Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 9 §§ 6-26 Esposizione dei fatti (dihvghsi~ o narratio) Iniziando il proprio racconto dal momento in cui decise di sposarsi e prese moglie, Eufileto dapprima rievoca, con sincero e contenuto rimpianto, la felicità domestica che aveva caratterizzato la prima fase della sua vita coniugale, sia per le ammirevoli doti dimostrate dalla sua giovane sposa, sia per la nascita di un bambino (§ 6-7) Purtroppo, a imprimere a questo lieto e sereno menage una svolta radicale interviene un evento, fortuito ma gravido di drammatiche conseguenze: la moglie, durante il funerale della suocera, viene adocchiata da Eratostene, che all’istante prende la decisione di farla sua e, tramite l’ancella di Eufileto, le fa conoscere le proprie intenzioni e, col tempo, riesce a sedurla (§ 8). La relazione adulterina procede senza intoppi per un certo tempo, giovandosi sia delle frequenti assenze da casa di Eufileto, impegnato nel lavoro dei campi, sia del fatto che, per meglio tutelare l’incolumità della sposa e del figlioletto, Eufileto ha operato uno scambio fra la gunaikwni`ti~ e l’ajndrwni`ti~, trasferendo i locali riservati alle donne al piano terreno, il più vicino alla pubblica via (§§ 9-10). Il momento culminante della vicenda è costituito dalla cosiddetta «notte della beffa»: mentre Eufileto, tornato improvvisamente dalla campagna a tarda ora, sta intrattenendosi nel qavlamo~ con la moglie, la donna, avvertita dall’ancella con un espediente (il pianto del bimbo, a bella posta stuzzicato) dell’arrivo dell’amante che la reclama subito per sé (§ 11), gioca d’astuzia con il marito, fingendosi gelosa, e, chiusolo a chiave nella stanza, trascorre in piena tranquillità la notte con il suo drudo (§§ 12-13). Tornata la mattina seguente a «liberare» il marito, risponde con sicumera a una sua domanda sul cigolio prodotto nel cuor della notte dalla porta di casa e dissipa ogni suo possibile sospetto (§ 14). Senonché, qualche tempo dopo, l’ignaro Eufileto, avvicinato da una vecchia, appositamente inviata da una precedente partner di Eratostene (un’altra moglie sedotta...), la quale si vede ormai trascurata da lui, apprende la tresca della propria moglie, il nome dell’adultero e la funzione di intermediaria svolta dalla sua ancella (§ 15-17). Messa quest’ultima alle strette e ottenuta da lei una completa confessione (§§ 18-20), la costringe a collaborare con lui per cogliere l’adultero in flagrante (§ 21). La dihvghsi~ prosegue e si conclude con il racconto degli eventi della notte del delitto. Una sera, Eufileto incontra un amico e lo invita a cenare con lui (§ 22); la notte, svegliato dalla serva che lo avverte della presenza di Eratostene, corre affannosamente per le vie della città con l’intento di procurarsi testimoni (§ 23); preso con sé un certo numero di persone, irrompe nel dwmavtion dove i due amanti sono ancora a letto (§ 24) e, dopo un sommario processo, respingendo la sua offerta di un risarcimento in denaro, senza alcuna esitazione mette a morte l’adultero (§§ 25-26). 9 Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 10 Le scoperte di Eufileto Nel suo racconto, Eufileto espone i fatti così come li ha ricostruiti dopo aver scoperto la tresca della moglie con Eratostene; nel racconto, tuttavia, è presente, oltre la logica della ricostruzione, anche una logica della scoperta, che è ben messa in evidenza da un breve saggio di U.E. Paoli su “La moglie di Eufileto”. “Trovò strano Eufileto che la moglie, pure essendo ancora in lutto, avesse ripreso a darsi il belletto. Era andar contro un uso che si osservava in tutta la Grecia; nel periodo del lutto le donne si astenevano dal curare la propria persona e, nonché mettersi i gioielli e dipingersi la faccia, neanche si pettinavano. La moglie di Eufileto invece, non ostante che non fossero passati ancora trenta giorni dalla morte del proprio fratello, non risparmiava né i cosmetici né le cameriere. Un altro marito, se anche non avesse creduto di fare delle recriminazioni, si sarebbe insospettito; ma Eufileto era un marito ingenuo. Per conseguenza, non trovò niente da dire neanche quando, qualche tempo dopo, la moglie lo chiuse a chiave in camera e ce lo tenne tutta la notte dopo avergli fatto in tono semiserio una scenetta di gelosia, dicendo di essersi accorta che egli si prendeva delle libertà con una delle ancelle. Nei riguardi di un uomo che non sa tenere le mani a posto una moglie saggia deve prendere le sue precauzioni. Dette quindi la mandata all’uscio, e se ne andò. Esser prigioniero in casa sua non è molto piacevole e diminuisce il prestigio del capo di famiglia; ma Eufileto quel giorno era tornato stanco dalla campagna e, pensando che dopo tutto si trattava di uno scherzo, non ci stette tanto a rifletter sopra; si buttò sul letto, e subito dopo si addormentò. Durante la notte gli parve di sentir per casa un gran tramestìo, e che qualcuno avesse aperto e richiuso la porta di fuori. I chiavistelli delle case greche erano così complicati e pesanti che, quando si apriva la porta, facevano sempre un po’ di fracasso: era un salterellare di congegni di ferro che picchiavano come tanti piccoli martelli. Era stato appunto quel ticchettio che aveva svegliato Eufileto. Naturalmente, il giorno dopo chiese alla moglie che cosa fosse successo nella notte perché qualcuno dovesse andar fuori di casa; e quella, senza scomporsi, gli rispose che si era spenta la lampada nella camera del bambino, e altre lampade accese in casa non c’erano. Niente dunque da dire, perché, se il lume si spengeva, era molto più semplice andare ad accenderlo in una casa di vicini piuttosto che provarcisi con mezzi propri, cosa tutt’altro che facile in un’età che non conosceva i fiammiferi. In Atene tutti facevano così. Solo un uomo tirannico poteva pretendere che i suoi passassero la notte al buio; Eufileto trovò giusta la spiegazione di quel rumore di chiavistelli che l’aveva svegliato, e non ci pensò più. Il lettore però avrà già capito che dalla porta quella notte non era uscito lo schiavo con la lampada, ma l’amante della moglie. Essa infatti aveva un amante: si chiamava Eratòstene, era un giovanotto intraprendente che si voleva divertire e, non avendo altro da fare, dedicava tutto il suo tempo a sedurre le mogli degli altri. Passato il capriccio, le piantava. 10 Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 11 Piantare una donna dopo esserne stati l’amante è in ogni tempo un po’ pericoloso, perché le donne si vendicano: a ciò le spinge la gelosia, l’orgoglio ferito e l’istinto di far del male, che nelle donne è sempre molto sviluppato. Una signora ateniese, che aveva avuto una relazione con Eratòstene e poi si era vista trascurata e messa da parte, volle prendersi la rivincita, e mandò una vecchia ancella ad avvertire Eufileto di ciò che stava succedendo in casa sua. Quella si appostò vicino all’uscio della casa di Eufileto e, quando lo vide uscire, gli si avvicinò e gli spifferò tutto. Messo sull’avviso, Eufileto si rese conto finalmente per qual motivo la moglie si desse il belletto quando era in lutto, lo chiudesse a chiave in camera e si preoccupasse tanto se nella notte il lume si spengeva. Comprese anche per quale raffinata astuzia quella donna, qualche tempo prima, gli avesse proposto di fare un gran cambiamento nella disposizione della casa. La casa di Eufileto era a due piani: le stanze migliori, come sempre, si trovavano a terreno; nel piano di sopra, a cui si accedeva per una scala malagevole e pericolosa, vi erano alcune camerette che servivano per farci dormire le ancelle, e anche il bambino, il quale durante la notte rimaneva affidato alle loro cure e veniva portato alla madre nelle ore in cui doveva prendere il latte, o quando bisognava fargli il bagno. Su e giù, su e giù: non c’era mica da star tanto tranquilli; la madre del piccino cominciò dunque, parlando col marito, a mostrarsi preoccupata per quella scala. Sarebbe stato terribile se l’ancella, scendendo, avesse inciampato, e il bambino le fosse ruzzolato dalle braccia: non ci mancava altro, povera creatura! Il suo cuore materno era in continua trepidazione, ed Eufileto, che apprezzava quella sollecitudine, non trovò ragione di opporsi quando la moglie gli fece la proposta che lui andasse a dormire in uno di quei bugigattoli al piano superiore, destinati alle cameriere, e che il bambino, con le ancelle a cui era affidato, passasse la notte in una stanza al pian terreno. E così fu fatto: la madre scendeva ad allattare, alle sue ore, il piccino e spesso rimaneva giù a dormire. Lontano da qualsiasi sospetto, Eufileto pensava: «Ma che brava donna! Non ce n’è un’altra in tutta la città». Siccome tutti i nodi vengono al pettine, allorché l’amante tradita di Eratòstene fece la spia, fu facile a Eufileto scoprire, se anche tardi, le segrete intenzioni che avevano suggerito alla moglie di fargli quella proposta. Ricevuta la denunzia circa la infedeltà della propria moglie, Eufileto sulle prime cercò di illudersi, pensando che poteva anche trattarsi di una malignità. E le prove? Dov’erano le prove? Se non si trattava che di quello, niente di più facile: non aveva che da interrogare la vecchia serva incaricata di recarsi tutte le mattine al mercato per fare le spese. Era lei che aveva combinato tutto il pasticcio. Gli schiavi in Atene erano trattati con molta umanità, e la legge li proteggeva contro ogni forma di prepotente arbitrio; ma lo schiavo infedele non poteva sperare alcun riguardo o difesa, se fosse incorso nella giusta ira del padrone. È quindi facile immaginare da qual paura fosse presa la vecchia mezzana, quando si trovò all’improvviso di fronte Eufileto che, piantandole gli occhi in faccia e con l’aria di uno che non ammette repliche, le intimò di dir tutto quello che sapeva. E guai, se non parlava, alla sua vecchia carcassa! Che poteva fare la meschina, che tremava tutta come se avesse la febbre 11 Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 12 addosso e temeva le punizioni più atroci? Raccontò ogni cosa per filo e per segno. Ed ecco come era andata quella faccenda. Sinché non era morta la madre di Eufileto, sulla moglie di lui non c’era stato niente da dire. Sbofonchiava, è vero, sui primi tempi, lamentandosi con le ancelle perché il marito le stava un po’ troppo addosso nel rivederle i conti; ma dopo che era nato il bambino, ed Eufileto aveva cominciato a lasciarle una certa libertà nel governo della famiglia, si mostrava più contenta. Badava alla casa, e idee per la testa sembrava che non ne avesse. Il giorno dei funerali Eratòstene l’adocchiò; può darsi che anche lei, pur seguendo il cadavere della suocera, e piangendo e battendosi il petto, profittasse di quella occasione, così rara per una donna ateniese, di uscire in pubblico, per lanciare, fra uno strillo e l’altro, delle fugaci occhiatine di traverso, curiosa di vedere se qualche giovanotto la notava e la trovava interessante. Come poteva allora non accorgersi subito che Eratòstene era lì tutt’occhi a guardarla? Certe cose di solito vanno così. Fatto sta che, quando per il tramite dell’ancella cominciò a ricevere i messaggi del suo adoratore, il quale, venendo subito al concreto, la scongiurava di accoglierlo in casa, non fece troppe storie prima di rispondere di sì. E le ambasciate, perché negarlo?, le aveva portate proprio lei; ed era stata lei a introdurre la prima volta Eratòstene nella casa di Eufileto, e poi sempre, dopo che fra i due era cominciata la tresca. Ma bisognava mettersi nei suoi panni, diceva; una povera schiava non fa quel che vuole; fa quel che le dicono di fare i signori che comandano. Subito dopo il funerale non c’era volta che uscisse per le spese e non si trovasse fra i piedi quel giovinotto, il quale la circuiva in mille modi e non le dava un momento di pace ripetendo sempre le stesse cose e raccomandandosi sempre nello stesso modo; e se lei si schermiva, ecco che allora si faceva imperioso. Non riusciva a levarselo di torno: andava a comprare il pesce, e lui le veniva dietro dal pesciaiuolo; andava a comprar cavoli, e lui l’accompagnava dall’erbivendolo. In Atene dicevano tutti che del sedurre le mogli altrui quel tristo si era fatto un’arte; ora l’esperienza insegna che non si arriva alle padrone che per mezzo delle schiave. Insisti oggi, insisti domani, come le cose erano andate a finire ormai Eufileto lo sapeva quanto lei. Tanto infatti Eufileto lo sapeva, che l’unico suo pensiero era di ammazzare Eratòstene; non era uomo da prendersi in santa pace un oltraggio simile e la pelle a quel tale, questo è certo, prima o poi gliel’avrebbe fatta. Non voleva però correre il rischio di esser condannato come omicida per la soddisfazione di mandare all’altro mondo un bellimbusto. Le leggi attiche consentivano al marito di uccidere impunemente l’adultero; solo però se l’avesse sorpreso in flagrante e fra le pareti domestiche. Eufileto era disposto a pazientare sino al momento in cui si verificassero le circostanze richieste perché l’uccisione di Eratòstene potesse configurarsi come vendetta legale e non come reato di omicidio; anche se, nell’agir così, si sarebbe trovato ad assistere a qualcosa che, forse, preferiva di non vedere. Quanto alla vecchia serva, se non voleva passarne delle brutte, come era stata complice della moglie nel tradire il marito, aiutasse ora il marito ad 12 Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 13 ammazzare l’amante. Ricevé dunque l’ingiunzione di avvertire immediatamente Eufileto la prima volta che Eratòstene sarebbe tornato per una delle solite visite clandestine. E che intanto non fiatasse! Passò del tempo; sembra, ma questo particolare dalla nostra fonte non risulta chiaro, che Eratòstene subodorasse qualcosa di ciò che si stava preparando contro di lui, e si mostrasse restìo a tornare in quella casa che poteva diventare una trappola. Una sera, dopo che s’era fatto buio, Eufileto incontrò per caso un suo amico, Sòstrato, che tornava dalla campagna; e lo invitò a cenare con lui. Passarono la serata insieme in una delle stanzucce al piano superiore; sul tardi Sòstrato tornò a casa sua, ed Eufileto, coricatosi, si addormentò. Da poco aveva preso sonno, quando si sente svegliare dalla vecchia serva che con aria di mistero gli sussurra all’orecchio: «L’uomo c’è». Finalmente! Volendo far tutto in piena regola, Eufileto si vestì; poi, messa la vecchia a guardia della porta, piano piano uscì di casa e andò a cercare chi gli facesse da testimone. Qualcuno si trovava fuori d’Atene, altri non erano rincasati. Prese con sé quelli che trovò, quanti più poté; e si incamminarono tutti insieme. Silenziosa e circospetta, la piccola comitiva si diresse verso la casa di Eufileto. Avvolti nel loro pallio, avanzavano tenendosi addossati al muro, per non dar nell’occhio; non ostante che a quell’ora le strade di Atene fossero deserte, qualcuno avrebbe potuto indovinare di che si trattava e, chi sa?, correre a dar l’avviso, lasciando a Eratòstene il tempo di svignarsela. Arrivarono inosservati. Quando furono vicini a casa, entrarono in una bottega, che era aperta anche in quell’ora, e vi accesero le torce. Con quelle torce in mano entrarono in casa e si diressero nelle stanze del gineceo; già c’era Eratòstene, e ce lo chiapparono. La donna, vedendosi sorpresa, resa come pazza dalla vergogna e inorridita per ciò che sarebbe accaduto sotto i suoi occhi, cominciò a dare in smanie, con grida altissime. Nessuno le badò; gli sguardi di tutti erano rivolti su Eratòstene, divenuto terreo. Eufileto gli si accostò con una faccia che non prometteva niente di buono: ora avrebbe fatto i conti. Era armato di randello; i suoi compagni tenevano alte le torce, e i riflessi della fiamma oscillante davano a quella scena un aspetto spettrale. Rivolto ai testimoni Eufileto domandò loro: «Avete veduto?». E subito lasciò andare sulla testa del giovanotto una bastonata così violenta, che quello cadde in terra tramortito e sanguinante; poi, tortegli le braccia dietro la schiena, gli legò le mani con una corda. Lo guardò a lungo con odio: «E tu», gli disse alla fine «perché disonori così la mia casa?». Eratòstene giaceva aggomitolato sul pavimento, come l’agnello nella bottega del beccaio. Tentando di rialzarsi, meglio che poteva, cominciò a supplicare con un filo di voce: si riconosceva colpevole; che Eufileto gli chiedesse tutto il denaro che voleva, glielo avrebbe sborsato. E si raccomandava, piangendo, di aver salva la vita. «Non sono io che ti uccido», gli rispose Eufileto; «ti uccidono le leggi». (Ugo Enrico Paoli, Uomini e cose del mondo antico, Firenze, pp. 33-41; sono state eliminate le note). 13 Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 14 6 Æ Egw; gavr, w\ ÆAqhnai`oi, ejpeidh; e[doxev moi gh`mai kai; gunai`ka hjgagovmhn eij~ th;n oijkivan, to;n me;n a[llon crovnon ou{tw diekeivmhn w{ste mhvte lupei`n mhvte livan ejpÆ ejkeivnh/ 6.- ejpeidh;... gh`mai: in Grecia, di solito l’uomo si sposava intorno ai trent’anni, la donna invece andava a nozze giovanissima, spesso dai tredici ai quindici anni, benché Platone (Leggi, VI, 785b), evidentemente criticando la consuetudine attica, affermi che il periodo giusto per celebrare il matrimonio è per la donna quello dai sedici ai vent’anni, ed anche Aristotele (Polit., VII, 14, 4; 1335a) giudichi inopportuno e pericoloso maritare una fanciulla in età troppo giovane. È probabile, tuttavia, che Eufileto avesse superato da tempo la soglia dei trent’anni: «tutto il suo comportamento non conosce gli impeti e i fervori incomposti dell’età giovane. Le drammatiche vicende dell’ultima parte della guerra del Peloponneso, la crisi economica, l’essere figlio unico affezionatissimo alla madre vecchia (a questa infatti affida nel primo anno di matrimonio la cura della casa, non alla moglie), dovevano avergli fatto ritardare la decisione di prendere moglie» (R. Randazzo, p. 52). - kai; gunai`ka... oijkivan: secondo il rito nuziale greco, la sposa veniva 6.- ejpeidh;... gh`mai: «quando decisi di sposarmi»; e[doxev moi (indic. aor. 1° di dokevw; lat. visum est mihi): «mi venne l’idea di», «ritenni opportuno», «mi sembrò il momento giusto per»; gh`mai: infin. aor. 1° di gamevw, verbo che nella diatesi attiva si riferisce all’uomo che contrae matrimonio, nella diatesi media alla donna che va sposa (gamei`sqaiv tini = lat. nubere alicui).kai; gunai`ka... oijkivan: accompagnata, di notte, alla luce delle fiaccole (da`/de~ numfikaiv) e al canto dell’imeneo, nella casa del marito, nel cui qavlamo~ essa veniva introdotta dalla numfeuvtria (lat. pronuba); cfr. Lettura «Il matrimonio». Andando ad abitare in casa del consorte e dando inizio alla convivenza coniugale (sunoikei`n), la donna passava dalla tutela del padre a quella del marito, che la considerava quasi come un oggetto di proprietà; cfr. lettura «La condizione giuridica della donna in Atene». - to;n me;n a[llon crovnon: come si deduce dalla sua contrapposizione al seguente ejpeidh; dev, l’espressione indica il tempo intercorso fra le nozze e la nascita del paidivon. - ou{tw... lupei`n: nelle sue mansioni domestiche, la donna ateniese non era, di solito, sorvegliata dal marito, il quale passava la maggior parte del suo tempo fuori di casa. «Qualche impennata giovanile della moglie, infastidita dalla sospettosità del marito, dovette anche indurlo ad allentare la stretta» (R. Randazzo, p. 52). Del resto, a far buona guardia bastava la vecchia madre di Eufileto... «e presi moglie», lett. «e mi condussi una moglie in casa»; dopo il generico gh`mai, l’espressione gunai`ka ajgagevsqai (cfr. lat. uxorem ducere) allude, specificamente, al rito nuziale greco dell’accompagnamento della sposa nella casa del marito.- to;n me;n a[llon crovnon: «nei primi tempi», lett. «per tutto l’altro tempo».ou{tw... lupei`n: «mi regolavo in modo da non infastidirla», «ero deter- 14 minato a...», «avevo l’intenzione di...»; w{ste... lupei`n è una prop. consecutiva, espressa con l’infin. poiché si tratta di conseguenza possibile, e negata da mhvte poiché si tratta di conseguenza dal sogg. della reggente non voluta; lupei`n significa qui «recare molestia», «affliggere», «tormentare» con un’eccessiva vigilanza.- mhvte livan... poiei`n: «ma neppure da lasciarle piena libertà di Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 15 ei\nai o{ ti a]n ejqevlh/ poiei`n, ejfuvlattovn te wJ~ oi|ovn te h\n, kai; prosei`con to;n nou`n w{sper eijko;~ h\n. Æ Epeidh; dev moi paidivon givgnetai, ejpivsteuon h[dh kai; pavnta ta; ejmautou` ejkeivnh/ parevdwka, hJgouvmeno~ tauvthn oijkeiovthta megivsthn ei\nai. - mhvte livan... poiei`n: volendo, da buon marito ateniese, prevenire l’accusa di non aver sorvegliato abbastanza la giovane sposa, Eufileto assicura di non essere stato con lei né troppo severo né troppo arrendevole, fidandosene sì, ma solo fino a un certo punto. Egli si è, dunque, attenuto alla norma del mhde;n a[gan, ideale dell’uomo greco. - w{sper eijko;~ h\n: il termine qui usato (eijkov~) fa comprendere che, nei confronti della donna greca, l’atteggiamento di diffidenza da parte del maritopadrone era considerato assolutamente normale. - moi paidivon givgnetai: «si sarà trattato del maschietto atteso dagli sposi, specialmente dal padre (moi); ma l’omissione dell’art. davanti al diminutivo familiare (che non indica il sesso) ne conferma il senso generico (un figlio)» (U. Mancuso, p. 72). Le preferenze dei Greci circa il sesso dei figli, che, in ogni caso, non si auspicavano mai numerosi, possono essere efficacemente sintetizzate, fatto salvo il carattere paradossale dell’iperbole, dal seguente aforisma (fr. 11) del poeta comico Posidippo: «Un figlio lo si alleva comunque, anche se si è poveri, mentre una figlia la si espone anche se si è ricchi». fare ciò che volesse», lett. «ma che, d’altra parte, non fosse troppo in suo arbitrio fare...»; mhvte... ei\nai è una consecutiva retta da ou{tw diekeivmhn; ejpiv tini ei\nai = «essere in potere di qualcuno», «dipendere da...»; o{ ti a]n ejqevlh/ è una relativa eventuale.- ejfuvlattovn te... eijko;~ h\n: «la sorvegliavo quanto era - givgnetai... ejpivsteuon... parevdwka: molto efficace il rapido mutamento dei tempi verbali, per cui al presente storico givgnetai («mi nasce») segue l’impf. ejpivsteuon («ero pieno di fiducia»), che esprime uno stato d’animo durevole, quindi l’aoristo parevdwka («lasciai nelle sue mani»), che indica azione considerata in sé, indeterminatamente (ajovristo~, da aj privativa e oJrivzw). - pavnta parevdwka: nella Grecia antica, a partire dall’età omerica (cfr. Iliade, VI, 490 sgg.; Odissea, XXIII, 355), il compito della donna è di amministrare le entrate domestiche (cfr. Senofonte, Economico, 3, 15) e custodire quanto si trova nella casa (cfr. Pseudo-Demostene, Contro Neera, 122; C. Mossé, La vita quotidiana della donna nella Grecia antica, passim, in particolare pp. 92-93). - hJgouvmeno~ tauvthn... ei\nai: tauvthn (= tou`to) si riferisce alla comunanza d’interessi o alla nascita del figlio? Solo la maternità conferiva alla donna posizione giuridica nella casa, il diritto di amministrarne i beni e di prendere parte ai riti: la moglie sterile, in caso di morte del marito, doveva tornare alla casa paterna. «Quantunque possibile e la tenevo d’occhio com’era logico»; wJ~ oi|ovn te h\n (si noti la costruzione impersonale) ha valore limitativo; prosei`con to;n nou`n: «stavo attento»; w{sper introduce una prop. modale; eijkov~ (da ejoikov~, partic. del perf. e[oika con valore di presente) significa «naturale», «logico», «conve- 15 niente».- jEpeidh;... parevdwka: «Ma quando mi nacque un bambino, ero ormai tranquillo e le affidai tutte le cose mie».hJgouvmeno~... ei\nai: «ritenendo che questo fosse il più saldo vincolo familiare»; tauvthn è usato in luogo di tou`to per l’attrazione esercitata dal predicato oijkeiovthta. Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 16 7 Æ En me;n ou\n tw`/ prwvtw/ crovnw/, w\ ÆAqhnai`oi, pasw`n h\n beltivsth: kai; ga;r oijkonovmo~ deinh; kai; feidwlo;~ [ajgaqh;] kai; ajkribw`~ pavnta dioikou`sa: ejpeidh; dev moi hJ mhvthr ejteleuvthse, pavntwn tw`n kakw`n ajpoqanou`sa aijtiva moi Eufileto abbia una forte concezione maschile della famiglia, quale ancora presso i popoli arabi e orientali..., tuttavia sente amore per la moglie giovane: un po’ a modo suo, ma amore. Ma tra uno sposo maturo, avaro e sospettoso, sempre lontano dalla casa per occupazioni agresti, e una donna giovane, irriflessiva, cresciuta in epoca di rilassamento morale, tenuta in casa sotto il controllo di una suocera vecchia e all’antica, ben difficilmente poteva nascere un saldo sentimento di reciproco amore» (R. Randazzo, p. 53). da, la conquistata gioia familiare di Eufileto viene distrutta da Eratostene, che, vero tombeur de femmes, insinuante e tenace, finisce per vincere la debole resistenza della giovane sposa. - kai; ga;r... dioikou`sa: «Questa donna, vissuta in ombra nel primo anno di matrimonio, con la maternità rivela inaspettate energie ed una personalità viva, di fronte alla quale quella rustica di Eufileto farà comico ed amaro contrasto. Ma tali energie e personalità sono momentaneo trasferimento d’istinti, sublimatio libidinis, ché la donna, fondamentalmente, è figlia di un’epoca corrotta» (R. Randazzo, pp. 53-54). - ejpeidh; dev moi hJ mhvthr ejteleuvthse: nel dativo etico moi si avverte una nota di sincera commozione, nel rimpianto di quella figura materna che aveva amorosamente vegliato sulla felicità familiare del figlio. - aijtiva... gegevnhtai: il Mancuso (p. 73), considerando aijtiva non sostantivo ma aggettivo («responsabile»), scrive che «Eufileto sembra quasi imputare alla propria madre, ingenuamente, di essere... morta troppo presto». Opportunamente, a proposito di questo passo, 7.- Æ En me;n... beltivsth: come l’inizio della convivenza coniugale è stato distinto in due momenti, quello anteriore alla nascita del figlio e quello ad essa successivo, così il periodo della prima paternità si articola in due fasi, che hanno come discrimine la morte della madre di Eufileto e la seduzione della moglie ad opera di Eratostene: nella prima, la vita trascorre serena e felice sia per la presenza del bimbo sia per le ottime doti casalinghe e morali manifestate dalla donna, che sembra assuefarsi con entusiasmo commosso alla sua nuova condizione di vita; nella secon7.- Æ En me;n... beltivsth: «E in un primo momento, o Ateniesi, era la migliore di tutte le donne», «... era proprio una moglie modello» (Albini).- kai; ga;r... dioikou`sa: «si dimostrava, infatti, massaia abile ed economa, e, in ogni particolare, scrupolosa amministratrice della casa»; oijkonovmo~... feidwlov~: è sottinteso h\n; deinhv: l’aggettivo indica persona o cosa che impressiona come straordinaria nel suo genere; qui, «formidabile», «eccezionale»; kai;... dioikou`sa: si noti l’unione del partic. all’aggettivo nella funzione di predicato (cfr. Lisia, Per l’invalido, 15: uJbristh;~... kai; livan ajselgw`~ diakeivmeno~).- ejpeidh;... gegevnhtai: «ma quando 16 mi morì la madre, la sua scomparsa è stata per me causa di tutti i mali»; il primo moi è un dat. etico, più efficace dell’aggettivo possessivo; ajpoqanou`sa (partic. aor. 2° di ajpoqnhvskw): lett. «morta», meglio «la sua morte»; il secondo moi è un dat. di svantaggio, che può tradursi anche con l’aggettivo possessivo: «di tutti i Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 17 gegevnhtai. 8 Æ EpÆ ejkfora;n ga;r aujth`/ ajkolouqhvsasa hJ ejmh; gunh; uJpo; touvtou tou` ajnqrwvpou ojfqei`sa crovnw/ diafqeivredi Pericle, trad. it., Milano, 1983, pp. 109-112). La moglie di Eufileto segue il funerale della suocera, perché la donna greca partecipa al culto domestico del marito. - uJpo; touvtou... ojfqei`sa: «adocchiata da quest’uomo». Com’è noto, nella Grecia antica e particolarmente nell’Atene classica, la donna di buona famiglia non usciva di casa se non in occasione di cerimonie nuziali o funebri e di feste religiose, o per circostanze eccezionali. Fu dunque per vera fatalità che la moglie di Eufileto fu vista da Eratostene: tanto più che quest’ultimo, molto probabilmente, non apparteneva alla cerchia degli amici che avevano preso parte al funerale (peraltro, anche se così fosse stato, non avrebbe mai potuto, neppure in tali circostanze, avvicinare la donna, ma solo il marito di lei per porgergli le condoglianze). D’altronde, essendo così rare le occasioni di vedere le donne perbene fuori del gineceo, è naturale che i giovani di Atene approfittassero anche di una cerimonia funebre per poterle rimirare. «La posizione in primo piano della giovane e, forse, bella moglie di Eufileto dovette attirare l’attenzione di Eratostene, che, subito accendendosi di basse voglie, intravide nella differenza di età con il marito la condizione ideale per sedurre la giovane sposina. Un fatale contrappasso conclude l’ultima avventura di Eratostene: la sua voglia peccaminosa, nata dietro una bara, fatalmente ritorna al suo punto di partenza: una bara» (R. Randazzo, p. 54). - uJpo; touvtou tou` ajnqrwvpou: R. Greco (p. 28) cita i versi 21-22 del carme 68 di Catullo: tu mea tu moriens fregisti commoda, frater, / tecum una totast nostra sepulta domus. 8.- Æ EpÆ ejkfora;n... gunhv: dopo che la salma, lavata profumata inghirlandata e avvolta in un lenzuolo bianco, era rimasta esposta (provqesi~), per un lasso di tempo variabile da uno a tre giorni, nella parte anteriore della casa, e intorno ad essa parenti e amici, coadiuvati da appositi cantori e cantatrici (qrhnw/doiv), avevano levato pianti e lamenti (govoi, qrh`noi), aveva luogo il trasporto funebre (ejkforav), che di solito si svolgeva all’alba, prima del sorgere del sole, non dovendo questo illuminare con i suoi raggi il cadavere, che, nel cataletto scoperto, veniva portato a spalla dai parenti o dagli amici più intimi fino al cimitero, collocato fuori della città o del villaggio, per essere inumato (qavptein, katoruvttein) o cremato (kaivein). Durante il trasporto funebre, gli uomini solevano precedere la bara; dietro, venivano le donne, che, però, potevano prender parte al funerale solo se avessero compiuto i sessant’anni o se fossero unite al morto da stretti vincoli di parentela (cfr. V. Inama, Antichità greche pubbliche, sacre e private, Milano, 1924, pp. 235-239; U. E. Paoli, La donna greca nell’antichità, Firenze, 19552, pp. 1112; Idem, Come vivevano i Greci, Torino, 1957, pp. 74-76; M. A. Levi, La Grecia antica. Società e costume, Torino, 1976, pp. 457-469; R. Flacelière, La vita quotidiana in Grecia nel secolo miei mali». 8.- jEpÆ ejkfora;n... gunhv: «Mia moglie, infatti, che aveva seguìto il suo funerale», «... che aveva seguìto il suo feretro durante il trasporto funebre»; aujth`/: scil. la madre di Eufileto (il dat. è retto da ajkolouqhvsasa, partic. aor. 1° di ajkolouqevw).- 17 uJpo; touvtou... ojfqei`sa: «adocchiata da quest’uomo».- crovnw/ diafqeivretai: «col tempo venne sedotta», «... finì per essere <da lui> sedotta».- Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Pagina 18 tai: ejpithrw`n ga;r th;n qeravpainan th;n eij~ th;n ajgora;n badivzousan kai; lovgou~ prosfevrwn ajpwvlesen aujthvn. Eufileto evita, per quanto possibile, di pronunciare il nome del rivale, ricorrendo a pronomi o perifrasi (v. per es. i §§ 11, 15, 16, 19, 20, 24, 25). «Si noti che il nome del seduttore, per bizzarra combinazione, è eloquente: Eratostene (la forza dell’uomo amabile) si potrebbe tradurre: ‘l’irresistibile’» (S. Cecchi, p. 29). - ojfqei`sa: il partic. aor. passivo (di oJravw) indica il repentino balenare dell’idea peccaminosa nella mente di Eratostene. «Con una parola sola Lisia ci fa immaginare una figura di donna fragile e amabile su cui si posa lo sguardo cupido e cattivo di un donnaiolo. Chi non ricorda le semplici e sublimi parole del Manzoni a proposito della monaca di Monza: ‘La sventurata rispose’ cap. X. È brevità poetica e inimitabile di sommi ingegni» (R. Argenio, p. 90). - crovnw/ diafqeivretai: l’espressione sottolinea la riluttanza della donna a cedere all’insano proposito di Eratostene, che, per riuscire nel proprio intento, deve fare ricorso, con assiduità e tenacia degne di miglior causa, a tutte le sue subdole arti e alla complicità della serva. Eufileto non ha per la moglie parole di rimprovero, sembra anzi usarle una certa indulgenza e compiangerla come vittima del seduttore: questo si spiega sia con la sua volontà di aggravare la colpa del rivale, sia con la condizione in cui si trovava la donna ejpithrw`n... prosfevrwn: «infatti, facendo la posta all’ancella incaricata delle compere al mercato e dandole a portare messaggi»; ejpithrei`n significa «spiare», «mettersi alla caccia di», «star dietro a»; qeravpaina («serva», «fantesca», «schiava») è il greca, priva di capacità giuridica e ritenuta non pienamente responsabile. «Parrebbe proprio che la povera donna sia stata un oggetto passivo, non custodito sufficientemente e diventato, quindi, preda di un piano criminoso... Ma tale impressione verrà in noi ben presto cancellata dal successivo racconto del tradimento, nel quale notiamo, nella donna, una scaltrezza e una volontà ben determinata di ingannare Eufileto» (A. Scotti Di Uccio, Con Lisia in Atene, Napoli, 1963, p. 51). - lovgou~ prosfevrwn: lovgou~ è usato in senso erotico: «ancor oggi, nell’uso del popolino, parlare significa, talvolta, amoreggiare» (U. Mancuso, p. 74). Poiché la donna ateniese di condizione agiata si asteneva dal frequentare personalmente l’ajgorav (cfr. Senofonte, Economico, VIII, 22), e far provviste era compito degli schiavi o del marito stesso, l’ancella costituiva, normalmente, la via obbligata per giungere alla padrona; e, d’altra parte, non doveva essere infrequente il caso che una donna sposata appunto di essa si servisse per comunicare con il proprio amante (cfr. Euripide, Ippolito, vv. 645-650; C. Mossé, La vita quotidiana della donna.... cit., pp. 59-60). - ajpwvlesen aujthvn: nell’espressione si può cogliere il rimpianto per la perduta virtù della donna e per la felicità familiare distrutta. Nel § 87 dell’orazione pseudodemostenica Contro femm. di qeravpwn, vocabolo che in origine non fu sinonimo di dou`lo~, se tale, per es., era stato Patroclo per Achille; th;n... badivzousan (partic. attributivo): lett: «quella che soleva recarsi al mercato», cioè «addetta a far la spesa al...» (badivzw è 18 frequentativo di baivnw); lovgou~ prosfevrwn: «facendole, a mezzo di quella, proposte».- ajpwvlesen aujthvn: «riuscì a trarla in perdizione»; aujthvn: scil. la moglie di Eufileto. Per Eufileto-defin2.qxd 21/04/2012 17.21 Neera è riferito il testo della legge sull’adulterio vigente ad Atene: «Chi abbia sorpreso un adultero in flagranza di reato, non potrà convivere con la moglie; se convive, perderà i diritti civili. E la donna con cui sia stato colto in flagrante un adultero sarà interdetta dalle cerimonie pubbliche; e se ci va, abbia qualsivoglia punizione, che non costituirà reato, eccezion fatta per la morte» (trad. di E. Avezzù). «Il legislatore non contemplava la punizione per l’adultera, non perché la donna coinvolta fosse esente da sanzioni, ma perché tali sanzioni non rientravano nel numero dei supplizi cittadini: ad infliggerle il castigo era, per diritto, l’uomo che esercitava il controllo su di lei» (L. Suardi, p. 25). «Quale fosse questo castigo... è tutt’altro che facile dire: ma sembra inevitabile, a questo proposito, distinguere i diritti del marito da quelli del padre, del fratello e del figlio. Il marito, forse, non poteva di- Pagina 19 sporre a sua volontà della vita di una donna che, pur essendogli stata data in moglie, era sempre, purtuttavia, la figlia, la sorella o la madre di un altro cittadino... Ma se l’esistenza di parenti di sangue della moglie poteva limitare le reazioni del marito, chi poteva impedire a un padre (o, in assenza di questi, a un figlio o a un fratello) di mettere a morte colei che aveva macchiato l’onore familiare? Evidentemente nessuno. Quel che non sappiamo è con quale frequenza e secondo quali modalità concrete ciò accadesse» (E. Cantarella, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano, 1991, pag. 48). In ogni caso l’adultera perdeva lo status di donna onesta e, estromessa dalla rispettabilità dell’oi\ko~, impossibilitata a contrarre un nuovo matrimonio, esclusa – in quanto impura – dalle cerimonie della polis, era per lo più destinata, per sopravvivere, all’esercizio della prostituzione. 19