Introduzione alla dinamica del punto materiale Proseguendo nello studio del moto del più semplice dei sistemi fisici il punto materiale (o particella) ci , proponiamo ora di legare la l moto, fatta tramit l ran zz lla descrizione de e e g de e de cinematica (posizione, velocità ed accelerazione), alle cause del moto, di cui si occupa quella parte della mecc anic a detta dinamica. 1. Una definizione statica di forza La dinamica mette in relazione la descrizione del moto, studiato dalla cinematica, con le cause che ad esso danno origine e che ne modificano le caratteristiche. L’esperienza infatti mostra che è possibile introdurre e misurare una grandezza vettoriale, c ui si dà il nome di forza, e legarla alle variazioni dello stato di moto di un punto. Pr a pot r t l zzar im di e uii e questa grandezza è nec essario f però averne una de inizione operativa che presc inda completamente dalla c inematica. Ricordiamo che con f de inizione operativa s’ intende una serie di istruzioni che consentano di individuare la grandezza in oggetto, f l l f l l quanti icar a rapportando a ad una unità di misura e disporre di un criterio per con rontar a con un’a tra ll de a stessa natura. La f n z on stat ca forza è la s g nt : de i i i e i di e ue e SI DICE FORZA UN AGENTE IN GRADO DI MODIFICARE LA STRUTTURA (IL VOLUME , LA FORMA ETC ) DI UN CORPO QUANDO QUESTO SIA IMPOSSIBILITATO A MUOVERSI . Ch ara nt corp ff f ff ll ll i me e i di natura di erente reagiranno con de ormazioni di entità di erente a ’azione de a f f l f l medesima orza. Operativamente nec essitiamo quindi di uno strumento che abbia ac i ità di de ormazione, i f f f dinamometro, e che ci consenta di quanti icare e con rontare le de ormazioni. Esso è costituito da una molla f ed una scala graduata, così che ad allungamenti uguali della molla corrispondano orze d’uguale entità. S f celto un allungamento corrispondente all’ unità di misura, una orza di valore doppio o triplo sarà in grado di allungare del tratto unitario due o tre dinamometri identici simultaneamente quando questi sono posti ò S f opportunamente vicini. i pu in questo modo issare una scala graduata e ripetere l’esperimento di misura tutte le volte che occorre. 2. La dinamica prima di Galileo mz c m z p m m è c m pp c c z U c c c è è pp c z m m pù c è’ z c p ò mc c p c ì : Aristotele (384-322 a.C.) sosteneva, suffragando la sua affer a ione on nu erose eviden e s eri entali, e er antenere un or o in uno stato di oto ne essario a li argli ontinua ente una for a. n arro, ad ese io, si uove a velo it ostante se trainato da avalli, io se su di esso a li ata una for a, e non a ena la for a viene eno il arro si fer a. i itando i al nostro a o d interesse, io l effetto di una for a non tanto su di un or o esteso, a i se li e ente su di unto ateriale, la dina i a aristoteli a u essere os riassunta ch p m mp m pp z Lm c mp c m c p c àc m c c mp ’ p m velocità ∝ Forza (?) Questa assunzione di Aristotele ebbe delle importanti ripercussioni sul pensiero occidentale per circa venti secoli. In particolare, considerato che anticamente l’unica forma di forza concepibile era quella a contatto, il fatto che la velocità di un corpo fosse proporzionale alla forza venne adoperata per dimostrare che la Terra non compie alcun moto di rotazione. Come infatti si è visto, presso gli antichi e per tutto il medioevo appariva alquanto innaturale sostenere che il nostro pianeta fosse dotato di un moto di rotazione, e suscitò notevole impressione l’argomento seguente. Se la Terra veramente ruotasse, salendo in cima ad una torre 1 con una pietra in mano, la torre, noi stessi e la pietra procederemmo trascinati nel moto di rotazione complessivo. Ma non appena lasciassimo cadere la pietra a terra –si argomentava- verrebbe meno la forza che la tiene d essa resterebbe indietro. In conclusione si dovrebbe osservare un punto di , e caduta della pietra stessa non ai piedi della torre ma molto più ad ovest. Seguendo fino in fondo un tale ragionamento erroneo, per una caduta da un’altezza di 50 metri, la cui durata è di 2h 2 × 50 d d d d d t= = ≈ 3.2 s , a ottan o il valore corretto ella velocità lineare i rotazione ella Terra in g 9.81 prossimità dell’equatore – oltre 300 metri al secondo -, dovremmo trovare al pietra non sotto alla torre ma almeno 900 metri ad ovest della verticale. Poiché nessuno ha mai osservato un tale, macroscopico effetto, se ne conclude che l’evidenza sperimentale mostra che la Terra non ruota su sé stessa. solidale al moto di rotazione 3. Il primo principio della dinamica Per comprendere come mai la smentita delle conclusioni aristoteliche abbia dovuto attendere 20 secoli l’avvento della rivoluzionaria metodologia osservativa di Galileo Galilei (1564-1642) non bisogna perdere di vista il fatto che il compito di chi si accinge a tale confutazione è estremamente arduo. Si tratta infatti di dimostrare inequivocabilmente che il mondo non è come ci appare. O meglio che non è come appare ad superficiali e non guidate dall’intuito dell’osservatore, il quale ha come primo dovere ossdevrvdazioni u inQui li are: f sieme di enomeni differenti costituiscono l’oggetto della sua osservazione e come sia possibile a e in l scompor a in eventi elementari. Galileo direbbe: dei processi che governano la caduta dei gravi, alcuni sono legati all’attrazione da parte della Terra, altri ad esempio alla viscosità dell’aria: studiamo prima questi e poi quelli e, solo successivamente, dopo che entrambi i fenomeni siano stati ben compresi, analizzeremo l’effetto complessivo della loro azione congiunta. La minuziosa scissione del fenomeno nei suoi costituenti elementari, che pure prende le mosse da una scelta re mancato per giungere ad una , si rivelò, conl Galileo, tutto ciò chefuagli antichi greci llera semp apriorristica u s consapevo e dei meccanismi di nzionamento de a nat ra. comp l moto di un corpo immaginiamo pertanto la più semplice delle situazioni: uno spostamento in tS udianendoione linea retta, isenza la presenza dell’aria e senza effetti spuri dovuti all’attrito. Galileo si concentrò su di un l l to ed infinito, sul quale scorra una palla di bronzo. Il tutto in uno spazio completamente ivdueat e pianotr , tteviga di astrazioni della cui portata difficilmente ci si può rendere conto oggi. Pensiamo ad o o. Si a a l l tto di vuoto, oggi familiare, ma assolutamente estraneo alla cultura seicentesca che, esempiov va sol o conce u sse possibile , a e a e aborato na teoria, quella dell’ horror vacui,l per spiegare come maillin natura non flo1632 anzi amo come o scienziato pisano, ne a sua opera de , Dialogo mantenere una condizione di vuoto. Ma vesdinta il problema delle cause del moto nella conversazione fra sopra i due massimi sistemi del mondo, pre e l’interlocutore di fede aristotelica, Simplicio, e l’alter ego di Galileo stesso, Salviati: SALVIATI […] ditemi: quando voi aveste una superficie piana, pulitissima come uno specchio e di materia dura come l'acciaio, e che fusse non parallela all'orizonte, ma alquanto inclinata, e che sopra di essa voi poneste una palla perfettamente sferica e di materia grave e durissima, come, verbigrazia, di bronzo, lasciata in sua libertà che credete voi che ella facesse? non credete voi (sì come credo io) che ella stesse ferma? SIMPLICIO Se quella superficie fusse inclinata? SALVIATI Sì, ché così già ho supposto. SIMPLICIO Io non credo che ella si fermasse altrimente, anzi pur son sicuro ch'ella si moverebbe verso il declive spontaneamente. SALVIATI Avvertite bene a quel che voi dite, signor Simplicio, perché io son sicuro ch'ella si fermerebbe in qualunque luogo voi la posaste. SIMPLICIO Come voi, signor Salviati, vi servite di questa sorte di supposizioni, io comincierò a non mi maravigliar che voi concludiate conclusioni falsissime. 2 SALVIATI Avete dunque per sicurissimo ch'ella si moverebbe verso il declive spontaneamente? SIMPLICIO Che dubbio? SALVIATI E questo lo tenete per fermo, non perché io ve l'abbia insegnato (perché io cercavo di persuadervi il contrario), ma per voi stesso e per il vostro giudizio naturale. SIMPLICIO Ora intendo il vostro artifizio: voi dicevate così per tentarmi e (come si dice dal vulgo) per iscalzarmi, ma non che in quella guisa credeste veramente. SALVIATI Così sta. E quanto durerebbe a muoversi quella palla, e con che velocità? E avvertite che io ho nominata una palla perfettissimamente rotonda ed un piano esquisitamente pulito, per rimuover tutti gli impedimenti esterni ed accidentarii: e così voglio che voi astragghiate dall'impedimento dell'aria, mediante la sua resistenza all'essere aperta, e tutti gli altri ostacoli accidentarii, se altri ve ne potessero essere. SIMPLICIO Ho compreso il tutto benissimo: e quanto alla vostra domanda, rispondo che ella continuerebbe a muoversi in infinito, se tanto durasse la inclinazione del piano, e con movimento accelerato continuamente; ché tale è la natura de i mobili gravi, che vires acquirant eundo: e quanto maggior fusse la declività, maggior sarebbe la velocità. SALVIATI Ma quand'altri volesse che quella palla si movesse all'insù sopra quella medesima superficie, credete voi che ella vi andasse? SIMPLICIO Spontaneamente no, ma ben strascinatavi o con violenza gettatavi. SALVIATI E quando da qualche impeto violentemente impressole ella fusse spinta, quale e quanto sarebbe il suo moto? SIMPLICIO Il moto andrebbe sempre languendo e ritardandosi, per esser contro a natura, e sarebbe più lungo o più breve secondo il maggiore o minore impulso e secondo la maggiore o minore acclività. SALVIATI Parmi dunque sin qui che voi mi abbiate esplicati gli accidenti d'un mobile sopra due diversi piani; e che nel piano inclinato il mobile grave spontaneamente descende e va continuamente accelerandosi, e che a ritenervelo in quiete bisogna usarvi forza; ma sul piano ascendente ci vuol forza a spignervelo ed anco a fermarvelo, e che 'l moto impressogli va continuamente scemando, sì che finalmente si annichila. Dite ancora di più che nell'un caso e nell'altro nasce diversità dall'esser la declività o acclività del piano, maggiore o minore; sì che alla maggiore inclinazione segue maggior velocità, e, per l'opposito, sopra 'l piano acclive il medesimo mobile cacciato dalla medesima forza in maggior distanza si muove quanto l'elevazione è minore. Ora ditemi quel che accaderebbe del medesimo mobile sopra una superficie che non fusse né acclive né declive. SIMPLICIO Qui bisogna ch'io pensi un poco alla risposta. Non vi essendo declività, non vi può essere inclinazione naturale al moto, e non vi essendo acclività, non vi può esser resistenza all'esser mosso, talché verrebbe ad essere indifferente tra la propensione e la resistenza al moto: parmi dunque che e' dovrebbe restarvi naturalmente fermo. Ma io sono smemorato, perché non è molto che 'l signor Sagredo mi fece intender che così seguirebbe. SALVIATI Così credo, quando altri ve lo posasse fermo, ma se gli fusse dato impeto verso qualche parte, che seguirebbe? SIMPLICIO Seguirebbe il muoversi verso quella parte. SALVIATI Ma di che sorte di movimento? di continuamente accelerato, come ne' piani declivi, o di successivamente ritardato, come negli acclivi? SIMPLICIO Io non ci so scorgere causa di accelerazione né di ritardamento, non vi essendo né declività né acclività. SALVIATI Sì. Ma se non vi fusse causa di ritardamento, molto meno vi dovrebbe esser di quiete: quanto dunque vorreste voi che il mobile durasse a muoversi? SIMPLICIO Tanto quanto durasse la lunghezza di quella superficie né erta né china. SALVIATI Adunque se tale spazio fusse interminato, il moto in esso sarebbe parimente senza termine, cioè perpetuo? SIMPLICIO Parmi di sì, quando il mobile fusse di materia da durare. Per Galileo quindi lo stato di moto con velocità costante in direzione ed intensità, è altrettanto naturale quanto quello di quiete, ed anzi una distinzione fra i due concetti risulta addirittura fuorviante. Un oggetto in moto rettilineo uniforme non richiede né causa né fine ma, al contrario, è una condizione fisicamente indistinguibile da quella di quiete assoluta. Questa è infatti la conclusione è espressa in un’altra delle sue opere, la Lettera ad Ingoli, in un riferimento esplicito ad una nave in movimento: E se voi di tutti questi effetti mi domanderete la cagione, vi risponderò per ora <<Perché il moto universale delle nave, d t i ll essendo comunicato all’aria ed a tutte quelle cose che in essa vengono contenute, e non essen o con rar o a a t l i li i di qu ll , i loro i d l ilm t i co rva na ura e nc naz one e e n n e eb en e s nse >> 3 Possiamo a questo punto enunciare: PRIMO PRINCIPIO DELLA DINAMICA (O PRINCIPIO D’INERZIA) LO STATO DI MOTO RETTILINEO UNIFORME È UNA CONDIZIONE NATURALE PER UN PUNTO MATERIALE, COSÌ COME LO È LO STATO DI QUIETE. UN PUNTO MATERIALE CHE SI TROVI IN QUIETE, OD IN MOTO RETTILINEO UNIFORME, MANTIENE INDEFINITAMENTE QUESTA CONDIZIONE: PER PRODURRE DEI CAMBIAMENTI, CIOÈ DELLE MODIFICHE NELLA INTENSITÀ DELLA VELOCITÀ OPPURE NELLA DIREZIONE DELLA VELOCITÀ, È NECESSARIA UNA INTERAZIONE CON ALTRI OGGETTI. A questo punto possiamo affiancare e completare la definizione statica di forza con una che parta da effetti misurabili di tipo dinamico: SI DICE FORZA QUALUNQUE AGENTE IN GRADO DI L’INTENSITÀ DELLA VELOCITÀ DI UN PUNTO MATERIALE MODIFICARE LA DIREZIONE DELLA VELOCITÀ OPPURE Sperimentalmente si osserva che le due definizioni –statica e dinamica- di forza individuano una stessa grandezza fisica, cioè che un agente in grado di deformare un corpo può anche modificarne la velocità. Come si vede, il punto di vista aristotelico è completamente ribaltato. La domanda corretta da porsi non è “Che cosa mantiene in moto rettilineo un oggetto con velocità costante?”. La condizione di moto rettilineo con velocità costante è del tutto naturale: non occorre intervenire dall’esterno perché l‘oggetto la mantenga indelebilmente. Piuttosto, bisognerà chiedersi: “Che cosa modifica lo stato naturale di moto rettilineo uniforme di un oggetto? Quali sono gli agenti che ne cambiano la direzione o l’intensità della velocità?”. Le forze, per Galileo, sono cruciali ai fini della variazione dello stato di moto e non del suo mantenimento a velocità costante. Del resto nello spazio vuoto le sonde spaziali proseguono indisturbate una corsa a velocità costante (direzione ed intensità) senza necessità d’alcun propellente, una volta avviate. Tornando alla pietra lasciata andare dalla torre, facciamo l’approssimazione che il raggio del pianeta sia molto grande rispetto alle distanze in gioco nel fenomeno che si vuole studiare: così grande da poter considerare il moto della torre rettilineo. Non occorre che la nostra mano trascini la pietra nel moto di rotazione quando essa sta in cima, semplicemente essa prosegue il suo moto lungo la direzione orizzontale con la stessa velocità di quando viene lasciata e la torre si sposta orizzontalmente con lei a pari velocità. Quel che accade è che al moto orizzontale della pietra si Polo compone, senza influenzarlo, il moto verticale di caduta, e così essa Nord tocca il suolo ai piedi della torre lungo la traiettoria in figura. Essa, vista dalla Terra, è una linea retta verticale, mentre, vista dallo spazio, è un arco di parabola. 5. Il secondo principio della dinamica Con il lavoro di Galileo abbiamo compreso l’aspetto qualitativo della dinamica, e cioè che le forze non sono legate al mantenimento dello stato di moto bensì alla sua variazione . Quando vogliamo mettere in moto un oggetto, oppure deviare la direzione dello stato di moto in cui esso già si viene a trovare, occorre intervenire interagendo su di lui e questo tipo di interazione è detta forza. In tutti questi casi l’effetto dell’azione di una forza è una variazione di velocità, cioè una accelerazione: sia che l’oggetto parta da fermo, quindi con velocità nulla, per acquisirne una diversa da zero, sia che l’oggetto muti la propria direzione esso sta accelerando. La relazione di Aristotele va pertanto sostituita da: accelerazione ∝ Forza 4 Da un punto di vista quantitativo fu Isaac Newton (1642-1727) a fornirci la corretta legge che regola la proporzionalità fra accelerazione e forza, nella sua monumentale opera scritta nel 1687: Philosòphiae Naturalis Principia Mathematica. Vediamo ora una sequenza di passi che possono condurci al risultato di Newton considerando l’apparato in figura. Su di un piano dove l’attrito è così piccolo da essere trascurabile, abbiamo un oggetto A, libero di scorrere per effetto della trazione della corda legata ad un secondo oggetto B. Un dinamometro misura la forza agente su di A traducendola in allungamenti della molla. Mentre A si muove ne scattiamo delle fotografie ad intervalli di tempo costanti, ad esempio una ogni secondo a partire dall’istante iniziale. Leggiamo su ciascuna foto le posizioni occupate da A, il tempo trascorso dall’istante iniziale e l’allungamento corrispondente del dinamometro. Si fanno le seguenti osservazioni e misure: A B 1. L’allungamento del dinamometro in ogni immagine è sempre lo stesso. Deduzione: stiamo applicando una forza d’intensità costante. 2. La lunghezza dello spazio percorso da A aumenta in ogni successiva immagine, in misura proporzionale al quadrato del tempo trascorso dall’istante iniziale. Deduzione 1: Il moto di A non è a velocità costante, altrimenti lo spazio percorso sarebbe proporzionale al tempo, secondo la legge oraria s = v0t : si tratta invece di un moto accelerato. Deduzione 2: La dipendenza dello spazio percorso da A dal tempo elevato al quadrato ci dice che l’accelerazione è costante. Infatti la legge oraria del moto uniformemente accelerato di un oggetto 1 2 at , prevede proprio una dipendenza dal tempo al quadrato. 2 2 3. Misuriamo il valore dell’accelerazione costante a in m/s dalla sequenza di successive esposizioni che parte fermo, s = fotografiche. L’esperienza ci ha quindi mostrato che, relativamente all’oggetto A, una forza costante produce un’accelerazione costante. Possiamo ripetere l’esperimento, sempre con A, ma cambiando B ed ottenendo differenti valori di accelerazione costante . Li riportiamo in una tabella come quella in figura. Decidiamo ora di utilizzare A come oggetto di riferimento. Non vi è nulla di particolare in A perché possa meritarsi un simile onore, ma in ogni caso una scelta va fatta e la nostra cade su A. Diamo un nome proprio all’oggetto di riferimento: lo chiameremo l’oggetto “un kilogrammo”. Per l’oggetto “un kilogrammo” decidiamo di utilizzare le misure di accelerazione effettuate e di assumerle anche come valori della forza, 2 associandole così alla scala sul dinamometro. Ad esempio se A si muove con a = 2.0 m/s diremo che esso è trainato da una forza pari a 2.0 unità. Ripetiamo ora l’esperienza con un secondo oggetto, C e poi con un terzo D. Per ciascuno di essi vogliamo riprodurre gli stessi allungamenti del dinamometro che si sono avuti per A, vale a dire che vogliamo trainarli con la stessa forza. Per poterci riuscire dovremo variare B finché il dinamometro non segnali l’allungamento da noi voluto nelle fotografie. Si osserva che: 1. 2. Quando il dinamometro assume gli stessi allungamenti utilizzati per A, e quindi a parità di forza esercitata, l’accelerazione -costante - di C assume valori differenti da quella di A. Valori ancora differenti, ma sempre costanti registriamo per D. 5 Riportiamo le misure in una tabella. Nella prima colonna ci sono i valori degli allungamenti del dinamometro misurati tramite le accelerazioni dell’oggetto A, detto “un kilogrammo”. Nella seconda l’accelerazione di A, coincidente con la prima per la scelta fatta. Nella terza le accelerazioni di C e nella quarta di D in corrispondenza dei medesimi allungamenti. Come si vede i dati non sono disposti casualmente; notiamo subito una sorprendente regolarità: 1. 2. Moltiplicando le accelerazioni di C per 4.00 si ottengono i valori delle forze applicate Moltiplicando le accelerazioni di D per 0.50 si ottengono i valori delle forze applicate Accelerazione Forza 2 (allungamento A ( m/s ) del (oggetto “un dinamometro) kilogrammo”) 1.00 1.00 2.00 2.00 3.00 3.00 4.00 4.00 5.00 5.00 6.00 6.00 Accelerazione 2 Accelerazione 2 C ( m/s ) D ( m/s ) 0.250 0.500 0.750 1.00 1.25 1.50 2.00 4.00 6.00 8.00 10.0 12.0 F Corpo C F = 4.00 a Riportando i dati su di un grafico, con le accelerazioni in ascissa e le forze in ordinata, le misure prese si dispongono su di una retta di coefficiente angolare 4.0 per C e di coefficiente angolare 0.5 per C. Per l’oggetto “un kilogrammo” A, la retta ha coefficiente angolare 1. Corpo A F =a Conclusione: fissata una qualunque scala di forza, è un fatto sperimentale che quando una successione di forze di differente intensità sono applicate ad oggetti differenti ne risultano moti uniformemente accelerati. In ciascuno dei Corpo D moti la forza e l’accelerazione sono proporzionali tramite una F = 0.50 a costante caratteristica dell’oggetto. Ciascun oggetto possiede pertanto una proprietà intrinseca: la sua capacità di legare insieme forza ed accelerazione. Tale proprietà è bene espressa da un a m / s 2 numero, cioè la costante di proporzionalità che si misura fra F ed a , e che nel grafico rappresenta il coefficiente angolare della retta. Questa costante, caratteristica di ciascun corpo, viene detta massa inerziale, o più colloquialmente soltanto massa, si indica con la lettera m e la legge che lega l’intensità dell’accelerazione e l’intensità della forza si esprime: F = ma . La massa m si misura in kilogrammi [simbolo Kg] cioè multipli e sottomultipli del valore 2 1 che essa assume per l’oggetto campione “un kilogrammo”, e, se le accelerazioni sono espresse in m/s , l’unità di misura della forza prende il nome di Newton [simbolo N]. Per individuare una forza in casi non semplificati come questo dovremo conoscerne, oltre all’intensità, la retta lungo la quale agisce ed il suo verso di azione. Sperimentalmente si verifica che la forza è una grandezza vettoriale, possiamo cioè (1) sommare gli effetti di più forze tramite la regola del parallelogramma e (2) scomporla e constatare l’indipendenza delle azioni delle componenti perpendicolari. Più in generale si mostra allora sperimentalmente che vale la relazione vettoriale: F = ma detta secondo principio della dinamica. 6 6. Il principio di relatività Quando si desidera descrivere in modo quantitativo il moto di un oggetto, abbiamo bisogno di mettere d’accordo tutti gli sperimentatori interessati su quali siano le caratteristiche –leggi orarie, traiettoria- del moto stesso. E’ infatti esperienza comune che uno stesso moto si differente se osservato da differenti punti di vista. Facendo l’esempio di una pallina che cade dentro ad un’automobile in moto, lo sperimentatore solidale con l’auto la vedrà descrivere un tratto di linea retta verticale, lo sperimentatore solidale con il suolo, al contrario, osserverà una traiettoria parabolica. Nel momento in cui decidessimo di fissare una terna di assi cartesiani x , y, z nello spazio per descrivere quantitativamente il moto di un corpo dovremo ancorarla a tutti quegli oggetti rispetto ai quali il moto avviene con le stesse caratteristiche. Nell’esempio citato porremo la terna solidale all’auto oppure solidale al terreno e chiameremo la terna scelta il nostro sistema di riferimento. SI DICE SISTEMA DI RIFERIMENTO PER IL MOTO DI UN PUNTO MATERIALE L’INSIEME DEGLI OGGETTI RISPETTO AI QUALI IL MOTO AVVIENE CON LE STESSE CARATTERISTICHE. E’ ancora evidenza sperimentale che esistano sistemi di riferimento in cui il principio d’inerzia ha validità ed altri in cui non vale. In questi ultimi capita di osservare che un punto materiale non sottoposto a forze modifichi il proprio stato di moto, o ponendosi improvvisamente in movimento, oppure deviando da una traiettoria rettilinea senza che si sia interagito su di esso. Basta pensare ad un oggetto fermo sul sedile di un’automobile ed osservarlo mettersi in moto quando questa frena oppure quando curva. E’ facile convincersi che nessuna forza ha agito su di esso in entrambi i casi se si pensa che non esiste un soggetto a cui imputare la causa di questa presunta”forza”. Si dà allora la seguente definizione: SISTEMA DI RIFERIMENTO INERZIALE: UN RIFERIMENTO DOVE VALGA IL PRINCIPIO D’INERZIA, OVVERO DOVE UN PUNTO MATERIALE RIMANE FERMO SE SU DI ESSO NON AGISCONO FORZE. Si dirà, di conseguenza, non inerziale, qualunque riferimento ove non valga il principio d’inerzia. E’ proprio la nostra incapacità a distinguere la quiete dal moto uniforme che porta a caratterizzare i sistemi di riferimento inerziali. Una particella in moto a velocità costante, apparirebbe ferma in un riferimento che si muovesse accanto ad essa con pari velocità. ha spinto i fisici verso la formulazione di un principio di relatività del moto, prima limitatamente al campo della meccanica, attraverso le intuizioni di Galileo, e successivamente esteso da Einstein anche ai fenomeni di natura elettromagnetica. Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all'amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua, benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con più forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con 7 più fatica noteranno verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai accaderà che si riduchino verso la parete che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate; e se abbruciando alcuna lagrima d'incenso si farà un poco di fumo, vedrassi ascender in alto ed a guisa di nugoletta trattenervisi, e indifferentemente muoversi non più verso questa che quella parte. 8