“massa” è incompatibile con la causa liberale, non col liberalismo G

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La “massa” è incompatibile con la causa liberale, non col liberalismo
G.Birindelli - l'Indipendenza - 10-09-12
La recente costituzione di movimenti politici che affermano di ispirarsi alle idee liberali o libertarie (mi
riferisco a “Fermare il declino” e a “Forza evasori”, due movimenti politici molto diversi fra loro) ha spinto
alcuni liberali o libertari a storcere il naso. Credo che in alcuni casi dietro questo scetticismo ci sia in parte
la convinzione che il liberalismo è un pensiero d’élite che per definizione non può essere condiviso dalla
massa e, in parte, la convinzione che il liberalismo non è compatibile con un partito politico.
In questo articolo provo a rispondere alla prima domanda (il liberalismo può essere condiviso dalla
massa?) lasciando la seconda domanda (il liberalismo è compatibile con un partito politico?)
eventualmente per un articolo successivo. Prima di tentare di rispondere alla domanda se il liberalismo
può o meno essere condiviso dalla massa è indispensabile premettere il significato che uno
personalmente attribuisce ai termini ‘liberalismo’ e ‘massa’.
Dal mio punto di vista, il liberalismo è un sistema di riferimento. Quello che intendo dire è che il
liberalismo, nelle sue diverse forme, è una visione filosofica coerente nei limiti in cui ha il suo fondamento
nella legge intesa come principio astratto e generale, cioè come limite al potere. Il liberalismo è quindi
antitetico alla visione oggi quasi universalmente data per scontata in Occidente (soprattutto nell’Europa
continentale, ma non solo) in base alla quale la ‘legge’ è il provvedimento particolare, cioè lo strumento
di potere.
Per il liberalismo è l’autorità a derivare dalla legge. Per il totalitarismo, viceversa, è la legge a derivare
dall’autorità. Cioè: per il liberalismo è l’autorità a orbitare attorno alla legge intesa come principio astratto
e generale (il quale è indipendente dalla volontà dell’autorità che lo deve scoprire, custodire e difendere
tanto quanto le regole della lingua italiana sono indipendenti dalla volontà dei linguisti), mentre per il
totalitarismo è la ‘legge’ (intesa come provvedimento particolare) a orbitare attorno all’autorità, dalla cui
volontà essa dipende. In questo senso la differenza fra liberalismo e totalitarismo è una differenza fra
sistemi di riferimento.
Tutte le differenze, e anzi le opposizioni, fra il liberalismo e il totalitarismo (fra la società libera e i sistemi
totalitari) sono riconducibili all’idea di legge, cioè al sistema di riferimento. Fra queste differenze sono
comprese:
quella in relazione all’idea di uguaglianza davanti alla legge (che per il liberalismo, a differenza
del totalitarismo, non può mai comprendere la disuguaglianza legale);
quella in relazione all’idea di certezza della legge (che per il liberalismo significa impossibilità che
la legge cambi arbitrariamente da un giorno all’altro, mentre per il totalitarismo significa precisione del
provvedimento burocratico);
quella in relazione all’idea di libertà (che per il liberalismo è connessa all’assenza di coercizione
arbitraria di alcuni su altri, mentre per il totalitarismo è connessa alla possibilità di fare determinate cose
per esempio);
quella in relazione all’idea di democrazia (che, nelle parole di Cubeddu, per il liberalismo consiste
nel “riconoscimento politico della soggettività delle scelte”, mentre per il totalitarismo significa regola
della maggioranza, per esempio rappresentativa).
Da ognuno di questi due sistemi di riferimento alternativi (quello centrato sulla legge intesa come
principio e quello centrato sul potere dell’autorità) scaturisce necessariamente un ordine sociale (per
esempio economico) che è incompatibile con quello che scaturisce dall’altro. Il liberalismo produce
l’economia di mercato (la quale non può esistere senza la legge intesa come principio e senza le idee a
essa necessariamente ed esclusivamente associate); il totalitarismo produce l’economia di comando, per
esempio l’economia di piano sovietica oppure la contemporanea ‘economia sociale di mercato’ (la quale è
la conseguenza necessaria e diretta della ‘legge’ intesa come provvedimento e delle idee ad essa
associate).
Forse uno dei vantaggi maggiori che si hanno con la visione del contrasto fra liberalismo e totalitarismo in
termini di contrasto fra sistemi di riferimento è l’enfasi sulla coerenza. Il liberalismo è un pensiero
coerente, nel senso che le idee a cui ricorre sono sempre e solo quelle relative al sistema di riferimento
centrato sulla legge intesa come principio: per esempio, il liberale non intenderebbe mai l’uguaglianza
davanti alla legge come disuguaglianza legale né la certezza della legge come precisione del comando
burocratico. Il pensiero totalitario, viceversa, è incapace di coerenza perché, da un lato, ha bisogno del
sistema di riferimento centrato sull’autorità per soddisfare i propri interessi e consolidare il suo potere
(per esempio ha bisogno dell’uguaglianza davanti alla legge intesa come disuguaglianza legale, senza la
quale non potrebbe finanziarsi). Dall’altro, tuttavia, non riesce apertamente a negare il sistema di
riferimento centrato sulla legge intesa come principio in quanto, seppure sempre più sotterrato, questo
sistema di riferimento sta, più o meno inconsapevolmente, dentro ciascuno. Così il totalitarismo (sia nelle
istituzioni sia nei pensieri delle persone) rifiuta il confronto sul terreno per esso pericolosissimo della
razionalità (e quindi della coerenza) e, ricorrendo a editti autoritari, adotta l’uno o l’altro sistema di
riferimento a seconda di quello che gli fa più comodo, à la carte (come se un astronomo adottasse il
sistema geocentrico o quello eliocentrico a seconda di ciò che gli torna meglio nella situazione
particolare).
Ciò che distingue la massa dall’élite non è né il livello di reddito, né il livello di istruzione ma a) l’assenza
di originalità e individualità del pensiero (come dice Mises, “Le masse non pensano. Proprio per questo
seguono coloro che pensano”) e b) l’incapacità o comunque l’assenza di coerenza del pensiero (il tipico
esempio sono quei giornalisti che sul piano dell’uguaglianza davanti alla legge condannarono con sdegno
il cosiddetto ‘Lodo Alfano’ e che allo stesso tempo osannano o peggio ancora danno per scontata la
‘giustizia’ della progressività fiscale -articolo 53 della costituzione- la quale sul piano dell’idea astratta di
uguaglianza davanti alla legge è identica al ‘Lodo Alfano’).
Il sistema politico in cui oggi viviamo è pienamente totalitario: il suo sistema di riferimento è centrato sul
potere dell’autorità legalmente costituita, non sulla legge intesa come principio, la quale oggi non c’è, nel
senso che non è difesa da nessuno. Come nel caso astronomico prima di Copernico, la massa dà per
scontato che l’attuale sistema di riferimento sia l’unico esistente (cioè non si pone il problema del sistema
di riferimento, dell’idea di legge). Inoltre, sempre come nel caso astronomico prima di Copernico, se
qualcuno, di fronte alle incoerenze del sistema di riferimento attuale, prova a sollecitare un discorso
razionale sulla possibilità di un sistema di riferimento diverso e coerente, la massa si chiuderà a riccio e
rifiuterà questa discussione (basti pensare a Monti nei cui ‘consigli’ alla RAI sembra implicito un rifiuto del
confronto razionale sul tema dell’evasione fiscale): infatti il cambiamento di sistema di riferimento implica
mettere in discussione troppe cose che si sono date per scontate e sulle quali uno ha impostato la propria
vita, materiale e intellettuale.
Tutto questo può indurre a pensare che il liberalismo sia incompatibile con la massa. Personalmente,
tuttavia, non credo che sia il liberalismo a essere incompatibile con la massa ma che sia la causa liberale
a esserlo. Non ho dubbi sul fatto che, se un giorno qualcuno, nonostante la massa, riuscisse a vincere la
causa liberale, la massa accetterebbe il nuovo sistema di riferimento (e con gioia). In fondo la massa ha
finito per accettare il sistema di riferimento eliocentrico: non era il sistema di riferimento eliocentrico a
essere incompatibile con la massa ma la causa copernicana. Occorrevano persone capaci di mettere in
discussione il sistema di riferimento dato per scontato, capaci di ricercare la coerenza, di andare contro
tutti, di mettere in discussione l’ovvio: dopotutto, come dice Hoskin, “La storia della cosmologia non è la
facile storia del rifiuto di idee assurde in favore di ciò che (magari dopo averci pensato un po’) è
riconosciuto essere palesemente vero, ma la saga eroica del rifiuto conquistato con fatica di ciò che è
riconosciuto essere palesemente vero in favore dell’assurdo”.
È vero che nelle scienze sociali (a differenza di quelle naturali) non si può dimostrare la verità, ma è
anche vero che in questo caso il sistema di riferimento alternativo a quello oggi dato generalmente per
scontato sta già dentro ciascun individuo e quindi anche dentro la massa: nella massa è seppellito molto
in fondo, ma ci sta (basti pensare a coloro che sulla base del principio di uguaglianza davanti alla legge
sono contrari all’apartheid ma che sono a favore della progressività fiscale: come nel caso del ‘Lodo
Alfano’, dal punto di vista dell’uguaglianza davanti alla legge i due casi sono identici) e quindi si tratta di
disseppellirlo, di indurli al confronto razionale e a essere coerenti con la parte più profonda e più
dimenticata di sé stessi: il sistema di riferimento centrato sulla legge intesa come principio non c’è
bisogno di imporlo da fuori.
Quindi il liberalismo, a mio modo di vedere, non è di per sé incompatibile con la massa e ogni sforzo
dedicato alla causa liberale e/o a tentare di disseppellire il liberalismo che sta già dentro ciascun individuo
è benvenuto: chiudersi nella propria torre d’avorio non aiuta la causa del liberalismo. Ma perché questo
sforzo abbia un senso, l’aggressione deve essere anche (e io credo soprattutto) al sistema di riferimento,
all’idea di legge, non solo a cose quali il sistema fiscale. Se non si cambia sistema di riferimento, non si
distingue la legge dalle misure; se non si fa questo non si distingue il potere legislativo dal potere
politico; e senza legge e senza separazione dei poteri, la flat tax (che è già un miglioramento rispetto alla
progressività fiscale) può sparire tanto velocemente come un giorno dovesse arrivare. Quello che bisogna
aggredire non è solo il sistema fiscale eccessivo e discriminatorio ma, parallelamente, anche la possibilità
stessa dello stato di estorcere più tasse di quelle strettamente necessarie finanziare lo stato minimo (per
come coerentemente lo si intende) e di adottare un sistema fiscale discriminatorio. E lo stesso discorso
vale, naturalmente, per tutte le altre misure e istituzioni totalitarie: dalla banca centrale con potere di
stampare denaro o di fissare arbitrariamente il tasso d’interesse alla moneta legale; dall’obbligo di
permesso per cambiare la destinazione d’uso di un immobile al diritto di prelazione dello stato sulle opere
d’arte, eccetera. Bisogna affrontare il problema anche alla radice e non è detto che affrontare il problema
anche alla radice non scuota gli animi e non porti più voti. In fondo, se non ora quando?