PROGETTI Nuova sede Università Bocconi Tra audacia architettonica e sfide costruttive 28 Quando la nuova sede dell’università ‘Luigi Bocconi’ di Milano era ancora un progetto, l’area tra Viale Bligny e via Roentgen dove sorge ora, imponente, l’edificio inaugurato l’autunno scorso con l’apertura dell’anno accademico, ospitava l’ultimo ciclo di vita dei depositi della SGEA, la società di trasporto interurbano degli autobus che per anni avevano collegato la bassa Lombardia con Milano. Anni di gloriosa attività che, però, lasciarono in eredità l’inevitabile inquinamento del suolo e il compito a chi avviò i lavori sull’area di operare una salutare quanto laboriosa bonifica. Subito dopo iniziarono gli scavi sul rettangolo del lotto arrivando sino ad una profondità di circa 19 metri ben oltre a dove si trova, in quel punto, la falda acquifera di Milano. foto fbi-milano.com per GDM Costruzioni Spa Nuova sede Università ‘L. Bocconi’ di via Roentgen, Milano, ingresso foto fbi-milano.com per GDM Costruzioni Spa Il cantiere, fondazioni e prime elevazioni Jet grouting e impermeabilizzazione del cantiere “Noi arrivammo poco dopo quella fase mentre si stavano concludendo le opere provvisionali che la Bocconi aveva fatto realizzare”, ricorda l’ingegnere Alessandro Boe che ha svolto, durante i lavori, il ruolo di Responsabile Ufficio tecnico per “GDM Costruzioni”, l’impresa costruttrice dell’edificio. “Vinta la gara d’appalto, nel luglio del 2004 iniziammo le nostre attività in cantiere e ci trovammo subito di fronte ad una sfida molto impegnativa. I piani interrati dovevano collocarsi a circa 18 metri sotto terra e ci trovavamo di fatto in piena falda con un battente d’acqua di sei metri d’altezza, era in corso l’attività di jet grouting, un trattamento che prevede l’iniezione ad alta pressione di cemento nel terreno allo scopo di consolidarlo. L’obiettivo era quello di realizzare un tampone di fondo di 5 metri di spessore che doveva contrastare la spinta idrostatica dell’acqua e consentire a noi di lavorare per costruire su tutto il lotto una vasca impermeabile di 18 metri di altezza sulla quale erigere le fondazioni. Il problema era che, data l’estensione del lotto, queste attività ad un certo punto si accavallavano con le nostre. Abbiamo lavorato, come si dice in avanzamento. Appena un’area finiva di essere trattata con il jet grouting si scavava via il materiale e l’acqua soprastanti e poi si procedeva con l’impermeabilizzazione. Siamo andati avanti così per oltre un anno. Non è stato semplice”. 29 Le fondazioni Così come l’innalzamento delle fondazioni. “La parte più difficile di un cantiere - riprende il tecnico di GDM Costruzioni - è, come noto a chi lavora nel settore, quella di uscire dalle fondazioni. Quando sei arrivato a piano terra hai già fatto la metà del lavoro. Nel nostro caso abbiamo realizzato una platea uniforme di fondazioni delle dimensioni della vasca, un getto di calcestruzzo con uno spessore di due - tre metri a coprire l’ingombro in piano dell’edificio che è largo 60 metri e lungo circa 160”. “Se si tiene conto che una macchina betoniera porta al massimo 10 metri cubi di calcestruzzo si può immaginare quanto questa fase abbia richiesto in termini di energie e capacità organizzative. Certi giorni siamo arrivati anche a getti di 500 metri cubi con l’arrivo sul cantiere di 50 betoniere. I mezzi partivano dall’impianto di produzione, attraversavano Milano e dovevano arrivare al cantiere entro il tempo limite stabilito di 120 minuti, perché oltre il calcestruzzo trasportato dalla betoniera degrada e non ha più le caratteristiche per essere gettato e utilizzato”. 30 Il ceppo di Grè Sul tavolo della sala riunioni della sede GDM Costruzioni di Peschiera Borromeo ci sono alcune immagini dell’edificio completato. “Inizialmente - dice l’ingegnere Boe - per quanto riguarda la finitura estetica delle facciate il progetto delle Grafton non era come lo vediamo oggi con il rivestimento in pietra. Era, anzi, completamente in cemento armato a vista e non venne molto gradito dalla committenza che preferiva, invece, l’uso di materiale lapideo che si avvicinasse molto di più al calcestruzzo. Allora le architette fecero una cosa molto semplice quanto intelligente. Effettuarono alcune ‘passeggiate’ per Milano e si ripresentarono con la nuova scelta, il ceppo di Grè, definendolo ‘geological concrete’. E fu, a mio parere una scelta molto azzeccata. Questo materiale, che viene da una cava situata nei pressi del Lago d’Iseo, è stato, infatti, largamente usato a Milano negli anni ’50, e anche dopo, per realizzare la zoccolatura dei palazzi e proteggerne la base dalla pioggia. È un materiale che si legge molto nel tessuto urbano della città”. foto fbi-milano.com per GDM Costruzioni Spa Travi di copertura, fasi realizzative Quantità di opere e componenti foto fbi-milano.com per GDM Costruzioni Spa Fase esecutiva di realizzazione dei solai appesi Il calcestruzzo autocompattante per l’interno dei muri in elevazione Tornando alle ‘sfide’ “il secondo problema di rilevo che abbiamo risolto – spiega il tecnico di GDM Costruzioni – è stato quello relativo al calcestruzzo da utilizzarsi per l’interno dei muri in elevazione, quelli dei setti verticali sui quali poi avremmo posato le travi della copertura. Da progetto questi muri dovevano essere realizzati con estrema cura riguardo all’aspetto estetico. Ci venne quindi richiesta l’adozione di un calcestruzzo particolare, molto fluido e non tanto utilizzato in Italia. Questo calcestruzzo si chiama SCC, acronimo di Self-Conpacting Concrete, in italiano autocompattante. La sua caratteristica è quella di comportarsi particolarmente bene nel confezionamento di elementi di cemento che presentano molte irregolarità delle superfici e una fitta rete di armatura. E una volta seccato risulta più liscio al tatto e gradevole alla vista. Ma per ottenere queste prestazioni occorre fare molta attenzione alla miscela. Nel nostro caso, infatti, nelle prime prove eseguite sui modelli riscontrammo un problema di ‘vaiolature’ sulla facciata del Opere di jet grouting (cemento iniettato) 55.000,00 mc Calcestruzzo per opere di sottofondazione non armate (Magroni) 3.472,20 mc Calcestruzzo in opera per opere in cemento armato (fondazioni) 65.472,50 mc Calcestruzzo autocompattante (travi parete e pilastroni) 16.528,50 mc Fornitura, lavorazione e posa di tondo per cemento armato, barre ad aderenza migliorata 8.620,00 t. Fornitura, lavorazione e posa, rete elettrosaldata per pavimenti industriali 50.627,50 kg. Piastra tipo F e B 430 inserite nel getto del solaio 151,66 t. Carpenteria metallica per strutture portanti in opera (tubi verticali) 339,00 t. Struttura in carpenteria metallica tipo F e B 510 (p. tecnico + testate) 845,00 t. Casseforme per getti in calcestruzzo, rampe scale, carraie ed elevazioni 108.900,00 mq Casseforme per getti in calcestruzzo, travi, pilastri, solette 154.500,00 mq Cavi scorrevoli per sospensione solai (verticali) 36.000,00 ml Cavi scorrevoli per trave post-tesa (orizzontali) 302.000,00 ml Corrimani e parapetti metallici 4.044,00 ml Facciate in alluminio e vetro esterne 20.520,00 mq Intonaci 23.111,00 mq Lattoneria in acciaio inox 20.588,00 kg Manto impermeabile 10.829,00 mq Murature e tavolati 15.253,00 mq Rivestimenti di facciata e coperture in pietra 11.200,00 mq Pavimentazioni industriali 14.465,00 mq Pavimenti in pietra interni, esterni e scale 19.378,00 mq Pitturazione con idropittura nei colori RAL 25.090,00 mq Idrorepellente per getti in C.A. 148.815,00 mq Porte n. 356 31 ANNO I | n. 4 | LUGLIO - AGOSTO 2009 I solai appesi e l’assenza di pilastri a terra Dal punto di vista strutturale, però, la difficoltà maggiore riscontrata nella realizzazione dell’edificio, come spiega ancora Alessandro Boe, “sta nel fatto che è caratterizzato da solai fuori terra appesi. A differenza di quanto si fa di norma, ovvero si crea un piano, si fa il solaio, poi si fa il piano successivo e un altro solaio, con la sede della Bocconi si è dovuto procedere in modo differente. Abbiamo prima realizzato i setti in cemento armato alti circa 30 metri e posti ad un intervallo di 24 metri l’uno dall’altro. Abbiamo quindi posato delle travi di cemento armato a collegare i setti. Poi abbiamo calato dei tiranti in acciaio e siamo ripartiti dal basso verso l’alto realizzando sei piani di solai. Se uno cammina al piano terra non trova dei pilastri perché le loro veci in realtà vengono fatte dai tiranti che sono L'esterno dell'edificio visto dall'angolo tra viale Bligny e via Roentgen Il progetto L’edificio della nuova sede dell’Università ‘Luigi Bocconi’ di Milano è stato realizzato su progetto dello studio irlandese Grafton Architects di Shelley McNamara e Yvonne Farrell che ha vinto, nel 2001, il Concorso internazionale bandito dall’Ateneo milanese. Premiata nel 2008 dalla giuria del World Architecture Festival di Barcellona quale migliore edificio dell’anno nella categoria ‘formazione’, la nuova struttura, dislocata fra viale Bligny e via Roentgen (dove è situato l’ingresso) si sviluppa su una superficie complessiva di circa 68.000 metri quadrati distribuiti su 6 piani fuori terra e tre interrati. Al suo interno trovano posto, oltre alla magnifica e futuristica Aula magna con 1.000 posti, 731 uffici per 1.240 postazioni di lavoro per i dipartimenti e centri di ricerca dell’Università, un foyer di 2.500 metri quadrati, uno spazio espositivo di 500 metri quadrati. Il parcheggio, interrato, può ospitare 200 auto. Dal punto di vista architettonico il progetto, che si caratterizza, nella forma, per la sapiente combinazione fra la serie di parallelepipedi che ospitano gli uffici e il sottostante 32 blocco dove è situata l’Aula magna, “ruota – come si legge nella presentazione dell’Università Bocconi – intorno a due idee di base: volumi flottanti e diffusione della luce naturale. Le solette dell’edificio Grafton non poggiano su pilastri ma sono appese, attraverso tiranti in acciaio, a grosse travi: un principio strutturale simile a quello dei ponti. L’effetto è un susseguirsi di ambienti aperti, scale ed elementi in cemento armato che sembrano sospesi nell’aria. L’impatto visivo è ulteriormente alleggerito dall’ampia e generosa presenza di vetrate e aperture, che convogliano la luce naturale fin nel sottosuolo”. All’esterno, invece, “in risposta alla personalità di Milano” i cui palazzi hanno “le facciate fredde e gli interni accoglienti”, come scrivono Shelley McNamara e Yvonne Farrel di Grafton Architects, l’edificio presenta un profilo “che è come uno ‘scudo’ roccioso”. Una ‘cortina’ realizzata con il ceppo di Grè, materiale che ha ben corrisposto alle esigenze delle progettiste che volevano “dare un senso di profondità, densità e massa, poiché questa è la caratteristica di molti edifici milanesi”. foto fbi-milano.com per GDM Costruzioni Spa calcestruzzo, causate da un mancato rilascio dell’aria. Un problema non semplice da risolvere perché questo tipo di calcestruzzo non può essere ‘vibrato’ come quelli tradizionali e deve rilasciare l’aria in modo naturale. Prima di raggiungere un risultato ritenuto accettabile dalla committenza abbiamo dovuto effettuare numerose prove con diverse ricette e diversi possibili fornitori. Sul cantiere è venuto anche il Politecnico di Milano che ha condotto degli studi e ha raccolto dati importanti per aggiornare la normativa su questo tipo di calcestruzzo. Al termine dei lavori anche noi abbiamo fatto dei calcoli al proposito ed è emerso che in questo cantiere è stato utilizzato il maggiore quantitativo di calcestruzzo autocompattante a livello nazionale”. in appensione attaccati alla trave in alto. La trave in alto scarica sui setti ed è così che si è potuto evitare la consueta maglia fitta di pilastri a terra creando quello spazio aperto che tanto caratterizza l’edificio”. Il cemento armato post-teso per le travi di copertura Proprio per il ruolo importante che giocano all’interno della struttura, per le travi di copertura (52 tra primarie e secondarie) è stato utilizzato cemento armato post-teso che prevede l’inserimento di cavi di post tensione in acciaio che attraversano la trave andando ad aumentarne le prestazioni. I cavi, circa 160 per trave, sono stati inseriti all’interno dell’armatura prima delle gettata e tesati con delle testate di tiro. “Questa soluzione - riprende l'ingegnere di GDM Costruzioni - è risultata molto più conveniente rispetto a quella prevista inizialmente: travi in acciaio alte 3,40 metri e lunghe 24 metri che dovevano essere fatte realizzare da qualche parte in Italia e poi trasportate in cantiere con tutte le problematiche in termini di logistica che si possono immaginare. Così, invece, come si è convenuto con i progettisti, abbiamo confezionato le travi in quota, portando prima su l’armatura e i cavi e poi gettando”. “Di questo edificio ammiro l’audacia degli aggetti” Un ultimo sguardo all’edificio è una domanda d’obbligo. Ora che è finito, ingegnere Boe, che ne pensa, cosa la colpisce di più? “Dipende da dove e come lo si guarda - la risposta - . C’è audacia in determinate scelte. Se guardo l’Aula magna dall’esterno, guardo lo spigolo dalla via Roentgen, riesco a percepire un elemento massiccio che è un grande aggetto, un grande sbalzo che dà una sensazione di imponenza, di forza. E questo mi piace molto. Gli sbalzi nelle costruzioni sono, a mio parere, gli elementi che esprimono meglio l’audacia dei progettisti. Si parla spesso di edifici alti, di grattacieli di centinaia di metri di altezza presupponendo che l’audacia sia quella di andare in elevazione. Invece in realtà non è così. Il limite è in orizzontale. Sa perché, per esempio, si parla tanto del ponte di Messina? Perchè la difficoltà di una costruzione di quel genere sta nell’unica campata da 3.300 metri. E le assicuro che è più difficile costruire un ponte con una grande ‘luce’ piuttosto che un edificio di grande altezza. La tecnologia ci supporta molto di più nel procedere in altezza e la vera sfida non è salire di altri 50 metri ma vincere la gravità con un elemento in aggetto. L’aula magna della sede Bocconi dà questa sensazione. Così come il resto dei blocchi dell’edificio per le modalità con le quali sono stati concepiti. Questo effetto probabilmente non viene percepito pienamente da chi si muove in interno o passa dall’esterno. Ma chi ha vissuto le fasi realizzative e ha incontrato problematiche sulle grandi luci, sulle grandi campate tra gli appoggi, ne ha un’altra lettura”. CAODURO® s.p.a CAVAZZALE - VICENZA [email protected] - www.caoduro.it