Epifania di NSGC 2017 - SE Mons. Ignazio Sanna

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Omelia per la messa dell’Epifania di N.S.G.C.
(Cattedrale di Oristano, 7 gennaio 2017)
Cari fratelli e sorelle,
la festa che celebriamo oggi è ricca di simboli e messaggi. Anzitutto, l’Epifania è la
festa-simbolo della luce, ossia della manifestazione della divinità di Gesù Cristo ai
pagani. In secondo luogo, la stella è simbolo della fede che guida gli uomini alla
ricerca di Dio, così come i Magi sono simbolo dei primi ricercatori di Dio. Infine, nel
racconto evangelico si contrappongono due azioni simboliche: la ricerca sincera dei
Magi e la ricerca falsa di Erode. Questa contrapposizione è la prova evidente che da
sempre la morte e la vita, il bene e il male, l’odio e l’amore si affrontano e si
scontrano con forza e determinazione eccezionali. In qualche modo, la stessa
contrapposizione è stata certificata da San Giovanni con il prologo del suo Vangelo,
quando scrive che Gesù è venuto tra i suoi ma i suoi non l’hanno accolto; che Gesù
era la luce, ma gli uomini hanno preferito le tenebre (Cfr. Gv 1, 5;10).
Cerchiamo, ora, di capire i simboli e i relativi messaggi dei testi della liturgia della
Parola. Nella prima lettura, il profeta Isaia evoca i sentieri della luce sui quali
cammineranno le genti (Cfr. Is 60, 2-3). In senso figurato, i sentieri della luce sono
quelli che danno significato a tutto quello che noi sentiamo e viviamo, al dolore e alla
gioia, alla vita e alla morte. Le fonti che danno significato ai nostri sentimenti, alle
nostre scelte di vita sono molto diverse e vanno dall’educazione in famiglia,
all’istruzione nella scuola, alle tradizioni popolari dei paesi, all’influsso dei mezzi di
comunicazione. Ognuna di queste fonti propone un modello di comportamento, una
scala di valori, un programma di virtù e moralità. La profezia di Isaia non annulla
questi significati, ma li vuole illuminare con una luce che viene dall’alto, una luce
divina senza tempo e senza luogo. Quando non c’è questa luce, è come quando
manca il sole che illumina il giorno e la luna che illumina la notte. Magari, in
mancanza di questa luce naturale, si ricorre alla luce artificiale. Questa, però, è come
il sole d’inverno: illumina ma non riscalda. Invece, noi abbiamo bisogno di una luce
che illumini e che riscaldi. La festa di oggi ci dice precisamente che questa luce
dall’alto c’è. Ma essa, per illuminare e riscaldare, ha bisogno di ripetitori sulla terra, i
quali, tradotti in termini di fede, sono i cristiani. Ogni cristiano, perciò, è chiamato ad
essere un trasmettitore di questa luce con la sua testimonianza personale. Dio ha
bisogno degli uomini, ha bisogno di ciascuno di noi. I magi hanno seguito la luce
della stella e sono giunti alla grotta di Gesù. I sentieri che percorriamo noi potranno
essere l’esperienza d’un amore, la fortuna d’una conoscenza, il dono d’un incontro.
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Se la luce della stella illumina dall’alto questi sentieri, raggiungiamo sicuramente la
meta della vita cristiana felice.
San Paolo, nella seconda lettura, afferma che noi dobbiamo essere trasmettitori del
mistero. Questo consiste nella “chiamata di tutte le genti in Cristo Gesù a condividere
la sua stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa
promessa per mezzo del Vangelo” (Cfr. Ef 3, 5-6). In altri termini, il mistero è la
buona notizia della salvezza offerta a tutti gli uomini. In base a questa verità, noi
dovremmo essere capaci di dire ad ogni persona: abbi fiducia, guarda in alto, non sei
vittima del destino cieco ed avverso, sei nato per il paradiso, per la felicità. Questo
messaggio, ovviamente, non è fatto di esortazioni retoriche che lasciano il tempo che
trovano, ma di testimonianza personale, ossia di solidarietà con i più deboli, di
dialogo con uomini e donne di altra cultura e con appartenenti ad altre fedi religiose.
Il mistero vissuto, infatti, è più credibile del mistero annunciato. Cristiani e non
cristiani, santi e peccatori, viviamo tutti l’unica umanità assunta e redenta da Gesù
Cristo. Su questa unica umanità senza eccezione brilla la luce dall’alto sin da quando,
con la venuta di Gesù nel nostro mondo, l’eternità è entrata nel tempo e ha
trasformato la storia del mondo in storia di Dio.
Come abbiamo detto poc’anzi, nel racconto evangelico si contrappongono due azioni
simboliche: la ricerca sincera dei Magi e la ricerca falsa di Erode. Se si tiene conto di
questa realtà, ci possiamo chiedere quale Gesù noi cerchiamo e quale Gesù noi
abbiamo trovato nella nostra vita di fede. Ci siamo, per caso, costruito un Gesù a
nostra misura? I registi ci hanno rappresentato in modo diverso la persona di Gesù,
ora con i classici capelli biondi e occhi azzurri, difficilmente riscontrabili in un volto
medio orientale, nella versione di Franco Zeffirelli; ora con la severità d’una voce che
annuncia il Regno e minaccia il giudizio, nella versione di Pier Paolo Pasolini. Queste
sono creazioni artistiche molto belle. Il Gesù del Vangelo e della storia, però, vissuto
duemila anni fa, è colui che ha portato la croce, ha guarito i malati, ha perdonato i
peccatori. Dobbiamo testimoniare l’esistenza di questo Gesù.
E per testimoniare questo Gesù del Vangelo e della storia, Papa Francesco propone la
Chiesa in uscita, la Chiesa ospedale da campo, la Chiesa missionaria. Per tanto
tempo, infatti, noi abbiamo curato le 99 pecore nei recinti sicuri delle nostre
istituzioni, pensando che solo una fosse la pecorella smarrita. Purtroppo, oggi il
rapporto si è invertito. Solo una pecora sta al sicuro. Le altre sono fuori, disorientate,
abbandonate. Come l’etiope degli Atti degli Apostoli esse aspettano qualcuno che,
alla stregua del diacono Filippo, spieghi loro la Parola di Dio per dare significato a
tutto quello che credono e sperano (Cfr. At 8, 30-40). Le ferite dell’umanità sono
tante. C’è gente che ha perso il lavoro, che ha perso la casa, che soffre malattie
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terminali, che affronta le tragedie delle guerre e della fame, che ha perso gli affetti,
che vive ai margini della società indifferente e perbenista. A tutta questa gente noi
dobbiamo portare una parola di conforto, dare una mano di aiuto per risolvere almeno
qualche problema. Ormai, alle missioni dei paesi lontani sono subentrate le periferie
territoriali delle nostre città e quelle esistenziali delle nostre appartenenze sociali. In
queste si stanno progressivamente smarrendo le tradizioni di fede e religione che
hanno animato tante generazioni e hanno creato arte e cultura. Si ha paura o si viene
interdetti di appendere il crocifisso sulle pareti delle scuole e degli uffici, ma il
dramma vero è che il messaggio d’amore del Crocifisso sta scomparendo anche dalla
vita.
Cari fratelli e sorelle,
sappiamo bene che con lo stomaco vuoto non si guarda il cielo, che con la sola
preghiera non si compra il pane, che con la sola devozione non si trova casa e lavoro.
Ma sappiamo anche che il valore aggiunto della fede aiuta a trovare soluzioni per una
vita più degna e più giusta, a sentirci famiglia ed appartenerci reciprocamente. Allora,
dobbiamo recuperare lo slancio missionario ed aiutare le persone a guardare in alto
oltre che a guardare avanti. Solo gli animali guardano in basso. Gli uomini guardano
in alto e l’aiuto del Signore ci viene dall’alto. Egli ci custodirà da ogni male;
custodirà la nostra vita (Cfr. Sal 120). Vi auguro di cuore, perciò, che la custodia di
Dio sia la garanzia del vostro presente e del vostro futuro.
Amen.