Premessa Riprendiamo da dove ci siamo fermati lo scorso anno, sostando e riflettendo sul tema della piccolezza: “Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l‘ultimo di tutti e il servo di tutti»” (Mc 9,35b). Niente come queste righe segna meglio il legame e il passaggio tra piccolezza e servizio. La piccolezza si fa invito a essere servo di tutti o, meglio ancora, la piccolezza consiste nel farsi servo di tutti. Alla fine di questo percorso avremo più chiara la congiunzione tra piccolezza e servizio. L’appello a essere servo di tutti da parte di Gesù, che sta dialogando con i Dodici in casa a Cafarnao, è un riverbero, un’evoluzione, un approfondimento, una chiarificazione lungo il cammino di ciò che è stata la chiamata dei suoi apostoli all’inizio. Per questo per comprendere la dimensione del servizio è importante partire dalla chiamata di Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni. 1. Ascolto e servizio 16. Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». 18. E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 19. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi sulla barca riparavano le reti. 20. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro di lui. In questo passo del vangelo di Marco (Mc 1,16-20), emerge il legame tra chiamata e servizio. Gli apostoli sono chiamati a servire. Come avviene questa chiamata? Da dove viene il servizio e quale orizzonte ha? Sono queste le domande che possiamo porci di fronte a questo brano del vangelo. Se leggiamo il v. 16 emerge l’ordinarietà del vivere dei quattro apostoli: - passando lungo il mare di Galilea - spazio del loro lavoro; - mentre gettavano le reti in mare - l’attività che stavano svolgendo; - erano infatti pescatori - il loro mestiere. Luogo, mestiere e nome costituiscono l’identificazione, il ruolo delle persone che sono chiamate. Gesù chiama nel quotidiano. La chiamata avviene nella realtà in cui ci si trova, nella vita ordinaria. Sono pescatori. È questo il dato di partenza. Gesù li chiama a partire da lì, dalla loro situazione. La chiamata allora avviene: - per nome - sul lavoro - nello spazio quotidiano. Non è una situazione straordinaria, ma ordinaria, abituale. È importante comprendere questo perché è premessa indispensabile per comprendere che siamo tutti chiamati, invitati, coinvolti. Gesù chiama i quattro a essere pescatori di uomini. È una rigenerazione. A partire da dove si è Gesù chiama per un diverso, un di più, un oltre. È centrale il versetto della chiamata: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». “Venite dietro a me” sta a indicare un invito a seguirlo, ma anche a fare di Gesù l’esempio del proprio vivere. Recuperiamo così la doppia dimensione del servizio da questa chiamata di Gesù: - “Venite dietro a me” sta a indicare l’esemplarità di Cristo - “vi farò diventare pescatori di uomini” sta a indicare la necessità dell’umano che è la base del servizio ai fratelli. C’è dunque un duplice rapporto tra ascolto e servizio: l’ascolto è legato al servizio sia perché è ascolto di una chiamata (venite dietro a me), sia perché è ascolto di un’esigenza dell’umano (vi farò diventare pescatori di uomini). Pescatori di uomini però ci mette di fronte a una triplice relazione: Chiamata- ascolto - conversione Gli apostoli possono disporsi al servizio solo nel momento in cui accolgono la chiamata, convertono lo sguardo (venite dietro a me) e si predispongono alla rigenerazione del loro lavoro, della loro attività e sappiamo, in un secondo momento, del nome. Pescatori di pesci chiamati a diventare pescatori di uomini. È l’ordinario che si rigenera, trasforma, converte, facendosi sequela, servizio. Se osserviamo le dinamiche di questo passo del vangelo, emergono queste tappe alla base del servizio: 1. C’è una chiamata sul lavoro, là dove si è, nella vita di tutti i giorni, 2. Da pescatori che gettano e riparano le reti a pescatori di uomini, ovvero il cambiamento dell’oggetto. 3. L’invito alla sequela. Nota interessante: all’’inizio l’invito di Gesù è letteralmente ‘venite dietro a me’. Il brano si chiude con ‘andarono dietro a lui’. Servire Gesù è andare dietro a lui (vedi esemplarità di Cristo). 4. C’è una risposta immediata: “Subito”. Questa è la disposizione d’animo del servizio. “E subito lasciate le reti lo seguirono”. Gesù chiama subito e subito i discepoli rispondono. È la dimensione della fiducia, dell’abbandono. 5. C’è un lasciare l’ordinario (reti e padre) per uno straordinario. 6. Emerge quindi la dimensione di apertura del servizio: c’è una chiamata ma non si sa dove porta, apre a un cammino. Il servizio quindi apre a una dimensione inedita. Non ci viene chiesto se siamo pronti, se siamo capaci. È un invito che parte lì dove siamo per portarci in una concezione nuova della vita e dell’altro. Per questo l’altro brano significativo della chiamata a servire è la parabola del buon samaritano. Occorrerebbe una lectio dedicata anche per questo brano, ma possiamo soffermarci brevemente per cogliere delle affinità. Il Samaritano era in viaggio. Vede l’uomo ferito e ne ha compassione. Cosa emerge? Che c’è un’interruzione. Il Samaritano si ferma perché c’è un uomo ferito, che ha bisogno. Interrompe il suo viaggio e lo assiste. “Si prese cura di lui” - “Vi farò pescatori di uomini”: Ascolto, attenzione, cura sono le tre dimensioni del servizio. Mc 1,16-20 e Lc 10,25-37 possono sembrarci due brani apparentemente distanti e che non hanno nulla a che fare. Non è così! Il primo ci dice la modalità della chiamata, la concretezza e l’immediatezza della sequela, il secondo ci dice il come della risposta. Il servizio in Lc 10,27 è messo in relazione al comandamento dell’amore: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso”. Ecco di nuovo il doppio binario del servire: 1. Il Signore - esemplarità di Cristo - 2. Il prossimo, l’altro, l’umano e le sue istanze. Infatti la domanda che segue da parte del dottore della legge che interroga di Gesù è “Chi è il mio prossimo?”. Da qui segue la parabola che conosciamo che più che di fronte a una definizione di ‘prossimo’ ci mette davanti alle istanze della prossimità, dell’altro che ci interpella lungo la strada che stiamo percorrendo, ci fa voltare lo sguardo, ci domanda cura e attenzione e ci invita a un’interruzione o, meglio, una rigenerazione del quotidiano. Il rischio spesso nel nostro quotidiano, invece, è intendere il servizio come pura operosità, come dover fare, come meccanica esecuzione di ruoli, compiti e doveri. Il servizio non è operosità, non è esecuzione tecnica, ma è atto, cura, attenzione che procede a partire dal cuore, da una concezione della vita e della sequela. In sintesi: Alla base del servizio allora c’è una chiamata a cui segue una risposta. C’è una conversione dello sguardo. I quattro apostoli lasciano l’ordinario per seguire Gesù e il Samaritano interrompe il viaggio per prendersi cura dell’uomo ferito. C’è un quotidiano trasformato. C’è una concezione della vita come continua apertura all’inedito. C’è uno sguardo ‘obliquo’ orizzontale (le istanze dell’altro e del vivere) e verticale (verso il Padre, che dà senso e ci tiene legati solo alla contingenza). C’è un sentirsi non possessori del proprio vivere, ma affidatari. Torneremo però su questo punto alla fine del nostro percorso. Domande per l’approfondimento personale: 1. La storia degli apostoli ci mette di fronte alla immediatezza di una risposta, ma anche a diversi fraintendimenti e attaccamenti a ruoli e sicurezze. La nostra vita, il nostro essere servi come si relaziona al doppio binario della esemplarità di Cristo e delle istanze dell’umano e del fratello? Quante volte invece, anche nel servizio, anteponiamo le nostre istanze (il bisogno di essere appagati, il bisogno di realizzazione, il bisogno di sentirci indispensabili, il bisogno di riconoscimento e di sentirci buoni…)? O riusciamo a considerare il servizio come capacità costante di decentramento e di offerta di ciò che siamo nel nostro quotidiano? 2. “Vi farò pescatori di uomini”. Quali sono le istanze dell’umano in questo tempo? Essere servi vuol dire prestare attenzione alle necessità dell’umano e farsi interpellare da queste. Di cosa ha sete l’umanità? 2. Servizio e sequela al femminile Premessa: La fedeltà al servizio, secondo l’esempio di Cristo, è una fedeltà molto fragile, mentre è più radicata nelle donne. La sequela, il servizio al femminile ci mettono in evidenza la dimensione della costanza, della fedeltà, della radicalità, di un rapporto che rimane vivo. Ci soffermiamo in particolare su due passi dal vangelo di Marco: Mc 1,29-30 e Mc 15,40-41. Mc 1,29-30: 29. E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano: la febbre la lasciò ed ella li serviva. Mc 15,40-41: 40. Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, 41. le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme. Soffermiamoci prima su Mc 1,29-30. La suocera di Pietro è malata. Si dice che è a letto con la febbre. Dalle poche righe del brano la febbre sembra presentata come uno stato depressivo. Viene detto che è a letto con la febbre. Pietro ha appena lasciato le reti per seguire Gesù. Viene da pensare che la febbre indichi soprattutto una dimensione di prova, di domanda, di necessità di comprendere, di capire. Il passo tra la chiamata dei quattro che abbiamo visto prima e questo, Mc 1,2128, al versetto 27 fa chiaramente riferimento alla fatica di comprendere la novità di Gesù: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». Anche la suocera di Pietro probabilmente è attraversata da queste domande e non trova risposta di fronte alle scelte del genero. La risposta avviene in un incontro: “Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano: la febbre la lasciò ed ella li serviva“. Gesù spesso guarisce con il contatto, prendendo per mano, accarezzando, toccando. Qui però sembra che il prendere per mano voglia indicare un vero e proprio entrare in relazione, fare accedere la donna nella nuova logica della sequela. Seguendo quindi il percorso di questo incontro questa è la dinamica: c’è una domanda aperta, un sentirsi messi alla prova, segue un incontro. L’incontro richiede ascolto, capacità di accoglienza. La donna si fa prendere la mano da Gesù e si alza. A questo punto si mette a servire. La nuova comprensione apre la donna al servizio. La riflessione biblica ci ha messo spesso in ascolto del passo del vangelo di Marta e Maria (Lc 10,38-42) come le due anime della chiesa al femminile (e non solo!), fatta di ascolto e di servizio. Sostando e meditano l’incontro tra Gesù e la suocera di Pietro emerge una sintesi dello stare in ascolto, dell’accogliere per prestare servizio. È la stessa sintesi che compare in Lc 1,38, nella risposta di Maria all’Angelo: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Parola e servizio. Ascolto, accoglienza e offerta di sé. Gli uomini ricevono un invito, si mettono in cammino e poi lentamente comprendono. È la parte razionale che via via entra in gioco e chiede di essere trasformata. Le donne ricevono un invito, entrano in relazione, interpellano Gesù, senza paura, si mettono totalmente in gioco. È la capacità di donazione, di accoglienza e di affidamento che si attiva. Vediamo bene questa dinamica in Mc 15,40-41. Le donne che seguono Gesù che hanno nome e identità come gli apostoli (è importante farlo presente in una Chiesa che spesso ha dimenticato questi nomi e queste identità), lo accompagnano con costanze e fedeltà. Ci sono due verbi che vengono accostati: seguivano - servivano Servizio è sequela e sequela è servizio. Questa associazione verbale di servizio e sequela ci mette di fronte alla non autoreferenzialità del servizio e del discepolato, proprio perché la sequela è chiamata a farsi servizio e perché il servizio senza un’attenzione alla parola perde senso. Ritornando alla risposta dell’annunciazione Maria si fa serva predisponendosi all’accoglienza di una parola Così anche le donne che accompagnano Gesù sotto la croce. In questo brano di Mc, infatti, emerge la radicalità evangelica. Le donne non hanno paura del vangelo che porta fino a sotto la croce. Non c’è in loro un’indole autoconservativa, ma donativa, in un’offerta totale del loro vivere. Costanza e fedeltà, abbandono, radicalità sono i tratti della sequela al femminile, insieme alla capacità di interloquire con Gesù, interpellarlo, incontrarlo nel profondo. Le donne evangeliche non si tutelano, non si risparmiano, non danno limite alla sequela. Se avessimo tempo potremmo sviscerare queste caratteristiche da ogni brano in cui emerge una presenza di donna. Conclusione: L’uomo sembra dire ‘fino a qui sì, oltre no’, le donne invece vivono la totalità di un cammino. È la differenza del maschile e del femminile che nella sequela evangelica chiede di essere coniugato. Non possiamo dimenticare e mettere da parte, uomini e donne, la nostra fragilità nel servizio perché anche questa è una brutta tentazione dello Spirito. Allo stesso tempo, lavorando su di noi, le nostre storie, i nostri limiti e ascoltando la Parola, possiamo farci sempre più servitori, senza paura di Gerusalemme, considerando che chi andava verso Gerusalemme non aveva lo sguardo unicamente verso la croce, ma anche verso la novità del risorto. Domande per la riflessione: 1. Servizio e radicalità evangelica. Servizio e ascolto della Parola. Quanto l’ascolto, la capacità di accoglienza del Vangelo è motore per il nostro servizio? 2. Maschile e femminile. Ripercorrendo le dinamiche del maschile e del femminile, come si possono coniugare nella vita della chiesa queste due anime? 3. “Sono in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Premessa: per comprendere e afferrare la logica del servizio evangelico non si può non attraversare l’Ultima Cena, la lavanda dei piedi e la dimensione pasquale di questo. Gesù ha appena annunciato il suo tradimento (Lc 22,21-23). Gli apostoli si stanno domandando chi tra loro avrebbe fatto questo e si apre tra loro una discussione su chi sia il più grande. È una discussione che ritorna spesso ed è la diatriba con cui abbiamo concluso l’anno scorso e con cui abbiamo riaperto il nostro percorso. La ritroviamo anche qui, nel momento in cui Gesù sta per donare la sua vita. La risposta di Gesù alla domanda degli apostoli è chiara e diretta: 25. I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. 26. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. 27. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sono in mezzo a voi come colui che serve. Se seguiamo questo brano del vangelo siamo messi di fronte al ribaltamento operato da Cristo per cui il servizio non è fonte di potestas, ma di gratuità, offerta, dono. “Voi però non fate così”. È il monito di Gesù poco prima della sua consegna finale, per questo possiamo considerarlo tra le parole del suo testamento. È evidente il gioco di parole tra servizio, governo e potere. Gesù qui ci dice che il servizio non deve essere occasione di potere, di prestigio, di forza, ma dono. Chi governa ovvero chi ha responsabilità su qualcosa non deve vivere tale ruolo come detentore assoluto, ma come affidatario secondo le logiche della cura, della tutela e della responsabilità. Cristo ribalta la logica del servizio, ma soprattutto scardina il rapporto tra responsabilità e potere. Ci facciamo responsabili della vita e degli altri non dominandoli, ma servendoli. È la logica del vangelo, è la logica dell’amore che ritroviamo anche in Gv 13,119 durante la lavanda dei piedi. Gesù si piega, lava e asciuga i piedi dei suoi. Pietro che dall’inizio lo aveva seguito, non capisce: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Non è solo il potere che viene ribaltato, ma anche il sacro. Il sacro, il puro che si mette a servizio dell’uomo. Gesù lava i piedi per lasciare ai suoi un nuovo e definitivo paradigma: una Chiesa che, amando, serve. In queste righe, non a caso, abbiamo una dimensione liturgica del servizio. Gesù, oltre all’atto eucaristico del pane e del vino, oltre a lasciare il suo comandamento dell’amore, lava i piedi, come segno finale di una Chiesa che è chiamata a servire: 12. Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13. Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 16. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 17. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica». Poche righe dopo, dà il suo comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. La lavanda dei piedi ci mette di fronte alla Chiesa dell’agape, da una concezione nuova dell’altro e dell’esistenza e che ha come orizzonte l’esemplarità di Cristo e la promessa del Regno già fin d’ora. Gesù, Maestro e Signore, si mette a servizio, lava i piedi, si piega. I discepoli, a loro volta, si fanno lavare i piedi. È la dimensione liturgica del servizio che implica relazione, in un atto di donazione e accoglienza reciproca. L’esemplarità di Cristo qui provoca e ci provoca. Non il potere, ma il servizio. Non il prestigio, ma l’offerta di sé. Non un mondo (possiamo sostituire la parola Chiesa) di puri, ma un mondo in cui ci si sa piegare per lavare i piedi del fratello. Non un mondo di persone che non tengono conto delle istanze della vita e dei fratelli, ma un mondo che si dilata all’ascolto e all’accoglienza dell’altro. È significativo che qui il verbo usato per parlare di servizio al versetto 16 non è diakoneo, ma douleuo, infatti Gesù usa il termine doulos (schiavo). È importante soffermarsi su questa differenza. Nei brani che abbiamo analizzato, esclusa l’annunciazione (Lc 1,38) i termini e i verbi fanno riferimento al verbo diakoneo che indica il servizio. Qui e nell’annunciazione, invece, il verbo di riferimento è douleuo che significa essere schiavi. La diakonos è colui che decide di prestare un servizio, che si offre volutamente, mentre il doulos è lo schiavo che non può contrapporsi al servizio richiesto per la sua condizione giuridica. Maria e Gesù sono doulos, non perché non liberi, non perché sottomessi, ma perché il loro essere servi dipende dalla dimensione salvifica della loro esistenza e dall’atto kenotico, di spogliazione a cui sono chiamati. Se vivere la diakonia di Cristo significa seguire il suo esempio, la Chiesa è chiamata a farsi non solo diacona, ma vera e propria doule, capace di scelte e di atti a servizio della dimensione salvifica. Le parole di Gesù, riportate poi al v. 14-15, sono chiare: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi“. Non viene negata la dimensione magistrale della Chiesa, però questa magistralità si manifesta nella liturgia della lavanda dei piedi, nella capacità di piegarsi, di accogliere l’umano e di non temere la parte del corpo che è più a contatto con la terra. La magistralità allora si esprime soprattutto nel servizio che è capacità soprattutto di maternità, ovvero di prendersi cura in uno stile agapico. Domande per la riflessione: 1. Gratuità e potestas sono le due anime che spesso animano la vita comunitaria e che originano i conflitti. Come possiamo concepire una vita comunitaria che ha come modello la lavanda dei piedi? 2. Servire ed essere serviti. La logica del Regno invita non solo a lavare ai piedi al fratello, ma anche a farsi lavare i piedi. Quanto nelle nostre vite siamo disposti a farci lavare i piedi e a farci accogliere e amare dalle persone che incontriamo?