sessualmente attive, la possibilità di una trasmissione sessuale non è chiara: infatti il trattamento del partner non comporta effetti benefici nella prevenzione delle recidive. La BV risulta asintomatica fino al 50% dei casi. Il quadro clinico, quando presente, è caratterizzato da perdite vaginali maleodoranti, soprattutto dopo i rapporti sessuali, leucorrea abbondante di colore bianco grigiastro, fluida, omogenea, a volte schiumosa, aderente alle pareti vaginali. Raramente si verifica dispareunia, disuria, prurito e bruciore. La BV si rileva nel 9-23 % delle donne in gravidanza, con SICPCV una maggiore prevalenza in gestanti di basso livello socioeconomico e in quelle aventi anamnesi ostetrica positiva per IUGR, parto pretermine e MST. La risoluzione spontanea della BV in gravidanza si attesta nel 50% dei casi. Tuttavia, durante la gestazione, essa sembra associarsi ad aborto tardivo, rottura prematura delle membrane, corioamnionite, parto pretermine, basso peso alla nascita, endometrite post-partum con una frequenza maggiore rispetto ai controlli. Alla base dell’insorgenza di queste complicazioni secondo alcuni starebbe la presenza di elevate concentrazioni di sialidasi di origine batterica, che faciliterebbe l’ascesa di microrganismi patogeni nelle vie genitali alte. Inoltre alcuni anaerobi sono capaci di produrre fosfolipasi A2, con attivazione della sintesi delle prostaglandine. Nella BV è stato descritto un aumento della concentrazione di endotossine batteriche, e quindi delle citochine, come l’IL 1, nel muco cervicale, con attivazione della sintesi di prostaglandine. Sulla base delle evidenze attuali, lo screening di routine sulle gravide asintomatiche non è raccomandato, in quanto il trattamento sembra non determinare una significativa riduzione del rischio di parto pretermine o di rottura prematura delle membrane. Ciò è quanto si deduce anche da una revisione Cochrane di 15 studi controllati randomizzati (RCT), comprendente 5888 donne. Nelle donne con anamnesi positiva per parto pretermine non vi è evidenza di efficacia nel prevenire il parto pretermine (OR 0.83, CI 0.59-1.17), mentre si riduce significativamente il rischio di rottura pretermine prematura delle membrane (OR 0.14, CI 0.05-0.38) e di neonato di basso peso (OR 0.31, CI 0.13-0.75). Nei 5 trials in cui il trattamento antibiotico era somministrato prima della 20a settimana di gestazione, si è registrata una differenza significativa nella frequenza di parti pretermine (<37 settimane) (OR 0.63, CI 0.48-0.84). In gravidanza i regimi di trattamento per la vaginosi batterica raccomandati dal Center for Disease Control and Prevention (CDC) sono il Metronidazolo orale (250 mg x 3 volte al di per 7 gg) o topico (gel 0.75% intravaginale 5 g /die per 5 gg) e la Clindamicina orale (300 mg x 2 volte al di per 7 gg) o topica (ovuli 100 mg /die x 3 gg, crema 2% 5 g /die per 7 gg). Tutte le donne gravide sintomatiche devono essere trattate. Il trattamento sia orale che topico vaginale sembra essere ugualmente efficace con risoluzione della BV nel 70% dei casi, ma non è nota l’efficacia nel prevenire il parto pretermine. Il trattamento tardivo nel terzo trimestre non sarebbe efficace sugli eventi avversi della gravidanza. Studi clinici condotti per stabilire se il trattamento della vaginosi batterica nelle gravide asintomatiche può diminuire la percentuale degli eventi avversi hanno dato risultati contrastanti. Nelle gestanti ad alto rischio (donne con pregresso parto pretermine), è raccomandato CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia lo screening per la BV in occasione della prima visita prenatale nel primo trimestre, con un esame microscopico del secreto vaginale e un trattamento della BV prima della 16a settimana di gestazione, anche se la donna è asintomatica. La diagnosi di vaginosi batterica e la successiva terapia possano infatti diminuire il rischio di PROM e di parto pretermine. Non sono stati dimostrati effetti teratogeni sul feto per il metronidazolo; l’uso della clindamicina in crema è stato associato ad eventi avversi nella seconda metà della gravidanza. 0UMLaPVULKHZ[YLW[VJVJJVHNHSHJ[PHL:). Lo Streptococcus Agalactiae (Streptococco di gruppo B - SGB) è un batterio gram positivo appartenente al genere Streptococco, caratterizzato dalla presenza di antigeni B sulla parete cellulare. È un comune patogeno della flora batterica dell’intestino e delle vie urogenitali femminili dei mammiferi, uomo compreso. L’SBG è un battere β-emolitico poiché causa emolisi completa (β-emolisi) nelle colture quando viene coltivato su uno strato di agar contenente sangue. Lo S. Agalactiae provoca il 15% delle vaginiti aerobie; gli altri agenti eziologici sono Escherichia coli (38%), Streptococco faecalis (31%), Proteus (8%), Klebsiella (6%). La vaginite aerobia rappresenta il 10% delle vaginiti diagnosticate ed è caratterizzata da diminuzione dei lattobacilli e da aumento di batteri aerobi d’origine intestinale con presenza di importanti segni di flogosi, di leucociti e pH > 5. Lo SBG è inoltre l’agente patogeno principale di infezioni neonatali invasive nei paesi industrializzati, causando sepsi, polmonite, meningite, osteomielite, e le infezioni dei tessuti molli. Il 2,3-28% delle donne gravide presenta infezione da SGB a livello rettale e/o vaginale; esse in genere sono asintomatiche. La prevalenza della colonizzazione con SGB è strettamente associata allo status socioeconomico della donna, ed è simile sia in stato di gravidanza che non. Alla nascita, il 40-70% dei neonati figli di donne colonizzate riceve il microorganismo dalla madre, ma solamente l’1-2% di queste partorirà bambini con malattia clinicamente evidente, mentre nel 40-70% dei casi il neonato presenterà un’ infezione asintomatica. L’ infezione da SGB nel neonato viene acquisita nella maggior parte dei casi in seguito a trasmissione verticale, soprattutto in prossimità del parto, per infezione ascendente in utero attraverso le membrane amniotiche rotte oppure durante il passaggio lungo il canale del parto per contaminazione con secrezioni infette. Fattori legati al parto, quali prematurità, rottura prolungata delle membrane amniotiche, travaglio prolungato, endometrite-corioamnionite materna, possano incrementare il tasso di colonizzazione neonatale e il rischio di malattia da SGB ad esordio precoce. La trasmissione 21 22 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV orizzontale dell’infezione da SGB, sebbene meno frequente, è un’eventualità possibile. L’ infezione da SGB può avere esordio precoce o tardivo, con un’incidenza di 0.5-4 per 1000 nati vivi per la forma precoce e di 0,5-1,8 per 1000 per la forma tardiva. L’infezione ad esordio precoce (entro 7 giorni dal parto) si può manifestare in molteplici forme: nel 35-55% dei casi come polmonite, come sepsi perinatale severa (25-40% dei casi), come distress respiratorio o come meningite (5-15% dei casi, con una mortalità del 5-20%). L’esordio della malattia può verificarsi alla nascita, soprattutto nei nati prematuri; in media i primi sintomi compaiono entro le prime 20 ore di vita. L’ infezione da SGB ad esordio tardivo si manifesta con febbre, cellulite, osteomielite e nel 35% dei casi come meningite, con una mortalità dello 0-6%. In genere i sintomi possono comparire a partire dal settimo giorno al terzo mese di vita. L’ isolamento dello SGB avviene mediante prelievo colturale, in seguito a tamponi cervico-vaginali e rettali completi cui deve sottoporsi la gravida attorno alla 35a37a settimana di gestazione. La chemioprofilassi costituisce al momento attuale il metodo utilizzato per prevenire la trasmissione materno-fetale dell’infezione da SGB. Nel 2002, CDC, the American College of Obstetricians and Gynecologists e the American Academy of Pediatrics hanno pubblicato delle linee guida per la prevenzione della malattia neonatale da SGB ad esordio precoce; queste, oltre ad indicare lo screening universale mediante tamponi cervico-vaginali e rettali completi su tutte le donne in gravidanza tra la 35esima e la 37esima settimana di gestazione, raccomandano la somministrazione antibiotica intrapartum di quelle gravide risultate positive al test. La prevenzione attiva contro tale infezione è iniziata nel 1990, e ad oggi negli Stati Uniti si registra un calo pari all’80% dell’infezione ad esordio precoce, che attualmente ha un’incidenza di 0.2-0.5 casi per mille (con calo di mortalità al 5-6%). Non si è invece modificata né l’incidenza né la mortalità delle forme tardive che sono dovute per lo più ad una trasmissione orizzontale (nosocomiale o comunitaria) e non ad una trasmissione verticale intra-partum materno-fetale come nel caso delle forme precoci di malattia. I protocolli di profilassi antibiotica intra-partum raccomandano l’utilizzo di penicillina G, 3 gr in bolo seguiti da 1.5 gr ogni 4 ore sino al parto, in alternativa, di ampicillina 2 gr e.v. seguiti da 1 gr e.v. ogni 4 ore fino al parto. In caso di allergia alle penicilline, nelle donne con basso rischio di reazione anafilattica si raccomanda l’uso di cefazolina 2 gr e.v. seguiti da 1 gr e.v. ogni 8 ore fino al parto. Nelle donne con alto rischio di reazione anafilattica, invece, è raccomandata la somministrazione di clindamicina 900 mg e.v. ogni 8 ore fino al parto o eritromicina 500 mg e.v. ogni 6 ore fino al parto. In alternativa, nelle donne intolleranti alla clindamicina o eritromicina, viene raccomandato l’utilizzo di vancomicina 1 gr e.v. ogni 12 ore fino al parto. A lungo si è sostenuto che lavaggi vaginali con clorexidina potessero diminuire la positività della madre verso l’infezione da S. Agalactie, ma attualmente non vi è evidenza che l’uso della clorexidina intrapartum sia vantaggioso nella prevenzione di esiti avversi materni e fetali legati a tale infezione. In genere, non viene segnalato alcun beneficio dal trattamento antibiotico in gravidanza; unica eccezione è costituita dalla presenza di una colonizzazione delle vie urinarie, indice di elevata carica batterica e possibile causa di serie complicanze. 0UMLaPVULKHJHUKPKH La candidiasi vulvo-vaginale (VVC), insieme alle vaginosi batteriche, rappresenta la causa più comune di vulvovaginite: colpisce 3 donne su 4 nell’arco della vita. Nel 40-50 % dei casi si verifica un secondo episodio e nel 5% si sviluppano forme di vulvovaginiti recidivanti. La Candida Albicans, responsabile dell’80–90% delle infezioni micotiche, è un saprofita del tubo digerente e della cavità buccale ed è presente in vagina nel 10–20% delle donne asintomatiche. Il 5–15% delle infezioni vaginali micotiche può essere sostenuto da specie nonAlbicans come la Candida Glabrata, Tropicalis, Krusei e Parapsilosis. Il contagio avviene per via sessuale oppure attraverso biancheria intima infetta, servizi igienici non puliti, sabbia della spiaggia o per autoinfezione (le feci contengono spesso tale micete). Le manifestazioni cliniche tipiche sono rappresentate da prurito e leucorrea caseosa, a volte associate a bruciore o edema vulvare, disuria, dispareunia, stranguria con periodo di recrudescenza pre o post mestruale. La donna in gravidanza è maggiormente soggetta a sviluppare infezioni micotiche, favorite dall’incremento dei livelli estrogenici e di glicogeno a livello delle secrezioni vaginali. Ad oggi non vi sono evidenze che la VVC abbia un effetto negativo sull’andamento della gravidanza e sul feto. Secondo una recente review della Cochrane, pertanto, la VVC non dovrebbe essere sottoposta a screening. Tuttavia Donders et al. in uno studio del 2009 attesta un’aumentata incidenza di parto pretermine nelle donne con dismicrobismo vaginale (vaginosi anaerobie e aerobie) nel primo trimestre, ed, a sua volta, tale condizione rappresenterebbe un fattore di rischio per lo sviluppo di candidosi. La gestione di questa infezione in gravidanza varia in base all’entità della sintomatologia, essendo il trattamento limitato alle sole gestanti sintomatiche. La terapia topica con farmaci azolici somministrata per 7-14 giorni è l’unica terapia raccomandata in gravidanza, grazie al minimo assorbimento sistemico ed all’accertata non teratogenicità sull’animale e sull’uomo; la sommini- CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV strazione settimanale si associa ad una percentuale di remissione del 90%. Al contrario, il fluconazolo per via orale non è raccomandato a causa della potenziale teratogenicità; diversi case report segnalano un’associazione tra uso sistemico del fluconazolo e malformazioni fetali maggiori. Più recentemente, Norgaard et al. nel 2008 non ha riscontrato alcun effetto avverso per somministrazioni brevi di fluconazolo alla dose di 150 mg. 0UMLaPVULKH*OSHT`KPH[YHJOVTH[PZ*; L’infezione da Chlamydia Trachomatis (CT) è una tra le più comuni malattie sessualmente trasmesse, con circa 92 milioni di nuove infezioni all’anno nel mondo. Uomini e donne sessualmente attivi possono essere esposti inconsapevolmente al patogeno attraverso contatti sessuali con persone infette, ma la trasmissione può anche essere verticale, con conseguente insorgenza di congiuntivite e di polmonite nei neonati. Il rischio di trasmissione da madre a feto durante il parto è pari al 50%, con possibile sviluppo d’infezione oculare nel 2050% dei casi e d’infezione delle vie aeree o polmonite nel 10-20% dei casi. L’infezione può comunque avvenire anche in corso di taglio cesareo a membrane integre. Il riscontro d’infezione da CT è particolarmente frequente tra le giovani donne sessualmente attive ed in gravidanza, periodo nel quale l’incidenza stimata oscilla tra il 2 e il 13%. La sede primaria dell’infezione è la cervice uterina, dove nel 20-30% dei casi si ha un’infezione cronica paucisintomatica o asintomatica. Dalla cervice il microrganismo può diffondere ad endometrio ed annessi, provocando complicanze e sequele anche irreversibili. L’infezione in gravidanza si associa a rischio aumentato di endometrite post partum, ritardo di crescita intrauterina (OR 2,5), di rottura prematura delle membrane e parto pretermine (OR 1,6). L’infezione non trattata si associa a basso peso alla nascita e morte neonatale. Dati epidemiologici hanno indotto l’avvio di protocolli di screening per contenere la diffusione dell’infezione in paesi quali Stati Uniti e Regno Unito; diversa è la situazione per l’Italia in cui non è ancora stato predisposto un piano di monitoraggio. Evidenze sembrano attestare l’efficacia di uno screening in gravidanze asintomatiche per ridurre l’incidenza di complicanze. A tale riguardo tuttavia servono ulteriori studi per definire il programma diagnostico ed i costi: effettuare il test nel primo trimestre di gravidanza potrebbe ridurre il rischio di parto prematuro; farlo nel terzo trimestre potrebbe prevenire la trasmissione dell’infezione al neonato. Le raccomandazioni sull’argomento differiscono; alcune agenzie pubbliche o società scientifiche consigliano lo screening nel primo trimestre per tutte le gravide, altre solamente per le donne a rischio d’infezione (ad esempio di età < 25 anni). Comunque nelle gestanti risultate positive allo screening per infezione a livello cervicale già trattate, è consigliabile eseguire dei controlli seriati fino al termine della gravidanza per l’elevato rischio di recidiva e di reinfezione. In termini di terapia, una recente review del 2009 ha valutata l’efficacia terapeutica, in termini di eliminazione di malattia e di riduzione degli effetti avversi, di alcuni antibiotici in gravidanza. Com’è noto, le tetracicline sono controindicate durante la gestazione poiché nel neonato causano anomalie ossee e dentali; l’eritromicina ha compliance inferiore dell’amoxicillina a causa dei suoi effetti indesiderati gastrointestinali. Nel caso in cui questi farmaci non siano tollerati o controindicati, valide alternative sono rappresentate dalla clindamicina e dall’azitromicina. Tuttavia in nessuno degli 11 trials valutati è stata analizzata la riduzione delle infezioni polmonari ed oculari nel neonato. Gli schemi terapeutici raccomandati prevedono l’assunzione di eritromicina 500 mg quattro volte al giorno per sette giorni; di amoxicillina 500 mg tre volte al giorno per sette giorni; di azitromicina 1 gr per via orale in monosomministrazione. Quest’ultimo antibiotico è considerato sicuro, efficace e di prima scelta tranne che in Gran Bretagna, dove non è registrato per tale utilizzo. Per verificare l’efficacia della cura, è indicata la ripetizione del test a distanza di almeno tre settimane dall’inizio della terapia (cinque settimane in caso di terapia con eritromicina), per evitare falsi positivi. Il trattamento e follow-up anche del partner viene raccomandato per assicurare la guarigione. L’astinenza e l’utilizzo del preservativo durante il trattamento e fino al test di followup negativo è raccomandato. Il Taglio Cesareo elettivo in una donna a termine di gravidanza con infezione attiva non trattata da Chlamydia non risulta raccomandato. 0UMLaPVULKHNVUVJVJJV La Neisseria gonorrhoeae è un diplococco gram-negativo che si trasmette sessualmente per contatto diretto delle mucose interessate. Esso ha tropismo per uretra, cervice, retto, faringe ed occhi. A livello dei genitali femminili, oltre alla cervice uterina, infetta anche dotti di Skene e Ghiandole del Bartolino. Una complicanza frequente è la salpingite. L’incidenza è maggiore tra i 20 e i 24 anni, con picchi tra i 15 e i 19 anni. I fattori di rischio includono il precoce inizio dell’attività sessuale, il numero dei partner e l’abuso di droghe. L’infezione può essere trasmessa dalla madre al neonato durante il passaggio di questo nel canale del parto, con interessamento oftalmico oppure orofaringeo, fino a forme sistemiche con batteriemia, artrite, meningite o endocardite. Nel neonato partorito da una donna con diagnosi di rottura delle membrane con infezione co- 23 24 SICPCV nosciuta da Gonococco è necessario iniziare subito la terapia medica. Attualmente tutti i neonati sono sottoposti alla profilassi di Credè entro un’ora dalla nascita, con l’instillazione nel sacco congiuntivale inferiore di soluzione acquosa di Nitrato di Argento all’1% o di eritrocina in collirio. Lo screening in gravidanza è raccomandato da alcuni durante la prima visita prenatale, in tutte le donne o solamente in quelle a rischio (donne con più partner sessuali, con pregressi episodi di gonorrea o provenienti da aree con alta prevalenza della malattia), da ripetere eventualmente nel terzo trimestre permanendo le condizioni di rischio. Per il trattamento è raccomandato l’utilizzo di cefalosporine ad ampio spettro di terza generazione (ceftriaxone 125 mg intramuscolo in singola dose oppure cefixime 400 mg per via orale in singola dose). In alternativa è raccomandato l’utilizzo di spectinomicina alla dose di 2 gr intramuscolo in singola dose (utile in caso di intolleranza alle cefalosporine), di amoxicillina 3 g o ampicillina 2 o 3 g più probenecid 1 g per via orale, in singola dose, utilizzabile nelle regioni in cui la resistenza al farmaco è < 5%, o di altre cefalosporine efficaci quali cefoxitina 2 g, cefotaxime 500 mg, ceftizoxime 500 mg, tutte somministrabili IM in singola dose. Poiché l’infezione da gonorrea è spesso associata a quella da Chlamydia, è consigliabile indagare ed eventualmente trattare tale coinfezione con i regimi terapeutici raccomandati precedentemente. Nella donne in gravidanza un test di conferma per la negativizzazione dell’infezione è raccomandato. Tutti i partner delle pazienti con infezione da Neisseria Gonorroeae devono essere valutati e trattati sia per infezione da gonorrea che da Chlamydia. Si raccomanda l’astensione dai rapporti sessuali fino al completamento del trattamento della coppia. In gravidanza, si raccomanda un test di conferma di negativizzazione dell’infezione per ambedue i partner. 0UMLaPVULKH/LYWLZ:PTWSL_=PY\Z/:= L’Herpes genitale è causato in circa l’80-90% dei casi dall’HSV-2 e nel 10-20% dei casi dall’HSV-1. L’HSV-2 si trasmette prevalentemente per via sessuale, con una sieroprevalenza nella popolazione generale mondiale che varia dal 6 al 30%, percentuale che aumenta nei gruppi a rischio, quali sesso femminile, elevato numero di partner sessuali, basso livello socio-economico, scarsa igiene, omosessualità e infezione da HIV. La frequenza di acquisizione dell’HSV in gravidanza è circa del 2%, con un rischio relativamente costante durante tutta la durata della gestazione. Circa il 10% delle donne HSV-2 sieronegative hanno partner sieropositivi e, quindi, sono a rischio di contrarre l’infezione nel corso della gestazione. Tra le donne con Herpes ricorrente, il 75% può presentare almeno una ricorrenza durante CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia la gravidanza e il 14% può avere la comparsa di sintomi prodromici o di ricorrenza clinica al momento del parto. L’infezione erpetica genitale nelle donne in gravidanza è asintomatica in più del 75% dei casi. In assenza di sintomi specifici la diagnosi è sierologia. L’infezione sintomatica, associata a dolore e disuria, si caratterizza per la presenza di vescicole vulvari, vaginali e cervicali che divengono ulcere, croste per poi proseguire la completa restituzione ad integrum in circa 3 settimane, in assenza di terapia; si possono osservare linfoadenopatia inguinale e sintomi sistemici quali malessere, mialgia e febbre. La coltura virale e la PCR sono diagnostici con una specificità del 100% ed una sensibilità del 70%. Le vie di trasmissione dell’infezione materna al feto o al neonato sono la via ematogena transplacentare (rara), la via ascendente favorita dalla rottura delle membrane prima del travaglio di parto, ed il contatto diretto con le mucose materne infette sia in presenza di lesioni clinicamente visibili che in corso di escrezione virale asintomatica. Circa 80% dei neonati infetti sono nati da madri senza storia di infezione da HSV. La trasmissione dell’infezione al feto è in funzione dell’età gestazionale: se l’infezione primaria genitale viene contratta entro la 20° settimana di gestazione, il 25% delle gravidanze esita in aborto. Nel II e III trimestre l’infezione aumenta il rischio di parto pretermine, di IUGR e di trasmissione del virus al feto (specie nelle ultime 6 settimane dal parto, con rischio di infezione neonatale pari al 57%), determinando complicanze quali microcefalia ed epatosplenomegalia. La più frequente modalità di trasmissione è quella intra-partum (80-90% dei casi); nonostante ciò in assenza di lesioni in atto al parto il rischio di infezione neonatale è dello 0.04%. L’infezione neonatale si manifesta tra il 5° ed il 17° giorno di vita e tende a generalizzarsi nel 75% dei casi con interessamento poliviscerale, del SNC ed emorragie diffuse; il tasso di mortalità sfiora il 70%. Nei bambini che sopravvivono all’infezione sistemica possono esitare gravi lesioni neurologiche ed oftalmiche permanenti. Quando invece l’infezione è limitata alla cute ed alle mucose, la mortalità è molto bassa e la guarigione spesso è completa e senza esiti. Il rischio di trasmissione è molto basso in caso d’infezione ricorrente anche in presenza di lesioni al momento del parto (0.25-3%). In caso d’infezione primaria acquisita nella prima fase della gravidanza, è opportuno eseguire esami colturali sulle secrezioni genitali a partire dalla 32° settimana; se due colture consecutive risultano negative e non ci sono lesioni genitali evidenti, è possibile l’espletamento del parto per via vaginale, al contrario nel caso in cui un esame colturale risultasse positivo è indicata la profilassi con acyclovir. In tutte le gravide con infezione ricorrente oppure con anamnesi positiva per esposizione virale, ai fini preventivi l’American College SICPCV of Obstetricians and Gynaecologists raccomanda l’esecuzione settimanale, a partire dalla 36esima settimana, dell’esame colturale del secreto cervico-vaginale. In caso di positività del test è necessario ricorrere al taglio cesareo, così come nei casi con lesioni evidenti in atto. Nel caso di rottura delle membrane, in presenza di lesioni erpetiche evidenti, il taglio cesareo va effettuato entro quattro ore dal momento dell’avvenuta rottura, in quanto il rischio di contagio fetale, in questi casi, è del 41%. In caso di parto vaginale inarrestabile, il trattamento materno-fetale con acyclovir è opportuno. L’acyclovir è il farmaco di elezione nella terapia dell’Herpes Simplex, sia nelle forme di infezione primaria (400 mg per os 3 volte al giorno x 7-10 gg) che in quelle d’infezione ricorrente e può essere somministrato per via orale, in vena e come topico; è ben tollerato in gravidanza e non esistono evidenze di tossicità materna o fetale. L’acyclovir nelle ultime 4 settimane di gestazione viene indicato per tutte le donne che presentano un primo episodio di herpes genitale in gravidanza poiché riduce la durata e la severità dei sintomi e la durata della viremia. Il trattamento parenterale è indicato solo nei casi di grave infezione primaria in gravidanza; nei casi di ricorrenza il trattamento orale è sufficiente alla dose di 400 mg per 3 volte al giorno per circa 5 giorni; le linee guida della Society of Obstetricians and Gynecologist of Canada consigliano tali dosaggi a partire dalla 36° settimana fino all’espletamento del parto. Le misure da adottare per evitare l’acquisizione dell’infezione durante l’ultimo periodo della gravidanza consistono, in caso di gestanti con partner affetto da HSV, nell’utilizzo di metodi di prevenzione (astensione dai rapporti, uso del profilattico). 0UMLaPVULKHO\THUWHWPSSVTH]PY\Z/7= L’infezione da HPV è la più frequente malattia virale trasmessa per contagio sessuale; la sua prevalenza oscilla tra il 20% ed il 46% nelle diverse nazioni. Si calcola che circa il 75% della popolazione sessualmente attiva si infetti nel corso della vita da 1 o più genotipi virali, con un picco di incidenza dell’infezione tra i 20-25 anni di età. L’infezione da HPV è causa di lesioni benigne, quali la condilomatosi ano-genitale e lesioni intraepiteliali preinvasive (CIN), precursori del cervicocarcinoma. L’incidenza dell’infezione genitale da HPV nella popolazione di donne gravide è pari al 13%, con percentuali sovrapponibili a quelle osservate in una popolazione di confronto non gravida. La prevalenza dell’HPV varia dallo 0,5 al 3% ed è probabilmente sottostimata come per la popolazione generale. Il motivo per cui l’infezione da HPV sembra prevalere nella gestante sta nel fatto che la gravidanza rappresenta un momento fisiologico di più vivace replicazione virale, attivata sia dallo stato di immuno-depressione T-mediato, che da una diretta influenza CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia esercitata prevalentemente dal progesterone sugli elementi regolatori del DNA virale; si ha inoltre un aumento della carica virale indipendentemente dal numero di cellule infettate. La gravidanza, pertanto, si associa ad un maggiore rischio di progressione delle lesioni produttive virali, con incremento delle dimensioni dei condilomi, che crescono in numero e modificano la loro morfologia con tendenza alla frammentazione ed al sanguinamento soprattutto in caso di lesioni grandi. Al contrario, le lesioni displastiche di cervice e vagina, legate ai sottotipi virali oncogeni, non subiscono in gravidanza variazioni significative nell’ambito della loro storia naturale. La presenza di condilomi ano-genitali esterni o interni implica la ricerca di lesioni displastiche o neoplastiche a livello del collo dell’utero, della vulva, della vagina e dell’ano al di fuori dello stato di gravidanza così come in gravidanza; vi è infatti una frequente associazione (circa del 30%) tra gli HPV di tipo 6, 11 e 42 responsabili dei condilomi acuminati e gli HPV di tipo 16 e 18 ad alto potere oncogeno. La trasmissione dell’infezione virale al neonato avviene durante il transito nel canale del parto o dopo la rottura prematura delle membrane. Nel neonato l’infezione da HPV, generalmente causata dai tipi 6 e 11, può provocare la papillomatosi respiratoria ricorrente (recurrent respiratory papillomatosis) o la papillomatosi laringea giovanile (juvenile laryngeal papillomatosis) che in genere si manifesta entro il quinto anno di età. Questa patologia, a differenza della papillomatosi respiratoria dell’adulto, risulta molto aggressiva e di difficile risoluzione. L’incidenza della papillomatosi laringea giovanile è di circa 1 su 1500 nati vivi. L’approccio terapeutico alla lesione condilomatosa viene sostanzialmente stabilito in base alle caratteristiche cliniche e morfovolumetriche della stessa. Le lesioni asintomatiche non richiedono alcuna modificazione della condotta ostetrica né alcun trattamento; si procede con una rivalutazione clinico-diagnostica dopo l’espletamento del parto che avviene per via vaginale. Durante il I e II trimestre è consigliato intervenire solo su lesioni di piccole e medie dimensioni, con tecniche escissionali o distruttive. Nell’approccio terapeutico è sconsigliato sia l’uso di sostanze caustiche (podofillina), sia citostatiche (5-fluorouracile). L’uso dell’imiquimod non è raccomandato in gravidanza, sebbene studi su piccoli numeri abbiano mostrato la sua efficacia senza rischi per la madre ed il feto. Nel III trimestre, il trattamento è limitato a condilomatosi di medie dimensioni per le quali il trattamento potrebbe consentire un parto vaginale; per condilomatosi piccola e piana, si preferisce un atteggiamento di attesa, posticipando il trattamento a dopo l’espletamento del parto per via vaginale. In presenza di una condilomatosi vulvo-vaginale gigante è indicato il taglio cesareo per ridurre il rischio di distocie meccaniche al momento della fase espulsiva del 25 26 SICPCV parto e la trasmissione, seppur rara, dell’infezione virale in forma di papillomatosi respiratoria del neonato. In caso di condilomasi cervicale e del fornice, piccola e piana, è indicato un atteggiamento di attesa, posticipando il trattamento a dopo l’espletamento del parto. Secondo le linee guida della SICPCV 2006, in caso di CIN di qualsiasi grado in gravidanza non è indicato alcun trattamento, che viene procrastinato 6-12 settimane dopo l’espletamento del parto. Questa condotta di attesa caratterizzata da controlli seriati citologici e colposcopici è giustificata dal fatto che la gravidanza non modifica in alcun modo la storia naturale della lesione. Pertanto in presenza di un referto citologico anormale in gravidanza è raccomandata l’esecuzione della colposcopia con eventuale biopsia mirata al fine di escludere una eventuale infiltrazione. La sola indicazione alla conizzazione, da espletare entro la 16a settimana, è il sospetto di carcinoma invasivo preclinico. :PÄSPKL La sifilide, causata dal Treponema pallidum, è una delle malattie sessualmente trasmesse più comuni. Dopo aver raggiunto il tasso dello 0.4-0.6/100000 dal 1994 al 2000, si è assistito ad un aumento della sua prevalenza fino ad un 4/100000 nel 2008. La madre può trasmettere la sifilide al feto per via transplacentare o durante il passaggio nel canale del parto mediante il contatto del feto con le lesioni genitali; la trasmissione al neonato durante l’allattamento, si verifica solo nel caso in cui vi siano delle lesioni a livello mammario. Contrariamente a quello che si pensava in passato, Nathan et al. hanno dimostrato che il Treponema pallidum può accedere nel compartimento fetale a partire dalle 9-10 settimane di gestazione. Il rischio di trasmissione materno-fetale in caso di mancato trattamento è del 70-100% nel caso d’infezione primaria o secondaria, del 40% nel caso di sifilide latente precoce e del 10% nello stadio latente tardivo. Le possibili conseguenze del mancato trattamento della sifilide in gravidanza sono l’aborto spontaneo, il parto pretermine, il basso peso alla nascita, la rottura prematura delle membrane amniocoriali, la morte endouterina fetale, l’idrope fetale non immune, la restrizione della crescita fetale, la morte perinatale e le sequele severe nei neonati con sifilide congenita. È quindi molto importante la precoce identificazione ed il successivo trattamento di questa infezione; per questo, è raccomandato lo screening di routine nel I trimestre. Nelle aree ad alta prevalenza di sifilide o in donne ad alto rischio di acquisizione della sifilide, lo screening andrebbe ripetuto a 28-32 settimane di gestazione ed al termine della gravidanza. La diagnosi di sifilide può essere fatta mediante sierologia o esami CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia diretti. I test sierologici sono suddivisi in non treponemici (VDRL: reazione di microflocculazione e RPR: reazione di macroflocculazione) e treponemici (FTAABS: test di immunofluorescenza indiretta; MHA-TP: test di emoagglutinazione; EIA/CIA: immunoassays per identificare gli anticorpi IgG e/o IgM ed il test syphilis INNO-LIA, un recente test di immunoassay). I test non treponemici diventano reattivi dopo 4-8 settimane dall’acquisizione dell’infezione ed hanno una sensibilità del 60-90%. Il test FTA-ABS ha una sensibilità dell’85-100% in tutti gli stadi della malattia, mentre il test MHA-TP è meno sensibile (60-85%) nell’infezione primaria. Lo screening si effettua con un test non treponemico che, se reattivo, viene confermato con un test treponemico in quanto nel 50% dei casi vi possono essere dei falsi positivi. Tuttavia, nei pazienti con sospetta sifilide primaria o latente tardiva, in cui il test non treponemico può risultare non reattivo, è appropriato aggiungere un test treponemico allo screening iniziale o, in caso di sospetta sifilide primaria, ripetere il test non treponemico dopo 2-4 settimane. La maggior parte delle donne in gravidanza non ha segni o sintomi di sifilide per cui viene usata la sierologia per fare diagnosi. Dal momento che la comparsa del sifiloma precede anche di una settimana la conversione sierologica, in sua presenza si può fare diagnosi più precocemente mediante l’identificazione al microscopio del Treponema nell’essudato delle lesioni (sensibilità 74-86% e specificità 97%). Il microscopio viene usato anche per la ricerca della spirocheta nel liquido amniotico. Un’alternativa al microscopio è l’immunofluorescenza (DFA-TP) che è più sensibile e specifica del test precedente, ma è più costosa. La negatività di questi due esami diretti non esclude l’infezione in quanto l’esito dell’esame può essere falsato da diversi fattori tra cui il precedente uso di antibiotici. La diagnosi prenatale d’infezione fetale si può fare mediante il riscontro della presenza di anticorpi IgM nella circolazione fetale. I segni ecografici della sifilide fetale sono l’idrope fetale, l’epatosplenomegalia, l’ipertrofia placentare, le ostruzioni gastrointestinali e la dilatazione del piccolo intestino. In presenza di tali segni aumenta il rischio di fallimento del trattamento fetale. Nelle donne con sifilide il Doppler delle arterie uterine ed ombelicali mostra un aumento statisticamente significativo del rapporto sisto/diastolico dovuto all’aumento delle resistenze vascolari a livello placentare probabilmente secondario alla presenza di aree focali di vasculite, arterite obliterativa ed infiammazione a livello dei villi placentari. Il trattamento in gravidanza andrebbe iniziato subito in tutte le donne risultate positive ai test non treponemici o treponemici a meno che non si abbia la certezza che quel risultato sia un falso positivo. Il trattamen- CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV to si effettua con penicillina G-benzatina 2.4 milioni di unità, i.m.; la terapia in gravidanza varia in base allo stadio della sifilide materna. Circa il 5-10% delle donne con sifilide in gravidanza riporta una storia di allergia alla penicillina; in tali donne si attua una desensibilizzazione per poter effettuare il trattamento con la penicillina dal momento che non esiste una valida alternativa a tale antibiotico. Per valutare l’adeguatezza della terapia si usano i test sierologici. Il CDC definisce la risposta terapeutica adeguata se il titolo anticorpale diminuisce di almeno quattro volte in pazienti con sifilide precoce o rimane stabile o diminuisce di meno di un quarto negli altri pazienti. La maggior parte delle donne trattate partorirà prima che si sia assestata la risposta sierologica al trattamento. Nel 45% delle donne dopo trattamento per la sifilide precoce si ha la reazione di Jarisch-Herxheimer caratterizzata da febbre, mialgia, ipotensione, tachicardia ed accentuazione transitoria delle lesioni cutanee, con risoluzione entro 24-36 ore. Tale reazione, dovuta al rilascio di lipopro- teine del Treponema pallidum che possiedono un’attività infiammatoria, può causare le contrazioni uterine ed il parto tramite, un meccanismo mediato dalle prostaglandine. Durante tale episodio il feto è tachicardico, può mostrare decelerazioni al CTG e diminuisce la sua attività. Quando si ha tale reazione, la madre va idratata, le va dato un supplemento di ossigeno, antipiretici ed è indicato un monitoraggio continuo del battito cardiaco fetale (CTG). Nonostante il trattamento con la penicillina, nel 14% si ha morte fetale o neonato con sifilide congenita. Un secondo trattamento in gravidanza non è necessario a meno che non vi sia evidenza clinica o sierologica di una nuova infezione o di una risposta inadeguata al trattamento o un recente rapporto sessuale con una persona affetta da sifilide. Per il follow-up si usano i test non treponemici che dovrebbero essere ripetuti fino a che non si negativizzano o raggiungono stabilmente un titolo basso. La cadenza con cui vanno effettuati tali test in gravidanza varia in base allo stadio dell’infezione. Riferimenti bibliografici • Center for Disease and Control and Prevention. Sexually transmitted diseases treatment guidelines 2006. MMWR 2006; 55(RR11):1-94. • McDonald H, et al. Antibiotics for treating bacterial vaginosis in pregnancy. The Cochrane Database of Systematic Reviews 2007, Issue 1. • British Association for Sexual Health and HIV and the Clinical Effectiveness Group. Revised National Guideline for the management of bacterial vaginosis. London: ASHH; 2006. • Boselli F. Infezioni sessualmente trasmesse, Poligrafico Artioli SpA Editore, Modena 2001 • De Seta F, Sartore A. et al. Bacterial vaginosis and preterm delivery: an open question. J Reprod Med 50: 313-8, 2005. • Short V.L., Jensen J.S., Nelson D.B. et al: Mycoplasma genitalium among Young, Urban Pregnant Women. Infectious Diseases in Obstetrics and Gynecology. Volume 2010 • Gerber S, Vial Y et al. Detection of Ureaplasma urealyticum in second-trimester amniotic fluid by polymerase chain reaction correlates with subsequent preterm labo rand delivery. J Infect Dis. 187:518-21, 2003 • Guerra B, Ghi T et al. Pregnancy outcome after early detection of bacterial vaginosis. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol. Feb. 2, 2006. • Guerra B, Infante F , Vaginiti e Vaginosi, a cura di D. De Aloysio, Vigrafica s.r.l. Monza, 2004 • Menezes, Yakoob, Soomro et al: Reducing stillbirths: prevention and management of medical disorders and infections during pregnancy BMC Pregnancy and Childbirth 2009, 9(Suppl 1):S4 • J. F. Bohnsack, A. A. Whiting, G. Martinez et al: Serotype III Streptococcus agalactiae from Bovine Milk and Human Neonatal Infection. Emerging Infectious Diseases • www. cdc.gov/eid. g Vol 10, No 8, August 2004. • CDC . Group B Strep Prevention (GBS, baby strep, Group B streptococcal bacteria). Hospitals and Healthcare Providers. Preventing Group B Strept. MMWR 2008 • Schrag SJ, Zell ER, Lynfield R, et al. A population-based comparison of strategies to prevent early-onset group B streptococcal disease in neonates. N Engl J Med 2002;347:233--9. • Phares CR, Lynfield R, Farley MM, et al. Epidemiology of invasive group B streptococcal disease in the United States, 1999--2005. JAMA 2008;299:2056—65 • Dykes AK, Christensen KK, Christensen P: Chlorhexidine for prevention of neonatal colonization with group B streptococci. IV. Depressed puerperal carriage following vaginal washing with chlorhexidine during labour. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol 1987, 24(4):293-297. • Prevention of Early-onset Neonatal Group B Streptococcal Disease RCOG Guideline No. 36, November 2003 • Prevention of Perinatal Group B Streptococcal Disease. Revised Guidelines from CDC. Centers for Disease Control and Prevention. Morbidity and Mortality Weekly Report. Vol. 51, No. RR-11, August 16, 2002 • Prevention of Perinatal Group B Streptococcal Infections Guidelines from the Belgian Health Council, July 2003 • WHO. Antibiotics for treating bacterial vaginosis in pregnancy. August 2006 • Screening and Treatment for Bacterial Vaginosis in Pregnancy: Systematic Review to Update the 2001 U.S. Preventive Services Task Force Recommendation • Evidence on the Benefits and Harms of Screening and Treating Pregnant Women Who Are Asymptomatic for Bacterial Vaginosis: An Update Review for the U.S. Preventive Services Task Force • GL Young , D Jewell Topical treatment for vaginal candidiasis (thrush) in pregnancy Cochrane Database of Systematic Reviews 2008 Issue 2 • Young G, Jewell D. Topical treatment for vaginal candidiasis in pregnancy.2010. Cochrane Database of Systematic Reviews. Issue 2. • Sangkomkamhang S, Lumbiganon P, Prasertcharoensook W, et al. Antenatal lower genital tract infection screening and treatment programs for preventing preterm delivery.2009. Cochrane Database of Systematic Reviews. Issue 4. • Donders GG, Van Calsteren K, Bellen G, et al. Predictive value for preterm birth of abnormal vaginal flora, bacterial vaginosis and aerobic 27 28 CLaOLPOS OLPOSC OPI OPIA PIA IA inCItalia SICPCV vaginitis during the first trimester of pregnancy.BJOG 2009;116:1315-1324. • Das Neves J, Pinto E, Teixeira B, Rocha P, Cunha T, et al. Local treatment of vulvovaginal candidosis: general and practical considerations. Drugs 2008;68(13):1787-802. • Norgaard M, Pedersen L, Gislum M, Erichsen R, et al. Maternal use of fluconazoleand risk of congenital malformations: a Danish population-based cohort study. J Antimicrob Chemother 2008;62(1):172-6. • Bohm I, Groning A, Sommer B, Muller H.W.,et al. A German Chlamydia trachomatis screening program employing semi- automated real - time PCR: results and perspectives.2009. Journal of Clinical Virology.46;S27:S32. • Guidelines for Perinatal Care. Am J Obstet.2007;4:304-349. • Brocklehurst P, Rooney G. Interventions for treating genital Chlamydia trachomatis infection in pregnancy.2009. The Cochrane Database of Systematic Reviews. Issue 4. • Brocklehurst P, Rooney G. Interventions for treating genital Chlamydia trachomatis infection in pregnancy.2008. The Cochrane Database of Systematic Reviews. Issue 2. • Brocklehurst P. Antibiotics for gonorrhoea in pregnancy. Cochrane Database of Systematic Reviews 2008 Issue 2 • Morbidity and Mortality Weekly Report. Recommendations and Reports: Sexually transmitted diseases treatment Guidelines, vol 55,n° RR-11, 2006. • American College of Obstetricians and Gynecologists. Primary and preventive care: periodic assessment. ACOG Committee Opinion N° 292. Obstet Gynecol. 2003;102:1117-24 • US Department of Health and Human Services. Treatment of opportunistic infections. Washington, DC: US • CDC Atlanta. Availability of Cefixime 400 mg Tablets. United States. April 2008 • Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico – Vaginale. Gestione della paziente con Pap test anormale. Linee Guida Edizione 2006. • Royal College of Obstetricians and Gynaecologosts. Management of genital herpes in pregnancy Clinical Guideline No. 30 - March 2002. • ACOG: ACOG practice bulletin. Management of herpes in pregnancy. Number 8 guidelines for obstetriciangynecologists. Int J Gynaecol Obstet 2000 Feb; 68(2): 165-73. • Richard Fischer, MD Genital Herpes in Pregnancy. Last Updated: April 11, 2006. • Guidelines for the Management of Herpes Simplex Virus in Pregnancy (SOGC), 2008 • Merrit AO, Mead PB. Incidence of genital herpes simplex at the time of delivery in women with known risk factors. Am J Obstet Gynecol 1991; 164:1303. • Rudnick CM, et al. Neonatal Herpes Simplex virus infections. Am Fam Physician 2002; 65: 1138-42. • Clinical Effectiveness Group: National Guidelines for the management of genital herpes. Sex Transm Inf 1999; 75 (suppl 1): S24-28. • ACOG Practice Bullettin: Clinical Management Guidelines for Obstetrician-Gynecologists. Human Papillomavirus; n°61, Aprile 2005. • Stone KM, Reiff-Eldridge R, White AD, et al. Pregnancy outcomes following systemic prenatal acyclovir exposure: conclusions from the International Acyclovir pregnancy registry, 1984-1999. Birth Defects Research (Part A) 2004;70:201-7. • Sheffield JS, Hollier LM, Hill JB, Stuart GS, Wendel GD Jr Acyclovir prophylaxis to prevent herpes simplex virus recurrence at delivery: a systematic review. Obstet Gynecol 2003;102:1396-403. • Scott LL, Hollier LM, McIntire D, Sanchez PJ, Jackson GL, Wendel GD Jr Acyclovir suppression to prevent recurrent genital herpes at delivery. Infect Dis Obstet Gynacol 2002;10:71-7. • EITAN R., ABU-RUSTUM N.R. Management of cervical carcinoma diagnosed during pregnancy. Prim care Update OB/Gins 2003;10:196-200. • ROBOVA H. ET AL. Squamous intraepithelial lesionmicroinvasive carcinoma of the cervix during pregnancy. Eur J Gynaecol Oncol 2005; 26(6):611-4. • GOLDBERG G.L., ALTARAS M.M., BLOCK B.Cone cerclage in pregnancy. Obset Gynecol 1991; 77:315-17. • DUNN T.S., GINSBURGV., WOLF D. Loop-cone cerclage in pregnancy. A 5 year review Gynecol oncol 2003;90:577-580. • SAMSON SA, ET AL. Effetto della resezione cervicale con ansa diatermica (LEEP) sull’esito delle gravidanze successive. Obstet Gynecol 2005; 105:325-332. • SOPRACORDEVOLE F., GIORDA G., DE PIERO G. E GRUPPO COLLABORATIVO SICPCV. Il carcinoma microinvasivo della cervice uterina. Stato dell’arte e dati preliminari sul managementin Italia. In :Borselli F.: Linee guida e controllo di qualità in colposcopia. Atti del XVIII Congresso Nazionale SICPCV. Mediacom Ed, Modena, 2003. pag 54-64. • WATTS DH, ET AL.: Low risk of perinatal trasmission of human papillomavirus: result from a prospective cohort study. Am J Obstet Gynecol, 1998; 178 (2): 365-73. Sexually Transmitted Disease Treatment Guidelines, 2006. • Jaffe H, Larsen S, Jones O, et al. Hemagglutination tests for syphilis antibody. Am J Clin Pathol 1978; 70:230-3. • Huber T, Storms S, Young P, et al. Reactivity of microhemagglutination, fluorescent treponemal antibody absorption, venereal disease research laboratory, and rapid plasma reagin tests in primary syphilis. J Clin Microbiol 1983; 17:405-9. • World Health Organization. Laboratory tests for the detection of reproductive tract infections, p 1999 available from http://www. wpro.who.int/pdf/rti.pdf p p p • Larsen SA, Steiner BM, Rudolph AH. Laboratory diagnosis and interpretation of tests for syphilis. Clinical Microbiology Reviews 1995; 8:1-21. • Lucas M, Theriot S, Wendel G. Doppler systolic-diastolic ratios in pregnancies complicated by syphilis. Obstet Gynecol 1991; 77:217-22. • Cummings M, Lukehart S, Marra C, et al. Comparison of methods for the detection of Treponema pallidum in lesions of early syphilis. Sex Transm Dis 1996; 23:366-9. • World Health Organization. Laboratory diagnosis of sexually transmitted diseases. Geneva: World Health Organization; 1999. • Romanowski B, Forsey E, Prasad E, et al. Detection of Treponema pallidum by a fluorescent monoclonal antibody test. Sex Transm Dis 1987; 14:156-9. • Nathan L, Twickler D, Peters M, et al. Fetal syphilis: correlation of sonographic findings and rabbit infectivity testing of amniotic fluid. J Ultrasound Med 1993; 12:97-101. • Hill LM JB. An unusual constellation of sonographic findingsassociatedwithcongenital syphilis. Obstet Gynecol 1991; 78:895-7. • Satin A, Twickler D, Wendel G. Congenital syphilis associated with dilation of fetal small bowel. A case report. J Ultrasound Med 1992; 11:49-52. • Sanchez P, Wendel G. Syphilis in pregnancy. Clin Perinat 1997; 24:71-90. • Centers for Disease Control and Prevention. 1998 Guidelines for treatment of sexually transmitted diseases. MMWR 1998;47 (No RR-1). • Klein V, Cox S, Mitchell M, et al. The Jarisch-Herxheimer reaction complicating syphilotherapy in pregnancy. Obstet Gynecol 1991; 75:375-80. • Myles T, Elam G, Park-Hwang E, et al. The Jarisch-Herxheimer reaction and fetal monitoring changes in pregnant women treated for syphilis. Obstet Gynecol 1998; 92:859-64. • Klein VR, Cox SM, Mitchell MD, Wendel GD Jr. The Jarisch-Herxheimer reaction complicating syphilotherapy in pregnancy. Obstet Gynecol 1990; 75:375-80. • McFarlin B, Bottoms S, Dock B, et al. Epidemic syphilis: maternal factors associated with congenital infection. Am J Obstet Gynecol 1994; 170:535-40. • Mascola L, Pelosi R, Alexander C. Inadequate treatment of syphilis in pregnancy. Am J Obstet Gynecol 1984; 150:945-7. • Conover C, Rend C, Miller G, et al. Congenital syphilis after treatment of maternal syphilis with a penicillin regimen exceeding CDC guidelines. Infect Dis Obstet Gynecol 1998; 6:134-7.