POLITICA 165 PC 04 I Originale: Inglese Assemblea Parlamentare NATO LA NATO E L'USO DELLA FORZA BOZZA DI RELAZIONE GENERALE BERT KOENDERS (NETHERLANDS) RELATORE GENERALE* Segreteria Internazionale * 25 ottobre 2004 Finché non approvato dalla Commissione Politica, questo documento rappresenta esclusivamente l’opinione dell’autore. I documenti dell’Assemblea sono disponibili all’indirizzo web http://www.nato-pa.int 61 PC 04 E i INDICE I. INTRODUZIONE ..................................................................................................................... 1 II. IL DIRITTO INTERNAZIONALE E L'USO DELLA FORZA ...................................................... 2 III. INTERVENTI UMANITARI....................................................................................................... 3 IV. DIFESA PREVENTIVA E PREVENZIONE .............................................................................. 5 V. LA GESTIONE DELLE MINACCE ........................................................................................... 6 A. COMBATTERE IL TERRORISMO ..................................................................................... 6 B. LA PROLIFERAZIONE DELLE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA................................. 7 VI. L'USO DELLA FORZA MILITARE SENZA LA PREVIA AUTORIZZAZIONE ............................ DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU ........................................................................ 8 Imminenza della minaccia ................................................................................................ 9 Plausibilità del pericolo ..................................................................................................... 9 Proporzionalità dei mezzi.................................................................................................. 9 VII. AFFRONTARE LE SFIDE ....................................................................................................... 9 A. IRAQ................................................................................................................................. 10 B. STATI FALLITI.................................................................................................................. 11 C. PROLIFERAZIONE DELLE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA .................................... 12 D. LOTTA CONTRO I GRUPPI TERRORISTICI ATTIVI A LIVELLO INTERNAZIONALE ... 14 VIII. CONCLUSIONI...................................................................................................................... 15 61 PC 04 E I. 1 INTRODUZIONE 1. A oltre un anno dai contrasti tra gli Alleati in merito all’Iraq, la NATO ha compiuto importanti progressi nella formazione del consenso per raggiungere un accordo su questioni fondamentali per la sicurezza euroatlantica. Per progredire nel proprio contributo alla pace e alla stabilità la NATO ha deciso, in particolare, di rafforzare la propria presenza in Afghanistan per sostenere lo sviluppo dell’autorità del governo centrale nel paese e per fornire sostegno alle elezioni di ottobre. Per di più, affermando che un Iraq stabile è nel comune interesse di tutti i paesi membri, la NATO si è anche offerta di addestrare le forze di sicurezza irachene. Inoltre, mantenendo la sua forte presenza nei Balcani, specialmente in Kosovo, la NATO ha ulteriormente approfondito la cooperazione con l’Unione Europea nella regione. L’Alleanza ha anche deciso di estendersi verso nuove regioni di importanza strategica, con particolare riferimento al “Medio Oriente allargato”. 2. Nonostante i progressi, però, gli Alleati non hanno risolto varie questioni, come per esempio l'interrogativo su chi debba autorizzare la forza militare e a quali condizioni. La questione è fondamentale e richiede l'urgente attenzione degli Alleati, a meno che non si voglia rischiare di ingenerare un divario crescente tra l’opinione statunitense e quella europea in merito alla legittimità e all’uso della forza. Come ha dichiarato l’ex ministro della Difesa tedesco, Walter Stützle, agli inizi di ottobre, di fronte alla sottocommissione per le relazioni transatlantiche, la NATO sembra aver perso, almeno temporaneamente, ciò che egli ha definito la “capacità C3” cioè la capacità di concordare su un’idea comune, di ottenere consenso politico e di agire come coalizione. 3. Se da un lato gli Allearti hanno trovato l’accordo su taluni aspetti, non si è ancora avuto un concreto dialogo politico sugli indirizzi principali della NATO. Per esempio, mentre c’è un consenso unanime sul fatto che la NATO abbia un ruolo chiave per la sicurezza euroatlantica, non esiste un terreno comune in merito al grado di ambizione dell’Alleanza, il che pone rischi seri. Inoltre, non vi è corrispondenza tra promesse e contributi effettivi, come hanno chiaramente dimostrato gli sforzi estenuanti dei Segretari Generali Robertson e de Hoop Scheffer , che hanno dovuto letteralmente pregare gli Alleati per ottenere l’invio di truppe in Afghanistan. Considerare l’Afghanistan come un banco di prova per la NATO può rivelarsi un boomerang se non si dovesse raggiungere il successo. Se siamo tutti concordi nel ritenere che i gruppi terroristici, la proliferazione delle armi di distruzione di massa (WMD) e gli stati falliti (o in fallimento) costituiscono attualmente le più gravi minacce alla sicurezza per gli Alleati, quale dovrebbe essere il ruolo della NATO nel fronteggiarle? Potrebbe la NATO affrontarle da sola - chi scrive ne dubita - o dovrebbe farlo in collaborazione con altri attori internazionali? Come possiamo rafforzare la nostra cooperazione con l’UE (assolutamente importante nei Balcani, nel “medio oriente allargato” e nel Caucaso del Sud, tanto per fare qualche esempio), con l’ONU (stati falliti o in fallimento, terrorismo e “stati canaglia”) e con i partner NATO? Per quanto riguarda le relazioni con l’Europa, ulteriori sviluppi sono al momento bloccati sulla questione della forma di partecipazione dell’UE, ancora irrisolta per via di Cipro. In merito alla cooperazione con l’ONU, siamo ancora ai contatti preliminari tra il Segretario Generale de Hoop Scheffer e il Segretario Generale Kofi Annan. 4. La ricerca del consenso in ambito NATO è un pre-requisito indispensabile per affrontare efficacemente le odierne minacce alla sicurezza. Per raggiungerlo è indispensabile il dialogo, ma lo stato attuale delle relazioni transatlantiche è caratterizzato da un’assenza di dialogo sugli scopi fondamentali dell’Alleanza. Non vi è accordo sul modo migliore per fronteggiare il terrorismo e i paesi in possesso di armi di distruzione di massa (WMD). Alcune nazioni ritengono che la strada percorsa finora per combattere il terrorismo possa produrre ulteriore terrorismo. Non vi è accordo sull’importanza dei concetti di contenimento e deterrenza nell’ipotesi di nuovi proliferatori. Ancora, la crisi irachena ha dimostrato l’importanza degli ispettori ONU e la validità dei metodi impiegati in passato dall’ispettore Hans Blix nel confrontarsi con l’Iraq. A parte l’Afghanistan, stati “in fallimento” come il Sudan e la Repubblica Centroafricana non godono di attenzioni da parte della NATO. In un mondo in cui la domanda per efficaci politiche di sicurezza supera grandemente 61 PC 04 E 2 l’offerta, NATO deve contemporaneamente affrontare molteplici sfide in termini di risorse militari e di mancanza di consenso sulle priorità pratiche. L’accordo sui principi basilari è assolutamente fondamentale per ricreare un clima di fiducia e speranza sull’agenda NATO, le sue priorità e l’insieme specifico di strumenti politici da impiegare. Talvolta, per affrontare problemi di sicurezza, si rendono necessarie “coalizioni di intenti”, ma una proliferazione di coalizioni di questo genere sarebbe controproducente per la stessa ragion d’essere dell’Alleanza. Nell’incoraggiare un vero dialogo politico su queste questioni il Consiglio della NATO ha un ruolo insufficiente che, invece, dovrebbe rafforzare, considerandolo prioritario. 5 Sebbene notevolmente migliorata, la capacità della NATO di pronta reazione militare in caso di crisi non conta ancora su un processo decisionale adeguato al rapido evolversi degli eventi. Il dispiegamento di forze e le possibili misure preventive necessitano del consenso di tutti gli Stati membri dell’Alleanza; quindi bisogna rivedere il processo decisionale politico per consentire alle forze di reazione rapida, come quella della NATO (NRF), di svolgere i propri compiti. La creazione di forze di intervento: la Forza di Reazione NATO (NRF), le Forze di Reazione Rapida Europee (ERRF) e i “Gruppi di combattimento” è caldeggiata perché accresce la capacità degli Alleati nella prevenzione dei conflitti e nella protezione della stabilità. Al momento di assegnare truppe a questa o quella forza internazionale, però, le nazioni sollevano questioni di priorità (politica) in tempo di crisi: chi decide che l’impiego di truppe NRF in Afghanistan sia più importante di un intervento ERRF nei Balcani? Ciò ingenera un’idea di scarsa chiarezza e di competizione. 6 Queste e altre sono le questioni che, l’anno prossimo, gli Alleati e, quindi, la Commissione Politica si troveranno ad affrontare. Chi scrive è convinto che un’analisi aperta e franca di questi aspetti potrebbe dare impulso a un dibattito strategico e produttivo, da tanto atteso. In questa relazione si presenta, quindi, un breve panorama dell'attuale contesto giuridico internazionale che regola l'uso della forza, e si propongono i principi di fondo che gli Alleati potrebbero prendere in considerazione prima di ricorrere alla forza militare come estrema risorsa. In merito alle lezioni politiche dell'Iraq e delle odierne sfide in Afghanistan, si sottolinea come l’accordo su un piano realistico di ambizioni sia vitale e sia un pre-requisito per la riuscita della NATO. II. IL DIRITTO INTERNAZIONALE E L'USO DELLA FORZA 7. Gli sviluppi successivi alla Guerra Fredda sembrano aver riacceso il dibattito sul ricorso ad azioni militari, prive dell'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ONU (UNSC), in caso di legittima autodifesa oppure per fermare atrocità appoggiate o tollerate da uno stato. Le discussioni su una necessaria trasformazione della giurisprudenza sull'uso della forza si svolgono su uno sfondo che porta in primo piano le questioni etiche nella politica globale, e la natura mutevole delle minacce alla sicurezza internazionale. Si riconosce, inoltre, che la connessione tra armi di distruzione di massa e terrorismo può richiedere una risposta militare che non rientri nel vigente quadro giuridico internazionale. Va sottolineato comunque che il dibattito su una più ampia interpretazione dell'uso della forza è decisamente avanzato tra le nazioni occidentali, e tra numerosi alleati NATO in particolare, e che in larga maggioranza i paesi sviluppati, ma anche nazioni come la Russia, la Cina e l'India, rimangono critici rispetto a eventuali emendamenti alla Carta delle Nazioni Unite. 8. La Carta delle Nazioni Unite contiene, anche se leggermente superata, una normativa generale sull'uso della forza. Lo scopo principale della Carta è la composizione delle dispute tra stati sovrani. Chiede ai paesi membri di astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato (articolo 2(4)). In base alla Carta la responsabilità principale per il mantenimento della sicurezza internazionale e per l'adozione di misure comuni contro le minacce alla pace spetta al Consiglio di Sicurezza. Sottoscrivendo la Carta, i paesi membri "convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza". 61 PC 04 E 3 9. Quando, nel 1945, gli USA, l'URSS e il Regno Unito costituirono il Consiglio di Sicurezza ne fecero di fatto un "guardiano del mondo", l'arbitro ultimo posto al culmine della struttura gerarchia delle relazioni internazionali. Nelle intenzioni, i suoi membri permanenti avrebbero avuto la capacità di intraprendere azioni militari comuni contro stati dai progetti aggressivi. Si attribuì inoltre al Consiglio il diritto di determinare "l'esistenza di una minaccia alla pace o di un atto di aggressione" (articolo 39) e di autorizzare e prendere misure non-militari e militari contro l'aggressore. Tra le misure non-militari si prevedono sanzioni economiche e rottura delle relazioni diplomatiche (articolo 41), mentre tra quelle militari si annoverano interventi militari "per ristabilire la pace e la sicurezza" (articolo 42). Gli articoli 2 (4) e 51 della Carta proibiscono in generale l'uso della forza nelle relazioni internazionali. Le uniche due eccezioni sono costituite da misure collettive autorizzate dal Consiglio di Sicurezza e misure di autodifesa in risposta a un attacco armato contro il proprio territorio. In effetti, il testo della Carta, considerato come la più autorevole fonte giuridica sull'uso della forza armata, chiarisce bene che i membri fondatori delle Nazioni Unite erano favorevoli a bandire l'uso della forza in qualsiasi altra occasione. 10. È importante sottolineare che, originariamente non si prevedeva che il Consiglio di Sicurezza dovesse occuparsi di moderate minacce alla sicurezza e di quelle determinate da guerre civili e da entità non statali. Inoltre, la Carta non contempla le nuove minacce alla sicurezza, per esempio quelle poste dai gruppi terroristici attivi a livello internazionale. Quando, questa primavera al Quartier generale delle Nazioni Unite, i membri del Comitato Politico hanno discusso di questi aspetti si è avuto un consenso generale sul fatto che la Carta delle Nazioni Unite, nella sua stesura del 1945, non è più adeguata agli odierni problemi di sicurezza. In aggiunta a tutto ciò, il concetto di sovranità di uno stato ha, da allora, subito cambiamenti radicali. III. INTERVENTI UMANITARI 11. I genocidi di stato perpetrati in Cambogia, nell'ex Yugoslavia e in Ruanda hanno determinato una maggiore consapevolezza della responsabilità dello stato. C'è ora una migliore comprensione del fatto che la comunità internazionale ha il diritto, se non il dovere, di intervenire persino senza autorizzazione del Consiglio di Sicurezza se uno stato persevera nel violare gravemente i diritti umani dei propri cittadini. I fallimenti, nell'ultimo decennio del secolo scorso, hanno portato a occuparsi con più attenzione delle carenze della comunità internazionale nell'affrontare disastri umanitari causati da guerre civili e genocidi di stato. Le risposte alle sfide sono state essenzialmente due: la prima, cercare di generare un consenso internazionale per poter considerare legali, a norma del diritto internazionale, gli interventi umanitari; la seconda, per rendere più efficaci le operazioni di mantenimento della pace dell’ONU. 12. In relazione alla legalità degli interventi umanitari, la Commissione internazionale sull'intervento e la sovranità degli stati (ICISS) ha raccomandato al Consiglio di Sicurezza una serie di sei principi/linee guida, che potrebbero costituire una cornice di riferimento condivisa e accettata per trattare la questione dell'intervento militare su basi umanitarie1, cioè: Giusta causa (se il danno subito o minacciato è sufficientemente palese e grave da giustificare un intervento militare); Legittimo proposito (se l'obiettivo primario dell'intervento militare proposto è di mettere fine o scongiurare la minaccia esterna o interna); Estrema risorsa (se ogni alternativa non militare per prevenire o risolvere pacificamente una crisi è stata esplorata, e vi siano ragionevoli motivi per ritenere che misure meno forti non servirebbero); Mezzi proporzionati (si riferisce alla portata, durata e intensità, dell'intervento militare programmato, minime necessarie per raggiungere l'obiettivo definito di proteggere degli esseri umani); Prospettive ragionevoli (l'intervento militare deve avere ragionevoli probabilità di successo nel far fronte alla minaccia esterna o interna, e le conseguenze dell'azione non devono essere peggiori di quelle dell'inazione); Autorità competente 1 The Responsibility to Protect: Sovereignty, 2001 Report of the International Convention on Intervention and State 61 PC 04 E 4 (se l'azione militare è legittima). Chi scrive crede che questi principi possano costituire una guida per possibili interventi militari NATO su basi umanitarie nel caso in cui il Consiglio di Sicurezza non possa autorizzare l'azione. Ciò dovrebbe accadere solo per evenienze eccezionali in base al principio secondo cui “l’emergenza crea lo stato di necessità” e ove i membri del Consiglio di Sicurezza dovessero opporsi all’intervento per ragioni che nulla abbiano a che fare con la situazione in discussione. In un contesto del genere, un’alternativa praticabile potrebbe essere l’Astensione costruttiva, discussa in ambito UE. 13. Per imparare dai fallimenti del passato, come quelli in Ruanda e a Srebrenica (BosniaErzegovina), e per individuare strategie per migliorare l'efficacia delle operazioni ONU di mantenimento della pace, il Segretario Generale ha costituito il "Comitato sulle Operazioni di Pace dell'ONU" che, a conclusione del proprio lavoro, ha prodotto il cosiddetto Rapporto Brahimi, reso pubblico nell'agosto 2000. Il rapporto sottolineava la necessità di una più efficace strategia nella prevenzione dei conflitti, predisponendo salde regole di impegno per consentire ai partecipanti di difendere se stessi e il proprio mandato, e sviluppando migliori strategie di mantenimento della pace. In questa ottica il rapporto raccomandava, tra l'altro: un'ampia riorganizzazione del Dipartimento ONU per le Operazioni di Mantenimento della Pace (UNDPKO); la creazione di una nuova unità di informazioni e analisi strategiche al servizio di tutti dipartimenti ONU che si occupano di pace e sicurezza, e di una task force integrata presso il Quartier generale ONU per programmare e sostenere sin dall'inizio tutte le missioni di pace; nonché un uso più sistematico della tecnologia dell’informazione. 14. Da allora, le operazione di mantenimento della pace (PKO) sono diventate più "salde". Tuttavia, se da un lato l'ONU si è impegnato maggiormente nella prevenzione e nella gestione delle crisi, dall'altro accusa un "sovraccarico di operazioni", ha commentato Sir Kieren Prendergast, sottosegretario ONU per gli Affari Politici, nel corso delle riunioni del Comitato Politico al Quartier generale. Inoltre, l'ONU è ostacolato dalla riluttanza dei paesi sviluppati a partecipare alle operazioni di mantenimento della pace (PKO). Al momento, la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (MONUC) dovrebbe essere rafforzata da forze occidentali. 15. La limitata capacità dell'ONU nella prevenzione dei conflitti e nel mantenimento della pace, per non parlare delle operazioni di imposizione della pace, ha dato importanza alle organizzazioni regionali. Nell'affrontare una sfida alla sicurezza, la NATO, l'UE, l'Organizzazione degli Stati Africani (OAS), l'Unione Africana (AU), la Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS) e l'OSCE possono godere di credibilità diplomatica e disporre di risorse che mancano all'ONU. Per fare un esempio, nell'incontro di questa primavera con la Commissione, Il Segretario Generale dell'ONU, Kofi Annan, ha detto che la NATO potrebbe intervenire nelle operazioni di imposizione della pace, pressappoco come avviene con l'UE nell'operazione Artemis nella Repubblica democratica del Congo, con il ruolo di forza ponte prima dello spiegamento degli operatori di pace ONU. 16. L'operazione NATO in Kosovo, nel 1999, ha aperto un nuovo dibattito sulla legalità dell'intervento umanitario. Fondamenti giuridici per l'intervento NATO erano l'applicazione delle Convenzioni di Ginevra e le norme del diritto internazionale per i diritti dell'uomo. Gli Alleati sostenevano che per fermare le atrocità commesse dalle truppe e dalle milizie paramilitari serbe fosse necessario un intervento per proteggere la popolazione travolta dalla guerra civile. Inoltre, per la NATO, il disastro umanitario in Kosovo rappresentava una minaccia alla pace e alla sicurezza. 17. Tuttavia, come sostiene qualcuno, se da un lato il Consiglio di Sicurezza dell'ONU si è mostrato più disposto a intervenire, dall'altro alcuni attori nazionali non hanno nascosto la propria riluttanza, come confermato dalla crisi in Kosovo. I paesi in via di sviluppo così come vari importanti stati membri dell'ONU, cioè la Russia, la Cina e l'India, hanno sostenuto che il concetto 61 PC 04 E 5 di intervento umanitario mina l'ordine internazionale. Mosca ha ripetutamente dichiarato che non si deve permettere che la NATO, o qualsiasi altra organizzazione raggruppante stati, possa sostituirsi all'ONU nel suo ruolo di "arbitro della sicurezza". Nel commentare la campagna aerea NATO del 1999 in Kosovo, il presidente russo Boris Yeltzin aveva detto: "Solo il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha il diritto di decidere quali misure, forza compresa, vadano adottate per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale". L'opposizione russa all'uso della forza senza l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza è rimasta tale. L'India e l'Indonesia hanno espresso preoccupazione in merito agli interventi umanitari. Jakarta, in particolare, teme che le azioni umanitarie possano condurre a un crollo dello stato indonesiano, sulla falsariga di quanto accaduto in Yugoslavia. La Cina paventa l'ipotesi di un intervento a guida USA a favore di Taiwan. 18. La tiepida accoglienza, come l'ha definita Sir Kieren Prendergast, riservata dagli stati membri ONU al Rapporto intitolato “La Responsabilità di Proteggere” evidenzia quanto siano scarse le possibilità di raggiungere un ampio consenso internazionale sugli interventi umanitari. Tuttavia, come ha detto un funzionario ONU alla Sottocommissione, non c’è alternativa: "se si vuole proteggere, bisogna accettare un'intromissione maggiore". Esperti internazionali, tra cui David Malone, Presidente della International Peace Academy (IPA), hanno espresso scetticismo sul fatto che il Comitato di alto livello sulla sicurezza collettiva (costituito dal Segretario Generale dell'ONU, Annan), che il prossimo dicembre presenterà le proprie raccomandazioni sulla riforma dell’ONU, possa proporre una soluzione esauriente. Sarà difficile per il comitato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU concordare sulle priorità, giacché molti paesi in tutto il mondo ritengono che la povertà, la malattia e la violenza non bellica siano questioni molto più importanti per la sicurezza di quanto lo siano il terrorismo e la proliferazione delle armi di distruzione di massa. La revisione del Consiglio di Sicurezza sarà un punto cruciale nella riforma dell’ONU, chi scrive non è, però, convinto che l’assegnazione a Germania, Giappone, Brasile e India di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU possa generare il consenso sugli interventi umanitari. Le indicazioni precedentemente fornite (astensione costruttiva, “l’emergenza prevale sulla legge”) sono promettenti. Nel contempo, chi scrive sollecita il Segretariato Generale della NATO ad approfondire la cooperazione con l’ONU sulla base del Rapporto Brahimi. IV. DIFESA PREVENTIVA E PREVENZIONE 19. Un cambiamento paradigmatico nella sicurezza internazionale dopo la fine della Guerra Fredda ha accresciuto il riconoscimento del pericolo rappresentato dalla proliferazione delle armi di distruzione di massa; in particolare, poi, l'effetto degli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti hanno spinto molti stati a proporre di emendare la Carta delle Nazioni Unite. 20. La Carta delle Nazioni Unite non impedisce a organizzazioni regionali, come la NATO, di impegnare le forze armate per contrastare minacce alla pace e alla sicurezza, purché l'azione militare sia determinata da necessità di autodifesa. L'articolo 51 della Carta riconosce, infatti "il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato". Il testo chiarisce anche che, sebbene le organizzazioni come la NATO abbiano il legittimo diritto di reagire alle minacce alla sicurezza internazionale (articolo 52), anche con azioni coercitive "conformi ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite", nessuna azione potrà essere intrapresa senza la preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza (articolo 53). 21 Il caso Iraq ha chiaramente dimostrato il fatto che bisogna ridare fiducia alla raccolta e alla condivisione delle informazioni, incoraggiare il rafforzamento del sistema di ispezioni dell’ONU e migliorare la programmazione delle azioni post-intervento. 22. A causa degli attacchi terroristici dell'11 settembre, negli Stati Uniti la percezione della minaccia al proprio territorio è cambiata radicalmente; e, nel settembre 2002, la US National Security Strategy (NSS) ha avanzato l'opzione dell'azione militare preventiva come mezzo di 61 PC 04 E 6 estrema risorsa per difendersi da possibili attacchi. Sostenendo che l'Iraq producesse armi chimiche e biologiche, fatto che costituiva un "pericolo immediato", gli Stati Uniti e il governo britannico hanno deciso di ricorrere all'azione militare contro il regime di Saddam Hussein. I critici dell'amministrazione statunitense hanno affermato che la guerra in Iraq è stata "un’occasione per sperimentare la dottrina USA della prevenzione". Il Rapporto Duelfer, in effetti, ha chiaramente stabilito che l’Iraq non produceva armi di distruzione di massa. 23. La NSS, comunque, prevede l'uso preventivo della forza militare solo come estrema risorsa. Ovviamente, qualsiasi azione di autodifesa, compreso l'uso preventivo della forza, deve rispettare tre criteri: necessità, proporzionalità e immediatezza. La necessità comporta che la forza difensiva sia impiegata quando non esista nessun altro mezzo ragionevole per impedire un attacco. Ciò significa che si sono tentate tutte le vie disponibili: diplomatiche, politiche, economiche o di altro genere. Il principio di proporzionalità limita l'azione difensiva allo stretto necessario per inibire l'attacco. Secondo il professor Yoram Dinstein2, l'imminenza di un attacco non si stima in base al tempo che intercorre prima che avvenga, bensì in base alla praticabilità dell'azione difensiva in un determinato momento. Nel contesto di un attacco terroristico o con armi di distruzione di massa l'ultima occasione per agire potrebbe aversi ben prima che si verifichi l'attacco. Tuttavia, l’articolo 51 prevede il consenso internazionale nella definizione di questi casi. 24. La Strategia di Sicurezza Europea (ESS) sembra sottendere una simile percezione della minaccia, giacché riconosce come minacce chiave le armi di distruzione di massa e gli attacchi terroristici e accetta l'idea che la forza possa essere necessaria come ultima risorsa. Tuttavia, c'è un differenza significativa: prima di impiegare la forza militare a scopo preventivo, la ESS richiederà l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. V. LA GESTIONE DELLE MINACCE 25. Il ministro alla Difesa USA, Donald Rumsfeld, ha parlato ripetutamente di "una connessione tra rete terroristica, stati terroristi e armi di distruzione di massa" indicandola come uno dei maggiori pericoli per la sicurezza degli Stati Uniti e di quella dei suoi alleati e paesi amici. La NSS nota che "il pericolo più grave che la nostra nazione corre si trova all'incrocio tra il radicalismo e la tecnologia. I nostri nemici hanno dichiarato apertamente che vogliono procurarsi armi di distruzione di massa e vi sono prove che indicano che perseguono questo fine con determinazione". A. COMBATTERE IL TERRORISMO 26. Tra gli Alleati si sta radicando un consenso sull'ipotesi che la NATO possa usare le forze armate in situazioni che non presuppongano autodifesa territoriale oppure operazioni di mantenimento della pace. Secondo chi scrive, ciò dovrebbe accadere solo nell'ambito di un'ampia strategia d'impiego di strumenti politici e finanziari e di risorse per la costruzione della democrazia. La minaccia più ovvia e potente che può richiedere una risposta militare è il terrorismo internazionale. Il 2 aprile 2004, il Consiglio Atlantico (NAC) ha riaffermato ancora una volta la determinazione della NATO ad adottare una decisa posizione antiterroristica e ha ammesso che "la difesa contro il terrorismo può prevedere attività delle forze NATO (…) per assistere, scoraggiare, difendere, interrompere e proteggere da attacchi terroristici, o minacce di attacchi, dirette dall'estero contro popolazioni, territori, infrastrutture e forze di un qualunque stato membro; e comprendere azioni contro i terroristi e coloro che li accolgono". La dichiarazione del NAC afferma che qualsiasi azione NATO si conformerà alle norme della Carta delle Nazioni Unite. Il Consiglio di Sicurezza si è, comunque, mostrato restìo ad autorizzare azioni militari preventive o di rappresaglia. 2 Yoram Dinstein, War Agression, and Self Defense (Cambridge: 3rd ed. 2001) 61 PC 04 E 7 27. In merito all'uso collettivo della forza per combattere il terrorismo, il principale punto di riferimento per gli Alleati è il Concetto militare della NATO per la difesa contro il terrorismo approvato al summit di Praga nel 2002. Il concetto si basa sul Threat Assessment on Terrorism della NATO, che ha concluso che il fondamentalismo religioso diventerà probabilmente la fonte più pericolosa di minacce terroristiche nel breve-medio termine. Il documento ha inoltre evidenziato la minaccia costituita dai probabili tentativi di acquisire armi di distruzione di massa da parte dei gruppi terroristici. Il Concetto militare individua quattro missioni che le forze NATO potrebbero assumere nella lotta contro il terrorismo: Attuare misure difensive antiterrorismo per proteggere i territori NATO e le forze schierate; Svolgere operazioni di soccorso in caso di calamità, compresa la difesa chimica, biologica, radiologica e nucleare; Promuovere la cooperazione tra le agenzie militari e civili per prevenire gli attacchi terroristici; Compiere azioni militari controterroristiche allo scopo di ridurre le capacità dei gruppi terroristici e, possibilmente degli stati che li sostengono. 28. A prescindere dalle questioni inerenti le capacità, esiste un problema più vasto: raggiungere un consenso politico sulle modalità d'impiego della forza nella difesa contro il terrorismo. Per esempio, rimane aperta la questione se il NAC abbia la volontà politica di autorizzare operazioni controterroristiche come quella intrapresa in Afghanistan dalla coalizione a guida USA. A questo proposito si rende necessario e urgente un dibattito che non solo i ministri della Difesa, ma anche i ministri degli Esteri, dovrebbero incoraggiare. B. PROLIFERAZIONE DELLE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA 29. Nonostante il Concetto strategico identifichi le armi di distruzione di massa come un grave problema di sicurezza, la responsabilità della NATO in questo campo è piuttosto limitata. Si sono compiuti progressi, sviluppando concetti e teorie appropriate, e l'Alleanza ha acquisito valide capacità di risposta alle calamità; permangono, però, carenze nei settori della condivisione delle informazioni, della valutazione delle minacce e delle capacità di reazione rapida. In relazione ai primi due settori, gli Alleati hanno recentemente costituito l'Unità di Intelligence per la Minaccia Terroristica, che dovrebbe raggiungere la piena operatività alla metà del 2004. La NATO ha fornito sorveglianza aerea, intelligence e supporto per le emergenze civili alla Grecia, prima e durante i Giochi Olimpici 2004 ad Atene, e al Portogallo, durante i Campionati europei di calcio.. La NATO vaglierà, inoltre, la possibilità di collegare la sua Active Endeavour , l'operazione navale antiterrorismo nel Mediterraneo, all'Iniziativa dì Sicurezza per la Proliferazione (PSI). Infine si è chiesto al NAC di incentivare il suo dialogo contro il terrorismo con gli stati partner, Russia e UE comprese. 30. Nel settore della non-proliferazione, l'amministrazione USA si è mostrata generalmente più scettica degli alleati sul ruolo degli accordi internazionali e sulla loro efficacia. Anche in questo caso, gli Stati Uniti sembrano porre forte enfasi sulla necessità di impiegare strumenti militari, ponendo quindi l'accento sulla contro-proliferazione (diversa dalla non-proliferazione, che prevede mezzi non militari quali la diplomazia). 31. In ogni caso appare urgente rafforzare i regimi di controllo delle armi internazionali e intensificare i meccanismi di verifica e le ispezioni in loco, anche supportate dalla forza militare, se necessario. Molti paesi vivono le misure di non-proliferazione come essenzialmente discriminatorie. Quindi le misure verticali e orizzontali di non-proliferazione, così come i controlli sulle esportazioni, vanno intensificati. 61 PC 04 E 8 32. La contro-proliferazione è un altro settore in cui la NATO può dover prendere difficili decisioni politiche. Sebbene il Concetto strategico dell'Alleanza (1999) sia sufficientemente flessibile per contemplare misure contro chi persevera nella proliferazione delle armi di distruzione di massa, sarà necessaria una discussione per stabilire in quali circostanze l'applicazione di queste misure può essere politicamente e giuridicamente giustificata. 33. L'attenzione va concentrata sulla condivisione delle capacità di intelligence e sulle attività di valutazione della minaccia, principalmente nell'ambito del Centro per le armi di distruzione di massa, che attinge all'esperienza del Segretariato internazionale, dello Stato Maggiore Militare Internazionale e delle agenzie nazionali. Tuttavia, con soltanto 14 esperti a disposizione e un accesso regolamentato al NAC, le risorse e le capacità del Centro sono limitate. Parimenti, secondo il Segretariato internazionale della NATO, le intese per la condivisione delle informazioni con i governi nazionali non sono affatto ideali. 34. L'Iniziativa per la sicurezza contro la Proliferazione (PSI) annunciata dal Presidente Bush, il 31 maggio del 2003, prevede una “coalizione di intenti” marittima per interdire selettivamente imbarcazioni o velivoli diretti o provenienti da "stati canaglia", con particolare riferimento a mezzi che trasportino armi nucleari, chimiche e biologiche, così come esplosivi. Molti stati membri della NATO hanno già aderito all’iniziativa; la stessa NATO si è detta assolutamente favorevole al PSI e alla relativa Dichiarazione dei Principi di Interdizione, giacché offre una piattaforma più coordinata ed efficace per interdire il trasferimento o il trasporto di armi di distruzione di massa, così come i sistemi di consegna e i materiali relativi alla costruzione delle stesse, da e verso gli stati o i nonstati interessati alla proliferazione. Per parte loro, gli Alleati sollecitano i paesi facenti parte del Partenariato per la Pace (PfP) ad approvare e mettere in atto le misure indicate nel PSI. Il PSI, però, solleva almeno due problemi giuridici. Innanzitutto, per i paesi non firmatari del Trattato sulla non-proliferazione Nucleare (TNP) la vendita di materiali e tecnologie nucleari non è illegale ai sensi del diritto internazionale. Poi, la Convenzione ONU del 1982 sulla Legge del Mare (UNCLOS) accorda l'immunità alle flotte di stato impiegate per scopi non-commerciali. Chi scrive sarebbe, quindi, favorevole a che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottasse una risoluzione atta a rafforzare notevolmente i fondamenti giuridici del PSI. VI. L'USO DELLA FORZA MILITARE SENZA LA PREVIA AUTORIZZAZIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU 35. Quesiti a proposito della capacità del Consiglio di Sicurezza dell'ONU di affrontare efficacemente le odierne minacce alla sicurezza hanno dato slancio a dibattiti tra esperti e paesi in merito alle azioni militari condotte senza l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. A prescindere dalla questione relativa alla guerra in Iraq, un numero sempre crescente di paesi ha accettato l'idea di attacchi preventivi in situazioni estreme. Per esempio, la Programmation Militaire francese cita esplicitamente la capacité d'anticipation e la necessità del ricorso a un attacco preventivo in determinate situazioni. Anche la Russia si riserva il diritto di agire preventivamente in caso di minaccia mortale. 36. Il concetto NATO di lotta al terrorismo, adottato al summit 2002 a Praga, non esclude categoricamente gli attacchi preventivi contro le minacce terroristiche; però prevede che rispondano ai tre criteri per l'autodifesa già esposti: necessità, proporzionalità e immediatezza. Gli Stati membri NATO, inoltre, prima di deliberare su un’azione preventiva, dovrebbero valutare i costi previsti per l’azione rispetto a quelli derivanti dall’inazione. 37. Secondo alcuni esperti l’esperienza in Kosovo (primo esempio di impiego della forza da parte dell'Alleanza, allora considerato illegale in base a una rigida interpretazione della Carta delle Nazioni Unite) potrebbe costituire una guida per il futuro. La risoluzione ONU 1244, successiva alla 61 PC 04 E 9 campagna aerea, che autorizzò "gli stati membri e le maggiori organizzazioni internazionali a costituire una presenza internazionale di sicurezza in Kosovo", fu interpretata dai più come una legittimazione dell'azione della NATO. La missione ebbe poi un’ulteriore legittimazione nella KFOR. 38. Secondo Karl-Heinz Kamp3 un'azione militare (preventiva) può essere considerata legittima, se rispetta i seguenti criteri: Imminenza della minaccia 39. La minaccia deve essere incombente e non procrastinabile. L’impiego della forza militare è l'estrema risorsa dopo il fallimento di tutti i tentativi politici e diplomatici. Non significa che debba essere l'ultima misura, cronologicamente parlando, perché è concepibile che uno spiegamento di forze preventivo possa evitare un danno maggiore. Plausibilità del pericolo 40. Lo stato che impiega la forza militare deve essere in grado di spiegare in modo convincente e decisivo la minaccia contrastata. Per esempio, dopo aver bombardato il reattore OSIRAK iracheno, Israele ha illustrato la minaccia che l’impianto rappresentava con ampi dettagli e con il supporto di analisi scientifiche. Ciò, però, talvolta non basta. Quando, nel 1967, Israele lanciò un'azione militare contro l'Egitto, il Presidente francese Charles de Gaulle la definì un'aggressione vera e propria, mentre la maggioranza degli esperti di diritto internazionale sostenevano che la presenza di truppe egiziane sul confine con Israele fosse una minaccia plausibile per la sicurezza israeliana. Proporzionalità dei mezzi 41. Le dimensioni di un'azione militare (preventiva) devono essere commensurate al grado di minaccia e l'azione può prevedere solo ciò che è strettamente necessario per l'eliminazione della minaccia. 42. Inoltre, essendo la NATO un'alleanza di paesi che condividono gli stessi valori, qualunque azione militare al di fuori delle Nazioni Unite, deve trovare fondamento o riferimento in una base giuridica, per esempio una risoluzione ONU. Tuttavia, nessuno dei suddetti criteri è commensurabile e applicabile esattamente, e la lista non è esaustiva. Però, secondo chi scrive, è essenziale che i membri NATO aprano un serio dibattito su questa questione primaria. In particolare, si dovrebbe discutere di prevenzione e del suo possibile ruolo come ipotesi operativa, specialmente per la forza di reazione NATO (NRF). In questo contesto l'Alleanza dovrà stabilire, a fini programmatici, criteri di rischi condivisi e accettati. Inoltre, si dovranno fissare criteri di prevenzione su quando e dove in relazione sia agli stati nazionali sia ai non-stati. Oltre a esplorare terreni comuni sull'uso della forza contro nuove minacce, gli Alleati devono avviare un dibattito in merito agli interventi umanitari. VII. AFFRONTARE LE SFIDE 43. Subito prima della guerra in Iraq, Anne-Marie Slaughter, preside della Woodrow Wilson School, aveva stilato una serie di tre condizioni che ne avrebbero determinato la legittimità: se le forze della coalizione avessero trovato armi di distruzione di massa; se le forze della coalizione fossero state ben accolte dalla popolazione irachena e se la coalizione, una volta cessate le ostilità, si fosse rivolta all'ONU al più presto possibile. Più di un anno dopo l'azione militare, nessuna di queste condizioni è stata del tutto rispettata. Di conseguenza, la decisione di usare la forza senza una seconda risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU non si configura come un 3 Karl-Heinz Kamp, “Pre-emptive Strikes. A New security policy reality?” Konrad Adenaur Foundation Working Paper No. 120/2004, Berlin, February 2004. 61 PC 04 E 10 "piano per preventivi" attacchi militari e non può costituire un precedente per azioni future. Al contrario, la situazione in Iraq rappresenta un forte esempio di prevenzione e di "multilateralismo effettivo". Se i paesi membri NATO vogliono riuscire ad affrontare validamente le minacce dei gruppi terroristici e della proliferazione delle armi di distruzione di massa, devono conseguire la massima e ampia cooperazione internazionale. Ovviamente la forza militare è un elemento importante, ma è solo uno degli elementi possibili, e non può sostituire gli strumenti diplomatici, economici e finanziari e quant’altro possa comporre un ventaglio di sussidi alla politica per la sicurezza. A. IRAQ 44. In relazione all'Iraq, la guerra ha dimostrato che nessuna nazione, o gruppo di nazioni, da sola, può conquistare la pace, o arginare le cause alla base di futuri conflitti. Più in particolare, l'Iraq e l'Afghanistan hanno chiaramente dimostrato quanto sia fondamentale che qualunque ipotesi di uso della forza debba necessariamente prevedere un piano per il periodo postbellico. Anthony Cordesman del Center for Strategic and International Studies sostiene che l'amministrazione USA "non si è purtroppo preparata per le missioni, di sicurezza e costruzione di un nazione, in Iraq". Di conseguenza, la situazione della sicurezza è diventata talmente disastrosa da spingere molte delle poche organizzazioni umanitarie non governative rimaste a prendere in considerazione l’ipotesi di lasciare il paese. In luglio vari quotidiani statunitensi hanno rivelato che secondo un rapporto riservato dell’US National Intelligence Estimate on Iraq [valutazione delle informazioni sull’Iraq] il paese potrebbe, nella migliore delle ipotesi, raggiungere una “vaga stabilità” nei prossimi 18 mesi o, di contro, nella peggiore delle ipotesi, finire travolto dalla guerra civile. Dello stesso tenore è un rapporto del British Royal Institute of International Affairs4 (Chatham House), reso pubblico ai primi di settembre, secondo cui, se le attuali condizioni in Iraq dovessero permanere, vi sono concrete possibilità che il paese cada in una grave guerra civile che finirebbe per destabilizzare l’intera regione mediorientale. 45. Nonostante le carenze, l'ONU possiede una notevole esperienza nel campo della costruzione di nazioni, ed è l'unica istituzione che possa conferire immediata legittimazione globale allo scopo di dare all'Iraq un governo rappresentativo. Tuttavia, a più di un anno dalla dichiarazione di Bush sulla fine delle ostilità, l'ONU si trova in una situazione violenta e mutevole. Secondo un sondaggio Gallup condotto tra gli iracheni poco prima dello scoppio delle violenze di aprile, una stragrande maggioranza di iracheni vede la coalizione a guida USA come forza occupante e non come forza liberatrice. Nella percezione della maggioranza degli iracheni, le truppe statunitensi sono "indifferenti, pericolose e non hanno rispetto per la popolazione, le tradizioni e la religione del paese". Le notizie sui maltrattamenti subiti dai prigionieri da parte dei soldati americani e britannici hanno ulteriormente compromesso la credibilità e l'autorità della coalizione a guida USA agli occhi di molti iracheni. Dalla fine della guerra il mandato dell’ONU in Iraq si è progressivamente ampliato: La Risoluzione 1483 del Consiglio di Sicurezza ha fissato le prime linee guida per il ruolo delle Nazioni Unite nella ricostruzione del paese, ha nominato un Rappresentante speciale del Segretario Generale dell’ONU (SRSG) e ha riconosciuto l’Autorità provvisoria della coalizione (CPA) e il governo provvisorio iracheno. la Risoluzione 1500 ha varato la Missione ONU di Assistenza all’Iraq (UNAMI, il cui mandato è stato rinnovato per un altro anno dalla Risoluzione 1557 del 12 agosto 2004) con il compito di coadiuvare l’SRSG nella sua missione per coordinare e attuare il mandato ONU in Iraq. A oggi, però, a seguito degli attacchi contro l’ONU della scorsa estate, la presenza delle Nazioni Unite in Iraq conta solo su una trentina di persone e, se le condizioni di sicurezza non miglioreranno significativamente, appare poco probabile che possa essere incrementata. 46. La presenza della NATO in Iraq è limitata. In applicazione della Risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e in risposta alla richiesta del Governo provvisorio, i capi degli 4 Iraq in Transition: Vortex or Catalyst, Chatham House September 2004 61 PC 04 E 11 Stati membri NATO, riuniti a Istanbul lo scorso giugno, hanno concordato di coadiuvare l’Iraq nell’addestramento delle sue nuove forze di sicurezza. Il 22 settembre, gli ambasciatori NATO hanno deciso di incrementare il numero degli addestratori, portandolo da 40 a circa 300, e di creare un’accademia militare nei dintorni di Baghdad. Nell’ottobre di quest’anno, il Consiglio Atlantico (NAC) ha deliberato su un Concetto di Operazioni (CONOPS) per intensificare notevolmente l’azione della NATO nel coadiuvare il Governo provvisorio all’addestramento delle forze irachene di sicurezza, nonché il coordinamento delle offerte di addestramento ed equipaggiamento. Si tratta, secondo chi scrive, di uno sviluppo positivo e atteso, anche se non ancora adeguato alle necessità del governo provvisorio iracheno. Gli Alleati, però, potrebbero non concordare su un ruolo formale della NATO in Iraq, giacché alcuni Stati membri si preoccupano del fatto che una presenza più manifesta potrebbe danneggiare l’immagine della NATO nel mondo arabo. Tuttavia, chi scrive suggerisce che la NATO, insieme con gli attori locali, rifletta su come incrementare la propria azione al fine di stabilire la sicurezza nel paese. Qualsiasi ulteriore impegno della NATO deve basarsi su una valutazione realistica delle risorse disponibili ed è assolutamente indispensabile che si eviti di assumere impegni sproporzionati. Inoltre, qualsiasi intervento NATO, che vada al di là dell’attuale raggio d’azione, dovrebbe rispondere a precise richieste irachene e fondarsi su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che dia un mandato a lungo termine a una forza internazionale di stabilizzazione. Per riuscire a consolidare uno stato sicuro, è essenziale che si riesca a conquistare il favore della popolazione irachena e a insediare un nuovo governo iracheno, visto come rappresentativo e legittimo. Secondo chi scrive, la NATO può avere un ruolo valido solo se il governo iracheno e quello statunitense sono sinceramente disposti a condividere le decisioni sulle questioni chiave della transizione con l’ONU, gli altri alleati della NATO e gli attori regionali. Questa è una conditio sine qua non. B. STATI FALLITI 47. Gli stati falliti o in fallimento non solo destabilizzano i loro vicini e le loro regioni, ma costituiscono un serio rischio per la sicurezza della comunità internazionale, compresi gli stati membri NATO. L'Afghanistan è un esempio significativo: l'indifferenza nei confronti di quel paese nel decennio successivo al ritiro delle truppe sovietiche è stata un errore catastrofico. L'azione militare ha liberato l'Afghanistan dal regime talebano e da Al-Qaeda, ma la situazione è tutt'altro che stabile. Poiché l'attenzione si è tanto rapidamente spostata sull'Iraq, in Afghanistan sono rimasti molti problemi gravi. Nonostante le serie promesse di sostegno internazionale e i fondi aggiuntivi raccolti alla recente conferenza di Bonn per gli aiuti all'Afghanistan, permane un divario significativo tra il bisogno finanziario stimato e l'ammontare impegnato dalla comunità internazionale. Sebbene sia genericamente migliorata, la sicurezza resta fragile, specialmente nel sud-est del paese che continua a vivere incursioni di talebani. In vista delle elezioni del 9 ottobre, i talebani e i gruppi terroristici hanno sempre più preso di mira civili e funzionari del governo. Una tendenza preoccupante sono stati anche gli attacchi dei terroristi contro le organizzazioni umanitarie internazionali, alcune delle quali, come Medici senza Frontiere, hanno deciso di lasciare il paese. Tuttavia, le elezioni presidenziali si sono svolte e sono state un enorme passo avanti. 48. Ricostruire la sicurezza in tutto il paese è la condizione necessaria per compiere ulteriori progressi nella stabilizzazione del territorio. La comunità internazionale, però, non è ancora riuscita a estendere al di là della capitale un ombrello di sicurezza. Nondimeno, la presenza delle truppe alleate nel paese ha contribuito a una maggiore stabilità. In previsione delle elezioni del 9 ottobre, la NATO ha rafforzato la Forza Internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) a Kabul, portandola a 3.000 unità, e ha allargato le proprie attività verso il settentrione del paese, e quindi verso occidente, grazie a un numero sempre crescente di gruppi provinciali di ricostruzione (PRT). Con circa 9.000 soldati attualmente a guida Eurocorps, la NATO ha oggi truppe dislocate in cinque province settentrionali, oltre al distaccamento principale a Kabul, in ambito ISAF. Il primo ottobre scorso, il quinto gruppo PRT ISAF ha raggiunto la provincia settentrionale di Baghlan, portando 61 PC 04 E 12 così a conclusione la prima fase di espansione dell’ISAF. Alcuni Alleati hanno anche proposto di creare un comando congiunto per la ISAF e per le forze dell'operazione Enduring Freedom. L'Alleanza, però, lamenta ancora la mancanza da parte degli stati membri di impegno di truppe. Le forze alleate sono già ridotte e la loro attuale consistenza è insufficiente per operare il necessari ampliamento della zona di sicurezza. 49. Stabilire il principio di legalità, accelerare la costituzione e l'attivazione di nuove organizzazioni vitali per la sicurezza, come il nuovo esercito nazionale afghano e la forza di polizia nazionale, che comprende anche la polizia di frontiera e le unità antidroga, richiedono alla comunità internazionale uno sforzo enorme. Le nuove istituzioni devono poter operare compiutamente per eliminare le due principali minacce alla stabilità del paese: i signori della guerra e la droga. Chi scrive concorda con le reiterate dichiarazioni di alti funzionari NATO che sostengono che l'ampliamento del ruolo della NATO in Afghanistan dovrebbe avere, per l'Alleanza, la priorità assoluta. Gli Alleati dovrebbero, inoltre, affrontare un chiaro dibattito sulla proposta di istituire un comando comune per le 9.000 unità, che fanno parte dell’ISAF a guida NATO, nel centro e nel nord del paese, e per le 18.000 unità, che svolgono l’operazione Active Endeavour a guida USA. Secondo chi scrive, l’iniziativa di porre l’ISAF e l’Active Endeavour sotto il medesimo comando non dovrebbe essere vista semplicisticamente come un modo per svincolare truppe alleate da impiegare per operazioni in Iraq; bensì dovrebbe indurre negli Alleati un comune sentire su come fronteggiare i signori della guerra e mettere in atto in modo concreto e, se necessario, deciso qualsiasi accordo. La questione dovrebbe essere affrontata in maniera condivisa dagli Stati membri partecipanti e dovrebbe costituire la base per un impegno ulteriormente solidale mirante alla democrazia in Afghanistan. C. PROLIFERAZIONE DELLE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA 50. A posteriori, si può dire che le misure del Consiglio di Sicurezza dell'ONU per eliminare le armi di distruzione di massa, impedirne la produzione e prevenire il loro ulteriore sviluppo, in Iraq siano riuscite nell'intento. Il sistema dei trattati multilaterali ha impedito la diffusione della proliferazione di armi di distruzione di massa, ma le inadempienze e il commercio illegale richiedono l'azione della comunità internazionale. 51 Al Summit di Istanbul, gli Alleati hanno posto in evidenza l’importanza del controllo sugli armamenti, sul disarmo e sulla non-proliferazione per la sicurezza globale ed euroatlantica, e hanno sollecitato gli Stati membri NATO ad adottare tutti i sistemi per la non-proliferazione praticabili. L’alleanza “appoggia decisamente” la Risoluzione 1540 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, che chiede efficaci controlli nazionali sulle esportazioni, per porre fine ai traffici illeciti di armi di distruzione di massa, nonché la criminalizzazione della proliferazione nucleare. 52 Chi scrive si congratula per il sostegno che la NATO continua a dare agli accordi sul controllo internazionale degli armamenti e, in particolare, come sottolineato quest’anno a Istanbul, al Trattato sulla non-proliferazione delle armi nucleari (TNP), alla Convenzione sulle armi biologiche e tossiche (BTWC), alla Convenzione sulle armi chimiche (CWC) e al Codice dell’Aia di comportamento contro la proliferazione dei missili balistici. Tuttavia, chi scrive teme che il TNP, che ufficialmente riconosce solo cinque paesi (gli Stati Uniti, la Russia, la Francia, il Regno Unito e la Cina) quali possessori di armi nucleari, rischi fortemente di fare un lenta fine. Siamo ormai prossimi alla conferenza 2005 per il riesame del Trattato sulla non-proliferazione delle armi nucleari e tra gli alleati e i paesi firmatari manca l’accordo su tutta una serie di questioni, tra cui la posizione da assumere rispetto ai non-stati. Certi sviluppi complicano le possibilità di raggiungere un accordo in sede di conferenza, specialmente la tendenza a elaborare nuove dottrine strategiche e tattiche e la comparsa di nuove armi nucleari più piccole (“bombe sfonda bunker”). Questi sviluppi vanno contro quanto stabilito nell’articolo 6 del TNP che impegna le potenze nucleari ad agire in modo da pervenire in futuro a un totale disarmo nucleare. Un numero significativo di stati non nucleari mostra insoddisfazione per gli scarsi progressi compiuti dalle potenze nucleari 61 PC 04 E 13 nell’adempiere ai rispettivi obblighi di disarmo nucleare. In pratica, la tendenza a costituire gruppi di nazioni “con identità di vedute” (“coalizioni di intenti”) piuttosto che affrontare i problemi impiegando gli strumenti giuridici esistenti ingenera serie preoccupazioni sulla validità di importanti accordi internazionali. 53. La Repubblica popolare democratica di Corea (Corea del Nord - DPRK) e l'Iran sono un grave esempio di inadempienza. La Corea del nord è potenzialmente più pericolosa di quanto lo sia mai stato l'Iraq. Con buona probabilità possiede già da una a tre armi nucleari e produce sia plutonio sia uranio. A quel che sembra, entro la fine di quest'anno disporrà di una decina di armi nucleari. L'Iran non ha ancora soddisfatto appieno gli ispettori internazionali, infatti, in Europa e negli Stati Uniti cresce il sospetto che voglia sviluppare armi nucleari e che abbia violato lo spirito dell'accordo dello scorso ottobre, con Francia, Germania e Gran Bretagna, di consentire ispezioni più rigorose nei suoi siti nucleari e di sospendere la produzione di uranio arricchito. È assolutamente fondamentale che gli alleati NATO ne discutano in sede di Consiglio NATO. Un’attenta politica di impegno e potenziati regimi di controllo sulle armi, uniti a un approccio dell’ONU alle possibili crisi, condurranno a un risultato. 53. Una valida strategia per la non-proliferazione deve anche occuparsi delle rotte commerciali e delle organizzazione che riforniscono i paesi che non rinunciano alla proliferazione. Per contrastare validamente il "mercato nero del nucleare", che è emerso dopo che la Libia ha smantellato i suoi programmi per le armi di distruzione di massa, e combattere la minaccia di proliferazione; Mohamed El Baradei, capo dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (IAEA), ha presentato l'audace proposta di mettere tutto il materiale nucleare da armamento sotto il controllo internazionale. Gustavo Zlauvinen, rappresentante della IAEA presso il Quartier generale ONU, ha comunicato al Comitato che una misura a sostegno di quanto proposto potrebbe essere l’"universalizzazione" della legislazione per il controllo delle esportazioni. Mettere al sicuro il materiale nucleare dovrebbe essere uno dei primi punti all’ordine del giorno, ciò perché, come ha affermato William Potter del Centro per gli Studi sulla non-Proliferazione (CNS), se i gruppi terroristici avessero accesso a uranio altamente arricchito potrebbero confezionare facilmente "bombe sporche" . 55. Per migliorare le sue scelte politiche e le capacità di manovra, il Consiglio di Sicurezza potrebbe avvalersi della consulenza tecnica, ed eventualmente dell'azione, di un organismo permanente, composto da esperti in armi di distruzione di massa e missili, pronto a intervenire. L'esistenza e la reputazione di un simile organismo, unito alle pressioni politiche, avrebbe un effetto deterrente sulla proliferazione. A prescindere dai trattati che hanno dichiarato fuorilegge le armi di distruzione di massa, abbiamo urgenza di misure aggiuntive che si possano rivelare efficaci nell'attuale clima internazionale, in cui l'adattabilità e il sostegno multilaterale sono essenziali. 56. Ovviamente, qualsiasi decisione sull'impiego di azioni militari deve basarsi su informazioni di intelligence attendibili. Ciò si riferisce non solo a informazioni sulle capacità, ma anche sulle intenzioni e sulla "cultura strategica" dell'avversario. La guerra in Iraq ha sollevato seri dubbi sull'attendibilità dell'intelligence. Fortissimi preconcetti, carenza di informazioni, dopo l'espulsione dall'Iraq della Commissione ONU di monitoraggio, verifica e ispezione (UNMOVIC) nel 1998, e il fatto che Saddam Hussein è stato bravo nel "cercare di convincere gli USA e il mondo di avere quello che non aveva", come ha affermato Greg Treverton della RAND, ha ingenerato sull'Iraq giudizi erronei. Tuttavia, come riferisce Christian Science Monitor citando l'ex ispettore capo statunitense David Kay "se non si può fare affidamento su un'intelligence valida e precisa (…) non si può certo attuare una politica di prevenzione". La costituzione dell'organismo permanente, precedentemente descritto, sarà utile per monitorare la proliferazione internazionale e costruire una base comune tra gli stati membri per la valutazione delle minacce. Anche la NATO dovrebbe costituire un organismo di esperti che rispecchi l’Iniziativa ONU. Le competenze in materia di armi di distruzione di massa dovrebbero essere incrementate. 61 PC 04 E D. LOTTA CONTRO INTERNAZIONALE 14 I GRUPPI TERRORISTICI ATTIVI A LIVELLO 57. Nel suo libro Against All Enemies, Richard Clarke, coordinatore del controterrorismo sotto i presidenti Clinton e Bush, ha definito la guerra in Iraq "un errore strategico nella lotta al terrorismo" e ha sostenuto che l'Iraq "ha regalato per al-Qaeda la migliore campagna di reclutamento che si potesse immaginare". Quando la Sottocommissione per i Rapporti transatlantici si è recata in visita in Germania, lo scorso ottobre, il Presidente del Servizio di intelligence federale August Hanning ha espresso la propria preoccupazione in merito agli scienziati iracheni imboscati che potrebbero trasmettere ai terroristi le proprie conoscenze. Sempre in ottobre, l’IAEA ha informato il Consiglio di Sicurezza dell'ONU di un “vasto e apparentemente sistematico smantellamento” di edifici in Iraq che un tempo ospitavano elementi chiave bivalenti. Hanning ha manifestato preoccupazione anche per i crescenti collegamenti tra gruppi terroristici attivi a livello internazionale e il crimine organizzato. Per esempio, secondo Hanning, membri di al-Quaeda hanno lavorato con falsari di documenti e contrabbandieri esperti, sfruttando le rotte internazionali del traffico di droga. 58. I tragici attentati dell'11 marzo a Madrid hanno confermato che gruppi come al-Qaeda rimangono una sfida gravissima per tutte le nostre società. Le azioni militari, comprese quelle preventive (plausibili essenzialmente contro i gruppi terroristici, e molto meno contro i non-stati) come mezzo di estrema risorsa, possono contribuire a combattere lo spettro del terrorismo. Tuttavia, la lotta al terrorismo va fatta innanzitutto per mezzo della diplomazia, dell'applicazione delle leggi e delle agenzie di intelligence. Una lotta efficace richiede la massima cooperazione internazionale, specialmente nella condivisione delle informazioni, nell'applicazione delle leggi, nella sicurezza dei confini e nel rintracciare le risorse finanziarie dei terroristi. In molti settori la cooperazione tra Alleati NATO si è nettamente incrementata e comprende, per esempio, una migliore collaborazione tra le autorità giudiziarie nazionali, la cooperazione nella condivisione di dati, nuove procedure di estradizione, il blocco del patrimonio finanziario dei gruppi terroristici. Però, nonostante i progressi, dobbiamo migliorare ulteriormente la nostra cooperazione, assicurandoci che i diritti umani, secondo i nostri standard, siano sempre rispettati. 59. Sono, per esempio, indispensabili miglioramenti nel coordinamento tra chi impone la legge e le agenzie di intelligence, e nella capacità degli Alleati nel rintracciare le risorse finanziarie dei terroristi. In aggiunta a ciò, si deve continuare a incrementare i controlli alle nostre frontiere rispetto al movimento sia di persone sia di cose potenzialmente pericolose, specialmente se riconducibili alle armi di distruzione di massa. 60. La massima cooperazione internazionale nella lotta contro i gruppi terroristici è impossibile senza l'ONU. È indispensabile per fornire una cornice giuridica e organizzativa in cui la campagna internazionale contro il terrorismo possa dispiegarsi. Per esempio, il Comitato ONU contro il terrorismo (CTC) è uno strumento fondamentale in questo senso. Non tutti i paesi membri ONU, però, hanno raggiunto i requisiti indicati dal CTC, quindi sarà necessario combinare gli sforzi degli stati membri NATO per far sì che i paesi delle Nazioni Unite possano mantenere quanto promesso. 61 I programmi cooperativi per la riduzione delle minacce, come il cosiddetto programma NunnLugar, sono studiati per impedire che le armi e i materiali più pericolosi possano finire nelle mani sbagliate e sono assolutamente importanti per una valida strategia per la non-proliferazione. Anche se i finanziamenti a livello internazionale sono aumentati, questi programmi godono di meno attenzione e finanziamento rispetto ai programmi di difesa antimissile. Chi scrive desidera sottolineare che i programmi per la non-proliferazione devono essere ampliati ulteriormente e devono ottenere finanziamenti aggiuntivi. Si dovrebbe, quindi, provvedere a rafforzare i programmi esistenti, come il succitato Nunn-Lugar che mira a eliminare i materiali nucleari in Russia, e a intraprendere iniziative urgenti in merito ai materiali nucleari in Iraq. 61 PC 04 E 15 VIII. CONCLUSIONI PRELIMINARI 62. La necessità di rafforzare il Consiglio atlantico. A oltre un anno dai contrasti tra gli Alleati in merito all’Iraq, la NATO ha compiuto importanti progressi nella formazione del consenso per raggiungere un accordo su questioni fondamentali per la sicurezza euroatlantica. Nonostante i progressi, però, gli Alleati non hanno risolto varie questioni, come per esempio l'interrogativo su chi debba autorizzare la forza militare e a quali condizioni. La questione è fondamentale e richiede l'urgente attenzione degli Alleati, a meno che non si voglia rischiare di ingenerare un divario crescente tra l’opinione statunitense e quella europea in merito alla legittimità e all’uso della forza. Se da un lato gli Allearti hanno trovato l’accordo su taluni aspetti, non si è ancora avuto un concreto dialogo politico sugli indirizzi principali della NATO. Ne è prova la difficile situazione in cui si è trovato il Segretariato Generale de Hoop Scheffer, che ha dovuto letteralmente pregare gli Alleati per ottenere l’invio di truppe in Afghanistan. Non vi è corrispondenza tra promesse e contributi effettivi. Non esiste un accordo vero ed efficace in merito al grado di ambizione dell’Alleanza, il che pone rischi seri. Considerare l’Afghanistan come un banco di prova per la NATO può rivelarsi un boomerang se non si dovesse raggiungere il successo. 63 La ricerca del consenso in ambito NATO è un pre-requisito indispensabile per affrontare efficacemente le odierne minacce alla sicurezza. Si rende indispensabile un dialogo su basi e obiettivi realistici. Non vi è accordo sul modo migliore per fronteggiare il terrorismo e i paesi in possesso di armi di distruzione di massa (WMD). Alcune nazioni ritengono che la strada percorsa finora per combattere il terrorismo possa produrre ulteriore terrorismo. Le decisioni della NATO in materia devono diventare operative. Non vi è accordo sull’importanza dei concetti di contenimento e deterrenza nell’ipotesi di nuovi proliferatori. Ancora, la crisi irachena ha dimostrato l’importanza degli ispettori ONU e la validità dei metodi impiegati in passato dall’ispettore Hans Blix nel confrontarsi con l’Iraq. 64 In un mondo in cui la domanda per efficaci politiche di sicurezza supera grandemente l’offerta, NATO deve contemporaneamente affrontare molteplici sfide in termini di risorse militari e di mancanza di consenso sulle priorità pratiche. L’accordo sui principi basilari è assolutamente fondamentale per ricreare un clima di fiducia e speranza sull’agenda NATO, le sue priorità e l’insieme specifico di strumenti politici da impiegare. Talvolta, per affrontare problemi di sicurezza, si rendono necessarie “coalizioni di intenti ”, ma una proliferazione di coalizioni di questo genere sarebbe controproducente per la stessa ragion d’essere dell’Alleanza. Nell’incoraggiare un vero dialogo politico su queste questioni il Consiglio della NATO ha un ruolo insufficiente che, invece, dovrebbe rafforzare, considerandolo prioritario. In questo processo, i ministri degli Esteri dovrebbero rivestire un ruolo più diretto e permanente. 65 Una migliore cooperazione in merito a questioni proprie dell’ONU: La Carta delle Nazioni Unite contiene, anche se leggermente superata, una normativa generale sull'uso della forza. Lo scopo principale della Carta è la composizione delle dispute tra stati sovrani. Chiede ai paesi membri di astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato (articolo 2(4)). 66 Per di più, l'ONU è ostacolato dalla riluttanza dei paesi sviluppati a partecipare alle operazioni di mantenimento della pace (PKO). Al momento, la missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (MONUC), per esempio, dovrebbe essere rafforzata da forze occidentali. Le indicazioni fornite nel Rapporto intitolato “La Responsabilità di Proteggere” (par.18) sono promettenti. Nel contempo, chi scrive sollecita il Segretariato Generale della NATO ad approfondire la cooperazione con l’ONU sulla base del Rapporto Brahimi. 67. Il caso Iraq ha chiaramente dimostrato il fatto che bisogna ridare fiducia alla raccolta e alla condivisione delle informazioni, incoraggiare il rafforzamento del sistema di ispezioni dell’ONU e 61 PC 04 E 16 migliorare la programmazione delle azioni post-intervento. Si sta formando un consenso tra gli alleati in merito alla possibilità che la NATO possa dover ricorrere alla forza armata in situazioni che non coinvolgano l’autodifesa territoriale o le operazioni di mantenimento della pace (PKO). A questo proposito si rende necessario e urgente un dibattito che non solo i ministri della Difesa, ma anche i ministri degli Esteri, dovrebbero incoraggiare. 68 La necessità di un accordo maggiormente operativo sulla lotta contro il terrorismo e le armi di distruzione di massa: L'Iniziativa per la sicurezza contro la Proliferazione (PSI) prevede una “coalizione di intenti” marittima per interdire imbarcazioni o velivoli diretti o provenienti da "stati canaglia". Molti paesi membri NATO hanno già aderito. all’iniziativa; la stessa NATO si è detta assolutamente favorevole al PSI e alla relativa Dichiarazione dei Principi di Interdizione, giacché offre una piattaforma più coordinata ed efficace per interdire il trasferimento o il trasporto di armi di distruzione di massa, così come i sistemi di consegna e i materiali relativi alla costruzione delle stesse, da e verso gli stati o i non-stati interessati alla proliferazione. Il PSI, però, necessita di fondamenti giuridici più forti e chi scrive sarebbe favorevole a che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU adottasse una risoluzione a sostegno degli scopi e dei mezzi dell’iniziativa. 69 La presenza della NATO in Iraq è limitata. In applicazione della Risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e in risposta alla richiesta del Governo provvisorio i capi degli Stati membri NATO, riuniti a Istanbul lo scorso giugno, hanno concordato di coadiuvare l’Iraq nell’addestramento delle sue nuove forze di sicurezza. Gli Alleati, però, potrebbero non concordare su un ruolo formale della NATO in Iraq, giacché alcuni Stati membri si preoccupano del fatto che una presenza più manifesta potrebbe danneggiare l’immagine della NATO nel mondo arabo. Tuttavia, chi scrive suggerisce che la NATO, insieme con gli attori locali, rifletta su come incrementare la propria azione al fine di stabilire la sicurezza nel paese. Qualsiasi ulteriore impegno della NATO deve basarsi su una valutazione realistica delle risorse disponibili ed è assolutamente indispensabile che si eviti di assumere impegni sproporzionati. Inoltre, qualsiasi intervento NATO, che vada al di là dell’attuale raggio d’azione, dovrebbe rispondere a precise richieste irachene e fondarsi su una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che dia un mandato a lungo termine a una forza internazionale di stabilizzazione. Per riuscire a consolidare uno stato sicuro, è essenziale che si riesca a conquistare il favore della popolazione irachena e a insediare un nuovo governo iracheno, visto come rappresentativo e legittimo. Secondo chi scrive, la NATO può avere un ruolo valido solo se il governo iracheno e quello statunitense sono sinceramente disposti a condividere le decisioni sulle questioni chiave della transizione con l’ONU, gli altri alleati della NATO e gli attori regionali. Questa è una conditio sine qua non. 70 È necessario avviare una discussione condivisa sul ruolo della NATO rispetto all’ISAF e all’operazione Enduring Freedom. Gli Alleati dovrebbero, inoltre, affrontare un chiaro dibattito sulla proposta di istituire un comando comune per le 9.000 unità, che fanno parte dell’ISAF a guida NATO nel centro e nel nord del paese, e per le 18.000 unità, che svolgono l’operazione Active Endeavour a guida USA. Questa iniziativa non dovrebbe essere vista semplicisticamente come un modo per svincolare truppe occidentali; bensì dovrebbe indurre negli Alleati un comune sentire su come fronteggiare i signori della guerra. La questione non dovrebbe risolversi in un sganciamento degli Stati membri partecipanti, ma dovrebbe costituire la base per un impegno ulteriormente solidale mirante alla democrazia in Afghanistan. 71 Un aggressivo regime multilaterale di controllo delle armi Siamo ormai prossimi alla conferenza 2005 per il riesame del Trattato sulla non-proliferazione delle armi nucleari e gli alleati e i paesi firmatari manca l’accordo su tutta una serie di questioni, tra cui la posizione da assumere rispetto ai non-stati. Certi sviluppi complicano le possibilità di raggiungere un accordo in sede di conferenza, specialmente la tendenza a elaborare nuove dottrine strategiche e tattiche e la comparsa di nuove armi nucleari più piccole (“bombe sfonda bunker”). Questi sviluppi vanno contro quanto stabilito nell’articolo 6 del TNP che impegna le potenze nucleari ad agire in modo da pervenire in futuro a un totale disarmo nucleare. Un numero significativo di stati non nucleari 61 PC 04 E 17 mostra insoddisfazione per gli scarsi progressi compiuti dalle potenze nucleari nell’adempiere ai rispettivi obblighi di disarmo nucleare. In pratica, la tendenza a costituire gruppi di nazioni “con identità di vedute” (“coalizioni di intenti) piuttosto che affrontare i problemi impiegando gli strumenti giuridici esistenti ingenera serie preoccupazioni sulla validità di importanti accordi internazionali. 72 Un miglioramento nella pianificazione e nel coordinamento dei contribuiti nazionali alla Forza di Reazione NATO (NRF), agli obiettivi globali, ai “Gruppi di combattimento” e alle operazioni di mantenimento della pace in corso è assolutamente necessario. Se da un lato, infatti, si può accogliere con favore l’elaborazione di capacità supplementari, dall’altro va sottolineato come la creazione di forze d’intervento pretenda una stretta cooperazione e un coordinamento delle priorità che tenga conto dei piani d’emergenza della NATO, ma anche dell’interazione tra la NATO, l’UE e, possibilmente l’ONU. Questo aspetto è di vitale importanza nel caso in cui una nazione partecipi a due o più forze internazionali.